Friedrich Schiller - Simone per la scuola

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Friedrich Schiller - Simone per la scuola
Friedrich Schiller
Il profilo letterario e le opere
Friedrich Schiller nasce a Marbach (Stoccarda) nel 1759. Il padre è chirurgo militare
al servizio del duca Karl Eugen e impartisce al figlio un’educazione molto severa.
Ancora giovane, per seguire la volontà del duca e del padre, Schiller entra all’accademia militare diretta dal duca stesso, dove studia giurisprudenza, poi medicina,
dedicando però gran parte del suo tempo alla lettura di autori quali Goethe, Bürger, Klopstock. Nell’accademia si applica una rigida disciplina che alimenta in lui
il risentimento e la voglia di ribellarsi. La scuola dispone dei migliori insegnanti
e Friedrich riceve un’ottima istruzione che dà subito i suoi frutti: mentre lavora
alla tesi di laurea ha già scritto il primo dramma, I masnadieri (1781), che fa
pubblicare a sue spese. È un’opera che parla di rivolta, di nobili uomini che diventano briganti, masnadieri appunto, per ribellarsi all’ordine sociale stabilito da un
tiranno; una trama che rispecchia la situazione in cui lo stesso scrittore si trova,
situazione che gli diventa sempre più insopportabile. Diventato medico militare
ancora al servizio del duca, si reca senza permesso alla rappresentazione del suo
dramma e per questo viene punito; nel 1782 allora fugge, compiendo un inaudito
atto di ribellione per l’epoca. Si reca a Mannheim, poi a Francoforte e inizia seriamente la sua carriera di scrittore. Pubblica nel 1783 Fiesco, storia drammatizzata
della rivolta di Genova, ancora una tragedia della tirannia; scrive Intrigo e amore
(1784), imperniato sull’amore tra un giovane nobile e una povera fanciulla, osteggiato dal padre di lui. Del 1785 è l’Ode alla Gioia, in cui si canta la gioia come
passione, amore e fratellanza.
Nel 1787 Schiller termina la stesura del Don Carlos, che in un primo momento
aveva composto in versi: è un dramma storico in cui lo scrittore riprende i temi
dell’insofferenza all’autorità, dell’amore contrastato e dell’amicizia fraterna.
Il 1787 è l’anno in cui si stabilisce a Weimar, fervido centro culturale dell’epoca,
dove frequenta i circoli letterari e incontra Goethe. Questi riconosce presto i meriti
di poeta e di storico del giovane Friedrich, che per la stesura del Don Carlos e di
alcuni scritti storici, come la Storia dell’insurrezione dei Paesi Bassi (1788) e la
Storia della guerra dei Trent’anni (1791-92), ha compiuto lunghi studi, che gli
valgono la chiamata all’Università di Jena per insegnare, appunto, storia.
L’amicizia con Goethe si consolida e nasce una lunga collaborazione: i due scrittori compiono insieme studi scientifici, discutono di letteratura, storia, filosofia
e scienze naturali, tanto che ancora oggi i loro nomi sono sempre accostati a
indicare il periodo di maggior splendore dello Sturm und Drang e del successivo
classicismo tedesco.
Nel periodo weimariano Schiller compone ancora liriche, saggi storici e filosofici,
scritti di estetica e inizia la sua trilogia del Wallenstein, pubblicata nel 1799, che
comprende Il campo di Wallenstein (1796), I Piccolomini (1797-98) e La morte di
Wallenstein (1798-99): si tratta ancora una volta di un dramma storico, che narra
della guerra dei Trent’anni e contrappone drammaticamente il realismo politico al
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bisogno di libertà; anche qui compare, come in altre opere, l’eroe romantico ribelle
e geniale, destinato a soccombere all’arte della politica.
Nel 1801 viene rappresentata con enorme successo la tragedia Maria Stuarda, considerata il suo capolavoro teatrale, in cui presenta una bellissima figura di donna
vittima anch’ella della ragione politica e di un amore sfortunato.
Il Guglielmo Tell (1804) è l’ultimo dramma di Schiller, un inno alla libertà e alla
concordia, non intese in senso generico bensì come libertà civica e sintonia tra
cittadini, un’esortazione alla rivolta contro i tiranni quando questi attentano alla
libertà individuale e collettiva.
Ma il genio di Schiller sta lentamente spegnendosi, la malattia e il lavoro incessante lo hanno molto debilitato; la morte sopraggiungerà nel 1805, dopo lunghe
sofferenze.
