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A cura di:
Roberto Cannavò
Noemi Turino.
Un tè da matti.
Illustrazione di Lewis Carrol.
Alice sospirò stancamente «Credo che potreste impiegare
meglio il vostro tempo» disse; «esso non andrebbe
sprecato ponendo indovinelli che non hanno risposta». «Se
conoscessi il Tempo come lo conosco io» disse il Cappellaio
«non parleresti di sprecare esso bensì lui». «Non capisco
cosa intenda dire» disse Alice. «Certo che no!» disse il
Cappellaio scuotendo la testa sprezzantemente «Presumo
che col tempo tu non ci abbia mai neppure parlato!». «Forse
no» ribatté Alice prudentemente «ma so che devo battere il tempo quando studio musica».«Ah!Così si
spiega» disse il Cappellaio «Egli non sopporta di essere battuto. Ora, se
soltanto ti riuscisse di
mantenerti in buoni termini con lui, egli ti farebbe quasi tutto ciò che ti va con l’orologio. Per esempio,
supponi che siano le nove del mattino, esattamente l’ora di inizio delle lezioni; non avresti che da
accennarne con un sussurro al Tempo, e via che corre l’orologio!La mezza dopo il tocco, ora di pranzo!»
[...] «Grandioso, certamente» disse Alice, meditabonda «ma allora…potrei non avere fame, ecco». «Non
da principio, forse» disse il Cappellaio «ma potresti far durare il tocco e mezzo finché ti va». «E’ così
che fate voi?»chiese Alice. Il Cappellaio scosse il capo tristemente «Io no!» rispose «Abbiamo litigato lo
scorso marzo…proprio prima che lei ammattisse, sai…»
(indicò col cucchiaino la Lepre Marzola),« …accadde al
grande concerto dato dalla Regina di Cuori, e io dovevo
cantare. [...] Ebbene, avevo appena finito la prima
strofa» disse il Cappellaio, «allorché la Regina gridò a
squarciagola
“Sta
assassinando
il
Tempo!Via
la
testa!”».«Che spaventosa ferocia!» esclamò Alice. «E da
allora» proseguì il Cappellaio in tono lugubre «lui non fa
più una sola cosa di quel che gli si chiede!Sono sempre le
sei del pomeriggio adesso». Un’idea illuminò il cervello di
Alice «E’ per questo che c’è tutta questa apparecchiatura
per il tè?» domandò. «Si, è per questo» disse il Cappellaio
con un sospiro «è sempre l’ora del tè, e non abbiamo il
tempo di rigovernare di tanto in tanto».
Brano tratto da:
Dal fumetto “Angel Sanctuary”, di Kaori
“Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie”, di Lewis Carrol.Traduzione di Alessandro Ceni.
Accompagnamento musicale: “Le jours tristes”e “Le valse d’Amelie”di Yann Tiersen.
Il piccolo principe e la volpe.
«La mia vita è monotona. Io do la caccia alle galline, e gli
uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano,
e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio perciò. Ma
se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata.
Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli
altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo
mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi,
guarda!Vedi, laggiù in fondo, dei campi di grano?Io non mangio il pane e il grano, per me, è inutile. I
campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste!Ma tu hai dei capelli color dell’oro. Allora sarà
meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il
rumore del vento nel grano…». La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe: «Per favore,
addomesticami…»disse. «Volentieri»rispose il piccolo principe «ma non ho molto tempo, però. Ho da
scoprire degli amici, e da conoscere molte cose». «Non si conoscono che le cose che si
addomesticano»disse la volpe «gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai
mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se
tu vuoi un amico addomesticami!». «Che bisogna fare?»domandò il piccolo principe. «Bisogna essere
molto pazienti»rispose la volpe. «In principio tu ti siederai un po’ lontano da me, così, nell’erba. Io ti
guarderò con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni
giorno tu potrai sederti un po’ più vicino…». Il piccolo principe ritornò l’indomani. «Sarebbe stato meglio
ritornare alla stessa ora» disse la volpe «Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle
tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le
quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità!Ma se tu vieni non si
sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore… Ci vogliono i riti». «Che cos’è un rito?»disse il
piccolo principe. «Anche questa è una cosa da tempo dimenticata»disse la volpe «E’ quello che fa un
giorno diverso dagli altri giorni, un’ora dalle altre ore. C’è un rito, per esempio, presso i miei cacciatori. Il
giovedì ballano con le ragazze del villaggio. Allora il giovedì è un giorno meraviglioso!Io mi spingo sino
alla vigna. Se i cacciatori ballassero in un giorno qualsiasi, i giorni si
somiglierebbero tutti, e non avrei mai vacanza». Così il piccolo
principe addomesticò la volpe. E quando l’ora della partenza fu
vicina: «Ah!»disse la volpe «…piangerò». «La colpa è tua»disse il
piccolo principe «Io, non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che
ti addomesticassi…». «E’ vero»disse la volpe. «Ma piangerai!»disse
il piccolo principe. «E’ certo»disse la volpe. «Ma allora che ci
guadagni?». «Ci guadagno»disse la volpe «il colore del grano».
