Arte e cultura al tempo dei Caracciolo

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Arte e cultura al tempo dei Caracciolo
ARTE e CULTURA AL TEMPO DEI CARACCIOLO
di
Gerardo Pescatore
Il periodo che abbraccia il XVI secolo e gran parte di quello
successivo costituisce una delle epoche più floride e felici nella storia
di Avellino, che fu interessata da un imponente e lungo processo di
crescita intellettuale e civile, segnato anche da ampliamento urbano,
espansione demografica e prosperità economica.
In realtà, l’alba della cultura si affacciò agli inizi del Cinquecento per
merito di Maria de Cardona (1509-1563), nobildonna di origine
spagnola, che con privilegio del re Ferdinando il Cattolico del 1513
ereditò la contea di Avellino.
La giovane contessa, pur in assenza dello sposo Francesco d’Este,
figlio di Alfonso I, duca di Ferrara, e di Lucrezia Borgia, governò con
energia la città, devastata e depredata negli anni precedenti da
scorribande di eserciti, e ne sostenne la ripresa economica favorendo
l’agricoltura e il commercio con l’istituzione nel 1549 di una fiera
annuale in onore di S. Modestino, patrono della città. Completò la
realizzazione di due ferriere e arricchì il feudo di opere pubbliche,
risanando alcune zone dalla malaria, avviando, durante i 50 anni circa
del suo governo, trasformazioni urbanistico - economiche, che
avrebbero conosciuto compimento sotto il lungo principato dei
Caracciolo.
Lavori di restauro e di abbellimento trasformarono il vetusto maniero
in un palazzo gentilizio, che potesse rivaleggiare in eleganza e
fastosità con altre corti cinquecentesche, e soprattutto con quella
ferrarese, dove si svolse un’intensa attività culturale. Qui richiamati
dalla cultura e dall’appeal di Maria de Cardona, (come scrisse Bella
Bona, era versatissima nell’historie e humane lettere), tennero dotte
disquisizioni e declamarono i loro versi alcuni dei più noti poeti del
secolo, tra cui Bernardo Tasso, Luigi Tansillo, Ortensio Lando e
Vincenzo Martelli e dove risuonarono le musiche delle sontuose feste
da ballo che animarono la vita dell’aristocrazia avellinese.
L’elegante salotto letterario della bella contessa di Avellino costituì,
quindi, il preludio e il background culturale di quel vasto processo di
crescita intellettuale e rinnovamento civile, che raggiunse lo zenith ai
primi del Seicento con l’avvento dei principi Caracciolo, antichissima e
cospicua famiglia della nobiltà napoletana, fedele alla monarchia
spagnola, che governò Avellino dal 1589 al 1806, segnando il periodo
più felice nella storia della nostra città, caratterizzato da sviluppo
economico grazie all’incremento degli opifici della lavorazione della
lana e al potenziamento delle ferriere per la trasformazione industriale
del ferro, da espansione urbanistica e demografica e da abbellimento
artistico.
Con strumento rogato il 6 maggio 1581 Marino Caracciolo Rossi
tramite sua moglie Crisostoma Carafa acquistò dalla Regia Corte per
113.469 ducati Avellino insieme col casale “delle Bellezze”, che passò
da contea a principato perché con diploma rilasciato ad Areca il 25
aprile 1589, il re Filippo II, figlio di Carlo V, concesse a Marino, in
considerazione della virtù degli antenati e dei suoi meriti, il titolo di
Principe della città di Avellino con esecutoria del 6 giugno del viceré di
Napoli, Giovanni Zuniga, conte di Miranda.
Stemma dei Caracciolo Rossi
Iniziava così la signoria di questa antichissima ed illustre casata,
“la prima delle quattro grandi Case, reputate le più ricche del regno,
seguita da quelle del principe di Venosa; del principe di Scilla; e del
principe di Castiglione.”1 Grazie alle loro virtù militari godevano di
particolari privilegi, rivestendo cariche di prestigio ed esercitando un
notevole potere: furono anche nominati Gran Cancellieri del regno e
insigniti del collare del Toson d’oro, la più ambita onorificenza di
quel tempo.
Marino I si era distinto subito per valore al comando di una
galea spagnola partecipando col padre e con altri nobili napoletani
alla battaglia navale presso il promontorio di Azio, nella quale la flotta
cristiana, comandata
da Don Giovanni
d’Austria, figlio naturale
dell’imperatore Carlo V, sconfisse la flotta turca di Mehemet Alì Pascià.
Ma, oltre alle virtù militari, manifestò grandi capacità politiche e
di governo dando inizio a una delle epoche più floride e felici nella
storia di Avellino, che fu segnata da
ricchezza economica,
ampliamento urbano, progresso civile e rinnovamento artistico.