Il desiderio di libertà e fratellanza è forse l’elemento più caratteristico dell’opera e
della vita di Schiller. Nella Germania del XVIII secolo la maggior parte dei cervelli
promettenti è destinata a servire il regnante di turno, che nel migliore dei casi può
essere un sovrano illuminato ma che pretende in ogni caso assoluta obbedienza.
Come tanti altri giovani Schiller sente insopportabile tutto ciò e chiede di essere
libero da qualsiasi tirannia. I suoi eroi ci riescono forse più di lui, costretto comunque a fare i conti con prìncipi e politici per poter sopravvivere nella sua carriera
di scrittore.
Grande drammaturgo, Schiller mette in scena conflitti che sono in primo luogo
scontri di idee: l’ideale e la realtà, il prorompente desiderio di libertà e il meschino,
ma necessario, realismo politico. Tra i due poli si dibatte egli stesso, diviso sempre
tra la volontà di essere scrittore indipendente e l’ammirazione per coloro che sanno
affermarsi nella vita: si dice spesso che nell’animo ribelle di Schiller c’è molto del
despota, perché per affermarsi egli tiranneggia se stesso, costringendosi al duro lavoro e perché col suo impeto tende sempre a imporsi agli altri nella vita letteraria.
Primo vero rappresentante dello Sturm und Drang, specialmente nella sua prima
produzione, Schiller, è uno scrittore impetuoso, che riversa nelle opere uno slancio drammatico prorompente; spesso inizia direttamente con l’azione principale,
catapultando lo spettatore al centro di essa senza quasi aver spiegato l’antefatto;
e così il dramma acquista un ritmo inarrestabile e corre verso la tragica fine.
I suoi sono drammi storici in cui l’individuo si oppone all’autorità e finisce spesso
per avere la peggio. La libertà cantata dall’autore tedesco è soprattutto interiore;
l’altra libertà, quella politica, può diventare una colpa: dopo la Rivoluzione francese
e l’assassinio dei regnanti in quel paese, che atterrisce in Europa anche quanti,
come Schiller, avevano gridato alla rivolta, lo scrittore si fa più cauto nell’incitare
alla ribellione e più attento a studiare i risvolti psicologici e filosofici degli eventi
storici; e così l’eroe schilleriano per rimanere puro non deve “abbassarsi” alla vita
politica, che inevitabilmente rende impuri e immorali. A questa conclusione Schiller giunge comunque dopo aver sperimentato a sue spese determinate situazioni,
dopo essersi, appunto, “abbassato e macchiato”.
Nella sua drammaturgia il contrasto tra il tiranno e il ribelle si ripresenta spesso
nel conflitto tra padre e figlio, anch’esso costruito sull’esperienza personale dello
scrittore, e si riflette nelle storie d’amore: quelli di Schiller sono amori contrastati,
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hanno la qualità dell’ideale e contribui­scono a fare degli eroi schilleriani personaggi che anelano continuamente a qualcosa che non riescono a ottenere. Tutto
ciò conferisce alle opere di questo scrittore un senso drammatico ancora più forte.
Non bisogna credere però che la produzione di Schiller sia tutta improntata alla
tragedia; uno dei suoi capolavori è infatti l’Ode alla gioia, che sarà messa in musica
da Beethoven (1770-1827) e che esprime, in un bellissimo crescendo, l’amore tra
gli uomini, che da solo muove cielo e stelle: Schiller è in fin dei conti un entusiasta
e un idealista.
L’opera
Maria Stuarda
Tragedia analitica in cinque atti, rappresentata con grande successo nel 1801,
Maria Stuarda è ispirata alle vicende della Casa reale inglese dei Tudor. Figlia di
Giacomo V Stuart e nipote di Enrico VIII, Maria diventa sovrana di Scozia. Qui è
protagonista di diversi intrighi e si inimica il suo popolo, anche perché cattolica;
costretta a fuggire dalla Scozia, cerca rifugio in Inghilterra, appellandosi a Elisabetta I, che invece, per paura che Maria possa pretendere il trono, l’accusa di aver
congiurato contro la Corona e la fa imprigionare, condannandola poi all’esecuzione
capitale, che avviene nel 1587.
