Mary Poppins

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Mary Poppins
Non c’è bambino che, vedendo il famoso film di Walt
Disney del 1964, non abbia desiderato conoscere Mary
Poppins, salire le scale scivolando sul corrimano, come lei;
aprire unombrellino e prendere il volo; pescare dalla sua
grande borsa che contiene di tutto, persino una
poltroncina. Mary Poppins compare un giorno portata dal
vento in Viale dei Ciliegi 17, davanti alla casa più piccola
della strada, e cambierà per sempre la vita dei bambini
Banks.
Nata in Australia nel 1899, Pamela Lyndon Travers
emigrò a Londra nel 1924. Negli anni lavorò come
segretaria, giornalista,ballerina e autrice.
Pubblicato nel 1934, Mary Poppins ebbe un successo
immediato e diversi seguiti. Dopo una caccia ai diritti
durata quasi vent’anni, Walt Disney riuscì a portarlo sul
grande schermo nel 1964, dando vita a uno dei più grandi
classici del cinema di tutti i tempi. La storia
dell’estenuante corteggiamento e difficile rapporto tra
Disney e la Travers è raccontata nel film Saving Mr.
Banks, in cui la caparbia scrittrice è interpretata da Emma
Thompson.
Proprietà letteraria riservata
© 1935 Mary Shepard per le illustrazioni
© 1937 Gruppo Editoriale Fabbri Bompiani Sonzogno Etas S.p.A.
© 1994 R.C.S. Libri & Grandi Opere S.p.A.
© 1997 RCS Libri S.p.A., Milano
ISBN 978-88-58-66762-0
Prima edizione digitale 2014 da III edizione Bur ragazzi giugno 2010
Traduzione di Letizia Bompiani
In copertina: illustrazione di Mary Shepard
progetto grafico: Lori McThomas Buley
www.rizzoli.eu
Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.
È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.
Vento da Est
Se volete trovare il Viale dei Ciliegi, tutto quello che
dovete fare è chiedere al vigile all’incrocio. L’uomo
piegherà l’elmetto da una parte, si gratterà la testa
pensosamente e infine, puntando l’imponente dito bianco
guantato, dirà: «Prima a destra, poi a sinistra, poi ancora a
destra, e ci siete. Buon giorno.» Infatti, seguendo
esattamente le indicazioni, sarete subito lì, proprio in
mezzo al Viale, dove da un lato c’è una fila di case,
dall’altro si stende il Parco e in mezzo, allineati come i
cavalieri di una quadriglia, stanno gli alberi di ciliegio.
Se andate in cerca del numero 17 (cosa molto
probabile, poiché tutto il libro riguarda proprio questa
casa) lo troverete subito.
Per cominciare è la casa più piccola del Viale. E poi è la
sola un po’ malandata, che abbia bisogno di una nuova
mano di bianco. Ma il signor Banks, suo proprietario,
aveva detto alla signora Banks di scegliere tra una casa
graziosa, lucida, confortevole, e quattro bambini: le due
cose insieme, infatti, non potevano permettersele. E la
signora Banks, dopo averci riflettuto un po’, aveva
concluso che preferiva Giovanna, che era la maggiore, e
Michele, che era il secondo, e Barbara e Giovannino, che
erano gemelli e venivano per ultimi. Così fu deciso, e così
fu che la famiglia Banks venne ad abitare al numero 17,
con la signora Brill che cucinava, Ellen che apparecchiava
la tavola, e Robertson Ay che falciava l’erba delle aiuole,
puliva i coltelli, si impegnava a lucidare le scarpe e, come
diceva il signor Banks, «a perdere il suo tempo e il mio
denaro!»
Naturalmente c’era anche Katie Nanna, che però non
merita affatto di entrare nel libro, perché proprio all’epoca
di cui sto parlando aveva lasciato il numero 17.
«Senza il mio permesso e senza una parola di
preavviso! E adesso come faccio?» aveva detto la signora
Banks.
«Un annuncio sul giornale» aveva risposto il signor
Banks, infilandosi le scarpe. «Ah, se anche Robertson se
ne andasse senza una parola di preavviso! Anche oggi mi
ha lucidato una scarpa sola. Avrò un’aria sbilenca!»
«Questo» lo interruppe la signora Banks «non ha
nessuna importanza. Non mi hai detto quello che devo fare
con Katie Nanna.»
«Non vedo che cosa tu possa fare con lei» replicò il
signor Banks, «visto che è scomparsa. Ma se io fossi in te –
io, dico, io – bene, metterei un annuncio sul giornale per
dire che Giovanna e Michele e Barbara e Giovannino
Banks (per non parlare della loro mamma) cercano con
urgenza la migliore delle bambinaie possibili al minor
prezzo possibile. Poi aspetterei e starei a vedere le
bambinaie fare la coda davanti al cancello, e m’inquieterei
molto se intralciassero il traffico e mi obbligassero a dar la
mancia al vigile per avergli creato problemi. Adesso devo
uscire. Accidenti! Fa freddo come al Polo Nord. Da che
parte soffia il vento?» E dopo aver detto questo, il signor
Banks mise il capo fuori dalla finestra e diede un’occhiata
alla casa dell’Ammiraglio Boom, all’angolo. Era la casa più
grande del Viale, e tutto il Viale ne era molto fiero, perché
era costruita come un bastimento. Nel giardino c’era l’asta
della bandiera e sul tetto una banderuola dorata, a forma
di telescopio. «Ah» disse il signor Banks, ritirando la testa
in fretta, «il telescopio dell’Ammiraglio dice: Vento da Est.
Mi pareva, ho il gelo nelle ossa. Metterò due cappotti.» E
baciò sul naso la moglie che stava tutta assorta, fece un
cenno ai bambini, e andò alla City.
La City era un posto dove il signor Banks si recava ogni
giorno, fuorché la domenica e i giorni di vacanza
naturalmente. E quando era lì, sedeva sopra una grande
sedia davanti a un grande scrittoio e fabbricava denaro.
Lavorava tutto il giorno, ritagliando penny, scellini, mezze
corone e monete da tre penny. E le portava poi a casa nella
sua piccola valigia nera.
Qualche volta ne dava a Giovanna e Michele, per i loro
salvadanai, e quando non ne aveva da dar via, diceva: «La
Banca è sbancata» e loro capivano che quel giorno il papà
aveva fabbricato poco denaro.
Bene, il signor Banks uscì con la sua valigia nera, e la
signora Banks andò in salotto e stette lì tutto il giorno a
scrivere lettere ai giornali, chiedendo di mandarle subito
delle bambinaie poiché ne aveva bisogno; e intanto, su
nella loro camera, Giovanna e Michele spiavano dalla
finestra e si domandavano chi sarebbe venuto.
Erano contenti che Katie Nanna fosse andata via,
perché non le avevano mai voluto bene. Era vecchia e
grassa, con addosso uno spiacevole odore di orzata.
Qualunque cosa sarebbe stata meglio di Katie Nanna, anzi,
molto meglio.
Quando la luce cominciò a morire, lontano, dietro il
Parco, la signora Brill ed Ellen vennero a portare la cena e
a fare il bagno ai gemelli. E dopo cena Giovanna e Michele
si misero di nuovo alla finestra, aspettando il ritorno a
casa del signor Banks e ascoltando il sibilo del Vento
dell’Est, attraverso i rami spogli dei ciliegi. Gli alberi,
agitandosi e curvandosi nella luce incerta, sembravano
impazziti, come se ballassero con le radici fuori dalla
terra.
«Eccolo» disse Michele puntando a un tratto il ditino
verso una figura che con un bastone batteva
energicamente al cancello.
«Non è il papà» disse lei. «È qualcun altro.»
Poi la figura, scossa e sballottata dal vento, sganciò il
lucchetto del cancello e i bimbi poterono vedere che si
trattava di una donna, che con una mano si teneva fermo il
cappello e con l’altra portava una grande borsa. Ecco che,
mentre stavano osservando, Giovanna e Michele videro
una cosa molto curiosa. Appena la figura ebbe
oltrepassato il cancello, sembrò che il vento la sollevasse,
portandola in volo verso la casa. Fu come se l’avesse
trascinata fino al cancello, avesse atteso che si aprisse e
poi di nuovo soffiando avesse sollevato lei, la grande borsa
e tutto fino alla soglia di casa. I bimbi, sempre protesi a
guardare, udirono un terribile rumore e, come lei ebbe
posto piede a terra, l’intera casa si scosse.
«Che buffo! Non ho mai visto una cosa simile» disse
Michele.
«Scendiamo e andiamo a vedere chi è» disse Giovanna
e, preso Michele per un braccio, lo condusse via dalla
finestra, attraverso la camera, fin nel corridoio. Di lì i
bambini potevano vedere chiaramente tutto ciò che
succedeva in anticamera. Scorsero la madre che usciva dal
salotto seguita da una visitatrice.
Giovanna e Michele poterono vedere la nuova venuta:
magra, con una lucida chioma nera, grandi mani, grandi
piedi e due piccoli occhi azzurri. «Un po’ come una
bambola olandese di legno» sussurrò Giovanna.
«Vedrete che sono bambini molto graziosi» stava
dicendo la signora Banks. Michele dette una gomitata a
Giovanna.
«E non danno nessun problema» continuò la signora
Banks, esitante, come se lei stessa non credesse
veramente a quello che diceva. La visitatrice tossicchiò,
come se non ci credesse nemmeno lei.
«Ora, per le referenze…» continuò la signora Banks.
«Oh, io di regola non do mai referenze» replicò l’altra
con fermezza.
La signora Banks spalancò gli occhi. «Ma, io… pensavo
che… di solito…» disse lei, «voglio dire che si usa sempre
così.»
«Un’usanza superata, a mio giudizio» rispose la voce
brusca. «Una vecchissima usanza, roba assolutamente
fuori moda, direi.»
Ora, se c’era una cosa che spiaceva alla signora Banks
era quella di esser ritenuta di idee antiquate. Non poteva
sopportarlo. Perciò si affrettò a dire: «Benissimo, allora
non ci tormentiamo per questo. Lo chiedevo solo nel caso
voi voleste refer… Le stanze dei bambini sono di sopra.»
E le fece strada per le scale, chiacchierando tutto il
tempo senza fermarsi un momento. Così la signora Banks
non poté vedere quel che stava succedendo dietro di lei,
ma Giovanna e Michele, che stavano osservando tutto dal
ballatoio, videro perfettamente la cosa straordinaria che la
visitatrice stava facendo. Naturalmente seguiva la signora
Banks su per le scale, ma non in un modo normale.
Tenendo la grande borsa con le due mani, lei scivolava con
leggerezza su per la ringhiera, e arrivò sul ballatoio
insieme alla signora Banks.
Giovanna e Michele erano certi di non aver mai visto
una cosa simile prima d’allora. In giù, sì: anche loro
l’avevano fatto tante volte, ma in su, mai! Si misero a
fissare curiosamente la nuova strana visitatrice.
«Bene, allora è tutto sistemato.» La mamma dei
bambini tirò un sospiro di sollievo.
«Tutto, finché io sono soddisfatta» disse l’altra
soffiandosi il naso con un fazzolettone bianco e rosso.
«Ebbene, bambini» disse la signora Banks, scorgendoli
tutt’a un tratto. «Che cosa state facendo lì? Questa è la
vostra nuova bambinaia, Mary Poppins; Giovanna e
Michele, salutate. E questi» disse, indicando i piccoli nelle
loro culle, «sono i gemelli.»
Mary Poppins li esaminò attentamente, girando lo
sguardo dall’uno all’altro, con l’aria di domandarsi se le
piacevano o no.
«Andiamo bene?» disse Michele.
«Michele, non fare il maleducato» lo ammonì la madre.
Mary Poppins continuava a esaminare i quattro
bambini. Poi, con un lungo poderoso sospiro, che sembrò
significare che aveva formulato il suo giudizio, disse:
«Accetto l’impiego.»
E più tardi la signora Banks riferì al marito: «L’ha detto
proprio come se ci facesse un grande onore.»
«Forse ce lo fa» disse il signor Banks, sporgendo il
naso da dietro il giornale e poi ritirandolo subito.
Uscita la madre, Giovanna e Michele si avvicinarono
lentamente a Mary Poppins, che se ne stava ferma come
un palo, con le mani incrociate.
«Come hai fatto ad arrivare?» domandò Giovanna.
«Sembrava che ti portasse il vento.»
«Così era infatti» disse bruscamente Mary Poppins. E
cominciò a sciogliersi la sciarpa dal collo e a togliersi il
cappello, che gettò sul letto.
Poiché sembrava che Mary Poppins non avesse
intenzione di dire nient’altro, anche se continuava a
sbuffare, Giovanna decise di rimanere in silenzio. Ma
quando la governante si chinò per aprire la grande borsa,
Michele non poté trattenersi: «Che buffa borsa!» disse
toccandola con un dito.
«Tappeto» disse Mary Poppins, infilando la chiave nel
lucchetto.
«Per portarci i tappeti, vuoi dire?»
«No, fatta di tappeto.»
«Ah» disse Michele. «Ho capito.» Ma non era vero.
Intanto la borsa fu aperta, e Giovanna e Michele furono
sorpresissimi di trovarla completamente vuota.
«Come!» disse Giovanna. «Non c’è niente dentro.»
«Come sarebbe niente?» chiese Mary Poppins
drizzandosi e guardandola come se fosse stata insultata.
«Ti sembra niente?»
E subito tirò fuori dalla grande borsa vuota un
grembiule bianco inamidato e se lo legò alla vita. Poi tirò
fuori un grosso pezzo di sapone, uno spazzolino da denti,
un pacchetto di forcine, una bottiglia di profumo, una
poltroncina pieghevole e una scatola di pasticche per la
gola.
Giovanna e Michele spalancarono gli occhi.
«Ma ho guardato bene!» sussurrò Michele. «Era
vuota!»
«Zitto» disse Giovanna, vedendo che Mary Poppins
tirava fuori una bottiglia con un’etichetta che diceva: “Un
cucchiaino prima di coricarsi”. Al collo della bottiglia era
attaccato un cucchiaino e Mary Poppins ci versò un liquido
rosso scuro.
«È la tua medicina?» domandò Michele con molto
interesse.
«No, la tua» disse Mary Poppins, avvicinandogli il
cucchiaino alla bocca.
Michele spalancò gli occhi, arricciò il naso, cominciò a
protestare. «Non la voglio, non ne ho bisogno. Non la
voglio.»
Ma Mary Poppins teneva gli occhi fissi su di lui e
Michele comprese immediatamente che non si poteva
guardare Mary Poppins e disobbedirle. C’era qualcosa di
strano, di straordinario in lei; qualcosa che turbava e allo
stesso tempo elettrizzava. Il cucchiaino si avvicinava.
Michele trattenne il respiro, chiuse gli occhi e aprì la
bocca. Sentì un sapore delizioso. Si leccò le labbra.
Inghiottì e un sorriso di felicità gli illuminò il viso.
«Gelato di fragole!» disse rapito. «Ancora, ancora,
ancora!»
Ma Mary Poppins, rigida in faccia come prima, stava
versando la dose di Giovanna. Il cucchiaino si riempì,
questa volta, di un liquido argenteo, verdolino, giallo.
Giovanna lo provò.
«Liquore di mele!» disse, passandosi con delizia la
lingua sulle labbra. Ma quando vide che Mary Poppins si
avvicinava ai gemelli con la bottiglia si precipitò verso di
lei.
«Oh, no, per carità. Sono troppo piccoli. Non gli
farebbe bene. Per carità!»
Ma Mary Poppins non la ascoltò, anzi, con un terribile
sguardo ammonitore a Giovanna, avvicinò il cucchiaino
alla bocca di Giovannino. Il bimbo inghiottì, e dalle poche
gocce cadute sul bavaglino Giovanna e Michele videro che
questa volta il cucchiaino conteneva latte. Poi Barbara
ebbe la sua parte, fece glu glu e leccò il cucchiaino due
volte.
Quindi Mary Poppins versò un’altra dose, questa volta
per sé, e la ingoiò solennemente.
«Punch al rum» disse schioccando la lingua e
rimettendo il tappo alla bottiglia. Gli occhi di Giovanna e
Michele sbatterono per la meraviglia, ma i due bambini
non ebbero il tempo di meravigliarsi che Mary Poppins,
posata la bottiglia miracolosa sul cassettone, si volse verso
di loro.
«Ora» disse, «pim, pum, a letto!»
E cominciò a svestirli. I bambini notarono che mentre
bottoni e ganci costituivano un complicato problema per
Katie Nanna, per Mary Poppins si slacciavano a un solo
sguardo. In un baleno si trovarono a letto e nella
penombra del lumino da notte poterono vedere tutto
quello che Mary Poppins continuava a tirar fuori dalla sua
grande borsa.
Dalla borsa di tappeto vennero fuori sette camicie da
notte di flanella, quattro di cotone, un paio di stivaletti,
una scatola di domino, due accappatoi e un album di
francobolli. Per ultimo, un letto da campo pieghevole,
completo di lenzuolo, piumino e coperte. Mary Poppins lo
pose tra il lettino di Barbara e quello di Giovannino.
Giovanna e Michele stavano raggomitolati a guardare.
Era tutto così sorprendente che non trovavano nulla da
dire. Ma sapevano, entrambi, che qualcosa di strano e
meraviglioso era accaduto quel giorno al numero 17 di
Viale dei Ciliegi.
Mary Poppins, infilandosi dalla testa una camicia da
notte di flanella, cominciò a svestirsi quasi come se fosse
sotto una tenda. Michele, incantato da questo
straordinario nuovo arrivo, incapace di tacere più a lungo,
la chiamò: «Mary Poppins» gridò «non ci lascerai mai, è
vero?»
Da sotto la camicia non venne alcuna risposta. Michele
non poté resistere. «Non ci lascerai, è vero?» tornò a
domandare ansiosamente.
La testa di Mary Poppins spuntò dalla camicia.
Sembrava inquietissima.
«Ancora una parola da quella direzione» disse
minacciosamente «e chiamo una guardia.»
«Dicevo solo» cominciò umilmente Michele «che noi
speriamo che non andrai via tanto presto.»
S’interruppe, rosso e confuso. Mary Poppins fissò
prima lui, poi Giovanna in silenzio. Quindi arricciò il naso e
sbuffò: «Starò finché cambia il vento» disse brevemente.
Soffiò sulla candela e andò a letto.
«Allora va bene» disse Michele, un po’ a se stesso e un
po’ a Giovanna. Ma Giovanna non ascoltava. Pensava
meravigliata a tutto quanto era accaduto.
E fu così che Mary Poppins venne ad abitare al numero 17
di Viale dei Ciliegi.
E sebbene, talvolta, i Banks si sorprendessero a
rimpiangere i giorni più quieti, più comuni, in cui lo
scettro della famiglia era tenuto da Katie Nanna, ognuno,
tutto sommato, era contento dell’arrivo di Mary Poppins.
Il signor Banks era contento perché, essendo arrivata
da sola, senza intralciare il traffico, lui non aveva dovuto
dare la mancia al vigile. La signora Banks era contenta
perché poteva dire a tutti che la bambinaia dei suoi figli
era così alla moda che non voleva darle referenze. La
signora Brill ed Ellen erano contente perché potevano
bere il tè in cucina tutto il giorno e non erano obbligate a
dar da mangiare ai bambini. Anche Robertson Ay era
contento perché Mary Poppins aveva un solo paio di
scarpe e se le puliva da sola.
Ma nessuno sapeva cosa ne pensasse Mary Poppins,
perché lei non diceva nulla a nessuno.
Giorno Libero
«Ogni tre mercoledì» disse la signora Banks «dalle due
alle cinque.» Mary Poppins la guardò bruscamente. «La
gente distinta, signora» disse «dà un mercoledì sì e uno
no, dall’una alle sei. E così penso sia giusto, altrimenti…»
Mary Poppins si fermò e la signora Banks comprese il
significato della pausa. Cioè che, se non acconsentiva, se
ne sarebbe andata.
«Benissimo, benissimo» si affrettò a rispondere. La
cosa che le dispiaceva veramente era che Mary Poppins ne
sapesse più di lei sulle abitudini della gente distinta.
Così Mary Poppins infilò i suoi guanti bianchi e si mise
l’ombrello sotto il braccio, non perché piovesse, ma perché
aveva un così bel manico che era un peccato lasciarlo a
casa.
Come si fa a lasciare a casa un ombrello con un manico
a forma di testa di pappagallo? Mary Poppins, poi, era
molto, molto vanitosa e ci teneva a mostrarsi nella sua
veste migliore. In realtà, era sicura di mostrarsi sempre
nella sua veste migliore. Giovanna le fece cenno dalla
finestra della sua camera. «Dove vai?» domandò.
«Per favore, chiudi quella finestra» replicò Mary
Poppins, e la testa di Giovanna si ritirò in fretta.
Mary Poppins percorse il vialetto del giardino e aprì il
cancello. Una volta in strada, cominciò a camminare in
fretta, come timorosa che il pomeriggio le sarebbe
sfuggito se non avesse tenuto il giusto passo.
All’angolo voltò a destra, poi a sinistra, squadrò
altezzosamente il vigile che le diceva che era una bella
giornata e finalmente ebbe la sensazione che il suo Giorno
Libero fosse cominciato davvero.
Si fermò vicino a un’automobile vuota per raddrizzarsi
il cappello, specchiandosi nel finestrino, si lisciò il vestito e
rialzò l’ombrello sotto il braccio in modo che tutti
potessero vedere perfettamente il manico, o piuttosto il
pappagallo. Dopo questi preparativi, si recò dall’Uomo dei
Fiammiferi.
Ora, dovete sapere che l’Uomo dei Fiammiferi
esercitava due professioni. Non solo vendeva fiammiferi,
come ogni comune fiammiferaio, ma con altrettanta abilità
disegnava sui marciapiedi. Faceva una cosa o l’altra a
seconda del tempo. Quando era nuvoloso vendeva
fiammiferi, perché la pioggia avrebbe cancellato i disegni.
Quando era sereno, stava inginocchiato tutto il giorno a
disegnare sui marciapiedi coi gessetti colorati. Era così
veloce che spesso disegnava un lato intero della strada
prima che i passanti dall’altra parte facessero in tempo a
girare l’angolo.
Quel giorno, che era bello ma freddo, stava
disegnando. Era in procinto di aggiungere due banane,
una mela e una testa della Regina Elisabetta a una lunga
fila di altri disegni, quando Mary Poppins lo raggiunse in
punta di piedi per fargli una sorpresa.
«Ehi!» chiamò piano Mary Poppins.
L’Uomo dei Fiammiferi e Pittore proseguì nel suo
lavoro, aggiungendo delle righe brune a una banana e una
cascata di riccioli bruni alla testa della Regina Elisabetta.
«Ehm» disse Mary Poppins con un signorile colpo di
tosse. L’Uomo dei Fiammiferi e Pittore si volse di
soprassalto e la vide.
«Mary» gridò, e dal modo con cui lo gridò avrete capito
che Mary Poppins era un personaggio molto importante
nella sua vita.
Mary Poppins abbassò lo sguardo, strisciando la punta
di una scarpa sul pavimento, due o tre volte. Poi sorrise
alla scarpa in un modo che la scarpa capì benissimo che
quel sorriso non era per lei.
«È il mio Giorno Libero, Berto» disse. «Non ve ne
ricordate?»
Berto era il nome dell’Uomo dei Fiammiferi. Erberto
Alfredo per le grandi occasioni.
«Certo che me lo ricordo, Mary» disse lui, si fermò, e
guardò mestamente il suo berretto. Stava per terra vicino
al suo ultimo quadro e dentro c’erano due penny. Lo tirò
su e fece suonare i soldi.
«Tutto qua?» domandò Mary Poppins, e lo domandò
tanto giocondamente, che nessuno avrebbe mai potuto
dire che provasse disappunto.
«Tutto qua» disse lui. «Gli affari vanno male oggi.
Eppure chiunque dovrebbe essere felice di tirare fuori dei
soldi per ammirare cose del genere, no?» E con la testa
fece un piccolo inchino alla Regina Elisabetta. «Così va la
vita, Mary» sospirò. «Temo di non potervi invitare a
prendere il tè, oggi.»
Mary Poppins pensava alle crostatine di lamponi che
avevano sempre gustato nel suo Giorno Libero e stava per
sospirare, quando vide la faccia dell’Uomo dei Fiammiferi.
Allora, molto abilmente, mutò il sospiro in un sorriso, un
bel sorriso, e disse: «Nessun problema, Berto, non vi
preoccupate. Preferisco non andare a prendere il tè. Lo
trovo piuttosto indigesto, veramente.»
E questo, se tenete conto di quanto piacevano a Mary
Poppins le crostatine di lamponi, era molto gentile da
parte sua.
Anche l’Uomo dei Fiammiferi la pensò così, perché le
prese la mano guantata di bianco e la strinse con forza tra
le sue. Poi insieme si misero a guardare la fila dei disegni.
«Ecco, ce n’è uno che prima non avete visto» disse
orgogliosamente l’Uomo dei Fiammiferi, indicando il
disegno di una montagna coperta di neve, con le pendici
che brulicavano di cavallette sedute su rose gigantesche.
Questa volta Mary Poppins poteva lasciarsi scappare
un sospiro senza urtare i suoi sentimenti.
«Oh, Berto» disse «questa sì che è una bella trovata!»
Dal modo in cui lo disse, gli fece intendere che il suo
quadro avrebbe dovuto figurare nell’Accademia Reale, che
sarebbe una grande stanza dove la gente espone i quadri
che ha dipinto. Ognuno va a vederli e, dopo averli guardati
a lungo, dice all’altro: «Che idea, mio caro!»
Ancora migliore era il disegno vicino, che Mary
Poppins e l’Uomo dei Fiammiferi si misero a osservare.
Rappresentava la campagna: alberi ed erba, e in
lontananza un pezzetto di mare azzurro e qualcosa sullo
sfondo che sembrava il paese di Yarmouth.
«Che bello!» esclamò Mary Poppins, ammirata,
avvicinandosi per vedere meglio. «Ma cosa avete, Berto?»
Proprio in quel momento l’Uomo dei Fiammiferi le
aveva preso l’altra mano e appariva molto eccitato.
«Mary» disse. «Ho un’idea. Una vera idea! Perché non
andiamo lì oggi, subito, anzi? Voglio dire nel disegno,
insieme. Eh, Mary?»
E tenendola sempre per mano, la condusse lontano
dalla strada, lontano dalla cancellata e dai lampioni,
proprio nel centro del disegno. Pifff! ecco, c’erano proprio
dentro.
Quanto verde c’era e quanta quiete, e che tenera
fresca erbetta sotto i loro piedi! Non potevano credere che
fosse vero, eppure c’erano rami verdi che sfioravano loro i
capelli quando si curvavano per passare sotto, e piccoli
fiori variopinti che facevano corona alle scarpe.
Si guardavano a occhi spalancati, e ciascuno notava
quanto fosse cambiato l’altro. A Mary Poppins sembrò che
l’Uomo dei Fiammiferi si fosse comprato un intero
guardaroba nuovo, perché indossava una giacca
fiammante a righe rosse e verdi e calzoni di flanella
bianca, e – questo era l’oggetto più bello – un cappello di
paglia nuovo. Appariva insolitamente lindo, come se fosse
stato ripassato a nuovo.
«Oh, Berto, come siete elegante!» gridò con voce piena
di ammirazione.
Berto per un momento non poté pronunciare una
parola, essendo rimasto a bocca aperta e con gli occhi
spalancati a guardarla. Poi inghiottì e disse: «Accidenti!»
Questo fu tutto. Ma lo disse in tal modo e il suo
sguardo esprimeva tanta sicurezza e soddisfazione, che lei
tirò fuori dalla borsetta uno specchietto e si guardò. Scoprì
che anche lei era cambiata. Sulle spalle aveva un
bellissimo mantello di seta lucente a disegni acquatici, e il
solletico che sentiva dietro, sul collo, veniva, secondo le
informazioni dello specchio, da una lunga piuma arricciata
che pendeva dall’ala del cappello. Non aveva più le sue
solite scarpe, ma al loro posto delle altre molto più
raffinate, con grosse fibbie di diamanti per guarnizione.
L’ombrello e i guanti bianchi c’erano ancora.
«Santo cielo!» disse Mary Poppins. «Questo sì che è un
vero Giorno Libero.»
Così, ammirandosi l’un l’altro, si inoltrarono nel
boschetto, finché giunsero in un piccolo spazio aperto
pieno di sole. E lì, su un tavolino verde, era preparato il tè
delle cinque.
Al centro c’era una pila di crostatine di lamponi che
arrivava alla cintola di Mary Poppins, accanto fumava il tè
in una grossa teiera di ottone, e, meraviglia delle
meraviglie, c’erano due piatti di meringhe e due
forchettine per tirarle su.
«Corbezzoli!» disse Mary Poppins. Diceva sempre così
quando era contenta.
«Accidenti!» disse l’Uomo dei Fiammiferi, e questa era
la sua esclamazione preferita.
«Non volete accomodarvi, signora?» disse una voce.
Si voltarono e videro un uomo alto, in abito nero, che
veniva fuori dal bosco con un tovagliolo sul braccio.
Mary Poppins, per quanto sorpresa, si sedette con un
plof su una delle sedie verdi intorno al tavolino.
L’Uomo dei Fiammiferi, sempre a occhi spalancati, si
lasciò cadere su un’altra.
«Sono il cameriere, io!» spiegò l’uomo in abito nero.
«Oh, ma non vi avevo visto nel quadro» disse Mary
Poppins.
«Infatti ero dietro l’albero» spiegò il cameriere.
«Non vi sedete?» chiese Mary Poppins, gentilmente.
«I camerieri non si siedono mai» rispose l’uomo, ma
sembrò compiaciuto della domanda.
«Le meringhe, signore» disse, spingendo il piatto verso
l’Uomo dei Fiammiferi. «E la vostra forchettina.» Spolverò
la forchettina nel tovagliolo e la porse a Berto.
Cominciarono a prendere il tè e il cameriere rimase
accanto a loro per accertarsi che avessero tutto quello che
occorreva.
«Adesso tocca a queste» mormorò forte Mary Poppins,
dando l’assalto alla pila di crostatine di lamponi.
«Accidenti» annuì l’Uomo dei Fiammiferi prendendone
due delle più grosse.
«Tè?» domandò il cameriere, riempiendo una grossa
tazza per ciascuno.
Bevvero le loro tazze e ne ebbero altre due per
ciascuno. Fecero sparire tutta la pila delle crostatine di
lamponi. Infine si alzarono e con la mano spazzarono via le
briciole.
«Non c’è niente da pagare» disse il cameriere prima
che avessero il tempo di chiedere il conto. «È un piacere.
Laggiù troverete la giostra.» E con la mano indicò un
piccolo spiazzo tra gli alberi, dove Mary Poppins e l’Uomo
dei Fiammiferi videro molti cavalli di legno che giravano in
fretta.
«Che buffo» disse lei. «Non ricordo di aver visto
nemmeno questo nel quadro.»
«Ah» disse l’Uomo dei Fiammiferi, che non se lo
ricordava neppure lui. «Questo, sapete, era sullo sfondo.»
La giostra stava rallentando proprio mentre si
avvicinavano. Vi saltarono sopra, Mary Poppins su un
cavallo nero e l’Uomo dei Fiammiferi su uno grigio.
E quando la musica riprese e cominciarono a muoversi,
cavalcarono diritti verso Yarmouth, e poi indietro, perché
quello era il posto che entrambi desideravano vedere.
Furono di ritorno che era quasi scuro e il cameriere li
stava cercando.
«Sono molto spiacente, signora e signore» disse
compitamente «ma chiudiamo alle sette. Una regola,
sapete. Posso indicarvi l’uscita?» Con un cenno discreto
assentirono, mentre il cameriere, agitando in aria il suo
tovagliolo, li precedette attraverso il bosco.
«Avete fatto un quadro meraviglioso, Berto, questa
volta» disse Mary Poppins, mettendogli una mano sotto il
braccio e stringendosi nel mantello.
«Be’, ho fatto del mio meglio, Mary» disse l’Uomo dei
Fiammiferi modestamente.
Ma dall’espressione avreste potuto vedere che invece
era molto compiaciuto di sé. In quel momento il cameriere
si fermò davanti a loro, accanto a una grande porta bianca,
che sembrava fatta di larghe righe di gesso.
