Il paziente con grave cerebrolesione

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Il paziente con grave cerebrolesione
Il paziente
con grave
cerebrolesione
Guida per le famiglie
I QUADERNI della Fondazione Don Gnocchi
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Indice
«Condividere la sofferenza
è il primo passo terapeutico»
Don Carlo Gnocchi
Dal curare al prendersi cura
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Le sindromi neurologiche
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Che cosa può fare la famiglia
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La comunicazione tra la famiglia e gli operatori
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Il ruolo dei famigliari nel programma terapeutico
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Elementi di educazione sanitaria
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La rete tra i Centri della Fondazione Don Gnocchi
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(da un discorso ai medici, 1954)
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Dal curare
al prendersi cura
«Non esistono malattie, ma malati, cioè un dato modo di ammalarsi proprio di ciascuno e corrispondente alla sua profonda
individualità somatica, umorale e psicologica. La grande abilità
del medico è quella di riuscire a comprendere, o meglio a intuire, la personalità fisiologica di ciascun paziente».
Negli anni Cinquanta del secolo scorso don Carlo Gnocchi - oggi beato - aveva intravisto e denunciato con queste parole la possibile deriva della professione sanitaria. Un’affermazione che ben sottolinea la
sua concezione antropologica, protesa a considerare ciascun paziente
come un “unicum”, “una parola detta da Dio una volta sola, per sempre”, che necessita perciò di una cura costante e sempre rinnovata, in
funzione delle sue tappe di guarigione e di recupero.
Un modo di considerare l’uomo e il servizio sociosanitario che esige
un impegno terapeutico a tutto campo e l’elaborazione di un sapere
non univoco e non parcellizzato, messo a disposizione di tutti per la
difesa e la promozione della vita, sempre e comunque. Una sollecitudine per il malato che investe anche le buone relazioni che devono
intercorrere tra operatore sanitario e paziente, affinché la cura riesca
efficace e l’unità della persona ne esca rafforzata.
Lo “stile don Gnocchi” passa attraverso questa modalità di cura e
di compartecipazione con i mondi vitali dei pazienti, primo fra tutti
quello familiare.
La famiglia infatti è il luogo costitutivo della nostra appartenenza, sta
al centro della vita sociale e fa consistere la nostra identità personale.
Benessere e malessere del singolo sono spesso riconducibili al vissuto
familiare ed è altresì il contesto più appropriato per dire una parola
forte, decisiva sul senso del nostro vivere, gioire, soffrire.
Intervenire su di essa costituisce il primo e fondamentale atto del
prendersi cura delle persone, soprattutto se sofferenti o in condizioni
di bisogno.
Da ciò questa piccola, ma pregevole, guida per le famiglie, finalizzata
alla gestione di persone affette da gravi cerebrolesioni. Un opuscolo che è un significativo e concreto segno di questo mandato eticometodologico, che il beato don Gnocchi ha trasmesso alla sua Opera
come lascito testamentario e come invito a rendere la prossimità un
gesto concreto e quotidiano, dove la regola è il dono, l’eccedenza che
oltrepassa il merito.
Ringrazio gli operatori che hanno steso questo prezioso sussidio, che
ha la ricchezza di un’informazione scientifica essenziale e il calore di
chi si sente partecipe della sofferenza dei nostri malati, veri templi di
vita e nostre reliquie.
Mons. Angelo Bazzari
Presidente Fondazione Don Gnocchi
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Introduzione
L’Unità per le Gravi Cerebrolesioni Acquisite (GCA) è un reparto
di riabilitazione speciale, in cui vengono accolti pazienti che hanno subito gravi lesioni cerebrali: traumi cranici, emorragie cerebrali, infarti
cerebrali o anossie da arresto cardiaco o annegamento… Tali condizioni determinano un periodo di coma più o meno protratto, con
permanenza in strutture di rianimazione.
Quando il paziente riprende a respirare autonomamente può essere
trasferito in reparti per gravi cerebrolesioni acquisite. Il risveglio dal
coma non è mai immediato. Con l’apertura degli occhi termina lo
stato di coma, ma il paziente non è ancora in contatto con l’ambiente
esterno e le persone a lui vicine.
Per un periodo - che può essere breve o prolungato - il paziente rimane in una condizione che viene definita Stato Vegetativo. La maggior parte dei pazienti riprende successivamente contatto con l’ambiente e riprende a rispondere agli stimoli.
Da questo momento inizia un lento cammino di recupero sia motorio
che cognitivo, che coincide con la fase riabilitativa e che potrà durare
qualche mese o anche qualche anno.
Il lavoro dei riabilitatori (medici, infermieri, operatori assistenziali, fisioterapisti, logopedisti, psicologi, terapisti occupazionali…) serve a
favorire il massimo recupero possibile dei numerosi disturbi provocati dalla cerebrolesione.
La presenza dei famigliari nei reparti per Gravi Cerebrolesioni Acquisite è una risorsa fondamentale quando si integra armoniosamente con il lavoro riabilitativo. Per questo motivo abbiamo ritenuto utile
dedicare alle famiglie questo prezioso opuscolo, nel quale abbiamo
riassunto informazioni, consigli e suggerimenti utili per continuare
l’impegnativo percorso di riabilitazione e recupero per il proprio caro,
avviato e condiviso in reparto.
L’équipe
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Il paziente con grave
cerebrolesione
Le sindromi
neurologiche
Lo Stato di Minima Coscienza
Il paziente che giunge in un reparto per Gravi Cerebrolesioni Acquisite (GCA) è un paziente estremamente fragile, che continua a
presentare una notevole complessità clinica. Al danno neurologico
si associano quasi sempre molteplici complicanze che uno stato di
coma prolungato porta inevitabilmente con sé: infezioni, malnutrizione, immunodepressione, danni da immobilità. Sono tutte condizioni
di comune riscontro nei pazienti con GCA, a volte talmente gravi da
metterne a rischio la stessa sopravvivenza.
Per tale motivo nei primi giorni di ricovero il paziente verrà sottoposto
a una serie di valutazioni cliniche e strumentali i cui risultati saranno
discussi in équipe per pianificare la migliore strategia clinico-riabilitativa e le più efficaci terapie da adottare.