Maria Stuarda nella realtà storica si è trovata al centro di vari complotti e non v’è
dubbio che sia stata il punto di riferimento per molti cattolici che speravano in
un ritorno al potere a scapito degli anglicani. Schiller però, più che dalla verità
dei fatti, è affascinato dal contrasto tra le due regine e così costringe l’azione
del dramma nel breve periodo che intercorre tra la condanna di Maria e la sua
esecuzione. La tragedia sta nelle contrapposizioni dei caratteri e nello scontro
psicologico, più che nell’azione drammatica. Maria è stata condannata e un gruppo
di persone che credono la pena ingiusta, tra cui il nobile Leicester, amante della
regina Elisabetta, si adoperano per farle avere la grazia. Ma Elisabetta, anche se
tra mille dubbi, non mostra pietà e punisce anche il suo amante. Le due donne si
sono dunque contese non solo il potere, ma anche l’amore di un uomo, Leicester.
L’antitesi tra amore e politica si esprime nel conflitto tra il mondo di Maria, prima
vera eroina schilleriana, bella, nobile e passionale, e quello di Elisabetta, sovrana
ipocrita e calcolatrice. E a dimostrazione che amore e politica non vanno d’accordo,
Maria vince in amore, ma perde in politica, mentre Elisabetta perde Leicester ma
vince il trono. Maria alla fine accetta la sua morte come espiazione delle colpe
passate e così diventa eroina drammatica e conquista dignità morale, mentre Elisabetta paga a caro prezzo il suo trionfo, perché pur riuscendo a mantenere la
corona, ci appare in tutta la sua crudeltà e inumanità.
Il fascino della tragedia dipende molto dai due personaggi femminili: due fortissime figure di donna, due caratteri opposti che però hanno in comune la grande
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forza di volontà. Elisabetta è determinata a tenere stretti nelle sue mani la corona d’Inghilterra e il suo amante, il conte di Leicester. È una donna inasprita
dal potere e da questo resa ipocrita e insensibile: scarica la responsabilità della
decapitazione di Maria su un segretario, e questo abile colpo di maestria da parte
di Schiller drammaturgo, la rende definitivamente odiosa agli occhi del pubblico.
Dal canto suo Maria non è certo priva di colpe: si dice abbia partecipato o almeno
non abbia impedito l’assassinio di suo marito, lord Darnely, ad opera del conte di
Bothwell, cui pare si sia anche concessa; di mariti ne ha avuti più d’uno e così di
amanti; ma ha accettato di pagare e la vediamo avviarsi con grande nobiltà verso
il patibolo come se cercasse la liberazione da una condizione troppo umiliante per
la sua regalità e, insieme, una necessaria espiazione. È questo dunque il dramma di
Schiller in cui la contrapposizione tra idealismo e realismo politico si traduce con
più immediatezza, con una semplicità e assolutezza da tragedia greca.
Infatti lo scrittore, grande studioso dei classici greci, costruisce l’opera con una
simmetria di azioni e personaggi che ci permette di seguire la vicenda in tutti i suoi
risvolti. Inoltre egli ottiene un effetto altamente tragico e di grande coinvolgimento
emotivo, circoscrivendo l’azione al periodo che intercorre tra la condanna a morte e
l’esecuzione di Maria, e ordina gli eventi, gli incontri e gli scontri tra i personaggi
in un crescendo che, dopo il faccia a faccia tra le due rivali, culmine dell’azione,
corre irrimediabilmente verso la catastrofe finale.
L’incontro
Lord Leicester crea un’occasione di incontro tra Elisabetta e Maria, credendo di poter indurre la prima
a concedere la grazia alla seconda, ma la riconciliazione, purtroppo, si rivela impossibile.
[Maria Stuarda, atto III, scena 4]
Elisabetta, Maria, Shrewsbury e Leicester
[…]
Maria1 si fa forza2 e vuole avvicinarsi ad Elisabetta3, ma a metà strada si ferma rabbrividendo. I suoi
gesti tradiscono la lotta più violenta4.
Elisabetta
Maria
Ma come, signori? Chi mi parlava di una donna prostrata e sottomessa5. Io vedo una
donna altera, per nulla piegata dalla sventura.