«Ecco» disse «questa è l’uscita.»
«Arrivederci
e
grazie»
disse
Mary
Poppins,
stringendogli la mano.
«Arrivederci, signora» disse il cameriere inchinandosi
tanto profondamente che il capo gli picchiò contro il
ginocchio.
S’inchinò leggermente all’Uomo dei Fiammiferi, che
levò la testa strizzando un occhio, secondo il suo modo di
salutare. Poi Mary Poppins varcò la soglia e l’Uomo dei
Fiammiferi la seguì. E mentre camminavano, dal cappello
di lei cadde la piuma, e dalle spalle il mantello di seta, e
dalle scarpe le fibbie di diamanti. Gli abiti fiammanti
dell’Uomo dei Fiammiferi si scolorirono e il cappello di
paglia tornò a essere un vecchio berretto.
Mary Poppins si volse, lo guardò e comprese subito
quel che era successo. Ferma sul marciapiede, lo fissò a
lungo e poi con lo sguardo cercò il cameriere, dietro a lui,
nel bosco. Ma non riuscì a vederlo da nessuna parte.
Non c’era nessuno nel quadro. Nulla vi si muoveva.
Anche la giostra era scomparsa. Rimanevano solo gli
alberi quieti e l’erba e il piccolo pezzo di mare immobile.
Mary Poppins e l’Uomo dei Fiammiferi si scambiarono
un sorriso. Be’, sapevano ciò che si nascondeva dietro agli
alberi.
Quando la governante tornò a casa, dopo il suo Giorno
Libero, Giovanna e Michele le corsero incontro.
«Dove sei stata?» domandarono.
«Nel Paese delle Fate» disse Mary Poppins.
«Hai visto Cenerentola?» interrogò Giovanna.
«Huh, Cenerentola! No davvero!» disse Mary Poppins,
con disprezzo. «Cenerentola, figuriamoci!»
«Allora Robinson Crusoe» suggerì Michele.
«Robinson Crusoe, bah» disse Mary Poppins
bruscamente.
«Ma allora, come fai a dire di essere stata lì? Non
poteva essere il nostro Paese delle Fate.»
Mary Poppins arricciò il naso con superiorità.
«Non sapete» soggiunse con l’aria di compatirli «che
ciascuno ha il proprio Paese delle Fate?»
E con uno sbuffo andò di sopra a togliersi i guanti
bianchi e a riporre l’ombrello.
Gas Esilarante
«Sei sicura che sarà in casa?» domandò Giovanna, mentre
lei, Michele e Mary Poppins scendevano dall’autobus.
«Vorrei sapere perché mio zio avrebbe dovuto dirmi di
condurvi da lui per il tè, se intendeva uscire» rispose Mary
Poppins, evidentemente molto offesa dalla domanda.
Indossava il suo abito blu con i bottoni d’argento e il
cappello di un altro blu, intonato. Nelle giornate in cui era
vestita così, offenderla era la cosa più facile del mondo.
Tutti e tre erano in procinto di fare una visita allo zio di
Mary Poppins, il signor Parrucca, e Giovanna e Michele
avevano desiderato questa “spedizione” per tanto tempo
che quasi temevano che il signor Parrucca, alla fine, non
fosse in casa.
«Perché si chiama signor Parrucca? Ne porta una?»
domandò Michele, trotterellando più in fretta per restare
accanto a Mary Poppins.
«Si chiama signor Parrucca perché signor Parrucca è il
suo nome. E non ne porta nessuna. È calvo» disse Mary
Poppins. «E se mi fate un’altra domanda torneremo dritti a
casa.» E come al solito arricciò il naso, il che significava
scontento.
Giovanna e Michele si guardarono corrugando la
fronte. E questo voleva dire: «Non chiediamo più nulla,
altrimenti non andremo là mai più.»
All’angolo Mary Poppins mise ben dritto il cappello
specchiandosi nella vetrina del tabaccaio. La tabaccheria
aveva una di quelle curiose vetrine dove vi sembra di
essere tre invece di uno, cosicché, se vi rimirate a lungo,
cominciate a sentire che non siete più voi stessi, ma una
vera folla di altra gente.
Tuttavia Mary Poppins sospirò di piacere quando vide
tre se stesse, ciascuna con un abito blu guarnito di bottoni
d’argento e con un cappello blu intonato. Le sembrava una
vista così graziosa che avrebbe desiderato che di se stesse
ce ne fossero una dozzina.
«Andiamo» disse bruscamente ai bambini, come se
fossero stati loro a farla aspettare.
Poi voltarono l’angolo e suonarono il campanello del
numero 3 di via Robertson. Giovanna e Michele ne
sentirono l’eco lontana e pensarono con emozione che fra
un minuto o due avrebbero preso per la prima volta il tè
dallo zio di Mary Poppins, il signor Parrucca.
«Se c’è…» disse Giovanna in un soffio a Michele.
In quel momento la porta si aprì e apparve una signora
magra dall’aria dimessa.
«C’è?» si affrettò a domandare Michele.
«Ti sarò grata» disse Mary Poppins, lanciandogli uno
sguardo terribile, «se lascerai parlare me.»
«Buon giorno, signora Parrucca» disse Giovanna
educatamente.
«Signora Parrucca!» esclamò l’esile signora con una
voce più esile ancora. «Come osate chiamarmi signora
Parrucca? No, grazie, io sono soltanto la signorina
Persimmon, e ne sono fiera! Signora Parrucca, ma
figuriamoci!»
Sembrava fuori di sé e i bimbi pensarono che il signor
Parrucca doveva essere una persona molto bizzarra se la
signorina Persimmon era tanto contenta di non essere la
signora Parrucca.
«Di sopra, la prima porta del pianerottolo» disse la
signorina Persimmon. E se ne andò in fretta esclamando
fra sé e sé: «Signora Parrucca, ma figuriamoci!» con una
voce alta, acuta, indignata.
Giovanna e Michele seguirono Mary Poppins su per le
scale. Mary Poppins bussò alla porta.
«Avanti, avanti, benvenuti!» gridò dall’interno una voce
gioconda. Il cuore di Giovanna batteva a precipizio per
l’eccitazione.
«C’è» segnalò a Michele con lo sguardo.
Mary Poppins aprì la porta e li spinse avanti. Entrarono
in una stanza ampia e luminosa. Da una parte, in un
caminetto, il fuoco scoppiettava allegramente e al centro
c’era una tavola enorme preparata per il tè: quattro tazze
e relativi piattini, montagne di pane e burro, gallette,
pasticcini alle mandorle e una grossa torta coperta di
glassa rosa.
«Bene, questo è un vero piacere» li salutò una voce
sonora, e Giovanna e Michele girarono lo sguardo per
trovarne il proprietario. Non si riusciva a scovarlo. La
stanza appariva assolutamente vuota. Udirono Mary
Poppins domandare seccata: «Oh, zio Alberto, di nuovo?
Non è il tuo compleanno, vero?» E parlando guardava il
soffitto.
Giovanna e Michele guardarono anche loro in su e con
grande sorpresa videro un uomo rubicondo, grosso e
calvo, sospeso in aria senza essere attaccato a nulla.
Veramente sembrava seduto in aria, perché stava a gambe
incrociate e in quel momento aveva posato il giornale che
stava leggendo quando erano entrati.
«Mia cara» disse il signor Parrucca sorridendo ai
bambini e guardando Mary Poppins con aria di scusa
«sono molto spiacente, ma temo sia proprio il mio
compleanno.»
«Oh!» disse Mary Poppins.
«Me ne sono ricordato soltanto ieri sera e non c’era
tempo d’inviarvi un biglietto per avvertirvi di venire un
altro giorno. Una cosa molto seccante, vero?» disse
guardando Giovanna e Michele.
«Vedo che siete molto sorpresi» soggiunse il signor
Parrucca. E infatti le loro bocche stavano così spalancate
che il signor Parrucca, se fosse stato appena più piccolo,
avrebbe potuto caderci dentro.
«Farei meglio a spiegarvi, credo» continuò con calma.
«Io sono un allegrone: ridere mi piace moltissimo. Non
avete idea di quante cose mi mettono di buon umore.
Posso esilararmi quasi per ogni cosa, io.» E, dicendo
questo, il signor Parrucca cominciò a ciondolare su e giù,
scuotendosi dal ridere al pensiero della sua stessa allegria.
«Zio Alberto!» disse Mary Poppins, e il signor Parrucca
cessò di ridere con un sussulto.
«Oh, perdonami cara. Dov’ero rimasto? Ah sì! Il mio
caso comico – va bene, Mary, non voglio ridere, se mi è
possibile – consiste in questo: che quando il mio
compleanno cade di venerdì, bene, non posso dire di stare
coi piedi per terra» disse il signor Parrucca.
«Ma perché…» cominciò Giovanna.
«Ma come…» cominciò Michele.
«Be’, vedete, se io rido in questo giorno speciale,
comincio a gonfiarmi a tal punto di Gas Esilarante che
semplicemente non posso più stare a terra. Questo
succede anche se sorrido. Il primo pensiero buffo, e io mi
sollevo come un pallone. E finché non riesco a pensare a
qualcosa di serio, non torno giù.»
Dicendo questo il signor Parrucca cominciò a
sbellicarsi dalle risa, ma vide la faccia di Mary Poppins e,
interrotta di colpo la risata, continuò: «È stupido, certo,
ma non spiacevole. A voi non è mai successo, immagino.»
Giovanna e Michele scossero la testa.
«No, ero sicuro di no. Sembra che sia una mia
specialità. Una volta, dopo che la sera ero stato al Circo
Equestre, risi tanto che, lo credereste?, rimasi sollevato
per dodici ore di fila, e non potei tornare giù che dopo
l’ultimo rintocco della mezzanotte. Dopo naturalmente
venni giù con un plof, perché era sabato, e non era più il
mio compleanno. È una cosa strana, vero? Per non dire
buffa… E anche adesso è venerdì ed è il mio compleanno e
voi siete venuti a trovarmi. Oh, per carità, non fatemi
ridere, ve ne prego…»
Ma per quanto Giovanna e Michele non avessero fatto
nulla di molto divertente, tranne che guardarlo con
meraviglia, il signor Parrucca cominciò di nuovo a ridere
rumorosamente, e, mentre rideva, saltava e ballonzolava
per l’aria, col giornale in mano e gli occhiali su e giù per il
naso.
Il signor Parrucca era così comico, mentre si agitava in
aria come una grande bolla di sapone umana, ora
picchiando contro il soffitto e ora contro il lume, che
Giovanna e Michele, benché si sforzassero di comportarsi
educatamente, non poterono trattenersi dal fare quel che
fecero. Scoppiarono a ridere. E continuarono a ridere.
Strinsero la bocca per evitare che ne uscissero le risate,
ma non servì a nulla. Ecco che ora ruzzolavano qua e là sul
pavimento, gridando e strillando tra le risa.
«Ma guarda!» esclamò Mary Poppins. «Ma guarda che
modo di comportarsi!»
«Non posso farci nulla, non posso farci nulla» gridò
Michele, rotolando contro le molle del caminetto. «È così
buffo. Oh, Giovanna, non è buffo?»
Giovanna non rispose, perché le era accaduta una cosa
strana. Mentre rideva, si sentì diventare leggera, sempre
più leggera, come se si stesse gonfiando d’aria. Era una
sensazione strana e deliziosa, che le fece desiderare di
ridere ancor di più. E a un tratto, repentinamente, con un
balzo si sentì sollevare in aria. Sbalordito, Michele la vide
volare su, attraverso la stanza. Con un piccolo colpo toccò
il soffitto e continuò a dondolare per l’aria finché ebbe
raggiunto il signor Parrucca.
«Bene» disse il signor Parrucca, guardandola molto
sorpreso. «Non mi dirai che è anche il tuo compleanno,
vero?» Giovanna scosse la testa.
«No? Allora il Gas Esilarante dev’essere contagioso!
Ehi, tu laggiù, attento al caminetto.» Questo era per
Michele, che a un tratto si era sollevato dall’impiantito e si
librava per l’aria, sbellicandosi dalle risa e sfiorando,
mentre passava, le chincaglierie cinesi sul caminetto.
Atterrò con un rimbalzo sulle ginocchia del signor
Parrucca.
«Ben arrivato!» disse cordialmente il signor Parrucca,
stringendo la mano a Michele. «È un vero atto d’amicizia
da parte tua. Venire su da me, visto che io non posso
scendere giù da voi, eh?» E poi lui e Michele, guardandosi
l’un l’altro, rovesciarono indietro la testa e scoppiarono a
ridere.
«Oh!» disse a Giovanna il signor Parrucca,
asciugandosi gli occhi. «Starai pensando che sono la
persona più maleducata del mondo. Farti stare in piedi,
mentre dovresti star seduta, una signorina graziosa come
te. Temo di non poterti offrire una sedia quassù, ma mi
pare che potresti accomodarti tranquillamente in aria. Che
ne dici?»
Giovanna provò e constatò che poteva sedersi
comodamente in aria. Si tolse il cappello e lo posò vicino e
questo rimase sospeso in aria senza alcun sostegno.
«Bene» disse il signor Parrucca. Poi si volse in giù a
guardare Mary Poppins.
«Bene, Mary. Siamo a posto. E ora posso informarmi di
te. Sono molto contento di porgere il benvenuto a te e a
questi due giovani amici, oggi. Come, Mary, fai la faccia
scura? Eh, ho paura che disapprovi tutto questo.»
Fece un cenno con la mano a Giovanna e a Michele e
soggiunse in fretta: «Ti chiedo scusa, Mary, mia cara. Ma
sai quel che mi capita… Sinceramente non mi immaginavo
che i miei due giovani amici si sarebbero sollevati fin qui,
veramente no, Mary. Li avrei invitati per un altro giorno,
oppure avrei cercato di pensare a qualcosa di triste, a
qualcosa…»
«Be’, devo dire» cominciò Mary Poppins «devo dire che
non ho mai visto una cosa simile in tutta la mia vita. E alla
tua età, zio…»
«Mary Poppins, Mary Poppins, vieni su» interruppe
Michele. «Pensa a qualcosa di buffo e vedrai che è
facilissimo.»
«Su, dunque, Mary» soggiunse il signor Parrucca, in
tono suadente.
«Ci sentiamo tristi quassù senza di te» disse Giovanna,
e stese le braccine verso Mary Poppins. «Pensa a qualcosa
di comico.»
«Ah, per lei non è necessario» sospirò il signor
Parrucca. «Può venire su, se vuole, anche senza ridere e
lei lo sa.» E guardò con aria segreta e misteriosa Mary
Poppins, che se ne stava immobile sul tappeto vicino al
caminetto.
«Be’» disse Mary Poppins «tutto ciò è molto stupido e
poco dignitoso, ma poiché voi siete lassù e sembra che non
possiate scendere, tanto vale che salga.»
E subito, con la più viva sorpresa di Giovanna e
Michele, si mise le mani sui fianchi e senza una risata,
senza neppure l’ombra di un sorriso, balzò in aria e si
sedette vicino a Giovanna.
«Quante volte» disse in tono secco «ti ho detto di
toglierti il cappotto quando entri in una stanza calda?» E
sbottonò il cappotto di Giovanna e lo posò, con cura, in
aria vicino al cappello.
«Bene, bene, Mary» disse il signor Parrucca
soddisfatto, chinandosi a posare gli occhiali sul caminetto.
«Ora siamo sistemati comodamente.»
«C’è comodità e comodità» disse Mary Poppins con
un’arricciata di naso.
«E possiamo prendere il tè» soggiunse il signor
Parrucca, facendo finta di non aver notato l’osservazione.
Ma subito il suo volto si velò di sgomento. «Perbacco»
disse «che cosa terribile. Solo adesso mi accorgo che la
tavola è giù e noi stiamo su. Cosa facciamo? Noi qui e la
tavola lì. È una vera tragedia, una vera tragedia. Ma, oh, è
tremendamente buffo.» E, nascondendo la faccia nel
fazzoletto, scoppiò a ridere sonoramente. Anche Giovanna
e Michele, sebbene non volessero perdere le gallette e i
dolci, non poterono trattenersi dal ridere, perché l’allegria
del signor Parrucca era veramente contagiosa.
Il signor Parrucca si asciugò gli occhi.
«C’è un solo rimedio» disse «dobbiamo pensare a
qualcosa di serio. Qualcosa di triste. Molto triste. E allora
potremo scendere giù. Dunque: uno, due, tre. Qualcosa di
molto triste, capito?»
Si misero a pensare, poggiando il mento sulla mano.
Michele pensava alla scuola e al giorno in cui avrebbe
dovuto andarci. Ma oggi anche questo sembrava buffo, e
Michele cominciò a ridere.
Giovanna pensava: “Fra quattordici anni sarò grande.”
Ma tale pensiero, invece di suonare triste, sembrava molto
piacevole e piuttosto buffo.
Non poté fare a meno di sorridere pensando a se stessa
cresciuta, con una gonna lunga e una borsetta.
«C’era una volta la mia povera vecchia zia Emilia»
pensava il signor Parrucca ad alta voce. «Andò sotto un
omnibus. Triste. Molto triste. Insopportabilmente triste.
Povera zia Emilia. Ma il suo ombrello lo recuperarono sano
e salvo. Una cosa buffa, vero?» Ma, ancor prima di
accorgersene, ecco che si mise a sussultare, a tremare, e
scoppiò a ridere al pensiero dell’ombrello della zia Emilia.
«Non va bene» disse soffiandosi il naso. «Non riesco. E
anche i miei giovani amici non sono diventati più tristi di
me. Mary, non puoi far niente? Desideriamo il tè.»
Ancora oggi Giovanna e Michele non sono sicuri di
quello che successe allora. Quello che sanno di certo è
che, appena il signor Parrucca si rivolse a Mary Poppins, la
tavola
sottostante
prese
a
traballare.
Ondeggiò
pericolosamente, e, con un fracasso di stoviglie, mentre i
dolci si rovesciavano dal piatto, si avvicinò planando
attraverso la stanza, si girò graziosamente e finalmente
atterrò in mezzo a loro, in modo che il signor Parrucca si
trovò capotavola.
«Brava ragazza» disse il signor Parrucca, sorridendole
orgogliosamente. «Lo sapevo che avevi architettato
qualcosa. Ora vuoi metterti all’altro capo della tavola e
versare il tè, Mary? E gli ospiti dall’altro lato. Buona
idea!» disse a Michele, vedendolo correre sospeso in aria e
sedersi alla sua destra. Giovanna era alla sua sinistra.
Finalmente eccoli tutti insieme in aria, con la tavola in
mezzo a loro. Neppure una fetta di pane e burro, né un
quadretto di zucchero era andato perduto. Il signor
Parrucca sorrise contento.
«D’abitudine, credo, si comincia con pane e burro»
disse a Giovanna e Michele, «ma siccome è il mio
compleanno, cominceremo proprio al contrario, che è
sempre, io credo, il verso giusto: con il dolce.» E tagliò
una grossa fetta per ciascuno.
«Ancora tè?» domandò a Giovanna. Ma prima che lei
avesse il tempo di rispondere, si udì un leggero bussare
alla porta.
«Avanti» gridò il signor Parrucca.
La porta si aprì: era la signorina Persimmon con un
bricco d’acqua calda e un vassoio.
«Pensavo, signor Parrucca» cominciò girando lo
sguardo per la stanza «che forse volevate dell’altra
acqua… Oh! Mai! Mai assolutamente» esclamò vedendoli
tutti seduti in aria intorno al tavolo «non ho mai visto una
cosa simile! Ne sono sicura, signor Parrucca. Lo sapevo da
un pezzo che eravate un po’ bizzarro. Ma ho chiuso un
occhio, dato che mi pagavate regolarmente l’affitto. Ma un
simile modo di comportarsi! Prendere il tè per aria con i
vostri ospiti, signor Parrucca. Signore, io sono stupita di
voi! È una cosa indegna di un uomo della vostra età! Non
ho mai…»
«Ma forse voi vorreste, signorina Persimmon…» disse
Michele.
«Vorreste che cosa?» domandò la signorina Persimmon
altezzosamente.
«Prendere come noi il Gas Esilarante» disse Michele.
La signorina Persimmon scosse la testa con disprezzo.
«Spero, giovanotto» replicò, «di avere tanto rispetto
per me stessa da non andare rimbalzandoper l’aria come
una palla di gomma sopra una racchetta. Starò sulle mie
gambe, grazie, com’è vero che mi chiamo Amy Persimmon
e… Oh, per carità! Oh, santo cielo! … cosa succede! Non
posso camminare… Sto andando… Io… oh, aiuto, aiuto!»
Infatti la signorina Persimmon, assolutamente contro la
sua volontà, stava staccandosi da terra e oscillando
nell’aria, piegandosi da una parte e dall’altra come
un’esile piuma, mentre cercava di tenere in equilibrio il
vassoio. Stava quasi per piangere dalla disperazione,
quando arrivò alla tavola e vi posò il bricco dell’acqua
calda.
«Grazie» disse Mary Poppins, molto compita. Poi la
signorina Persimmon si volse, e di colpo tornò giù a terra,
mormorando: «Che cosa vergognosa, io, una donna ben
nata… Devo consultare un dottore…»
Appena toccato il pavimento corse di furia fuori dalla
stanza, torcendosi le mani senza dare uno sguardo
indietro.
«Che cosa indegna» la udirono lamentarsi, dopo che
ebbe chiuso la porta dietro di sé.
«È chiaro che non si chiama Amy Persimmon, visto che
non è rimasta sulle sue gambe» sussurrò Giovanna a
Michele.
Ma il signor Parrucca stava guardando Mary Poppins,
con un curioso sguardo mezzo divertito e mezzo
accusatore.
«Mary, Mary, non dovevi, benedetta anima, non dovevi,
Mary! La povera vecchia non si riavrà mai più. Ma, santo
cielo, non era buffo vederla dondolare in aria? Santo cielo,
non era buffa?» E lui e Giovanna e Michele scoppiarono di
nuovo a ridere, dondolando in aria, tenendosi i fianchi, e
quasi soffocando al pensiero di quanto era sembrata buffa
la signorina Persimmon.
«Oh, per carità» disse Michele «non mi fate più ridere.
Non posso resistere. Scoppierò!»
«Oh, oh, oh» gridò Giovanna, senza respiro, con una
mano sul cuore.
«Oh, Bontà Divina, Celeste, Gloriosa!» mugolò il signor
Parrucca, asciugandosi gli occhi con le falde della giacca,
nell’impossibilità di trovare il fazzoletto.
«È ORA DI ANDARE A CASA.» La voce di Mary
Poppins risuonò sopra gli scoppi di risa, come una tromba.
Immediatamente Giovanna e Michele e il signor
Parrucca piombarono giù. Atterrarono con un gran colpo
tutti insieme. Il pensiero di dover andare a casa era il
primo pensiero triste della giornata e, appena entrato
nella loro mente, li vuotò del Gas Esilarante.
Giovanna e Michele sospirarono, guardando Mary
Poppins discendere lentamente, col cappello e il cappotto
di Giovanna in mano.
Anche il signor Parrucca sospirò. Un grande, lungo,
pesante sospiro.
«Bene, non è un peccato?» disse calmo. «È molto triste
che dobbiate andare a casa. Non ho mai passato un
pomeriggio così divertente. E voi?»
«Mai» disse Michele malinconicamente, pensando
quanto era insipido essere di nuovo sulla terra, senza Gas
Esilarante.
«Mai, mai» disse Giovanna, alzandosi in punta di piedi
a baciare le guance di mela appassita del signor Parrucca.
«Mai, mai, mai, mai.»
Andando a casa, in autobus, si sedettero accanto a
Mary Poppins, uno da una parte e uno dall’altra. Erano
tutti e due molto quieti, assorti a ripensare a quel
pomeriggio straordinario. A un tratto Michele, mezzo
addormentato, domandò a Mary Poppins: «Si comporta
spesso così tuo zio?»
«Così come?» lo investì Mary Poppins, brusca, quasi
che Michele le avesse detto deliberatamente qualcosa di
offensivo.
«Volevo dire, tutto quel saltare e rimbalzare e ridere e
alzarsi in aria.»
«Alzarsi in aria?» La voce di Mary Poppins era acuta e
seccata. «Cosa intendi, scusa, per alzarsi in aria?»
Giovanna cercò di spiegare.
«Michele voleva sapere se tuo zio si riempie spesso di
Gas Esilarante, e se rimbalza spesso e resta sospeso al
soffitto, quando…»
«Rimbalza e resta sospeso? Che idea! Rimbalza e resta
sospeso al soffitto! Adesso magari direte che è un
pallone!» Mary Poppins era evidentemente molto offesa.
«Ma lo ha fatto» insistette Michele, «lo abbiamo visto.»
«Cosa? Rimbalzare e rimanere sospeso! Come osate!
Voglio che sappiate che mio zio è una persona sobria, un
uomo onesto, un gran lavoratore e mi farete il piacere di
parlare di lui con rispetto. E non gualcite il vostro
biglietto. Balzare e stare sospeso, davvero, che bell’idea!»
Giovanna e Michele si guardarono l’un l’altro
attraverso Mary Poppins. Non dissero nulla, avendo
imparato che era meglio non discutere con lei anche se
una cosa appariva molto bizzarra.
Ma lo sguardo scambiato tra loro diceva: “È vero o non
è vero? Sul signor Parrucca ha ragione Mary Poppins
oppure noi?”
Ma nessuno poteva dare la risposta giusta.
L’autobus correva a precipizio, dando dei forti scossoni.
Mary Poppins stava seduta tra loro, offesa e muta, e
finalmente i bambini, che erano molto stanchi, le si
rannicchiarono vicino, le si appoggiarono addosso e si
addormentarono, senza aver trovato una risposta alle loro
domande.
Andrea della signorina Lark
La signorina Lark abitava alla Porta Accanto. Ma prima di
proseguire debbo dire com’era la Porta Accanto.
Era una grande casa, di gran lunga la più grande del
Viale dei Ciliegi. Si diceva che persino l’Ammiraglio Boom
invidiasse la magnifica casa della signorina Lark, sebbene
quella di lui avesse delle ciminiere da bastimento invece
dei soliti fumaioli di camini e nel giardino l’asta per la
bandiera. Tante e tante volte gli abitanti del Viale lo
avevano udito ripetere, mentre passava dinanzi alla casa
della signorina Lark: «Corpo di mille bombe! Cosa vorrà
dimostrare con una casa come quella!»
E il motivo della gelosia dell’Ammiraglio Boom era che
la signorina Lark aveva due cancelli. Uno era per gli amici
e i parenti della signorina Lark, e l’altro per il macellaio,
per il panettiere, per il lattaio.
Una volta il panettiere si sbagliò ed entrò dal cancello
riservato agli amici e parenti, e tanto si infuriò la signorina
Lark, da arrivare a dire che non avrebbe mai più comprato
il pane.
Ma alla fine dovette perdonare il panettiere perché lui
solo nel vicinato faceva quei panini morbidi con la crosta
arricciata in cima. Tuttavia non lo guardò più con simpatia
e quando l’uomo andava da lei si calava il berretto sugli
occhi in modo che la signorina Lark potesse scambiarlo
per qualcun altro. Ma lei non ci cascò mai.
Giovanna e Michele sapevano sempre quando la
signorina Lark era in giardino o passeggiava per il Viale,
perché portava così tanti fermagli e collane e orecchini
che tintinnava e faceva chiasso come una banda.
E quando li incontrava diceva sempre la stessa cosa:
«Buon giorno» o «Buona sera» se era di pomeriggio, e
«Come stiamo oggi?» E Giovanna e Michele non sapevano
mai bene se la signorina Lark chiedeva come stavano loro
oppure come stavano lei stessa e Andrea. Così
rispondevano soltanto: «Buona sera» oppure «Buon
giorno» se appunto era mattina.
Tutto il giorno, non importa dove fossero, potevano
udire la signorina Lark che a voce distesa chiamava:
«Andrea, dove sei?» oppure: «Andrea, non devi uscire
senza il cappotto» oppure: «Andrea, vieni dalla mamma.»
E, non sapendo nulla, voi potreste credere che Andrea
sia un ragazzino. Infatti Giovanna pensava che la signorina
Lark pensasse che Andrea era un ragazzino. Ma non era
un ragazzino. Era un cane. Uno di quei cani piccoli, serici
e piumosi che sembrano un collo di pelliccia, fino a quando
non cominciano ad abbaiare. Ma evidentemente, quando
cominciano a far così, voi siete certi che sono cani. Nessun
collo di pelliccia ha mai fatto un rumore simile.
Ora, Andrea conduceva una vita così raffinata che voi
avreste potuto credere che fosse un Pascià in incognito.
Dormiva su un cuscino di seta nella stanza della signorina
Lark. Due volte alla settimana andava in automobile dal
parrucchiere per farsi lavare il pelo. Mangiava sempre cibi
alla crema e qualche volta ostriche e possedeva quattro
cappotti a scacchi e a righe di differenti colori. Ciascuno
dei giorni di Andrea era pieno di quel genere di cose che la
maggioranza delle persone ha solo per il compleanno. E
quando era proprio il compleanno di Andrea, il cane aveva
sulla torta due candele per ciascun anno, invece di una.
La conseguenza di tutto questo era che ai vicini Andrea
era molto antipatico. La gente soleva ridere di gran cuore
alla vista di Andrea seduto al posto d’onore
nell’automobile della signorina Lark, diretto dal
parrucchiere, con la coperta di pelliccia sulle zampette e
indosso il suo miglior cappotto. E il giorno in cui la
signorina Lark gli comperò due paia di stivaletti di cuoio
perché potesse andare al Parco col tempo buono e cattivo,
ogni abitante del viale venne fin sul cancello a vederlo,
nascondendo il sorriso dietro la mano.
«Puah» disse Michele, un giorno in cui stavano
guardando Andrea attraverso la rete che separava il
numero 17 dalla Porta Accanto. «Puah, è proprio un
piccolo scioccherello.»
«Come fai a saperlo?» chiese Giovanna molto
interessata.
«Lo so, perché una volta ho sentito il papà che lo
chiamava così» disse Michele e rise sfacciatamente rivolto
ad Andrea.
«Non è uno scioccherello» disse Mary Poppins. «E
questo è quanto.»
Mary Poppins aveva ragione. Andrea non era uno
sciocco, come vedrete prestissimo. Non dovete credere
che non avesse rispetto per la signorina Lark. Ne aveva.
Le voleva anche bene, teneramente, a suo modo. Non
poteva non provare un sentimento gentile per una persona
che era stata così buona con lui fin da quando era piccolo,
anche se lo baciava un po’ troppo spesso. Ma non c’è
dubbio che la vita che Andrea conduceva lo faceva
impazzire dalla noia. Avrebbe dato metà della sua fortuna,
se ne avesse avuta una, per un bel pezzettino di carne
rossa cruda, invece del solito petto di pollo o delle uova
strapazzate con asparagi.
Perché nel segreto, nel profondo del cuore, Andrea
desiderava ardentemente essere un cane come gli altri.
Non passava mai davanti al suo pedigree – che stava
appeso nel salotto della signorina Lark – senza un brivido
di vergogna. E molte volte avrebbe desiderato di non aver
mai avuto un padre, né un nonno, né un bisnonno, dato
che la signorina Lark dava così tanta importanza alla cosa.
Questo desiderio di essere un cane qualsiasi gli faceva
scegliere per amici tutti i cani comuni. E perciò, quando
gliene capitava l’occasione, correva giù al cancello e si
accovacciava a spiarne il passaggio per poter scambiare
con loro qualche parola. Ma potete star sicuri che la
signorina Lark, appena lo scopriva, gli gridava: «Andrea,
Andrea, vieni dentro, caro; sta’ lontano da quei terribili
predoni della strada.»
E naturalmente Andrea doveva rientrare, altrimenti la
signorina Lark lo avrebbe svergognato uscendo fuori per
riportarlo dentro. E Andrea arrossiva e accelerava il passo
affinché i suoi amici non udissero come lo chiamava: il suo
tesoro, la sua gioia, il suo zuccherino.
Il più intimo amico di Andrea era un cane più che
comune: era un tipo per metà cane da caccia e per metà
barbone, e aveva preso di tutti e due la metà peggiore.
Appena c’era una battaglia per la strada, lui si gettava
nella mischia. Era sempre in guerra con il postino e con il
vigile, e la cosa che gli piaceva soprattutto era aggirarsi
annusando nei rigagnoli e nella spazzatura.
