Mary Poppins
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Mary Poppins
Non c’è bambino che, vedendo il famoso film di Walt Disney del 1964, non abbia desiderato conoscere Mary Poppins, salire le scale scivolando sul corrimano, come lei; aprire unombrellino e prendere il volo; pescare dalla sua grande borsa che contiene di tutto, persino una poltroncina. Mary Poppins compare un giorno portata dal vento in Viale dei Ciliegi 17, davanti alla casa più piccola della strada, e cambierà per sempre la vita dei bambini Banks. Nata in Australia nel 1899, Pamela Lyndon Travers emigrò a Londra nel 1924. Negli anni lavorò come segretaria, giornalista,ballerina e autrice. Pubblicato nel 1934, Mary Poppins ebbe un successo immediato e diversi seguiti. Dopo una caccia ai diritti durata quasi vent’anni, Walt Disney riuscì a portarlo sul grande schermo nel 1964, dando vita a uno dei più grandi classici del cinema di tutti i tempi. La storia dell’estenuante corteggiamento e difficile rapporto tra Disney e la Travers è raccontata nel film Saving Mr. Banks, in cui la caparbia scrittrice è interpretata da Emma Thompson. Proprietà letteraria riservata © 1935 Mary Shepard per le illustrazioni © 1937 Gruppo Editoriale Fabbri Bompiani Sonzogno Etas S.p.A. © 1994 R.C.S. Libri & Grandi Opere S.p.A. © 1997 RCS Libri S.p.A., Milano ISBN 978-88-58-66762-0 Prima edizione digitale 2014 da III edizione Bur ragazzi giugno 2010 Traduzione di Letizia Bompiani In copertina: illustrazione di Mary Shepard progetto grafico: Lori McThomas Buley www.rizzoli.eu Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata. Vento da Est Se volete trovare il Viale dei Ciliegi, tutto quello che dovete fare è chiedere al vigile all’incrocio. L’uomo piegherà l’elmetto da una parte, si gratterà la testa pensosamente e infine, puntando l’imponente dito bianco guantato, dirà: «Prima a destra, poi a sinistra, poi ancora a destra, e ci siete. Buon giorno.» Infatti, seguendo esattamente le indicazioni, sarete subito lì, proprio in mezzo al Viale, dove da un lato c’è una fila di case, dall’altro si stende il Parco e in mezzo, allineati come i cavalieri di una quadriglia, stanno gli alberi di ciliegio. Se andate in cerca del numero 17 (cosa molto probabile, poiché tutto il libro riguarda proprio questa casa) lo troverete subito. Per cominciare è la casa più piccola del Viale. E poi è la sola un po’ malandata, che abbia bisogno di una nuova mano di bianco. Ma il signor Banks, suo proprietario, aveva detto alla signora Banks di scegliere tra una casa graziosa, lucida, confortevole, e quattro bambini: le due cose insieme, infatti, non potevano permettersele. E la signora Banks, dopo averci riflettuto un po’, aveva concluso che preferiva Giovanna, che era la maggiore, e Michele, che era il secondo, e Barbara e Giovannino, che erano gemelli e venivano per ultimi. Così fu deciso, e così fu che la famiglia Banks venne ad abitare al numero 17, con la signora Brill che cucinava, Ellen che apparecchiava la tavola, e Robertson Ay che falciava l’erba delle aiuole, puliva i coltelli, si impegnava a lucidare le scarpe e, come diceva il signor Banks, «a perdere il suo tempo e il mio denaro!» Naturalmente c’era anche Katie Nanna, che però non merita affatto di entrare nel libro, perché proprio all’epoca di cui sto parlando aveva lasciato il numero 17. «Senza il mio permesso e senza una parola di preavviso! E adesso come faccio?» aveva detto la signora Banks. «Un annuncio sul giornale» aveva risposto il signor Banks, infilandosi le scarpe. «Ah, se anche Robertson se ne andasse senza una parola di preavviso! Anche oggi mi ha lucidato una scarpa sola. Avrò un’aria sbilenca!» «Questo» lo interruppe la signora Banks «non ha nessuna importanza. Non mi hai detto quello che devo fare con Katie Nanna.» «Non vedo che cosa tu possa fare con lei» replicò il signor Banks, «visto che è scomparsa. Ma se io fossi in te – io, dico, io – bene, metterei un annuncio sul giornale per dire che Giovanna e Michele e Barbara e Giovannino Banks (per non parlare della loro mamma) cercano con urgenza la migliore delle bambinaie possibili al minor prezzo possibile. Poi aspetterei e starei a vedere le bambinaie fare la coda davanti al cancello, e m’inquieterei molto se intralciassero il traffico e mi obbligassero a dar la mancia al vigile per avergli creato problemi. Adesso devo uscire. Accidenti! Fa freddo come al Polo Nord. Da che parte soffia il vento?» E dopo aver detto questo, il signor Banks mise il capo fuori dalla finestra e diede un’occhiata alla casa dell’Ammiraglio Boom, all’angolo. Era la casa più grande del Viale, e tutto il Viale ne era molto fiero, perché era costruita come un bastimento. Nel giardino c’era l’asta della bandiera e sul tetto una banderuola dorata, a forma di telescopio. «Ah» disse il signor Banks, ritirando la testa in fretta, «il telescopio dell’Ammiraglio dice: Vento da Est. Mi pareva, ho il gelo nelle ossa. Metterò due cappotti.» E baciò sul naso la moglie che stava tutta assorta, fece un cenno ai bambini, e andò alla City. La City era un posto dove il signor Banks si recava ogni giorno, fuorché la domenica e i giorni di vacanza naturalmente. E quando era lì, sedeva sopra una grande sedia davanti a un grande scrittoio e fabbricava denaro. Lavorava tutto il giorno, ritagliando penny, scellini, mezze corone e monete da tre penny. E le portava poi a casa nella sua piccola valigia nera. Qualche volta ne dava a Giovanna e Michele, per i loro salvadanai, e quando non ne aveva da dar via, diceva: «La Banca è sbancata» e loro capivano che quel giorno il papà aveva fabbricato poco denaro. Bene, il signor Banks uscì con la sua valigia nera, e la signora Banks andò in salotto e stette lì tutto il giorno a scrivere lettere ai giornali, chiedendo di mandarle subito delle bambinaie poiché ne aveva bisogno; e intanto, su nella loro camera, Giovanna e Michele spiavano dalla finestra e si domandavano chi sarebbe venuto. Erano contenti che Katie Nanna fosse andata via, perché non le avevano mai voluto bene. Era vecchia e grassa, con addosso uno spiacevole odore di orzata. Qualunque cosa sarebbe stata meglio di Katie Nanna, anzi, molto meglio. Quando la luce cominciò a morire, lontano, dietro il Parco, la signora Brill ed Ellen vennero a portare la cena e a fare il bagno ai gemelli. E dopo cena Giovanna e Michele si misero di nuovo alla finestra, aspettando il ritorno a casa del signor Banks e ascoltando il sibilo del Vento dell’Est, attraverso i rami spogli dei ciliegi. Gli alberi, agitandosi e curvandosi nella luce incerta, sembravano impazziti, come se ballassero con le radici fuori dalla terra. «Eccolo» disse Michele puntando a un tratto il ditino verso una figura che con un bastone batteva energicamente al cancello. «Non è il papà» disse lei. «È qualcun altro.» Poi la figura, scossa e sballottata dal vento, sganciò il lucchetto del cancello e i bimbi poterono vedere che si trattava di una donna, che con una mano si teneva fermo il cappello e con l’altra portava una grande borsa. Ecco che, mentre stavano osservando, Giovanna e Michele videro una cosa molto curiosa. Appena la figura ebbe oltrepassato il cancello, sembrò che il vento la sollevasse, portandola in volo verso la casa. Fu come se l’avesse trascinata fino al cancello, avesse atteso che si aprisse e poi di nuovo soffiando avesse sollevato lei, la grande borsa e tutto fino alla soglia di casa. I bimbi, sempre protesi a guardare, udirono un terribile rumore e, come lei ebbe posto piede a terra, l’intera casa si scosse. «Che buffo! Non ho mai visto una cosa simile» disse Michele. «Scendiamo e andiamo a vedere chi è» disse Giovanna e, preso Michele per un braccio, lo condusse via dalla finestra, attraverso la camera, fin nel corridoio. Di lì i bambini potevano vedere chiaramente tutto ciò che succedeva in anticamera. Scorsero la madre che usciva dal salotto seguita da una visitatrice. Giovanna e Michele poterono vedere la nuova venuta: magra, con una lucida chioma nera, grandi mani, grandi piedi e due piccoli occhi azzurri. «Un po’ come una bambola olandese di legno» sussurrò Giovanna. «Vedrete che sono bambini molto graziosi» stava dicendo la signora Banks. Michele dette una gomitata a Giovanna. «E non danno nessun problema» continuò la signora Banks, esitante, come se lei stessa non credesse veramente a quello che diceva. La visitatrice tossicchiò, come se non ci credesse nemmeno lei. «Ora, per le referenze…» continuò la signora Banks. «Oh, io di regola non do mai referenze» replicò l’altra con fermezza. La signora Banks spalancò gli occhi. «Ma, io… pensavo che… di solito…» disse lei, «voglio dire che si usa sempre così.» «Un’usanza superata, a mio giudizio» rispose la voce brusca. «Una vecchissima usanza, roba assolutamente fuori moda, direi.» Ora, se c’era una cosa che spiaceva alla signora Banks era quella di esser ritenuta di idee antiquate. Non poteva sopportarlo. Perciò si affrettò a dire: «Benissimo, allora non ci tormentiamo per questo. Lo chiedevo solo nel caso voi voleste refer… Le stanze dei bambini sono di sopra.» E le fece strada per le scale, chiacchierando tutto il tempo senza fermarsi un momento. Così la signora Banks non poté vedere quel che stava succedendo dietro di lei, ma Giovanna e Michele, che stavano osservando tutto dal ballatoio, videro perfettamente la cosa straordinaria che la visitatrice stava facendo. Naturalmente seguiva la signora Banks su per le scale, ma non in un modo normale. Tenendo la grande borsa con le due mani, lei scivolava con leggerezza su per la ringhiera, e arrivò sul ballatoio insieme alla signora Banks. Giovanna e Michele erano certi di non aver mai visto una cosa simile prima d’allora. In giù, sì: anche loro l’avevano fatto tante volte, ma in su, mai! Si misero a fissare curiosamente la nuova strana visitatrice. «Bene, allora è tutto sistemato.» La mamma dei bambini tirò un sospiro di sollievo. «Tutto, finché io sono soddisfatta» disse l’altra soffiandosi il naso con un fazzolettone bianco e rosso. «Ebbene, bambini» disse la signora Banks, scorgendoli tutt’a un tratto. «Che cosa state facendo lì? Questa è la vostra nuova bambinaia, Mary Poppins; Giovanna e Michele, salutate. E questi» disse, indicando i piccoli nelle loro culle, «sono i gemelli.» Mary Poppins li esaminò attentamente, girando lo sguardo dall’uno all’altro, con l’aria di domandarsi se le piacevano o no. «Andiamo bene?» disse Michele. «Michele, non fare il maleducato» lo ammonì la madre. Mary Poppins continuava a esaminare i quattro bambini. Poi, con un lungo poderoso sospiro, che sembrò significare che aveva formulato il suo giudizio, disse: «Accetto l’impiego.» E più tardi la signora Banks riferì al marito: «L’ha detto proprio come se ci facesse un grande onore.» «Forse ce lo fa» disse il signor Banks, sporgendo il naso da dietro il giornale e poi ritirandolo subito. Uscita la madre, Giovanna e Michele si avvicinarono lentamente a Mary Poppins, che se ne stava ferma come un palo, con le mani incrociate. «Come hai fatto ad arrivare?» domandò Giovanna. «Sembrava che ti portasse il vento.» «Così era infatti» disse bruscamente Mary Poppins. E cominciò a sciogliersi la sciarpa dal collo e a togliersi il cappello, che gettò sul letto. Poiché sembrava che Mary Poppins non avesse intenzione di dire nient’altro, anche se continuava a sbuffare, Giovanna decise di rimanere in silenzio. Ma quando la governante si chinò per aprire la grande borsa, Michele non poté trattenersi: «Che buffa borsa!» disse toccandola con un dito. «Tappeto» disse Mary Poppins, infilando la chiave nel lucchetto. «Per portarci i tappeti, vuoi dire?» «No, fatta di tappeto.» «Ah» disse Michele. «Ho capito.» Ma non era vero. Intanto la borsa fu aperta, e Giovanna e Michele furono sorpresissimi di trovarla completamente vuota. «Come!» disse Giovanna. «Non c’è niente dentro.» «Come sarebbe niente?» chiese Mary Poppins drizzandosi e guardandola come se fosse stata insultata. «Ti sembra niente?» E subito tirò fuori dalla grande borsa vuota un grembiule bianco inamidato e se lo legò alla vita. Poi tirò fuori un grosso pezzo di sapone, uno spazzolino da denti, un pacchetto di forcine, una bottiglia di profumo, una poltroncina pieghevole e una scatola di pasticche per la gola. Giovanna e Michele spalancarono gli occhi. «Ma ho guardato bene!» sussurrò Michele. «Era vuota!» «Zitto» disse Giovanna, vedendo che Mary Poppins tirava fuori una bottiglia con un’etichetta che diceva: “Un cucchiaino prima di coricarsi”. Al collo della bottiglia era attaccato un cucchiaino e Mary Poppins ci versò un liquido rosso scuro. «È la tua medicina?» domandò Michele con molto interesse. «No, la tua» disse Mary Poppins, avvicinandogli il cucchiaino alla bocca. Michele spalancò gli occhi, arricciò il naso, cominciò a protestare. «Non la voglio, non ne ho bisogno. Non la voglio.» Ma Mary Poppins teneva gli occhi fissi su di lui e Michele comprese immediatamente che non si poteva guardare Mary Poppins e disobbedirle. C’era qualcosa di strano, di straordinario in lei; qualcosa che turbava e allo stesso tempo elettrizzava. Il cucchiaino si avvicinava. Michele trattenne il respiro, chiuse gli occhi e aprì la bocca. Sentì un sapore delizioso. Si leccò le labbra. Inghiottì e un sorriso di felicità gli illuminò il viso. «Gelato di fragole!» disse rapito. «Ancora, ancora, ancora!» Ma Mary Poppins, rigida in faccia come prima, stava versando la dose di Giovanna. Il cucchiaino si riempì, questa volta, di un liquido argenteo, verdolino, giallo. Giovanna lo provò. «Liquore di mele!» disse, passandosi con delizia la lingua sulle labbra. Ma quando vide che Mary Poppins si avvicinava ai gemelli con la bottiglia si precipitò verso di lei. «Oh, no, per carità. Sono troppo piccoli. Non gli farebbe bene. Per carità!» Ma Mary Poppins non la ascoltò, anzi, con un terribile sguardo ammonitore a Giovanna, avvicinò il cucchiaino alla bocca di Giovannino. Il bimbo inghiottì, e dalle poche gocce cadute sul bavaglino Giovanna e Michele videro che questa volta il cucchiaino conteneva latte. Poi Barbara ebbe la sua parte, fece glu glu e leccò il cucchiaino due volte. Quindi Mary Poppins versò un’altra dose, questa volta per sé, e la ingoiò solennemente. «Punch al rum» disse schioccando la lingua e rimettendo il tappo alla bottiglia. Gli occhi di Giovanna e Michele sbatterono per la meraviglia, ma i due bambini non ebbero il tempo di meravigliarsi che Mary Poppins, posata la bottiglia miracolosa sul cassettone, si volse verso di loro. «Ora» disse, «pim, pum, a letto!» E cominciò a svestirli. I bambini notarono che mentre bottoni e ganci costituivano un complicato problema per Katie Nanna, per Mary Poppins si slacciavano a un solo sguardo. In un baleno si trovarono a letto e nella penombra del lumino da notte poterono vedere tutto quello che Mary Poppins continuava a tirar fuori dalla sua grande borsa. Dalla borsa di tappeto vennero fuori sette camicie da notte di flanella, quattro di cotone, un paio di stivaletti, una scatola di domino, due accappatoi e un album di francobolli. Per ultimo, un letto da campo pieghevole, completo di lenzuolo, piumino e coperte. Mary Poppins lo pose tra il lettino di Barbara e quello di Giovannino. Giovanna e Michele stavano raggomitolati a guardare. Era tutto così sorprendente che non trovavano nulla da dire. Ma sapevano, entrambi, che qualcosa di strano e meraviglioso era accaduto quel giorno al numero 17 di Viale dei Ciliegi. Mary Poppins, infilandosi dalla testa una camicia da notte di flanella, cominciò a svestirsi quasi come se fosse sotto una tenda. Michele, incantato da questo straordinario nuovo arrivo, incapace di tacere più a lungo, la chiamò: «Mary Poppins» gridò «non ci lascerai mai, è vero?» Da sotto la camicia non venne alcuna risposta. Michele non poté resistere. «Non ci lascerai, è vero?» tornò a domandare ansiosamente. La testa di Mary Poppins spuntò dalla camicia. Sembrava inquietissima. «Ancora una parola da quella direzione» disse minacciosamente «e chiamo una guardia.» «Dicevo solo» cominciò umilmente Michele «che noi speriamo che non andrai via tanto presto.» S’interruppe, rosso e confuso. Mary Poppins fissò prima lui, poi Giovanna in silenzio. Quindi arricciò il naso e sbuffò: «Starò finché cambia il vento» disse brevemente. Soffiò sulla candela e andò a letto. «Allora va bene» disse Michele, un po’ a se stesso e un po’ a Giovanna. Ma Giovanna non ascoltava. Pensava meravigliata a tutto quanto era accaduto. E fu così che Mary Poppins venne ad abitare al numero 17 di Viale dei Ciliegi. E sebbene, talvolta, i Banks si sorprendessero a rimpiangere i giorni più quieti, più comuni, in cui lo scettro della famiglia era tenuto da Katie Nanna, ognuno, tutto sommato, era contento dell’arrivo di Mary Poppins. Il signor Banks era contento perché, essendo arrivata da sola, senza intralciare il traffico, lui non aveva dovuto dare la mancia al vigile. La signora Banks era contenta perché poteva dire a tutti che la bambinaia dei suoi figli era così alla moda che non voleva darle referenze. La signora Brill ed Ellen erano contente perché potevano bere il tè in cucina tutto il giorno e non erano obbligate a dar da mangiare ai bambini. Anche Robertson Ay era contento perché Mary Poppins aveva un solo paio di scarpe e se le puliva da sola. Ma nessuno sapeva cosa ne pensasse Mary Poppins, perché lei non diceva nulla a nessuno. Giorno Libero «Ogni tre mercoledì» disse la signora Banks «dalle due alle cinque.» Mary Poppins la guardò bruscamente. «La gente distinta, signora» disse «dà un mercoledì sì e uno no, dall’una alle sei. E così penso sia giusto, altrimenti…» Mary Poppins si fermò e la signora Banks comprese il significato della pausa. Cioè che, se non acconsentiva, se ne sarebbe andata. «Benissimo, benissimo» si affrettò a rispondere. La cosa che le dispiaceva veramente era che Mary Poppins ne sapesse più di lei sulle abitudini della gente distinta. Così Mary Poppins infilò i suoi guanti bianchi e si mise l’ombrello sotto il braccio, non perché piovesse, ma perché aveva un così bel manico che era un peccato lasciarlo a casa. Come si fa a lasciare a casa un ombrello con un manico a forma di testa di pappagallo? Mary Poppins, poi, era molto, molto vanitosa e ci teneva a mostrarsi nella sua veste migliore. In realtà, era sicura di mostrarsi sempre nella sua veste migliore. Giovanna le fece cenno dalla finestra della sua camera. «Dove vai?» domandò. «Per favore, chiudi quella finestra» replicò Mary Poppins, e la testa di Giovanna si ritirò in fretta. Mary Poppins percorse il vialetto del giardino e aprì il cancello. Una volta in strada, cominciò a camminare in fretta, come timorosa che il pomeriggio le sarebbe sfuggito se non avesse tenuto il giusto passo. All’angolo voltò a destra, poi a sinistra, squadrò altezzosamente il vigile che le diceva che era una bella giornata e finalmente ebbe la sensazione che il suo Giorno Libero