E sia! Mi assoggetterò anche a queste! Vattene, inutile fierezza dell’animo! Dimenticherò chi sono e tutto quello che ho patito, mi abbasserò di fronte a chi mi ha gettato in
1. Maria: Maria Stuarda (1542-87) fu regina di Scozia fino al
1567. Venne proclamata regina appena nata, figlia di Giacomo
V e Maria di Guisa. Educata in Francia, vi sposò Francesco II
(1558), alla morte del quale, due anni dopo, tornò in Scozia. Qui
nel 1565 sposò in seconde nozze lord Darnely, un cattolico, il che
compromise notevolmente l’equilibrio che si era stabilito tra le
fazioni religiose e quelle nobiliari. Costretta perciò ad abdicare
nel 1567, si rifugiò in Inghilterra, ma, coinvolta in una congiura
contro la regina Elisabetta I, venne fatta giustiziare da quest’ultima con la motivazione di alto tradimento.
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2. si fa forza: alla notizia dell’arrivo di Elisabetta, pur se informata del tentativo di Leicester, Maria ha avuto un momento di
smarrimento; incontrando il suo sguardo ha sentito di non avere
speranze.
3. Elisabetta: Elisabetta I Tudor (1533-1603) regnò in Inghilterra
dal 1558, succedendo alla sorellastra Maria la Cattolica.
4. la lotta più violenta: è la lotta tra il suo orgoglio di regina e il
desiderio di riconciliarsi con Elisabetta e avere salva la vita.
5. Chi mi … sottomessa: Maria ha conquistato diverse persone, tra
cui lo stesso Leicester, che l’hanno vista cambiata dalla prigionia.
Elisabetta
Maria
Elisabetta
Maria
questa vergogna6. (Si rivolge alla regina) Il cielo è dalla tua parte, sorella7! La vittoria
incorona il tuo capo fortunato e io adoro in te la divinità che ti innalza. (Le cade ai piedi)
Ma ora sii generosa, sorella! Non lasciarmi qui vergognosamente prostrata, tendi la
mano, la tua destra regale, e rialzami dalla mia caduta8.
(ritraendosi) Siete al posto che vi siete meritata, Lady Maria, e io lodo la grazia del mio
Dio, che non ha permesso che giacessi io ai vostri piedi come voi ora ai miei9!
(con crescente intensità) Pensa all’instabilità di tutto ciò che è umano. C’è una divinità che
punisce l’orgoglio10! Venerala e temila, questa terribile forza divina che mi getta ora ai tuoi
piedi… Ma per gli estranei che ci guardano, onora in me te stessa11, non sconsacrare, non
esporre alla vergogna il sangue dei Tudor, che scorre nelle mie vene, come nelle tue! O
Dio del cielo! Non rimanere rigida e inaccessibile, come lo scoglio a cui il naufrago cerca
invano, lottando, di aggrapparsi12! Tutto per me, la mia vita, il mio destino, dipende dalle
mie parole, dalla forza delle mie lacrime: scioglimi il cuore che possa toccare il tuo13! Se
mi fissi con quello sguardo di ghiaccio, il cuore mi si stringe rabbrividendo, le lacrime
indurite non scorrono più, e lo sgomento trattiene la supplica nel petto raggelato.
(fredda e severa) Cos’avete da dirmi, Lady Stuard? Volevate parlarmi? Io ora dimentico
di essere la regina che avete gravemente offeso14, per adempiere solo ad un compito pietoso di sorella e vi concedo la consolazione della mia presenza15. Per ascoltare l’invito
della generosità, mi espongo ad un giusto biasimo per essere scesi così in basso… sapete
bene che volevate farmi uccidere16.
Come posso cominciare, come posso disporre, le mie parole, perché ti tocchino il cuore,
ma non l’offendano17. O Dio, da’ forza alle mie parole e togli loro ogni aculeo18 che
potrebbe ferire! Non posso parlare in mio favore senza accusarti duramente, e proprio
questo non voglio… Mi hai trattata ingiustamente, perché io sono una regina come te, e tu
mi hai tenuta prigioniera; io sono venuta a te supplicando e tu hai sprezzato le sante leggi
dell’ospitalità e il sacro diritto delle genti e mi hai rinchiuso tra le mura di un carcere. Mi
hanno sottratto crudelmente amici e servitori, mi hanno costretta a indegna privazione e
infine trascinata davanti ad un tribunale vergognoso19… Ma non ne voglio parlare più!
Un eterno oblio ricopra tutte le crudeltà che ho patito. Ma sì, attribuirò tutto al destino;
tu non sei colpevole, e neppure io lo sono, uno spirito maligno è salito dagli abissi e ha
acceso nei nostri cuori quell’odio che fece di noi, ancor fanciulle, due nemiche. Esso è
cresciuto con noi, e uomini malvagi hanno attizzato col fiato l’infausta fiamma20. Pazzi
6. Dimenticherò … vergogna: si propone l’umiltà, una delle fondamentali virtù cristiane.
7. sorella: sono entrambe eredi, anche se per diverse vie, di Enrico
VIII e della Casa dei Tudor.