Lo Stato Vegetativo
Lo stato vegetativo è una delle possibili evoluzioni cliniche di una condizione di coma, divenuta di più frequente riscontro grazie ai miglioramenti delle tecniche rianimatorie e di terapia intensiva che
consentono a molte più persone di sopravvivere a danni cerebrali anche molto gravi. Il paziente in stato vegetativo, pur
avendo gli occhi aperti, non è cosciente, cioè non ha consapevolezza di sé, nè dell’ambiente che lo circonda, perché
tutte le funzioni mentali più elevate - pensiero, percezione,
comprensione - sono assenti. Sono invece conservate molte
funzioni riflesse, come ad esempio l’atto di ingoiare o di tossire in risposta a stimoli irritanti
Lo stato vegetativo può rappresentare un fase di passaggio
verso un miglioramento ulteriore, come può divenire una
condizione stabile e duratura senza ulteriori progressioni
favorevoli. L’uscita da uno stato vegetativo - quando si realizza - è un processo graduale e più o meno completo, al termine del
quale il paziente potrà presentare esiti di gravità variabile.
È difficile stabilire sin dall’inizio quale sarà il futuro di un paziente in
stato vegetativo. Ciascuno ha una storia a sé; tuttavia qualche generalizzazione può essere fatta, ammettendo maggiori possibilità di
miglioramento per i pazienti giovani e con danno cerebrale da causa
traumatica.
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Lo stato di minima coscienza è una condizione nella quale il paziente - sia pure in maniera incostante - mostra la presenza di un’intenzionalità, di una volontarietà nel proprio modo di relazionarsi con
l’ambiente. Le persone che si trovano in stato di minima coscienza
dimostrano comportamenti (verbali, gestuali, motori) distinguibili dai
comportamenti “riflessi”:
• il paziente può volgere lo sguardo verso una sorgente sonora e
fissarla;
• può seguire con lo sguardo un oggetto o una persona che si muove
nella stanza;
• può mostrare comportamenti appropriati alla situazione (ad esempio, sorridere in risposta ad una frase cortese); può produrre delle risposte gestuali (come accennare ad un “no” o ad un “sì” con il capo).
Tali comportamenti sono tuttavia minimi e non costanti, sono prodotti
in modo discontinuo o con grande ritardo rispetto allo stimolo che li
ha provocati. Tutto questo impone attenzione e cautela nell’attribuire
loro un significato certo di intenzionalità.
Anche lo stato di minima coscienza, come lo stato vegetativo, può
trasformarsi in una condizione permanente. In altre parole, lo stato
di minima coscienza può rappresentare il massimo livello di miglioramento raggiungibile da un paziente. In altri casi, invece, il paziente
può mostrare una lenta evoluzione verso un maggior grado di recupero delle funzioni neurologiche.
Nei casi ad evoluzione più favorevole, lo stato di minima coscienza,
rappresenta invece una fase transitoria del percorso di recupero del
paziente con grave cerebrolesione.
I pazienti che hanno recuperato completamente vigilanza e coscienza possono tuttavia
presentare una compromissione delle proprie
funzioni mentali. Questi deficit generano
molta ansia nei famigliari: essi notano cambiamenti nel modo di essere e di agire del loro
caro rispetto ai quali non sanno quale sia il
miglior atteggiamento da adottare. Davanti
a tali condizioni è importante condividere
questo disagio con i medici e lo psicologo
durante le riunioni e gli incontri individuali.
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Il paziente con grave
cerebrolesione
Che cosa può fare la famiglia?
L’amnesia globale
I disturbi della memoria in pazienti con grave cerebrolesione possono essere frequenti e gravi. Il paziente con amnesia globale è un paziente che dimentica gran parte degli accadimenti quotidiani, quanto
gli succede e gli viene detto; ha difficoltà ad apprendere nuove informazioni, come ad es. le notizie circa la sua malattia, nomi di medici
o infermieri, ubicazione di luoghi nuovi. Non ricordando, il paziente
risulta disorientato, non sa dove si trova o cosa gli è successo, non
percepisce lo scorrere del tempo, non ricorda
cosa gli viene detto, tende a ripetere spesso le
stesse domande non ricordando le risposte già
ricevute, ecc.
Il paziente fa fatica a ricordare eventi importanti della propria vita, come la nascita di un
figlio, la morte di un congiunto, conservando
solo sporadiche “isole” di ricordo. Come conseguenza di queste difficoltà il paziente tende
a costruire falsi ricordi mescolando elementi ricavati da fatti della propria vita o episodici, talvolta realmente accaduti, talvolta verosimili, talvolta inverosimili. Tale fenomeno viene detto
confabulazione: il paziente appare del tutto inconsapevole della non
veridicità delle proprie affermazioni.
Una domanda che costantemente viene rivolta dai famigliari dei pazienti in stato vegetativo o in stato di minima coscienza è: «Che cosa
possiamo fare? Come dobbiamo comportarci?».
Prima di fornire suggerimenti pratici, è utile riportare qualche considerazione di ordine teorico.
Non esiste al mondo un metodo riabilitativo, scientificamente
riconosciuto, in grado di ripristinare la “coscienza” in chi l’abbia
perduta. Molte delle terapie che si adottano in situazioni simili, più
che dai risultati di rigorosi studi scientifici, sono suggerite dall’esperienza maturata negli anni da chi si è sempre occupato di pazienti in
tali condizioni.
Nel linguaggio comune si parla spesso di “risveglio”, finendo con il
far intendere a chi non ha cultura medica che l’assenza di coscienza
sia una specie di sonno, magari un sonno “più profondo”. Probabilmente da questo errore nasce la convinzione che più si stimoli il
paziente, più continue siano queste sollecitazioni, più è probabile che
lo stesso si svegli (pensiamo all’uso di audiocassette con musiche o
voci registrate; alle richieste insistenti e continue di esecuzione di piccoli comandi che i familiari rivolgono ai loro congiunti: «Guardami»;
«Girati»; «Stringimi la mano»…).
I disturbi comportamentali
I disturbi comportamentali, isolati o associati ai deficit di memoria, sono di frequente riscontro tra i pazienti con gravi cerebrolesioni
acquisite. Tale frequenza è giustificata dal fatto che le strutture
cerebrali deputate al controllo del comportamento (i lobi frontali) sono frequentemente compromesse.
Tali disturbi comportamentali possono assumere diverse connotazioni. A volte accade che il paziente mostri comportamenti
inadeguati “per eccesso”: è agitato, irrequieto, estremamente
impulsivo, irritabile, aggressivo, specie in reazione a situazioni
frustranti o richiedenti uno sforzo eccessivo.
Altre volte può manifestare disturbi del comportamento inadeguati “per difetto”: appare inerte, apatico, scarsamente motivato con
tendenza a dipendere da altri anche per le più comuni attività della
vita quotidiana, indifferente sia verso la propria condizione che verso
gli altri.
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cerebrolesione
Come ci si deve
comportare?
La parola d’ordine è: regolazione sensoriale.