fosse cominciato davvero. Si fermò vicino a un’automobile vuota per raddrizzarsi il cappello, specchiandosi nel finestrino, si lisciò il vestito e rialzò l’ombrello sotto il braccio in modo che tutti potessero vedere perfettamente il manico, o piuttosto il pappagallo. Dopo questi preparativi, si recò dall’Uomo dei Fiammiferi. Ora, dovete sapere che l’Uomo dei Fiammiferi esercitava due professioni. Non solo vendeva fiammiferi, come ogni comune fiammiferaio, ma con altrettanta abilità disegnava sui marciapiedi. Faceva una cosa o l’altra a seconda del tempo. Quando era nuvoloso vendeva fiammiferi, perché la pioggia avrebbe cancellato i disegni. Quando era sereno, stava inginocchiato tutto il giorno a disegnare sui marciapiedi coi gessetti colorati. Era così veloce che spesso disegnava un lato intero della strada prima che i passanti dall’altra parte facessero in tempo a girare l’angolo. Quel giorno, che era bello ma freddo, stava disegnando. Era in procinto di aggiungere due banane, una mela e una testa della Regina Elisabetta a una lunga fila di altri disegni, quando Mary Poppins lo raggiunse in punta di piedi per fargli una sorpresa. «Ehi!» chiamò piano Mary Poppins. L’Uomo dei Fiammiferi e Pittore proseguì nel suo lavoro, aggiungendo delle righe brune a una banana e una cascata di riccioli bruni alla testa della Regina Elisabetta. «Ehm» disse Mary Poppins con un signorile colpo di tosse. L’Uomo dei Fiammiferi e Pittore si volse di soprassalto e la vide. «Mary» gridò, e dal modo con cui lo gridò avrete capito che Mary Poppins era un personaggio molto importante nella sua vita. Mary Poppins abbassò lo sguardo, strisciando la punta di una scarpa sul pavimento, due o tre volte. Poi sorrise alla scarpa in un modo che la scarpa capì benissimo che quel sorriso non era per lei. «È il mio Giorno Libero, Berto» disse. «Non ve ne ricordate?» Berto era il nome dell’Uomo dei Fiammiferi. Erberto Alfredo per le grandi occasioni. «Certo che me lo ricordo, Mary» disse lui, si fermò, e guardò mestamente il suo berretto. Stava per terra vicino al suo ultimo quadro e dentro c’erano due penny. Lo tirò su e fece suonare i soldi. «Tutto qua?» domandò Mary Poppins, e lo domandò tanto giocondamente, che nessuno avrebbe mai potuto dire che provasse disappunto. «Tutto qua» disse lui. «Gli affari vanno male oggi. Eppure chiunque dovrebbe essere felice di tirare fuori dei soldi per ammirare cose del genere, no?» E con la testa fece un piccolo inchino alla Regina Elisabetta. «Così va la vita, Mary» sospirò. «Temo di non potervi invitare a prendere il tè, oggi.» Mary Poppins pensava alle crostatine di lamponi che avevano sempre gustato nel suo Giorno Libero e stava per sospirare, quando vide la faccia dell’Uomo dei Fiammiferi. Allora, molto abilmente, mutò il sospiro in un sorriso, un bel sorriso, e disse: «Nessun problema, Berto, non vi preoccupate. Preferisco non andare a prendere il tè. Lo trovo piuttosto indigesto, veramente.» E questo, se tenete conto di quanto piacevano a Mary Poppins le crostatine di lamponi, era molto gentile da parte sua. Anche l’Uomo dei Fiammiferi la pensò così, perché le prese la mano guantata di bianco e la strinse con forza tra le sue. Poi insieme si misero a guardare la fila dei disegni. «Ecco, ce n’è uno che prima non avete visto» disse orgogliosamente l’Uomo dei Fiammiferi, indicando il disegno di una montagna coperta di neve, con le pendici che brulicavano di cavallette sedute su rose gigantesche. Questa volta Mary Poppins poteva lasciarsi scappare un sospiro senza urtare i suoi sentimenti. «Oh, Berto» disse «questa sì che è una bella trovata!» Dal modo in cui lo disse, gli fece intendere che il suo quadro avrebbe dovuto figurare nell’Accademia Reale, che sarebbe una grande stanza dove la gente espone i quadri che ha dipinto. Ognuno va a vederli e, dopo averli guardati a lungo, dice all’altro: «Che idea, mio caro!» Ancora migliore era il disegno vicino, che Mary Poppins e l’Uomo dei Fiammiferi si misero a osservare. Rappresentava la campagna: alberi ed erba, e in lontananza un pezzetto di mare azzurro e qualcosa sullo sfondo che sembrava il paese di Yarmouth. «Che bello!» esclamò Mary Poppins, ammirata, avvicinandosi per vedere meglio. «Ma cosa avete, Berto?» Proprio in quel momento l’Uomo dei Fiammiferi le aveva preso l’altra mano e appariva molto eccitato. «Mary» disse. «Ho un’idea. Una vera idea! Perché non andiamo lì oggi, subito, anzi? Voglio dire nel disegno, insieme. Eh, Mary?» E tenendola sempre per mano, la condusse lontano dalla strada, lontano dalla cancellata e dai lampioni, proprio nel centro del disegno. Pifff! ecco, c’erano proprio dentro. Quanto verde c’era e quanta quiete, e che tenera fresca erbetta sotto i loro piedi! Non potevano credere che fosse vero, eppure c’erano rami verdi che sfioravano loro i capelli quando si curvavano per passare sotto, e piccoli fiori variopinti che facevano corona alle scarpe. Si guardavano a occhi spalancati, e ciascuno notava quanto fosse cambiato l’altro. A Mary Poppins sembrò che l’Uomo dei Fiammiferi si fosse comprato un intero guardaroba nuovo, perché indossava una giacca fiammante a righe rosse e verdi e calzoni di flanella bianca, e – questo era l’oggetto più bello – un cappello di paglia nuovo. Appariva insolitamente lindo, come se fosse stato ripassato a nuovo. «Oh, Berto, come siete elegante!» gridò con voce piena di ammirazione. Berto per un momento non poté pronunciare una parola, essendo rimasto a bocca aperta e con gli occhi spalancati a guardarla. Poi inghiottì e disse: «Accidenti!» Questo fu tutto. Ma lo disse in tal modo e il suo sguardo esprimeva tanta sicurezza e soddisfazione, che lei tirò fuori dalla borsetta uno specchietto e si guardò. Scoprì che anche lei era cambiata. Sulle spalle aveva un bellissimo mantello di seta lucente a disegni acquatici, e il solletico che sentiva dietro, sul collo, veniva, secondo le informazioni dello specchio, da una lunga piuma arricciata che pendeva dall’ala del cappello. Non aveva più le sue solite scarpe, ma al loro posto delle altre molto più raffinate, con grosse fibbie di diamanti per guarnizione. L’ombrello e i guanti bianchi c’erano ancora. «Santo cielo!» disse Mary Poppins. «Questo sì che è un vero Giorno Libero.» Così, ammirandosi l’un l’altro, si inoltrarono nel boschetto, finché giunsero in un piccolo spazio aperto pieno di sole. E lì, su un tavolino verde, era preparato il tè delle cinque. Al centro c’era una pila di crostatine di lamponi che arrivava alla cintola di Mary Poppins, accanto fumava il tè in una grossa teiera di ottone, e, meraviglia delle meraviglie, c’erano due piatti di meringhe e due forchettine per tirarle su. «Corbezzoli!» disse Mary Poppins. Diceva sempre così quando era contenta. «Accidenti!» disse l’Uomo dei Fiammiferi, e questa era la sua esclamazione preferita. «Non volete accomodarvi, signora?» disse una voce. Si voltarono e videro un uomo alto, in abito nero, che veniva fuori dal bosco con un tovagliolo sul braccio. Mary Poppins, per quanto sorpresa, si sedette con un plof su una delle sedie verdi intorno al tavolino. L’Uomo dei Fiammiferi, sempre a occhi spalancati, si lasciò cadere su un’altra. «Sono il cameriere, io!» spiegò l’uomo in abito nero. «Oh, ma non vi avevo visto nel quadro» disse Mary Poppins. «Infatti ero dietro l’albero» spiegò il cameriere. «Non vi sedete?» chiese Mary Poppins, gentilmente. «I camerieri non si siedono mai» rispose l’uomo, ma sembrò compiaciuto della domanda. «Le meringhe, signore» disse, spingendo il piatto verso l’Uomo dei Fiammiferi. «E la vostra forchettina.» Spolverò la forchettina nel tovagliolo e la porse a Berto. Cominciarono a prendere il tè e il cameriere rimase accanto a loro per accertarsi che avessero tutto quello che occorreva. «Adesso tocca a queste» mormorò forte Mary Poppins, dando l’assalto alla pila di crostatine di lamponi. «Accidenti» annuì l’Uomo dei Fiammiferi prendendone due delle più grosse. «Tè?» domandò il cameriere, riempiendo una grossa tazza per ciascuno. Bevvero le loro tazze e ne ebbero altre due per ciascuno. Fecero sparire tutta la pila delle crostatine di lamponi. Infine si alzarono e con la mano spazzarono via le briciole. «Non c’è niente da pagare» disse il cameriere prima che avessero il tempo di chiedere il conto. «È un piacere. Laggiù troverete la giostra.» E con la mano indicò un piccolo spiazzo tra gli alberi, dove Mary Poppins e l’Uomo dei Fiammiferi videro molti cavalli di legno che giravano in fretta. «Che buffo» disse lei. «Non ricordo di aver visto nemmeno questo nel quadro.» «Ah» disse l’Uomo dei Fiammiferi, che non se lo ricordava neppure lui. «Questo, sapete, era sullo sfondo.» La giostra stava rallentando proprio mentre si avvicinavano. Vi saltarono sopra, Mary Poppins su un cavallo nero e l’Uomo dei Fiammiferi su uno grigio. E quando la musica riprese e cominciarono a muoversi, cavalcarono diritti verso Yarmouth, e poi indietro, perché quello era il posto che entrambi desideravano vedere. Furono di ritorno che era quasi scuro e il cameriere li stava cercando. «Sono molto spiacente, signora e signore» disse compitamente «ma chiudiamo alle sette. Una regola, sapete. Posso indicarvi l’uscita?» Con un cenno discreto assentirono, mentre il cameriere, agitando in aria il suo tovagliolo, li precedette attraverso il bosco. «Avete fatto un quadro meraviglioso, Berto, questa volta» disse Mary Poppins, mettendogli una mano sotto il braccio e stringendosi nel mantello. «Be’, ho fatto del mio meglio, Mary» disse l’Uomo dei Fiammiferi modestamente. Ma dall’espressione avreste potuto vedere che invece era molto compiaciuto di sé. In quel momento il cameriere si fermò davanti a loro, accanto a una grande porta bianca, che sembrava fatta di larghe righe di gesso. «Ecco» disse «questa è l’uscita.» «Arrivederci e grazie» disse Mary Poppins, stringendogli la mano. «Arrivederci, signora» disse il cameriere inchinandosi tanto profondamente che il capo gli picchiò contro il ginocchio. S’inchinò leggermente all’Uomo dei Fiammiferi, che levò la testa strizzando un occhio, secondo il suo modo di salutare. Poi Mary Poppins varcò la soglia e l’Uomo dei Fiammiferi la seguì. E mentre camminavano, dal cappello di lei cadde la piuma, e dalle spalle il mantello di seta, e dalle scarpe le fibbie di diamanti. Gli abiti fiammanti dell’Uomo dei Fiammiferi si scolorirono e il cappello di paglia tornò a essere un vecchio berretto. Mary Poppins si volse, lo guardò e comprese subito quel che era successo. Ferma sul marciapiede, lo fissò a lungo e poi con lo sguardo cercò il cameriere, dietro a lui, nel bosco. Ma non riuscì a vederlo da nessuna parte. Non c’era nessuno nel quadro. Nulla vi si muoveva. Anche la giostra era scomparsa. Rimanevano solo gli alberi quieti e l’erba e il piccolo pezzo di mare immobile. Mary Poppins e l’Uomo dei Fiammiferi si scambiarono un sorriso. Be’, sapevano ciò che si nascondeva dietro agli alberi. Quando la governante tornò a casa, dopo il suo Giorno Libero, Giovanna e Michele le corsero incontro. «Dove sei stata?» domandarono. «Nel Paese delle Fate» disse Mary Poppins. «Hai visto Cenerentola?» interrogò Giovanna. «Huh, Cenerentola! No davvero!» disse Mary Poppins, con disprezzo. «Cenerentola, figuriamoci!» «Allora Robinson Crusoe» suggerì Michele. «Robinson Crusoe, bah» disse Mary Poppins bruscamente. «Ma allora, come fai a dire di essere stata lì? Non poteva essere il nostro Paese delle Fate.» Mary Poppins arricciò il naso con superiorità. «Non sapete» soggiunse con l’aria di compatirli «che ciascuno ha il proprio Paese delle Fate?» E con uno sbuffo andò di sopra a togliersi i guanti bianchi e a riporre l’ombrello. Gas Esilarante «Sei sicura che sarà in casa?» domandò Giovanna, mentre lei, Michele e Mary Poppins scendevano dall’autobus. «Vorrei sapere perché mio zio avrebbe dovuto dirmi di condurvi da lui per il tè, se intendeva uscire» rispose Mary Poppins, evidentemente molto offesa dalla domanda. Indossava il suo abito blu con i bottoni d’argento e il cappello di un altro blu, intonato. Nelle giornate in cui era vestita così, offenderla era la cosa più facile del mondo. Tutti e tre erano in procinto di fare una visita allo zio di Mary Poppins, il signor Parrucca, e Giovanna e Michele avevano desiderato questa “spedizione” per tanto tempo che quasi temevano che il signor Parrucca, alla fine, non fosse in casa. «Perché si chiama signor Parrucca? Ne porta una?» domandò Michele, trotterellando più in fretta per restare accanto a Mary Poppins. «Si chiama signor Parrucca perché signor Parrucca è il suo nome. E non ne porta nessuna. È calvo» disse Mary Poppins. «E se mi fate un’altra domanda torneremo dritti a casa.» E come al solito arricciò il naso, il che significava scontento. Giovanna e Michele si guardarono corrugando la fronte. E questo voleva dire: «Non chiediamo più nulla, altrimenti non andremo là mai più.» All’angolo Mary Poppins mise ben dritto il cappello specchiandosi nella vetrina del tabaccaio. La tabaccheria aveva una di quelle curiose vetrine dove vi sembra di essere tre invece di uno, cosicché, se vi rimirate a lungo, cominciate a sentire che non siete più voi stessi, ma una vera folla di altra gente. Tuttavia Mary Poppins sospirò di piacere quando vide tre se stesse, ciascuna con un abito blu guarnito di bottoni d’argento e con un cappello blu intonato. Le sembrava una vista così graziosa che avrebbe desiderato che di se stesse ce ne fossero una dozzina. «Andiamo» disse bruscamente ai bambini, come se fossero stati loro a farla aspettare. Poi voltarono l’angolo e suonarono il campanello del numero 3 di via Robertson. Giovanna e Michele ne sentirono l’eco lontana e pensarono con emozione che fra un minuto o due avrebbero preso per la prima volta il tè dallo zio di Mary Poppins, il signor Parrucca. «Se c’è…» disse Giovanna in un soffio a Michele. In quel momento la porta si aprì e apparve una signora magra dall’aria dimessa. «C’è?» si affrettò a domandare Michele. «Ti sarò grata» disse Mary Poppins, lanciandogli uno sguardo terribile, «se lascerai parlare me.» «Buon giorno, signora Parrucca» disse Giovanna educatamente. «Signora Parrucca!» esclamò l’esile signora con una voce più esile ancora. «Come osate chiamarmi signora Parrucca? No, grazie, io sono soltanto la signorina Persimmon, e ne sono fiera! Signora Parrucca, ma figuriamoci!» Sembrava fuori di sé e i bimbi pensarono che il signor Parrucca doveva essere una persona molto bizzarra se la signorina Persimmon era tanto contenta di non essere la signora Parrucca. «Di sopra, la prima porta del pianerottolo» disse la signorina Persimmon. E se ne andò in fretta esclamando fra sé e sé: «Signora Parrucca, ma figuriamoci!» con una voce alta, acuta, indignata. Giovanna e Michele seguirono Mary Poppins su per le scale. Mary Poppins bussò alla porta. «Avanti, avanti, benvenuti!» gridò dall’interno una voce gioconda. Il cuore di Giovanna batteva a precipizio per l’eccitazione. «C’è» segnalò a Michele con lo sguardo. Mary Poppins aprì la porta e li spinse avanti. Entrarono in una stanza ampia e luminosa. Da una parte, in un caminetto, il fuoco scoppiettava allegramente e al centro c’era una tavola enorme preparata per il tè: quattro tazze e relativi piattini, montagne di pane e burro, gallette, pasticcini alle mandorle e una grossa torta coperta di glassa rosa. «Bene, questo è un vero piacere» li salutò una voce sonora, e Giovanna e Michele girarono lo sguardo per trovarne il proprietario. Non si riusciva a scovarlo. La stanza appariva assolutamente vuota. Udirono Mary Poppins domandare seccata: «Oh, zio Alberto, di nuovo? Non è il tuo compleanno, vero?» E parlando guardava il soffitto. Giovanna e Michele guardarono anche loro in su e con grande sorpresa videro un uomo rubicondo, grosso e calvo, sospeso in aria senza essere attaccato a nulla. Veramente sembrava seduto in aria, perché stava a gambe incrociate e in quel momento aveva posato il giornale che stava leggendo quando erano entrati. «Mia cara» disse il signor Parrucca sorridendo ai bambini e guardando Mary Poppins con aria di scusa «sono molto spiacente, ma temo sia proprio il mio compleanno.» «Oh!» disse Mary Poppins. «Me ne sono ricordato soltanto ieri sera e non c’era tempo d’inviarvi un biglietto per avvertirvi di venire un altro giorno. Una cosa molto seccante, vero?» disse guardando Giovanna e Michele. «Vedo che siete molto sorpresi» soggiunse il signor Parrucca. E infatti le loro bocche stavano così spalancate che il signor Parrucca, se fosse stato appena più piccolo, avrebbe potuto caderci dentro. «Farei meglio a spiegarvi, credo» continuò con calma. «Io sono un allegrone: ridere mi piace moltissimo. Non avete idea di quante cose mi mettono di buon umore. Posso esilararmi quasi per ogni cosa, io.» E, dicendo questo, il signor Parrucca cominciò a ciondolare su e giù, scuotendosi dal ridere al pensiero della sua stessa allegria. «Zio Alberto!» disse Mary Poppins, e il signor Parrucca cessò di ridere con un sussulto. «Oh, perdonami cara. Dov’ero rimasto? Ah sì! Il mio caso comico – va bene, Mary, non voglio ridere, se mi è possibile – consiste in questo: che quando il mio compleanno cade di venerdì, bene, non posso dire di stare coi piedi per terra» disse il signor Parrucca. «Ma perché…» cominciò Giovanna. «Ma come…» cominciò Michele. «Be’, vedete, se io rido in questo giorno speciale, comincio a gonfiarmi a tal punto di Gas Esilarante che semplicemente non posso più stare a terra. Questo succede anche se sorrido. Il primo pensiero buffo, e io mi sollevo come un pallone. E finché non riesco a pensare a qualcosa di serio, non torno giù.» Dicendo questo il signor Parrucca cominciò a sbellicarsi dalle risa, ma vide la faccia di Mary Poppins e, interrotta di colpo la risata, continuò: «È stupido, certo, ma non spiacevole. A voi non è mai successo, immagino.» Giovanna e Michele scossero la testa. «No, ero sicuro di no. Sembra che sia una mia specialità. Una volta, dopo che la sera ero stato al Circo Equestre, risi tanto che, lo credereste?, rimasi sollevato per dodici ore di fila, e non potei tornare giù che dopo l’ultimo rintocco della mezzanotte. Dopo naturalmente venni giù con un plof, perché era sabato, e non era più il mio compleanno. È una cosa strana, vero? Per non dire buffa… E anche adesso è venerdì ed è il mio compleanno e voi siete venuti a trovarmi. Oh, per carità, non fatemi ridere, ve ne prego…» Ma per quanto Giovanna e Michele non avessero fatto nulla di molto divertente, tranne che guardarlo con meraviglia, il signor Parrucca cominciò di nuovo a ridere rumorosamente, e, mentre rideva, saltava e ballonzolava per l’aria, col giornale in mano e gli occhiali su e giù per il naso. Il signor Parrucca era così comico, mentre si agitava in aria come una grande bolla di sapone umana, ora picchiando contro il soffitto e ora contro il lume, che Giovanna e Michele, benché si sforzassero di comportarsi educatamente, non