Lo sconosciuto del lago - Nuovo Cineforum Rovereto

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Lo sconosciuto del lago - Nuovo Cineforum Rovereto
mercoledì 5 novembre 2014
Lo sconosciuto del lago
Alain Guiraudie, Francia 2013, 97’
L’ossessione scopica corteggia
quella erotica (ma poi, non
sono la stessa cosa?), la seduce e la possiede. Carnalmente,
passionalmente. Come in un
film di Hitchcock d’ambientazione queer, nella splendida
opera di Guiraudie guardare
è desiderare, e assistere a un
omicidio intorbida di thanatos
le acque dell’eros. Noir alla
luce del sole, irrorato di sesso
e di ironia, Lo sconosciuto del
lago è racchiuso interamente
nell’unità di luogo lacustre del
titolo: solo un parcheggio e
una spiaggia. Entrambi giocati
sull’alternanza di pieno e vuoto: lo spiazzo delle automobili,
spesso ripreso dall’alto, funge
da beffardo schema delle presenze (chi arriva, chi parte,
chi è morto e dunque resta in
sosta indeterminata); la riva del
lago, popolata quotidianamente da una variegata (per età e
prestanza fisica) comunità di
omosessuali, ogni pomeriggio
si svuota quando l’attività di
abbordaggio si sposta nella
circostante boscaglia, dove l’amore gay è filmato nella sua interezza. Franck, frequentatore
abituale del lago da rimorchio,
s’invaghisce di un coetaneo
dalle adoniche fattezze di un
Tom Selleck francese, che purtroppo fa coppia fissa con un
altro uomo. Poco male, visto
che il compagno sparisce tra i
flutti, sotto gli occhi attoniti di
Franck, che ha così via libera
per il pericolosissimo oggetto
del suo desiderio. In un gioco
vertiginoso di sguardi, a osservare l’osservatore c’è il malinconico Henri, apparentemente
l’unico etero della spiaggia:
ancorato al suo angolo non
rimorchia, non fa il bagno, ha
perso di recente la donna della
sua vita e allaccia con Franck
un’amicizia fatta di conversazioni a cuore aperto, dialoghi
puntuti che sembrano gli “a
parte” a corredo dell’azione
che si svolge sul proscenio del
lago. Vincitore del premio per
la regia del Certain regard e
della Queer Palm a Cannes
2013, Guiraudie dirige un film
compatto e irresistibile, dove
il thriller prende a braccetto la
commedia nera e le carte del
giallo sono scoperte come i
genitali dei protagonisti: le lunghe inquadrature fisse si piazzano ad altezza di membro,
si lasciano lambire dai corpi
abbronzati e invadere dalle
eiaculazioni. Il regista esplicita
al cubo la natura di voyeur di
noi spettatori: ci incastra nel
ruolo di guardoni dei guardoni,
e ci dimostra, con un teorema
sorridente e ineccepibile, che
quel ruolo ci piace da morire.
Letteralmente.
Ilaria Feole, FilmTv
Un miracolo. Alain Guiraudie
fa ciò che non ha mai fatto nessuno, né Bruce LaBruce né Pasolini, e che soltanto il porno (e
forse la serie tv Queer as Folk)
talvolta – non sempre – è riuscito a fare. Guiraudie, finalmente
libero da ogni francesismo di riporto, slitta dal minimo comune
denominatore, guarda alla matrice, e celebra la vita da vivere
e la libertà più libera. Nessun
film queer ha mai operato una
tale iperstimolazione teorica
con indipendenza e autodeterminazione così definitive.
Queer: ovvero scivolare dal
dato, sfuggire all’omologazione dei sessi e delle risposte,
rifiutare il previsto. Lo sconosciuto del lago è il film gay
che non c’è mai stato, il queer
come sola ragione valida, presupposto d’esistenza. Un film
di corpi e di sessi, d’accordo, ma soprattutto un film che
hitchcockianamente
insegue
la vittoria della bontà di qualsiasi sguardo e gusto. Come
Hitchcock inventava complotti,
spie e assassini per lasciare
che l’innocenza e la purezza
avessero infine la meglio, così
Guiraudie inventa un maniaco
che, nei pressi di un laghetto e
del boschetto adiacente, uccide i suoi partner e poi sbrocca
quando si sente in trappola: lo
scopo è il medesimo, accompagnare protagonisti e spettatori attraverso il pericolo e il
sangue e verso la (ri)conquista
dell’autonomia e della serenità.
E come sempre nel cinema di
Hitchcock, vedere (magari in
campo lungo) significa capire,
anche quando nessuno vede e
capisce con te. Cioè: avere la
soluzione del mistero in mano,
ma non riuscire a farne niente.
E sapete perché? Perché del
male ci si può anche innamorare. Serve a riconoscerlo, a
metterlo in un angolo, a sconfiggerlo.
Lo sconosciuto del lago è veramente un mystery del gender,
un giallo queer come nessuno
s’è mai sognato di pensare, sul
battere percorsi non omologati
e sul battere come forma d’identità tutt’altro che misera. Come
lo erano le dark room, come lo
erano i glory hole, però mai in
maniera così solare, open air,
deproblematicizzata, antispettacolare, antisensazionalistica,
detematizzata. Tanto che la
teoria queer, fortissima e apparentemente prepotente, si apre
per parlare a tutti, tutti i sessi e
tutti i gender, al di là del gusto
e per tutti i gusti. La minaccia di
morte è talmente inebriante che
non si può resisterle, e proprio
per questo è utile a riscoprire un
sé diverso, più intraprendente e
meno schiavo, meno soggiogato dalle catene della colpa.
La suspense, come ben sapeva
Hitchcock, è anche una questione di erotismo. La pelle, la
carne, l’odore e le dimensioni e
la bellezza dell’altro, sono una
pratica anche dello sguardo, e
il battuage, che dello sguardo
è elaborazione primaria, diventa l’esercizio senza vincoli
e senza etichetta dell’uomo in
quanto persona. Prima e più di
tutto il resto.
Pier Maria Bocchi,
cineforumweb