8. Non lasciarmi … caduta: è questa la prima appassionata invocazione di pietà.
9. Siete al posto … miei: la gela subito umiliandola e lasciandola
a terra.
10. C’è una divinità … l’orgoglio: si richiama alla fede religiosa.
11. onora in me te stessa: la esorta a essere veramente regina e a non
versare, uccidendola, il suo stesso sangue, il sangue della sua famiglia.
12. Non rimanere … aggrapparsi: paragoneu appropriato perché
Maria è davvero naufragata scappando dal suo paese e ha realmente cercato di aggrapparsi a Elisabetta.
13. Tutto per me … il tuo: lo sguardo gelido di Elisabetta rischia
di raggelare anche le lacrime di Maria, che già qui sente di non
poter resistere a lungo.
14. Io ora dimentico … offeso: Elisabetta pecca di orgoglio e non
sa in nessun modo mostrarsi pietosa.
15. per adempiere … mia presenza: la regina rimane sul suo piedistallo, nonostante voglia far credere di essere ben disposta.
16. Per ascoltare … uccidere: vuol passare per sovrana generosa,
salvo riaffermare la colpa di Maria.
17. Come posso … non l’offendano?: Maria si accorge che deve
stare attenta.
18. aculeo: punta aguzza, spina.
19. Mi hai trattata … vergognoso: Maria rievoca, senza biasimare
la regina, tutte le sofferenze che ha patito.
20. Ma sì … fiamma: qui e di seguito si ascolta lo Schiller storico
che, a distanza di secoli, giudica le lotte fratricide caratteristiche
della Corona inglese.
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Elisabetta
Maria
Elisabetta
Maria
Elisabetta
fanatici si sono armati, non richiesti, di spada e pugnale21. È il destino dei sovrani: le loro
discordie precipitano nell’odio il mondo intero e ogni loro dissidio scatena le furie. Ora
non c’è più tra di noi una bocca estranea (le si avvicina confidenzialmente e le parla in
tono accarezzante), ora siamo solo noi, una di fronte all’altra. Parla ora, sorella22! Dimmi
la mia colpa, voglio dartene piena soddisfazione. Ah, mi avessi prestato orecchio allora,
quando imploravo di vederti! Non si sarebbe giunti a questo punto, e non sarebbe questo
triste parco il luogo del nostro doloroso incontro23.
La mia buona stella mi ha preservata, allora dal mettermi la serpe in seno con le mie
stesse mani24. Non accusate le stelle, ma la vostra anima nera e la selvaggia ambizione
della vostra casa. Fra noi non c’era ombra di discordia, allorquando vostro zio, quel prete
superbo e avido di dominare, che non cessa di allungare la mano verso le corone degli
altri, mi lanciò la sfida, e indusse voi ad assumere il mio stemma, ad impossessarvi del
mio titolo regale e ad iniziare con me un duello all’ultimo sangue25. E chi non ha cercato
di aizzare contro di me? La lingua dei preti e la spada dei popoli, e tutte le armi terribili
del fanatismo religioso, perfino qui, nella pace del mio impero, ha attizzato le fiamme
della sommossa26… Ma Dio è con me, e quel prete superbo non è padrone del campo…
Il suo colpo mirava al mio capo, ma sarà il vostro a cadere!
Sono nelle mani di Dio. Non approfitterai in modo così cruento della tua potenza27.
E chi mi lo impedirà? Vostro zio ha mostrato a tutti i re del mondo come si fa la pace coi
propri nemici: la mia scuola sia la notte di San Bartolomeo28! Che m’importa dei vincoli
del sangue e dei diritti dei popoli? La chiesa affranca da ogni legame, la chiesa santifica
regicidio e spergiuro. Io non faccio che applicare gli insegnamenti dei vostri preti29. Ma
dite, su, che pegno garantirebbe per voi, se generosa vi togliessi le catene30? Quale serratura terrebbe custodita la vostra parola, che le chiavi di San Pietro31 non possano aprire?
Nella forza sta la mia sola sicurezza32, non si può scendere a patti con i viscidi serpenti.