Era insomma la leggenda della strada e da più di una
persona si era sentito dire che – grazie al cielo – non era il
loro cane.
Ma Andrea gli voleva bene e non aspettava che lui.
Qualche volta avevano solo il tempo di scambiarsi
un’annusata nel Parco, ma in occasioni più fortunate,
sebbene molto rare, potevano fare una lunga chiacchierata
al cancello. Dal suo amico, Andrea apprendeva tutti i
pettegolezzi della città e dal modo con cui rideva alle
parole del compagno, avreste capito che questi
pettegolezzi non erano benevoli per il prossimo.
Poi all’improvviso si udiva la voce della signorina Lark
che lo chiamava dalla finestra e allora l’altro cane si
drizzava, ergeva le orecchie, mostrava la lingua alla
signorina Lark, strizzava l’occhio ad Andrea, e infine se la
squagliava scodinzolando, proprio per dimostrare la sua
indifferenza.
Andrea, naturalmente, non aveva il permesso di uscire
dal cancello, a meno che non andasse con la signorina
Lark a fare una passeggiata nel Parco, oppure dal
pedicure con una delle cameriere. Immaginate dunque la
sorpresa di Giovanna e Michele quando videro Andrea solo
soletto, nel Parco, passar loro davanti, con le orecchie giù
e la coda su, quasi fosse sulle tracce di una tigre.
Mary Poppins alzò di scatto la carrozzina, per evitare
che Andrea, nella sua corsa selvaggia, la rovesciasse
insieme ai gemelli. E Giovanna e Michele gettarono un
grido al suo passaggio.
«Ehi, Andrea! Dove hai lasciato il cappotto?» gridò
Michele, cercando di imitare la voce acuta e tempestosa
della signorina Lark.
«Andrea, bambino cattivo» disse Giovanna e la sua
voce, dato che era una ragazza, somigliava molto di più a
quella della signorina Lark.
Ma Andrea li guardò altezzosamente e abbaiò in
direzione di Mary Poppins.
«Hap, hap!» ripeté Andrea in tutta fretta.
«Vediamo un po’. Credo che sia la prima strada sulla
destra e la seconda casa sul lato sinistro.»
«Hap?» disse Andrea.
«No, niente giardino. Solo un cortile. Il cancello
generalmente è aperto.»
Andrea abbaiò di nuovo.
«Non sono sicura» disse Mary Poppins «ma mi sembra
di sì. Generalmente va a casa proprio all’ora del tè.»
Andrea gettò la testa indietro e fuggì al galoppo.
Gli occhi di Giovanna e Michele erano grandi come
piattini per la sorpresa.
«Cosa stava dicendo?» domandarono tutti e due
insieme, trattenendo il respiro.
«Niente, tanto per passare il tempo» disse Mary
Poppins e serrò la bocca con forza come se proprio non
intendesse lasciarne scappare altre parole. Giovannino e
Barbara gorgogliarono dalla loro carrozzina.
«Non è vero» disse Michele.
«Non è vero» disse Giovanna.
«Già, voi lo sapete meglio di me, naturalmente, come al
solito» disse Mary Poppins, ironica.
«Deve averti domandato dove abita qualcuno, sono
sicuro…» cominciò Michele.
«Bene, se lo sapete, perché tormentarmi con le
domande?» disse Mary Poppins arricciando il naso. «Io
non sono un dizionario.»
«Oh, Michele» disse Giovanna «lei non ci dirà mai
niente se tu parli così. Mary Poppins, per piacere, sii
buona, dicci cosa stava dicendo Andrea.»
«Chiedilo a lui. Lui lo sa. Il signor Sotutto» disse Mary
Poppins, sprezzante, indicando con la testa Michele.
«Oh, no. Io non lo so. Giuro che non lo so, Mary
Poppins. Diccelo…»
«Sono le tre e mezzo. Faremo tardi per il tè» disse
Mary Poppins, poi voltò la carrozzina e di nuovo serrò la
bocca come se fosse una trappola. Fino al ritorno a casa,
non disse più una parola. Giovanna trottava dietro con
Michele.
«È colpa tua» gli diceva. «Adesso non lo sapremo più.»
«Non me ne importa!» diceva Michele e diede una
spinta veloce al suo monopattino. «Non lo voglio sapere.»
Ma invece smaniava per saperlo. E successe che lui e
Giovanna e tutti quanti fossero al corrente di tutta la
storia prima dell’ora del tè.
Mentre stavano per attraversare la strada e andare a
casa loro, udirono alte grida provenire dalla Porta Accanto
e videro uno spettacolo curioso. Le due cameriere della
signorina Lark correvano selvaggiamente per il giardino,
guardando sotto le siepi e sugli alberi, come se avessero
perduto qualcosa di gran valore.
E c’era Robertson Ay, del numero 17, che perdeva
laboriosamente il suo tempo a frugare con una scopa nella
ghiaia del vialetto della signorina Lark, come se si
aspettasse di trovare il tesoro perduto sotto un sasso.
La stessa signorina Lark correva per il giardino,
torcendosi le mani e chiamando: «Andrea! Andrea! Oh, si è
perso! Il mio diletto ragazzo si è perso! Dobbiamo
avvertire la polizia! Devo vedere il Primo Ministro! Andrea
si è perso! Oh, me infelice!»
«Oh, povera signorina Lark» disse Giovanna
attraversando di corsa la strada. Era veramente
addolorata di vedere la signorina Lark così sconvolta.
Ma fu Michele a confortare realmente la signorina
Lark. Mentre stava per infilare il cancello del numero 17,
guardò giù per il Viale e vide…
«Ma come? Ecco Andrea, signorina Lark! Guardate,
laggiù, proprio all’angolo della casa dell’Ammiraglio
Boom.»
«Dove, dove? Fammi vedere!» disse la signorina Lark
senza respiro, e scrutò nella direzione verso cui puntava il
dito Michele.
E là, infatti, c’era Andrea, che avanzava pian piano con
l’aria più serafica e innocente del mondo. E dietro di lui
trottava un grosso cane che sembrava per metà un cane
da caccia e per metà un barbone, e di entrambi la metà
peggiore.
«Oh, che sollievo!» disse la signorina Lark con un gran
sospiro. «Che peso tolto dal cuore!»
Mary Poppins e i bambini aspettavano nel Viale, fuori
dal cancello; la signorina Lark e le due cameriere
guardavano al di là del muretto; Robertson Ay, interrotto il
suo lavoro, si era appoggiato alla scopa, e tutti insieme
miravano in silenzio il ritorno di Andrea.
Lui e il suo amico marciavano con calma verso il
gruppo, agitando graziosamente la coda, con le orecchie
ritte, e avreste potuto giudicare dall’espressione degli
occhi di Andrea che, qualsiasi cosa intendesse fare, la sua
risoluzione era ferma.
«Quel sudicio cane!» esclamò la signorina Lark
guardando il compagno di Andrea. «Via! Via!» gridò.
Ma il cane si accucciò proprio sul marciapiede, si
grattò l’orecchio destro con la zampa sinistra e tirò uno
sbadiglio.
«Pussa via, pussa via! Vattene a casa!» disse la
signorina Lark, agitando le mani rabbiosamente verso il
cane.
«E tu, Andrea» proseguì «entra subito in casa! Uscire
in questo modo! Solo, solo e senza cappotto. Sono molto
scontenta di te!»
Andrea abbaiò pigramente, ma non si mosse.
«Cosa stai dicendo, Andrea? Vieni dentro subito» disse
la signorina Lark.
Andrea abbaiò ancora.
«Dice» spiegò Mary Poppins «che non entra.»
La signorina Lark si volse a guardarla altezzosamente.
«Come fa lei a sapere quel che dice il mio cane? Certo
che entrerà.»
Andrea tuttavia si limitò a scuotere la testa e fece due
o tre mugolii sommessi.
«Non vuole» disse Mary Poppins «finché non entra
anche il suo amico.»
«È un’assurdità» ribatté corrucciata la signorina Lark.
«Non può essere che dica questo. Come se potessi tenere
un simile bastardone nel mio giardino.»
Andrea abbaiò due o tre volte.
«Dice che intende proprio questo» ripeté Mary
Poppins. «E, anzi, andrà a vivere col suo amico, a meno
che lei non permetta anche al suo amico di venire ad
abitare da lei.»
«Oh, Andrea, non puoi, non puoi veramente, dopo tutto
quello che ho fatto per te.» La signorina Lark era quasi in
lacrime.
Andrea abbaiò e si voltò. L’altro cane si tirò su.
«Oh, ha proprio intenzione di farlo» gridò la signorina
Lark. «È chiaro che vuole farlo. Se ne sta andando.»
Singhiozzò per un momento nel fazzoletto, poi si soffiò il
naso e disse: «Va bene, allora, Andrea. Acconsento.
Questo… questo cane può restare. A condizione,
beninteso, che dorma nel deposito del carbone.»
Un’abbaiata da parte di Andrea.
«Insiste, signora; dice che non è assolutamente
possibile. Il suo amico deve avere un cuscino di seta come
il suo e dormire anche lui nella sua stanza. Altrimenti
andrà via, a dormire nel deposito del carbone con il suo
amico» disse Mary Poppins.
«Andrea, come potresti…» gemette la signorina Lark.
«Non accetterò mai una cosa simile.»
Andrea la guardò con l’aria di essere pronto ad andar
via. Così fece l’altro cane.
«Oh, mi lascia» gridò la signorina Lark. «Bene, allora,
Andrea; sarà secondo il tuo desiderio. Dormirà nella mia
stanza. Ma io non sarò più la stessa, mai più, mai più. Un
simile cagnaccio!»
Si asciugò gli occhi gocciolanti e proseguì: «Non avrei
mai immaginato una cosa simile da parte tua, Andrea. Ma
non aggiungo altro, non importa quel che penso. E
questa… creatura… la chiamerò Randagio o Trovatello
o…»
A queste parole l’altro cane guardò la signorina Lark
indignatissimo e Andrea abbaiò vivamente.
«Dice che bisogna chiamarlo Benvenuto, niente altro
che Benvenuto» disse Mary Poppins. «Dato che Benvenuto
è il suo nome.»
«Di male in peggio!» disse la signorina Lark in tono
disperato. «Cosa dice adesso?» Infatti Andrea abbaiava di
nuovo.
«Dice che se torna indietro, lei non deve più fargli
indossare il cappotto o mandarlo ancora dal parrucchiere.
Questo è l’ultimatum» disse Mary Poppins.
Ci fu una pausa.
«Benissimo» disse finalmente la signorina Lark. «Ma ti
avverto, Andrea: se poi muori di polmonite, non dare la
colpa a me!»
E con questo si voltò, e si avviò verso casa con
un’andatura altera e sdegnosa, tirando su per il naso il
resto delle lacrime.
Andrea fece un segno con la testa a Benvenuto come
per dire: «Entriamo.» Tutti e due si misero a trotterellare
allegramente per il vialetto del giardino, agitando le code
come bandiere, seguendo la signorina Lark.
«Dopo tutto, vedi, non è uno scioccherello» disse
Giovanna, mentre salivano in camera loro a prendere il tè.
«No» fu d’accordo Michele. «Ma come ti spieghi che
Mary Poppins lo sapesse?»
«Non lo so» disse Giovanna. «E neppure ce lo dirà mai,
mai. Ne sono sicura.»
La mucca danzante
Giovanna, con la testa fasciata dal fazzolettone di Mary
Poppins, era a letto con il mal d’orecchi.
«Cosa ti senti?» domandò Michele.
«Come se mi sparassero dei colpi dentro la testa» disse
Giovanna.
«Di cannone?»
«No, di fuciletti.»
«Oh!» disse Michele. Quasi desiderò di avere anche lui
il mal d’orecchi. Sembrava una cosa così elettrizzante!
«Debbo
leggerti
qualche
storia?»
disse
Michele
dirigendosi verso la libreria.
«No. Non potrei sopportarlo» disse Giovanna tenendosi
l’orecchio con una manina.
«Allora devo mettermi alla finestra e dirti quello che
succede fuori?»
«Sì, questo sì» disse Giovanna.
Così Michele stette tutto il pomeriggio seduto presso la
finestra a raccontarle quanto succedeva nel Viale. Qualche
volta i suoi racconti erano molto monotoni, e qualche altra
molto interessanti.
«C’è l’Ammiraglio Boom!» disse a un certo punto. «È
uscito dal cancello e scende in fretta lungo il Viale. Eccolo
che arriva. Ha il naso più rosso del solito e porta un
cilindro. Sta passando davanti alla Porta Accanto.»
«Dice “Corpo di mille bombe?”» domandò Giovanna.
«Non riesco a sentirlo. Credo di sì. Nel giardino della
signorina Lark c’è la seconda cameriera della signorina
Lark. E nel nostro giardino c’è Robertson Ay che raccoglie
le foglie e guarda la cameriera al di là della staccionata.
Ora si è seduto per un riposino.»
«Ha il cuore debole» disse Giovanna.
«Come lo sai?»
«Me lo ha detto lui. Mi ha detto che il dottore gli ha
raccomandato di fare il meno possibile. E io ho sentito dire
da papà che se Robertson Ay fa come gli ha detto il
dottore, guai a lui! Oh, come batte, come batte!» disse
Giovanna di nuovo tenendosi l’orecchio con la mano.
«Accipicchia!» disse Michele dalla finestra tutto
eccitato.
«Cosa c’è?» gridò Giovanna, mettendosi a sedere.
«Dimmelo.»
«Proprio una cosa straordinaria. C’è una mucca giù nel
Viale» disse Michele saltando su e giù sul suo sgabellino.
«Una mucca? Una vera mucca proprio nel mezzo di
una città? Che buffo! Mary Poppins!» chiamò Giovanna.
«Michele dice che c’è una mucca nel Viale.»
«Sì, e cammina pian piano, mettendo la testa al di
sopra di ogni cancello e guardando intorno come se avesse
perduto qualcosa.»
«Come mi piacerebbe vederla…» disse Giovanna
imbronciata.
«Guarda!» disse Michele, puntando il ditino mentre
Mary Poppins si avvicinava alla finestra. «Una mucca. Non
è buffo?»
Mary Poppins gettò un rapido sguardo indagatore giù
nel Viale, poi trasalì di sorpresa.
«Certo che no» disse volgendosi a Giovanna e Michele.
«Non è affatto buffo. Io conosco quella mucca. Era una
grande amica di mia madre e vi sarò grata se parlerete di
lei con rispetto.» Si lisciò il grembiule e li squadrò molto
severamente.
«La conosci da molto tempo?» domandò Michele,
sperando che, se fosse stato particolarmente cortese,
avrebbe appreso qualcosa di più sulla mucca.
«Da prima che vedesse il Re» disse Mary Poppins.
«E questo quando fu?» domandò Giovanna con una
voce lieve e incoraggiante.
Mary Poppins guardò fisso nel vuoto, puntando gli
occhi verso qualcosa che i bambini non potevano vedere.
Giovanna e Michele trattennero il respiro in attesa.
«È stato molto tempo fa» disse Mary Poppins con la
voce sommessa di chi racconta una fiaba. Fece una pausa
come se dovesse ricordare avvenimenti accaduti centinaia
di anni prima. Poi proseguì a narrare come in sogno,
fissando ancora lo sguardo nel centro della stanza, ma
senza vedere nulla.
«La Mucca Rossa, questo era il suo nome. Ed era una
bestia molto importante e florida, così diceva mia madre.
Viveva nel campo migliore dell’intera regione, un campo
pieno di botton d’oro, ognuno della misura di un piatto, e
di soffioni quasi più alti delle ginestre. Il campo era tutto
del color della primula e dorato di ranuncoli e soffioni
eretti come soldati. Ogni qualvolta lei mangiava la testa di
un soldato, un altro ne cresceva al suo posto, con un verde
cappotto militare e un berretto giallo.
«Aveva sempre vissuto lì, diceva spesso a mia madre,
tanto che non ricordava un tempo in cui non avesse
vissuto in quel gran campo. Il suo mondo era limitato da
siepi verdi e dal cielo e nulla sapeva di quel che si
stendeva oltre.
«La Mucca Rossa era rispettabilissima, si comportava
da perfetta gentildonna e sapeva il fatto suo. Per lei una
cosa era bianca o nera. Non poteva essere grigia o magari
rosa. La gente era buona o cattiva, non c’era via di mezzo.
I soffioni erano dolci o amari: non esistevano tipi
intermedi. Conduceva una vita molto indaffarata. Le sue
mattinate erano occupate dalle lezioni alla Vitella Rossa,
sua figlia, e nel pomeriggio insegnava alla piccina come
comportarsi e come muggire, e tutto quello che una vitella
veramente ben allevata deve conoscere. Poi andavano a
cena, e la Mucca Rossa mostrava alla Vitella come
distinguere l’erba buona da quella cattiva: e dopo che la
figliola era andata a dormire, la notte lei andava in un
angolo del campo e ruminava il suo cibo ripensando
tranquillamente ai fatti suoi.
«Tutte le sue giornate erano esattamente uguali. Una
Vitella Rossa crebbe e andò via e un’altra venne al suo
posto. Ed era naturale che la Mucca Rossa immaginasse
che la sua vita si sarebbe svolta sempre uguale, né in
verità sentiva di poter chiedere altro di meglio alla vita
che i suoi giorni scorressero tutti uguali sino alla fine.
«Ma proprio nel momento in cui pensava queste cose,
l’avventura, come in seguito raccontò a mia madre, le
andò incontro. Le piombò addosso una notte in cui le
stesse stelle nel cielo sembravano soffioni, e la luna una
grande margherita fra le stelle.
«Quella notte, mentre la Vitella Rossa già dormiva da
un pezzo, la Mucca Rossa si drizzò improvvisamente e
cominciò a danzare. Danzava in un modo selvaggio e bello
e perfettamente a tempo, sebbene non avesse una musica
da seguire. Talvolta era una polka, talvolta una mazurka, e
talaltra una danza tutta di sua fantasia. E negli intervalli
tra le danze faceva riverenze e profondi inchini e batteva
la testa contro i soffioni.
«“Povera me” disse a se stessa la Mucca Rossa,
cominciando la Gavotta del Marinaio. “Che cosa
straordinaria! La danza mi è sempre sembrata una cosa
sconveniente, ma non può essere, dato che io stessa ballo.
E io, senza dubbio, sono una mucca modello.”
«E proseguì a danzare, divertendosi moltissimo. Alla
fine tuttavia si sentì stanca, e decise che aveva ballato
abbastanza e che era tempo di andare a dormire. Ma con
sua grande sorpresa, scoprì che non poteva smettere di
ballare. Mentre faceva l’atto di stendersi vicino alla Vitella
Rossa, le sue gambe glielo impedirono, continuando a far
capriole, a impennarsi, trascinando naturalmente la Mucca
Rossa con sé.
«Andava tutt’intorno per il campo, saltando, ballando il
valzer e camminando sulla punta dei piedi.
«“Povera me!” mormorava a intervalli, con l’accento di
una degna signora. “Che cosa singolare!” Ma non poteva
fermarsi.
«Al mattino danzava ancora e la Vitella Rossa dovette
far la sua colazione di soffioni tutta sola perché la Mucca
Rossa non poteva fermarsi a mangiare.
«Durante tutto il giorno lei danzò, su e giù per il prato,
tutt’intorno al prato, con la Vitella Rossa che le muggiva
dietro lamentandosi. Quando giunse la seconda notte, e lei
era ancora lì senza potersi fermare, cominciò a
preoccuparsi. E alla fine di una settimana di danza era
quasi impazzita.
«“Debbo andare a consultare il Re per questa cosa”
decise, scuotendo la testa.
«Così baciò la sua Vitella Rossa e le raccomandò di far
la brava. Poi si volse e uscì danzando dal prato, diretta al
colloquio col Re.
«Ballò per tutta la strada, strappando dalle siepi, lungo
il cammino, ciuffi di cibo verde, e ogni occhio che la
scorgeva si spalancava per la meraviglia. Ma nessuno era
meravigliato più della stessa Mucca Rossa.
«Giunse infine al Palazzo doveva viveva il Re. Con la
bocca tirò la corda del campanello e, quando il cancello si
aprì, lo varcò a passo di danza e danzando proseguì per il
largo viale del giardino finché giunse ai piedi della
scalinata che conduceva al trono del Re.
«Sul trono stava il Re, occupatissimo a fare nuove
leggi. Il suo segretario le scriveva, in un piccolo taccuino
rosso, una dopo l’altra, come il Re gliele dettava. C’erano
ovunque cortigiani e dame che facevano anticamera, tutti
vestiti sontuosamente e tutti che parlavano insieme.
«“Quante ne ho fatte oggi?” domandò il Re volgendosi
al segretario.
«Il segretario contò le leggi che aveva scritto.
«“Settantadue,
Maestà”
disse
inchinandosi
profondamente e facendo attenzione a non inciampare
sulla sua penna d’oca, che era enorme.
«“Hum! Non c’è male per un’ora di lavoro” disse il Re,
e sembrava molto compiaciuto di sé. “Per oggi è
abbastanza.” Si drizzò e con cura si assestò il mantello di
ermellino.
«“Ordinate la mia carrozza. Debbo andare dal
barbiere” disse con magnificenza. In quel momento scorse
la Mucca Rossa che si avvicinava.
«Si sedette di nuovo, e impugnò lo scettro.
«“Cosa abbiamo qui, ohi?” domandò, mentre la Mucca
Rossa si avvicinava danzando ai piedi della scalinata.
«“Una mucca, Maestà” rispose lei semplicemente.
«“Questo lo vedo” disse il Re. “Possiedo ancora la vista.
Ma, che cosa volete? Fate presto, perché ho un
appuntamento dal barbiere alle dieci. Non mi aspetterà
oltre quell’ora, e io debbo tagliarmi i capelli. E di grazia
smettetela di saltare e dondolare in quel modo” aggiunse
irritato. “Mi dà le vertigini.”
«“Proprio le vertigini!” fecero eco tutti i cortigiani,
spalancando gli occhi.
«“È ben questo il mio tormento, Maestà! Non posso
fermarmi!” disse la Mucca Rossa, miseramente.
«“Non potete fermarvi? Sciocchezze!” disse il Re
furioso. “Fermatevi subito! Io, il Re, ve lo comando!”
«“Fermatevi subito! Il Re ve lo comanda!” gridarono
tutti i cortigiani.
«La Mucca Rossa fece un grande sforzo. Con tale
intensità cercò di fermarsi, che ogni muscolo e ogni
costola sporsero fuori come catene di montagne. Ma non
c’era verso: continuò a ballare ai piedi del trono.
«“Ho provato, Maestà, e non posso. Sto ballando da
sette giorni consecutivi. E non ho potuto dormire. E
mangiare, pochissimo. Uno o due ciuffi di biancospino.
Questo è tutto. Così sono venuta a chiedervi consiglio.”
«“Hum, è molto curioso” disse il Re, mettendosi la
corona sulle ventitré e grattandosi la testa.
«“Molto curioso” dissero i cortigiani, grattandosi anche
loro il capo.
«“Che cosa provate?” domandò il Re.
«“Una sensazione buffa” disse la Mucca Rossa. “E
anzi” fece una pausa come per scegliere le parole “è una
sensazione piuttosto piacevole. Come se una risata
scorrazzasse su e giù dentro di me.”
«“Straordinario” disse il Re e poggiò il mento sulla
mano e fissò la Mucca Rossa, meditando sul da farsi.
Improvvisamente balzò in piedi e disse: “Bontà
celeste!”
«“Che cos’è?” gridarono tutti i cortigiani.
«“Come, non lo vedete?” disse il Re eccitatissimo
lasciando cadere lo scettro. “Che idiota a non averlo
notato prima. E che idioti, voi!” Si volse furiosamente ai
cortigiani. “Non vedete che ha una stella cadente
impigliata in un corno?”
«“È vero!” gridarono i cortigiani, per la prima volta
notando improvvisamente la stella. E mentre guardavano
sembrò loro che la stella divenisse più luminosa.
«“Questa è la cosa fuori posto” disse il Re. “Ora, voi
cortigiani fareste bene a toglierla in modo che…, ehm, la
signora possa smettere di ballare e possa far colazione. È
la stella, signora, che vi fa ballare” disse il Re alla Mucca
Rossa. “Ora su, andiamo, a voi!”
«E fece cenno al Primo Cortigiano, che si presentò
elegantemente davanti alla Mucca Rossa e cominciò a
tirare con violenza la stella. Ma non si staccava. Al Primo
Cortigiano si unirono, uno dopo l’altro, tutti gli altri
cortigiani, finché alla fine formarono una lunga catena uno
dietro l’altro tenendosi per la cintura, e cominciò una lotta
furibonda fra i cortigiani e la stella.
«“Attenzione alla mia testa” supplicava la Mucca.
«“Tirate più forte” sbraiatava il Re.
«Tirarono più forte. Tirarono finché ebbero le facce
rosse come lamponi. Tirarono finché non ne poterono più e
caddero tutti all’indietro uno sull’altro. La stella non si
mosse. Rimase fissata tenacemente alle corna.
«“Hum, hum, hum!” disse il Re. “Segretario, consultate
l’Enciclopedia e guardate cosa dice delle mucche con le
stelle sulle corna.”
«Il segretario si inginocchiò e strisciò sotto il trono.
Finalmente riemerse, portando un grosso libro verde che
stava sempre lì nel caso il Re volesse sapere qualcosa.
Voltò le pagine.
«“Non c’è assolutamente nulla, Maestà, tranne la
storia della mucca che saltò sulla luna, e quella storia voi
la sapete.”
«Il Re si strofinò il mento, cosa che lo aiutava a
pensare. Sospirò contrariato e guardò la Mucca Rossa.
«“Tutto quel che vi posso suggerire” disse, “è di
provare anche voi.”
«“Provare che cosa?” domandò la Mucca Rossa.
«“A saltare sulla luna. Potrebbe funzionare. Val la pena
di tentare, in ogni caso.”
«“Io?” disse la Mucca Rossa, con espressione risentita.
«“Sì, voi. E chi, se no?” disse il Re con impazienza.
Aveva smania di andare dal barbiere.
«“Sire” disse la Mucca Rossa “vi prego di rammentarvi
che io sono un degno, rispettabile animale e che mi è stato
insegnato fin dall’infanzia che saltare non è occupazione
da signora.”
«Il Re si eresse e agitò lo scettro verso di lei.
“Signora” disse “siete venuta per un mio consiglio e ve
l’ho dato. Desiderate continuare a ballare per sempre?
Desiderate continuare ad aver fame per sempre?
Desiderate rimanere per sempre senza dormire?”
«La Mucca Rossa pensò al sapore dolce e delicato dei
soffioni. Pensò all’erba del prato, e quanto era morbida per
riposarsi. Pensò alle sue gambe stanche di far capriole e a
quanto sarebbe stato piacevole tornarsene a stare quieta.
E disse a se stessa: “Forse, per una volta sola la cosa non
avrebbe importanza e non c’è bisogno che altri, all’infuori
del Re, venga a saperlo.”
«“Quanto
credete
sia
alta?”
domandò
forte,
continuando a danzare.
«Il Re guardò su verso la luna.
«“Almeno un miglio, direi” rispose.
«La Mucca Rossa assentì col capo. Pensava la stessa
cosa. Rifletté per un attimo e prese la sua decisione. “Non
avrei mai creduto di arrivare a questo, Maestà. Saltare, e
per giunta sulla luna. Ma proverò!” E s’inchinò
graziosamente al trono.
«“Bene” disse il Re soddisfatto, riflettendo che, dopo
tutto, sarebbe arrivato in tempo dal barbiere. “Seguitemi.”
Si avviò in giardino e la Mucca Rossa e i cortigiani lo
seguirono.
«“Ora” disse il Re, una volta giunto sul piazzale,
“quando faccio un fischio, spiccate il salto.”
«Tirò fuori un gran fischietto d’oro dalla tasca del
panciotto e ci soffiò dentro leggermente per assicurarsi
che non c’era polvere.
«La Mucca Rossa si mise sull’attenti, sempre ballando.
“Uno!” disse il Re, “Due!! Tre!!” e soffiò nel fischietto.
«La Mucca Rossa, tenendo il respiro, spiccò un grande,
terribile salto e la terra si distaccò sotto di lei. Poté vedere
le figure del Re e dei cortigiani divenire sempre più
piccole, finché sparirono in basso, lontano. Lei stessa si
slanciò su in aria, attraverso il cielo, mentre le stelle le
piroettavano intorno come grossi piatti d’oro, e a un tratto
nella luce accecante si sentì addosso i freddi raggi della
luna. Chiuse gli occhi e appena la luce abbagliante fu
rimasta dietro di lei e lei ebbe voltato la testa di nuovo
verso la Terra, sentì la stella scivolarle giù dalle corna. Si
staccò e andò ruzzolando per il cielo. E le sembrò che,
appena scomparsa, grandi cori di musica salissero ed
echeggiassero per l’aria. Dopo un minuto la Mucca Rossa
era di nuovo sulla Terra. Con sua grande sorpresa si
accorse che non era nel giardino del Re, ma nel suo campo
di soffioni. E aveva smesso di ballare! I suoi piedi stavano
fermi come se fossero di pietra, e camminava
pesantemente come tutte le mucche rispettabili.
«Quietamente e serenamente si mosse attraverso il
campo, decapitando i soldati dorati, mentre si avviava a
riabbracciare la Vitella Rossa.
«“Sono così felice che tu sia tornata” disse la Vitella
Rossa. “Sono stata tanto sola.”
«La Mucca Rossa la baciò e si chinò a mangiare l’erba
del prato. Era il suo primo buon pasto della settimana. E
quando finalmente fu sazia, aveva mangiato diversi
reggimenti. Allora si sentì meglio. Subito ricominciò la sua
vita, come sempre l’aveva vissuta prima.
«In principio la riempirono di gioia le abitudini quiete e
regolari ed era contenta di poter fare colazione senza
ballare e di giacere sull’erba e di dormire la notte invece
di inchinarsi alla luna fino al mattino. Ma dopo breve
tempo, cominciò a sentirsi sconfortata e insoddisfatta. Il
suo campo di soffioni e la Vitella Rossa andavano
benissimo, ma desiderava qualcos’altro e nemmeno lei
poteva dire che cosa.
«Alla fine si accorse che sentiva la mancanza della sua
stella. Si era così abituata alla danza e alla sensazione
felice che le aveva dato la stella che desiderava ballare
ancora la Gavotta del Marinaio e avere la stella sulle
corna.
«Si tormentava, perdeva l’appetito, aveva un umore
pessimo. E spesso scoppiava in lacrime senza nessuna
ragione. Ogni tanto andava da mia madre e le raccontava
tutta la storia domandandole consiglio.
«“Santo cielo, mia cara!” le diceva mia madre. “Di
certo non è caduta solo quella stella dal cielo. Ne cadono
milioni ogni notte, si dice. Ma cadono in posti diversi,
naturalmente. Non puoi aspettarti che due stelle cadano
nello stesso campo durante una sola vita.”
«“Allora credi che se andassi un po’ in giro…”
incominciò a dire la Mucca Rossa con un ardore di
speranza negli occhi.
«“Se io fossi in te” disse mia madre, “andrei e ne
cercherei una.”
«“Andrò” disse giocondamente la Mucca Rossa “andrò
davvero.”»
Mary Poppins fece una pausa.
«E questa, suppongo, è la ragione per cui la Mucca
Rossa camminava lungo il Viale» suggerì Giovanna con
garbo.
«Sì» sussurrò Michele, «andava in cerca della sua
stella.»
Mary Poppins trasalì leggermente. Lo sguardo intento
era scomparso dai suoi occhi e la calma dal suo corpo.
«Via subito dalla finestra, signore!» disse ruvidamente.
«Accendo subito la luce.» E in fretta andò sul ballatoio a
girare l’interruttore.
«Michele» disse Giovanna in un soffio, «guarda se la
mucca è ancora lì.»
In fretta Michele scrutò fuori nel crepuscolo che si
addensava.
«Presto» disse Giovanna. «Mary Poppins sarà subito di
ritorno. Riesci a vederla?»
«Nooo» disse Michele, guardando fuori con gli occhi
spalancati. «Non c’è più. Se n’è andata.»
«Io spero proprio che la trovi» disse Giovanna
pensando alla Mucca Rossa che vagabondava per il mondo
in cerca di una stella da attaccarsi sulle corna.