Illustrazioni di Antoine de Saint-Exupéry.
Brano tratto da:“Il piccolo principe” di Antoine de Saint- Exupery. (Traduzione di Nini Bompiani Bregoli).
Accompagnamento musicale: “Be still my soul” e “ First waltz”, di Craig Armstrong.
Il Tempo che fuggì.
«La bestia è fuggita!»esclamò il signor Convenzione, entrando di scatto nell’ufficio del direttore, con il
volto arrossato e il respiro affannoso dopo la lunga corsa «Sono entrato nella sua gabbia, e…
svanita!Dissolta!...non c’è!». Il direttore si alzò di scatto, e la sua espressione terrorizzata riuscì ad
esprimere la gravità della situazione meglio di molte parole. Percorsero di corsa il lungo corridoio, in
silenzio, tacitamente d’accordo che quell’evento non aveva bisogno di essere commentato. Ma la loro
velocità non cambiò la disastrosa situazione: la Gabbia Orologio era vuota…la terribile bestia, dopo
secoli di prigionia, era riuscita a scappare! «Il tempo…è fuggito»sussurrò il signor Convenzione, che da
millenni lo custodiva e lo addestrava con le sue regole. Il direttore sospirò «Il tempo è fuggito…»ripeté,
come per capacitarsene «Ora farà scorrere le cose come più gli và…». Il signor Convenzione riuscì appena
a imbracciare un fucile, pronto ad andare a caccia del Tempo, prima di accorgersi che il suo corpo si
muoveva ad una lentezza insolita, mentre il direttore si muoveva da un lato all’altro della stanza,
senza sosta, a velocità raddoppiata, triplicata, quadruplicata, centuplicata!Firmava scartoffie, leggeva
documenti, digitava sul computer, telefonava, scriveva, camminava, correva…il caos totale delle
azioni!Lui invece riusciva appena a percorrere pochi passi in un tempo che gli sembrava davvero
interminabile, e per quanto si sforzasse non riusciva a raggiungere la porta. Dopo un po’ di tempo –ma
quanto?Chi poteva dirlo se adesso la bestia era libera, e non obbediva ad alcuna regola? – tutto
cominciò ad andare più veloce, per il signor Convenzione:aveva l’impressione che ogni istante gli
scivolasse addosso come una goccia di pioggia, che ogni attimo fluisse veloce e inafferrabile, che
potesse percorrere lunghissimi spazi in brevissimi istanti… Ebbro di questo nuovo potere, di questa
insolita velocità, di questo modo diverso di vivere il tempo………………………………………………………………
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Particolare da: “Orologi molli”, di Salvador Dalì.
Il tempo e J. W. Dunne.
Nel numero 63 di Sur (dicembre 1939) pubblicai una
preistoria, una prima storia rudimentale, della regressione
infinita. Non tutte le omissioni di quell’abbozzo erano
involontarie: deliberatamente tralasciai di menzionare J. W.