Oh, credimi, sei tu la causa del nostro dissidio, con questa tua triste, cupa diffidenza! Vedesti sempre in me un’estranea, una nemica: se tu mi avessi dichiarata tua erede33, come
mi spetta, amore e gratitudine avrebbero fatto di me una fedele amica e una cara parente.
Non son qui i vostri amici, Lady Stuard, la vostra casa è il papato, vostri fratelli i monaci… Voi mia erede! Volete mettermi in trappola34! E io dovrò permettere che voi,
21. Pazzi fanatici … pugnale: questi sono gli anni delle lotte tra
cattolici e protestanti; nella realtà Elisabetta I ha affrancato lo
Stato dalla Chiesa, continuando l’opera del padre.
22. Parla ora, sorella!: sarebbe un’ottima occasione per riconciliare il piano umano con quello politico, ma per Schiller ciò è
impossibile.
23. Ah … incontro: la biasima di aver anteposto la ragion di Stato
al cuore.
24. La mia buona … mani: Elisabetta sembra inattaccabile.
25. Fra noi … all’ultimo sangue: i cattolici consideravano Maria
la loro sovrana e ordirono complotti per detronizzare Elisabetta,
regina anglicana; la Casa di Maria sosteneva il Cattolicesimo ed
era alleata del papa.
26. La lingua … sommossa: Schiller prende chiaramente posizione contro le guerre religiose, che vengono usate dai sovrani per
raggiungere i propri scopi.
27. Non approfitterai … potenza: Maria cede: lei parla di amore e
clemenza e Elisabetta le risponde con una lezione di storia!
28. notte di San Bartolomeo: la notte di San Bartolomeo del 1572
ci fu in Francia una violenta repressione degli ugonotti, comunità
calvinista che rivendicava la libertà contro l’assolu­tismo regio;
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dopo aver condannato il fanatismo, Elisabetta non si rende conto
di quanto risulti anche lei tale, quando dice di volersi vendicare
di questo massacro religioso. Scomunicata dal papa Pio V nel
1570, avendo riconfermato l’autonomia della Chiesa Anglicana
da Roma, Elisabetta continuò nella persecuzione dei cattolici in
Inghilterra e nel suo appoggio agli ugonotti, sia francesi che olandesi.
29. Io non faccio … preti: il desiderio di vendetta è il sentimento
dominante in Elisabetta; i preti a cui si riferisce sono i preti cattolici.
30. Ma dite … catene?: è una domanda retorica: anche se ci fosse
un pegno, Maria non sarebbe al sicuro.
31. le chiavi di San Pietro: fa riferimento al papa che spalleggiava
Maria e le rivolte cattoliche.
32. Nella forza … sicurezza: è la verità che rappresenta il realismo politico; chi vuole mantenere il potere deve esercitare
la forza.
33. se tu … erede: è qui l’errore più grave di Maria.
34. Volete … trappola!: Elisabetta crede che la supplica sia una
finzione.
Maria
Elisabetta
Maria
Elisabetta
Maria
Elisabetta
Maria
mentre sono ancora in vita, seduciate il mio popolo con le vostre arti da Armida35, e
irretiate36 la nobile gioventù del mio regno nei vostri lacci lascivi37; dovrò sopportare
che tutti si volgano al nuovo astro che sorge, mentre io…
Governa in pace! Rinuncio ad ogni mia pretesa su questo regno38. Ahimè, le ali del
mio spirito sono spezzate, la grandezza non mi attira più39. Ci sei riuscita: non sono
che l’ombra della Maria di un tempo. L’orgoglio del mio animo ha ceduto all’onta40
del lungo carcere… Hai raggiunto lo scopo, mi hai distrutto in piena fioritura41. Ma ora
poni fine al tormento, sorella! Dilla, la parola per la quale sei venuta, ché non posso
credere che tu sia qui di fronte alla tua vittima solo per beffarti di lei 42. Pronuncia
questa parola! Dimmi: «Sei libera, Maria! Hai provato la mia forza, ora venera la mia
grandezza d’animo». Dillo, e io riceverò vita e libertà come un dono dalle tue mani…
Una parola, e il passato è cancellato43. L’attendo, oh, non farmela aspettare troppo a
lungo! Guai a te se non la pronuncerai! Ché se non te ne andrai via da me come una
splendente divinità apportatrice di salvezza, sorella!, né per tutta questa terra ricca e
benedetta, né per tutte le terre che il mare circonda, vorrei mai star io davanti a te,
come tu ora davanti a me44!