poterono trattenersi dal fare quel che fecero. Scoppiarono a ridere. E continuarono a ridere. Strinsero la bocca per evitare che ne uscissero le risate, ma non servì a nulla. Ecco che ora ruzzolavano qua e là sul pavimento, gridando e strillando tra le risa. «Ma guarda!» esclamò Mary Poppins. «Ma guarda che modo di comportarsi!» «Non posso farci nulla, non posso farci nulla» gridò Michele, rotolando contro le molle del caminetto. «È così buffo. Oh, Giovanna, non è buffo?» Giovanna non rispose, perché le era accaduta una cosa strana. Mentre rideva, si sentì diventare leggera, sempre più leggera, come se si stesse gonfiando d’aria. Era una sensazione strana e deliziosa, che le fece desiderare di ridere ancor di più. E a un tratto, repentinamente, con un balzo si sentì sollevare in aria. Sbalordito, Michele la vide volare su, attraverso la stanza. Con un piccolo colpo toccò il soffitto e continuò a dondolare per l’aria finché ebbe raggiunto il signor Parrucca. «Bene» disse il signor Parrucca, guardandola molto sorpreso. «Non mi dirai che è anche il tuo compleanno, vero?» Giovanna scosse la testa. «No? Allora il Gas Esilarante dev’essere contagioso! Ehi, tu laggiù, attento al caminetto.» Questo era per Michele, che a un tratto si era sollevato dall’impiantito e si librava per l’aria, sbellicandosi dalle risa e sfiorando, mentre passava, le chincaglierie cinesi sul caminetto. Atterrò con un rimbalzo sulle ginocchia del signor Parrucca. «Ben arrivato!» disse cordialmente il signor Parrucca, stringendo la mano a Michele. «È un vero atto d’amicizia da parte tua. Venire su da me, visto che io non posso scendere giù da voi, eh?» E poi lui e Michele, guardandosi l’un l’altro, rovesciarono indietro la testa e scoppiarono a ridere. «Oh!» disse a Giovanna il signor Parrucca, asciugandosi gli occhi. «Starai pensando che sono la persona più maleducata del mondo. Farti stare in piedi, mentre dovresti star seduta, una signorina graziosa come te. Temo di non poterti offrire una sedia quassù, ma mi pare che potresti accomodarti tranquillamente in aria. Che ne dici?» Giovanna provò e constatò che poteva sedersi comodamente in aria. Si tolse il cappello e lo posò vicino e questo rimase sospeso in aria senza alcun sostegno. «Bene» disse il signor Parrucca. Poi si volse in giù a guardare Mary Poppins. «Bene, Mary. Siamo a posto. E ora posso informarmi di te. Sono molto contento di porgere il benvenuto a te e a questi due giovani amici, oggi. Come, Mary, fai la faccia scura? Eh, ho paura che disapprovi tutto questo.» Fece un cenno con la mano a Giovanna e a Michele e soggiunse in fretta: «Ti chiedo scusa, Mary, mia cara. Ma sai quel che mi capita… Sinceramente non mi immaginavo che i miei due giovani amici si sarebbero sollevati fin qui, veramente no, Mary. Li avrei invitati per un altro giorno, oppure avrei cercato di pensare a qualcosa di triste, a qualcosa…» «Be’, devo dire» cominciò Mary Poppins «devo dire che non ho mai visto una cosa simile in tutta la mia vita. E alla tua età, zio…» «Mary Poppins, Mary Poppins, vieni su» interruppe Michele. «Pensa a qualcosa di buffo e vedrai che è facilissimo.» «Su, dunque, Mary» soggiunse il signor Parrucca, in tono suadente. «Ci sentiamo tristi quassù senza di te» disse Giovanna, e stese le braccine verso Mary Poppins. «Pensa a qualcosa di comico.» «Ah, per lei non è necessario» sospirò il signor Parrucca. «Può venire su, se vuole, anche senza ridere e lei lo sa.» E guardò con aria segreta e misteriosa Mary Poppins, che se ne stava immobile sul tappeto vicino al caminetto. «Be’» disse Mary Poppins «tutto ciò è molto stupido e poco dignitoso, ma poiché voi siete lassù e sembra che non possiate scendere, tanto vale che salga.» E subito, con la più viva sorpresa di Giovanna e Michele, si mise le mani sui fianchi e senza una risata, senza neppure l’ombra di un sorriso, balzò in aria e si sedette vicino a Giovanna. «Quante volte» disse in tono secco «ti ho detto di toglierti il cappotto quando entri in una stanza calda?» E sbottonò il cappotto di Giovanna e lo posò, con cura, in aria vicino al cappello. «Bene, bene, Mary» disse il signor Parrucca soddisfatto, chinandosi a posare gli occhiali sul caminetto. «Ora siamo sistemati comodamente.» «C’è comodità e comodità» disse Mary Poppins con un’arricciata di naso. «E possiamo prendere il tè» soggiunse il signor Parrucca, facendo finta di non aver notato l’osservazione. Ma subito il suo volto si velò di sgomento. «Perbacco» disse «che cosa terribile. Solo adesso mi accorgo che la tavola è giù e noi stiamo su. Cosa facciamo? Noi qui e la tavola lì. È una vera tragedia, una vera tragedia. Ma, oh, è tremendamente buffo.» E, nascondendo la faccia nel fazzoletto, scoppiò a ridere sonoramente. Anche Giovanna e Michele, sebbene non volessero perdere le gallette e i dolci, non poterono trattenersi dal ridere, perché l’allegria del signor Parrucca era veramente contagiosa. Il signor Parrucca si asciugò gli occhi. «C’è un solo rimedio» disse «dobbiamo pensare a qualcosa di serio. Qualcosa di triste. Molto triste. E allora potremo scendere giù. Dunque: uno, due, tre. Qualcosa di molto triste, capito?» Si misero a pensare, poggiando il mento sulla mano. Michele pensava alla scuola e al giorno in cui avrebbe dovuto andarci. Ma oggi anche questo sembrava buffo, e Michele cominciò a ridere. Giovanna pensava: “Fra quattordici anni sarò grande.” Ma tale pensiero, invece di suonare triste, sembrava molto piacevole e piuttosto buffo. Non poté fare a meno di sorridere pensando a se stessa cresciuta, con una gonna lunga e una borsetta. «C’era una volta la mia povera vecchia zia Emilia» pensava il signor Parrucca ad alta voce. «Andò sotto un omnibus. Triste. Molto triste. Insopportabilmente triste. Povera zia Emilia. Ma il suo ombrello lo recuperarono sano e salvo. Una cosa buffa, vero?» Ma, ancor prima di accorgersene, ecco che si mise a sussultare, a tremare, e scoppiò a ridere al pensiero dell’ombrello della zia Emilia. «Non va bene» disse soffiandosi il naso. «Non riesco. E anche i miei giovani amici non sono diventati più tristi di me. Mary, non puoi far niente? Desideriamo il tè.» Ancora oggi Giovanna e Michele non sono sicuri di quello che successe allora. Quello che sanno di certo è che, appena il signor Parrucca si rivolse a Mary Poppins, la tavola sottostante prese a traballare. Ondeggiò pericolosamente, e, con un fracasso di stoviglie, mentre i dolci si rovesciavano dal piatto, si avvicinò planando attraverso la stanza, si girò graziosamente e finalmente atterrò in mezzo a loro, in modo che il signor Parrucca si trovò capotavola. «Brava ragazza» disse il signor Parrucca, sorridendole orgogliosamente. «Lo sapevo che avevi architettato qualcosa. Ora vuoi metterti all’altro capo della tavola e versare il tè, Mary? E gli ospiti dall’altro lato. Buona idea!» disse a Michele, vedendolo correre sospeso in aria e sedersi alla sua destra. Giovanna era alla sua sinistra. Finalmente eccoli tutti insieme in aria, con la tavola in mezzo a loro. Neppure una fetta di pane e burro, né un quadretto di zucchero era andato perduto. Il signor Parrucca sorrise contento. «D’abitudine, credo, si comincia con pane e burro» disse a Giovanna e Michele, «ma siccome è il mio compleanno, cominceremo proprio al contrario, che è sempre, io credo, il verso giusto: con il dolce.» E tagliò una grossa fetta per ciascuno. «Ancora tè?» domandò a Giovanna. Ma prima che lei avesse il tempo di rispondere, si udì un leggero bussare alla porta. «Avanti» gridò il signor Parrucca. La porta si aprì: era la signorina Persimmon con un bricco d’acqua calda e un vassoio. «Pensavo, signor Parrucca» cominciò girando lo sguardo per la stanza «che forse volevate dell’altra acqua… Oh! Mai! Mai assolutamente» esclamò vedendoli tutti seduti in aria intorno al tavolo «non ho mai visto una cosa simile! Ne sono sicura, signor Parrucca. Lo sapevo da un pezzo che eravate un po’ bizzarro. Ma ho chiuso un occhio, dato che mi pagavate regolarmente l’affitto. Ma un simile modo di comportarsi! Prendere il tè per aria con i vostri ospiti, signor Parrucca. Signore, io sono stupita di voi! È una cosa indegna di un uomo della vostra età! Non ho mai…» «Ma forse voi vorreste, signorina Persimmon…» disse Michele. «Vorreste che cosa?» domandò la signorina Persimmon altezzosamente. «Prendere come noi il Gas Esilarante» disse Michele. La signorina Persimmon scosse la testa con disprezzo. «Spero, giovanotto» replicò, «di avere tanto rispetto per me stessa da non andare rimbalzandoper l’aria come una palla di gomma sopra una racchetta. Starò sulle mie gambe, grazie, com’è vero che mi chiamo Amy Persimmon e… Oh, per carità! Oh, santo cielo! … cosa succede! Non posso camminare… Sto andando… Io… oh, aiuto, aiuto!» Infatti la signorina Persimmon, assolutamente contro la sua volontà, stava staccandosi da terra e oscillando nell’aria, piegandosi da una parte e dall’altra come un’esile piuma, mentre cercava di tenere in equilibrio il vassoio. Stava quasi per piangere dalla disperazione, quando arrivò alla tavola e vi posò il bricco dell’acqua calda. «Grazie» disse Mary Poppins, molto compita. Poi la signorina Persimmon si volse, e di colpo tornò giù a terra, mormorando: «Che cosa vergognosa, io, una donna ben nata… Devo consultare un dottore…» Appena toccato il pavimento corse di furia fuori dalla stanza, torcendosi le mani senza dare uno sguardo indietro. «Che cosa indegna» la udirono lamentarsi, dopo che ebbe chiuso la porta dietro di sé. «È chiaro che non si chiama Amy Persimmon, visto che non è rimasta sulle sue gambe» sussurrò Giovanna a Michele. Ma il signor Parrucca stava guardando Mary Poppins, con un curioso sguardo mezzo divertito e mezzo accusatore. «Mary, Mary, non dovevi, benedetta anima, non dovevi, Mary! La povera vecchia non si riavrà mai più. Ma, santo cielo, non era buffo vederla dondolare in aria? Santo cielo, non era buffa?» E lui e Giovanna e Michele scoppiarono di nuovo a ridere, dondolando in aria, tenendosi i fianchi, e quasi soffocando al pensiero di quanto era sembrata buffa la signorina Persimmon. «Oh, per carità» disse Michele «non mi fate più ridere. Non posso resistere. Scoppierò!» «Oh, oh, oh» gridò Giovanna, senza respiro, con una mano sul cuore. «Oh, Bontà Divina, Celeste, Gloriosa!» mugolò il signor Parrucca, asciugandosi gli occhi con le falde della giacca, nell’impossibilità di trovare il fazzoletto. «È ORA DI ANDARE A CASA.» La voce di Mary Poppins risuonò sopra gli scoppi di risa, come una tromba. Immediatamente Giovanna e Michele e il signor Parrucca piombarono giù. Atterrarono con un gran colpo tutti insieme. Il pensiero di dover andare a casa era il primo pensiero triste della giornata e, appena entrato nella loro mente, li vuotò del Gas Esilarante. Giovanna e Michele sospirarono, guardando Mary Poppins discendere lentamente, col cappello e il cappotto di Giovanna in mano. Anche il signor Parrucca sospirò. Un grande, lungo, pesante sospiro. «Bene, non è un peccato?» disse calmo. «È molto triste che dobbiate andare a casa. Non ho mai passato un pomeriggio così divertente. E voi?» «Mai» disse Michele malinconicamente, pensando quanto era insipido essere di nuovo sulla terra, senza Gas Esilarante. «Mai, mai» disse Giovanna, alzandosi in punta di piedi a baciare le guance di mela appassita del signor Parrucca. «Mai, mai, mai, mai.» Andando a casa, in autobus, si sedettero accanto a Mary Poppins, uno da una parte e uno dall’altra. Erano tutti e due molto quieti, assorti a ripensare a quel pomeriggio straordinario. A un tratto Michele, mezzo addormentato, domandò a Mary Poppins: «Si comporta spesso così tuo zio?» «Così come?» lo investì Mary Poppins, brusca, quasi che Michele le avesse detto deliberatamente qualcosa di offensivo. «Volevo dire, tutto quel saltare e rimbalzare e ridere e alzarsi in aria.» «Alzarsi in aria?» La voce di Mary Poppins era acuta e seccata. «Cosa intendi, scusa, per alzarsi in aria?» Giovanna cercò di spiegare. «Michele voleva sapere se tuo zio si riempie spesso di Gas Esilarante, e se rimbalza spesso e resta sospeso al soffitto, quando…» «Rimbalza e resta sospeso? Che idea! Rimbalza e resta sospeso al soffitto! Adesso magari direte che è un pallone!» Mary Poppins era evidentemente molto offesa. «Ma lo ha fatto» insistette Michele, «lo abbiamo visto.» «Cosa? Rimbalzare e rimanere sospeso! Come osate! Voglio che sappiate che mio zio è una persona sobria, un uomo onesto, un gran lavoratore e mi farete il piacere di parlare di lui con rispetto. E non gualcite il vostro biglietto. Balzare e stare sospeso, davvero, che bell’idea!» Giovanna e Michele si guardarono l’un l’altro attraverso Mary Poppins. Non dissero nulla, avendo imparato che era meglio non discutere con lei anche se una cosa appariva molto bizzarra. Ma lo sguardo scambiato tra loro diceva: “È vero o non è vero? Sul signor Parrucca ha ragione Mary Poppins oppure noi?” Ma nessuno poteva dare la risposta giusta. L’autobus correva a precipizio, dando dei forti scossoni. Mary Poppins stava seduta tra loro, offesa e muta, e finalmente i bambini, che erano molto stanchi, le si rannicchiarono vicino, le si appoggiarono addosso e si addormentarono, senza aver trovato una risposta alle loro domande. Andrea della signorina Lark La signorina Lark abitava alla Porta Accanto. Ma prima di proseguire debbo dire com’era la Porta Accanto. Era una grande casa, di gran lunga la più grande del Viale dei Ciliegi. Si diceva che persino l’Ammiraglio Boom invidiasse la magnifica casa della signorina Lark, sebbene quella di lui avesse delle ciminiere da bastimento invece dei soliti fumaioli di camini e nel giardino l’asta per la bandiera. Tante e tante volte gli abitanti del Viale lo avevano udito ripetere, mentre passava dinanzi alla casa della signorina Lark: «Corpo di mille bombe! Cosa vorrà dimostrare con una casa come quella!» E il motivo della gelosia dell’Ammiraglio Boom era che la signorina Lark aveva due cancelli. Uno era per gli amici e i parenti della signorina Lark, e l’altro per il macellaio, per il panettiere, per il lattaio. Una volta il panettiere si sbagliò ed entrò dal cancello riservato agli amici e parenti, e tanto si infuriò la signorina Lark, da arrivare a dire che non avrebbe mai più comprato il pane. Ma alla fine dovette perdonare il panettiere perché lui solo nel vicinato faceva quei panini morbidi con la crosta arricciata in cima. Tuttavia non lo guardò più con simpatia e quando l’uomo andava da lei si calava il berretto sugli occhi in modo che la signorina Lark potesse scambiarlo per qualcun altro. Ma lei non ci cascò mai. Giovanna e Michele sapevano sempre quando la signorina Lark era in giardino o passeggiava per il Viale, perché portava così tanti fermagli e collane e orecchini che tintinnava e faceva chiasso come una banda. E quando li incontrava diceva sempre la stessa cosa: «Buon giorno» o «Buona sera» se era di pomeriggio, e «Come stiamo oggi?» E Giovanna e Michele non sapevano mai bene se la signorina Lark chiedeva come stavano loro oppure come stavano lei stessa e Andrea. Così rispondevano soltanto: «Buona sera» oppure «Buon giorno» se appunto era mattina. Tutto il giorno, non importa dove fossero, potevano udire la signorina Lark che a voce distesa chiamava: «Andrea, dove sei?» oppure: «Andrea, non devi uscire senza il cappotto» oppure: «Andrea, vieni dalla mamma.» E, non sapendo nulla, voi potreste credere che Andrea sia un ragazzino. Infatti Giovanna pensava che la signorina Lark pensasse che Andrea era un ragazzino. Ma non era un ragazzino. Era un cane. Uno di quei cani piccoli, serici e piumosi che sembrano un collo di pelliccia, fino a quando non cominciano ad abbaiare. Ma evidentemente, quando cominciano a far così, voi siete certi che sono cani. Nessun collo di pelliccia ha mai fatto un rumore simile. Ora, Andrea conduceva una vita così raffinata che voi avreste potuto credere che fosse un Pascià in incognito. Dormiva su un cuscino di seta nella stanza della signorina Lark. Due volte alla settimana andava in automobile dal parrucchiere per farsi lavare il pelo. Mangiava sempre cibi alla crema e qualche volta ostriche e possedeva quattro cappotti a scacchi e a righe di differenti colori. Ciascuno dei giorni di Andrea era pieno di quel genere di cose che la maggioranza delle persone ha solo per il compleanno. E quando era proprio il compleanno di Andrea, il cane aveva sulla torta due candele per ciascun anno, invece di una. La conseguenza di tutto questo era che ai vicini Andrea era molto antipatico. La gente soleva ridere di gran cuore alla vista di Andrea seduto al posto d’onore nell’automobile della signorina Lark, diretto dal parrucchiere, con la coperta di pelliccia sulle zampette e indosso il suo miglior cappotto. E il giorno in cui la signorina Lark gli comperò due paia di stivaletti di cuoio perché potesse andare al Parco col tempo buono e cattivo, ogni abitante del viale venne fin sul cancello a vederlo, nascondendo il sorriso dietro la mano. «Puah» disse Michele, un giorno in cui stavano guardando Andrea attraverso la rete che separava il numero 17 dalla Porta Accanto. «Puah, è proprio un piccolo scioccherello.» «Come fai a saperlo?» chiese Giovanna molto interessata. «Lo so, perché una volta ho sentito il papà che lo chiamava così» disse Michele e rise sfacciatamente rivolto ad Andrea. «Non è uno scioccherello» disse Mary Poppins. «E questo è quanto.» Mary Poppins aveva ragione. Andrea non era uno sciocco, come vedrete prestissimo. Non dovete credere che non avesse rispetto per la signorina Lark. Ne aveva. Le voleva anche bene, teneramente, a suo modo. Non poteva non provare un sentimento gentile per una persona che era stata così buona con lui fin da quando era piccolo, anche se lo baciava un po’ troppo spesso. Ma non c’è dubbio che la vita che Andrea conduceva lo faceva impazzire dalla noia. Avrebbe dato metà della sua fortuna, se ne avesse avuta una, per un bel pezzettino di carne rossa cruda, invece del solito petto di pollo o delle uova strapazzate con asparagi. Perché nel segreto, nel profondo del cuore, Andrea desiderava ardentemente essere un cane come gli altri. Non passava mai davanti al suo pedigree – che stava appeso nel salotto della signorina Lark – senza un brivido di vergogna. E molte volte avrebbe desiderato di non aver mai avuto un padre, né un nonno, né un bisnonno, dato che la signorina Lark dava così tanta importanza alla cosa. Questo desiderio di essere un cane qualsiasi gli faceva scegliere per amici tutti i cani comuni. E perciò, quando gliene capitava l’occasione, correva giù al cancello e si accovacciava a spiarne il passaggio per poter scambiare con loro qualche parola. Ma potete star sicuri che la signorina Lark, appena lo scopriva, gli gridava: «Andrea, Andrea, vieni dentro, caro; sta’ lontano da quei terribili predoni della strada.» E naturalmente Andrea doveva rientrare, altrimenti la signorina Lark lo