Dunne, che ha ricavato dall’interminabile regressus una
dottrina piuttosto sorprendente del soggetto e del
tempo. La discussione (la mera esposizione) della sua tesi
avrebbe superato i limiti di quella nota. La sua complessità
esigeva un articolo a sé: che ora tenterò. A scriverlo mi
stimola l’esame dell’ultimo libro di Dunne – Nothing dies (1940, Faber and Faber) – che ripete o riassume gli
argomenti dei tre precedenti. L’unico argomento, per meglio dire. Il suo meccanismo non ha nulla di nuovo; ciò che
è quasi scandaloso, insolito, sono le illazioni dell’autore. Prima di commentarle, annoto alcune antecedenti
incarnazioni delle premesse. Il settimo dei molti sistemi filosofici dell’India che Paul Deussen registra, nega che l’io
possa essere oggetto immediato della conoscenza, “perché se la nostra anima fosse conoscibile, occorrerebbe
una seconda anima per conoscere la prima e una terza per conoscere la seconda”. Gli indiani non hanno senso
storico (vale a dire: perversamente preferiscono lo studio delle idee a quello dei nomi e delle date dei filosofi),
ma sappiamo che quella negazione radicale dell’introspezione è vecchia di circa otto secoli. Intorno al 1843,
Schopenhauer la riscopre. “Il soggetto conoscente,”ripete, “non è conosciuto come tale, perché sarebbe oggetto
di conoscenza da parte di un altro soggetto conoscente” (Welt als Wille und Vorstellung, vol. II, c. XIX). Anche
Herbart giocò con codesta moltiplicazione ontologica. Prima di compire vent’anni aveva affermato che l’io è
inevitabilmente infinito, giacché il fatto di conoscere se stessi, postula un altro io, che conosce anche esso se
stesso, e codesto io postula a sua volta un altro io (Deussen, Die neutre Philosophie, 1920, p.367). Adornato
da aneddoti, parabole, ironia di buona lega e diagrammi, tale argomento informa i trattati di Dunne. Questi
(An experiment with time, c. XXII) sostiene che un soggetto cosciente non solo è cosciente di ciò che osserva ma
di un soggetto A che osserva e, pertanto, di un altro soggetto B che è cosciente di A e, pertanto, di un altro
soggetto C cosciente di B… Non senza mistero aggiunge che quegli innumerevoli soggetti interiori non entrano
nelle tre dimensioni dello spazio ma entrano nelle non meno innumerevoli dimensioni del tempo. Prima di chiarire
questo chiarimento, invito il mio lettore a ripensare ciò che è detto in questo paragrafo. Huxley, buon erede dei
nominalisti britannici, sostiene che c’è solo una differenza verbale tra il fatto di percepire un dolore e il fatto di
sapere che lo si percepisce, e si burla dei metafisici puri, i quali distinguono in ogni sensazione “un soggetto
sensibile, un oggetto sensigeno e questo personaggio imperioso: l’Io” (Essays, vol. VI, p. 87). Gustav Spiller (The
mind of man ,1902) ammette che la coscienza del dolore e il dolore sono due fatti distinti, ma li considera
altrettanto comprensibili che la simultanea percezione di una voce e di un volto. La sua opinione mi sembra
valida. Quanto alla coscienza della coscienza, che Dunne invoca per installare in ogni individuo una vertiginosa e
nebulosa gerarchia di soggetti, preferisco supporre che si tratti di stadi successivi (o immaginari) del soggetto
iniziale. “Se lo spirito” ha detto Leibniz “dovesse ripensare il passato, basterebbe percepire un sentimento per
pensare ad esso e per pensare poi al pensiero e poi al pensiero del pensiero, e così, all’infinito”. (Nouveaux
essais sur l’entendement humain, lib. II, c. 1). Il procedimento ideato da Dunne per l’acquisizione immediata di un
numero infinito di tempi è meno convincente e più ingegnoso. Come
Jaun de Mena nel suo Labyrintho, come Uspenski nel Tertium
Particolare da: “Orologi molli”, di Salvador Dalì.