«Anch’io» disse Michele, mentre, al rumore dei passi di
Mary Poppins che tornava, si affrettava a tirare giù la
tenda.
Martedì disgraziato
Fu poco tempo dopo che Michele si svegliò una mattina
con una curiosa sensazione. Nel momento in cui aprì gli
occhi, si accorse che qualcosa non andava, ma non sapeva
dire che cosa fosse.
«Che giorno è oggi, Mary Poppins?» domandò tirandosi
via le coperte.
«Martedì» disse Mary Poppins. «Alzati e va’ a fare il
bagno. Presto!» soggiunse poiché lui non si muoveva. Si
girò e si coprì fin sopra le orecchie, e la curiosa sensazione
crebbe.
«Cosa ti ho detto?» disse Mary Poppins, con quella sua
voce fredda e chiara che suonava sempre come un
ammonimento.
Michele seppe quel che stava per succedergli. Sentì
che stava per fare il cattivo. «Non voglio» disse piano, con
la voce attutita dal lenzuolo. Mary Poppins bruscamente
gli strappò il lenzuolo dalla mano e lo guardò.
«Non voglio.»
Attese, domandandosi cosa avrebbe fatto lei e fu
sorpreso quando, senza una parola, la vide entrare in
bagno e aprire lei stessa il rubinetto. Michele prese il suo
asciugamano ed entrò, mentre lei usciva.
E per la prima volta in vita sua Michele fece il bagno
tutto da solo. Comprese di essere in castigo e, di
proposito, trascurò di lavarsi dietro le orecchie.
«Debbo mandare fuori l’acqua?» domandò con la voce
più brusca che aveva.
Non ci fu risposta.
«Be’, non me ne importa» disse Michele e il peso caldo
che era in lui aumentò e si estese. «Non me ne importa.»
Poi si vestì da solo, indossando gli abiti migliori, che, lo
sapeva, erano solo per la domenica. E infine scese giù,
dando coi piedi dei colpi alla ringhiera, cosa che sapeva di
non dover fare perché svegliava tutti gli altri in casa. Per
le scale incontrò Ellen, la cameriera, e passandole vicino le
fece cadere di mano con una spinta il bricco dell’acqua
calda.
«Be’, sei un bello sbadato» disse Ellen curvandosi ad
asciugare l’acqua. «Era per la barba di tuo padre.»
«L’ho fatto apposta» disse Michele tranquillamente.
Il rosso faccione di Ellen diventò bianco per la
sorpresa.
«L’hai fatto apposta?! Allora sei un bambino molto
cattivo e lo dirò alla tua mamma, lo dirò…»
«Diglielo» disse Michele e riprese a scendere le scale.
Questo era il principio.
Durante il resto del giorno non ne fece una giusta. Quel
peso, quel caldo, quel senso strano che aveva dentro di sé
gli fece fare le cose più orribili e, appena le aveva fatte, si
sentiva straordinariamente soddisfatto e contento, e subito
ne inventava qualcun’altra.
In cucina la signora Brill, la cuoca, stava facendo le
frittelle.
«No, Michele» disse «non puoi leccare il tegame. Non
è ancora vuoto.»
Michele allora mollò il piede e dette un gran calcio alla
signora Brill nello stinco; lei lasciò cadere di mano il
matterello e si mise a gridare forte.
«Tu hai dato un calcio alla signora Brill? Alla gentile
signora Brill? Mi vergogno di te» disse la madre poco
dopo, quando la signora Brill le ebbe raccontato tutta la
storia. «Devi chiederle immediatamente perdono, far
vedere che sei davvero mortificato, Michele.»
«Ma io non sono mortificato, sono contento. Le sue
gambe sono troppo grosse» disse lui, e prima che lo
potessero acchiappare, scappò in giardino.
Di proposito, piombò addosso a Robertson Ay, che era
profondamente addormentato sul prato, e Robertson Ay si
infuriò.
«Lo dirò al tuo papà» disse minacciosamente.
«E io gli dirò che non gli hai pulito le scarpe
stamattina» disse Michele e quasi si stupì di ciò che aveva
detto.
Era abitudine sua e di Giovanna proteggere sempre
Robertson Ay, perché gli volevano bene e non volevano
perderlo.
Ma non stette molto a pensarci, perché aveva
cominciato a domandarsi cos’altro potesse fare. E non era
passato molto tempo, che già ne aveva pensata un’altra.
Attraverso le sbarre della staccionata poté vedere Andrea,
il cane della signorina Lark, che fiutava delicatamente il
prato della Porta Accanto e si sceglieva i migliori ciuffi
d’erba.
Chiamò sottovoce Andrea e gli porse un biscotto tirato
fuori dalla tasca, e mentre Andrea con avidità lo mangiava,
gli legò la coda alla staccionata con un pezzo di corda. Poi
corse via, con nelle orecchie l’urlo indignato della
signorina Lark e in corpo quella sensazione eccitante che
gli metteva quasi un fuoco addosso.
La porta dello studio del padre era aperta: Ellen aveva
appena finito di spolverare i libri. Michele allora fece una
cosa proibita. Entrò, si sedette alla scrivania del padre e
con la penna del padre cominciò a scarabocchiare la carta
assorbente.
A un tratto urtò col gomito e rovesciò il calamaio, e la
sedia e la scrivania e la penna d’oca e gli stessi suoi abiti
della domenica si coprirono di larghe macchie d’inchiostro
turchino. Una cosa terribile! Cominciò a provare paura di
quello che gli sarebbe toccato.
Ma non restò, per questo, soprappensiero. Non si sentì
neanche un po’ mortificato.
«Quel bambino dev’essere malato» disse la signora
Banks, quando Ellen, che era ritornata all’improvviso nello
studio, lo scoprì, e andò a raccontarle l’ultima avventura.
«Michele, prenderai un po’ di sciroppo.»
«Non sono malato. Sto meglio di te» disse Michele
sgarbatamente. «Allora sei soltanto cattivo» disse sua
madre «e avrai un bel castigo.»
E infatti, cinque minuti dopo, Michele se ne stava in
piedi, con gli abiti macchiati e la faccia contro il muro, in
un angolo della sua camera.
Giovanna cercò di parlargli mentre Mary Poppins non
guardava, ma lui non le rispose: si voltò solo per mostrarle
la lingua.
Quando Giovannino e Barbara trascinandosi sul
pavimento andarono ad afferrargli una scarpa per
ciascuno, gorgogliando dalla gioia, Michele li cacciò via. E
durante tutto il tempo si divertì della sua cattiveria,
tenendosela
stretta
come
qualcosa
di
caro
e
infischiandosene di tutto.
«Odio essere buono» disse forte a se stesso mentre
trotterellava dietro a Mary Poppins, a Giovanna e alla
carrozzina nella passeggiata del pomeriggio al Parco.
«Spicciati» disse Mary Poppins, volgendosi a
guardarlo. Ma lui continuò a strisciare i piedi per terra,
proprio per graffiare il cuoio delle scarpe.
All’improvviso Mary Poppins si voltò e gli si piantò in
faccia, con una mano sul manubrio della carrozzina. «Tu»
cominciò «sei sceso dal letto dalla parte sbagliata, questa
mattina.»
«No» disse Michele. «Non c’è una parte sbagliata nel
mio letto.»
«Ogni letto ha un lato giusto e l’altro sbagliato» disse
Mary Poppins, calcando sulle parole.
«Il mio, no. È accostato al muro.»
«Questo non fa differenza. È sempre una parte» lo
interruppe Mary Poppins.
«Bene, la parte sbagliata è la sinistra oppure la parte
sbagliata è la destra? Perché io sono saltato fuori dalla
parte destra, e questa come può essere la parte
sbagliata?»
«Tutte e due le parti erano sbagliate, questa mattina,
signor Furbo!»
«Ma il letto ha una parte sola, e se sono sceso dalla
parte destra…» argomentò.
«Ancora una parola» cominciò Mary Poppins, e lo disse
con una voce così singolarmente minacciosa che anche
Michele si sentì un po’ nervoso, «ancora una parola e io…»
Non disse quel che avrebbe fatto, ma lui affrettò il passo.
«Cerca di fare il bravo» disse Giovanna in un soffio.
«Chiudi il becco» disse lui, ma così piano che Mary
Poppins non poté sentire.
«Adesso, signore» disse Mary Poppins, «avanti, march!
Davanti a me per piacere. Non voglio avere uno
stravagante alle mie spalle. Mi farai il favore di andare
avanti.» Lo spinse davanti a sé e riprese: «C’è qualcosa
che luccica sul sentiero, proprio lì. Mi farai il favore di
andare a raccoglierla e portarmela. Qualcuno ha lasciato
cadere il suo diadema, forse.»
Controvoglia – ma non osava fare altrimenti – Michele
guardò nella direzione indicata da Mary Poppins.
Sì, c’era qualcosa che luccicava per terra. Da quella
distanza appariva molto attraente e i suoi raggi lucenti
sembravano fargli segno di avvicinarsi. Andò avanti come
volesse farsi pregare, adagio adagio per far credere che,
in fondo, non gl’importava nulla vedere di che si trattasse.
Giunto sul posto, si chinò e raccolse la cosa che luccicava.
Era una specie di scatoletta rotonda con un coperchio
di vetro, e sul vetro era disegnata una freccia. Dentro
c’era un disco rotondo, che sembrava coperto di lettere
che oscillavano leggermente quando si muoveva la scatola.
Giovanna accorse e guardò anche lei da sopra la spalla
del fratello. «Che cos’è, Michele?» domandò.
«Non te lo voglio dire» disse Michele, anche se non lo
sapeva neppure lui.
«Mary Poppins, che cos’è?…» domandò Giovanna,
quando la carrozzina li raggiunse. Mary Poppins prese la
scatoletta dalla mano di Michele.
«È mia» disse Michele, geloso.
«No, mia» disse Mary Poppins «l’ho vista io per
prima.»
«Ma io l’ho raccolta.» Cercò di strappargliela di mano,
ma si prese una tale occhiataccia che ritirò la mano.
Lei piegò la cosa tonda da una parte e dall’altra, e nella
luce del sole il disco e le sue lettere si misero a girare
pazzamente dentro la scatola.
«A cosa serve?» domandò Giovanna.
«A girare il mondo» disse Mary Poppins.
«Eh?» disse Michele. «Si fa il giro del mondo in un
bastimento o in aeroplano. Questo è quello che so io. Una
scatola non può portare intorno al mondo.»
«Oh, davvero! Non può!» disse Mary Poppins con una
curiosa espressione sul viso. «Io lo so meglio di te. Adesso
vedrai.» E tenendo la bussola in mano si voltò verso
l’ingresso del Parco e disse la parola: «Nord!» Le lettere
scivolarono intorno alla freccia in una danza vertiginosa.
D’improvviso sembrò che l’aria fosse divenuta molto
fredda, e il vento soffiò così gelido che Giovanna e Michele
chiusero gli occhi. Quando li aprirono, il Parco era
completamente scomparso, non si vedeva all’intorno né un
albero, né una panchina verde, né un sentiero d’asfalto.
C’erano invece dappertutto grandi blocchi di ghiaccio
azzurro e sotto i piedi si stendeva solo neve gelata.
«Oh, oh» gridò Giovanna, rabbrividendo di freddo e di
sorpresa e correndo a coprire i gemelli col mantice della
carrozzina. «Cosa ci è successo?»
Mary Poppins guardò Michele con uno sguardo
imperioso. Non ebbe tempo di rispondere, tuttavia, perché
in quel momento, fuori dall’apertura di uno dei blocchi di
ghiaccio, emerse un Eschimese. La sua bruna faccia
rotonda era circondata da un cappuccio di pelliccia bianca
e teneva un lungo mantello di pelliccia bianca sulle spalle.
«Benvenuti al Polo Nord, Mary Poppins e amici» disse
l’Eschimese con un largo sorriso di benvenuto.
Uscì fuori del tutto e strofinò il naso contro ciascuno
dei loro nasi, a turno, in segno di saluto. In quel momento
apparve dall’apertura del ricovero una signora eschimese,
che portava in braccio un bambino eschimese avvolto in
uno scialle di foca.
«Oh, Mary, che gran piacere» disse, e anche lei strofinò
i nasi tutt’intorno.
«Dovete avere freddo» disse poi guardando sorpresa i
loro abiti leggeri. «Lasciate che vi dia degli abiti di
pelliccia. Abbiamo appena scuoiato una coppia di orsi
polari. E cosa ne direste di una zuppa calda di grasso di
balena, miei cari?»
«Temo che non possiamo trattenerci» replicò Mary
Poppins con premura. «Stiamo facendo il giro del mondo e
abbiamo fatto capolino qui per un momento solo: grazie lo
stesso. Un’altra volta, magari.» E con un piccolo
movimento della mano girò la bussola e disse: «Sud.»
Sembrò allora a Giovanna e Michele che tutto il
mondo, insieme alla bussola, girasse in tondo e che loro
fossero nel centro del vortice.
Mentre il mondo girava intorno a loro, provarono man
mano un caldo sempre maggiore, e quando rallentò e si
fermò, si trovarono in piedi presso una foresta di palmizi.
Il sole tramontava gloriosamente e tutt’intorno a loro si
stendeva una sabbia d’oro e d’argento, che bruciava sotto i
piedi come il fuoco.
Sotto i palmizi sedevano un uomo e una donna,
entrambi completamente neri e con pochissimi abiti
indosso. Ma in compenso avevano tante grosse perle.
Alcune pendevano intorno al capo attaccate a grandi
corone di piume, altre alle orecchie, una o due nel naso.
Intorno al collo erano attorcigliate ricche collane, e trecce,
sempre di perle, cingevano loro la vita.
Sulle ginocchia della signora sedeva un piccolo
moretto, tutto nudo. Sorrise ai bambini mentre la madre
parlava.
«Ti abbiamo aspettata tanto tempo, Mary Poppins»
diceva sorridendo. «Porta i ragazzi nella mia casetta a
mangiare una fetta di cocomero. Ma, perbacco, questi
bambini sono proprio bianchi. Devi usare un po’ di lucido
da scarpe per loro. Andiamo, adesso. Siate i benvenuti.»
Esplose in una risata gioconda e rumorosa, e intanto si
alzava e cominciava a fare strada verso una piccola
capanna costruita interamente di palme.
Giovanna e Michele erano in procinto di seguirla, ma
Mary Poppins li trattenne.
«Non abbiamo tempo di restare, ci dispiace. Solo una
piccola sosta, sapete, siamo di passaggio. Stiamo facendo
il giro del mondo» spiegò ai due che alzavano le mani per
la meraviglia.
«È un bel viaggio, Mary Poppins» disse l’uomo
sorridendo e strisciando la punta del suo grosso bastone
sulla guancia, mentre la guardava con i lucidi occhi scuri.
«Intorno al mondo! Credo che sia meglio che
incominciate, no?» disse la moglie. Rise di nuovo come se
tutta la vita non fosse che una gran burla, e, mentre quella
rideva, Mary Poppins mosse la bussola e disse con voce
alta e ferma: «Est.»
Il mondo riprese a girare e allora – sembrò agli attoniti
bambini cosa di pochi secondi – i palmizi non c’erano più,
e quando il movimento fu cessato, si trovarono tutti in una
strada tra case di forma strana, piccolissime. Sembravano
fatte di carta, ai tetti erano sospese delle campanelle, che
tintinnavano delicatamente nella brezza. Sopra le case
mandorli e prugni stendevano i loro rami carichi di fiori
brillanti, e lungo la piccola strada la gente in strani abiti
fioriti
camminava
quietamente.
Era
una
scena
piacevolissima e riposante.
«Credo che siamo in Cina» sussurrò Giovanna a
Michele. «Sì, ne sono sicura» seguitò guardando la porta
di una delle casette di carta che si apriva e un vecchio che
vi entrava. Era curiosamente vestito di un rigido kimono di
broccato d’oro, e aveva calzoni di seta stretti alle caviglie
da anelli d’oro. Le sue scarpe erano elegantissime, con le
punte rivolte in su. Dalla testa pendeva un lungo codino
grigio che arrivava quasi alle ginocchia, e dalle labbra
scendevano fin sul petto dei lunghissimi baffi.
Il vecchio signore, vedendo il gruppetto formato da
Mary Poppins e dai bambini, s’inchinò così profondamente
che con la testa toccò il suolo. Giovanna e Michele furono
sorpresi di vedere Mary Poppins inchinarsi allo stesso
modo, tanto che le margherite del suo cappello
spazzolarono il terreno.
«Dove sono le vostre buone maniere?» sibilò Mary
Poppins, guardandoli dall’inusitata posizione. E lo disse
così irosamente che pensarono bene di inchinarsi subito
anche loro e persino i gemelli piegarono la fronte contro i
bordi della carrozzina.
Il vecchio, drizzandosi cerimoniosamente, cominciò a
parlare. «Onorevole Mary della Casa dei Poppins» disse,
«degnatevi di versare nella mia immeritevole dimora la
luce del vostro volto virtuoso. E, ve ne supplico, conducete
là, nel suo cuore senza grazia, questi altri onorevoli
viaggiatori.» Fece un altro inchino e agitò la mano nella
direzione della sua casa.
Giovanna e Michele non avevano mai sentito un
linguaggio così strano e fiorito e furono assai meravigliati.
Ma lo furono ancor di più quando Mary Poppins rispose
all’invito con modi altrettanto cerimoniosi.
«Grazioso signore» cominciò «è con profondo
rammarico che noi, le più umili fra le vostre conoscenze,
dobbiamo rifiutare il vostro grazioso e più che regale
invito. L’agnello non lascia l’ovile, né l’uccellino lascia il
nido con dispiacere maggiore del nostro, nel doverci
allontanare dalla vostra luminosa presenza. Ma, nobile, e
dieci volte splendido signore, noi stiamo facendo il giro del
mondo e la nostra visita alla vostra onorevole città non può
essere, ahimé, che di un istante. Permetteteci perciò di
togliere le nostre immeritevoli persone dalla vostra
presenza, senza ulteriori cerimonie.»
Il Mandarino, poiché tale egli era veramente, chinò la
testa, e già si preparava a un altro elaborato inchino, ma
Mary Poppins fu lesta a muovere di nuovo la bussola.
«Ovest» disse con sicurezza.
Il mondo girò ancora, finché Giovanna e Michele
furono completamente storditi. E quando tutto fu di nuovo
quieto, si trovarono con Mary Poppins in mezzo a un vasto
bosco di pini, diretti verso un terreno dissodato dove
intorno a un gran fuoco si levavano molte tende. Dentro e
fuori del cerchio della luce, si muovevano figure nere
coronate di penne che indossavano tuniche e calzoni
bordati di pelle di daino. Una delle più grosse tra queste
figure si staccò dal gruppo e si mosse in fretta verso Mary
Poppins e i bambini.
«Stella–del–Mattino–Mary!» disse «Salve!» e si chinò
dinanzi a lei e toccò con la sua la fronte di lei. Poi si volse
ai quattro bambini e ripeté la stessa cerimonia. «La mia
tenda vi aspetta» disse con una voce profonda e
amichevole. «Stiamo proprio ora arrostendo una renna per
la cena.»
«O Capo–Sole–di–Mezzogiorno» disse Mary Poppins «ci
fermiamo qui appena appena, quasi quasi siamo venuti
soltanto per darvi un saluto. Abbiamo fatto il giro del
mondo e questa è la nostra ultima tappa.»
«Ah, è così?» disse il capo guardando molto
interessato. «Ho pensato anch’io di fare il giro del mondo.
Ma certo potete stare un pochino con noi, se non altro per
permettere a questo giovanotto» e accennò a Michele «di
provare la sua forza contro il mio bis–bis–bisnipotino,
Rapido–come–il–Vento!» Il Capo batté le mani: «Hi, ho
hee» chiamò a voce alta, e dalla tenda un ragazzetto
indiano corse verso di loro. S’avvicinò rapidamente a
Michele e quando gli fu accanto lo batté leggermente sulla
spalla.
«Toccato!» disse e fuggì via come una lepre.
Era troppo per Michele! In un balzo gli fu dietro, con
Giovanna alle calcagna di tutti e due. Iniziarono a
rincorrersi fra gli alberi, girando e girando intorno a un
gran pino all’inseguimento di Rapido–come–il–Vento, che
rideva sempre e sempre fuggiva. Giovanna si arrestò per
prima, sconfitta, ma Michele incominciava ad arrabbiarsi e
strinse i denti; accelerò la sua corsa dietro a Rapido–
come–il–Vento, gridando per il puntiglio di non essere
superato da un ragazzo indiano.
«Ti prenderò!» gridava sforzandosi di correre ancora
più veloce.
«Che cosa stai facendo?» domandò Mary Poppins,
bruscamente. Michele si volse a guardarla e si arrestò
all’improvviso. Poi riprese a correre, ma con sua sorpresa
non vide più né Rapido–come–il–Vento, né il Capo, né le
tende, né il fuoco. Non si scorgeva neppure un albero di
pino. Nulla, tranne la panchina di un giardino e Giovanna e
i gemelli e Mary Poppins in piedi in mezzo al Parco.
«Correre intorno alla panchina come se fossi diventato
matto! Penso che sei stato cattivo abbastanza per una
giornata. Andiamo!» disse Mary Poppins. Michele fece una
smorfia, imbronciato.
«Intorno al mondo e di ritorno in un minuto! Che
scatola meravigliosa!» disse Giovanna estatica.
«Non è una scatola. È una bussola. Ed è mia» disse
Michele. «L’ho trovata io. Dammela.»
«È la mia bussola, grazie» disse Mary Poppins e la
ripose nella sua borsa.
Sembrava che Michele volesse ucciderla. Ma scrollò
soltanto le spalle, camminò fieramente avanti e non disse
una parola a nessuno.
«Quel ragazzo lo battevo quando volevo» assicurò a se
stesso, mentre varcava il cancello del numero 17 e saliva
le scale. Una sensazione bruciante gli picchiava ancora
dentro la testa, pesantemente.
Dopo l’avventura della bussola, quella sensazione
sembrò aumentare e verso sera divenne ancora peggiore.
Michele pizzicò i gemelli mentre Mary Poppins non
vedeva, e quando gridarono disse in una voce falsamente
gentile: «Che cosa c’è, cari, che cos’avete?»
Mary Poppins però non si lasciò ingannare.
«Sta per venirti qualcosa» disse in un tono carico di
sottintesi. Ma quella sensazione bruciante dentro di lui lo
rendeva indifferente. Scrollò solo le spalle e tirò i capelli a
Giovanna. Dopo andò al tavolo da pranzo e rovesciò il suo
pane e latte.
«E questa» disse Mary Poppins «è la fine. Simili
cattiverie deliberate io non le ho mai viste. Posso garantire
che in vita mia mai le ho vedute. Via! Fila a letto, subito, e
non dire una parola.» Aveva l’aria più terribile che Michele
avesse mai visto.
Ma ancora una volta non se ne curò. Andò nella stanza
da letto, a spogliarsi. No, non gliene importava. Era cattivo
e, se non facevano attenzione, sarebbe stato ancora
peggio. Non gliene importava. Odiava tutti. Se non stavano
attenti, sarebbe fuggito per unirsi a un circo. Ecco! È
saltato un bottone. Bene, ce ne sarebbero stati meno da
abbottonare al mattino. E un altro: tanto meglio. Nulla al
mondo avrebbe potuto farlo sentire in colpa. Sarebbe
andato a letto senza lavarsi i denti, certo, e senza dire le
preghiere.
Stava proprio per andare a letto e aveva già un piede
dentro, quando scorse la bussola in cima al cassettone.
Piano piano ritirò il piede e in punta di piedi attraversò la
stanza. Ora sapeva quello che avrebbe fatto. Avrebbe
preso la bussola, l’avrebbe fatta roteare e avrebbe fatto il
giro del mondo. Non lo avrebbero trovato mai più. E ben
gli stava. Senza fare il più lieve rumore sollevò una sedia e
la pose contro il cassettone. Poi ci salì e prese in mano la
bussola.
La scosse.
«Nord, Sud, Est, Ovest» disse in fretta e furia nel caso
che qualcuno entrasse prima che lui se ne fosse andato.
Un rumore dietro la sedia lo fece trasalire, e girò gli
occhi intorno con aria colpevole, aspettandosi di vedere
Mary Poppins. C’erano invece quattro giganteschi
personaggi che gli piombarono addosso. L’Eschimese con
una lancia, la Signora Nera con la clava del marito, il
Mandarino con una grande spada ricurva e il Capo Indiano
con la sua ascia. Gli correvano incontro dai quattro angoli
della stanza tenendo le armi alte sul capo, e invece di
mostrarsi affabili e amichevoli come nel pomeriggio, ora
apparivano minacciosi e assetati di vendetta.
Erano quasi addosso a lui, i loro terribili volti lo
fissavano, sempre più vicini. Sentì il loro respiro caldo sul
volto e vide vibrare le armi nelle loro mani. Con un grido
Michele lasciò cadere la bussola. «Mary Poppins, Mary
Poppins, aiutami, aiutami!» gridò e serrò gli occhi.
Si sentì avviluppare da qualcosa di morbido e caldo.
Oh, che cos’era? La pelliccia dell’Eschimese, il kimono del
Mandarino, la tunica di daino del Capo Indiano, le penne
della Signora Nera? Chi di loro lo aveva acchiappato? Ah!
se fosse stato buono, accidenti!
«Mary Poppins» gemette sentendosi trasportare in aria
e poggiare su qualcosa di più morbido ancora. «Oh, cara
Mary Poppins!»
«Va bene, va bene. Non sono sorda, grazie al cielo, non
c’è bisogno di gridare» sentì che diceva con calma. Aprì un
occhio. Poté vedere che non vi era più traccia delle quattro
gigantesche figure della bussola. Aprì l’altro occhio per
assicurarsene. No, neppure l’ombra. Si alzò. Guardò nella
stanza. Non c’era niente.
Allora scoprì che la cosa morbida che lo avviluppava
era la sua coperta e la cosa morbida in cui giaceva era il
suo letto.
E – oh! – la cosa bruciante e pesante che era stata in
lui tutto il giorno si era dissolta ed era scomparsa! Si sentì
felice e pacificato come se avesse voluto fare un regalo di
compleanno a tutte le persone che conosceva.
«Che… che cos’è successo?» domandò ansiosamente a
Mary Poppins.
«Ti avevo detto che era la mia bussola, no? Vedi di
essere abbastanza educato da non toccare le mie cose, per
favore.» Questo fu tutto quello che lei disse, mentre si
chinava a raccogliere la bussola e se la riponeva in tasca.
Poi cominciò a piegare gli abiti che Michele aveva gettato
sul pavimento.
«Debbo farlo io?» domandò il bambino.
«No, grazie.»
La osservò mentre andava nella stanza accanto, per poi
tornare e mettergli qualcosa di caldo fra le mani. Era una
tazza di latte.
Michele lo bevve a piccoli sorsi, assaporandone ogni
goccia, schioccando la lingua molte volte, e facendolo
durare il più possibile affinché Mary Poppins rimanesse
vicino a lui.
Lei gli restò accanto senza dire una parola, guardando
il latte che scompariva lentamente. Michele poté sentire
l’odore del suo grembiule bianco frusciante e il delicato
profumo di pane abbrustolito che sempre le aleggiava
intorno così deliziosamente. Ma per quanto si sforzasse,
non poté far durare il latte all’infinito e alla fine, con un
sospiro di rimpianto, le porse la tazza vuota e scivolò
dentro il letto. Non era mai stato così piacevole, pensò. E
pensò anche che si sentiva ben caldo e tanto felice, e che
era una grande fortuna essere vivo. «Non è una cosa buffa,
Mary Poppins?» disse mentre si addormentava. «Sono
stato tanto cattivo e mi sento tanto buono.»
«Hum!» disse Mary Poppins mentre gli rimboccava le
coperte. E uscì per andare a lavare le stoviglie della cena.
La Donna degli Uccelli
«Forse non ci sarà» disse Michele alla sorella. «Sì che ci
sarà» disse Giovanna. «È sempre stata lì.»
Camminavano per Ludgate Hill e andavano a far visita
al signor Banks, alla City. Perché quella mattina aveva
detto alla signora Banks: «Mia cara, se non piove, penso
che Giovanna e Michele potrebbero venirmi a prendere
all’ufficio oggi, cioè, se tu sei d’accordo. Sai, quest’oggi mi
piacerebbe uscire e andare a mangiare la panna coi
cialdoni, e non succede spesso ch’io mi prenda uno
svago.» E la signora Banks aveva risposto che avrebbe
riflettuto sulla cosa.
Ma per tutto il giorno, sebbene Giovanna e Michele la
scrutassero ansiosamente, non aveva avuto l’aria di
rifletterci per nulla. Da quel che diceva, sembrava non
pensasse che al conto della lavandaia e al cappotto nuovo
di Michele, e dov’era l’indirizzo della zia Flossie, e perché
quella disgraziata signora Jackson l’aveva invitata per il tè
il secondo giovedì del mese, quando sapeva che quello era
proprio il giorno in cui la signora Banks doveva andare dal
dentista? All’improvviso, quando i bambini avevano
l’assoluta convinzione che lei non avrebbe mai pensato allo
svago del signor Banks, disse: «Adesso, bambini, non state
lì a guardarmi a occhi aperti in quel modo. Preparatevi.
Dovete andare alla City a prendere il tè con vostro padre.
Lo avete dimenticato?»
Come facevano a dimenticarselo! Perché non era solo il
tè che contava, c’era anche la Donna degli Uccelli, che era
di per se stessa il migliore degli svaghi.
Ecco perché salivano per Ludgate Hill e si sentivano
molto eccitati. Mary Poppins camminava fra di loro, con il
suo cappello nuovo e con un’aria molto distinta. Ogni tanto
si guardava nella vetrina di un negozio per assicurarsi che
il cappello fosse ancora lì e che le rose che c’erano sopra
non si fossero trasformate in fiori comuni come le
margherite dei campi.
Ogni volta che si fermava per assicurarsene, Michele e
Giovanna sospiravano, ma non osavano dire niente per
paura che lei perdesse anche più tempo a guardare nella
vetrina e a voltarsi da una parte o dall’altra a studiare
quale atteggiamento le donasse di più.
Ma alla fine giunsero alla Cattedrale di S. Paolo, presso
cui vivono tanti uccelli; e anche la Donna degli Uccelli vive
lì.
«Eccola!» gridò Michele all’improvviso, e fece un salto
per l’eccitazione.
«Non far segno col dito» disse Mary Poppins, dando
un’ultima occhiata alle rose nella vetrina di un negozio di
tappeti.
«Lo sta dicendo. Lo sta dicendo!» gridò Giovanna,
stringendosi tutta nel timore di spezzarsi in due per la
gioia
E lo stava dicendo. La Donna degli Uccelli era lì, e lo
stava dicendo: «Date da mangiare agli uccelli, cinquanta
centesimi il pacchetto! Date da mangiare agli uccelli,
cinquanta centesimi il pacchetto! Date da mangiare agli
uccelli, cinquanta centesimi il pacchetto!»
Sempre la stessa cosa, con un’acuta voce cantilenante
che faceva sembrare le sue parole una canzone. E mentre
diceva questo, offriva ai passanti dei pacchettini di briciole
di pane. Tutt’intorno le volavano gli uccelli, girando e
saltando, abbassandosi e levandosi in aria. Mary Poppins li
chiamava sempre “passeri” perché, diceva con sufficienza,
tutti gli uccelli erano uguali per lei. Ma Giovanna e
Michele sapevano che non erano passeri, bensì colombi e
piccioni. C’erano dei colombi grigi, rumorosi e
chiacchieroni come le nonne, e dei piccioni marroni con
voci roche come gli zii, e dei piccioni verdolini, chioccianti,
che sembrava dicessero: «No, oggi non ho soldi» come i
padri. E i colombi, trepidanti, di un celeste tenero, erano
come le madri.
Questo almeno era quello che pensavano Giovanna e
Michele.
Gli uccelli volarono attorno alla testa della Donna degli
Uccelli mentre i bambini si avvicinavano, e poi, come per
uno scherzo, si alzarono all’improvviso per l’aria e si
posarono in cima alla Cattedrale di S. Paolo, chiocciando e
volgendo il capino e facendo finta di non conoscerla.
Toccava a Michele comprare un pacchetto. Giovanna
l’aveva comprato la volta precedente. Avanzò verso la
Donna degli Uccelli e le porse due penny.