Seguì le orme paterne dandosi alla vita militare al seguito del celebre
condottiero Alessandro Farnese in numerose campagne in Fiandra il
figlio Camillo, che il Bella Bona descrisse come “uno dei più belli
principi de’ suoi tempi, grande, alto a proporzione, di faccia amabile,
d’occhio sì vivo, ch’ogni cosa trapassava per conoscer gli suoi più
affezionati”2, mentre non si dedicò, come i suoi valorosi antenati,
all’attività militare e alla professione delle armi Marino II, attratto
dagli studi letterari e dalle scienze.
Tutti e tre mutarono radicalmente il volto di Avellino mediante un
1
Ambrogino CARACCIOLO DI TORCHIAROLO Una famiglia italianissima. I Caracciolo di Napoli nella
storia e nella leggenda, Napoli, Giannini, 1939, p. 81.
2
Scipione BELLA BONA Raguagli della città d’Avellino, Trani, Valerij, MDCLVI, p. 250.
organico piano di ristrutturazione urbanistica ed edilizia, uno
straordinario incremento economico e una fioritura delle arti e dello
studio delle lettere.
Camillo (1591-1617)
Marino II (1617-30)
Per favorire l’espansione di Avellino essi modificarono l’assetto del
territorio urbano con l’unificazione dell’antico borgo medioevale della
“Terra” con gli insediamenti suburbani, a cui si accedeva attraverso
due nuove porte monumentali, erette ai limiti estremi dell’abitato
cittadino: Porta Puglia, presso il convento dei Domenicani (l’attuale
Prefettura) e Porta Napoli all’altezza della chiesa di S. Spirito (allora
monastero agostiniano). Le porte, sormontate da due epigrafi
marmoree, che ne spiegavano la funzione di ampliamento della città e
di sicurezza per i cittadini, saranno demolite nel 1810 durante il
decennio francese per ordine di Giacomo Mazas, primo Intendente
della provincia di Avellino, perchè segno del passato regime.
Notevole importanza attribuirono allo sviluppo dell’economia
introducendo l’arte della lana, che per quasi due secoli fu il fulcro
dell’attività economica cittadina, favorendo il potenziamento dei
settori manifatturieri e quelli connessi alla lavorazione del ferro e del
rame come le ferriere di Avellino e di Atripalda e riprendendo i traffici
commerciali con il restauro e la riattivazione della Dogana dei grani.
Le fiorenti condizioni economico-sociali costituirono l’humus adatto
a suscitare il risveglio degli studi e la fioritura delle arti che furono
favoriti dalla protezione che i principi accordarono mediante rendite,
favori e incarichi di rappresentanza a poeti e ad artisti, dai quali
traevano lustro e splendore, anche allo scopo di esaltare ed accrescere
la gloria e il prestigio del casato. Il castello, trasformato dopo gli
ulteriori interventi di restauro della famiglia Caracciolo in un’elegante
residenza gentilizia, fu un attivo centro di vita intellettuale e mondana
ospitando nelle sue eleganti sale l’Accademia dei Dogliosi. A questo
importante cenacolo letterario, fondato nel 1620 dal principe Marino
II, a cui parteciparono insigni poeti, come Maiolino Bisaccioni e
soprattutto Giambattista Basile, sarà dedicato il prossimo articolo.
Questa età è ricordata anche per l’abbellimento artistico della città,
dovuto al mecenatismo dei Caracciolo che, come i ricchi signori
rinascimentali, commissionarono ad insigni artisti dell’epoca la
realizzazione di edifici e di monumenti per cambiare il volto della città
e legare ad essa il nome e la potenza della loro dinastia. Chiamarono
infatti ad Avellino l’architetto e scultore bergamasco Cosimo Fanzago,
il più prestigioso esponente del barocco napoletano, per la
realizzazione di edifici e di monumenti. Il Fanzago (1593-1678), uno
fra i più valorosi allievi di Pietro Bernini, padre del più famoso Gian
Lorenzo, aveva già operato a Napoli, dove era giunto nel 1608,
raggiungendo fama e fortuna grazie al progetto di facciate di chiese e
di palazzi, di guglie e di fontane e ottenendo protezione e favori da
vicerè e da principi.
Francesco Marino Caracciolo (1631-1674)
Il 16 dicembre 1660, in occasione dell’inaugurazione della fastosa e
celebre guglia di S. Gennaro, ricca di effetti scenografici, eretta come
ex voto per l’eruzione del Vesuvio del 1631, il principe Francesco
Marino Caracciolo, che ebbe l’onore di reggere nella processione,
secondo la cronaca del Fuidoro, l’asta del pallio affidatagli dal re3,
incontrò l’artista di Clusone, a cui affidò il progetto di abbellire Avellino
con edifici e sculture.