Organum, afferma che già esiste il futuro, con le sue vicissitudini e in
tutti i suoi particolari. Verso questo futuro preesistente (o dal futuro
preesistente, come vuole Bradley) scorre il fiume assoluto del tempo
cosmico, o i fiumi mortali delle nostre vite. Codesto trascorrere, codesto
fluire, esige come tutti i moti un tempo determinato; avremo,
pertanto, un secondo tempo perché trascorra il primo; un terzo perché
trascorra il secondo, e così all’infinito…Tale la macchina proposta da
Dunne. In quei tempi ipotetici o illusori abitano interminabilmente i
soggetti impercettibili che moltiplica l’altro regressus. Non so che cosa
penserà il mio lettore. Non pretendo di sapere cosa è il tempo (e neppure se è una “cosa”), ma intuisco che il
corso del tempo e il tempo sono un solo mistero e non due. Dunne, sospetto, commette un errore simile a quello
dei poeti distratti che parlano (per esempio) della luna che mostra il suo rosso disco, sostituendo così a
un’indivisa immagine visuale un soggetto, un verbo e un complemento, che non è altra cosa che lo stesso
soggetto, appena mascherato…Dunne è una vittima illustre della cattiva abitudine intellettuale che Bergson
denunciò: concepire il tempo come una quarta dimensione dello spazio. Postula che già esiste il futuro e che
dobbiamo trasferirci in esso, ma il postulato basta per convertirlo in spazio e per postulare un secondo tempo
(concepito anch’esso sotto forma spaziale, in forma di linea o di fiume) e poi un terzo e un milionesimo. Tutti e
quattro i libri di Dunne propongono infinite dimensioni di tempo, ma tali dimensioni sono spaziali. Il tempo vero,
per Dunne, è l’irraggiungibile termine ultimo di una serie infinita. Che ragioni ci sono per affermare che già esiste
il futuro?Dunne ne dà due: una, i sogni premonitori; l’altra, la relativa semplicità che procura tale ipotesi
agl’inestricabili diagrammi che sono tipici del suo stile. Vuole anche, così, eludere i problemi di una creazione
continua… I teologi definiscono l’eternità come il simultaneo e lucido possesso di tutti gl’istanti del tempo e la
dichiarano uno degli attributi divini. Dunne, in modo sorprendente, suppone che l’eternità sia già nostra e che i
sogni notturni la confermino. In essi, secondo lui, confluiscono il passato immediato e l’immediato futuro. Nella
veglia percorriamo a una velocità uniforme il tempo successivo; nel sogno abbracciamo un’estensione che può
essere vastissima. Sognare è coordinare le visioni di tale contemplazione e intessere con essa una storia, o una
serie di storie. Vediamo l’immagine di una sfinge e quella di una droga e inventiamo che una droga si muta in
sfinge. All’uomo che domani conosceremo diamo la bocca di un volto che ci ha guardati la notte scorsa…
(Schopenhauer già scrisse che la vita e i sogni erano fogli di uno stesso libro, e che leggerli in ordine è vivere;
sfogliarli a caso, sognare). Dunne assicura che nella morte apprenderemo l’uso felice dell’eternità. Riavremo tutti
gli istanti della nostra vita e li combineremo a nostro piacimento. Dio, i nostri amici, Shakespeare, collaboreranno
con noi. Di fronte a una tesi così bella, qualsiasi errore commesso dall’autore appare trascurabile.
Da “Altre inquisizioni”, di Jorge Luis Borges. Traduzione di Francesco Tentori Montalto.
Accompagnamento musicale: “An open window” di Steve Hackett.
Brani Musicali della serata:
“An open window”- Steve Hackett.
“Be still my soul” - Craig Armstrong.
“Comptine d’un autre ètè”- Wann Tiersen.
“Finally we are no one” - Mum.
“First Waltz” - Craig Armstrong.
“Hymn tre”-Craig Armstrong.
“In the sun”- Joseph Arthur.
“I was made to love you” – Polly Paulusma.
“Le jours tristes” - Wann Tiersen.
“La valse d’Amelie” - Wann Tiersen.
“La valse d’Amelie (Version piano)” - Wann Tiersen.
“Mad world” - Gary Jules.
“Mesmer” - Cousteau.
“The moon is down” - Explotion in the sky.
“Times like these” - Jack Johnson.
Questo dipinto è “Moments Musicaux”, di Renè Magritte, del 1961-