Stimolazioni troppo intense e continue danno assuefazione: uno stimolo somministrato per troppo tempo finisce con il non esser più
percepito, risultando così inutile. Una stimolazione protratta troppo
a lungo non solo è inutile, ma anche dannosa: i pazienti possono
rispondere a sollecitazioni eccessive con reazioni generalizzate d’allarme che possono peggiorare le loro condizioni cliniche (accelerazione
del battito cardiaco, aumento della frequenza del respiro, ipersudorazione, accentuazione di posture viziate). Il paziente privo di coscienza non è una persona che dorme profondamente e come
tale non ha bisogno di essere bombardato di richiami per emergere dal suo sonno.
Come si può favorire
il recupero della coscienza?
Favorire il recupero della coscienza significa favorire il recupero della
consapevolezza di sé, degli altri e dell’ambiente circostante. A tal fine
può essere utile:
personalizzare la stanza di degenza: utilizzate fotografie
o oggetti particolarmente significativi, vivacizzando l’ambiente
con suppellettili colorate;
far frequentare al paziente più ambienti: la stanza, la
palestra, il bagno e laddove è possibile accompagnatelo fuori dal
reparto, magari in giro per l’ospedale;
contribuire a creare un ambiente tranquillo: riducete il
movimento di persone e i rumori;
guidare alla “focalizzazione attentiva”: non chiedete
troppi compiti differenti; ad esempio, se gli state pettinando i capelli, chiedetegli di abbandonare il capo o semplicemente di girare
la testa verso destra o verso sinistra e null’altro;
rispettare i ritmi circadiani: se sono le tre del pomeriggio
e il vostro caro sta dormendo, non svegliatelo a tutti i costi solo
perché siete appena giunti a fargli visita;
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contribuire a favorire esperienze sensoriali: accarezzatelo, prendetevi cura del suo corpo e commentate le azioni che
state compiendo su di lui; nel parlare con lui usate un tono basso
e tranquillizzante, usate un linguaggio chiaro e ridondante; non
riferitevi a lui in terza persona parlando con altri in sua presenza;
non iperstimolare: lasciate al vostro caro abbondanti pause di
recupero tra un azione e l’altra e tra uno stimolo e l’altro;
osservare: prestate molta attenzione alle risposte comportamentali che le vostre azioni inducono nei vostri cari; riferite ai medici le vostre osservazioni e lasciatevi aiutare da essi nella corretta
interpretazioni di tali comportamenti.
Paziente amnesico
con turbe comportamentali
Che cosa fare quando il paziente “dice cose strane”? Quando
mostra di non essere orientato, oppure confabula, racconta
cioè falsi ricordi, ad esempio dicendo di essere stato al cinema la sera prima quando invece era in ospedale?
Quando il paziente confabula non deve essere assecondato, ma
nemmeno ridicolizzato o rimproverato per l’assurdità di quanto sta
riferendo. È necessario invece confutare sistematicamente il falso
ricordo.
Un metodo adottabile è quello di sottoporre al paziente una sequenza di domande che, facendo riferimento a conoscenze consolidate,
lo portino passo dopo passo ad affermare che, in effetti, non può
essere vero quanto stava sostenendo; l’altra possibilità è apportare
dimostrazioni di una realtà diversa, attraverso il ricorso a “prove” tangibili e inconfutabili, quali fotografie, documenti d’identità, articoli di
cronaca, appunti redatti e sottoscritti dal paziente stesso.
Nel caso, ad esempio, in cui il paziente neghi di aver subito un incidente e di non essere in buona salute, si dovrà richiamarlo sul fatto
che è in ospedale, che è circondato da medici e infermieri, eventualmente mostrandogli la cartella clinica, gli articoli di giornale che hanno parlato del suo incidente, e così via.
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Il paziente con grave
cerebrolesione
Che cosa fare se il paziente si presenta apatico,
inerte, indifferente?
In questi casi si può tentare di coinvolgere il paziente in attività gratificanti e per lui piacevoli, prendendo spunto da interessi o passioni
precedenti l’evento morboso.
Se necessario, l’attività può essere semplificata quanto basta perché il
paziente possa portarla a termine (ad esempio, lavorare a maglia una
sciarpa e non un maglione).
È poi importante cercare di coinvolgere il più possibile il paziente nelle
attività quotidiane: si può incoraggiarlo a fare qualcosa per la cura
della propria igiene personale, o a dare qualche piccolo aiuto ad un
altro paziente (es. suonare il campanello di allarme se il vicino di letto
è impedito in tale gesto).
Queste occupazioni possono contribuire ad accrescere iniziativa e
autostima, specie se vengono accompagnate da parole di elogio e
di incoraggiamento. Importante è ricordare che, se nell’attività scelta
c’è uno scopo evidente, il paziente ne trarrà sicuramente maggiore
soddisfazione.
Che cosa fare se il paziente appare agitato, ripetitivo,
disinibito o irritabile?
Per prima cosa, è importante tenere presente che tali atteggiamenti
non nascono dalla volontà del paziente di essere offensivo o scortese
o di infliggere realmente un danno: il paziente non è sempre chiaramente consapevole delle proprie azioni o delle conseguenze delle
stesse.
L’aggressività è dovuta alla malattia e, per questo motivo, anche
persone con un carattere tendenzialmente mite possono manifestare
sporadici atteggiamenti aggressivi.
Diverse sono le cause che possono scatenare comportamenti di questo tipo, ma la causa più comune è rappresentata da situazioni che
creano nel paziente paura, ansia e frustrazione. Si tratta, pertanto, di
reazioni difensive di fronte alla percezione errata di un pericolo o di
una minaccia, o di fronte ad una frustrazione.
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È fondamentale pertanto cercare di prevenire tali situazioni: ad esempio, se la reazione comportamentale eccessiva sembra conseguenza
del fatto che il paziente non è riuscito in qualche attività, sarà opportuno modificare - magari semplificandola - tale attività, o se necessario evitarla del tutto.
È importante anche non rimarcare eventuali errori e non provocare imbarazzo nel paziente, evitando di farlo sentire incapace
o inutile.
Altre volte il comportamento irritato o aggressivo si manifesta in conseguenza di un atteggiamento eccessivamente protettivo o, al contrario, impositivo: il paziente potrebbe fraintendere le istruzioni o i
suggerimenti, interpretandoli come ordini o sentendosi trattato come
un bambino.
Altre volte ancora l’aggressività e la paura si manifestano in conseguenza di uno stato d’ansia, a sua volta secondario al disorientamento. Per il paziente, il problema più grave non è tanto quello di
non sapere che ore sono o dove si trova, quanto l’ansia che ne deriva:
la sua giornata non è più strutturata, non sa quando deve mangiare,
quando deve andare in palestra o a letto per dormire; si sente a disagio perché non riconosce più l’ambiente in cui vive.
