A. Frisone Coltivazione marijuana

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A. Frisone Coltivazione marijuana
Cassazione e droga….coltivazione….
Condanna?!…Forse si…e forse no!
di Antonino Frisone
Fa discutere la sentenza di questi giorni emessa dalla Suprema Corte secondo cui, nell’ipotesi
prevista dall’art. 73 D.P.R. 309/1990 (testo unico sugli stupefacenti) di coltivazione, non vi sarebbe
reato nel caso di piante “cannabis” non mature.
Secondo la sentenza NON può essere condannato chi viene sorpreso a coltivare piantine di
marijuana che, però, non sono ancora giunte a maturazione e non hanno, dunque, prodotto alcun
principio attivo di sostanza stupefacente.
Lo si evince da una sentenza con cui la Cassazione ha annullato senza rinvio "perché il fatto non
sussiste" la condanna, inflitta ad un 44enne, dalla Corte d'appello di Ancona per violazione della
normativa sulla droga. L'imputato aveva coltivato piantine di cannabis sativa in un terreno
adiacente alla sua abitazione: i giudici del merito lo avevano condannato a 1 anno e 4 mesi di
reclusione e a 7 milioni di vecchie lire di multa, ritenendo che non avesse rilevanza l'assenza di
principio attivo nelle 23 piantine, non ancora giunte a maturazione, in quanto "e' stato accertato sottolineava la Corte d'appello - tramite consulenza tossicologica che le piante avevano attecchito
sul terreno, se lasciate giungere a maturazione, avrebbero prodotto una notevole quantità di
principio attivo".
Contro tale verdetto, l'imputato aveva presentato ricorso, lamentando carenza di motivazione,
poiché "per giungere a maturazione e a produrre sostanza drogante sono necessari altri fattori
favorevoli (terreno, clima, etc.) la cui esistenza non e' stata accertata".
La Suprema Corte (sentenza n.1222, quarta sezione penale), ha accolto il ricorso, sulla base
anche delle pronunce delle sezioni unite e della Consulta: "in concreto non e' rilevabile e quindi
non e' suscettibile dell'accertamento chiesto al giudice l'effetto stupefacente in una pianta il
cui ciclo non si e' completato e che, quindi, non ha prodotto sostanza idonea a costituire
oggetto del concreto accertamento della presenza dei principi attivi".
Vediamo i precedenti più rilevanti dell’interpretazione….della Cassazione:
Suprema Corte nel 2004 aveva individuato nella coltivazione un reato di pericolo astratto
e, conseguentemente affermando che:
« La coltivazione di piantine di canapa indiana integra un reato di pericolo astratto per la cui
configurabilità non rilevano la quantità e qualità delle piante, la loro effettiva tossicità o la quantità
di sostanze drogante da esse estraibile, trattandosi di fattispecie volta a vietare la produzione di
specie vegetali idonee a produrre l'agente psicotropo, indipendentemente dal principio attivo
estraibile”
Ma la Cassazione nell’anno 2007, afferma:
“Per poter ritenere integrato il reato di cui all' art. 73 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 occorre che
venga individuata una coltivazione di sostanza stupefacente in senso tecnico e cioè supportata da
presupposti e strutture (quali l'individuazione dei terreni, i tipi di coltivazioni, i locali destinati alla
custodia e alla preparazione del prodotto per la futura messa in commercio), che rendano
inequivoca la volontà di utilizzare la sostanza medesima non per uso personale, ma per la
penalmente rilevante attività di spaccio. In caso contrario, e cioè quando per la modestissima
entità dello stupefacente detenuto, e la mancanza di qualsiasi altro elemento che faccia ritenere
ipotizzabile una sua commercializzazione, il solo fatto di possedere alcune piantine di marijuana
non può integrare la grave condotta di coltivazione, ma semplicemente rileverà come illecito
amministrativo ai sensi dell'art. 75 del medesimo D.P.R.”
Mentre nell’anno 2008: punibile chi coltiva cannabis anche una sola piantina di cannabis.
Infatti si stabiliva che è reato coltivare anche una sola piantina di cannabis in casa. La linea dura
arriva dalle sezioni unite penali della Cassazione presiedute dal primo presidente Vincenzo
Carbone. In particolare, le sezioni unite respingendo il ricorso di un giovane di Vigevano, Vincenzo
D. S., che era stato condannato a 4 mesi di reclusione e ad una multa di 1000 euro, hanno
confermato una volta per tutte che e' perseguibile penalmente la coltivazione domestica anche di
una sola piantina di cannabis.