«Date da mangiare agli uccelli, cinquanta centesimi il
pacchetto» disse la Donna degli Uccelli, e gli mise in mano
un pacchetto di briciole e nascose il denaro fra le pieghe
della sua enorme sottana nera.
«Come mai non avete pacchetti da venticinque
centesimi?» disse Michele. «Così potrei comprarne due.»
«Date da mangiare agli uccelli, cinquanta centesimi il
pacchetto» disse la Donna degli Uccelli, e Michele capì
che non conveniva fare altre domande.
Lui e Giovanna avevano provato spesso; ma tutto
quello che diceva, e tutto quello che sarebbe mai stata
capace di dire era: «Date da mangiare agli uccelli,
cinquanta centesimi il pacchetto.» Così come un cuculo
può solo dire: «Cucù» non importa quali domande voi gli
rivolgiate.
Giovanna e Michele e Mary Poppins sparsero per terra
le briciole, in cerchio, ed ecco che a uno a uno in principio
e poi a due e a tre gli uccelli scesero giù dalla Cattedrale.
«Capperi!» disse Mary Poppins con un’arricciata di
naso, mentre un uccello tirava su una briciola e la lasciava
di nuovo cadere dal becco. Ma gli altri uccelli si
affollarono
sul
cibo,
pigiandosi,
sfamandosi
e
schiamazzando. Alla fine non rimase neppure una briciola,
dato che per un piccione o una colomba non è educato
lasciare qualcosa sul piatto. Quando furono del tutto sicuri
che il pasto era terminato, gli uccelli si alzarono da terra
in cerchio e volarono intorno alla testa della Donna degli
Uccelli, ripetendo nel loro linguaggio le parole che lei
diceva. Uno di loro si posò sul suo cappello, come se fosse
un ornamento della cupola. E un altro scambiò il cappello
nuovo di Mary Poppins per un giardino di rose e strappò
col becco un fiore.
«Ehi, passero!» gridò Mary Poppins e agitò l’ombrello
verso di lui.
Il piccione, molto offeso, volò verso la Donna degli
Uccelli e, per dire il fatto suo a Mary Poppins, pose la rosa
sul nastro del cappello della Donna degli Uccelli.
«Dovresti stare infilzato in uno spiedo, ecco dove
dovresti stare» gli disse Mary Poppins con astio. Poi
chiamò Giovanna e Michele.
«È ora di tornare a casa» disse, e lanciò un ultimo
sguardo furioso al piccione. Quello si limitò a ridere, agitò
la coda e le voltò la schiena.
«Arrivederci» disse Michele alla Donna degli Uccelli.
«Date da mangiare agli uccelli» replicò lei, sorridendo.
«Arrivederci» disse Giovanna.
«Cinquanta centesimi il pacchetto!» disse la Donna
degli Uccelli, facendo un cenno con la mano.
Poi la lasciarono, camminando uno da una parte e uno
dall’altra di Mary Poppins.
«Cosa succede quando tutti se ne vanno come noi?»
domandò Michele a Giovanna.
Sapeva perfettamente ciò che accadeva, ma era una
cosa doverosa domandarlo a Giovanna, perché la storia
l’aveva inventata proprio lei.
Così Giovanna glielo disse, e lui aggiunse i frammenti
che lei dimenticava.
«La notte quando tutti vanno a letto…» cominciò
Giovanna.
«E spuntano le stelle…» soggiunse Michele.
«Sì, e anche se non spuntano, tutti gli uccelli scendono
giù dalla cima della Cattedrale di S. Paolo e perlustrano
con molta cura in terra per vedere che non siano avanzate
briciole e per fare pulizia prima del mattino. E dopo che
hanno fatto questo…»
«Hai dimenticato i bagni.»
«Oh, sì, fanno il bagno e si pettinano le ali con il becco.
E dopo che hanno fatto questo, volano tre volte intorno
alla testa della Donna degli Uccelli, e poi si posano.»
«Si posano sulle sue spalle?»
«Sì, e sul cappello.»
«E nella cesta dove sono i pacchetti?»
«Sì, e qualcuno sulle ginocchia. Poi lei liscia a ognuno
le piume sulla testa e gli dice di essere un buon
uccellino…»
«Nel linguaggio degli uccelli?»
«Sì, e quando hanno tutti sonno e non hanno più voglia
di stare svegli, allarga la sua sottana, come una chioccia
allarga le ali, e gli uccelli s’infilano pian piano sotto. E
appena l’ultimo è sotto, lei si siede, cullandoli con lievi
cinguettii, e dormono lì fino al mattino.»
Michele sospirò soddisfatto. Gli piaceva quella storia e
non era mai stanco di ascoltarla.
«Ed è tutto proprio vero, no?» domandò come faceva
sempre.
«No» disse Mary Poppins, che diceva sempre no.
«Sì» disse Giovanna, che sapeva sempre tutto.
La signora Corry
«Un chilo di salsicce, le migliori» disse Mary Poppins. «E
subito, per favore, abbiamo fretta.»
Il macellaio, che indossava un gran grembiule a righe
blu e rosse, era un uomo grasso e cordiale. Era anche alto
e rosso e piuttosto simile a una delle sue salsicce. Si
sporse dal bancone e si mise a guardare ammirato Mary
Poppins. Poi fece amabilmente l’occhietto a Giovanna e
Michele.
«Avete fretta?» disse a Mary Poppins. «Oh, guarda che
peccato, speravo foste entrata per chiacchierare un po’. A
noi macellai, sapete, piace un po’ di compagnia. E non
abbiamo spesso la fortuna di parlare a una giovane
signora graziosa e piacevole come voi.» S’interruppe di
botto perché aveva visto la faccia di Mary Poppins.
La sua espressione era terribile. E il macellaio desiderò
che ci fosse, nel pavimento del suo negozio, una botola che
si aprisse e lo inghiottisse.
«Oh, bene» disse, diventando più rosso del solito. «Se
avete premura, certo, un chilo di salsicce, dicevate?»
E in fretta tirò giù da un gancio una lunga fila di
salsicce che pendevano a festoni attraverso la bottega. Ne
tagliò una settantina di centimetri, le girò a mo’ di
ghirlanda e le avvolse prima in una carta bianca e poi in
una marrone. Spinse il pacco sul tagliere.
«Altro?» domandò speranzoso, arrossendo ancora.
«Non c’è altro» disse Mary Poppins con un’arricciata di
naso. E, prese le salsicce, voltò in fretta la carrozzina e la
spinse fuori dal negozio in una maniera tale che il
macellaio comprese di averla offesa mortalmente. Ma
uscendo lei dette un’occhiata nella vetrina, e vide riflesso
lì dentro l’effetto delle sue scarpe nuove. Erano di lucido
vitello marrone, con due bottoni, elegantissime.
Giovanna e Michele le trottavano dietro domandandosi
quando sarebbe giunta alla fine della lista delle sue
commissioni, ma, vista l’espressione della sua faccia, non
osavano interrogarla.
Mary Poppins guardò su e giù per la strada, come
assorta a riflettere, e poi, decidendosi improvvisamente,
proclamò: «Pescivendolo» e voltò la carrozzina verso il
negozio accanto a quello del macellaio.
«Una sogliola di Dover, un chilo di merluzzo, mezzo
chilo di gamberetti e un’aragosta» disse Mary Poppins,
parlando così in fretta che solo qualcuno abituato a
prendere simili ordini avrebbe potuto capirla.
Il pescivendolo, assai diverso dal macellaio, era un
uomo lungo e magro, così magro che sembrava non avesse
un davanti, ma solo i due lati. E appariva così triste da far
pensare che aveva appena finito di piangere, oppure stava
per farlo. Giovanna diceva che questo era dovuto a
qualche segreto dolore che lo perseguitava fin dalla
giovinezza. E Michele pensava che la madre del
pescivendolo doveva averlo nutrito a pane e acqua quando
era bambino e che lui non lo aveva mai dimenticato.
«Altro?» disse il pescivendolo senza speranza, in una
voce che faceva capire che era sicuro che non c’era
bisogno d’altro.
«No, per oggi» disse Mary Poppins.
Il pescivendolo scosse la testa tristemente e non
sembrò affatto sorpreso. Aveva compreso fin dal principio
che non ci sarebbe stato bisogno d’altro.
Sospirando affabilmente, legò il pacco e lo pose nella
carrozzina.
«Brutto tempo» osservò, asciugandosi un occhio con la
mano. «Non crediate che avremo l’estate, affatto, non che
l’abbiamo mai avuta, certo. Non sembrate troppo florida»
disse a Mary Poppins. «Ma del resto nessuno lo sembra.»
Mary Poppins scosse il capo. «Parlate per voi» disse
bruscamente, e s’avviò verso la porta, spingendo la
carrozzina così fieramente che urtò contro un sacchetto di
ostriche.
«Che sfacciataggine!» disse, mentre lanciava uno
sguardo alle scarpe. Non sembrava troppo florida nelle
sue scarpe di vitello marrone con due bottoni! Che
sfacciataggine! Ecco quello che le leggevano nel pensiero
Giovanna e Michele.
Fuori, sul marciapiede, sostò consultando la sua lista,
cancellando quel che aveva comperato; Michele si
appoggiò prima su una gamba e poi sull’altra. «Mary
Poppins, non andiamo mai a casa?» domandò stufo.
Mary Poppins si volse e lo fissò con qualcosa di molto
simile al disgusto nello sguardo.
«Questo» disse brevemente «può darsi!» E Michele,
vedendola piegare la lista, si pentì di aver parlato.
«Puoi
andare
a
casa
se
vuoi»
soggiunse
altezzosamente. «Noi andiamo a comperare il Pan Pepato.»
La faccia di Michele cambiò. Se avesse tenuto la lingua
a posto! Non sapeva che in fondo alla lista c’era il Pan
Pepato.
«La strada è quella» disse secca Mary Poppins,
puntando il dito in direzione del Viale dei Ciliegi. «A meno
che non ti perda» aggiunse come per una riflessione
tardiva.
«Oh, no, Mary Poppins, no, per piacere! Io non volevo
dir questo, veramente. Io… oh, Mary Poppins, per favore!»
gridò Michele.
«Lascialo venire, Mary Poppins!» disse Giovanna.
«Spingerò io la carrozzina, se lo lasci venire.»
Mary Poppins arricciò il naso. «Se non fosse venerdì»
disse scura a Michele «saresti andato a casa in un batter
d’occhio, proprio in un batter d’occhio.»
Avanzò, spingendo Barbara e Giovannino. Giovanna e
Michele compresero che lei aveva ceduto e la seguirono
domandandosi che cosa fosse un batter d’occhio.
All’improvviso Giovanna si avvide che andavano nella
direzione sbagliata.
«Ma Mary Poppins, credevo che tu avessi detto Pan
Pepato… Questa non è la strada del pasticciere dove lo
prendiamo sempre» cominciò, ma s’interruppe vedendo il
viso di Mary Poppins.
«Sto facendole io, le commissioni, o voi?» domandò
Mary Poppins.
«Tu» disse Giovanna con una voce piccina piccina.
«Oh, veramente? Mi pareva il contrario» disse Mary
Poppins con un risolino ironico.
Diede un colpetto alla carrozzina, voltò l’angolo e si
bloccò di colpo.
Giovanna e Michele, fermandosi bruscamente dietro di
lei, si trovarono davanti al più curioso negozio che
avessero mai visto. Era piccolissimo e molto misero. Delle
strisce sciupate di carta colorata erano appese alle vetrine
e sulle scansie c’erano delle vecchie scatole di gelato,
vecchi bastoncini di liquerizia e dei caramellati molto
secchi e raggrinziti. C’era una porticina tra le vetrine e
Mary Poppins vi spinse la carrozzina, mentre Giovanna e
Michele le stavano alle calcagna.
Dentro la bottega si vedeva a malapena il banco, che
girava lungo tre pareti. In un cassetto sotto il vetro
c’erano file e file di Pan Pepato scuro e secco, ogni pezzo
cosparso di stelle dorate così fitte che lo stesso negozio
sembrava illuminarsi lievemente al loro bagliore.
Giovanna e Michele girarono intorno lo sguardo per
scoprire che specie di persona li avrebbe serviti e furono
molto sorpresi quando Mary Poppins chiamò: «Fanny!
Anna! Dove siete?» Ai bambini sembrò che la voce
tornasse indietro come un’eco da ciascun angolo buio del
negozio.
E mentre chiamava, due persone, le più enormi che i
bambini avessero mai visto, sorsero da dietro il banco e
scambiarono una stretta di mano con Mary Poppins. Poi le
due donnone si sporsero dal banco e dissero: «Come va?»
con voci grosse quanto loro e strinsero la mano a Giovanna
e Michele.
«Come state, signorina…?» Michele s’interruppe,
domandandosi chi fosse Fanny e chi Anna.
«Mi chiamo Fanny» disse una di loro. «I miei
reumatismi vanno sempre allo stesso modo; grazie per il
tuo interessamento.»
Parlò come se non fosse abituata a quei cortesi
convenevoli.
«È
una
bella
giornata»
cominciò
Giovanna
educatamente, rivolta all’altra sorella, che da quasi un
minuto le teneva la mano imprigionata nella sua stretta
poderosa.
«Io sono Anna» li informò con aria di condiscendenza.
«Ed è bello così come fa bene.»
Giovanna e Michele pensarono che entrambe le sorelle
avevano un modo singolare di esprimersi, ma non ebbero il
tempo di sorprendersene a lungo, perché la signorina
Fanny e la signorina Anna stavano stendendo le loro
lunghe braccia verso la carrozzina. Ciascuna strinse
solennemente la mano a uno dei gemelli i quali furono così
stupiti che cominciarono a gridare.
«Ehi, ehi, dico! Cosa c’è, cosa c’è!» gridò una vocetta
acuta, sottile, tremolante dal retrobottega. A quel suono
l’espressione sul volto della signorina Fanny e della
signorina Anna, che era già triste, divenne più triste
ancora. Parvero spaventate e a disagio, e in un certo modo
Giovanna e Michele capirono che le due grosse sorelle
desideravano di essere molto più piccole e meno
appariscenti.
«Che cos’è tutto quello che sento?» gridò la curiosa
vocetta acuta, avvicinandosi. Ed ecco apparve accanto a
un angolo della vetrina la proprietaria. Era piccola quanto
la sua voce e altrettanto tremolante, e ai bambini sembrò
la donna più vecchia del mondo, con i suoi capelli di
stoppa, le gambe simili a bastoni e la faccetta secca e
grinzosa.
Ma a dispetto di ciò, lei corse verso di loro
leggermente e lietamente come una giovinetta.
«Ehi, ehi, dico! Ma questa è Mary Poppins, con
Giovannino e Barbara Banks. Cosa, anche Giovanna e
Michele? Bene, non è una bella sorpresa? Vi assicuro che
non sono stata così sorpresa da quando Cristoforo
Colombo scoprì l’America. Ma davvero!»
Sorrise allegra mentre veniva a salutarli, e i suoi piedi
facevano dei piccoli movimenti di danza dentro gli
stivaletti leggeri. Corse presso la carrozzina e la scosse
delicatamente, curvando le sue sottili dita nodose su
Giovannino e Barbara finché essi smisero di gridare e
cominciarono a ridere.
«Così va meglio» balbettò gaiamente. Poi fece una cosa
stranissima. Si strappò due dita e ne porse uno per
ciascuno a Giovannino e Barbara. E la cosa più strana fu
che al posto delle dita strappate via, altre nuove crebbero
all’istante. E questo Giovanna e Michele lo videro
chiaramente.
«Non è che zucchero d’orzo, non può far loro male»
disse la vecchia signora a Mary Poppins.
«Qualsiasi cosa voi diate, signora Corry, può far loro
solo del bene» disse Mary Poppins con sorprendente
cortesia.
«Che peccato» non poté fare a meno di dire Michele
«che non fossero mentine.»
«Be’, lo sono, qualche volta» disse la signora Corry
giocondamente «e son molto gustose, anche. Spesso ne
spizzico anch’io, se non riesco a dormire di notte. Ottime
per la digestione.»
«Che cosa saranno la prossima volta?» domandò
Giovanna guardando con interesse le dita della signora
Corry.
«Aha!» disse la signora Corry. «Questo è il problema.
Da un giorno all’altro non so mai che cosa saranno.
Speriamo in bene, come disse Guglielmo il Conquistatore a
sua madre che lo consigliava di non andare a conquistare
l’Inghilterra. L’ho sentito con le mie orecchie.»
«Dovete essere molto vecchia!» disse Giovanna,
sospirando di invidia e domandandosi se lei sarebbe mai
stata capace di ricordare tutto quel che ricordava la
signora Corry.
La signora Corry buttò indietro la sua piccola testa di
stoppa e cominciò a ridere.
«Vecchia!» disse. «Come! Io sono un pulcino
paragonata a mia nonna. Ecco, lei sì che è vecchia. Però
anch’io vado indietro un bel pezzo. Mi rammento il tempo,
quando si stava creando il mondo, e io ero già sulla
trentina. Bontà celeste, quella sì che è stata un’impresa,
posso assicurarvelo!»
S’interruppe di colpo, sogguardando furba attraverso
gli occhietti semichiusi.
«Ma povera me, io vado avanti e nessuno vi serve!
Suppongo, mia cara» si volse a Mary Poppins, che
sembrava conoscere molto bene, «suppongo che siate
venuti per il Pan Pepato…»
«È così, signora Corry» disse Mary Poppins compita.
«Bene, Fanny e Anna ve ne hanno dato?» Mentre
diceva questo, guardò Giovanna e Michele. Giovanna
scosse la testa. Due voci sommesse vennero da dietro il
banco.
«No, mamma» disse umilmente la signorina Fanny.
«Stavamo per farlo, mamma» cominciò la signorina
Anna con un sussurro spaventato.
A questa risposta, la signora Corry si drizzò su tutta la
sua persona, e squadrò furiosamente le sue gigantesche
figlie. Poi con voce bassa, feroce, terrificante, disse:
«Stavate per farlo? Oh, davvero! Questo è molto
interessante. E chi, mi permetto di domandarti, Anna, chi
ti aveva dato il permesso di dar via il mio Pan Pepato?»
«Nessuno, mamma. E io non l’ho dato via. Soltanto,
pensavo…»
«Pensavi! È molto gentile da parte tua! Ma ti sarò
grata se eviti di pensare. Basto io a pensare a tutto il
necessario, qui!» disse la signora Corry con la sua voce
sommessa e terribile. Poi scoppiò a ridere.
«Guardatela! Guardatela bene! Pezzo di gelatina!
Piagnucolona!» gridò, puntando il dito nodoso verso la
figlia.
Giovanna e Michele si volsero e videro una grossa
lacrima scorrere sul faccione triste della signorina Anna,
ma non vollero far commenti perché, malgrado la sua
esilità, la signora Corry incuteva loro un senso di
spavento.
Ma appena lei guardò da un’altra parte, Giovanna colse
l’occasione di offrire alla signorina Anna il suo fazzoletto.
La grossa lacrima della signorina Anna lo inzuppò
completamente e lei, con uno sguardo di gratitudine, lo
strizzò prima di renderlo a Giovanna.
«E tu, Fanny, hai pensato anche tu?…» domandò.
L’acuta vocetta si volgeva ora all’altra figlia.
«No, mamma» disse Fanny, tremante.
«Hum! Meglio per te! Apri quella vetrina.»
Con dita affannate, esitanti, Fanny aprì la vetrina.
«Su, miei cari» disse allora la signora Corry, con una
voce tutta diversa. Sorrise e fece cenno a Giovanna e a
Michele tanto amabilmente che essi si vergognarono di
aver avuto paura di lei e provarono l’impressione che,
dopo tutto, doveva essere molto simpatica.
«Volete avvicinarvi e scegliere, agnellini miei? È una
ricetta speciale, oggi, l’ho avuta da Alfredo il Grande. Era
un ottimo cuoco, mi ricordo, sebbene una volta abbia
lasciato bruciare i dolci. Quanti?»
Giovanna e Michele guardarono Mary Poppins.
«Quattro per ciascuno» disse lei. «Cioè dodici. Una
dozzina.»
«Farò la dozzina di un panettiere. Prendetene tredici»
disse la signora Corry allegramente.
Così Giovanna e Michele scelsero tredici pezzi di Pan
Pepato, ciascuno con la sua stella dorata.
Le loro braccia erano cariche dei deliziosi dolci bruni.
Michele non poté resistere alla tentazione di rosicchiarne
un angolo.
«Buono?» domandò la signora Corry con la sua vocetta
stridula, e dopo che Michele ebbe fatto segno di sì, sollevò
la gonna e fece qualche passo di mazurka, per puro
piacere.
«Urrà, urrà, ottimo, urrà!» gridò con la sua vocetta
stridula. Fece una pausa e il suo volto ridivenne serio.
«Ma ricordatevi, non li sto regalando. Devo essere
pagata. Il prezzo è una moneta da tre penny a testa.»
Mary Poppins aprì la borsa e tirò fuori tre monete. Ne
diede una per ciascuno a Giovanna e Michele.
«Ora» disse la signora Corry «attaccatele al mio
vestito. È lì che van messe tutte.»
I bambini osservarono attentamente il suo lungo
vestito nero. E infatti scoprirono che era cosparso di
monete, come un cielo sereno è cosparso di stelle.
«Venite! Appiccicatele» ripeté la signora Corry,
strofinandosi allegramente le mani nell’attesa. «Vedrete
che non cadranno.»
Mary Poppins avanzò e spinse la sua moneta da tre
penny sul colletto dell’abito della signora Corry. Con
sorpresa di Giovanna e Michele la moneta rimase
incollata. Poi misero le loro. Quella di Giovanna sulla
spalla destra e quella di Michele sull’orlo davanti. Anche
queste rimasero appiccicate.
«Che cosa straordinaria» disse Giovanna.
«Niente affatto, mia cara» cinguettò la signora Corry.
«O piuttosto, non tanto straordinaria quanto altre cose che
potrei raccontare.» E strizzò l’occhio a Mary Poppins.
«Temo che dobbiamo andarcene ora, signora Corry»
disse Mary Poppins. «Ci sarà la crema cotta per pranzo e
devo essere a casa in tempo per farla.»
«Quella signora Brill è una cattiva cuoca?» l’interruppe
la signora Corry.
«Cattiva?» disse Mary Poppins con disprezzo. «La
parola non basta a rendere l’idea.»
«Ah!» La signora Corry si strofinò il naso col dito e
prese un’aria molto seria. Poi disse: «Bene, mia cara Mary
Poppins, è stata una visita piacevolissima e io sono sicura
che le mie ragazze se ne sono rallegrate quanto me.» Con
la testa fece un segno in direzione delle sue malinconiche
figlie. «E tornerete presto, vero, con Giovanna e Michele e
i bambini? Ma siete sicuri di riuscire a portare il Pan
Pepato?» continuò, volgendosi a Michele e Giovanna.
I bambini assentirono col capo. La signora Corry si
avvicinò a loro con uno sguardo curioso, importante,
inquisitore. «Vorrei sapere» disse pensosa «che cosa
farete delle stelle di carta.»
«Oh, le conserveremo» disse Giovanna. «Lo facciamo
sempre.»
«Ah, le conservate! E dove le conservate?» Gli occhi
della signora Corry erano mezzi chiusi e appariva più
inquisitoria che mai.
«Ecco» cominciò Giovanna «le mie stanno tutte sotto i
fazzoletti nel primo cassetto a sinistra e…»
«Le mie stanno nella scatola delle scarpe, nella scansia
in fondo all’armadio…» spiegò Michele.
«Primo cassetto a sinistra e scatola delle scarpe
nell’armadio» ripeté la signora Corry pensosamente, come
se stesse affidando le parole alla memoria. Poi dette un
lungo sguardo a Mary Poppins e scosse appena la testa.
Mary Poppins annuì leggermente. Sembrò che in segreto
si fossero intese.
«Bene» disse la signora Corry lietamente «questo è
molto interessante. Voi non sapete quanto io sia contenta
di sapere che conservate le stelle. Me ne rammenterò.
Vedete, io rammento tutto, anche quello che Enrico VIII
mangiava una domenica sì e una no. E ora addio. Tornate
presto. Tornate p–r–e–s–t–o!»
La voce della signora Corry sembrò divenire più esile e
svanire lontano, ed ecco che, senza ben rendersi conto di
quel che era accaduto, Giovanna e Michele si trovarono
sul marciapiede, dietro Mary Poppins che stava
osservando ancora la sua lista.
Si volsero e guardarono dietro di loro.
«Come, Giovanna!» esclamò Michele sorpreso. «Non
c’è più.»
«È vero» disse Giovanna, spalancando gli occhi.
E avevano ragione. Il negozio non c’era più. Era
scomparso.
«Che strano» disse Giovanna.
«Vero?» disse Michele. «Ma il Pan Pepato è molto
buono.»
Ed erano così occupati a rosicchiare il loro Pan Pepato
dalle differenti forme – un uomo, un fiore, una teiera – che
dimenticarono completamente quanto era strana la cosa.
Tuttavia se ne ricordarono ancora la notte, quando le luci
erano spente e tutt’e due avrebbero dovuto essere
addormentati da un pezzo.
«Giovanna, Giovanna» sussurrò Michele «sento
qualcuno che cammina in punta di piedi per le scale.
Ascolta!»
«Ssst!» sibilò Giovanna dal suo letto: anche lei aveva
inteso i passi.
La porta si aprì con un piccolo scricchiolio e qualcuno
entrò in camera. Era Mary Poppins, vestita in cappello e
cappotto, pronta per uscire.
Si mosse leggermente per la stanza con movimenti
rapidi e misteriosi. Giovanna e Michele la guardarono
attraverso le palpebre socchiuse, senza muoversi.
Prima andò al cassettone, aprì un cassetto e lo richiuse
dopo un attimo. Poi in punta di piedi andò all’armadio, lo
aprì, si chinò e mise o tirò fuori qualcosa, non potevano
dirlo con esattezza. Tac! Lo sportello dell’armadio si
chiuse rapidamente e Mary Poppins uscì in fretta dalla
stanza.
Michele si drizzò sul letto.
«Che cosa stava facendo?» domandò a Giovanna
sottovoce.
«Non so. Forse aveva dimenticato i guanti o le scarpe»
Giovanna si interruppe di colpo. «Ascolta, Michele.»
Lui ascoltò. Da sotto, probabilmente dal giardino,
potevano udire tante voci sussurrare insieme, molto
animatamente e nervosamente.
Con un rapido movimento, Giovanna saltò fuori dal
letto e fece segno a Michele. Pian piano, a piedi nudi,
andarono alla finestra e guardarono giù.
Fuori, nel Viale, c’era una figura esile accanto a due
gigantesche.
«La signora Corry e la signorina Fanny e la signorina
Anna» mormorò Giovanna. Era proprio così. Era un
gruppo curioso. La signora Corry stava guardando
attraverso le sbarre del cancello del numero 17. La
signorina Fanny teneva due lunghe scale in equilibrio su
una spalla, mentre la signorina Anna sembrava che
portasse in una mano un gran secchio di qualcosa come
colla e nell’altra un enorme pennello.
Da dove stavano, nascosti dalla tendina, Giovanna e
Michele potevano udire distintamente le loro voci.
«È in ritardo!» stava dicendo la signora Corry seccata
e ansiosa.
«Forse» cominciò timidamente Fanny, assestandosi più
solidamente le scale sulla spalla, «uno dei bambini è
malato e lei non ha potuto…»
«Venir via in tempo» disse Anna nervosamente,
completando il pensiero di sua sorella.
«Silenzio!» ammonì furiosa la signora Corry, e
Giovanna e Michele la udirono distintamente sibilare
qualcosa come «grosse giraffe maldestre» e compresero
che si riferiva alle sue sfortunate figlie.
«Ssst!» disse la signora Corry all’improvviso,
ponendosi in ascolto col capo piegato, come un uccellino.
Si udì il cigolio della porta d’ingresso aperta adagio e
poi richiusa, e rumore di passi sul sentiero. La signora
Corry sorrise e agitò la mano in segno di saluto, mentre
Mary Poppins veniva loro incontro, portando sul braccio
una cesta della spesa, e nella cesta c’era qualcosa che
sembrava sprigionare una luce debole e misteriosa.
«Andiamo, andiamo, dobbiamo far presto! Non
abbiamo molto tempo» disse la signora Corry, prendendo
Mary Poppins per il braccio. «Datevi da fare, voi due.» E si
mosse seguita dalla signorina Fanny e dalla signorina
Anna, che cercavano di avere l’aria più attiva possibile,
senza
però
riuscirci
molto
bene.
Camminavano
pesantemente dietro la madre e Mary Poppins, curvandosi
sotto i pesi che portavano.
Giovanna e Michele le videro andare tutte e quattro giù
per il Viale dei Ciliegi, e poi piegarono un poco a sinistra e
salirono su per la collina.
Quando furono in cima, dove non c’erano case, ma solo
erba e trifoglio, si fermarono.
Anna posò il suo secchio di colla, e Fanny si tolse le
scale dalla spalla e le appoggiò una all’altra in modo da
farle stare in piedi. Poi ne tenne una, e Anna l’altra.
«Che cosa staranno mai per fare?» chiese Michele, con
la bocca aperta.
Ma non ci fu bisogno che Giovanna gli rispondesse,
perché poté vedere lui stesso quel che stava succedendo.
Appena la signorina Fanny e la signorina Anna ebbero
sistemato le scale in modo che sembravano star ritte con
un capo sulla Terra e l’altro appoggiato al cielo, la signora
Corry si tirò su la sottana e prese il pennello in una mano e
il secchio di colla nell’altra. Poi pose il piede sul primo
piolo di una delle scale e cominciò a salire. Mary Poppins
con la sua cesta in mano salì sull’altra.
Poi, Giovanna e Michele videro qualcosa di
sorprendente. Appena fu arrivata in cima alla scala, la
signora Corry intinse il pennello nella colla e cominciò a
stendere la sostanza vischiosa sul cielo. E Mary Poppins,
dopo che fu fatto questo, tirò fuori qualcosa di lucido dalla
sua cesta e lo appiccicò alla colla. Dopo che ebbe levato la
mano, videro che stava incollando sul cielo le stelle del
Pan Pepato. Ogni stella, appena sistemata, si metteva a
brillare furiosamente, spargendo raggi di scintillante luce
dorata.
«Quelle sono nostre» disse Michele senza respiro.
«Sono le nostre stelle. Credeva che noi dormissimo ed è
entrata e le ha prese!»
Ma Giovanna taceva. Stava guardando la signora Corry
che stendeva la colla in cielo e Mary Poppins che ci
incollava sopra le stelle; e la signorina Fanny e la
signorina Anna spostavano le scale in una nuova posizione
appena gli spazi nel cielo erano stati riempiti. Finalmente
tutto fu terminato. Mary Poppins scosse la cesta e mostrò
alla signora Corry che non c’era rimasto dentro niente. Poi
scesero dalle scale e la processione si avviò di nuovo giù
per la collina, la signorina Fanny con le scale sulla spalla,
la signorina Anna col secchio vuoto della colla. All’angolo
si fermarono un momento a chiacchierare. Poi Mary
Poppins scambiò con loro una stretta di mano e in fretta si
avviò di nuovo per il Viale.
La signora Corry, danzando con leggerezza nei suoi
stivaletti leggeri e reggendo delicatamente la gonna,
scomparve nell’altra direzione con le sue grosse figlie che
le camminavano dietro a passi pesanti.
Il
cancello
del
giardino
cigolò.
Dei
passi
scricchiolarono sul sentiero. La porta d’ingresso si aprì e si
richiuse con un piccolo stridio. Ecco che udirono Mary
Poppins salire pian piano le scale, attraversare la loro
stanza ed entrare nella camera dove dormiva con
Giovannino e Barbara.
Appena il suono dei suoi passi andò morendo lontano,
Giovanna e Michele si guardarono l’un l’altro. Poi senza
una parola si diressero insieme al primo cassetto di
sinistra e guardarono. Non c’era dentro nulla tranne la
pila dei fazzoletti di Giovanna.
«Te l’avevo detto» disse Michele.
Poi si diressero all’armadio e guardarono nella scatola
delle scarpe. Era vuota.
«Ma come? Ma perché?» disse Michele, sedendosi
sulla sponda del letto e fissando la sorella.