avrebbe svergognato uscendo fuori per riportarlo dentro. E Andrea arrossiva e accelerava il passo affinché i suoi amici non udissero come lo chiamava: il suo tesoro, la sua gioia, il suo zuccherino. Il più intimo amico di Andrea era un cane più che comune: era un tipo per metà cane da caccia e per metà barbone, e aveva preso di tutti e due la metà peggiore. Appena c’era una battaglia per la strada, lui si gettava nella mischia. Era sempre in guerra con il postino e con il vigile, e la cosa che gli piaceva soprattutto era aggirarsi annusando nei rigagnoli e nella spazzatura. Era insomma la leggenda della strada e da più di una persona si era sentito dire che – grazie al cielo – non era il loro cane. Ma Andrea gli voleva bene e non aspettava che lui. Qualche volta avevano solo il tempo di scambiarsi un’annusata nel Parco, ma in occasioni più fortunate, sebbene molto rare, potevano fare una lunga chiacchierata al cancello. Dal suo amico, Andrea apprendeva tutti i pettegolezzi della città e dal modo con cui rideva alle parole del compagno, avreste capito che questi pettegolezzi non erano benevoli per il prossimo. Poi all’improvviso si udiva la voce della signorina Lark che lo chiamava dalla finestra e allora l’altro cane si drizzava, ergeva le orecchie, mostrava la lingua alla signorina Lark, strizzava l’occhio ad Andrea, e infine se la squagliava scodinzolando, proprio per dimostrare la sua indifferenza. Andrea, naturalmente, non aveva il permesso di uscire dal cancello, a meno che non andasse con la signorina Lark a fare una passeggiata nel Parco, oppure dal pedicure con una delle cameriere. Immaginate dunque la sorpresa di Giovanna e Michele quando videro Andrea solo soletto, nel Parco, passar loro davanti, con le orecchie giù e la coda su, quasi fosse sulle tracce di una tigre. Mary Poppins alzò di scatto la carrozzina, per evitare che Andrea, nella sua corsa selvaggia, la rovesciasse insieme ai gemelli. E Giovanna e Michele gettarono un grido al suo passaggio. «Ehi, Andrea! Dove hai lasciato il cappotto?» gridò Michele, cercando di imitare la voce acuta e tempestosa della signorina Lark. «Andrea, bambino cattivo» disse Giovanna e la sua voce, dato che era una ragazza, somigliava molto di più a quella della signorina Lark. Ma Andrea li guardò altezzosamente e abbaiò in direzione di Mary Poppins. «Hap, hap!» ripeté Andrea in tutta fretta. «Vediamo un po’. Credo che sia la prima strada sulla destra e la seconda casa sul lato sinistro.» «Hap?» disse Andrea. «No, niente giardino. Solo un cortile. Il cancello generalmente è aperto.» Andrea abbaiò di nuovo. «Non sono sicura» disse Mary Poppins «ma mi sembra di sì. Generalmente va a casa proprio all’ora del tè.» Andrea gettò la testa indietro e fuggì al galoppo. Gli occhi di Giovanna e Michele erano grandi come piattini per la sorpresa. «Cosa stava dicendo?» domandarono tutti e due insieme, trattenendo il respiro. «Niente, tanto per passare il tempo» disse Mary Poppins e serrò la bocca con forza come se proprio non intendesse lasciarne scappare altre parole. Giovannino e Barbara gorgogliarono dalla loro carrozzina. «Non è vero» disse Michele. «Non è vero» disse Giovanna. «Già, voi lo sapete meglio di me, naturalmente, come al solito» disse Mary Poppins, ironica. «Deve averti domandato dove abita qualcuno, sono sicuro…» cominciò Michele. «Bene, se lo sapete, perché tormentarmi con le domande?» disse Mary Poppins arricciando il naso. «Io non sono un dizionario.» «Oh, Michele» disse Giovanna «lei non ci dirà mai niente se tu parli così. Mary Poppins, per piacere, sii buona, dicci cosa stava dicendo Andrea.» «Chiedilo a lui. Lui lo sa. Il signor Sotutto» disse Mary Poppins, sprezzante, indicando con la testa Michele. «Oh, no. Io non lo so. Giuro che non lo so, Mary Poppins. Diccelo…» «Sono le tre e mezzo. Faremo tardi per il tè» disse Mary Poppins, poi voltò la carrozzina e di nuovo serrò la bocca come se fosse una trappola. Fino al ritorno a casa, non disse più una parola. Giovanna trottava dietro con Michele. «È colpa tua» gli diceva. «Adesso non lo sapremo più.» «Non me ne importa!» diceva Michele e diede una spinta veloce al suo monopattino. «Non lo voglio sapere.» Ma invece smaniava per saperlo. E successe che lui e Giovanna e tutti quanti fossero al corrente di tutta la storia prima dell’ora del tè. Mentre stavano per attraversare la strada e andare a casa loro, udirono alte grida provenire dalla Porta Accanto e videro uno spettacolo curioso. Le due cameriere della signorina Lark correvano selvaggiamente per il giardino, guardando sotto le siepi e sugli alberi, come se avessero perduto qualcosa di gran valore. E c’era Robertson Ay, del numero 17, che perdeva laboriosamente il suo tempo a frugare con una scopa nella ghiaia del vialetto della signorina Lark, come se si aspettasse di trovare il tesoro perduto sotto un sasso. La stessa signorina Lark correva per il giardino, torcendosi le mani e chiamando: «Andrea! Andrea! Oh, si è perso! Il mio diletto ragazzo si è perso! Dobbiamo avvertire la polizia! Devo vedere il Primo Ministro! Andrea si è perso! Oh, me infelice!» «Oh, povera signorina Lark» disse Giovanna attraversando di corsa la strada. Era veramente addolorata di vedere la signorina Lark così sconvolta. Ma fu Michele a confortare realmente la signorina Lark. Mentre stava per infilare il cancello del numero 17, guardò giù per il Viale e vide… «Ma come? Ecco Andrea, signorina Lark! Guardate, laggiù, proprio all’angolo della casa dell’Ammiraglio Boom.» «Dove, dove? Fammi vedere!» disse la signorina Lark senza respiro, e scrutò nella direzione verso cui puntava il dito Michele. E là, infatti, c’era Andrea, che avanzava pian piano con l’aria più serafica e innocente del mondo. E dietro di lui trottava un grosso cane che sembrava per metà un cane da caccia e per metà un barbone, e di entrambi la metà peggiore. «Oh, che sollievo!» disse la signorina Lark con un gran sospiro. «Che peso tolto dal cuore!» Mary Poppins e i bambini aspettavano nel Viale, fuori dal cancello; la signorina Lark e le due cameriere guardavano al di là del muretto; Robertson Ay, interrotto il suo lavoro, si era appoggiato alla scopa, e tutti insieme miravano in silenzio il ritorno di Andrea. Lui e il suo amico marciavano con calma verso il gruppo, agitando graziosamente la coda, con le orecchie ritte, e avreste potuto giudicare dall’espressione degli occhi di Andrea che, qualsiasi cosa intendesse fare, la sua risoluzione era ferma. «Quel sudicio cane!» esclamò la signorina Lark guardando il compagno di Andrea. «Via! Via!» gridò. Ma il cane si accucciò proprio sul marciapiede, si grattò l’orecchio destro con la zampa sinistra e tirò uno sbadiglio. «Pussa via, pussa via! Vattene a casa!» disse la signorina Lark, agitando le mani rabbiosamente verso il cane. «E tu, Andrea» proseguì «entra subito in casa! Uscire in questo modo! Solo, solo e senza cappotto. Sono molto scontenta di te!» Andrea abbaiò pigramente, ma non si mosse. «Cosa stai dicendo, Andrea? Vieni dentro subito» disse la signorina Lark. Andrea abbaiò ancora. «Dice» spiegò Mary Poppins «che non entra.» La signorina Lark si volse a guardarla altezzosamente. «Come fa lei a sapere quel che dice il mio cane? Certo che entrerà.» Andrea tuttavia si limitò a scuotere la testa e fece due o tre mugolii sommessi. «Non vuole» disse Mary Poppins «finché non entra anche il suo amico.» «È un’assurdità» ribatté corrucciata la signorina Lark. «Non può essere che dica questo. Come se potessi tenere un simile bastardone nel mio giardino.» Andrea abbaiò due o tre volte. «Dice che intende proprio questo» ripeté Mary Poppins. «E, anzi, andrà a vivere col suo amico, a meno che lei non permetta anche al suo amico di venire ad abitare da lei.» «Oh, Andrea, non puoi, non puoi veramente, dopo tutto quello che ho fatto per te.» La signorina Lark era quasi in lacrime. Andrea abbaiò e si voltò. L’altro cane si tirò su. «Oh, ha proprio intenzione di farlo» gridò la signorina Lark. «È chiaro che vuole farlo. Se ne sta andando.» Singhiozzò per un momento nel fazzoletto, poi si soffiò il naso e disse: «Va bene, allora, Andrea. Acconsento. Questo… questo cane può restare. A condizione, beninteso, che dorma nel deposito del carbone.» Un’abbaiata da parte di Andrea. «Insiste, signora; dice che non è assolutamente possibile. Il suo amico deve avere un cuscino di seta come il suo e dormire anche lui nella sua stanza. Altrimenti andrà via, a dormire nel deposito del carbone con il suo amico» disse Mary Poppins. «Andrea, come potresti…» gemette la signorina Lark. «Non accetterò mai una cosa simile.» Andrea la guardò con l’aria di essere pronto ad andar via. Così fece l’altro cane. «Oh, mi lascia» gridò la signorina Lark. «Bene, allora, Andrea; sarà secondo il tuo desiderio. Dormirà nella mia stanza. Ma io non sarò più la stessa, mai più, mai più. Un simile cagnaccio!» Si asciugò gli occhi gocciolanti e proseguì: «Non avrei mai immaginato una cosa simile da parte tua, Andrea. Ma non aggiungo altro, non importa quel che penso. E questa… creatura… la chiamerò Randagio o Trovatello o…» A queste parole l’altro cane guardò la signorina Lark indignatissimo e Andrea abbaiò vivamente. «Dice che bisogna chiamarlo Benvenuto, niente altro che Benvenuto» disse Mary Poppins. «Dato che Benvenuto è il suo nome.» «Di male in peggio!» disse la signorina Lark in tono disperato. «Cosa dice adesso?» Infatti Andrea abbaiava di nuovo. «Dice che se torna indietro, lei non deve più fargli indossare il cappotto o mandarlo ancora dal parrucchiere. Questo è l’ultimatum» disse Mary Poppins. Ci fu una pausa. «Benissimo» disse finalmente la signorina Lark. «Ma ti avverto, Andrea: se poi muori di polmonite, non dare la colpa a me!» E con questo si voltò, e si avviò verso casa con un’andatura altera e sdegnosa, tirando su per il naso il resto delle lacrime. Andrea fece un segno con la testa a Benvenuto come per dire: «Entriamo.» Tutti e due si misero a trotterellare allegramente per il vialetto del giardino, agitando le code come bandiere, seguendo la signorina Lark. «Dopo tutto, vedi, non è uno scioccherello» disse Giovanna, mentre salivano in camera loro a prendere il tè. «No» fu d’accordo Michele. «Ma come ti spieghi che Mary Poppins lo sapesse?» «Non lo so» disse Giovanna. «E neppure ce lo dirà mai, mai. Ne sono sicura.» La mucca danzante Giovanna, con la testa fasciata dal fazzolettone di Mary Poppins, era a letto con il mal d’orecchi. «Cosa ti senti?» domandò Michele. «Come se mi sparassero dei colpi dentro la testa» disse Giovanna. «Di cannone?» «No, di fuciletti.» «Oh!» disse Michele. Quasi desiderò di avere anche lui il mal d’orecchi. Sembrava una cosa così elettrizzante! «Debbo leggerti qualche storia?» disse Michele dirigendosi verso la libreria. «No. Non potrei sopportarlo» disse Giovanna tenendosi l’orecchio con una manina. «Allora devo mettermi alla finestra e dirti quello che succede fuori?» «Sì, questo sì» disse Giovanna. Così Michele stette tutto il pomeriggio seduto presso la finestra a raccontarle quanto succedeva nel Viale. Qualche volta i suoi racconti erano molto monotoni, e qualche altra molto interessanti. «C’è l’Ammiraglio Boom!» disse a un certo punto. «È uscito dal cancello e scende in fretta lungo il Viale. Eccolo che arriva. Ha il naso più rosso del solito e porta un cilindro. Sta passando davanti alla Porta Accanto.» «Dice “Corpo di mille bombe?”» domandò Giovanna. «Non riesco a sentirlo. Credo di sì. Nel giardino della signorina Lark c’è la seconda cameriera della signorina Lark. E nel nostro giardino c’è Robertson Ay che raccoglie le foglie e guarda la cameriera al di là della staccionata. Ora si è seduto per un riposino.» «Ha il cuore debole» disse Giovanna. «Come lo sai?» «Me lo ha detto lui. Mi ha detto che il dottore gli ha raccomandato di fare il meno possibile. E io ho sentito dire da papà che se Robertson Ay fa come gli ha detto il dottore, guai a lui! Oh, come batte, come batte!» disse Giovanna di nuovo tenendosi l’orecchio con la mano. «Accipicchia!» disse Michele dalla finestra tutto eccitato. «Cosa c’è?» gridò Giovanna, mettendosi a sedere. «Dimmelo.» «Proprio una cosa straordinaria. C’è una mucca giù nel Viale» disse Michele saltando su e giù sul suo sgabellino. «Una mucca? Una vera mucca proprio nel mezzo di una città? Che buffo! Mary Poppins!» chiamò Giovanna. «Michele dice che c’è una mucca nel Viale.» «Sì, e cammina pian piano, mettendo la testa al di sopra di ogni cancello e guardando intorno come se avesse perduto qualcosa.» «Come mi piacerebbe vederla…» disse Giovanna imbronciata. «Guarda!» disse Michele, puntando il ditino mentre Mary Poppins si avvicinava alla finestra. «Una mucca. Non è buffo?» Mary Poppins gettò un rapido sguardo indagatore giù nel Viale, poi trasalì di sorpresa. «Certo che no» disse volgendosi a Giovanna e Michele. «Non è affatto buffo. Io conosco quella mucca. Era una grande amica di mia madre e vi sarò grata se parlerete di lei con rispetto.» Si lisciò il grembiule e li squadrò molto severamente. «La conosci da molto tempo?» domandò Michele, sperando che, se fosse stato particolarmente cortese, avrebbe appreso qualcosa di più sulla mucca. «Da prima che vedesse il Re» disse Mary Poppins. «E questo quando fu?» domandò Giovanna con una voce lieve e incoraggiante. Mary Poppins guardò fisso nel vuoto, puntando gli occhi verso qualcosa che i bambini non potevano vedere. Giovanna e Michele trattennero il respiro in attesa. «È stato molto tempo fa» disse Mary Poppins con la voce sommessa di chi racconta una fiaba. Fece una pausa come se dovesse ricordare avvenimenti accaduti centinaia di anni prima. Poi proseguì a narrare come in sogno, fissando ancora lo sguardo nel centro della stanza, ma senza vedere nulla. «La Mucca Rossa, questo era il suo nome. Ed era una bestia molto importante e florida, così diceva mia madre. Viveva nel campo migliore dell’intera regione, un campo pieno di botton d’oro, ognuno della misura di un piatto, e di soffioni quasi più alti delle ginestre. Il campo era tutto del color della primula e dorato di ranuncoli e soffioni eretti come soldati. Ogni qualvolta lei mangiava la testa di un soldato, un altro ne cresceva al suo posto, con un verde cappotto militare e un berretto giallo. «Aveva sempre vissuto lì, diceva spesso a mia madre, tanto che non ricordava un tempo in cui non avesse vissuto in quel gran campo. Il suo mondo era limitato da siepi verdi e dal cielo e nulla sapeva di quel che si stendeva oltre. «La Mucca Rossa era rispettabilissima, si comportava da perfetta gentildonna e sapeva il fatto suo. Per lei una cosa era bianca o nera. Non poteva essere grigia o magari rosa. La gente era buona o cattiva, non c’era via di mezzo. I soffioni erano dolci o amari: non esistevano tipi intermedi. Conduceva una vita molto indaffarata. Le sue mattinate erano occupate dalle lezioni alla Vitella Rossa, sua figlia, e nel pomeriggio insegnava alla piccina come comportarsi e come muggire, e tutto quello che una vitella veramente ben allevata deve conoscere. Poi andavano a cena, e la Mucca Rossa mostrava alla Vitella come distinguere l’erba buona da quella cattiva: e dopo che la figliola era andata a dormire, la notte lei andava in un angolo del campo e ruminava il suo cibo ripensando tranquillamente ai fatti suoi. «Tutte le sue giornate erano esattamente uguali. Una Vitella Rossa crebbe e andò via e un’altra venne al suo posto. Ed era naturale che la Mucca Rossa immaginasse che la sua vita si sarebbe svolta sempre uguale, né in verità sentiva di poter chiedere altro di meglio alla vita che i suoi giorni scorressero tutti uguali sino alla fine. «Ma proprio nel momento in cui pensava queste cose, l’avventura, come in seguito raccontò a mia madre, le andò incontro. Le piombò addosso una notte in cui le stesse stelle nel cielo sembravano soffioni, e la luna una grande margherita fra le stelle. «Quella notte, mentre la Vitella Rossa già dormiva da un pezzo, la Mucca Rossa si drizzò improvvisamente e cominciò a danzare. Danzava in un modo selvaggio e bello e perfettamente a tempo, sebbene non avesse una musica da seguire. Talvolta era una polka, talvolta una mazurka, e talaltra una danza tutta di sua fantasia. E negli intervalli tra le danze faceva riverenze e profondi inchini e batteva la testa contro i soffioni. «“Povera me” disse a se stessa la Mucca Rossa, cominciando la Gavotta del Marinaio. “Che cosa straordinaria! La danza mi è sempre sembrata una cosa sconveniente, ma non può essere, dato che io stessa ballo. E io, senza dubbio, sono una mucca modello.” «E proseguì a danzare, divertendosi moltissimo. Alla fine tuttavia si sentì stanca, e decise che aveva ballato abbastanza e che era tempo di andare a dormire. Ma con sua grande sorpresa, scoprì che non poteva smettere di ballare. Mentre faceva l’atto di stendersi vicino alla Vitella Rossa, le sue gambe glielo impedirono, continuando a far capriole, a impennarsi, trascinando naturalmente la Mucca Rossa con sé. «Andava tutt’intorno per il campo, saltando, ballando il valzer e camminando sulla punta dei piedi. «“Povera me!” mormorava a intervalli, con l’accento di una degna signora. “Che cosa singolare!” Ma non poteva fermarsi. «Al mattino danzava ancora e la Vitella Rossa dovette far la sua colazione di soffioni tutta sola perché la Mucca Rossa non poteva fermarsi a mangiare. «Durante tutto il giorno lei danzò, su e giù per il prato, tutt’intorno al prato, con la Vitella Rossa che le muggiva dietro lamentandosi. Quando giunse la seconda notte, e lei era ancora lì senza potersi fermare, cominciò a preoccuparsi. E alla fine di una settimana di danza era quasi impazzita. «“Debbo andare a consultare il Re per questa cosa” decise, scuotendo la testa. «Così baciò la sua Vitella Rossa e le raccomandò di far la brava. Poi si volse e uscì danzando dal prato, diretta al colloquio col Re. «Ballò per tutta la strada, strappando dalle siepi, lungo il cammino, ciuffi di cibo verde, e ogni occhio che la scorgeva si spalancava per la meraviglia. Ma nessuno era meravigliato più della stessa Mucca Rossa. «Giunse infine al Palazzo doveva viveva il Re. Con la bocca tirò la corda del campanello e, quando il cancello si aprì, lo varcò a passo di danza e danzando proseguì per il largo viale del giardino finché giunse ai piedi della scalinata che conduceva al trono del Re. «Sul trono stava il Re, occupatissimo a fare nuove leggi. Il suo segretario le scriveva, in un piccolo taccuino rosso, una dopo l’altra, come il Re gliele dettava. C’erano ovunque cortigiani e dame che facevano anticamera, tutti vestiti sontuosamente e tutti che parlavano insieme. «“Quante ne ho fatte oggi?” domandò il Re volgendosi al segretario. «Il segretario contò le leggi che aveva scritto. «“Settantadue, Maestà” disse inchinandosi profondamente e facendo attenzione a non inciampare sulla sua penna d’oca, che era enorme. «“Hum! Non c’è male per un’ora di lavoro” disse