Infatti il giovane figlio di Marino II e di Francesca Maria d’Avalos
d’Aragona intendeva ristrutturare il profilo architettonico del suo
feudo non solo allo scopo di restaurare i monumenti cittadini,
gravemente danneggiati nel 1647 dall’occupazione di Paolo Di Napoli
3
Innocenzo FUIDORO, Giornali di Napoli dal MDCLX al MDCLXXX a cura di F. Schlintzen, A. Padula e V.
Omodeo, 3 voll., R. Deputazione di storia patria, Lubrano, Napoli, MCMXXXIV-MCMXXXIX, pag. 66.
e messi a dura prova dalla terribile peste del 1656, ma anche di
plasmare l’identità storica ed artistica e di ridisegnare l’assetto
urbanistico per dare un nuovo sviluppo alla città spostando il centro
dall’antico nucleo urbano sorto intorno alla Piazza Maggiore sulla
collina della Terra verso l’ampia Piazza Centrale (oggi Piazza
Amendola), ricca di taverne e di locande, divenuta un punto di incontro
di strade importanti e il cuore dei traffici mercantili, che attraverso la
strada Regia dalla Puglia erano diretti alla capitale del viceregno.
La creatività del Fanzago, rivolta soprattutto a dare una scenografia
teatrale all’ambiente, partì dalla ristrutturazione della facciata della
Dogana, arricchita da nicchie e lunette, nelle quali furono inserite tra
vari reperti romani le statue di Marino I in armatura, eseguita dallo
stesso artista,
e di Venere
Anadiomene, venduta al principe di
Avellino nel 1640 dal duca Caivano a Chiaia, che l’aveva acquistata
dal museo Spatafora di Napoli. L’iscrizione in latino nel riquadro
centrale ricorda la finalità del restauro: VETUSTATE PENE COLLAPSAM /
HANC CERERIS ARCEM/ NE GRASSANTE LUE/ GRASSETURET FAMES/ ELEGANTIUS
(“Francesco Marino
INSTAURAVIT/ FRANCISCUS MARINUS CARACCIOLUS
Caracciolo volle ricostruita più bella questa casa di Cerere quasi andata
in rovina per la vecchiaia affinché il popolo in caso di pestilenza non
morisse anche di fame”).4
Avellino e la sua Dogana
(in “L’Omnibus Pittoresco” del 27 gennaio 1842, anno IV n. 42)
Per mettere in maggiore risalto quella che era la piazza principale,
nel 1668 fece innalzare davanti alla facciata della Dogana l’obelisco
con la statua di bronzo del re Carlo II d’Asburgo, un bambino di sette
anni, che richiama l’imponente guglia barocca di San Gennaro anche
per la presenza sul basamento di entrambe le opere di un medaglione
4
Dopo i gravi danni provocati dai bombardamenti del settembre 1943 e dal sisma del 23 novembre 1980,
l‘edificio, ulteriormente danneggiato da un incendio scoppiato il 17 dicembre 1992 nel cinema Umberto ospitato
in essa, versa oggi in uno stato di totale degrado.
riproducente l’autoritratto dell’artista raffigurato in età senile con baffi
e pizzetto alla spagnola. L’opera fu commissionata a spese
dell’Università, come ricordava l’iscrizione sul basamento, rimossa
negli anni successivi: “ CAROLO II / AUSTRIACO REGNUM / FELICITER
AUSPICANTI /CIVITAS ABELLINATUM / METROPOLIS / HIRPINORUM FIDELISSIMA
/ ANNO D. MDCLXVIII”. La corte spagnola gradì l’omaggio al re bambino
e la regina Marianna d’Austria conferì al figlio di Francesco Marino di
soli sei anni il titolo di “Consanguineo del re”.
Autoritratto di Cosimo Fanzago
L’attività del Fanzago in Avellino continuò
anche negli anni
successivi e non si può fare a meno di affermare che i più significativi
monumenti esistenti in città portano tutti il marchio dei Caracciolo
e l’impronta e lo stile dello scultore e architetto bergamasco. Innanzi
tutto, oltre ai due descritti prima, la fontana di Bellerofonte detta dei
tre cannuoli, perché l’acqua proveniente dalle falde di Montevergine
effluiva da tre cannelle. Adibita per secoli a vecchio e rozzo
abbeveratoio a conclusione di un intervento per l’approvvigionamento
idrico della città, fu trasformata in una elegante fontana barocca. Una
lapide in marmo scuro ricorda la costruzione del Principe: “ VIATOR
PAULISPER MANE / EN LINPHAE ADBLANDIUNTUR AMOENAE / HAUD
MURMURANTES ATQUI PLAUDENTES / FONS ETENIM VETUSTATE DEFORMIS / AC
STERILISCENS / FELICISSIMO IN PRINCIPIS CON(SILIO) / SCHEMATE ELEGANTIOR
/ FECUNDIOR AQUIS RENIDET / ANNO REPARATAE SALUTIS / MDCLXVIII”. Alle
sue spalle svettava la Torre dell’orologio5, diventata il simbolo della
città con la sua altezza di 36 metri, alla quale qualche anno dopo
partecipò anche Giovan Battista Nauclerio.