Giovanna non disse nulla. Si sedette vicino a lui con le
braccia attorno alle ginocchia e pensò e pensò e pensò.
Alla fine scosse indietro i capelli, si stirò e si alzò.
«Quello che vorrei sapere» disse «è questo: sono le
stelle a essere fatte di carta dorata oppure la carta dorata
è fatta di stelle?»
Non ci fu risposta alla sua domanda e lei non se ne
aspettava alcuna. Sapeva che soltanto qualcuno molto più
saggio di Michele poteva darle la risposta giusta.
La storia di Barbara e Giovannino
Giovanna e Michele erano andati a una festa, indossando
gli abiti migliori; sembravano, come disse Ellen la
cameriera quando li vide, «… proprio come la vetrina di un
negozio.»
Tutto il pomeriggio la casa fu tranquilla e silenziosa,
come se stesse pensando per conto proprio o forse
sognando.
Giù in cucina la signora Brill leggeva il giornale con gli
occhiali appollaiati sul naso. Robertson Ay sedeva in
giardino, occupato a far niente. La signora Banks stava in
salotto sul sofà, con i piedi sopra. E la casa era molto
quieta tutt’intorno a loro, sognando i suoi propri sogni o
forse pensando.
Su nelle stanze dei bambini Mary Poppins faceva
asciugare gli abiti vicino al fuoco e la luce del sole entrava
dalla finestra, scherzando sui muri bianchi, danzando sulle
culle in cui dormivano i gemelli.
«Ehi, muoviti! Mi stai proprio negli occhi» disse
Giovannino a voce alta.
«Mi dispiace» rispose la luce del sole. «Ma non posso
farci niente. Devo assolutamente attraversare questa
stanza. Gli ordini sono ordini. Debbo muovermi da Est a
Ovest in un giorno e la mia strada passa per questa stanza.
Mi dispiace! Chiudi gli occhi e non ti accorgerai di me.»
La freccia di sole dorata si allungò attraverso la
camera. Evidentemente si muoveva quanto più presto
poteva per far piacere a Giovannino.
«Quanto sei morbido! Quanto sei dolce! Ti voglio bene»
disse Barbara, stendendo le braccine al suo calore
scintillante.
«Brava bambina» disse la luce del sole con
approvazione e si mosse sulle sue guance e fra i suoi
capelli, simile a una leggera carezza. «Ti piace il mio
tocco?» domandò come se volesse essere lodata.
«Delizioooso» disse Barbara con un sospiro di felicità.
«Chiacchiere, chiacchiere, chiacchiere! Non ho mai
veduto un posto dove si chiacchiera tanto. C’è sempre
qualcuno che parla in questa stanza» disse una voce acuta
dalla finestra.
Giovannino e Barbara alzarono gli occhi.
Era lo Stornello che viveva in cima al comignolo.
«Senti chi parla» disse Mary Poppins, volgendosi in
fretta. «E tu allora? Tutto il giorno, e anche metà notte, sui
tetti e sui pali del telegrafo, cinguettando, gridando e
schiamazzando. Peggio di un passero, questa è la verità.»
Lo Stornello piegò la testa da una parte e la guardò dal
davanzale della finestra.
«Bene» disse «ho i miei affari a cui badare. Consulti,
discussioni, querele, contratti… E questo naturalmente
rende necessario un certo quantitativo di… tranquilla
conversazione.»
«Tranquilla!» esclamò Giovannino ridendo di cuore.
«Non stavo parlando con te, giovanotto» disse lo
Stornello, saltando giù dal davanzale della finestra. «E non
hai bisogno di parlare, in tutti i casi. Ti ho sentito per
molte ore di seguito, sabato scorso. Santo cielo, credevo
che non la smettessi più, mi hai tenuto sveglio tutta la
notte.»
«Quello non era parlare» disse Giovannino. «Stavo…»
Fece una pausa. «Avevo un dolore, voglio dire.»
«Hum!» disse lo Stornello e saltò sulla sponda della
culla di Barbara. Camminò sull’orlo finché giunse a capo
della culla. Poi disse con una vocetta smorfiosa: «Bene,
Barbara, non hai qualcosa per il tuo vecchio amico oggi,
eh?» Barbara si tirò su aggrappandosi a una sbarra del
lettino. «C’è l’altra metà del mio biscotto d’orzo» disse, e
glielo porse col suo pugnetto grasso e tondo.
Lo Stornello ci si buttò sopra, glielo strappò di mano e
volò sul davanzale della finestra. Cominciò a beccarlo
golosamente.
«Grazie di nuovo» disse Mary Poppins con intenzione,
ma lo Stornello era troppo occupato a mangiare per capire
il rimprovero.
«Ho detto grazie!» disse Mary Poppins un po’ più forte.
Lo Stornello alzò gli occhi.
«Eh… cosa? Oh, andiamo, ragazza, andiamo. Non ho
tempo per cerimonie del genere.» E inghiottì il resto del
suo biscotto.
La stanza era molto quieta. Giovannino, assopendosi
nella luce del sole, mise in bocca le dita del piedino destro
e le strofinò lì dove i denti cominciavano a spuntare.
«Perché ti disturbi a fare così?» disse Barbara con una
voce sommessa e divertita, che sembrava sempre piena di
risa. «Non c’è nessuno che ti vede.»
«Lo so» disse Giovannino, facendo come una suonatina
coi piedi. «Voglio tenermi in esercizio, diverte tanto i
grandi. Ti sei accorta che ieri la zia Flossie quasi diventava
matta quando lo facevo? “Che caro, che bravo, che
meraviglia, che creatura!” Non l’hai sentita?» E
Giovannino allontanò da sé il piedino e scoppiò a ridere al
pensiero della zia Flossie.
«Le è piaciuto anche il mio scherzo» disse Barbara
dolcemente. «Mi sono tirata via tutti e due i calzini, e lei
ha detto che ero così buona che avrebbe voluto
mangiarmi. Non è buffo? Se io dico che vorrei mangiare
qualcosa, voglio dire veramente quello. Biscotti e
ciambelle e i pomi del lettino e altro ancora. Ma a quanto
pare i grandi non vogliono mai dire quello che dicono. Lei
non poteva realmente desiderare di mangiarmi, non è
vero?»
«No. È solo la maniera sciocca che hanno di parlare»
disse Giovannino. «Credo che non capirò mai i grandi.
Sembrano tutti così stupidi. E anche Giovanna e Michele
sono stupidi qualche volta.»
«Già» assentì Barbara, pensosamente, togliendosi i
calzini e tornando a metterseli.
«Per esempio» proseguì Giovannino «non capiscono
una sola delle cose che diciamo noi. Ma peggio ancora,
non capiscono ciò che dicono le altre cose. Ecco, soltanto
lunedì scorso Giovanna diceva che avrebbe desiderato
conoscere la lingua del Vento.»
«Lo so» disse Barbara. «È sorprendente. E Michele
continua a dire, hai sentito, che lo Stornello dice pio pio
pio. Non capisce che lo Stornello non dice affatto pio pio
pio, ma parla proprio la nostra stessa lingua.
Naturalmente uno non pretende che la mamma e il papà
sappiano questo, loro non sanno nulla, anche se sono
molto cari, ma avrei creduto che Giovanna e Michele
capissero.»
«Una volta capivano» disse Mary Poppins piegando una
camicia da notte di Giovanna.
«Cosa?» domandarono insieme Giovannino e Barbara
con voce molto sorpresa.
«Veramente vuoi dire che capivano lo Stornello e il
Vento e…»
«E quello che dicono gli alberi e la lingua del sole e
delle stelle. Certo che lo capivano. Una volta!» disse Mary
Poppins.
«Ma… ma com’è che hanno dimenticato tutto?» disse
Giovannino corrugando la fronte e cercando di
comprendere.
«Ah» disse lo Stornello, con aria informata, alzando gli
occhi dalle briciole del biscotto. «Vi piacerebbe saperlo?»
«Perché sono diventati grandi» spiegò Mary Poppins.
«Barbara, mettiti subito i calzini per piacere.»
«Questa è una stupida ragione» disse Giovannino
guardandola severamente.
«È quella vera, però» Mary Poppins soggiunse legando
strettamente i calzini di Barbara intorno alle caviglie.
«Ecco, sono Giovanna e Michele che sono stupidi»
continuò Giovannino. «Io so che non lo dimenticherò
quando io sarò grande.»
«Neanch’io» fece eco Barbara succhiandosi il ditino
con soddisfazione.
«Sì, lo dimenticherete» disse Mary Poppins con aria
sicura.
I gemelli si alzarono su e la guardarono.
«Già!» disse lo Stornello con disprezzo. «Guardateli!
Credono di essere le meraviglie del mondo. Piccoli prodigi.
A me non pare proprio! Certo che lo dimenticherete, come
Giovanna e Michele.»
«No che non lo dimenticheremo» dissero di nuovo i
gemelli, guardando lo Stornello come se volessero
ucciderlo.
Lo stornello li burlò.
«Io dico che lo dimenticherete» insistette. «Non è
colpa
vostra,
certo»
aggiunse
più
gentilmente.
«Dimenticherete perché non potete farne a meno. Non c’è
mai stato un essere umano che l’abbia ricordato dopo l’età
di un anno, al massimo, eccetto naturalmente lei…» E girò
la testa indicando Mary Poppins.
«Ma perché lei può ricordare e noi no?» disse
Giovannino.
«A–a–a–h! Lei è differente. Lei è la Grande Eccezione.
Non possiamo basarci su di lei» disse lo Stornello,
sorridendo con ironia.
Giovannino e Barbara tacevano. Lo Stornello proseguì
la spiegazione: «Sì, lei è qualcosa di speciale, sapete. Non
per la sua bellezza. Uno dei miei pulcini appena nati è più
bello di quel che non sia mai stata Mary.»
«Oh, impertinente!» disse Mary Poppins furibonda,
lanciandosi verso di lui e buttandogli contro il grembiule.
Ma lo Stornello saltò da una parte e volò sul davanzale
della finestra fischiando maliziosamente, ben fuori dalla
sua mira.
«Credevi di prendermi questa volta, vero?» la canzonò
e scosse verso di lei le piume delle ali.
Mary Poppins brontolò.
La luce del sole si mosse attraverso la stanza, tirandosi
dietro la sua scia dorata. Fuori si era alzato un vento
leggero e frusciava dolcemente tra gli alberi di ciliegio del
Viale.
«Ascolta, ascolta, il Vento sta parlando» disse
Giovannino chinando la testa da un lato. «Dici davvero che
non saremo più capaci di udirlo quando saremo grandi,
Mary Poppins?»
«Lo udirete benissimo» disse Mary Poppins «ma non lo
comprenderete.» A queste parole Barbara cominciò a
piangere sommessamente. E c’erano lacrime anche negli
occhi di Giovannino. «Be’, non ci si può far nulla. Le cose
vanno così» disse Mary Poppins in tono ragionevole.
«Ma guardateli, guardateli!» li canzonò lo Stornello.
«Piangono da morire! Uno stornello nell’uovo ha più
cervello. Ma guardateli!»
Infatti Giovannino e Barbara piangevano a dirotto nei
loro lettini, lunghi, profondi singhiozzi di grande infelicità.
La porta si aprì all’improvviso ed entrò la signora
Banks.
«Credevo di aver sentito i bambini» disse. Poi corse dai
gemelli. «Cosa c’è, bambini miei? Oh, miei tesori, mie
stelle, uccellini miei, che c’è? Sono stati così quieti tutto il
pomeriggio, non un fiato. Ora cosa può essere?»
«Sì, signora. No, signora. Ritengo che stiano mettendo
i denti, signora» disse Mary Poppins, non guardando,
deliberatamente, in direzione dello Stornello.
«Oh, certo. Dev’essere questo» disse la signora Banks
giocondamente.
«Non voglio i denti, se mi fanno dimenticare tutte le
cose che mi piacciono di più» gemette Giovannino
agitandosi nel suo lettino.
«Neppure io» pianse Barbara, nascondendo il volto nel
cuscino.
«Poveri piccoli miei, agnellini miei, andrà tutto bene
quando spunteranno quei brutti dentacci» disse
carezzevole la signora Banks, andando da un lettino
all’altro.
«Non capisci!» gridò furiosamente Giovannino. «Io non
voglio i denti.»
«Non andrà tutto bene, andrà tutto male» gemette
Barbara nel suo cuscino.
«Sì–sì. Qui–qui. La mamma sa. La mamma capisce.
Andrà tutto bene, quando i denti spunteranno» mormorò
teneramente la signora Banks.
Un leggero rumore venne dalla finestra. Era lo
Stornello che inghiottiva in fretta una risata. Mary Poppins
gli lanciò uno sguardo che lo zittì, dopo il quale continuò a
osservare la scena senza l’ombra di un sorriso.
La signora Banks dava colpetti delicati ai bimbi, prima
all’uno poi all’altro, mormorando parole che volevano
essere rassicuranti.
A un tratto Giovannino smise di piangere. Aveva modi
molto educati e amava la sua mamma e ricordava quello
che le era dovuto. Non era colpa sua, povera donna, se
diceva sempre la cosa sbagliata. Era solo, rifletté, perché
non capiva. Così, per mostrarle che la perdonava, si mise
supino e con aria desolata tirando su per il naso le lacrime,
si prese il piede destro con le mani e ne fece strisciare le
dita sulla bocca aperta.
«Che bravo, che bravo» disse la madre, ammirata. Lo
fece ancora, e lei ne fu molto compiaciuta.
Poi Barbara, per non essere da meno in cortesia, venne
fuori dal suo cuscino e, con le lacrime ancora umide sulla
faccia, si drizzò e si sfilò i calzini.
«Che bambina straordinaria» disse la signora Banks
con orgoglio e la baciò. «Ecco, vedete, Mary Poppins! Sono
di nuovo buoni. Io riesco sempre a confortarli. Buonissimi,
buonissimi» disse la signora Banks, come se cantasse una
ninnananna. «E i denti spunteranno subito.»
«Sì, signora» disse Mary Poppins dolcemente,
sorridendo ai gemelli.
La signora Banks uscì e chiuse la porta.
Appena fu scomparsa lo Stornello scoppiò in una
fragorosa risata.
«Scusate la risata» gridò. «Ma veramente, non posso
farne a meno. Che scena! Che scena!»
Giovannino non gli fece caso. Spinse la faccia tra le
sbarre del lettino e chiamò piano e rabbioso Barbara: «Io
non sarò come gli altri. Ti dico che non lo sarò!» Scosse la
testa verso lo Stornello e verso Mary Poppins. «Possono
dire quello che vogliono. Io non dimenticherò mai, mai!»
Mary Poppins sorrise, un segreto sorriso, tutto rivolto a
se stessa, che voleva dire: «Ne so più di voi.»
«Neanch’io» gli rispose Barbara. «Mai mai.»
«Benedette penne della mia coda, sentite!» gridò lo
Stornello, mentre appoggiava le ali sui fianchi e
gorgogliava per l’allegria. «Come se potessero fare a meno
di dimenticare! Fra un mese o due, tre al massimo, non
sapranno neanche più come mi chiamo io, ridicoli cuculi!
Ridicoli cuculi spennati! Ah ah ah!» E con un altro
fragoroso scoppio di risa agitò le ali screziate e volò fuori
dalla finestra.
Non passò molto tempo che i denti, con grande fastidio,
spuntarono, come debbono fare tutti i denti, e i gemelli
festeggiarono il loro primo compleanno.
Il giorno dopo la festa, lo Stornello, che era stato in
vacanza al mare, tornò al numero 17 di Viale dei Ciliegi.
«Ohilà, ohilà, ohilà, eccomi di nuovo qui» gridò pieno di
gioia, atterrando con un piccolo dondolio sul davanzale
della finestra. «Bene, come la va, ragazza?» domandò
sfacciatamente a Mary Poppins, piegando la testina da una
parte e guardandola con occhi allegri e maliziosi.
«Non va certo meglio perché me lo chiedi tu» disse
Mary Poppins, scuotendo la testa.
Lo Stornello rise. «La stessa vecchia Mary Poppins»
disse. «Non sei cambiata affatto. Come stanno gli altri, i
cuculi?» domandò e guardò attraverso il lettino di
Barbara.
«Bene, Barbarina» cominciò con la sua sommessa voce
smorfiosa «non hai qualcosa per il tuo vecchio amico,
oggi?»
«Ba–ba–ba–ba–ba»
disse
Barbara
ninnandosi
dolcemente, mentre continuava a mangiare il suo biscotto
d’orzo.
Lo Stornello, con un sussulto di sorpresa, saltellò più
vicino. «Dicevo» ripeté più distintamente «non hai
qualcosa per il tuo vecchio amico, oggi, Barbara cara?»
«Ba–ba–ba–ba–ba» mormorò Barbara guardando il
soffitto, mentre inghiottiva l’ultima briciola.
Lo Stornello la guardò fissamente.
«Ah!» disse all’improvviso e si volse guardando
interrogativamente Mary Poppins.
Gli occhi quieti di lei incontrarono i suoi in un lungo
sguardo.
Poi, rapido come una freccia, lo Stornello volò sul letto
di Giovannino e si posò sulle sbarre. Giovannino teneva
stretto fra le braccia un grosso agnello di lana.
«Come mi chiamo? Come mi chiamo? Come mi
chiamo?» gridò lo Stornello con una voce acuta e ansiosa.
«Pa–pa–pa» disse Giovannino, aprendo la bocca e
mettendoci dentro una zampa dell’agnello di lana.
Lo Stornello scosse la testa e volò via.
«Così è accaduto» disse quietamente a Mary Poppins.
Lei assentì. Per un momento lo Stornello scrutò i gemelli
con amarezza. Poi alzò le ali screziate. «Be’, lo sapevo che
sarebbe accaduto. Lo dicevo sempre. Non volevano
crederci.» Rimase in silenzio per breve tempo, guardando
fisso nei lettini. Poi si scosse con decisione. «Bene, bene.
Devo andare via. Tornare al mio comignolo. Avrà bisogno
delle pulizie di primavera. Avrò molto da fare.»
Volò sul davanzale della finestra e si fermò, guardando
indietro.
«Mi sembrerà strano, però, senza di loro. Mi piaceva
tanto parlare con loro. Mi piaceva davvero. Sentirò la loro
mancanza.» In fretta si passò l’ala sugli occhi.
«Piangi?» lo prese in giro Mary Poppins. Lo Stornello si
drizzò. «Piango? No di certo. Ehm, è un leggero
raffreddore, l’ho preso nel mio viaggio di ritorno; è tutto
qui. Sì, un leggero raffreddore. Nulla di grave.»
Si lanciò verso la finestra, si lisciò le piume del petto
con il becco, e poi: «Ciao» disse con disinvoltura. Aprì le
ali e scomparve.
Luna piena
Tutto il giorno Mary Poppins era stata di fretta, e quando
era di fretta era sempre di cattivo umore.
Qualunque cosa Giovanna facesse andava male,
qualunque cosa facesse Michele era ancora peggio. Si
inquietava persino coi gemelli. Giovanna e Michele si
tenevano il più possibile lontani da lei, perché sapevano
che certe volte era meglio non essere visti o sentiti da
Mary Poppins.
«Vorrei che fossimo invisibili» sospirò Michele, dopo
che Mary Poppins gli ebbe detto che la sola vista di lui era
più di quel che una persona rispettabile potesse
sopportare.
«Possiamo diventare invisibili» suggerì Giovanna «se
andiamo dietro il sofà. Lì ci mettiamo a contare i soldi dei
nostri salvadanai, e può essere che lei sia d’altro umore,
dopo mangiato.» E così fecero.
«Sei penny e quattro penny, cioè dieci penny. E uno
scellino e due scellini» disse Giovanna contando in fretta.
«Quattro penny e due penny e… basta» sospirò
Michele, facendo un mucchietto dei suoi.
«Tutto questo va bene per le offerte ai poveri» disse
Mary Poppins, guardando da sopra il bracciolo del sofà e
arricciando il naso.
«Oh, no» disse Michele con aria di rimprovero. «Sono
per me. Sto risparmiando.»
«Hum, per uno di quei tuoi aeroplani, suppongo!» disse
Mary Poppins con disprezzo.
«No, per un elefante, uno proprio tutto per me, come
Lizzie al Giardino Zoologico. Potrei portarti a spasso, poi»
aggiunse Michele, mezzo guardandola e mezzo non
guardandola, per vedere come l’avrebbe presa.
«Hum» disse Mary Poppins «che idea!» Ma videro che
non era più così di cattivo umore come prima.
«Io mi domando» disse Michele pensosamente «che
cosa succede al Giardino Zoologico la notte quando tutti
sono andati a casa.»
«Quante curiosità» ribatté Mary Poppins.
«Non era curiosità. Domandavo soltanto» la corresse
Michele. «Tu lo sai?» domandò a Mary Poppins, che stava
togliendo a tutta velocità le briciole dalla tavola.
«Un’altra domanda e pim, pum, a letto!» rispose, e
cominciò a riordinare la stanza così in fretta da sembrare
più un turbine in cuffia e grembiule che un essere umano.
«È inutile interrogarla. Lei sa tutto ma non dice mai
nulla» commentò Giovanna.
«A cosa serve sapere, se non lo dice a nessuno»
brontolò Michele, ma lo disse a mezza bocca in modo che
Mary Poppins non potesse udire.
Giovanna e Michele non ricordavano di essere mai stati
messi a letto così in fretta come quella sera. Mary Poppins
spense la luce molto presto e uscì velocemente come se
tutti i venti della terra le soffiassero dietro. Sembrò loro
tuttavia che non fosse passato neanche un minuto, quando
udirono una voce bassa mormorare alla porta.
«Presto, Giovanna e Michele!» disse la voce.
«Mettetevi qualcosa e sbrigatevi!» Saltarono giù dal letto
trasalendo di sorpresa.
«Andiamo» disse Giovanna «succede qualcosa.» E
cominciò a frugare nell’oscurità per trovare i suoi abiti.
«Presto!» disse ancora la voce.
«Oh, povero me, tutto quel che riesco a trovare è il mio
berretto alla marinara e un paio di guanti» disse Michele,
correndo per la stanza, tirando i cassetti e annaspando fra
la roba.
«Quelli bastano. Indossali. Non fa freddo. Andiamo.»
Anche Giovanna era riuscita a trovare soltanto un
cappottino di Giovannino: ci infilò a malapena le braccia e
aprì la porta. Non c’era nessuno, ma sembrò loro di udire
qualcosa che si precipitava giù per le scale. Giovanna e
Michele le andarono dietro. Qualunque cosa fosse, o
chiunque fosse, si teneva continuamente davanti a loro.
Non la vedevano mai, ma avevano la sensazione distinta di
essere guidati da qualcosa che faceva loro costantemente
segno di seguire. Ecco che giunsero nel Viale, le loro
pantofole strisciavano sul marciapiede mentre avanzavano.
«Presto» li incitò ancora la voce da un angolo vicino,
ma, quando l’ebbero oltrepassato, non riuscirono a vedere
nulla. Cominciarono a correre, tenendosi per mano,
seguendo la voce giù per le strade, attraverso i vicoli, sotto
gli archi e attraverso il Parco, finché ansimanti e senza
fiato si arrestarono presso una grande porta a bussola, che
s’apriva in un muro.
«Eccovi arrivati» disse la voce.
«Dove?» le domandò Michele. Ma non ci fu risposta.
Giovanna avanzò verso la porta girevole, trascinando
Michele per la mano.
«Guarda!» disse. «Non vedi dove siamo? È il Giardino
Zoologico!»
Una luna piena, luminosissima, brillava nel cielo, e alla
sua luce Michele osservò il cancello di ferro e guardò
attraverso le sbarre. Ma certo! Come aveva fatto a non
accorgersi che era il Giardino Zoologico?
«Ma come facciamo a entrare?» domandò il bambino.
«Non abbiamo soldi.»
«Non fa niente» disse una voce profonda, rude, dal di
dentro. «I visitatori speciali entrano gratis questa notte.
Spingete la ruota, prego!»
Giovanna e Michele spinsero e furono dall’altra parte
in un minuto.
«Eccovi il biglietto» disse la voce rude e alzando gli
occhi videro che proveniva da un grosso Orso Bruno che
portava una giacca con bottoni d’ottone e in testa un
berretto a punta. Nella sua zampa c’erano due biglietti
rosa che porse ai bambini.
«Ma di solito siamo noi a consegnare i biglietti» disse
Giovanna.
«Questa notte li ricevete» disse l’Orso sorridendo.
Intanto Michele lo aveva osservato da vicino.
«Io mi ricordo di te» disse all’Orso. «Una volta ti ho
dato un barattolo di miele.»
«Sì» disse l’Orso «e ti sei dimenticato di togliere il
coperchio. Sai, ho lavorato per più di dieci giorni intorno a
quel coperchio. Fai più attenzione la prossima volta.»
«Ma perché non stai nella tua gabbia? Stai sempre
fuori la notte?» domandò Michele.
«No, solo quando il Compleanno cade di luna piena. Ma
dovete scusarmi. Devo badare al cancello.» E l’Orso si
voltò e ricominciò a far girare la manovella della bussola.
Giovanna e Michele, con i biglietti in mano,
s’inoltrarono nel Giardino Zoologico. Nella luce della luna
piena ogni albero, fiore, arbusto era ben visibile e
potevano scorgere le cose e le gabbie molto distintamente.
«Sembra che ci sia un sacco di gente in giro» osservò
Michele.
E infatti era così. Animali correvano tutt’intorno per i
sentieri, talvolta accompagnati da uccelli e talvolta soli.
Due lupi li oltrepassarono, parlando con calore a una
cicogna altissima che camminava tra loro in punta di piedi,
con movimenti aggraziati e leggeri.
Giovanna e Michele, al loro passaggio, colsero
distintamente le parole “Compleanno” e “Luna piena”.
Un po’ più lontano tre cammelli vagabondavano uno
accanto all’altro e non molto distante un castoro e un
avvoltoio americano erano immersi in una conversazione.
E sembrò ai bimbi che discutessero tutti dello stesso
argomento.
«Chissà di chi è il Compleanno…» disse Michele, ma
Giovanna camminava avanti osservando una scena
curiosa.
Proprio presso la gabbia dell’elefante un vecchio
signore molto grosso e molto grasso stava camminando su
e giù a quattro zampe e sul dorso, su due sedili paralleli,
portava otto scimmie che facevano una passeggiata.
«Ma è tutto a rovescio!» esclamò Giovanna.
Il vecchio signore le lanciò uno sguardo furioso mentre
la sorpassava.
«A rovescio!» brontolò. «Io a rovescio? No di certo.
Che insulto volgare!» Le otto scimmie risero forte.
«Scusi. Non intendevo lei, ma tutto quanto insieme»
spiegò Giovanna, affannandosi a corrergli dietro per
scusarsi. «Nei giorni ordinari gli animali trasportano gli
esseri umani e ora c’è un essere umano che trasporta gli
animali.»
Ma il vecchio signore, trascinandosi e ansimando,
insistette che era stato insultato e se ne andò via in fretta
con le scimmie sulla schiena.
Giovanna capì che non era il caso di seguirlo, così
prese per mano Michele e riprese il cammino. Trasalirono
quando una voce, quasi ai loro piedi, li sorprese.
«Avanti voi due! Entrate! Ora vogliamo vedere voi che
vi tuffate a prendere una buccia d’arancia che non
desiderate.» Era una voce dura, in collera: guardando in
giù videro che veniva da una Foca piccola e nera, che li
guardava con la coda dell’occhio da una vasca illuminata
dalla luna.
«Andiamo, su, e vediamo se vi piace!» disse.
«Ma… ma noi non sappiamo nuotare» disse Michele.
«Non posso farci niente» disse la Foca. «Avreste
dovuto pensarci prima. Nessuno si preoccupa di sapere se
io so nuotare o no. Ehi, cosa c’è? Che cos’è questo?» Fece
l’ultima domanda a un’altra Foca che era emersa
dall’acqua e le stava mormorando qualcosa all’orecchio.
«Chi?» disse la prima Foca. «Parla più forte!»
La seconda Foca continuò a sussurrare. Giovanna colse
le parole «Visitatori speciali. Amici di…» e poi nient’altro.
La prima Foca sembrò contrariata, ma disse abbastanza
gentilmente a Giovanna e a Michele: «Oh, domando scusa.
Piacere di conoscervi. Domando scusa.» E porse la pinna e
strinse la mano mollemente a tutti e due.
«Fa’ attenzione a dove vai, accidenti!» gridò mentre
qualcosa urtava violentemente Giovanna. Lei si volse in
fretta ed ebbe un piccolo sussulto di spavento, vedendo un
enorme Leone. Gli occhi del Leone scintillarono,
guardandola.
«Oh, volevo dire…» cominciò. «Non sapevo che eravate
voi. Qui è così affollato stanotte e ho tanta premura di
vedere il pasto degli uomini che non guardavo dove stavo
andando. Venite? Non dovreste perdere questo spettacolo,
sapete.»
«Forse» disse Giovanna gentilmente «dovreste
mostrarci la via.» Non si fidava troppo del Leone, ma le
sembrava abbastanza educato. “E dopo tutto” pensò,
“stanotte è tutto sottosopra.”
«Con piacere!» disse il Leone con una voce piuttosto
affettata e le offrì il braccio. Lei lo prese, ma per essere
più tranquilla si tenne Michele accanto. Era un bimbo così
tondo e grasso, e dopo tutto, pensava, i leoni sono leoni…
«Sta bene la mia criniera?» domandò il Leone mentre
andavano. «L’ho arricciata per l’occasione.»
Giovanna la guardò. Effettivamente era stata unta con
cura e pettinata a ricciolini.
«Benissimo» disse lei. «Ma è piuttosto strano che un
Leone badi a cose simili. Io credevo…»
«Come! Mia cara giovane signora, il Leone, come voi
sapete, è il Re degli animali. Deve rammentarsi la sua
posizione. E io personalmente non credo di dimenticarla.
Ritengo che un Leone debba sempre fare la sua miglior
figura, non importa dove sia. Da questa parte.» E con un
grazioso cenno della zampa anteriore indicò la Casa dei
Felini e li precedette all’ingresso.
Giovanna e Michele trattennero il respiro alla vista che
si presentò ai loro occhi. La vasta sala era affollata di
animali. Parte erano appoggiati alla lunga sbarra che li
separava dalle gabbie, parte stavano ritti sulle poltroncine
di fronte alle gabbie.
C’erano pantere e leopardi, lupi, tigri e antilopi,
scimmie e istrici, daini, capre delle nevi e giraffe; e un
enorme gruppo composto interamente di gabbiani e
avvoltoi.
«Splendido, vero?» disse il Leone con orgoglio.
«Proprio come ai vecchi cari giorni della giungla. Ma
andiamo. Dobbiamo prendere dei posti buoni.»
E si fece strada tra la folla gridando «Pista, pista!» e
trascinandosi dietro Giovanna e Michele. Finalmente,
attraverso un piccolo spazio nel mezzo della sala,
riuscirono a vedere le gabbie.
«Cosa?» disse Michele, spalancando la bocca. «Sono
piene di uomini!»
Ed era proprio così. In una gabbia due corpulenti
signori di mezza età con cilindro e calzoni a righe
vagavano su e giù, guardando ansiosamente attraverso le
sbarre, come se fossero in attesa di qualcosa.
Bimbi di ogni forma e misura, dai lattanti in fasce in su,
si agitavano in un’altra gabbia. Gli animali di fuori li
guardavano con grande interesse e alcuni tra loro
cercavano di far ridere i bambini, infilando le zampe e le
code attraverso le sbarre. Una giraffa allungò il collo sopra
le teste degli altri animali e lasciò che un ragazzino in
abito da marinaio le solleticasse il naso. In una terza
gabbia erano imprigionate tre signore anziane, con tanto
di impermeabile e scarpe da pioggia. Una di loro lavorava
all’uncinetto, ma le altre due si tenevano presso le sbarre,
gridando agli animali e agitando verso di loro gli ombrelli.
«Sudici bruti. Andate via. Voglio il mio tè!» gridava una
di esse.
«Non è divertente?» dissero parecchi degli animali e le
risero in faccia rumorosamente.
«Giovanna, guarda!» disse Michele, indicando una
gabbia alla fine della fila. «Non è?…»
«L’Ammiraglio Boom!» disse Giovanna, con un’aria
molto sorpresa.