il Re, e sembrava molto compiaciuto di sé. “Per oggi è abbastanza.” Si drizzò e con cura si assestò il mantello di ermellino. «“Ordinate la mia carrozza. Debbo andare dal barbiere” disse con magnificenza. In quel momento scorse la Mucca Rossa che si avvicinava. «Si sedette di nuovo, e impugnò lo scettro. «“Cosa abbiamo qui, ohi?” domandò, mentre la Mucca Rossa si avvicinava danzando ai piedi della scalinata. «“Una mucca, Maestà” rispose lei semplicemente. «“Questo lo vedo” disse il Re. “Possiedo ancora la vista. Ma, che cosa volete? Fate presto, perché ho un appuntamento dal barbiere alle dieci. Non mi aspetterà oltre quell’ora, e io debbo tagliarmi i capelli. E di grazia smettetela di saltare e dondolare in quel modo” aggiunse irritato. “Mi dà le vertigini.” «“Proprio le vertigini!” fecero eco tutti i cortigiani, spalancando gli occhi. «“È ben questo il mio tormento, Maestà! Non posso fermarmi!” disse la Mucca Rossa, miseramente. «“Non potete fermarvi? Sciocchezze!” disse il Re furioso. “Fermatevi subito! Io, il Re, ve lo comando!” «“Fermatevi subito! Il Re ve lo comanda!” gridarono tutti i cortigiani. «La Mucca Rossa fece un grande sforzo. Con tale intensità cercò di fermarsi, che ogni muscolo e ogni costola sporsero fuori come catene di montagne. Ma non c’era verso: continuò a ballare ai piedi del trono. «“Ho provato, Maestà, e non posso. Sto ballando da sette giorni consecutivi. E non ho potuto dormire. E mangiare, pochissimo. Uno o due ciuffi di biancospino. Questo è tutto. Così sono venuta a chiedervi consiglio.” «“Hum, è molto curioso” disse il Re, mettendosi la corona sulle ventitré e grattandosi la testa. «“Molto curioso” dissero i cortigiani, grattandosi anche loro il capo. «“Che cosa provate?” domandò il Re. «“Una sensazione buffa” disse la Mucca Rossa. “E anzi” fece una pausa come per scegliere le parole “è una sensazione piuttosto piacevole. Come se una risata scorrazzasse su e giù dentro di me.” «“Straordinario” disse il Re e poggiò il mento sulla mano e fissò la Mucca Rossa, meditando sul da farsi. Improvvisamente balzò in piedi e disse: “Bontà celeste!” «“Che cos’è?” gridarono tutti i cortigiani. «“Come, non lo vedete?” disse il Re eccitatissimo lasciando cadere lo scettro. “Che idiota a non averlo notato prima. E che idioti, voi!” Si volse furiosamente ai cortigiani. “Non vedete che ha una stella cadente impigliata in un corno?” «“È vero!” gridarono i cortigiani, per la prima volta notando improvvisamente la stella. E mentre guardavano sembrò loro che la stella divenisse più luminosa. «“Questa è la cosa fuori posto” disse il Re. “Ora, voi cortigiani fareste bene a toglierla in modo che…, ehm, la signora possa smettere di ballare e possa far colazione. È la stella, signora, che vi fa ballare” disse il Re alla Mucca Rossa. “Ora su, andiamo, a voi!” «E fece cenno al Primo Cortigiano, che si presentò elegantemente davanti alla Mucca Rossa e cominciò a tirare con violenza la stella. Ma non si staccava. Al Primo Cortigiano si unirono, uno dopo l’altro, tutti gli altri cortigiani, finché alla fine formarono una lunga catena uno dietro l’altro tenendosi per la cintura, e cominciò una lotta furibonda fra i cortigiani e la stella. «“Attenzione alla mia testa” supplicava la Mucca. «“Tirate più forte” sbraiatava il Re. «Tirarono più forte. Tirarono finché ebbero le facce rosse come lamponi. Tirarono finché non ne poterono più e caddero tutti all’indietro uno sull’altro. La stella non si mosse. Rimase fissata tenacemente alle corna. «“Hum, hum, hum!” disse il Re. “Segretario, consultate l’Enciclopedia e guardate cosa dice delle mucche con le stelle sulle corna.” «Il segretario si inginocchiò e strisciò sotto il trono. Finalmente riemerse, portando un grosso libro verde che stava sempre lì nel caso il Re volesse sapere qualcosa. Voltò le pagine. «“Non c’è assolutamente nulla, Maestà, tranne la storia della mucca che saltò sulla luna, e quella storia voi la sapete.” «Il Re si strofinò il mento, cosa che lo aiutava a pensare. Sospirò contrariato e guardò la Mucca Rossa. «“Tutto quel che vi posso suggerire” disse, “è di provare anche voi.” «“Provare che cosa?” domandò la Mucca Rossa. «“A saltare sulla luna. Potrebbe funzionare. Val la pena di tentare, in ogni caso.” «“Io?” disse la Mucca Rossa, con espressione risentita. «“Sì, voi. E chi, se no?” disse il Re con impazienza. Aveva smania di andare dal barbiere. «“Sire” disse la Mucca Rossa “vi prego di rammentarvi che io sono un degno, rispettabile animale e che mi è stato insegnato fin dall’infanzia che saltare non è occupazione da signora.” «Il Re si eresse e agitò lo scettro verso di lei. “Signora” disse “siete venuta per un mio consiglio e ve l’ho dato. Desiderate continuare a ballare per sempre? Desiderate continuare ad aver fame per sempre? Desiderate rimanere per sempre senza dormire?” «La Mucca Rossa pensò al sapore dolce e delicato dei soffioni. Pensò all’erba del prato, e quanto era morbida per riposarsi. Pensò alle sue gambe stanche di far capriole e a quanto sarebbe stato piacevole tornarsene a stare quieta. E disse a se stessa: “Forse, per una volta sola la cosa non avrebbe importanza e non c’è bisogno che altri, all’infuori del Re, venga a saperlo.” «“Quanto credete sia alta?” domandò forte, continuando a danzare. «Il Re guardò su verso la luna. «“Almeno un miglio, direi” rispose. «La Mucca Rossa assentì col capo. Pensava la stessa cosa. Rifletté per un attimo e prese la sua decisione. “Non avrei mai creduto di arrivare a questo, Maestà. Saltare, e per giunta sulla luna. Ma proverò!” E s’inchinò graziosamente al trono. «“Bene” disse il Re soddisfatto, riflettendo che, dopo tutto, sarebbe arrivato in tempo dal barbiere. “Seguitemi.” Si avviò in giardino e la Mucca Rossa e i cortigiani lo seguirono. «“Ora” disse il Re, una volta giunto sul piazzale, “quando faccio un fischio, spiccate il salto.” «Tirò fuori un gran fischietto d’oro dalla tasca del panciotto e ci soffiò dentro leggermente per assicurarsi che non c’era polvere. «La Mucca Rossa si mise sull’attenti, sempre ballando. “Uno!” disse il Re, “Due!! Tre!!” e soffiò nel fischietto. «La Mucca Rossa, tenendo il respiro, spiccò un grande, terribile salto e la terra si distaccò sotto di lei. Poté vedere le figure del Re e dei cortigiani divenire sempre più piccole, finché sparirono in basso, lontano. Lei stessa si slanciò su in aria, attraverso il cielo, mentre le stelle le piroettavano intorno come grossi piatti d’oro, e a un tratto nella luce accecante si sentì addosso i freddi raggi della luna. Chiuse gli occhi e appena la luce abbagliante fu rimasta dietro di lei e lei ebbe voltato la testa di nuovo verso la Terra, sentì la stella scivolarle giù dalle corna. Si staccò e andò ruzzolando per il cielo. E le sembrò che, appena scomparsa, grandi cori di musica salissero ed echeggiassero per l’aria. Dopo un minuto la Mucca Rossa era di nuovo sulla Terra. Con sua grande sorpresa si accorse che non era nel giardino del Re, ma nel suo campo di soffioni. E aveva smesso di ballare! I suoi piedi stavano fermi come se fossero di pietra, e camminava pesantemente come tutte le mucche rispettabili. «Quietamente e serenamente si mosse attraverso il campo, decapitando i soldati dorati, mentre si avviava a riabbracciare la Vitella Rossa. «“Sono così felice che tu sia tornata” disse la Vitella Rossa. “Sono stata tanto sola.” «La Mucca Rossa la baciò e si chinò a mangiare l’erba del prato. Era il suo primo buon pasto della settimana. E quando finalmente fu sazia, aveva mangiato diversi reggimenti. Allora si sentì meglio. Subito ricominciò la sua vita, come sempre l’aveva vissuta prima. «In principio la riempirono di gioia le abitudini quiete e regolari ed era contenta di poter fare colazione senza ballare e di giacere sull’erba e di dormire la notte invece di inchinarsi alla luna fino al mattino. Ma dopo breve tempo, cominciò a sentirsi sconfortata e insoddisfatta. Il suo campo di soffioni e la Vitella Rossa andavano benissimo, ma desiderava qualcos’altro e nemmeno lei poteva dire che cosa. «Alla fine si accorse che sentiva la mancanza della sua stella. Si era così abituata alla danza e alla sensazione felice che le aveva dato la stella che desiderava ballare ancora la Gavotta del Marinaio e avere la stella sulle corna. «Si tormentava, perdeva l’appetito, aveva un umore pessimo. E spesso scoppiava in lacrime senza nessuna ragione. Ogni tanto andava da mia madre e le raccontava tutta la storia domandandole consiglio. «“Santo cielo, mia cara!” le diceva mia madre. “Di certo non è caduta solo quella stella dal cielo. Ne cadono milioni ogni notte, si dice. Ma cadono in posti diversi, naturalmente. Non puoi aspettarti che due stelle cadano nello stesso campo durante una sola vita.” «“Allora credi che se andassi un po’ in giro…” incominciò a dire la Mucca Rossa con un ardore di speranza negli occhi. «“Se io fossi in te” disse mia madre, “andrei e ne cercherei una.” «“Andrò” disse giocondamente la Mucca Rossa “andrò davvero.”» Mary Poppins fece una pausa. «E questa, suppongo, è la ragione per cui la Mucca Rossa camminava lungo il Viale» suggerì Giovanna con garbo. «Sì» sussurrò Michele, «andava in cerca della sua stella.» Mary Poppins trasalì leggermente. Lo sguardo intento era scomparso dai suoi occhi e la calma dal suo corpo. «Via subito dalla finestra, signore!» disse ruvidamente. «Accendo subito la luce.» E in fretta andò sul ballatoio a girare l’interruttore. «Michele» disse Giovanna in un soffio, «guarda se la mucca è ancora lì.» In fretta Michele scrutò fuori nel crepuscolo che si addensava. «Presto» disse Giovanna. «Mary Poppins sarà subito di ritorno. Riesci a vederla?» «Nooo» disse Michele, guardando fuori con gli occhi spalancati. «Non c’è più. Se n’è andata.» «Io spero proprio che la trovi» disse Giovanna pensando alla Mucca Rossa che vagabondava per il mondo in cerca di una stella da attaccarsi sulle corna. «Anch’io» disse Michele, mentre, al rumore dei passi di Mary Poppins che tornava, si affrettava a tirare giù la tenda. Martedì disgraziato Fu poco tempo dopo che Michele si svegliò una mattina con una curiosa sensazione. Nel momento in cui aprì gli occhi, si accorse che qualcosa non andava, ma non sapeva dire che cosa fosse. «Che giorno è oggi, Mary Poppins?» domandò tirandosi via le coperte. «Martedì» disse Mary Poppins. «Alzati e va’ a fare il bagno. Presto!» soggiunse poiché lui non si muoveva. Si girò e si coprì fin sopra le orecchie, e la curiosa sensazione crebbe. «Cosa ti ho detto?» disse Mary Poppins, con quella sua voce fredda e chiara che suonava sempre come un ammonimento. Michele seppe quel che stava per succedergli. Sentì che stava per fare il cattivo. «Non voglio» disse piano, con la voce attutita dal lenzuolo. Mary Poppins bruscamente gli strappò il lenzuolo dalla mano e lo guardò. «Non voglio.» Attese, domandandosi cosa avrebbe fatto lei e fu sorpreso quando, senza una parola, la vide entrare in bagno e aprire lei stessa il rubinetto. Michele prese il suo asciugamano ed entrò, mentre lei usciva. E per la prima volta in vita sua Michele fece il bagno tutto da solo. Comprese di essere in castigo e, di proposito, trascurò di lavarsi dietro le orecchie. «Debbo mandare fuori l’acqua?» domandò con la voce più brusca che aveva. Non ci fu risposta. «Be’, non me ne importa» disse Michele e il peso caldo che era in lui aumentò e si estese. «Non me ne importa.» Poi si vestì da solo, indossando gli abiti migliori, che, lo sapeva, erano solo per la domenica. E infine scese giù, dando coi piedi dei colpi alla ringhiera, cosa che sapeva di non dover fare perché svegliava tutti gli altri in casa. Per le scale incontrò Ellen, la cameriera, e passandole vicino le fece cadere di mano con una spinta il bricco dell’acqua calda. «Be’, sei un bello sbadato» disse Ellen curvandosi ad asciugare l’acqua. «Era per la barba di tuo padre.» «L’ho fatto apposta» disse Michele tranquillamente. Il rosso faccione di Ellen diventò bianco per la sorpresa. «L’hai fatto apposta?! Allora sei un bambino molto cattivo e lo dirò alla tua mamma, lo dirò…» «Diglielo» disse Michele e riprese a scendere le scale. Questo era il principio. Durante il resto del giorno non ne fece una giusta. Quel peso, quel caldo, quel senso strano che aveva dentro di sé gli fece fare le cose più orribili e, appena le aveva fatte, si sentiva straordinariamente soddisfatto e contento, e subito ne inventava qualcun’altra. In cucina la signora Brill, la cuoca, stava facendo le frittelle. «No, Michele» disse «non puoi leccare il tegame. Non è ancora vuoto.» Michele allora mollò il piede e dette un gran calcio alla signora Brill nello stinco; lei lasciò cadere di mano il matterello e si mise a gridare forte. «Tu hai dato un calcio alla signora Brill? Alla gentile signora Brill? Mi vergogno di te» disse la madre poco dopo, quando la signora Brill le ebbe raccontato tutta la storia. «Devi chiederle immediatamente perdono, far vedere che sei davvero mortificato, Michele.» «Ma io non sono mortificato, sono contento. Le sue gambe sono troppo grosse» disse lui, e prima che lo potessero acchiappare, scappò in giardino. Di proposito, piombò addosso a Robertson Ay, che era profondamente addormentato sul prato, e Robertson Ay si infuriò. «Lo dirò al tuo papà» disse minacciosamente. «E io gli dirò che non gli hai pulito le scarpe stamattina» disse Michele e quasi si stupì di ciò che aveva detto. Era abitudine sua e di Giovanna proteggere sempre Robertson Ay, perché gli volevano bene e non volevano perderlo. Ma non stette molto a pensarci, perché aveva cominciato a domandarsi cos’altro potesse fare. E non era passato molto tempo, che già ne aveva pensata un’altra. Attraverso le sbarre della staccionata poté vedere Andrea, il cane della signorina Lark, che fiutava delicatamente il prato della Porta Accanto e si sceglieva i migliori ciuffi d’erba. Chiamò sottovoce Andrea e gli porse un biscotto tirato fuori dalla tasca, e mentre Andrea con avidità lo mangiava, gli legò la coda alla staccionata con un pezzo di corda. Poi corse via, con nelle orecchie l’urlo indignato della signorina Lark e in corpo quella sensazione eccitante che gli metteva quasi un fuoco addosso. La porta dello studio del padre era aperta: Ellen aveva appena finito di spolverare i libri. Michele allora fece una cosa proibita. Entrò, si sedette alla scrivania del padre e con la penna del padre cominciò a scarabocchiare la carta assorbente. A un tratto urtò col gomito e rovesciò il calamaio, e la sedia e la scrivania e la penna d’oca e gli stessi suoi abiti della domenica si coprirono di larghe macchie d’inchiostro turchino. Una cosa terribile! Cominciò a provare paura di quello che gli sarebbe toccato. Ma non restò, per questo, soprappensiero. Non si sentì neanche un po’ mortificato. «Quel bambino dev’essere malato» disse la signora Banks, quando Ellen, che era ritornata all’improvviso nello studio, lo scoprì, e andò a raccontarle l’ultima avventura. «Michele, prenderai un po’ di sciroppo.» «Non sono malato. Sto meglio di te» disse Michele sgarbatamente. «Allora sei soltanto cattivo» disse sua madre «e avrai un bel castigo.» E infatti, cinque minuti dopo, Michele se ne stava in piedi, con gli abiti macchiati e la faccia contro il muro, in un angolo della sua camera. Giovanna cercò di parlargli mentre Mary Poppins non guardava, ma lui non le rispose: si voltò solo per mostrarle la lingua. Quando Giovannino e Barbara trascinandosi sul pavimento andarono ad afferrargli una scarpa per ciascuno, gorgogliando dalla gioia, Michele li cacciò via. E durante tutto il tempo si divertì della sua cattiveria, tenendosela stretta come qualcosa di caro e infischiandosene di tutto. «Odio essere buono» disse forte a se stesso mentre trotterellava dietro a Mary Poppins, a Giovanna e alla carrozzina nella passeggiata del pomeriggio al Parco. «Spicciati» disse Mary Poppins, volgendosi a guardarlo. Ma lui continuò a strisciare i piedi per terra, proprio per graffiare il cuoio delle scarpe. All’improvviso Mary Poppins si voltò e gli si piantò in faccia, con una mano sul manubrio della carrozzina. «Tu» cominciò «sei sceso dal letto dalla parte sbagliata, questa mattina.» «No» disse Michele. «Non c’è una parte sbagliata nel mio letto.» «Ogni letto ha un lato giusto e l’altro sbagliato» disse Mary Poppins, calcando sulle parole. «Il mio, no. È accostato al muro.» «Questo non fa differenza. È sempre una parte» lo interruppe Mary Poppins. «Bene, la parte sbagliata è la sinistra oppure la parte sbagliata è la destra? Perché io sono saltato fuori dalla parte destra, e questa come può essere la parte sbagliata?» «Tutte e due le parti erano sbagliate, questa mattina, signor Furbo!» «Ma il letto ha una parte sola, e se sono sceso dalla parte destra…» argomentò. «Ancora una parola» cominciò Mary Poppins, e lo disse con una voce così singolarmente minacciosa che anche Michele si sentì un po’ nervoso, «ancora una parola e io…» Non disse quel che avrebbe fatto, ma lui affrettò il passo. «Cerca di fare il bravo» disse Giovanna in un soffio. «Chiudi il becco» disse lui, ma così piano che Mary Poppins non poté sentire. «Adesso, signore» disse Mary Poppins, «avanti, march! Davanti a me per piacere. Non voglio avere uno stravagante alle mie spalle. Mi farai il favore di andare avanti.» Lo spinse davanti a sé e riprese: «C’è qualcosa che luccica sul sentiero, proprio lì. Mi farai il favore di andare a raccoglierla e portarmela. Qualcuno ha lasciato cadere il suo diadema, forse.» Controvoglia – ma non osava fare altrimenti – Michele guardò nella direzione indicata da Mary Poppins. Sì, c’era qualcosa che luccicava per terra. Da quella distanza appariva molto attraente e i suoi raggi lucenti sembravano fargli segno di avvicinarsi. Andò avanti come volesse farsi pregare, adagio adagio per far credere che, in fondo, non gl’importava nulla vedere di che si trattasse. Giunto sul posto, si chinò e raccolse la cosa che luccicava. Era una specie di scatoletta rotonda con un coperchio di vetro, e sul vetro era disegnata una freccia. Dentro c’era un disco rotondo, che sembrava coperto di lettere che oscillavano leggermente quando si muoveva la scatola. Giovanna accorse e guardò anche lei da sopra la spalla del fratello. «Che cos’è, Michele?» domandò. «Non te lo voglio dire» disse Michele, anche se non lo sapeva neppure lui. «Mary Poppins, che cos’è?