Si sentirà pertanto più tranquillo se, oltre a comunicargli che ore sono
o dove si trova, lo rassicuriamo, ad esempio su cosa farà in quell’ora
e sulla positività e piacevolezza di quello che ci si appresta a fare insieme.
Nel caso in cui non si riesca a prevenire un atteggiamento aggressivo,
è solitamente possibile interromperlo distraendo il paziente, proponendogli ad esempio qualcosa da bere, oppure invitandolo ad andare
da qualche parte insieme o ancora suggerendogli di fare qualcosa che
a lui piace.
Infine è importante evitare quei comportamenti che potrebbero peggiorare lo stato di irritabilità: rimproveri impartiti con tono offensivo, atteggiamenti di sfida e discussioni, il mostrarsi offesi, deridere,
mostrare paura, bloccare il paziente con la forza, reagire fisicamente,
ricorrere a punizioni, minacciare l’abbandono...
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La comunicazione
tra la famiglia e gli operatori
Per ovviare a queste asimmetrie comunicative è importante l’integrazione gestionale tra operatori professionali e famigliari dei
pazienti. Per praticare tale integrazione è necessario condividere
strategie di gestione (riunioni tra operatori, incontri con il caregiver,
colloqui con lo psicologo…) capaci di evidenziare tutte le criticità che
possono inficiare il percorso sanitario.
L’interazione tra la famiglia e gli operatori del reparto rappresenta un
momento di scambio informativo importante per la gestione del
paziente.
Il colloquio è un atto essenziale in vari momenti del processo terapeutico del paziente; le modalità con cui viene svolto possono essere
diverse in relazione al caso clinico.
Le figure professionali presenti in reparto si rapportano tra di loro per
condividere informazioni chiare ed esaurienti da restituire ai famigliari. Ciononostante può capitare che la comunicazione tra operatori e
famigliari non sia sempre del tutto efficace ai fini della comprensione
di quanto si sta facendo per il paziente.
In alcune occasioni si rischia quindi di fraintendere i messaggi di carattere medico-sanitario ed attribuire a questi contenuti errati che
generano convinzioni errate sull’andamento del programma riabilitativo del proprio caro. L’operatore, a sua volta, potrebbe commettere l’errore di adottare un modello comunicativo troppo tecnico, che
favorisce il moltiplicarsi dei malintesi, contribuendo così a generare
ansia e diffidenza negli interlocutori, alimentando false aspettative
negli stessi.
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Il colloquio di ingresso
Al momento del ricovero è previsto un primo colloquio durante il
quale il medico raccoglie la storia di malattia del paziente.
Anche i famigliari effettuano un primo colloquio psicologico, durante
il quale sono raccolte informazioni riguardanti la personalità del paziente, gli stili di vita precedenti alla malattia e qualsiasi notizia utile ai
fini di un inquadramento anamnestico globale del paziente e del suo
contesto di vita quotidiana.
In questo primo passo vengono presi in esame diversi fattori che possono essere di carattere medico e/o psicologico.
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Il paziente con grave
cerebrolesione
Il colloquio
durante la degenza
Un secondo colloquio viene effettuato mediamente dopo una settimana dal ricovero del paziente.
In questa fase gli operatori del reparto sono impegnati nel reperire le
informazioni cliniche necessarie per la conoscenza della malattia e la
gestione del paziente.
Il colloquio con gli operatori sanitari è importante per partecipare in modo attivo al percorso sanitario. Inoltre, durante tali
colloqui, i famigliari possono porre le domande che ritengono
opportune per una migliore conoscenza dello stato di salute
del proprio caro.
Durante la degenza, grazie al “processo di alleanza terapeutica”, i familiari sono coinvolti in modo attivo alla gestione della malattia, condividendo con gli operatori sanitari le scelte gestionali, preparando la
dimissione verso altre strutture e/o verso il rientro nel nucleo familiare.
Il colloquio alla dimissione
Quest’ultimo colloquio rappresenta la sintesi del lavoro eseguito. Il
colloquio alla dimissione acquista particolare importanza perché
vengono suggeriti comportamenti operativi utili per ridurre il grado
di disabilità e migliorare le relazioni del paziente con l’ambiente circostante.
Gli interlocutori
dei colloqui
Come già accennato, le figure professionali operanti all’interno del reparto sono diverse e si aggiornano costantemente tra di loro mediante
riunioni di équipe, finalizzate a raccogliere informazioni sul processo
riabilitativo del paziente. È utile sapere, dunque, che le informazioni
che si ricevono sono il frutto di un lavoro di condivisione da parte
dell’équipe sanitaria che assiste il malato.
Tra gli operatori del team riabilitativo è identificato un operatore responsabile del progetto riabilitativo e del raccordo delle diverse figure professionali (medico responsabile del procedimento): sarà
quest’ultimo l’interlocutore privilegiato con cui condividere il percorso
gestionale del proprio caro durante la degenza.
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Il supporto psicologico
Nei Centri della Fondazione Don Gnocchi è previsto un servizio di
assistenza, informazione e supporto psicologico per i famigliari dei
degenti nelle Unità operative per Gravi Cerebrolesioni Acquisite.
Le famiglie sono pertanto costantemente seguite da uno psicologo
clinico, che provvede a supportare sul piano psicologico i famigliari
per affrontare al meglio il decorso della malattia del proprio caro.
Il ruolo dei famigliari
nel programma terapeutico
I pazienti con gravi cerebrolesioni acquisite attraversano solitamente
tre stadi nel normale decorso della malattia.
Tali momenti non sono però distinti l’uno dall’altro dal punto di vista
cronologico, ma sono in parte sovrapponibili.
Di seguito sono illustrate le diverse fasi e il comportamento che i famigliari del paziente dovrebbero assumere ai fini di un valido rapporto
di collaborazione con gli operatori sanitari.
Fase 1
In questo stadio il paziente proviene in genere dallo stato
comatoso o comunque dall’evento acuto.
La struttura cognitiva è decisamente alterata.
La personalità del paziente può apparire
molto cambiata.
In questa fase il paziente ha una percezione
“deformata” del mondo esterno; i suoi
comportamenti sono mossi da emozioni di paura
ed ansia nei confronti della maggior parte degli
stimoli esterni, che vengono spesso interpretati come
minacciosi per se stessi.
In questo periodo il paziente è seguito in maniera
totale dal personale infermieristico ed assistenziale.
Il ruolo della famiglia, come sempre fondamentale,
dovrebbe essere “guidato” dagli operatori sanitari,
che in questa fase hanno la responsabilità
gestionale del paziente.
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Il paziente con grave
cerebrolesione
La fase della dimissione
Fase 2
In questa fase il paziente inizia a prendere coscienza di sé, ma contemporaneamente viene a scontrarsi con la percezione di essere in qualche
modo una persona diversa da prima. A questo punto affiorano in lui
nuove esigenze dettate dai propri deficit funzionali.