Era l’Ammiraglio Boom. Si arrampicava su e giù nella
sua gabbia, tossendo e soffiandosi il naso e sputando di
rabbia.
«Corpo di mille bombe! A me la ciurma! Ammainate le
vele!» gridava l’Ammiraglio. Ogni volta che si avvicinava
alle sbarre, una tigre lo punzecchiava leggermente con un
bastone, facendolo imprecare terribilmente.
«Ma come sono finiti tutti là dentro?» domandò
Giovanna al Leone.
«Perduti» spiegò il Leone «o piuttosto rimasti indietro.
Queste sono le persone che hanno gironzolato e sono
rimaste indietro quando i cancelli sono stati chiusi.
Dovendo tenerli in qualche posto, li teniamo qui. È
pericoloso, quello lì. Poco fa quasi ammazzava il custode.
Non andategli vicino!» E indicò l’Ammiraglio Boom.
«State indietro, per favore, state indietro! Non
spingete! Fate strada, per favore!» gridavano parecchie
voci.
«Ah, adesso danno loro da mangiare!» disse il Leone,
spingendosi con eccitazione tra la folla. «Ecco i custodi.»
Quattro Orsi Bruni, ciascuno con un berretto a punta,
spingevano i carrelli col cibo attraverso il piccolo corridoio
che separava gli animali dalle gabbie.
«State indietro, voi!» dissero, quando un animale
intralciò loro il cammino. Poi aprirono una porticina in
ciascuna gabbia e vi spinsero il cibo con dei forchettoni
appuntiti.
Giovanna e Michele videro chiaramente ciò che
accadeva attraverso uno spiraglio tra una pantera e un
dingo. Diedero bottiglie di latte ai bambini, che se ne
impossessarono con le manine morbide e iniziarono a
stringerle golosamente. I bambini più grandi afferrarono
dai forchettoni pan di Spagna e ciambelle e cominciarono
a mangiare con voracità.
Piatti con sottile pane imburrato e pasticcini furono
dati alle signore con le scarpe da pioggia, e i signori in
cilindro ebbero costolette d’agnello e bicchieri di crema.
Costoro, appena ricevuta la loro razione, se la portarono in
un angolo, stesero il fazzoletto sui calzoni a righe e
cominciarono a mangiare. Ma ecco, appena i custodi
ebbero oltrepassato la fila delle gabbie, si udì un gran
trambusto.
«Che mi scoppino le budella! E questo sarebbe un
pasto? Un misero pezzetto di manzo e due cavoletti!
Come?! Niente pasticcio di maiale? Orrore! Levate
l’àncora! E dov’è il mio porto? Porto, dico! Ancorate! Ohi,
la ciurma laggiù! Dov’è il porto dell’Ammiraglio?»
«Ascoltatelo! È tornato feroce. Ve lo dico io, quello lì è
pericoloso» disse il Leone.
Giovanna e Michele non avevano bisogno di chiedere a
chi alludesse. Conoscevano troppo bene il linguaggio
dell’Ammiraglio Boom.
«Bene» disse il Leone quando il chiasso nella sala fu
meno assordante. «Sembra che siamo alla fine. E temo di
dover andare, scusatemi. Ci vedremo più tardi alla Grande
Catena, spero. Vi cercherò.» E conducendoli alla porta, si
congedò da loro, agitando la criniera ondulata; il suo corpo
dorato era circonfuso dalla tenue luce lunare.
«Oh, per piacere» lo chiamò Giovanna. Ma il Leone non
poteva più udirla.
«Volevo domandargli se non usciranno mai! Quella
povera gente! Pensa, avrebbero potuto essere Giovannino
e Barbara, o uno di noi!» Si voltò verso Michele, ma si
accorse che non era più accanto a lei. Si era inoltrato in
uno dei sentieri e, correndogli dietro, lo trovò a parlare
con un Pinguino che stava piantato in mezzo al sentiero,
con un gran quaderno sotto un’ala e un’enorme matita
sotto l’altra. Mentre lei si avvicinava, il Pinguino mordeva
la punta della matita pensosamente.
«Non riesco a trovarne altre» disse Michele,
apparentemente in risposta a una domanda.
Il Pinguino si volse a Giovanna:
«Forse tu puoi dirmelo» disse. «Ecco: cosa fa rima con
“Mary”? Non posso usare “la dama dei misteri” perché è
già stato fatto prima e bisogna essere originali. Se stai per
suggerirmi “la donna di ieri” non farlo. L’ho già pensato,
ma siccome non le si adatta affatto, non va bene.»
«“Dov’eri”» disse Michele con un sorriso luminoso.
«Hum, non troppo poetico» osservò il Pinguino.
«“Sei nei miei pensieri” può andare?» disse Giovanna.
«Mah.» Il Pinguino sembrò riflettere. «Non mi pare che
vada molto, vero?» disse sconcertato. «Temo di dover
rinunciare. Vedete, sto cercando di scrivere una poesia per
il Compleanno. Pensavo che sarebbe tanto graziosa se
cominciasse così: “Oh, Mary, oh, Mary” ma non so andare
avanti. È molto seccante. Si aspettano qualcosa di dotto da
un Pinguino e non voglio deluderli. Be’, be’… non dovete
farmi perder tempo. Devo andare avanti con la mia
poesia.» E dicendo questo si allontanò in fretta,
mordicchiando la matita, chino sul suo quaderno.
«Tutto ciò non è molto chiaro» disse Giovanna. «Di chi
è il Compleanno, si può sapere?»
«Su, venite voi due, venite. Desiderate presentare i
vostri omaggi, suppongo, dato che è il Compleanno
eccetera» disse una voce dietro di loro, e voltandosi videro
l’Orso Bruno che aveva dato loro i biglietti al cancello.
«Oh, ma certo» rispose Giovanna, pensando che era la
cosa più seria da dirsi, ma senza sapere né immaginare a
chi stavano per porgere i loro omaggi. L’Orso Bruno mise
un braccio intorno a ciascuno di loro e li guidò lungo il
sentiero. I bambini sentivano il suo pelo caldo e morbido
strisciare contro i loro corpi e udivano il rimbombo che
faceva la sua voce nello stomaco, mentre parlava. «Eccoci,
eccoci!» disse l’Orso Bruno, fermandosi davanti a una
piccola casa le cui finestre erano così vivamente illuminate
che, se non fosse stata una notte di luna piena, avreste
creduto di veder brillare il sole.
L’Orso aprì la porta e con garbo spinse dentro i due
bambini. Da principio la luce li abbagliò, ma presto i loro
occhi si abituarono e videro che erano nella Casa dei
Serpenti. Tutte le gabbie erano aperte e i serpenti erano
fuori, alcuni pigramente attorcigliati in grossi nodi
scagliosi, altri a strisciare leggeri sul pavimento. E in
mezzo ai serpenti, su una trave che evidentemente era
stata presa da una delle gabbie, sedeva Mary Poppins.
Giovanna e Michele facevano fatica a credere ai loro occhi.
«Alcuni ospiti per il Compleanno, Signora» annunciò
l’Orso Bruno rispettosamente. I serpenti volsero le teste
verso i bambini, interrogativamente. Mary Poppins non si
mosse, ma parlò: «E dove hai lasciato il tuo cappotto, se
posso chiederlo?» disse guardando brusca ma senza
sorpresa Michele.
«E il tuo cappello e i guanti?» investì Giovanna.
Ma prima che uno dei due avesse il tempo di
rispondere, ci fu un movimento nella Casa dei Serpenti.
«Ssssst! Sssst!» I serpenti con un leggero sibilo si
drizzarono e s’inchinarono a qualcosa dietro Giovanna e
Michele. L’Orso Bruno si levò il berretto a punta. E
lentamente anche Mary Poppins si alzò.
«Mia cara bambina. Mia carissima bambina» disse una
vocina, delicata e sibilante. E fuori dalla gabbia più grossa
uscì con lenti, morbidi, tortuosi movimenti, un Cobra
Reale. Con graziose curve, scivolò oltre i serpenti inchinati
e l’Orso Bruno, verso Mary Poppins. E quando l’ebbe
raggiunta, sollevò la parte anteriore del suo lungo corpo
dorato ed ergendo la testa a scaglie d’oro la baciò
delicatamente, prima su una guancia e poi sull’altra.
«Così!» sibilò sommessamente. «Questo è molto
piacevole, molto piacevole veramente. È passato un gran
tempo dall’ultima volta che il tuo Compleanno è caduto di
luna piena, mia cara.» Volse la testa.
«Sedetevi, amici» disse inchinandosi graziosamente
agli altri serpenti, che a quelle parole di nuovo
strisciarono sul pavimento con riverenza, si avvolsero su
se stessi e si misero a mirare il Cobra e Mary Poppins.
Poi il Cobra si voltò verso Giovanna e Michele e con un
piccolo brivido i bambini videro che aveva la faccia più
piccola e avvizzita che avessero mai visto.
Fecero un passo avanti, perché i suoi strani occhi
profondi sembravano attirarli. Erano lunghi e stretti, con
uno scuro sguardo addormentato e, in mezzo a quella
scura sonnolenza, una luce viva brillava come un gioiello.
«E questi chi sono?» disse con la sua voce sommessa e
agghiacciante il Cobra Reale, scrutando i bambini.
«La signorina Giovanna Banks e il signor Michele
Banks, al vostro comando» disse l’Orso Bruno, arcigno,
come se fosse mezzo impaurito. «Amici di lei.»
«Ah, amici di lei! Allora sono i benvenuti. Prego, miei
cari, accomodatevi.»
Giovanna e Michele, sentendo in un modo o nell’altro
che erano alla presenza di un Re – sensazione che non
avevano avuto quando avevano incontrato il Leone – con
difficoltà distolsero gli occhi da quello sguardo avvolgente,
e si guardarono intorno alla ricerca di qualcosa su cui
sedersi.
L’Orso Bruno provvide rannicchiandosi e offrendo loro
un ginocchio peloso per ciascuno.
Giovanna disse in un soffio: «Parla come se fosse un
gran signore.»
«Lo è. È il signore del nostro mondo, il più saggio e il
più terribile di noi tutti» disse l’Orso Bruno
sommessamente e con riverenza.
Il Cobra Reale sorrise, un lungo, lento, misterioso
sorriso, e si volse a Mary Poppins.
«Cugina» cominciò sibilando delicatamente.
«È veramente suo cugino?» mormorò Michele.
«Secondo cugino da parte di madre» rispose l’Orso Bruno,
sussurrando l’informazione dietro la zampa. «Ma
ascoltate, adesso. Sta per offrire il regalo del
Compleanno.»
«Cugina» ripeté il Cobra. «È passato molto tempo
dall’ultima volta che il tuo Compleanno è caduto di luna
piena e molto tempo da quando abbiamo potuto celebrare
l’avvenimento come lo celebriamo stanotte. Ho avuto
perciò tutto il tempo di considerare la questione del tuo
regalo di Compleanno. E ho deciso» fece una pausa, e non
si sentiva nessun suono nella Casa dei Serpenti, se non il
suono di molte creature che trattenevano tutte il respiro,
«che non possso far di meglio che darti una delle mie
pelli.»
«Davvero, cugino, è troppo gentile da parte tua»
cominciò Mary Poppins, ma il Cobra levò il capo per
imporle il silenzio.
«Niente affatto. Niente affatto. Tu sai che io cambio la
mia pelle di tanto in tanto e che una più, una meno,
significa poco per me. Non sono forse…» fece una pausa e
girò intorno lo sguardo.
«Il signore della giungla» sibilarono tutti i serpenti
all’unisono, come se la domanda e la risposta facessero
parte di un ben noto cerimoniale.
Il Cobra fece un cenno con la testa: «Così» disse
«quello che sembra bene a me, sembrerà bene a voi. È un
ben piccolo dono, cara Mary, ma può servire per una
cintura o un paio di scarpe, anche per una guarnizione da
cappello; queste cose tornano sempre utili, sai.»
E cominciò a contorcersi graziosamente da una parte e
dall’altra e sembrò a Giovanna e Michele, mentre lo
osservavano, che piccole onde corressero sul suo corpo
dalla coda alla testa. Improvvisamente dette un balzo,
lungo, contorto, attorcigliato a spirale, e la sua dorata
pelle esterna cadde sul pavimento e al posto di quella
indossava un abito nuovo di argento scintillante.
«Aspetta» disse il Cobra, mentre Mary Poppins si
chinava a raccogliere la pelle. «Voglio scriverci sopra un
saluto.» E fece scorrere in fretta la coda sulla pelle che
aveva abbandonato, piegò in cerchio graziosamente il suo
dorato involucro e infilandoci la testa, come se fosse una
corona, la porse con garbo a Mary Poppins.
Lei la prese, inchinandosi.
«Non so proprio come ringraziarti» cominciò e
s’interruppe. Era evidentemente molto soddisfatta, perché
fece scorrere la pelle avanti e indietro tra le dita,
guardandola ammirata.
«Non cercare di ringraziarmi» disse il Cobra. «Sssst!»
proseguì e tese la testa come in ascolto. «Mi pare di udire
il segnale per la Grande Catena.»
Tutti ascoltarono. Una campana suonava e si udì una
voce profonda e dura avvicinarsi sempre più gridando:
«Grande Catena, Grande Catena! Ciascuno al centro per la
Grande Catena e il Finale. Venite, venite. Tenetevi pronti
per la Grande Catena!»
«Proprio così» disse il Cobra sorridendo. «Devi uscire,
mia cara. Staranno aspettando che tu prenda posto al
centro. Arrivederci al tuo prossimo Compleanno.»
Si eresse come aveva fatto prima e delicatamente baciò
Mary Poppins su tutte e due le guance.
«Va’, presto!» disse il Cobra. «Avrò cura io dei tuoi
giovani amici.»
Giovanna e Michele sentirono l’Orso Bruno muoversi
sotto di loro e si alzarono. Sentirono strisciare sui loro
piedi tutti i serpenti, che lasciavano in fretta la Casa dei
Serpenti.
Mary Poppins s’inchinò molto cerimoniosamente verso
il Cobra Reale e, senza rivolgere uno sguardo ai bambini,
corse verso l’ampio piazzale verde, al centro del Giardino
Zoologico.
«Puoi lasciarci» disse il Cobra all’Orso Bruno che, dopo
essersi inchinato umilmente, corse fuori col berretto in
mano, là dove tutti gli altri animali si stavano adunando
intorno a Mary Poppins.
«Volete venire con me?» chiese gentilmente il Cobra a
Giovanna e Michele. E, senza attendere che rispondessero,
strisciò tra loro e con un movimento della testa li invitò a
camminare uno da una parte e uno dall’altra.
«Cominciata» disse, sibilando di piacere.
E dalle alte grida che ora si levavano dal prato, i bimbi
poterono indovinare che parlava della Grande Catena.
Mentre si avvicinavano, udirono gli animali cantare e
gridare, ed ecco che videro leopardi e leoni, castori,
cammelli, orsi, gru, antilopi e molti altri, che formavano un
gran cerchio tutti intorno a Mary Poppins.
Poi gli animali cominciarono a muoversi, gridando
selvaggiamente i loro canti della giungla, impennandosi
dentro e fuori dal cerchio e scambiandosi mano e lato
come fanno i ballerini della Grande Catena dei Lancieri.
Una vocetta languida s’innalzò su tutto il resto:
«Oh, Mary, oh, Mary.
Ti faccio tutti interi gli auguri più sinceri.»
E videro il Pinguino avvicinarsi danzando, agitando le
ali brevi e cantando energicamente. Il Pinguino li vide,
s’inchinò al Cobra e disse: «Ce l’ho fatta. Mi avete sentito
cantare? Non è una cosa perfetta, naturalmente. “Sinceri”
è una rima un po’ facile con “Mary”. Ma può andare, può
andare!»
E fece un salto e offrì l’ala a un leopardo.
Giovanna e Michele contemplavano la danza, il Cobra
misterioso era ancora tra loro.
Mentre il loro amico, il Leone, danzando s’inchinava a
prendere nella sua zampa l’ala di un Fagiano Brasiliano,
Giovanna provò timidamente a esprimere con parole le sue
sensazioni.
«Io credevo, Eccellenza» cominciò e s’interruppe,
confondendosi, non troppo sicura se dovesse dirlo o no.
«Parla, bambina mia» disse il Cobra. «Tu credevi?…»
«Ecco, che i leoni e gli uccelli e le tigri e i piccoli
animali…»
Il Cobra la aiutò. «Tu credevi che fossero nemici
naturali, che il leone non potesse incontrare un uccello
senza mangiarlo, e lo stesso la tigre con la lepre, eh?»
Giovanna arrossì e fece segno di sì con la testa.
«Ah, può darsi che tu abbia ragione. È possibile. Ma
non nel giorno del Compleanno» disse il Cobra. «Questa
notte i piccoli non corrono pericoli e i grandi li
proteggono. Anch’io» fece una pausa e sembrò riflettere
profondamente, «persino io potrei incontrare un’oca
selvatica senza pensare a uno spuntino, in questa
occasione. E dopo tutto» proseguì, tirando dentro e fuori
la lingua biforcuta mentre parlava, «può essere che
mangiare ed essere mangiati siano la stessa cosa, in fondo.
La mia saggezza mi dice che probabilmente è così. Siamo
tutti fatti della medesima stoffa, ricordate bene, noi della
giungla, voi della città. Siamo fatti della stessa sostanza,
l’albero sopra di noi, il suolo sotto di noi, l’uccello, la
belva, la stella, siamo tutti un’unica cosa, tutti ci
muoviamo al medesimo fine. Ricordati questo, quando ti
sarai dimenticata di me, bimba mia.»
«Ma come può l’albero essere pietra? Un uccello non è
me. Giovanna non è una tigre» disse Michele
risolutamente.
«Tu credi di no?» disse la voce sibilante del Cobra.
«Guarda!» e accennò con la testa verso la massa di
creature in movimento davanti a loro. Uccelli e animali
ondeggiavano insieme circondando da vicino Mary
Poppins, che dondolava leggermente da un parte all’altra.
Avanti e indietro andava la folla ondeggiante, battendo il
tempo, oscillando come il pendolo di un orologio. Anche gli
alberi si piegavano e si sollevavano con grazia, e la luna
sembrava dondolarsi nel cielo come un battello si dondola
sul mare.
«Uccello e bestia, pietra e stella, siamo tutti uno, tutti
uno…» mormorò il Cobra, piegandosi lievemente su se
stesso, mentre lui pure dondolava tra i bambini.
«Bambino e serpente, stella e pietra, tutt’uno.»
La voce sibilante divenne più sommessa. Le grida degli
animali ondeggianti diminuivano e si allontanavano.
Giovanna e Michele, in ascolto, sentivano che anche loro si
dondolavano delicatamente o forse venivano fatti
dondolare.
Leggera, una luce soffusa coprì loro il volto.
«Dormono e sognano, tutti e due» disse una voce in
sussurro. Era la voce del Cobra, o quella della mamma
quando li toccava nella sua abituale visita notturna alle
stanze dei bambini?
«Bene.» Era l’Orso Bruno che parlava arcigno o il
signor Banks? Giovanna e Michele, cullandosi e
ondeggiando, non avrebbero saputo dirlo.
«Ho fatto un sogno così strano l’altra notte» disse
Giovanna mentre a colazione innaffiava di zucchero i suoi
fiocchi d’avena. «Ho sognato che eravamo al Giardino
Zoologico ed era il compleanno di Mary Poppins, e invece
di animali c’erano nelle gabbie degli uomini e tutti gli
animali erano fuori.»
«Ehi, questo è il mio sogno! Anch’io l’ho sognato» disse
Michele, mostrandosi assai sorpreso.
«Non possiamo aver sognato tutti e due la stessa cosa»
disse Giovanna. «Sei sicuro? Ricordi il Leone che si
arricciava la criniera e la Foca che voleva che noi…»
«Ci tuffassimo a prendere una buccia d’arancia?» disse
Michele.
«Certo, me lo ricordo! E i bambini nelle gabbie, e il
Pinguino che non riusciva a trovare una rima, e il Cobra.»
«Allora non può essere stato un sogno» disse Giovanna
con enfasi. «Deve essere stato vero. E se era vero…»
Guardò curiosamente Mary Poppins, che stava facendo
bollire il latte.
«Mary Poppins» disse, «è possibile che Michele e io
abbiamo fatto lo stesso sogno?»
«Voi e i vostri sogni!» disse Mary Poppins, arricciando
il naso. «Mangia i tuoi fiocchi d’avena, fammi il favore,
altrimenti niente pane tostato col burro.»
Ma Giovanna non voleva farsi azzittire. Doveva sapere.
«Mary Poppins» disse guardandola risoluta, «sei stata
allo Zoo stanotte?»
«Al Giardino Zoologico? Io, al Giardino Zoologico di
notte? Io? Una persona quieta e ordinata che sa che per
star bene bisogna andare a letto presto e alzarsi presto?»
«Ma ci sei stata?» insistette Giovanna.
«In questa casa c’è già tutto lo Zoo che mi serve» disse
Mary Poppins. «Iene, oranghi, tutto qui dentro. Siediti
dritta e basta con le sciocchezze.»
«Allora dev’essere stato un sogno» disse lei «dopo
tutto.»
Ma Michele stava fissando a bocca spalancata Mary
Poppins, che ora arrostiva le fettine di pane al fuoco.
«Giovanna» sussurrò con voce acuta. «Guarda!» Indicò
col dito e anche Giovanna vide ciò che stava guardando.
Intorno alla vita, Mary Poppins portava una cintura
fatta di pelle di serpente a scaglie dorate. Sopra c’era
scritto, in una calligrafia ricurva e serpentina: “Dono del
Giardino Zoologico”.
Compere natalizie
«Sento odore di neve» disse Giovanna mentre scendevano
dall’autobus.
«Sento odore di alberi di Natale» disse Michele.
«Sento odore di pesce fritto» disse Mary Poppins.
E poi non ci fu tempo di sentire odore di altro, perché
l’autobus si era fermato davanti al più grande negozio del
mondo e loro stavano per entrarci per gli acquisti natalizi.
«Possiamo guardare le vetrine prima?» chiese Michele
saltando su una gamba sola per l’eccitazione.
«Per me, fa’ pure» disse Mary Poppins con
sorprendente mitezza.
Non che Giovanna e Michele fossero veramente
sorpresi, perché sapevano che la cosa che piaceva più di
tutte a Mary Poppins era guardare le vetrine dei negozi.
Sapevano anche che mentre loro guardavano giocattoli e
libri e rami di pungitopo e dolci, Mary Poppins non
guardava altro che se stessa riflessa nel vetro.
«Guarda gli aeroplani!» disse Michele, mentre si
fermavano davanti a una vetrina dove degli aeroplani
giocattolo correvano per aria lungo fili metallici.
«E guarda là» disse Giovanna. «Due bambinetti neri in
una culla. Sono di cioccolata o di porcellana?»
«E guardati!» disse a se stessa Mary Poppins, notando
in particolare la graziosa figura che facevano i suoi nuovi
guanti colorati e ornati di pelliccia. Era il primo paio che
possedeva, e pensava che non si sarebbe mai stancata di
vederli riflessi nelle vetrine dei negozi, con le sue mani
dentro. E dopo aver esaminato i guanti riflessi, passò
attentamente in rivista tutta la sua persona. Cappotto,
cappello, sciarpa e scarpe, e lei stessa dentro; pensava
che, in fin dei conti, lei non aveva mai visto nessuno con
una figura tanto elegante e distinta.
Ma i pomeriggi invernali, lei lo sapeva, erano corti, e
dovevano essere a casa per l’ora del tè. Così con un
sospiro si strappò dalla piacevole contemplazione.
«Entriamo, ora» disse, e spiacque molto a Michele e
Giovanna che si attardasse al banco delle mercerie e si
desse un gran daffare nella scelta di una matassina di
cotone nero.
«Il reparto dei giocattoli» le ricordò Michele «è in
quella direzione.»
«Lo so, grazie. Non far segno col dito» disse, e pagò il
conto con esasperante lentezza.
Ma alla fine si trovarono accanto a Babbo Natale, che
si affannò nell’aiutarli a scegliere i regali.
«Questo andrà benissimo per il papà» disse Michele,
scegliendo un trenino a carica con segnali speciali. «Ne
avrò cura io per lui, quando lui va alla City.»
«Io credo che prenderò questa per la mamma» disse
Giovanna spingendo una carrozzina da bambola che, ne
era sicura, sua madre aveva sempre desiderato. «Forse me
la presterà qualche volta.»
Dopo di ciò, Michele scelse un pacchetto di forcine da
capelli per ciascuno dei gemelli, una scatola di meccano
per la madre, uno scarabeo meccanico per Robertson Ay,
un paio di occhiali per Ellen, che aveva una vista
eccellente, e dei lacci da scarpe per la signora Brill, che
portava sempre le pantofole.
Giovanna dopo qualche esitazione decise alla fine che
una pettorina bianca era proprio quello che ci voleva per il
signor Banks e comprò per i gemelli il libro di Robinson
Crusoe da leggere quando fossero diventati grandi.
«Finché non sono abbastanza grandi, lo posso leggere io»
disse. «Sono sicura che me lo presteranno.»
Mary Poppins ebbe poi una lunga discussione con
Babbo Natale su un pezzo di sapone.
«Perché non al miele?» disse Babbo Natale, cercando
di rendersi utile e guardando ansiosamente Mary Poppins,
la quale sembrava stesse quasi per scoppiare.
«Preferisco alla lavanda» disse lei altezzosamente e ne
comprò un pezzo.
«Santo cielo!» disse lisciando la pelliccia del suo
guanto destro. «Avrei proprio voglia di una tazza di tè. È
ora di andare a casa.»
Ecco, aveva detto esattamente le parole che i bambini
avevano sperato non dicesse. Questo era proprio il modo
di fare di Mary Poppins.
«Ancora cinque minuti» implorò Giovanna.
«Oh sì, Mary Poppins! Stai così bene con i guanti
nuovi» disse Michele con astuzia, per lusingarla.
Ma Mary Poppins, pur apprezzando il complimento,
non si lasciò distrarre.
«No» disse e chiuse la bocca con un colpo secco e
marciò fieramente verso l’uscita.
«Oh, accipicchia» disse Michele a se stesso, mentre la
seguiva, oscillando sotto il peso dei suoi pacchetti. «Se
solo tu dicessi sì per una volta.»
Ma Mary Poppins si affrettò avanti e dovettero andar
con lei. Dietro di loro Babbo Natale faceva cenni di saluto
con la mano e la Regina delle Fate sull’albero di Natale e
tutte le altre bambole sorridevano malinconicamente e
dicevano: «Ci porti a casa qualcuno!…» e tutti gli
aeroplani dicevano con una voce simile a quella degli
uccellini: «Fatemi volare! Oh, fatemi volare.»
Giovanna e Michele affrettarono il passo, chiudendo le
orecchie a quelle voci incantatrici con la sensazione che il
tempo
nel
reparto
dei
giocattoli
fosse
stato
irragionevolmente e crudelmente breve.
Ed ecco che, mentre avanzavano verso la porta
d’ingresso, capitò l’avventura. Stavano proprio per
spingere la porta di vetro e uscire, quando videro venire
nella loro direzione, dal marciapiede, la figura guizzante di
una bambina in corsa.
«Guarda!» dissero insieme Giovanna e Michele.
«Santo cielo, bontà divina!» esclamò Mary Poppins e si
arrestò.
E ne aveva ben donde, poiché la bambina praticamente
non indossava abiti: aveva soltanto una lieve fascia di
stoffa azzurra che sembrava aver strappato dal cielo per
cingere il suo corpo nudo.
Era evidente che non se ne intendeva di porte girevoli,
perché continuò a girarci dentro, spingendo così forte da
farla girare sempre più veloce e ridendo perché la teneva
prigioniera e la faceva ruotare come una trottola.
All’improvviso, con un rapido movimento si liberò, schizzò
fuori e atterrò dentro il negozio.
Si fermò in punta di piedi, volgendo la testa di qua e di
là, come se stesse cercando qualcuno. Poi con un sussulto
di piacere si accorse della presenza di Giovanna e Michele
e Mary Poppins, che stavano immobili, mezzo nascosti
dietro un enorme abete, e si mosse gioiosamente verso di
loro.
«Ah, eccovi! Grazie di avermi aspettata. Temo di essere
un po’ in ritardo» disse la bambina tendendo le belle
braccine a Giovanna e Michele.
«Allora» piegò la testa da una parte «non siete contenti
di vedermi? Dite sì, dite sì!»
«Sì» disse Giovanna sorridendo: chiunque sarebbe
stato contento di vedere una creatura così radiosa e felice.
«Ma chi sei?» domandò con curiosità.
«Come ti chiami?» domandò Michele, fissandola con
attenzione.
«Chi sono? Come mi chiamo? Volete dire che non mi
conoscete? Oh, certo, certo…» La bambina sembrò molto
sorpresa e un po’ delusa. Si volse all’improvviso verso
Mary Poppins e puntò il dito. «Lei mi conosce. È vero?
Sono sicura che mi conosci!»
Il volto di Mary Poppins aveva una strana espressione.
Giovanna e Michele poterono vedere fiamme azzurre nei
suoi occhi, come se riflettessero l’azzurro e la luce
dell’abito della bambina.
«Comincia… comincia con M?»
La bambina saltò su una gamba divertita.
«Certo che comincia così e tu lo sai. M–A–I–A. Io sono
Maia.»
Si volse a Giovanna e Michele.
«Adesso mi riconoscete, vero? Io sono la seconda delle
Pleiadi. Elettra è la maggiore, non è potuta venire perché
bada a Merope. Merope è la più piccola, e noi altre cinque
veniamo in mezzo, tutte femmine. Nostra madre all’inizio
fu molto contrariata di non avere un maschio, ma ora non
ci pensa più.»
La bambina accennò qualche passo di danza e sbottò
fuori ancora con la sua vocetta eccitata: «Oh, Giovanna!
Oh, Michele! Io vi ho osservato spesso dal cielo ed ecco
che ora sto proprio parlando con voi. Non c’è nulla di voi
che non conosca. A Michele non piace pettinarsi e
Giovanna tiene un uovo di tordo in un barattolo della
marmellata sul caminetto. E vostro padre sta diventando
calvo sul cocuzzolo. Gli voglio bene. Fu lui che per primo
ci presentò, vi ricordate? Una sera, l’estate scorsa, disse:
“Guardate, ecco là le Pleiadi. Sette stelle tutte insieme, le
più piccole nel cielo. Ma c’è una di loro che non potete
vedere”. Voleva dire Merope, naturalmente. È ancora
troppo piccola per star su la notte: deve andare a letto
molto presto. Qualcuno di lassù ci chiama “Le sorelline”, e
qualche volta ci chiamano le “Sette colombe”. Orione ci
chiama “Ehi ragazze” e ci porta a caccia con lui.»
«Ma che cosa stai facendo qui?» domandò Michele
ancora molto sorpreso.
Maia rise. «Domandalo a Mary Poppins. Lei certo lo
sa.»
«Diccelo, Mary Poppins» supplicò Giovanna.
«Be’» disse Mary Poppins seccamente, «suppongo che
voi due non siate gli unici al mondo che abbiano da fare
acquisti per Natale.»
«Proprio così» cinguettò Maia giocondamente. «Ha
proprio ragione. Sono venuta giù a comprare giocattoli per
tutte loro. Non possiamo allontanarci spesso, sapete,
perché siamo così occupate a preparare le Piogge di
Primavera! Questo è il lavoro speciale delle Pleiadi.
Tuttavia abbiamo tirato a sorte e ho vinto io. Non sono
stata fortunata?» Si abbracciò da sola allegramente.
«Adesso andiamo. Non posso trattenermi molto. E voi
dovete tornare indietro e aiutarmi a scegliere.»
E danzando loro intorno, correndo ora dall’uno e ora
dall’altro, li trascinò di nuovo al reparto dei giocattoli. E
mentre avanzavano la folla dei clienti si fermava a
osservarli a occhi spalancati e lasciava cadere i pacchetti
per la meraviglia.
«Fa troppo freddo! I suoi genitori non dovrebbero
lasciarla andare in giro così» dicevano le madri, con voci
che si facevano all’improvviso delicate e sommesse.
«Non dovrebbe essere permesso. Scriverò al Times!»
dicevano i padri, e le loro voci erano aspre e corrucciate.
Anche i capi reparto si comportavano in modo strano.