Ancora nel 2008 :Sulla canapa indiana la Cassazione fa indietro tutta e rinnega le aperture sulla
non punibilita’ delle piccole coltivazioni domestiche pronunciate nei mesi scorsi, anche se seguite
da un intervento ’restrittivo’ del Primo presidente di Piazza Cavour Vincenzo Carbone. La Suprema
Corte, con la sentenza 871 depositata oggi dalla Quarta sezione, ha confermato la colpevolezza
(l’entita’ della pena non e’ riportata) per la coltivazione di otto piantine di cannabis di Lucia C., una
donna messinese di 43 anni che le teneva sul balcone di casa.
Oppure….: La Cassazione ribadisce che la mini coltivazione domestica di canapa non costituisce
reato se essa "non si sostanzia nella coltivazione in senso tecnico-agrario ovvero imprenditoriale".
E questo, ricorda piazza Cavour, "per l'assenza di alcuni presupposti, quali la disponibilita' del
terreno, la sua preparazione, la semina, il governo dello sviluppo delle piante, la disponibilita' di
locali per la raccolta dei prodotti e, che, pertanto, rimane nell'ambito concettuale della cosiddetta
coltivazione domestica, ricade nella nozione, di genere e di chiusura, della detenzione, sicche'
occorre verificare se, nella concreta vicenda, essa sia destinata ad un uso esclusivamente
personale del coltivato".
In questo modo, la Sesta sezione penale, con la sentenza 40362, ha respinto il ricorso del
Procuratore generale di Genova che chiedeva di annullare l'assoluzione accordata a Luciano M.,
un genovese che sul balcone di casa coltivava alcune piantine di canapa indiana " a scopo
ornamentale". Secondo la Procura genovese, l'uomo doveva essere condannato perche' "il
legislatore considera pericolosa per la salute pubblica ogni forma di diffusione della droga, e
inoltre, non e' mai possibile, nel momento in cui la coltivazione e' in atto, individuare l'effettiva
futura destinazione delle piante in coltivazione". Piazza Cavour ha respinto il ricorso, affermando
che "la conforme decisione dei due gradi di merito non lascia dubbi sull'accertamento e sulla
valutazione del fatto, ne' sull'assenza della destinazione all'uso di terzi".
In questo marasma di interpretazioni controverse, di cui abbiamo riportato solo le più salienti, a noi
operatori di Polizia sta destreggiarsi, e soprattutto su due parametri, proprio secondo l’assunto
che:
"in concreto non e' rilevabile e quindi non e' suscettibile dell'accertamento chiesto al giudice
l'effetto stupefacente in una pianta il cui ciclo non si e' completato e che, quindi, non ha prodotto
sostanza idonea a costituire oggetto del concreto accertamento della presenza dei principi attivi".
Ossia:
1°) Il termine principio attivo indica una sostanza che possiede una certa attività biologica,
includendo tutte le sostanze dotate di effetto terapeutico (farmaci), benefico (vitamine, probiotici) o
tossico (veleni). I principi attivi possono essere sintetici - è il caso della maggior parte dei farmaci -,
semisintetici, come per esempio l'aspirina (acido acetilsalicilico), o naturali, per esempio alcaloidi
ed estratti da piante usate nella medicina tradizionale o in fitoterapia. Tra queste ultime molecole è
importante ricordare la morfina, la nicotina, i terpeni (fra cui il carotene), i glicosidi, come la
digossina e molti altri. I principi attivi delle piante possono essere estratte dal fitocomplesso
attraverso particolari e numerose tecniche estrattive o assunti con la droga. I principi attivi
costituiscono la parte farmacologicamente attiva dei medicamenti, che sono formati anche dagli
eccipienti.
2°) Il momento di sviluppo del principio attivo, ovvero la capacità tossicologica dello stupefacente
di intervenire o alterare il sistema nervoso centrale.
A tal guisa appare oltremodo poco razionale ( anche a seguito delle precedenti pronunce ) l’attuale
decisione, questo perché in una ipotesi di effettivo reato di pericolo la Polizia Giudiziaria dovrebbe
scegliere il momento propizio per l’intervento e sequestro della coltivazione sia essa grande di
ettari sia essa minima di poche piantine sul balcone di casa.
Strada non sicuramente percorribile e non facilmente ipotizzabile per gli operatori di polizia, che di
fatto dovrebbero avvalesi di valenti tecnici agrari, o valutare il ritardato sequestro o ancora
aspettare la “maturazione”, tralasciando non solo “l’effetto sorpresa” ma la vera e propria attività di
P.G. che si sostanzia nell’iniziativa della P.G.” con la possibilità reale che il sequestro sfumi o che
gli indagati si diano alla fuga o inquinino/distruggano le prove….
Prove oggettive che tali non sarebbero secondo la recente sentenza della Suprema Corte….
Sentenza, consentitemi,….da rispettare…ma assurda per chi si trova a dovere intervenire per
fronteggiare il dilagante fenomeno della produzione, spaccio e consumo di sostanze stupefacenti.

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