In questo stadio il malato sente il bisogno di trovare strategie di comportamento alternative a quelle precedenti, per adattarsi in qualche
modo alla nuova vita.
Non è raro osservare in questo stadio una certa prevalenza delle componenti aggressive, dettate dalla crescente difficoltà di rapportarsi con
nuovi comportamenti a una serie di fattori esterni.
Possono essere frequenti gli episodi di agitazione psicomotoria, ansia
o in casi particolari possono manifestarsi componenti depressive.
In questa fase la famiglia gioca un ruolo cruciale nella presa in carico del sistema emotivo del proprio caro. Il famigliare deve mostrarsi
comprensivo e tollerante, cercare di soddisfare i bisogni oggettivi del
malato di comune accordo con lo staff sanitario.
Fase 3
È la fase della presa di coscienza della malattia ed è il momento in
cui il paziente può avere più bisogno dei famigliari e dell’intero staff
sanitario. In questo stadio il paziente sperimenta le proprie necessità,
ma si accorge di non riuscire ad avere gli strumenti utili per soddisfarle.
Non di rado l’ammalato tende a costruirsi delle aspettative eccessive
nei confronti degli operatori, chiedendo loro di poter tornare ad esercitare in tempi rapidi tutte le funzioni che svolgeva prima dell’evento
acuto.
In questa fase i famigliari e lo staff sanitario hanno il compito di aiutare
il paziente verso lo sviluppo di nuove competenze che vengono avviate
in maniera parallela alle capacità residue.
In termini pratici si tratta di educare il paziente ad utilizzare nuovi
schemi motori e di comportamento, focalizzando le sue potenzialità al fine di organizzare nuove e più efficaci strategie di adattamento
alla nuova situazione.
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Naturalmente le fasi appena descritte vogliono essere rappresentative della generalità dei pazienti; è bene dunque
sottolineare, che ogni paziente ha una propria storia di malattia e ad essa corrisponde un percorso unico che potrebbe a
volte non rispecchiare fedelmente quanto illustrato.
Il momento della dimissione è un momento delicato dell’iter riabilitativo dei pazienti. Agognato e salutato con gioia dai pazienti (e dalle
famiglie) che hanno vissuto un decorso post-evento favorevole, con
buon recupero delle condizioni generali e neurologiche, tale momento viene vissuto invece con ansia e preoccupazione dalle famiglie dei
pazienti che, dopo un iter riabilitativo, continuano a presentare gravi
esiti cognitivi e motori. Pensiamo ad esempio ai familiari dei pazienti
in stato vegetativo o di minima coscienza.
Le Unità per Gravi Cerebrolesioni Acquisite si prendono cura dei pazienti nella fase post-ospedaliera: ecco perché è prevista una durata
temporale massima del periodo di ricovero in tali reparti. La fase
cronica, la fase cosiddetta degli esiti, è invece demandata ad altre strutture con vocazioni, finalità e profili organizzativi del tutto differenti.
Questa organizzazione nasce dal volere del legislatore e
non dall’arbitrarietà degli operatori sanitari. Ecco perché
non è possibile accogliere le richieste di “proroga” che
spesso vengono avanzate dalle famiglie dei pazienti.
La scarsità dell’offerta assistenziale per il trattamento della cronicità
dei pazienti, soprattutto dei pazienti in stato vegetativo o in stato di
minima coscienza, nonché le comprensibili remore che trattengono le
famiglie dal rendersi disponibili per soluzioni, pur perseguibili, di non
istituzionalizzazione del paziente (domiciliazione), inducono a dedicare particolare attenzione a questo argomento.
Così, sin dalle fasi iniziali del ricovero, si cerca di
introdurre con delicatezza il discorso della continuità
assistenziale dei pazienti, proponendosi quali fattivi
collaboratori nel garantire le miglior soluzioni
possibili. Nel corso dei colloqui sono illustrate le
procedure che si è soliti attuare per fronteggiare le
“dimissioni difficili”: dal coinvolgimento del
distretto sanitario di appartenenza del paziente per
valutare le possibilità di una domiciliazione, alla
ricerca sul territorio di strutture adeguate ad
accoglierlo.
La preparazione alla dimissione passa anche
attraverso un programma di educazione
sanitaria che trasferisca ai famigliari le pratiche
di assistenza quotidiana dei loro cari.
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Il paziente con grave
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Elementi
di educazione sanitaria
• far assumere al paziente la posizione semi-seduta;
Il catetere vescicale
Il catetere vescicale è un tubicino che collega la vescica con
l’esterno e permette lo svuotamento delle urine. Per
evitare gli inconvenienti più frequenti, il più grave dei
quali è l’infezione delle vie urinarie, è utile seguire alcune norme comportamentali.
• Eseguire l’igiene intima con sapone neutro almeno
una volta al giorno e in ogni caso ogni qualvolta si
renda necessario.
• Non rialzare mai la sacca di raccolta delle urine al di sopra del livello
della vescica per evitare il reflusso di urine nella vescica stessa.
• Evitare il contatto del rubinetto di scarico con superfici contaminate
quali il pavimento.
• Evitare il trattamento quotidiano del meato urinario con antisettici
o antibiotici.
• Accertarsi regolarmente che non vi siano ostruzioni del tubicino di
gomma tali da provocare l’ arresto del flusso urinario con conseguente dolore e infezione.
La PEG
La PEG (gastrostomia percutanea) è una procedura endoscopica a cui si
ricorre quando è necessario alimentare artificialmente il paziente.
Essa consiste nel posizionare una sonda - di calibro adeguato - direttamente nello stomaco attraverso la parete addominale. L’alimentazione attraverso la PEG può avvenire in maniera intermittente o in maniera continua.
La modalità intermittente prevede la somministrazione in tempi brevi - mediante siringa - di boli alimentari ad intervalli di 4-6 ore nelle 24 ore.
Con la modalità continua la somministrazione avviene in tempi lunghi con l’ausilio di una nutri-pompa. Indipendentemente dalla modalità, va ricordato
che quando si somministrano alimenti tramite PEG
occorre:
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• lavare con bolo di acqua la sonda prima e dopo ogni somministrazione di alimento o farmaco;
• chiudere la sonda con un tappo adatto nei periodi di non utilizzo.
L’insufficiente pulizia può provocare la formazione di coaguli organici
sulle pareti (un espediente “casalingo” per rimuovere tali incrostazioni è quello di effettuare lavaggi con piccoli volumi di Coca-cola).
Anche molti farmaci possono essere somministrati tramite PEG: le
compresse vanno polverizzate e sciolte in acqua.