…» domandò Giovanna, quando la carrozzina li raggiunse. Mary Poppins prese la scatoletta dalla mano di Michele. «È mia» disse Michele, geloso. «No, mia» disse Mary Poppins «l’ho vista io per prima.» «Ma io l’ho raccolta.» Cercò di strappargliela di mano, ma si prese una tale occhiataccia che ritirò la mano. Lei piegò la cosa tonda da una parte e dall’altra, e nella luce del sole il disco e le sue lettere si misero a girare pazzamente dentro la scatola. «A cosa serve?» domandò Giovanna. «A girare il mondo» disse Mary Poppins. «Eh?» disse Michele. «Si fa il giro del mondo in un bastimento o in aeroplano. Questo è quello che so io. Una scatola non può portare intorno al mondo.» «Oh, davvero! Non può!» disse Mary Poppins con una curiosa espressione sul viso. «Io lo so meglio di te. Adesso vedrai.» E tenendo la bussola in mano si voltò verso l’ingresso del Parco e disse la parola: «Nord!» Le lettere scivolarono intorno alla freccia in una danza vertiginosa. D’improvviso sembrò che l’aria fosse divenuta molto fredda, e il vento soffiò così gelido che Giovanna e Michele chiusero gli occhi. Quando li aprirono, il Parco era completamente scomparso, non si vedeva all’intorno né un albero, né una panchina verde, né un sentiero d’asfalto. C’erano invece dappertutto grandi blocchi di ghiaccio azzurro e sotto i piedi si stendeva solo neve gelata. «Oh, oh» gridò Giovanna, rabbrividendo di freddo e di sorpresa e correndo a coprire i gemelli col mantice della carrozzina. «Cosa ci è successo?» Mary Poppins guardò Michele con uno sguardo imperioso. Non ebbe tempo di rispondere, tuttavia, perché in quel momento, fuori dall’apertura di uno dei blocchi di ghiaccio, emerse un Eschimese. La sua bruna faccia rotonda era circondata da un cappuccio di pelliccia bianca e teneva un lungo mantello di pelliccia bianca sulle spalle. «Benvenuti al Polo Nord, Mary Poppins e amici» disse l’Eschimese con un largo sorriso di benvenuto. Uscì fuori del tutto e strofinò il naso contro ciascuno dei loro nasi, a turno, in segno di saluto. In quel momento apparve dall’apertura del ricovero una signora eschimese, che portava in braccio un bambino eschimese avvolto in uno scialle di foca. «Oh, Mary, che gran piacere» disse, e anche lei strofinò i nasi tutt’intorno. «Dovete avere freddo» disse poi guardando sorpresa i loro abiti leggeri. «Lasciate che vi dia degli abiti di pelliccia. Abbiamo appena scuoiato una coppia di orsi polari. E cosa ne direste di una zuppa calda di grasso di balena, miei cari?» «Temo che non possiamo trattenerci» replicò Mary Poppins con premura. «Stiamo facendo il giro del mondo e abbiamo fatto capolino qui per un momento solo: grazie lo stesso. Un’altra volta, magari.» E con un piccolo movimento della mano girò la bussola e disse: «Sud.» Sembrò allora a Giovanna e Michele che tutto il mondo, insieme alla bussola, girasse in tondo e che loro fossero nel centro del vortice. Mentre il mondo girava intorno a loro, provarono man mano un caldo sempre maggiore, e quando rallentò e si fermò, si trovarono in piedi presso una foresta di palmizi. Il sole tramontava gloriosamente e tutt’intorno a loro si stendeva una sabbia d’oro e d’argento, che bruciava sotto i piedi come il fuoco. Sotto i palmizi sedevano un uomo e una donna, entrambi completamente neri e con pochissimi abiti indosso. Ma in compenso avevano tante grosse perle. Alcune pendevano intorno al capo attaccate a grandi corone di piume, altre alle orecchie, una o due nel naso. Intorno al collo erano attorcigliate ricche collane, e trecce, sempre di perle, cingevano loro la vita. Sulle ginocchia della signora sedeva un piccolo moretto, tutto nudo. Sorrise ai bambini mentre la madre parlava. «Ti abbiamo aspettata tanto tempo, Mary Poppins» diceva sorridendo. «Porta i ragazzi nella mia casetta a mangiare una fetta di cocomero. Ma, perbacco, questi bambini sono proprio bianchi. Devi usare un po’ di lucido da scarpe per loro. Andiamo, adesso. Siate i benvenuti.» Esplose in una risata gioconda e rumorosa, e intanto si alzava e cominciava a fare strada verso una piccola capanna costruita interamente di palme. Giovanna e Michele erano in procinto di seguirla, ma Mary Poppins li trattenne. «Non abbiamo tempo di restare, ci dispiace. Solo una piccola sosta, sapete, siamo di passaggio. Stiamo facendo il giro del mondo» spiegò ai due che alzavano le mani per la meraviglia. «È un bel viaggio, Mary Poppins» disse l’uomo sorridendo e strisciando la punta del suo grosso bastone sulla guancia, mentre la guardava con i lucidi occhi scuri. «Intorno al mondo! Credo che sia meglio che incominciate, no?» disse la moglie. Rise di nuovo come se tutta la vita non fosse che una gran burla, e, mentre quella rideva, Mary Poppins mosse la bussola e disse con voce alta e ferma: «Est.» Il mondo riprese a girare e allora – sembrò agli attoniti bambini cosa di pochi secondi – i palmizi non c’erano più, e quando il movimento fu cessato, si trovarono tutti in una strada tra case di forma strana, piccolissime. Sembravano fatte di carta, ai tetti erano sospese delle campanelle, che tintinnavano delicatamente nella brezza. Sopra le case mandorli e prugni stendevano i loro rami carichi di fiori brillanti, e lungo la piccola strada la gente in strani abiti fioriti camminava quietamente. Era una scena piacevolissima e riposante. «Credo che siamo in Cina» sussurrò Giovanna a Michele. «Sì, ne sono sicura» seguitò guardando la porta di una delle casette di carta che si apriva e un vecchio che vi entrava. Era curiosamente vestito di un rigido kimono di broccato d’oro, e aveva calzoni di seta stretti alle caviglie da anelli d’oro. Le sue scarpe erano elegantissime, con le punte rivolte in su. Dalla testa pendeva un lungo codino grigio che arrivava quasi alle ginocchia, e dalle labbra scendevano fin sul petto dei lunghissimi baffi. Il vecchio signore, vedendo il gruppetto formato da Mary Poppins e dai bambini, s’inchinò così profondamente che con la testa toccò il suolo. Giovanna e Michele furono sorpresi di vedere Mary Poppins inchinarsi allo stesso modo, tanto che le margherite del suo cappello spazzolarono il terreno. «Dove sono le vostre buone maniere?» sibilò Mary Poppins, guardandoli dall’inusitata posizione. E lo disse così irosamente che pensarono bene di inchinarsi subito anche loro e persino i gemelli piegarono la fronte contro i bordi della carrozzina. Il vecchio, drizzandosi cerimoniosamente, cominciò a parlare. «Onorevole Mary della Casa dei Poppins» disse, «degnatevi di versare nella mia immeritevole dimora la luce del vostro volto virtuoso. E, ve ne supplico, conducete là, nel suo cuore senza grazia, questi altri onorevoli viaggiatori.» Fece un altro inchino e agitò la mano nella direzione della sua casa. Giovanna e Michele non avevano mai sentito un linguaggio così strano e fiorito e furono assai meravigliati. Ma lo furono ancor di più quando Mary Poppins rispose all’invito con modi altrettanto cerimoniosi. «Grazioso signore» cominciò «è con profondo rammarico che noi, le più umili fra le vostre conoscenze, dobbiamo rifiutare il vostro grazioso e più che regale invito. L’agnello non lascia l’ovile, né l’uccellino lascia il nido con dispiacere maggiore del nostro, nel doverci allontanare dalla vostra luminosa presenza. Ma, nobile, e dieci volte splendido signore, noi stiamo facendo il giro del mondo e la nostra visita alla vostra onorevole città non può essere, ahimé, che di un istante. Permetteteci perciò di togliere le nostre immeritevoli persone dalla vostra presenza, senza ulteriori cerimonie.» Il Mandarino, poiché tale egli era veramente, chinò la testa, e già si preparava a un altro elaborato inchino, ma Mary Poppins fu lesta a muovere di nuovo la bussola. «Ovest» disse con sicurezza. Il mondo girò ancora, finché Giovanna e Michele furono completamente storditi. E quando tutto fu di nuovo quieto, si trovarono con Mary Poppins in mezzo a un vasto bosco di pini, diretti verso un terreno dissodato dove intorno a un gran fuoco si levavano molte tende. Dentro e fuori del cerchio della luce, si muovevano figure nere coronate di penne che indossavano tuniche e calzoni bordati di pelle di daino. Una delle più grosse tra queste figure si staccò dal gruppo e si mosse in fretta verso Mary Poppins e i bambini. «Stella–del–Mattino–Mary!» disse «Salve!» e si chinò dinanzi a lei e toccò con la sua la fronte di lei. Poi si volse ai quattro bambini e ripeté la stessa cerimonia. «La mia tenda vi aspetta» disse con una voce profonda e amichevole. «Stiamo proprio ora arrostendo una renna per la cena.» «O Capo–Sole–di–Mezzogiorno» disse Mary Poppins «ci fermiamo qui appena appena, quasi quasi siamo venuti soltanto per darvi un saluto. Abbiamo fatto il giro del mondo e questa è la nostra ultima tappa.» «Ah, è così?» disse il capo guardando molto interessato. «Ho pensato anch’io di fare il giro del mondo. Ma certo potete stare un pochino con noi, se non altro per permettere a questo giovanotto» e accennò a Michele «di provare la sua forza contro il mio bis–bis–bisnipotino, Rapido–come–il–Vento!» Il Capo batté le mani: «Hi, ho hee» chiamò a voce alta, e dalla tenda un ragazzetto indiano corse verso di loro. S’avvicinò rapidamente a Michele e quando gli fu accanto lo batté leggermente sulla spalla. «Toccato!» disse e fuggì via come una lepre. Era troppo per Michele! In un balzo gli fu dietro, con Giovanna alle calcagna di tutti e due. Iniziarono a rincorrersi fra gli alberi, girando e girando intorno a un gran pino all’inseguimento di Rapido–come–il–Vento, che rideva sempre e sempre fuggiva. Giovanna si arrestò per prima, sconfitta, ma Michele incominciava ad arrabbiarsi e strinse i denti; accelerò la sua corsa dietro a Rapido– come–il–Vento, gridando per il puntiglio di non essere superato da un ragazzo indiano. «Ti prenderò!» gridava sforzandosi di correre ancora più veloce. «Che cosa stai facendo?» domandò Mary Poppins, bruscamente. Michele si volse a guardarla e si arrestò all’improvviso. Poi riprese a correre, ma con sua sorpresa non vide più né Rapido–come–il–Vento, né il Capo, né le tende, né il fuoco. Non si scorgeva neppure un albero di pino. Nulla, tranne la panchina di un giardino e Giovanna e i gemelli e Mary Poppins in piedi in mezzo al Parco. «Correre intorno alla panchina come se fossi diventato matto! Penso che sei stato cattivo abbastanza per una giornata. Andiamo!» disse Mary Poppins. Michele fece una smorfia, imbronciato. «Intorno al mondo e di ritorno in un minuto! Che scatola meravigliosa!» disse Giovanna estatica. «Non è una scatola. È una bussola. Ed è mia» disse Michele. «L’ho trovata io. Dammela.» «È la mia bussola, grazie» disse Mary Poppins e la ripose nella sua borsa. Sembrava che Michele volesse ucciderla. Ma scrollò soltanto le spalle, camminò fieramente avanti e non disse una parola a nessuno. «Quel ragazzo lo battevo quando volevo» assicurò a se stesso, mentre varcava il cancello del numero 17 e saliva le scale. Una sensazione bruciante gli picchiava ancora dentro la testa, pesantemente. Dopo l’avventura della bussola, quella sensazione sembrò aumentare e verso sera divenne ancora peggiore. Michele pizzicò i gemelli mentre Mary Poppins non vedeva, e quando gridarono disse in una voce falsamente gentile: «Che cosa c’è, cari, che cos’avete?» Mary Poppins però non si lasciò ingannare. «Sta per venirti qualcosa» disse in un tono carico di sottintesi. Ma quella sensazione bruciante dentro di lui lo rendeva indifferente. Scrollò solo le spalle e tirò i capelli a Giovanna. Dopo andò al tavolo da pranzo e rovesciò il suo pane e latte. «E questa» disse Mary Poppins «è la fine. Simili cattiverie deliberate io non le ho mai viste. Posso garantire che in vita mia mai le ho vedute. Via! Fila a letto, subito, e non dire una parola.» Aveva l’aria più terribile che Michele avesse mai visto. Ma ancora una volta non se ne curò. Andò nella stanza da letto, a spogliarsi. No, non gliene importava. Era cattivo e, se non facevano attenzione, sarebbe stato ancora peggio. Non gliene importava. Odiava tutti. Se non stavano attenti, sarebbe fuggito per unirsi a un circo. Ecco! È saltato un bottone. Bene, ce ne sarebbero stati meno da abbottonare al mattino. E un altro: tanto meglio. Nulla al mondo avrebbe potuto farlo sentire in colpa. Sarebbe andato a letto senza lavarsi i denti, certo, e senza dire le preghiere. Stava proprio per andare a letto e aveva già un piede dentro, quando scorse la bussola in cima al cassettone. Piano piano ritirò il piede e in punta di piedi attraversò la stanza. Ora sapeva quello che avrebbe fatto. Avrebbe preso la bussola, l’avrebbe fatta roteare e avrebbe fatto il giro del mondo. Non lo avrebbero trovato mai più. E ben gli stava. Senza fare il più lieve rumore sollevò una sedia e la pose contro il cassettone. Poi ci salì e prese in mano la bussola. La scosse. «Nord, Sud, Est, Ovest» disse in fretta e furia nel caso che qualcuno entrasse prima che lui se ne fosse andato. Un rumore dietro la sedia lo fece trasalire, e girò gli occhi intorno con aria colpevole, aspettandosi di vedere Mary Poppins. C’erano invece quattro giganteschi personaggi che gli piombarono addosso. L’Eschimese con una lancia, la Signora Nera con la clava del marito, il Mandarino con una grande spada ricurva e il Capo Indiano con la sua ascia. Gli correvano incontro dai quattro angoli della stanza tenendo le armi alte sul capo, e invece di mostrarsi affabili e amichevoli come nel pomeriggio, ora apparivano minacciosi e assetati di vendetta. Erano quasi addosso a lui, i loro terribili volti lo fissavano, sempre più vicini. Sentì il loro respiro caldo sul volto e vide vibrare le armi nelle loro mani. Con un grido Michele lasciò cadere la bussola. «Mary Poppins, Mary Poppins, aiutami, aiutami!» gridò e serrò gli occhi. Si sentì avviluppare da qualcosa di morbido e caldo. Oh, che cos’era? La pelliccia dell’Eschimese, il kimono del Mandarino, la tunica di daino del Capo Indiano, le penne della Signora Nera? Chi di loro lo aveva acchiappato? Ah! se fosse stato buono, accidenti! «Mary Poppins» gemette sentendosi trasportare in aria e poggiare su qualcosa di più morbido ancora. «Oh, cara Mary Poppins!» «Va bene, va bene. Non sono sorda, grazie al cielo, non c’è bisogno di gridare» sentì che diceva con calma. Aprì un occhio. Poté vedere che non vi era più traccia delle quattro gigantesche figure della bussola. Aprì l’altro occhio per assicurarsene. No, neppure l’ombra. Si alzò. Guardò nella stanza. Non c’era niente. Allora scoprì che la cosa morbida che lo avviluppava era la sua coperta e la cosa morbida in cui giaceva era il suo letto. E – oh! – la cosa bruciante e pesante che era stata in lui tutto il giorno si era dissolta ed era scomparsa! Si sentì felice e pacificato come se avesse voluto fare un regalo di compleanno a tutte le persone che conosceva. «Che… che cos’è successo?» domandò ansiosamente a Mary Poppins. «Ti avevo detto che era la mia bussola, no? Vedi di essere abbastanza educato da non toccare le mie cose, per favore.» Questo fu tutto quello che lei disse, mentre si chinava a raccogliere la bussola e se la riponeva in tasca. Poi cominciò a piegare gli abiti che Michele aveva gettato sul pavimento. «Debbo farlo io?» domandò il bambino. «No, grazie.» La osservò mentre andava nella stanza accanto, per poi tornare e mettergli qualcosa di caldo fra le mani. Era una tazza di latte. Michele lo bevve a piccoli sorsi, assaporandone ogni goccia, schioccando la lingua molte volte, e facendolo durare il più possibile affinché Mary Poppins rimanesse vicino a lui. Lei gli restò accanto senza dire una parola, guardando il latte che scompariva lentamente. Michele poté sentire l’odore del suo grembiule bianco frusciante e il delicato profumo di pane abbrustolito che sempre le aleggiava intorno così deliziosamente. Ma per quanto si sforzasse, non poté far durare il latte all’infinito e alla fine, con un sospiro di rimpianto, le porse la tazza vuota e scivolò dentro il letto. Non era mai stato così piacevole, pensò. E pensò anche che si sentiva ben caldo e tanto felice, e che era una grande fortuna essere vivo. «Non è una cosa buffa, Mary Poppins?» disse mentre si addormentava. «Sono stato tanto cattivo e mi sento tanto buono.» «Hum!» disse Mary Poppins mentre gli rimboccava le coperte. E uscì per andare a lavare le stoviglie della cena. La Donna degli Uccelli «Forse non ci sarà» disse Michele alla sorella. «Sì che ci sarà» disse Giovanna. «È sempre stata lì.» Camminavano per Ludgate Hill e andavano a far visita al signor Banks, alla City. Perché quella mattina aveva detto alla signora Banks: «Mia cara, se non piove, penso che Giovanna e Michele potrebbero venirmi a prendere all’ufficio oggi, cioè, se tu sei d’accordo. Sai, quest’oggi mi piacerebbe uscire e andare a mangiare la panna coi cialdoni, e non succede spesso ch’io mi prenda uno svago.» E la signora Banks aveva risposto che avrebbe riflettuto sulla cosa. Ma per tutto il giorno, sebbene Giovanna e Michele la scrutassero ansiosamente, non aveva avuto l’aria di rifletterci per nulla. Da quel che diceva, sembrava non pensasse che al conto della lavandaia e al cappotto nuovo di Michele, e dov’era l’indirizzo della zia Flossie, e perché quella disgraziata signora Jackson l’aveva invitata per il tè il secondo giovedì del mese, quando sapeva che quello era proprio il giorno in cui la signora Banks doveva andare dal dentista? All’improvviso, quando i bambini avevano l’assoluta convinzione che lei non avrebbe mai pensato allo svago del signor Banks, disse: «Adesso, bambini, non state lì a guardarmi a occhi aperti in quel modo. Preparatevi. Dovete andare alla City a prendere il tè con vostro padre. Lo avete dimenticato?» Come facevano a dimenticarselo! Perché non era solo il tè che contava, c’era anche la Donna degli Uccelli, che era di per se stessa il migliore degli svaghi. Ecco perché salivano per Ludgate Hill e si sentivano molto eccitati. Mary Poppins camminava fra di loro, con il suo cappello nuovo e con un’aria molto distinta. Ogni tanto si guardava nella vetrina di un negozio per assicurarsi che il cappello fosse ancora lì e che le rose che c’erano sopra non si fossero trasformate in fiori comuni come le margherite dei campi. Ogni volta che si fermava per assicurarsene, Michele e Giovanna sospiravano, ma non osavano dire niente per paura che lei perdesse anche più tempo a guardare nella vetrina e a voltarsi da una parte o dall’altra a studiare quale atteggiamento le donasse di più. Ma alla fine giunsero alla Cattedrale di S. Paolo, presso cui vivono tanti uccelli; e anche la Donna degli Uccelli vive lì. «Eccola!» gridò Michele all’improvviso, e fece un salto per l’eccitazione. «Non far segno col dito» disse Mary Poppins, dando un’ultima occhiata alle rose nella vetrina di un negozio di tappeti. «Lo sta dicendo. Lo sta dicendo!» gridò Giovanna, stringendosi tutta nel timore di spezzarsi in due per la gioia E lo stava dicendo. La Donna degli Uccelli era lì, e lo stava dicendo: «Date da mangiare agli uccelli, cinquanta centesimi il pacchetto! Date da mangiare agli uccelli, cinquanta centesimi il pacchetto! Date da mangiare agli uccelli, cinquanta centesimi il pacchetto!» Sempre la stessa cosa, con un’acuta voce cantilenante che faceva sembrare le sue parole una canzone. E mentre diceva questo, offriva ai passanti dei pacchettini di briciole di pane. Tutt’intorno le volavano gli uccelli, girando e saltando, abbassandosi e levandosi in aria. Mary Poppins li chiamava sempre “passeri” perché, diceva con sufficienza, tutti gli uccelli erano uguali per lei. Ma Giovanna e Michele sapevano che non erano passeri, bensì colombi e piccioni. C’erano dei colombi grigi, rumorosi e chiacchieroni come le nonne, e dei piccioni marroni con voci roche come gli zii, e dei piccioni verdolini, chioccianti, che sembrava dicessero: «No, oggi non ho soldi» come i padri. E i colombi, trepidanti, di un celeste tenero, erano come le madri. Questo almeno era quello che pensavano Giovanna e Michele. Gli uccelli volarono attorno alla testa della Donna degli Uccelli mentre i bambini si avvicinavano, e poi, come per uno scherzo, si alzarono all’improvviso per l’aria e si posarono in cima alla Cattedrale di S. Paolo, chiocciando e volgendo il capino e facendo finta di non conoscerla. Toccava a Michele comprare un pacchetto. Giovanna l’aveva comprato la volta precedente. Avanzò verso la Donna degli Uccelli e le porse due penny. «Date da mangiare agli uccelli, cinquanta centesimi il pacchetto» disse la Donna degli Uccelli, e gli mise in mano un pacchetto di briciole e nascose il denaro fra le pieghe della sua enorme sottana nera. «Come mai non avete pacchetti da venticinque centesimi?» disse Michele. «Così potrei comprarne due.» «Date da mangiare agli uccelli, cinquanta centesimi il pacchetto» disse la Donna degli Uccelli, e Michele capì che non conveniva fare altre domande. Lui e Giovanna avevano provato spesso; ma tutto quello che diceva, e tutto quello che sarebbe mai stata capace di dire era: «Date da mangiare agli uccelli, cinquanta centesimi il pacchetto.» Così come un cuculo può solo dire: «Cucù» non importa quali domande voi gli rivolgiate. Giovanna e Michele e Mary Poppins sparsero per terra le briciole, in cerchio, ed ecco che a uno a uno in principio e poi a due e a tre gli uccelli scesero giù dalla Cattedrale. «Capperi!» disse Mary Poppins con un’arricciata di naso, mentre un uccello tirava su una briciola e la lasciava di nuovo cadere dal becco. Ma gli altri uccelli si affollarono sul cibo, pigiandosi, sfamandosi e schiamazzando. Alla fine non rimase neppure una briciola, dato che per un piccione o una colomba non è educato lasciare qualcosa sul piatto. Quando furono del tutto sicuri che il pasto era terminato, gli uccelli si alzarono da terra in cerchio e volarono intorno alla testa della Donna degli Uccelli, ripetendo nel loro linguaggio le parole che lei diceva. Uno di loro si posò sul suo cappello, come se fosse un ornamento della cupola. E un altro scambiò il cappello nuovo di Mary Poppins per un giardino di rose e strappò col becco un fiore. «Ehi, passero!» gridò Mary Poppins e agitò l’ombrello verso di lui. Il piccione, molto offeso, volò verso la Donna degli Uccelli e, per dire il fatto suo a Mary Poppins, pose la rosa sul nastro del cappello della Donna degli Uccelli. «Dovresti stare infilzato in uno spiedo, ecco dove dovresti stare» gli disse Mary Poppins con astio. Poi chiamò Giovanna e Michele. «È ora di tornare a casa» disse, e lanciò un ultimo sguardo furioso al piccione. Quello si limitò a ridere, agitò la coda e le voltò la schiena. «Arrivederci» disse Michele alla Donna degli Uccelli. «Date da mangiare agli uccelli» replicò lei, sorridendo. «Arrivederci» disse Giovanna. «Cinquanta centesimi il pacchetto!» disse la Donna degli Uccelli, facendo un cenno con la mano. Poi la lasciarono, camminando uno da una parte e uno dall’altra di Mary Poppins. «Cosa succede quando tutti se ne vanno come noi?» domandò Michele a Giovanna. Sapeva perfettamente ciò che accadeva, ma era una cosa doverosa domandarlo a Giovanna, perché la storia l’aveva inventata proprio lei. Così Giovanna glielo disse, e lui aggiunse i frammenti che lei dimenticava. «La notte quando tutti vanno a letto…» cominciò Giovanna. «E spuntano le stelle…» soggiunse Michele. «Sì, e anche se non spuntano, tutti gli uccelli scendono giù dalla cima della Cattedrale di S. Paolo e perlustrano con molta cura in terra per vedere che non siano avanzate briciole e per fare pulizia prima del mattino. E dopo che hanno fatto questo…» «Hai dimenticato i bagni.» «Oh, sì, fanno il bagno e si pettinano le ali con il becco. E dopo che hanno fatto questo, volano tre volte intorno alla testa della Donna degli Uccelli, e poi si posano.» «Si posano sulle sue spalle?» «Sì, e sul cappello.» «E nella cesta dove sono i pacchetti?» «Sì, e qualcuno sulle ginocchia. Poi lei liscia a ognuno le piume sulla testa e gli dice di essere un buon uccellino…» «Nel linguaggio degli uccelli?» «Sì, e quando hanno tutti sonno e non hanno più voglia di stare svegli, allarga la sua sottana, come una chioccia allarga le ali, e gli uccelli s’infilano pian piano sotto. E appena l’ultimo è sotto, lei si siede, cullandoli con lievi cinguettii, e dormono lì fino al mattino.» Michele sospirò soddisfatto. Gli piaceva quella storia e non era mai stanco di ascoltarla. «Ed è tutto proprio vero, no?» domandò come faceva sempre. «No» disse Mary Poppins, che diceva sempre no. «Sì» disse Giovanna, che sapeva sempre tutto. La signora Corry «Un chilo di salsicce, le migliori» disse Mary Poppins. «E subito, per favore, abbiamo fretta.» Il macellaio, che indossava un gran grembiule a righe blu e rosse, era un uomo grasso e cordiale. Era anche alto e rosso e piuttosto simile a una delle sue salsicce. Si sporse dal bancone e si mise a guardare ammirato Mary Poppins. Poi fece amabilmente l’occhietto a Giovanna e Michele. «Avete fretta?» disse a Mary Poppins. «Oh, guarda che peccato, speravo foste entrata per chiacchierare un po’. A noi macellai, sapete, piace un po’ di compagnia. E non abbiamo spesso la fortuna di parlare a una giovane signora graziosa e piacevole come voi.» S’interruppe di botto perché aveva visto la faccia di Mary Poppins. La sua espressione era terribile. E il macellaio desiderò che ci fosse, nel pavimento del suo negozio, una botola che si aprisse e lo inghiottisse. «Oh, bene» disse, diventando più rosso del solito. «Se avete premura, certo, un chilo di salsicce, dicevate?» E in fretta tirò giù da un gancio una lunga fila di salsicce che pendevano a festoni attraverso la bottega. Ne tagliò una settantina di centimetri, le girò a mo’ di ghirlanda e le avvolse prima in una carta bianca e poi in una marrone. Spinse il pacco sul tagliere. «Altro?» domandò speranzoso, arrossendo ancora. «Non c’è altro» disse Mary Poppins con un’arricciata di naso. E, prese le salsicce, voltò in fretta la carrozzina e la spinse fuori dal negozio in una maniera tale che il macellaio comprese di averla offesa mortalmente. Ma uscendo lei dette un’occhiata nella vetrina, e vide riflesso lì dentro l’effetto delle sue scarpe nuove. Erano di lucido vitello marrone, con due bottoni, elegantissime. Giovanna e Michele le trottavano dietro domandandosi quando sarebbe giunta alla fine della lista delle sue commissioni, ma, vista l’espressione della sua faccia, non osavano interrogarla. Mary Poppins guardò su e giù per la strada, come assorta a riflettere, e poi, decidendosi improvvisamente, proclamò: «Pescivendolo» e voltò la carrozzina verso il negozio accanto a quello del macellaio. «Una sogliola di Dover, un chilo di merluzzo, mezzo chilo di gamberetti e un’aragosta» disse Mary Poppins, parlando così in fretta che solo qualcuno abituato a prendere simili ordini avrebbe potuto capirla. Il pescivendolo, assai diverso dal macellaio, era un uomo lungo e magro, così magro che sembrava non avesse un davanti, ma solo i due lati. E appariva così triste da far pensare che aveva appena finito di piangere, oppure stava per farlo. Giovanna diceva che questo era dovuto a qualche segreto dolore che lo perseguitava fin dalla giovinezza. E Michele pensava che la madre del pescivendolo doveva averlo nutrito a pane e acqua quando era bambino e che lui non lo aveva mai dimenticato. «Altro?» disse il pescivendolo senza speranza, in una voce che faceva capire che era sicuro che non c’era bisogno d’altro. «No, per oggi» disse Mary Poppins. Il pescivendolo scosse la testa tristemente e non sembrò affatto sorpreso. Aveva compreso fin dal principio che non ci sarebbe stato bisogno d’altro. Sospirando affabilmente, legò il pacco e lo pose nella carrozzina. «Brutto tempo» osservò, asciugandosi un occhio con la mano. «Non crediate che avremo l’estate, affatto, non che l’abbiamo mai avuta, certo. Non sembrate troppo florida» disse a Mary Poppins. «Ma del resto nessuno lo sembra.» Mary Poppins scosse il capo. «Parlate per voi» disse bruscamente, e s’avviò verso la porta, spingendo la carrozzina così fieramente che urtò contro un sacchetto di ostriche. «Che sfacciataggine!» disse, mentre lanciava uno sguardo alle scarpe. Non sembrava troppo florida nelle sue scarpe di vitello marrone con due bottoni! Che sfacciataggine! Ecco quello che le leggevano nel pensiero Giovanna e Michele. Fuori, sul marciapiede, sostò consultando la sua lista, cancellando quel che aveva comperato; Michele si appoggiò prima su una gamba e poi sull’altra. «Mary Poppins, non andiamo mai a casa?» domandò stufo. Mary Poppins si volse e lo fissò con qualcosa di molto simile al disgusto nello sguardo. «Questo» disse brevemente «può darsi!» E Michele, vedendola piegare la lista, si pentì di aver parlato. «Puoi andare a casa se vuoi» soggiunse altezzosamente. «Noi andiamo a comperare il Pan Pepato.» La faccia di Michele cambiò. Se avesse tenuto la lingua a posto! Non sapeva che in fondo alla lista c’era il Pan Pepato. «La strada è quella» disse secca Mary Poppins, puntando il dito in direzione del Viale dei Ciliegi. «A meno che non ti perda» aggiunse come per una riflessione tardiva. «Oh, no, Mary Poppins, no, per piacere! Io non volevo dir questo, veramente. Io… oh, Mary Poppins, per favore!» gridò Michele. «Lascialo venire, Mary Poppins!» disse Giovanna. «Spingerò io la carrozzina, se lo lasci venire.» Mary Poppins arricciò il naso. «Se non fosse venerdì» disse scura a Michele «saresti andato a casa in un batter d’occhio, proprio in un batter d’occhio.» Avanzò, spingendo Barbara e Giovannino. Giovanna e Michele compresero che lei aveva ceduto e la seguirono domandandosi che cosa fosse un batter d’occhio. All’improvviso Giovanna si avvide che andavano nella direzione sbagliata. «Ma Mary Poppins, credevo che tu avessi detto Pan Pepato… Questa non è la strada del pasticciere dove lo prendiamo sempre» cominciò, ma s’interruppe vedendo il viso di Mary Poppins. «Sto facendole io, le commissioni, o voi?» domandò Mary Poppins. «Tu» disse Giovanna con una voce piccina piccina. «Oh, veramente? Mi pareva il contrario» disse Mary Poppins con un risolino ironico. Diede un colpetto alla carrozzina, voltò l’angolo e si bloccò di colpo. Giovanna e Michele, fermandosi bruscamente dietro di lei, si trovarono davanti al più curioso negozio che avessero mai visto. Era piccolissimo e molto misero. Delle strisce sciupate di carta colorata erano appese alle vetrine e sulle scansie c’erano delle vecchie scatole di gelato, vecchi bastoncini di liquerizia e dei caramellati molto secchi e raggrinziti. C’era una porticina tra le vetrine e Mary Poppins vi spinse la carrozzina, mentre Giovanna e Michele le stavano alle calcagna. Dentro la bottega si vedeva a malapena il banco, che girava lungo tre pareti. In un cassetto sotto il vetro c’erano file e file di Pan Pepato scuro e secco, ogni pezzo cosparso di stelle dorate così fitte che lo stesso negozio sembrava illuminarsi lievemente al loro bagliore. Giovanna e Michele girarono intorno lo sguardo per scoprire che specie di persona li avrebbe serviti e furono molto sorpresi quando Mary Poppins chiamò: «Fanny! Anna! Dove siete?» Ai bambini sembrò che la voce tornasse indietro come un’eco da ciascun angolo buio del negozio. E mentre chiamava, due persone, le più enormi che i bambini avessero mai visto, sorsero da dietro il banco e scambiarono una stretta di mano con Mary Poppins. Poi le due donnone si sporsero dal banco e dissero: «Come va?» con voci grosse quanto loro e strinsero la mano a Giovanna e Michele. «Come state, signorina…?» Michele s’interruppe, domandandosi chi fosse Fanny e chi Anna. «Mi chiamo Fanny» disse una di loro. «I miei reumatismi vanno sempre allo stesso modo; grazie per il tuo interessamento.» Parlò come se non fosse abituata a quei cortesi convenevoli. «È una bella giornata» cominciò Giovanna educatamente, rivolta all’altra sorella, che da quasi un minuto le teneva la mano imprigionata nella sua stretta poderosa. «Io sono Anna» li informò con aria di condiscendenza. «Ed è bello così come fa bene.» Giovanna e Michele pensarono che entrambe le sorelle avevano un modo singolare di esprimersi, ma non ebbero il tempo di sorprendersene a lungo, perché la signorina Fanny e la signorina Anna stavano stendendo le loro lunghe braccia verso la carrozzina. Ciascuna strinse solennemente la mano a uno dei gemelli i quali furono così stupiti che cominciarono a gridare. «Ehi, ehi, dico! Cosa c’è, cosa c’è!» gridò una vocetta acuta, sottile, tremolante dal retrobottega. A quel suono l’espressione sul volto della signorina Fanny e della signorina Anna, che era già triste, divenne più triste ancora. Parvero spaventate e a disagio, e in un certo modo Giovanna e Michele capirono che le due grosse sorelle desideravano di essere molto più piccole e meno appariscenti. «Che cos’è tutto quello che sento?» gridò la curiosa vocetta acuta, avvicinandosi. Ed ecco apparve accanto a un angolo della vetrina la proprietaria. Era piccola quanto la sua voce e altrettanto tremolante, e ai bambini sembrò la donna più vecchia del mondo, con i suoi capelli di stoppa, le gambe simili a bastoni e la faccetta secca e grinzosa. Ma a dispetto di ciò, lei corse verso di loro leggermente e lietamente come una giovinetta. «Ehi, ehi, dico! Ma questa è Mary Poppins, con Giovannino e Barbara Banks. Cosa, anche Giovanna e Michele? Bene, non è una bella sorpresa? Vi assicuro che non sono stata così sorpresa da quando Cristoforo Colombo scoprì l’America. Ma davvero!» Sorrise allegra mentre veniva a salutarli, e i suoi piedi facevano dei piccoli movimenti di danza dentro gli stivaletti leggeri. Corse presso la carrozzina e la scosse delicatamente, curvando le sue sottili dita nodose su Giovannino e Barbara finché essi smisero di gridare e cominciarono a ridere. «Così va meglio» balbettò gaiamente. Poi fece una cosa stranissima. Si strappò due dita e ne porse uno per ciascuno a Giovannino e Barbara. E la cosa più strana fu che al posto delle dita strappate via, altre nuove crebbero all’istante. E questo Giovanna e Michele lo videro chiaramente. «Non è che zucchero d’orzo, non può far loro male» disse la vecchia signora a Mary Poppins. «Qualsiasi cosa voi diate, signora Corry, può far loro solo del bene» disse Mary Poppins con sorprendente cortesia. «Che peccato» non poté fare a meno di dire Michele «che non fossero mentine.» «Be’, lo sono, qualche volta» disse la signora Corry giocondamente «e son molto gustose, anche. Spesso ne spizzico anch’io, se non riesco a dormire di notte. Ottime per la digestione.» «Che cosa saranno la prossima volta?» domandò Giovanna guardando con interesse le dita della signora Corry. «Aha!» disse la signora Corry. «Questo è il problema. Da un giorno all’altro non so mai che cosa saranno. Speriamo in bene, come disse Guglielmo il Conquistatore a sua madre che lo consigliava di non andare a conquistare l’Inghilterra. L’ho sentito con le mie orecchie.» «Dovete essere molto vecchia!» disse Giovanna, sospirando di invidia e domandandosi se lei sarebbe mai stata capace di ricordare tutto quel che ricordava la signora Corry. La signora Corry buttò indietro la sua piccola testa di stoppa e cominciò a ridere. «Vecchia!» disse. «Come! Io sono un pulcino paragonata a mia nonna. Ecco, lei sì che è vecchia. Però anch’io vado indietro un bel pezzo. Mi rammento il tempo, quando si stava creando il mondo, e io ero già sulla trentina. Bontà celeste, quella sì che è stata un’impresa, posso assicurarvelo!» S’interruppe di colpo, sogguardando furba attraverso gli occhietti semichiusi. «Ma povera me, io vado avanti e nessuno vi serve! Suppongo, mia cara» si volse a Mary Poppins, che sembrava conoscere molto bene, «suppongo che siate venuti per il Pan Pepato…» «È così, signora Corry» disse Mary Poppins compita. «Bene, Fanny e Anna ve ne hanno dato?» Mentre diceva questo, guardò Giovanna e Michele. Giovanna scosse la testa. Due voci sommesse vennero da dietro il banco. «No, mamma» disse umilmente la signorina Fanny. «Stavamo per farlo, mamma» cominciò la signorina Anna con un sussurro spaventato. A questa risposta, la signora Corry si drizzò su tutta la sua persona, e squadrò furiosamente le sue gigantesche figlie. Poi con voce bassa, feroce, terrificante, disse: «Stavate per farlo? Oh, davvero! Questo è molto interessante. E chi, mi permetto di domandarti, Anna, chi ti aveva dato il permesso di dar via il mio Pan Pepato?» «Nessuno, mamma. E io non l’ho dato via. Soltanto, pensavo…» «Pensavi! È molto gentile da parte tua! Ma ti sarò grata se eviti di pensare. Basto io a pensare a tutto il necessario, qui!» disse la signora Corry con la sua voce sommessa e terribile. Poi scoppiò a ridere. «Guardatela! Guardatela bene! Pezzo di gelatina! Piagnucolona!» gridò, puntando il dito nodoso verso la figlia. Giovanna e Michele si volsero e videro una grossa lacrima scorrere sul faccione triste della signorina Anna, ma non vollero far commenti perché, malgrado la sua esilità, la signora Corry incuteva loro un senso di spavento. Ma appena lei guardò da un’altra parte, Giovanna colse l’occasione di offrire alla signorina Anna il suo fazzoletto. La grossa lacrima della signorina Anna lo inzuppò completamente e lei, con uno sguardo di gratitudine, lo strizzò prima di renderlo a Giovanna. «E tu, Fanny, hai pensato anche tu?