Così vi riconoscete vinta, finalmente? Avete finito di tessere intrighi? Non ci sono assassini in agguato? Non ci sono più avventurieri che si addossino il triste compito di essere
vostri paladini45? Sì, è finita, Lady Maria, non sedurrete più nessuno. Il mondo ha altri
crucci. Non alletta nessuno la prospettiva di essere il vostro quarto marito, perché, mariti
o pretendenti, voi li uccidete tutti46!
(sussultando) Sorella! Sorella! Oh Dio, fa’ che possa trattenermi!
(la guarda a lungo con disprezzo e alterigia) Così, Lord Leicester, queste sarebbero le
seduzioni che nessun uomo può contemplare impunemente, con cui nessuna donna può
osare confrontarsi! Eh, certo… È una fama conquistata a buon mercato: non costa nulla
essere per tutti una bellezza, se si accetta di essere la bellezza di tutti47.
Questo è troppo!
(ridendo sprezzante) Ora mostrate il vostro vero viso, finora non era che una maschera.
(infiammata dall’ira, ma con dignità) Ho errato come errano gli esseri umani. Ero giovane, allora, e il potere mi seduceva. Ma non l’ho mai tenuto nascosto: ho sempre amato
la lealtà e sdegnato le false apparenze48. Il mondo conosce il peggio di me, ma io posso
dire: sono migliore della mia fama. Guai a te, invece, se un giorno alzerai il mantello
di onorabilità che ricopre le tue azioni e sotto il quale nascondi ipocritamente l’ardore
35. Armida: personaggio di un’opera di Torquato Tasso (15441595), simbolo di un amore libero privo di vincoli morali e orientato all’esaltazione dei sensi.
36. irretiate: sottomettiate con l’inganno, ammaliate.
37. la nobile … lascivi: si riferisce al fascino che Maria ha sui
giovani; Maria Stuarda aveva avuto molti amanti.
38. Governa … regno: Maria rinuncia definitivamente alle pretese
sul trono.
39. la grandezza … più: la politica non l’attira più.
40. onta: offesa, vergogna.
41. Hai raggiunto … fioritura: queste parole rappresentano indubbiamente un grosso atto di sottomissione.
42. Dilla … beffarti di lei: Maria non crede ancora alla crudeltà
di Elisabetta.
43. Una parola … cancellato: Maria ha scelto da che parte stare,
vuol mettere fine a una storia di intrighi e violenze.
44. L’attendo … davanti a me!: da notare l’abilità retorica di
Maria, che tenta disperatamente di trasformare la rivale in un angelo, in modo da non considerarla per sempre un diavolo.
45. Così vi riconoscete … paladini?: Elisabetta continua a beffarsi
di Maria.
46. Non alletta … tutti!: ecco sferrato il colpo decisivo: l’accusa, al tempo stesso, di adulterio e di assassinio. Pare infatti
che Maria non sia stata del tutto estranea all’assassinio di suo
marito (lord Darnely), perpetrato dal suo amante (il conte di
Bothwell).
47. Eh … di tutti: l’infierire di Elisabetta è davvero gratuito,
ma giustificato: la regina vuole distruggere la rivale agli occhi
dell’amato Leicester.
48. Ho errato … apparenze: Maria riacquista qui tutta la sua dignità.
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Shrewsbury
Maria
Shrewsbury
Leicester
Maria
sfrenato di passioni clandestine49! Non è certo l’onore l’eredità di tua madre: tutti sanno
per quali virtù Anna Bolena50 salì il patibolo!
(s’intromette tra le due regine) Dio del cielo! A questo punto si doveva arrivare! È questo la moderazione, l’umiltà, Lady Maria51?
Moderazione! Umiltà! Ho sopportato tutto quello che un essere umano può sopportare52.
Ora vattene, calma pecorile, torna al cielo, paziente sopportazione, spezza finalmente i
vincoli che ti trattengono, vieni fuori dal tuo nascondiglio, ira troppo a lungo repressa…
Tu, che desti al basilisco infuriato lo sguardo che uccide53, concedi alla mia lingua la
freccia avvelenata…
È fuori di sé! Perdona le sue smanie, è stata provocata!
(tenta agitatissimo di condur via Elisabetta) Non ascoltarla, è fuor di senno! Via, via da
questo luogo infausto!