La cute attorno alla stomia (punto di ingresso della sonda attraverso
la parete addominale) va controllata frequentemente per verificare la
comparsa di eventuali segni di arrossamento o gonfiore. Questa zona
cutanea va lavata accuratamente e va disinfettata con disinfettanti
cutanei.
La PEG va medicata con garze; la medicazione va cambiata ogni qualvolta le garze appaiano bagnate. Bisogna inoltre evitare di esercitare
trazione sulla sonda per evitare il dislocamento del dispositivo; per
scongiurare la trazione accidentale della sonda è consigliabile ancorare l’estremo distale della stessa alla parete addominale tramite un
cerotto.
In caso di episodio di vomito interrompere momentaneamente l’alimentazione; la diarrea è una complicanza frequente che può essere
dovuta ad intolleranza ai preparati, a contaminazione degli alimenti e
alla temperatura della miscela.
Problemi maggiori richiedono l’intervento di personale sanitario.
La tracheoaspirazione
L’aspirazione delle secrezioni può avvenire tramite bocca, naso o tracheotomia. Nel primo caso il sondino va direttamente nel cavo orale,
con sondino non in aspirazione per permettere un corretto
scorrimento fino alla sede dove si vogliono aspirare le
secrezioni. Durante questa manovra non stimolare la
laringe per evitare conati di vomito.
La seconda procedura (aspirazione via naso) non va fatta
se non da personale sanitario. Nel terzo caso il sondino
va introdotto non in aspirazione nella cannula ed
estratto in aspirazione con un movimento rotatorio;
l’aspirazione non deve durare oltre i 20 secondi;
I pazienti vanno aspirati al bisogno e non con tempi
prefissati.
23
Il paziente con grave
cerebrolesione
La necessità di aspirare è indicata dalla presenza di rumori di muco in
trachea, dalla comparsa di aumento della frequenza respiratoria, dalla
presenza di bolle di muco alla superficie della cannula. Lo strofinamento della flangia della cannula sulla cute può provocare alterazioni
dell’integrità della cute. Per tale motivo è necessario porre a cuscinetto
una speciale medicazione presente in commercio.
Per evitare complicanze infettive va mantenuta una adeguata igiene
della cute peristomiale. Occorre detergere la cute intorno alla cannula
con acqua ossigenata, evitando il passaggio di liquidi in trachea tramite i bordi della stomia, asciugare ed inserire la medicazione (opportunamente sagomata ad Y) tra la cannula e la cute.
Queste manovre devono essere eseguite in condizioni di sterilità, evitando contaminazioni che possano trasferire germi nelle vie aeree con
conseguente infezioni.
La fettuccia reggi-cannula che gira intorno al collo va periodicamente
sostituita facendo attenzione al suo grado di tensione: non deve essere
nè troppo stretta, nè troppo lassa.
Va sempre provata la funzionalità del sistema di aspirazione (occorre
verificare l’assenza di strozzature dei tubi di aspirazione e la buona
chiusura del contenitore).
Il sondino è monouso e va buttato dopo ogni aspirazione. l tubi di
aspirazione possono essere sostituiti settimanalmente.
Le piaghe da decubito
Quando una persona è costretta a mantenere la stessa posizione per
lunghi periodi, i tessuti cutanei sono sottoposti ad una
maggiore compressione che provoca una riduzione
del flusso sanguigno e di conseguenza una riduzione
dell’apporto di ossigeno ai tessuti.
Tutto ciò crea i presupposti per la formazione delle
piaghe da decubito.
I principali interventi per la prevenzione sono la corretta mobilizzazione del paziente (cambi di decubito),
l’accurata ispezione della cute, un’attenta cura della
persona, una meticolosa igiene a letto, una nutrizione
adeguata e l’impiego di ausili che riducano la pressione
sulle parti del corpo a rischio.
Le posture vanno cambiate ogni 2 ore, ruotando o sollevando completamente la persona; bisogna fare attenzione a che il peso delle coperte non gravi sui piedi del pa24
ziente (uso di archetti solleva-coperte) così da indurre lesioni cutanee
oltre che danni articolari ai piedi; è fondamentale poi l’uso di ausili
antidecubito (materassi, cuscini).
Gli spostamenti non vanno mai effettuati per trascinamento; bisogna
evitare sfregamenti della cute con le lenzuola ed evitare il contatto
diretto tra le sporgenze ossee (esempio tra i due malleoli interni).
La cura di una lesione da decubito varia secondo il tipo di piaga e le
condizioni del paziente. Non esiste una medicazione adatta a tutti i
tipi di lesione, nè un solo tipo di medicazione adatta a tutte le fasi di
guarigione. Tali medicazioni vanno affidate a personale esperto.
L’igiene
La cura igienica della persona prevede alcuni semplici accorgimenti.
Occorre intanto dotarsi di bacinella, guanto da bagno, asciugamani,
guanti monouso e sapone neutro.
Nell’esecuzione dell’igiene delle zone intime nelle donne occorre ricordarsi che nel lavare e nell’asciugare tamponando bisogna procedere sempre in direzione antero-posteriore, dalla sinfisi pubica verso
l’ano. Negli uomini durante il lavaggio del pene occorre
spostare indietro il prepuzio per ben pulire il solco
balano-prepuziale, per poi riportare - a pulizia terminata
- il prepuzio nella sua posizione naturale.
L’igiene delle zone intime richiede l’utilizzo di saponi
neutri.
Le mani dei pazienti, come le nostre, sono portatrici
di batteri e pertanto richiedono molta cura.
Le mani ben lavate vanno accuratamente asciugate
per evitare macerazioni molto frequenti soprattutto
nei pazienti con flessione delle dita e del polso da
spasticità. Le unghie vanno sempre tagliate corte
e tenute pulite.
Il lavaggio dei piedi è una pratica molto rilassante
per i pazienti; deve essere accurato, eseguito
con acqua tiepida e sapone facendo attenzione
anche qui all’ asciugatura specie degli spazi tra
le dita dove facilmente si possono verificare
fenomeni di macerazione; le unghie vanno tagliate per evitare lesioni
alla pelle. Anche le narici vanno tenute pulite, ammorbidendo eventuali secrezioni rapprese con olio e pulendo le cavità con soluzione
25
Il paziente con grave
cerebrolesione
fisiologica e garza. Le orecchie vanno lavate con acqua e sapone. Per
la pulizia degli occhi usare un tampone di garze imbevuto di acqua e
pulire procedendo dall’interno verso l’esterno.
Fondamentale, infine, è la cura dei denti e della cavità orale, che va
eseguita con gli appositi spazzolini per allontanare soprattutto le secrezioni mucose che il paziente non riesce ad espellere. Per la cura
delle mucose della cavità orale è utile eseguire una pennellatura quotidiana con tamponi di garza montati su abbassalingua imbevuti di una
soluzione di acqua e bicarbonato di sodio.