Le qualità artistiche del Fanzago emergono anche nel disegno del
pozzo del chiostro del convento del Carmine e nei notevoli bassorilievi
marmorei dell’altare maggiore della Chiesa annessa al complesso
conventuale, che rappresentano il principe Marino II col fratello D.
5
L’attribuzione della torre all’architetto di Clusone fu sostenuta da Salvatore Pescatori (Avellino seicentesca
Pergola Avellino, 1936), mentre il De’ Pietri parlò di “disegno di buon architetto”. La torre è stata
completamente rifatta dopo i danni del terremoto del novembre 1980.
Tommaso Caracciolo in ginocchio ai piedi della Madonna e, nella
lastra superiore, la Crocifissione. È noto che la chiesa di via Triggio fu
scelta come
tomba
della famiglia principesca conservandone le
sepolture fino al 1854, quando furono rimosse insieme con le lapidi e i
monumenti funerari6.
Purtroppo queste opere d’arte, sopravvissute a calamità naturali e alla
colpevole incuria degli uomini, sono rimaste le uniche testimonianze
del nostro passato, capaci di restituire alla città la vera identità
perduta.
Cosimo Fanzago (1591-1678) Bassorilievo dell’altare della chiesa del Carmine
L’ammodernamento che trasformò la città di Avellino durante l’età
dei Caracciolo non riguardò solo l’aspetto architettonico e urbanistico,
ma fu accompagnato anche da una vasta produzione pittorica, con la
decorazione di chiese ed edifici privati, come è testimoniato dalle
opere di Angelo Michele Ricciardi, un pittore non ancora valutato nella
giusta considerazione. Tra il 1702 e il 1705 dipinse cinque tele nei
soffitti della navata centrale e del transetto del Duomo (S Gaetano; S
Francesco Saverio, l’apostolo delle Indie; S Modestino e compagni
nella patria celeste; S Carlo Borromeo e la peste di Milano; S Andrea di
Avellino), che ricordavano lo stile di Francesco Solimena.
Contemporaneamente eseguì
affreschi, raffiguranti in prevalenza
figure allegoriche, nella cripta, il primitivo edificio di culto di origine
longobarda.
Il talento, che palesò attraverso la sua arte, gli procurò notorietà
guadagnandogli l’apprezzamento non solo della famiglia Caracciolo,
ma anche delle autorità religiose tanto che durante i lavori di restauro
del duomo di Avellino commissionati dal vescovo Giovan Paolo Torti6
Carlo MUSCETTA Le Chiese di Avellino in IRPINIA, A. III, n.10 Pergola, Avellino, 1931, p.561.
Rogadeo, curò la decorazione del soffitto, inserendovi al centro,
accanto alle tele precedentemente realizzate, anche l’affresco dell’
Assunzione in cielo della Vergine, in cui la vena creativa del Ricciardi
raggiunse risultati di ottimo livello. Negli anni successivi realizzò la
decorazione del soffitto con la tela centrale nella chiesa di
Costantinopoli e la tela con l’incoronazione della Vergine nella chiesa
delle Oblate. Lavorò anche nella chiesa della SS. Trinità e nella chiesa
di Monserrato, annessa al monastero delle suore Stigmatine, dove
dipinse la pala dell’altare maggiore raffigurante S. Giovanni Battista. I
feudatari di Avellino, riconoscendo le capacità artistiche dell’allievo
del Solimena, furono molto munifici con lui. La principessa Antonia
Spinola, moglie di Marino III Francesco, gli ordinò lavori di
sistemazione della cripta per trasferirvi la sede della confraternita
dell’Addolorata e, in segno di omaggio verso la famiglia principesca,
Ricciardi decorò il soffitto della chiesa del Carmine con una tela,
raffigurante l’incoronazione della Madonna col principe Caracciolo e la
sua corte, un’opera di notevole valore e certamente la più famosa,
dipinta nel 1747 pochi anni prima della morte.
Michele Ricciardi (1672-1753) Madonna del Carmine con la corte del principe
Caracciolo
Ma nel XVIII secolo, alla morte di Marino III Francesco Maria iniziò
per la città un lungo periodo di decadenza, attribuibile ai gravi
avvenimenti che funestarono la vita del principato, ma in parte anche
all’incapacità degli ultimi discendenti, che non seppero emulare le
virtù degli avi.