Il trono d’Inghilterra è sconsacrato da una bastarda54, il nobile popolo inglese ingannato
da un’astuta ciarlatana! Se regnasse giustizia saresti tu ora davanti a me nella polvere,
perché io sono la tua regina.
Elisabetta esce in fretta55. I lords la seguono coi segni del più profondo sgomento.
[Trad. di M. D. Ponti]
49. Guai a te … clandestine: Elisabetta ha accusato Maria di lascivia, ma anche lei nasconde amori illeciti.
50. Anna Bolena: cortigiana amante di Enrico VIII, il padre di
Elisabetta.
51. Dio … Maria?: a parlare è Shrewsbury, uomo della corte di Elisabetta, d’accordo con Leicester nell’organizzazione dell’incontro.
52. Ho sopportato … sopportare: ormai l’umiliazione è troppo
forte: la scena si capovolge.
53. basilisco … uccide: nella mitologia medievale il basilisco era
un mostro terrificante che uccideva con lo sguardo.
54. bastarda: Elisabetta era chiamata dai cattolici bastarda, perché non nata da un matrimonio consacrato; era infatti figlia di
Enrico VIII e Anna Bolena.
55. Elisabetta esce in fretta: vincitrice o vinta?
Leggere e interpretare
L’incontro tra Elisabetta e Maria, che Schiller ci propone nel terzo attou, a circa metà della
tragediau, nella realtà storica non è mai avvenuto. È un episodio inventato dallo scrittore
come culmine drammatico della storia. Elisabetta è stata condotta con uno stratagemma
al luogo in cui Maria è tenuta prigioniera: il nobile Leicester, favorito della regina, ma segretamente innamorato della bella Maria, vuole indurla a un atto pietoso. Per tutte e due le
donne è molto difficile sostenere un confronto diretto.
Maria fa appello a tutte le sue forze per mettere da parte l’orgoglio, anche se si accorge al primo
sguardo di trovarsi di fronte a una donna senza cuore. Tutta la scenau è costruita come un combattimento: all’inizio Maria è sulla difensiva, cerca parole che non feriscano l’avversaria, che chiama
sorella per sottolineare il legame di sangue che le unisce. Elisabetta, tratta forse in inganno dall’atteggiamento sottomesso di Maria, ne approfitta per attaccare: le sue parole sono sempre più sferzanti
e non concedono davvero nulla all’avversaria; la sovrana sembra acquietarsi solo quando Maria si
dice vinta e disposta a rinunciare al trono, non più attirata dalla grandezza politica. Nemmeno con la
dichiarazione di sconfitta e dopo l’ennesima richiesta di conciliazione, però, la regina si sente appagata e passa addirittura agli insulti. La situazione allora si capovolge, l’ira di Maria rimonta e le sue
parole, estremamente dignitose, rivendicano la sua sincerità e smascherano l’ipocrisia di Elisabetta,
che non è più sorella, ma bastarda e ciarlatana.
L’incontroscontro tra
Elisabetta
e Maria
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Schiller mantiene la tensione costantemente alta. Lo spettatore sa che dal colloquio dipende la sorte di Maria, ma in un certo qual modo anche quella di Elisabetta: si dimostrerà
clemente, quindi vera regina, o abuserà del suo potere? Dunque si può ben dire che questa
scena è il culmine del dramma.
I due personaggi principali sono qui colti nella loro forza e nella loro abilità oratoria, che
rispecchia le differenze del loro carattere: Maria non si vergogna di svelare la sua paura e
le sue debolezze, mentre Elisabetta è meschina nei suoi discorsi e mantiene un atteggiamento
beffardo e di superiorità; Maria si sforza di essere conciliante e invoca dalla regina un atto di
pietà, Elisabetta al contrario dà sfogo alla sua aggressività verbale. Poi gli atteggiamenti si capovolgono, Maria si riappropria del suo orgoglio e della sua dignità, diremmo squisitamente femminile, ed Elisabetta deve andar via in fretta. Attraverso l’espediente scenico del capovolgimento,
che avviene sempre al culmine di un’azione e la rende più tragica, Schiller risolve il conflitto tra le
due protagoniste e ci suggerisce la sua tesi, secondo cui l’eroe è puro e nobile, mentre chi vuole
occuparsi di politica deve per forza risultare impuro, rinunciando all’integrità morale.
Alla fine dell’incontro le due donne raggiungono ognuna uno scopo, una sul piano umano, l’altra
su quello politico.
Il
“capovolgimento”
finale
9