Appendice
ALCUNE SEMPLICI REGOLE
Informazioni e colloqui
• I medici di reparto ricevono i famigliari presso lo studio medico negli orari riportati negli avvisi
affissi all’ingresso del reparto di degenza.
• Si consiglia di approfittare degli orari di ricevimento messi a disposizione evitando di richiedere
informazioni sbrigative nell’incrociare i medici ed il personale di reparto nei corridoi o in altri
spazi comuni.
• Si consiglia di favorire la diffusione delle informazioni mediche all’interno della famiglia e della
cerchia degli amici. Si evita in tal modo che vengano richieste da più parti le medesime informazioni.
• Gli orari di visita sono affissi all’ingresso del reparti di degenza. Orari differenti possono essere
concordati, in casi selezionati, con la caposala.
• Negli orari di visita, evitare assolutamente di affollare le camere di degenza, alternandosi al
capezzale del proprio congiunto.
• Evitare di stazionare nei corridoi di reparto, arrecando disturbo ai pazienti ed intralciando il
lavoro degli operatori sanitari.
• Utilizzare, per la socializzazione, gli spazi comuni esterni al reparto.
• La richiesta di certificati sanitari può essere inoltrata alla Segreteria Medica e/o al medico di
reparto. La richiesta, salvo condizioni di particolare urgenza, verrà evasa in seconda giornata.
Nursing del paziente
• Ogni giorno il personale OSA provvede alla toilette dei pazienti a letto o in bagno assistito.
• È buona norma che il famigliare partecipi ad attività di toilette come rasatura, taglio dei capelli,
esecuzione di pedicure o manicure.
• Consegnare al personale OSA gli effetti personali del paziente (shampoo, deodoranti, asciugamani e biancheria).
• Prediligere indumenti larghi, di taglia superiore a quella abituale del proprio caro. Capi di abbigliamento stretti possono facilitare lesioni da decubito e rendono l’operazione di vestizione
poco confortevole per paziente e operatori.
• I capi di abbigliamento richiesti sono: pigiami, magliette intime, tute da ginnastica, scarpe da
tennis o pantofole chiuse.
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27
La rete tra i Centri della Fondazione Don Gnocchi
Torino, Milano, Rovato (BS), Salice Terme (PV), Sarzana (SP), Sant’Angelo dei Lombardi (AV).
Da tempo la Fondazione Don Gnocchi è in prima linea con numerose strutture attive sul fronte
dell’assistenza a pazienti con gravi cerebrolesioni acquisite (GCA) o in stato vegetativo (SV), dalla
presa in carico riabilitativa fino alla fase degli esiti e del reinserimento sociale.
Un impegno quotidiano, con oltre 250 pazienti ricoverati ogni anno, una rete d’avanguardia
e un elevato numero di professionisti (medici specialisti, infermieri, operatori assistenziali, fisioterapisti, logopedisti, psicologi, terapisti occupazionali, assistenti sociali) impegnati e coinvolti nei
percorsi di cura.
In considerazione della complessità che comporta curare e riabilitare persone in tali condizioni,
dall’inizio del 2009, la Fondazione Don Gnocchi ha ritenuto opportuno creare un Coordinamento dei Centri per Gravi Cerebrolesioni Acquisite, affidato alla prof. Anna Mazzucchi,
neurologa con comprovata esperienza in questo settore della riabilitazione.
Nei primi due anni di attività il Coordinamento ha ottenuto importanti risultati: vengono svolte
con regolarità riunioni programmatiche a seguito delle quali nei Centri vengono condivise varie
procedure organizzative e procedurali, strumenti di lavoro, specialisti per la formazione delle diverse figure professionali, competenze per la stesura di documenti, percorsi per l’aggiornamento
e per la ricerca (l’Istituto “Palazzolo” di Milano è inserito in alcuni studi multicentrici nazionali
sugli stati vegetativi; in altri Centri vengono condotte ricerche cliniche e di efficacia riabilitativa; il
Centro di Sarzana ha contribuito attivamente alla preparazione di uno dei documenti preliminari
della recente Consensus Conference sulla Riabilitazione Ospedaliera delle Gravi cerebrolesioni
acquisite; il Centro di S. Angelo dei Lombardi è impegnato in ricerche sulla efficacia riabilitativa).
Di seguito, le schede sintetiche di ciascuna struttura.
Tali realtà si differenziano da regione a regione in base alle diverse normative locali. L’iter di
ciascun paziente in stato vegetativo o in stato di minima coscienza al termine del percorso riabilitativo può essere pertanto diverso a seconda della zona di residenza.
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POLO LOMBARDIA 2
Direttore: Maurizio Ripamonti
Responsabile attività sanitarie e assistenziali:
dott. Roberto Caprioli
MILANO
Istituto “Palazzolo-Don Gnocchi”
Via Don Luigi Palazzolo 21
Nucleo di Accoglienza per Persone
in Stato Vegetativo
Responsabile medico:
dott.ssa Guya Devalle
Letti dedicati: 30
Tel. 02 3970.3605 - 02 3970.3618
Fax 02 3970.3602
Email: [email protected]
POLO LOMBARDIA 1
Direttore: dott. Diego Maltagliati
Responsabile attività sanitarie, assistenziali
e socioeducative: dott. Marco Triulzi
SALICE TERME (Pavia)
Centro “S. Maria alle Fonti”
Viale Luigi Mangiagalli 52
Nucleo di Accoglienza per Persone
in Stato Vegetativo
Responsabile medico:
dott.ssa Ilaria Fontana
Letti dedicati: 10
Tel. 0383 945.611
Fax 0383 945.678
Email: [email protected]
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POLO LOMBARDIA 3
Direttore: dott. Tiberio Boldrini
Responsabile attività sanitarie, assistenziali
e socioeducative: dott. Mauro Ricca
POLO PIEMONTE-LIGURIA
Direttore: dott. Carlo Sironi
Responsabile attività sanitarie e assistenziali:
dott. Giorgio Martiny
ROVATO (Brescia)
Centro “E. Spalenza - Don Gnocchi”
Largo Paolo VI
SARZANA (La Spezia)
Polo Riabilitativo del Levante Ligure
Ospedale “San Bartolomeo”
Via Variante Cisa 39
Unità Operativa
per Gravi Cerebrolesioni Acquisite
Responsabile medico: dott. Mauro Ricca
Responsabile Servizio Riabilitazione:
dott.ssa Silvia Galeri
Ricovero ordinario e day hospital:
• 8 posti letto per alta intensità di cura
• 7 posti letto per media intensità di cura
Tel. 030 7245.400 - Fax 030 7245.350
Email: [email protected]
Tel. 0187 604.807/40/44
Fax 0187 604.826/20
Email: [email protected] - [email protected]
POLO PIEMONTE-LIGURIA
Direttore: dott. Carlo Sironi
Responsabile attività sanitarie e assistenziali:
dott. Giorgio Martiny
POLO LAZIO-CAMPANIA NORD
Direttore: dott. Mauro Mattiacci
Responsabile attività sanitarie, assistenziali
e socioeducative: dott. Fabio De Santis
TORINO
Presidio “Ausiliatrice-Don Gnocchi”
Via Amedeo Peyron 42
SANT’ANGELO DEI LOMBARDI (Avellino)
Polo Specialistico Riabilitativo
Ospedale civile “G. Criscuoli”
Via Quadrivio
Unità Operativa
per Gravi Cerebrolesioni Acquisite
Responsabile medico: dott. Rocco Rossini
Letti dedicati:
• 25 in degenza ordinaria
• 25 in day hospital
Tel. 011 630.3311
Fax 011 4375.834
Email: [email protected]
30
Unità Operativa
per Gravi Cerebrolesioni Acquisite
Direttore medico: dott. Marco Forni
Responsabile medico U.O.:
dott.ssa Manuela Diverio
Letti dedicati:
• 16 di Alta Specialità Riabilitativa
Unità Operativa
per Gravi Cerebrolesioni Acquisite
Responsabile medico:
dott. Antonio Soccorso Capomolla
Letti dedicati: 15
Tel. 0827 45.58.00
Fax 0827 45.58.15
Email: [email protected]
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IL FONDATORE
L’OPERA
Nato a San Colombano al Lambro (Milano) il 25 ottobre 1902, Carlo
Gnocchi viene ordinato sacerdote nel 1925.