Come il piccolo gruppo passava, s’inchinavano a Maia
quasi fosse una regina.
Ma nessuno di loro, né Giovanna, né Michele, né Mary
Poppins, né Maia, notò né udì niente di eccezionale. Erano
troppo occupati con la loro straordinaria avventura.
«Eccoci!» disse Maia, entrando trionfalmente nel
reparto dei giocattoli. «Ora, che cosa scegliamo?» Un
commesso, con un sussulto, s’inchinò rispettosamente
appena la vide.
«Desidero qualcosa per ciascuna delle mie sorelle.
Sono sei. Dovete aiutarmi a scegliere, per favore» disse
Maia, sorridendogli.
«Certo, signora» rispose l’assistente in modo cordiale.
«Primo, la mia sorella maggiore» disse Maia. «È
piuttosto casalinga. Cosa ne direste di un piccolo fornello
da cucina con le casseruole d’argento? E questa scopa a
strisce? Ci dà tanto da fare la polvere di stelle, e a lei farà
molto piacere avere qualcosa con cui spazzarla via.»
Il commesso cominciò ad avvolgere gli oggetti nella
carta colorata.
«Adesso per Taigete. Le piace ballare. Non credi,
Giovanna, che una corda per saltare sia il regalo adatto?
La avvolgerete con cura, vero?» disse al commesso. «Ho
da fare molta strada.»
Svolazzò fra i giocattoli, senza fermarsi un momento,
come se avesse l’argento vivo addosso, o stesse ancora
brillando nel cielo. Mary Poppins e Giovanna e Michele
non potevano staccare lo sguardo da lei, mentre andava
dall’uno all’altro domandando consiglio.
«Adesso c’è Alcione. Lei è difficile. È così quieta e
pensosa: sembra che non abbia mai voglia di nulla. Un
libro, non credi, Mary Poppins? Cos’è questo “Libro della
Giungla”? Credo che le piacerebbe. E se non le piace, può
guardare le illustrazioni. Incartatemelo.» Porse il libro al
commesso.
«So quel che vuole Celeno» proseguì. «Un cerchio. Può
farlo correre per il cielo di giorno e farselo girare attorno
la notte. Le piacerà questo qui, rosso e turchino.» Il
commesso s’inchinò di nuovo e cominciò a incartare il
cerchio.
«Ora, sono rimaste solo le due piccole. Michele, che
cosa consiglieresti per Sterope?»
«Cosa ne diresti di una trottola?» suggerì Michele,
dopo una profonda riflessione.
«Una trottola con la musica? Che bell’idea! La divertirà
vederla danzare e cantare per il cielo! E che cosa
suggerisci per Merope, la più piccolina, Giovanna?»
«Giovannino e Barbara» rispose Giovanna timidamente
«hanno anitre di gomma.»
Maia diede in un grido di gioia e batté le mani.
«Oh grazie, Giovanna! Non ci avrei mai pensato!
Un’anitra di gomma per Merope, per favore, azzurra con
gli occhi gialli.» Il commesso legò i pacchetti, mentre Maia
gli correva intorno dando dei colpetti alla carta e delle
tiratine alla corda per assicurarsi che fossero legati
strettamente.
«Va bene» disse. «Sapete, non posso perdere nulla.»
Michele, che era stato a fissarla con insistenza fin dal
suo apparire, si volse e disse sottovoce a Mary Poppins:
«Ma non ha il borsellino. Chi pagherà i giocattoli?»
«Non è affar tuo» lo rimbeccò Mary Poppins «e poi è
da maleducato parlare sottovoce.» Ma cominciò a frugare
con premura nella sua borsa.
«Cos’hai detto?» domandò Maia spalancando gli occhi.
«Pagare? Nessuno pagherà. Non c’è niente da pagare.
Vero?» Volse lo sguardo scintillante al commesso.
«Niente assolutamente, signora» assicurò il commesso,
mentre le metteva fra le braccia i pacchetti e s’inchinava
di nuovo.
«Lo dicevo io. Vedi» disse rivolgendosi a Michele, «il
vero spirito del Natale è che le cose devono essere
regalate, non è vero? E poi, con che cosa pagherei? Non
abbiamo soldi lassù.» E rise alla semplice supposizione di
una cosa simile.
«Ora dobbiamo andare» proseguì prendendo Michele
per il braccio. «È molto tardi e ho sentito che la vostra
mamma vi ha detto di tornare a casa in tempo per il tè. E
anch’io devo tornare. Andiamo.» E tirandosi dietro
Michele e Giovanna e Mary Poppins fece loro strada
attraverso il negozio e fuori dalla porta girevole. Appena
usciti, Giovanna disse improvvisamente: «Ma non c’è un
regalo per lei. Ha comprato qualcosa per tutte le altre e
nulla per sé. Maia non ha un regalo di Natale.» Cominciò a
cercare in fretta tra tutti i suoi pacchetti per vedere che
cosa poteva regalare a Maia.
Mary Poppins lanciò un rapido sguardo nella vetrina
accanto a lei. Si vide riflessa, molto elegante, molto
distinta, col cappello dritto, l’abito stirato e coi guanti
nuovi, che completavano l’effetto.
«Non ti preoccupare» disse a Giovanna col suo tono più
asciutto. E nello stesso tempo si sfilò i guanti e ne infilò
uno in ciascuna delle mani di Maia.
«Ecco» disse brusca. «Fa freddo oggi. Questi ti faranno
comodo.» Maia guardò i guanti, che le pendevano molto
larghi e quasi vuoti dalle mani. Non disse nulla ma si
avvicinò a Mary Poppins, stese il suo braccino magro e
liscio, lo mise intorno al collo di Mary Poppins e la baciò.
Un lungo sguardo passò tra loro e si sorrisero come
sorridono le persone che si comprendono. Poi Maia si volse
e con la mano accarezzò leggermente Giovanna e Michele.
E per un attimo stettero tutti in cerchio, guardandosi l’un
l’altro come incantati.
«È stato così bello» disse Maia sommessamente,
rompendo il silenzio. «Non mi dimenticherete, vero?»
Scossero la testa.
«Addio» disse Maia.
«Addio» dissero gli altri, anche se questa era l’ultima
cosa che volevano dire.
Poi Maia, stando in equilibrio sulla punta dei piedi, alzò
le braccia e si slanciò nell’aria. Cominciò a salire, un
gradino dopo l’altro, arrampicandosi sempre più in alto
come se vi fossero stelle invisibili scolpite nel cielo grigio.
Fece loro segno con la mano, mentre se ne andava, e loro
tre ricambiarono lo stesso saluto.
«Cosa mai succede?» disse qualcuno vicino a loro.
«Ma non è possibile!» disse un’altra voce.
«Assurdo!» gridò un terzo. Poiché una folla si era
riunita ad assistere allo straordinario spettacolo di Maia
che tornava a casa.
Un vigile si fece strada tra la folla, disperdendola col
suo manganello.
«Ehi, ehi, cosa succede? Un incidente o che cosa?»
Guardò in su, dove guardavano tutti.
«Qui!» gridò furiosamente, minacciando Maia col
pugno. «Vieni giù! Non possiamo permettere questo
genere di cose, in un luogo pubblico. Questo non è
naturale!»
In lontananza si udì Maia ridere e si vide qualcosa di
luminoso penderle dal braccio. Era la corda per saltare.
Malgrado tutto, il pacchetto si era disfatto.
Per un momento ancora la videro arrampicarsi su per
l’aerea scala e poi una nuvola la nascose ai loro occhi. Si
capiva tuttavia che Maia era là dietro, dalla luce che
brillava intorno allo spesso orlo scuro.
«Me l’ha fatta!» disse il vigile, guardando in su e
grattandosi la testa sotto l’elmetto.
«E ben vi sta!» disse Mary Poppins.
E lo disse con impeto così feroce che chiunque avrebbe
pensato che fosse veramente furiosa con il vigile. Ma
Giovanna e Michele non si lasciarono ingannare da quel
modo di fare. Perché videro negli occhi di Mary Poppins
qualcosa che, se si fosse trattato di qualsiasi altro invece
che di Mary Poppins, avrebbero pensato che fossero
lacrime.
«Forse ce lo siamo immaginato?» disse Michele quando
arrivarono a casa e raccontarono la storia alla madre.
«Forse» disse la signora Banks «forse noi immaginiamo
cose strane e graziose, mio caro.»
«Ma allora, i guanti di Mary Poppins?» disse Giovanna.
«Noi l’abbiamo vista che li regalava a Maia. E adesso
infatti non li porta. Perciò dev’essere vero!»
«Come, Mary Poppins!» esclamò la signora Banks. «I
vostri guanti migliori, col bordo di pelliccia, li avete dati
via!»
Mary Poppins arricciò il naso.
«I miei guanti sono i miei guanti e ne faccio ciò che
voglio» disse altezzosamente. Si tolse il cappello e andò in
cucina a prendere il suo tè.
Vento da Ovest
Era il primo giorno di primavera. Giovanna e Michele se
ne accorsero subito perché udirono il signor Banks che
cantava in bagno, e questo accadeva solo una volta
all’anno.
Avrebbero ricordato per sempre quella particolare
mattina. Da un lato era la prima volta che veniva loro
concesso di scendere di sotto per la colazione, e dall’altro,
il signor Banks perdette la sua borsa. Così la giornata
iniziò con due avvenimenti straordinari.
«Dov’è la mia borsa?» gridava il signor Banks, girando
intorno per l’ingresso come un cane che vuole
acchiapparsi la coda. E tutti cominciarono a correre
intorno. Ellen e la signora Brill e i bambini. Anche
Robertson Ay fece un grande sforzo e fece il giro due volte.
Alla fine fu proprio il signor Banks a ritrovare la borsa
nel suo studio, e irruppe nell’ingresso tenendo la borsa in
aria.
«Ecco» disse, come se stesse per cominciare una
predica, «la mia borsa sta sempre in un posto. Qui. Sopra
il portaombrelli. Chi l’ha messa nel mio studio?» gridò.
«Sei stato tu, mio caro, quando hai tolto le cartelle
delle tasse, ieri sera» disse la signora Banks.
Il signor Banks le lanciò uno sguardo così offeso che la
signora Banks avrebbe preferito dire che ce l’aveva messa
lei, la borsa, nello studio.
«Hum! Hum!» disse soffiandosi forte il naso e
togliendo il cappello dall’attaccapanni. Avanzò con il
cappello in mano fino alla porta.
«Ciao» disse più animato. «I tulipani screziati sono in
boccio!» Andò in giardino e aspirò l’aria. «Hum, Vento da
Ovest, credo.»
Guardò in giù, verso la casa dell’Ammiraglio Boom,
dove il telescopio–banderuola si agitava.
«Lo sapevo» disse. «Vento da Ovest. Chiaro e
balsamico. Non voglio prendere il cappotto.»
E con ciò, prese la borsa e si affrettò verso la City.
«Hai sentito ciò che ha detto?» Michele prese il braccio
di Giovanna.
La bambina annuì.
«Vento da Ovest» disse piano.
Nessuno di loro aggiunse altro, ma nelle loro menti
nacque un pensiero che avrebbero desiderato non
nascesse.
Lo dimenticarono subito, perché ogni cosa sembrava
andare come sempre, e il sole di primavera illuminava così
allegramente la casa che nessuno rammentava che lei
aveva bisogno di una mano di bianco e di una nuova
tappezzeria. Al contrario si trovarono tutti a pensare che
era la più bella casa di tutto il Viale dei Ciliegi.
Ma le complicazioni cominciarono dopo pranzo.
Giovanna era andata a zappare in giardino con
Robertson Ay. Aveva appena gettato una fila di semi in un
solco, quando udì un gran fracasso nella stanza dei
bambini, e il rumore di passi affrettati per le scale.
Ecco che apparve Michele, rosso in faccia e tutto
ansimante.
«Guarda, Giovanna, guarda!» gridò e mostrò la mano,
nella quale teneva la bussola di Mary Poppins, con il disco
che girava furiosamente intorno all’ago, come se tremasse
nella mano di Michele.
«La
bussola?»
disse
Giovanna
con
sguardo
interrogativo.
D’improvviso Michele scoppiò in lacrime.
«Me l’ha data lei» singhiozzò. «Mi ha detto che ora la
potrò tenere tutta per me. Oh, ci dev’essere qualcosa che
non va. Cosa starà per succedere? Non mi ha mai dato
nulla prima.»
«Forse sarà soltanto per gentilezza» disse Giovanna
per calmarlo, ma si sentì un tuffo al cuore come Michele.
Sapeva benissimo che Mary Poppins non perdeva mai il
tempo a essere gentile. Eppure, strano a dirsi, durante
tutto il pomeriggio Mary Poppins non aveva detto neanche
una parola sgarbata. Non aveva quasi mai pronunciato
parola.
Sembrava che pensasse profondamente e, quando le
facevano delle domande, rispondeva con voce assente. Alla
fine Michele non poté sopportarlo più a lungo: «Oh, sii
sgarbata, Mary Poppins! Sii ancora sgarbata! Non è da te!
Oh, mi sento tanto in ansia!» E veramente il cuore gli
pesava al pensiero che qualcosa, non sapeva bene che
cosa, stesse per accadere al numero 17 di Viale dei Ciliegi.
«Sei sempre il solito sciocchino» lo rimproverò Mary
Poppins, seccamente come al solito.
E lui subito si sentì un po’ meglio.
«Forse è soltanto un’impressione» disse a Giovanna.
«Forse tutto va bene e io ho solo delle fantasie, ti pare,
Giovanna?»
«Forse» disse piano Giovanna. Ma era soprappensiero
e si sentiva un peso al petto.
Il vento crebbe, si fece più selvaggio verso sera, e
soffiò in brevi raffiche intorno alla casa. Soffiò e fischiò giù
per i comignoli, s’infilò nelle fessure delle finestre, rivoltò
gli angoli dei tappeti nelle stanze dei bambini.
Mary Poppins servì loro la cena e sparecchiò,
riponendo le stoviglie con molta cura. Poi riordinò le
stanze dei bambini e posò il bollitore sul caminetto.
«Là!» disse, girando lo sguardo per la stanza per
vedere se tutto era in ordine.
Tacque per un momento. Poi pose delicatamente una
mano sulla testa di Michele e l’altra sulla spalla di
Giovanna. «Ecco» disse «ora vado giù a prendere le scarpe
di Robertson Ay, per pulirle. State quieti finché torno.»
Uscì e chiuse piano la porta dietro di lei.
All’improvviso, mentre lei se ne andava, entrambi si
sentirono spinti a correrle dietro, ma allo stesso tempo
c’era qualcosa che sembrava fermarli. Rimasero quieti,
con i gomiti sulla tavola, aspettando che lei tornasse.
Ciascuno cercava di rassicurare l’altro senza dire nulla.
«Come siamo sciocchi» disse a un tratto Giovanna. «Va
tutto benissimo come al solito.» Ma sapeva di averlo detto
più per confortare Michele che per dire il suo vero
pensiero.
L’orologio della loro stanza batté le ore. Il fuoco
sfavillò, scoppiettò e morì lentamente. Rimasero a lungo
seduti ad aspettare.
Alla fine Michele osservò senza naturalezza: «È andata
via da un bel pezzo, no?»
Il vento fischiò e gridò intorno alla casa, come in
risposta. L’orologio continuò a battere il suo doppio
rintocco solenne.
All’improvviso il silenzio fu rotto dal rumore della porta
d’ingresso che si chiudeva con un forte colpo.
«Michele!» disse Giovanna, trasalendo.
«Giovanna!» disse Michele, pallido e ansioso.
Stettero in ascolto. Poi corsero affannati alla finestra e
guardarono fuori.
Giù, proprio davanti alla porta d’ingresso, stava Mary
Poppins, in cappotto e cappello, con la sua grande borsa di
tappeto in una mano e l’ombrello nell’altra. Il vento le
soffiava intorno selvaggiamente, impigliandosi nella
sottana, mandandole fuori posto il cappello. Ma a
Giovanna e Michele sembrò che lei non ci badasse, perché
sorrideva come se il vento e lei se la intendessero. Si
arrestò un momento sul gradino e lanciò un’occhiata alla
porta d’ingresso.
Poi con un rapido movimento aprì l’ombrello, per
quanto non piovesse, e lo issò sopra la testa.
Il vento con un urlo selvaggio s’infilò sotto l’ombrello
spingendolo in su, come se cercasse di strapparlo dalla
mano di Mary Poppins. Ma lei lo tenne forte, e proprio
questo desiderava il vento, perché ecco che sollevò
l’ombrello più in alto, in aria, e Mary Poppins dalla terra.
La trascinava leggermente cosicché i suoi piedi sfioravano
il sentiero del giardino. Poi la trasportò sopra il cancello e
la trascinò su verso i rami degli alberi di ciliegio nel Viale.
«Se ne va! Se ne va!» gridò Michele piangendo.
«Presto!» gridò Giovanna. «Andiamo a prendere i
gemelli. Devono vederla per l’ultima volta.» Non aveva
dubbi, e neppure Michele, che Mary Poppins era andata
via per sempre, perché il vento era cambiato.
Ciascuno di loro afferrò uno dei gemelli e tornarono di
corsa alla finestra. Mary Poppins era adesso alta nell’aria,
navigava lontano, sopra gli alberi di ciliegio e i tetti delle
case, tenendosi forte all’ombrello con una mano e alla
borsa di tappeto con l’altra.
I gemelli cominciarono a piangere sommessamente.
Con la mano libera Giovanna e Michele aprirono la
finestra e fecero un ultimo tentativo per fermare il volo di
Mary Poppins.
«Mary Poppins» gridarono «Mary Poppins, torna
indietro!»
Ma lei non udì o fece finta di non udire. Continuò a
volare, su nell’aria nuvolosa, che fischiava. Fu trasportata
lontano, oltre la collina, e i bambini non poterono vedere
altro che gli alberi che si piegavano e gemevano al vento
selvaggio dell’Ovest.
«Ha fatto ciò che aveva detto. È rimasta finché il vento
è cambiato» disse Giovanna, sospirando e ritirandosi dalla
finestra, tristemente. Condusse Giovannino alla culla e ce
lo mise dentro.
Michele non disse nulla, ma mentre portava indietro
Barbara e le rimboccava le coperte, inghiottì lacrime
sconsolate.
«Mi domando» disse Giovanna «se la vedremo ancora.»
A un tratto udirono delle voci per le scale.
«Bambini, bambini!» chiamava la signora Banks,
aprendo la porta. «Bambini, sono furibonda. Mary Poppins
ci ha lasciati.»
«Sì» dissero Giovanna e Michele.
«Come lo sapete?» disse la signora Banks, piuttosto
sorpresa. «Vi aveva detto che se ne andava?»
Scossero la testa e la signora Banks proseguì: «È un
oltraggio! Era qui un minuto fa, e ora è andata via.
Neppure una scusa. Ha detto solo: “Me ne vado!” E se ne
è andata. Nulla di più sfacciato, di più sconsiderato, di più
inurbano. Cosa c’è, Michele?» domandò inquieta, perché
Michele l’aveva afferrata per il vestito e la scuoteva. «Cosa
c’è, piccolo?»
«Ha detto che sarebbe tornata?» gridò lui quasi
sospingendo sua madre. «Dimmi, te l’ha detto?»
«Non ti comporterai come un selvaggio, Michele?»
disse lei liberandosi dalla stretta. «Non mi ricordo quel
che ha detto, tranne che se ne andava. Ma certamente non
intendo riprenderla, se vuole tornare. Piantarmi in asso, di
punto in bianco, senza nessuno per aiutarmi e senza una
parola di preavviso.»
«Oh, mamma!» disse Giovanna in tono di rimprovero.
«Sei una donna molto cattiva!» disse Michele,
mostrandole i pugni come se stesse per colpirla.
«Bambini! Mi vergogno di voi, proprio mi vergogno!
Desiderare che torni una persona che ha trattato vostra
madre in questo modo. Sono davvero sbalordita.»
Giovanna scoppiò in lacrime.
«Mary Poppins è la sola persona al mondo che io
voglio!» gemette Michele e si rotolò sul pavimento.
«Davvero, bambini, davvero! Non vi capisco. Siate
buoni, ve ne prego. Non c’è nessuno che badi a voi, questa
notte. Io devo andare a cena fuori ed è il giorno libero di
Ellen. Dovrò mandarvi la signora Brill.» E li baciò distratta
e se andò con una piccola ruga di ansia sulla fronte.
«Mah! Se lo avessi fatto io! Andarsene così, poveri tesori,
e piantarvi in questo modo» disse la signora Brill poco più
tardi, venendo avanti rumorosamente e cominciando a
prendersi cura dei bimbi. «Un cuore di pietra, ecco quello
che aveva quella ragazza, non c’è dubbio su questo,
oppure io non mi chiamo Clara Brill. Pensare sempre a se
stessa, anche, e neppure un fazzoletto di merletto o una
forcina in dono per ricordo. Su, per favore, padroncino
Michele!»
la
signora
Brill
proseguì,
respirando
pesantemente. «Come l’abbiamo sopportata tanto a lungo,
non so, con le sue arie, i suoi fronzoli e tutto il resto.
Quanti bottoni, signorina Giovanna! State quieto e
lasciatevi svestire, padroncino Michele. Brutta era per
giunta, niente di bello da vedere! Davvero, tutto
considerato, io non so se non staremo meglio, dopo tutto.
Su, signorina Giovanna, dov’è la vostra camicia da notte?
Ohi, cos’è questo sotto il cuscino?»
La signora Brill aveva tirato su un elegante
pacchettino.
«Cos’è? Dammelo. Dammelo» disse Giovanna tremando
per l’emozione e lo tolse in fretta dalle mani della signora
Brill. Michele s’avvicinò e si fermò accanto a lei e la
osservò sciogliere lo spago e strappare la carta marrone.
La signora Brill, senza attendere di vedere che cosa
saltava fuori dal pacchetto, andò dai gemelli.
L’ultimo foglio che avvolgeva il pacchetto cadde sul
pavimento e il suo contenuto apparve nella mano di
Giovanna.
«È il suo ritratto» disse in un soffio, guardandolo da
vicino. Ed era proprio così. Dentro una piccola cornice
barocca c’era un ritratto a colori di Mary Poppins e sotto
c’era scritto “Mary Poppins dipinta da Berto”.
«Berto è l’Uomo dei Fiammiferi, lo ha fatto lui» disse
Michele, e lo prese in mano in modo da poterlo vedere
meglio.
Giovanna scoprì all’improvviso che c’era una lettera
attaccata al ritrattino. La svolse con cura.
C’era scritto: “Cara Giovanna, Michele ha avuto la
bussola, così il ritratto è per te. Au revoir, Mary Poppins.”
Giovanna lesse ad alta voce finché arrivò alle parole
che non poteva capire.
«Signora Brill» chiamò «cosa significa Au revoir?»
«O revuar, cara?» gridò la signora Brill dalla stanza
accanto. «Ecco, non significa… Lasciatemi vedere, non mi
ritrovo in queste lingue estere. Non significa: Dio vi
benedica? No, no, mi sbaglio. Io credo, cara signorina
Giovanna, che significa arrivederci.»
Giovanna e Michele si guardarono l’un l’altro. Un
lampo di gioia e d’intesa brillò nei loro occhi. Sapevano
quello che Mary Poppins voleva intendere.
Michele tirò un profondo sospiro di sollievo. «Va
benissimo» disse tremante. «Lei fa sempre quello che
promette.» Si volse dall’altra parte.
«Michele, piangi?» domandò Giovanna.
Scosse la testa e cercò di sorriderle.
«No, io non piango» disse. «Sono i miei occhi
soltanto.»
Giovanna lo spinse delicatamente verso il letto e,
mentre lui ci si infilava, fece scivolare il ritratto di Mary
Poppins nella sua mano, in fretta, per non avere il tempo
di ripensarci.
«Per stanotte lo puoi tenere, caro» mormorò Giovanna,
e gli rimboccò le coperte proprio come era solita fare Mary
Poppins.
Leggera come il vento, robusta come
un’istitutrice
Dato che Pamela Lyndon Travers, nata nel 1906 nel
Queenland, in Australia, “proprio dove la costa fronteggia
la Grande Scogliera” chiede che il suo Mary Poppins
venga considerato un “libro per bambini e non”, sarà bene
ascoltarla con attenzione e allora, come lettori “bambini e
non”, io vi propongo una piccola ma istruttiva
esplorazione. Ecco: avrete, come tutti, in casa, un
videoregistratore e non vi sarà difficile procurarvi due film
in cassetta (o anche scoprirli su qualche canale che ogni
tanto li manda in onda), si tratta di Rebecca, la prima
moglie di Alfred Hitchcock, del 1940, e di Suspense, di
Jack Clayton del 1961 (tratto dal racconto di Henry James
Il giro di vite). Nel primo film, accanto alla giovane sposa
giunta nel castello di Menderley, c’è la governante di
Rebecca, quella che fu la “prima moglie”. Nel secondo, un
ragazzino e una ragazzina vivono la loro esperienza
drammatica (anch’essi in un castello…) con un’istitutrice
che deve addirittura difenderli dai fantasmi.
Ecco: prima di leggere Mary Poppins è bene cercare di
capire chi fossero le istitutrici e le governanti. Vi parlo,
naturalmente, delle governanti e delle istitutrici inglesi,
perché noi italiani abbiamo, o abbiamo avuto, le “tate” o le
“dade”, persone dotate di ruoli molto diversi. Le
governanti e le istitutrici avevano invece una posizione
fondamentale nelle famiglie inglesi che potevano, per la
loro agiatezza, permettersi di stipendiarne una. C’erano
addirittura scuole particolari da cui si usciva con il
diploma di governante o istitutrice, e i corsi che vi si
tenevano comprendevano materie davvero speciali. Certo
lì non si insegnava quell’abilità di cui è dotata Mary
Poppins e che l’ha resa tanto famosa: lì nessuna
governante diplomata imparava a sollevarsi da terra come
un fachiro indiano, ma tutte venivano messe in grado di
tirar su i ragazzini con il culto delle buone maniere e con
tutte le informazioni utili nella vita di un buon suddito
britannico. Non bisogna dimenticare che fino a mezzo
secolo fa l’Impero inglese governava gran parte del
pianeta e quindi i ragazzini, una volta cresciuti, erano
molto spesso destinati a diventare potentissimi personaggi
in località molto lontane dal loro paese. Il ruolo della
governante (già il nome ha qualcosa a che fare con i futuri
governatori di tante isole, penisole, subcontinenti o
istmi…) era così da intendersi come fondamentale. Le
istitutrici e le governanti avevano in mano le sorti di gran
parte del globo, può apparire strano e sconcertante, ma
era così. Le prime idee sul comportamento, le prime
abitudini, le inclinazioni più durature trovavano,
nell’istitutrice, una specie di punto di riferimento
indiscutibile. E i genitori? Loro erano molto meno coinvolti
nell’allevamento dei bambini. Nelle case agiate o ricche,
bambini e adulti inglesi vivevano addirittura separati.
Regno della governante o dell’istitutrice era la nursery,
ovvero la “camera dei bambini”, un regno assoluto, dove
esistevano regole particolari, lontano, anche in senso
territoriale, dalle stanze degli adulti, ben protetto e ben
chiuso.
Ora Mary Poppins ha l’incarico di raccontarci quasi tutto
su quel regno segreto, separato, addirittura nascosto da
tende, porte foderate, corridoi.
Naturalmente le governanti e le istitutrici vere non erano
proprio come lei, ci mancherebbe… Quando arriva ha con
sé una valigia che è vuota, ma da cui tira fuori, vuota
com’è, un po’ di tutto: undici camicie, un letto da campo
pieghevole… sembra di assistere a un’esibizione di Eta
Beta, quando fa comparire, dal suo minuscolo gonnellino,
ombrelli, pistole, tavolini, oppure dei personaggi dei
cartoons, che hanno in tasca pacchi di dinamite, cannoni,
bombe a orologeria.
Per Mary Poppins, come per i bambini e per i gatti, non
esistono confini ben definiti tra il fantastico, l’assurdo,
l’ironico e il reale: lei si mette a passeggiare perfino in un
quadro, ci fa una gita, fa poi buon uso di Gas Esilarante
che solleva in aria le persone e anche le cose. Però,
quando si tratta di cibo, Mary Poppins è sempre molto
chiara e molto esatta: “Entrarono in una stanza ampia e
luminosa. Da una parte in un caminetto il fuoco
scoppiettava allegramente e al centro c’era una tavola
enorme preparata per il tè: quattro tazze e relativi piattini,
montagne di pane e burro, gallette, pasticcini alle
mandorle e una grossa torta coperta di glassa rosa.” Ecco
un po’ di spesa: “un chilo di salsiccia dal macellaio, una
sogliola di Dover, un chilo di merluzzo, mezzo chilo di
gamberetti e un’aragosta dal pescivendolo.” Sì, se si
allude agli alimenti, tutto diventa subito molto concreto,
preciso, perfino pignolo. In questo senso Mary Poppins
potrebbe assomigliare molto alle fiabe, o meglio a quelle
fiabe in cui ci sono castelli incantati, sonni secolari, baci di
principi che ridestano un regno e una ragazza, ma poi
anche meringhe alla panna, porcellini arrosto, crostate di
albicocche, formaggi, salami, bignè.
Si comprende bene però che tutto il racconto di Mary
Poppins vive intorno alla figura di un’istitutrice, e loro, le
istitutrici, dovevano essere proprio così, sospese tra sogni,
fiabe, filastrocche, capricci, fantasie, e cose molto sode e
molto concrete, come il mangiare, il dormire, il tipo di
sciroppo che fa bene a ogni bambino.
Mary Poppins ha una sola bottiglietta e un solo cucchiaio,
però il sapore del suo sciroppo cambia a seconda del
bambino che lo beve. Dei bambini, infatti, lei capisce cose
che ad altri appaiono misteriose. Tutto il sesto capitolo è,
in questo senso, davvero splendido: Michele ha una di
quelle “giornate storte” che capitano un po’ a tutti, ma
forse specialmente ai bambini, la madre lo definisce prima
“malato” e poi “cattivo”, e propone abbondante sciroppo
nel primo caso e castigo nel secondo. Mary Poppins
osserva, dispone le cose con i suoi modi bruschi, poi inizia
un giro del mondo tutto fondato sui poteri di una bussola
che aiuta a fantasticare. Alla sera Michele dice: “Non è
una cosa buffa, Mary Poppins? Sono stato tanto cattivo e
mi sento tanto buono.” Naturalmente la risposta
dell’istitutrice è un burbero “Hum!”.
Sembra che tutto questo universo domestico, la casa dei
signori Banks, ma anche viali, strade, ville dei vicini, sia in
certo modo tenuto sotto controllo dall’istitutrice,
scontrosa, ma sempre presente e attenta. Andrea, il cane
della ricchissima e solitaria signorina Lark, mangia solo
ostriche e cibi alla crema, possiede quattro cappotti e ha
gli stivaletti per andare nel parco quando piove. Ma un
giorno torna a casa con un cagnaccio “che sembrava per
metà un cane da caccia e per metà un barbone, e di
entrambi la metà peggiore” e si fa capire solo da Mary
Poppins che letteralmente traduce, per l’antipatica
signorina Lark, il linguaggio del cane Andrea. Sono
precise condizioni, altrimenti il cane se ne andrà per
sempre, per conto suo: il cagnaccio amico dovrà essere
accolto in casa e trattato benissimo, e basta con i cappotti
e il trattamento dalla parrucchiera che Andrea non tollera
più.
Quando si riferisce agli animali, Mary Poppins cambia
ancora. C’è una magica notte, sospesa tra il sogno e la
realtà, in cui Giovanna, Michele e l’istitutrice si trovano
nel Giardino Zoologico, ma le gabbie non contengono più
gli animali, bensì le persone, e l’Ammiraglio Boom, il
tremendo vicino di casa della famiglia Banks, se ne sta
furioso dietro le sbarre come uno scimmione.
E soffia anche il vento dell’Ovest, quello destinato a portar
via Mary Poppins come quello dell’Est l’aveva fatta
arrivare.
Scorbutica e tenera, espertissima in tutto ma sognatrice,
di carattere inflessibile ma capace di comprendere ogni
bestiola… chi è?
Ai bambini di casa Banks non interessa questa domanda:
mentre l’istitutrice vola via nel vento, si limitano a sperare
che torni presto.
ANTONIO FAETI, 1994