Assistente d’oratorio per alcuni anni, è poi nominato direttore spirituale dell’Istituto Gonzaga dei Fratelli delle Scuole Cristiane.
Allo scoppiare della guerra si arruola come cappellano volontario e
parte, prima per il fronte greco-albanese, e poi - con gli alpini della
Tridentina - per la campagna di Russia.
Istituita per assicurare cura, riabilitazione e integrazione sociale ai mutilatini, vittime della barbarie della guerra, la Fondazione ha progressivamente ampliato nel tempo il proprio raggio d’azione.
Oggi nei Centri della Fondazione sono accolti, curati, assistiti:
Nel gennaio del ’43, durante l’immane tragedia della ritirata del contingente italiano, si salva miracolosamente. Ed è in quei giorni che,
assistendo gli alpini feriti e morenti e raccogliendone le ultime volontà,
matura in lui l’idea di realizzare una grande opera di carità, che troverà
compimento, a guerra finita, nella Fondazione Pro Juventute.
Muore il 28 febbraio 1956. L’ultimo suo gesto profetico è la donazione delle cornee a due ragazzi non vedenti quando ancora in Italia il
trapianto d’organi non era regolato da apposite leggi.
• pazienti di ogni età che necessitano di interventi riabilitativi
di carattere ortopedico, neurologico, cardiologico, respiratorio,
oncologico;
Il 25 ottobre 2009, in piazza Duomo a Milano, è stato solennemente proclamato Beato.
• pazienti con esiti di coma, con gravi cerebrolesioni o in stato vegetativo;
• pazienti con ogni forma di disabilità, per cause congenite
o per cause acquisite, dall’età evolutiva all’età adulta;
• anziani non autosufficienti, in parte affetti da Alzheimer
e Parkinson;
• malati oncologici in fase terminale;
Intense, oltre a quella sanitario-riabilitativa, socio-assistenziale e socioeducativa, sono le attività di ricerca scientifica, di formazione ai più
diversi livelli e di solidarietà internazionale nei Paesi in via di sviluppo.
Riconosciuta Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico,
segnatamente per i Centri di Milano e Firenze, oggi la Fondazione Don
Gnocchi conta oltre 5400 operatori tra personale dipendente e collaboratori professionali, per i quali sono approntati costanti programmi
di formazione e aggiornamento.
Le prestazioni sono erogate in regime di accreditamento con il Servizio
Sanitario Nazionale in una trentina di Centri, raggruppati in otto
Poli territoriali in nove Regioni, con 3648 posti letto di degenza
piena e day hospital.
Ogni giorno accedono alle strutture della Fondazione Don
Gnocchi quasi diecimila persone.
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LE STRUTTURE DELLA FONDAZIONE DON GNOCCHI
POLI TERRITORIALI E CENTRI
• 2 Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS)
• 22 Unità di riabilitazione polifunzionale
• 9 Unità di riabilitazione ospedaliera
• 4 Unità per le gravi cerebrolesioni acquisite
• 1 Nucleo specializzato per stati vegetativi
• 7 Residenze per anziani non autosufficienti (RSA)
• 2 Nuclei specializzati nella cura del morbo di Alzheimer
• 1 Hospice per malati oncologici terminali
• 2 Case di Cura
• 34 ambulatori territoriali di riabilitazione
• 2 Centri di Formazione, Orientamento e Sviluppo (CeFOS)
• 3 Centri Diurni Integrati per anziani (CDI)
• 6 Centri Diurni per Disabili (CDD)
• 3 Residenze Sanitarie per Disabili (RSD)
• 1 Casa-sollievo per disabili
• 3.648 posti letto accreditati e operativi di degenza piena e day hospital
• quasi 10.000 persone curate o assistite in media ogni giorno
In qualità di Organizzazione Non Governativa (ONG) riconosciuta dal ministero degli
Affari Esteri, la Fondazione promuove e realizza progetti a favore dei Paesi in via di sviluppo. La “Don Gnocchi” è oggi presente in Bosnia Erzegovina, Georgia, Ecuador, Sri Lanka,
Rwanda e Sierra Leone. Ulteriori interventi sono in fase di valutazione in parecchie altre
nazioni di tutti i continenti.
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Sede legale - Presidenza: 20121 Milano
Piazzale R. Morandi, 6 (tel. 02 40308.900)
Direzione Generale: 20162 Milano
Via C. Girola, 30 (tel. 02 40308.703)
Direzione Scientifica: 20148 Milano
Via A. Capecelatro, 66 (tel. 02 40308.564)
Servizio Comunicazione e Relazioni Esterne: 20121 Milano
Piazzale R. Morandi, 6 (tel. 02 40308.938)
Quaderno a cura dell’Unità Operativa per Gravi Cerebrolesioni Acquisite
Polo Specialistico Riabilitativo - S. Angelo dei Lombardi (AV)
e del Coordinamento dei Centri per GCA - Fondazione Don Gnocchi
Disegni di Ida Uva
© Fondazione Don Gnocchi, 2011