…» domandò. L’acuta vocetta si volgeva ora all’altra figlia. «No, mamma» disse Fanny, tremante. «Hum! Meglio per te! Apri quella vetrina.» Con dita affannate, esitanti, Fanny aprì la vetrina. «Su, miei cari» disse allora la signora Corry, con una voce tutta diversa. Sorrise e fece cenno a Giovanna e a Michele tanto amabilmente che essi si vergognarono di aver avuto paura di lei e provarono l’impressione che, dopo tutto, doveva essere molto simpatica. «Volete avvicinarvi e scegliere, agnellini miei? È una ricetta speciale, oggi, l’ho avuta da Alfredo il Grande. Era un ottimo cuoco, mi ricordo, sebbene una volta abbia lasciato bruciare i dolci. Quanti?» Giovanna e Michele guardarono Mary Poppins. «Quattro per ciascuno» disse lei. «Cioè dodici. Una dozzina.» «Farò la dozzina di un panettiere. Prendetene tredici» disse la signora Corry allegramente. Così Giovanna e Michele scelsero tredici pezzi di Pan Pepato, ciascuno con la sua stella dorata. Le loro braccia erano cariche dei deliziosi dolci bruni. Michele non poté resistere alla tentazione di rosicchiarne un angolo. «Buono?» domandò la signora Corry con la sua vocetta stridula, e dopo che Michele ebbe fatto segno di sì, sollevò la gonna e fece qualche passo di mazurka, per puro piacere. «Urrà, urrà, ottimo, urrà!» gridò con la sua vocetta stridula. Fece una pausa e il suo volto ridivenne serio. «Ma ricordatevi, non li sto regalando. Devo essere pagata. Il prezzo è una moneta da tre penny a testa.» Mary Poppins aprì la borsa e tirò fuori tre monete. Ne diede una per ciascuno a Giovanna e Michele. «Ora» disse la signora Corry «attaccatele al mio vestito. È lì che van messe tutte.» I bambini osservarono attentamente il suo lungo vestito nero. E infatti scoprirono che era cosparso di monete, come un cielo sereno è cosparso di stelle. «Venite! Appiccicatele» ripeté la signora Corry, strofinandosi allegramente le mani nell’attesa. «Vedrete che non cadranno.» Mary Poppins avanzò e spinse la sua moneta da tre penny sul colletto dell’abito della signora Corry. Con sorpresa di Giovanna e Michele la moneta rimase incollata. Poi misero le loro. Quella di Giovanna sulla spalla destra e quella di Michele sull’orlo davanti. Anche queste rimasero appiccicate. «Che cosa straordinaria» disse Giovanna. «Niente affatto, mia cara» cinguettò la signora Corry. «O piuttosto, non tanto straordinaria quanto altre cose che potrei raccontare.» E strizzò l’occhio a Mary Poppins. «Temo che dobbiamo andarcene ora, signora Corry» disse Mary Poppins. «Ci sarà la crema cotta per pranzo e devo essere a casa in tempo per farla.» «Quella signora Brill è una cattiva cuoca?» l’interruppe la signora Corry. «Cattiva?» disse Mary Poppins con disprezzo. «La parola non basta a rendere l’idea.» «Ah!» La signora Corry si strofinò il naso col dito e prese un’aria molto seria. Poi disse: «Bene, mia cara Mary Poppins, è stata una visita piacevolissima e io sono sicura che le mie ragazze se ne sono rallegrate quanto me.» Con la testa fece un segno in direzione delle sue malinconiche figlie. «E tornerete presto, vero, con Giovanna e Michele e i bambini? Ma siete sicuri di riuscire a portare il Pan Pepato?» continuò, volgendosi a Michele e Giovanna. I bambini assentirono col capo. La signora Corry si avvicinò a loro con uno sguardo curioso, importante, inquisitore. «Vorrei sapere» disse pensosa «che cosa farete delle stelle di carta.» «Oh, le conserveremo» disse Giovanna. «Lo facciamo sempre.» «Ah, le conservate! E dove le conservate?» Gli occhi della signora Corry erano mezzi chiusi e appariva più inquisitoria che mai. «Ecco» cominciò Giovanna «le mie stanno tutte sotto i fazzoletti nel primo cassetto a sinistra e…» «Le mie stanno nella scatola delle scarpe, nella scansia in fondo all’armadio…» spiegò Michele. «Primo cassetto a sinistra e scatola delle scarpe nell’armadio» ripeté la signora Corry pensosamente, come se stesse affidando le parole alla memoria. Poi dette un lungo sguardo a Mary Poppins e scosse appena la testa. Mary Poppins annuì leggermente. Sembrò che in segreto si fossero intese. «Bene» disse la signora Corry lietamente «questo è molto interessante. Voi non sapete quanto io sia contenta di sapere che conservate le stelle. Me ne rammenterò. Vedete, io rammento tutto, anche quello che Enrico VIII mangiava una domenica sì e una no. E ora addio. Tornate presto. Tornate p–r–e–s–t–o!» La voce della signora Corry sembrò divenire più esile e svanire lontano, ed ecco che, senza ben rendersi conto di quel che era accaduto, Giovanna e Michele si trovarono sul marciapiede, dietro Mary Poppins che stava osservando ancora la sua lista. Si volsero e guardarono dietro di loro. «Come, Giovanna!» esclamò Michele sorpreso. «Non c’è più.» «È vero» disse Giovanna, spalancando gli occhi. E avevano ragione. Il negozio non c’era più. Era scomparso. «Che strano» disse Giovanna. «Vero?» disse Michele. «Ma il Pan Pepato è molto buono.» Ed erano così occupati a rosicchiare il loro Pan Pepato dalle differenti forme – un uomo, un fiore, una teiera – che dimenticarono completamente quanto era strana la cosa. Tuttavia se ne ricordarono ancora la notte, quando le luci erano spente e tutt’e due avrebbero dovuto essere addormentati da un pezzo. «Giovanna, Giovanna» sussurrò Michele «sento qualcuno che cammina in punta di piedi per le scale. Ascolta!» «Ssst!» sibilò Giovanna dal suo letto: anche lei aveva inteso i passi. La porta si aprì con un piccolo scricchiolio e qualcuno entrò in camera. Era Mary Poppins, vestita in cappello e cappotto, pronta per uscire. Si mosse leggermente per la stanza con movimenti rapidi e misteriosi. Giovanna e Michele la guardarono attraverso le palpebre socchiuse, senza muoversi. Prima andò al cassettone, aprì un cassetto e lo richiuse dopo un attimo. Poi in punta di piedi andò all’armadio, lo aprì, si chinò e mise o tirò fuori qualcosa, non potevano dirlo con esattezza. Tac! Lo sportello dell’armadio si chiuse rapidamente e Mary Poppins uscì in fretta dalla stanza. Michele si drizzò sul letto. «Che cosa stava facendo?» domandò a Giovanna sottovoce. «Non so. Forse aveva dimenticato i guanti o le scarpe» Giovanna si interruppe di colpo. «Ascolta, Michele.» Lui ascoltò. Da sotto, probabilmente dal giardino, potevano udire tante voci sussurrare insieme, molto animatamente e nervosamente. Con un rapido movimento, Giovanna saltò fuori dal letto e fece segno a Michele. Pian piano, a piedi nudi, andarono alla finestra e guardarono giù. Fuori, nel Viale, c’era una figura esile accanto a due gigantesche. «La signora Corry e la signorina Fanny e la signorina Anna» mormorò Giovanna. Era proprio così. Era un gruppo curioso. La signora Corry stava guardando attraverso le sbarre del cancello del numero 17. La signorina Fanny teneva due lunghe scale in equilibrio su una spalla, mentre la signorina Anna sembrava che portasse in una mano un gran secchio di qualcosa come colla e nell’altra un enorme pennello. Da dove stavano, nascosti dalla tendina, Giovanna e Michele potevano udire distintamente le loro voci. «È in ritardo!» stava dicendo la signora Corry seccata e ansiosa. «Forse» cominciò timidamente Fanny, assestandosi più solidamente le scale sulla spalla, «uno dei bambini è malato e lei non ha potuto…» «Venir via in tempo» disse Anna nervosamente, completando il pensiero di sua sorella. «Silenzio!» ammonì furiosa la signora Corry, e Giovanna e Michele la udirono distintamente sibilare qualcosa come «grosse giraffe maldestre» e compresero che si riferiva alle sue sfortunate figlie. «Ssst!» disse la signora Corry all’improvviso, ponendosi in ascolto col capo piegato, come un uccellino. Si udì il cigolio della porta d’ingresso aperta adagio e poi richiusa, e rumore di passi sul sentiero. La signora Corry sorrise e agitò la mano in segno di saluto, mentre Mary Poppins veniva loro incontro, portando sul braccio una cesta della spesa, e nella cesta c’era qualcosa che sembrava sprigionare una luce debole e misteriosa. «Andiamo, andiamo, dobbiamo far presto! Non abbiamo molto tempo» disse la signora Corry, prendendo Mary Poppins per il braccio. «Datevi da fare, voi due.» E si mosse seguita dalla signorina Fanny e dalla signorina Anna, che cercavano di avere l’aria più attiva possibile, senza però riuscirci molto bene. Camminavano pesantemente dietro la madre e Mary Poppins, curvandosi sotto i pesi che portavano. Giovanna e Michele le videro andare tutte e quattro giù per il Viale dei Ciliegi, e poi piegarono un poco a sinistra e salirono su per la collina. Quando furono in cima, dove non c’erano case, ma solo erba e trifoglio, si fermarono. Anna posò il suo secchio di colla, e Fanny si tolse le scale dalla spalla e le appoggiò una all’altra in modo da farle stare in piedi. Poi ne tenne una, e Anna l’altra. «Che cosa staranno mai per fare?» chiese Michele, con la bocca aperta. Ma non ci fu bisogno che Giovanna gli rispondesse, perché poté vedere lui stesso quel che stava succedendo. Appena la signorina Fanny e la signorina Anna ebbero sistemato le scale in modo che sembravano star ritte con un capo sulla Terra e l’altro appoggiato al cielo, la signora Corry si tirò su la sottana e prese il pennello in una mano e il secchio di colla nell’altra. Poi pose il piede sul primo piolo di una delle scale e cominciò a salire. Mary Poppins con la sua cesta in mano salì sull’altra. Poi, Giovanna e Michele videro qualcosa di sorprendente. Appena fu arrivata in cima alla scala, la signora Corry intinse il pennello nella colla e cominciò a stendere la sostanza vischiosa sul cielo. E Mary Poppins, dopo che fu fatto questo, tirò fuori qualcosa di lucido dalla sua cesta e lo appiccicò alla colla. Dopo che ebbe levato la mano, videro che stava incollando sul cielo le stelle del Pan Pepato. Ogni stella, appena sistemata, si metteva a brillare furiosamente, spargendo raggi di scintillante luce dorata. «Quelle sono nostre» disse Michele senza respiro. «Sono le nostre stelle. Credeva che noi dormissimo ed è entrata e le ha prese!» Ma Giovanna taceva. Stava guardando la signora Corry che stendeva la colla in cielo e Mary Poppins che ci incollava sopra le stelle; e la signorina Fanny e la signorina Anna spostavano le scale in una nuova posizione appena gli spazi nel cielo erano stati riempiti. Finalmente tutto fu terminato. Mary Poppins scosse la cesta e mostrò alla signora Corry che non c’era rimasto dentro niente. Poi scesero dalle scale e la processione si avviò di nuovo giù per la collina, la signorina Fanny con le scale sulla spalla, la signorina Anna col secchio vuoto della colla. All’angolo si fermarono un momento a chiacchierare. Poi Mary Poppins scambiò con loro una stretta di mano e in fretta si avviò di nuovo per il Viale. La signora Corry, danzando con leggerezza nei suoi stivaletti leggeri e reggendo delicatamente la gonna, scomparve nell’altra direzione con le sue grosse figlie che le camminavano dietro a passi pesanti. Il cancello del giardino cigolò. Dei passi scricchiolarono sul sentiero. La porta d’ingresso si aprì e si richiuse con un piccolo stridio. Ecco che udirono Mary Poppins salire pian piano le scale, attraversare la loro stanza ed entrare nella camera dove dormiva con Giovannino e Barbara. Appena il suono dei suoi passi andò morendo lontano, Giovanna e Michele si guardarono l’un l’altro. Poi senza una parola si diressero insieme al primo cassetto di sinistra e guardarono. Non c’era dentro nulla tranne la pila dei fazzoletti di Giovanna. «Te l’avevo detto» disse Michele. Poi si diressero all’armadio e guardarono nella scatola delle scarpe. Era vuota. «Ma come? Ma perché?» disse Michele, sedendosi sulla sponda del letto e fissando la sorella. Giovanna non disse nulla. Si sedette vicino a lui con le braccia attorno alle ginocchia e pensò e pensò e pensò. Alla fine scosse indietro i capelli, si stirò e si alzò. «Quello che vorrei sapere» disse «è questo: sono le stelle a essere fatte di carta dorata oppure la carta dorata è fatta di stelle?» Non ci fu risposta alla sua domanda e lei non se ne aspettava alcuna. Sapeva che soltanto qualcuno molto più saggio di Michele poteva darle la risposta giusta. La storia di Barbara e Giovannino Giovanna e Michele erano andati a una festa, indossando gli abiti migliori; sembravano, come disse Ellen la cameriera quando li vide, «… proprio come la vetrina di un negozio.» Tutto il pomeriggio la casa fu tranquilla e silenziosa, come se stesse pensando per conto proprio o forse sognando. Giù in cucina la signora Brill leggeva il giornale con gli occhiali appollaiati sul naso. Robertson Ay sedeva in giardino, occupato a far niente. La signora Banks stava in salotto sul sofà, con i piedi sopra. E la casa era molto quieta tutt’intorno a loro, sognando i suoi propri sogni o forse pensando. Su nelle stanze dei bambini Mary Poppins faceva asciugare gli abiti vicino al fuoco e la luce del sole entrava dalla finestra, scherzando sui muri bianchi, danzando sulle culle in cui dormivano i gemelli. «Ehi, muoviti! Mi stai proprio negli occhi» disse Giovannino a voce alta. «Mi dispiace» rispose la luce del sole. «Ma non posso farci niente. Devo assolutamente attraversare questa stanza. Gli ordini sono ordini. Debbo muovermi da Est a Ovest in un giorno e la mia strada passa per questa stanza. Mi dispiace! Chiudi gli occhi e non ti accorgerai di me.» La freccia di sole dorata si allungò attraverso la camera. Evidentemente si muoveva quanto più presto poteva per far piacere a Giovannino. «Quanto sei morbido! Quanto sei dolce! Ti voglio bene» disse Barbara, stendendo le braccine al suo calore scintillante. «Brava bambina» disse la luce del sole con approvazione e si mosse sulle sue guance e fra i suoi capelli, simile a una leggera carezza. «Ti piace il mio tocco?» domandò come se volesse essere lodata. «Delizioooso» disse Barbara con un sospiro di felicità. «Chiacchiere, chiacchiere, chiacchiere! Non ho mai veduto un posto dove si chiacchiera tanto. C’è sempre qualcuno che parla in questa stanza» disse una voce acuta dalla finestra. Giovannino e Barbara alzarono gli occhi. Era lo Stornello che viveva in cima al comignolo. «Senti chi parla» disse Mary Poppins, volgendosi in fretta. «E tu allora? Tutto il giorno, e anche metà notte, sui tetti e sui pali del telegrafo, cinguettando, gridando e schiamazzando. Peggio di un passero, questa è la verità.» Lo Stornello piegò la testa da una parte e la guardò dal davanzale della finestra. «Bene» disse «ho i miei affari a cui badare. Consulti, discussioni, querele, contratti… E questo naturalmente rende necessario un certo quantitativo di… tranquilla conversazione.» «Tranquilla!» esclamò Giovannino ridendo di cuore. «Non stavo parlando con te, giovanotto» disse lo Stornello, saltando giù dal davanzale della finestra. «E non hai bisogno di parlare, in tutti i casi. Ti ho sentito per molte ore di seguito, sabato scorso. Santo cielo, credevo che non la smettessi più, mi hai tenuto sveglio tutta la notte.» «Quello non era parlare» disse Giovannino. «Stavo…» Fece una pausa. «Avevo un dolore, voglio dire.» «Hum!» disse lo Stornello e saltò sulla sponda della culla di Barbara. Camminò sull’orlo finché giunse a capo della culla. Poi disse con una vocetta smorfiosa: «Bene, Barbara, non hai qualcosa per il tuo vecchio amico oggi, eh?» Barbara si tirò su aggrappandosi a una sbarra del lettino. «C’è l’altra metà del mio biscotto d’orzo» disse, e glielo porse col suo pugnetto grasso e tondo. Lo Stornello ci si buttò sopra, glielo strappò di mano e volò sul davanzale della finestra. Cominciò a beccarlo golosamente. «Grazie di nuovo» disse Mary Poppins con intenzione, ma lo Stornello era troppo occupato a mangiare per capire il rimprovero. «Ho detto grazie!» disse Mary Poppins un po’ più forte. Lo Stornello alzò gli occhi. «Eh… cosa? Oh, andiamo, ragazza, andiamo. Non ho tempo per cerimonie del genere.» E inghiottì il resto del suo biscotto. La stanza era molto quieta. Giovannino, assopendosi nella luce del sole, mise in bocca le dita del piedino destro e le strofinò lì dove i denti cominciavano a spuntare. «Perché ti disturbi a fare così?» disse Barbara con una voce sommessa e divertita, che sembrava sempre piena di risa. «Non c’è nessuno che ti vede.» «Lo so» disse Giovannino, facendo come una suonatina coi piedi. «Voglio tenermi in esercizio, diverte tanto i grandi. Ti sei accorta che ieri la zia Flossie quasi diventava matta quando lo facevo? “Che caro, che bravo, che meraviglia, che creatura!” Non l’hai sentita?» E Giovannino allontanò da sé il piedino e scoppiò a ridere al pensiero della zia Flossie. «Le è piaciuto anche il mio scherzo» disse Barbara dolcemente. «Mi sono tirata via tutti e due i calzini, e lei ha detto che ero così buona che avrebbe voluto mangiarmi. Non è buffo? Se io dico che vorrei mangiare qualcosa, voglio dire veramente quello. Biscotti e ciambelle e i pomi del lettino e altro ancora. Ma a quanto pare i grandi non vogliono mai dire quello che dicono. Lei non poteva realmente desiderare di mangiarmi, non è vero?» «No. È solo la maniera sciocca che hanno di parlare» disse Giovannino. «Credo che non capirò mai i grandi. Sembrano tutti così stupidi. E anche Giovanna e Michele sono stupidi qualche volta.» «Già» assentì Barbara, pensosamente, togliendosi i calzini e tornando a metterseli. «Per esempio» proseguì Giovannino «non capiscono una sola delle cose che diciamo noi. Ma peggio ancora, non capiscono ciò che dicono le altre cose. Ecco, soltanto lunedì scorso Giovanna diceva che avrebbe desiderato conoscere la lingua del Vento.» «Lo so» disse Barbara. «È sorprendente. E Michele continua a dire, hai sentito, che lo Stornello dice pio pio pio. Non capisce che lo Stornello non dice affatto pio pio pio, ma parla proprio la nostra stessa lingua. Naturalmente uno non pretende che la mamma e il papà sappiano questo, loro non sanno nulla, anche se sono molto cari, ma avrei creduto che Giovanna e Michele capissero.» «Una volta capivano» disse Mary Poppins piegando una camicia da notte di Giovanna. «Cosa?» domandarono insieme Giovannino e Barbara con voce molto sorpresa. «Veramente vuoi dire che capivano lo Stornello e il Vento e…» «E quello che dicono gli alberi e la lingua del sole e delle stelle. Certo che lo capivano. Una volta!» disse Mary Poppins. «Ma… ma com’è che hanno dimenticato tutto?» disse Giovannino corrugando la fronte e cercando di comprendere. «Ah» disse lo Stornello, con aria informata, alzando gli occhi dalle briciole del biscotto. «Vi piacerebbe saperlo?» «Perché sono diventati grandi» spiegò Mary Poppins. «Barbara, mettiti subito i calzini per piacere.» «Questa è una stupida ragione» disse Giovannino guardandola severamente. «È quella vera, però» Mary Poppins soggiunse legando strettamente i calzini di Barbara intorno alle caviglie. «Ecco, sono Giovanna e Michele che sono stupidi» continuò Giovannino. «Io so che non lo dimenticherò quando io sarò grande.» «Neanch’io» fece eco Barbara succhiandosi il ditino con soddisfazione. «Sì, lo dimenticherete» disse Mary Poppins con aria sicura. I gemelli si alzarono su e la guardarono. «Già!» disse lo Stornello con disprezzo. «Guardateli! Credono di essere le meraviglie del mondo. Piccoli prodigi. A me non pare proprio! Certo che lo dimenticherete, come Giovanna e Michele.» «No che non lo dimenticheremo» dissero di nuovo i gemelli, guardando lo Stornello come se volessero ucciderlo. Lo stornello li burlò. «Io dico che lo dimenticherete» insistette. «Non è colpa vostra, certo» aggiunse più gentilmente. «Dimenticherete perché non potete farne a meno. Non c’è mai stato un essere umano che l’abbia ricordato dopo l’età di un anno, al massimo, eccetto naturalmente lei…» E girò la testa indicando Mary Poppins. «Ma perché lei può ricordare e noi no?» disse Giovannino. «A–a–a–h! Lei è differente. Lei è la Grande Eccezione. Non possiamo basarci su di lei» disse lo Stornello, sorridendo con ironia. Giovannino e Barbara tacevano. Lo Stornello proseguì la spiegazione: «Sì, lei è qualcosa di speciale, sapete. Non per la sua bellezza. Uno dei miei pulcini appena nati è più bello di quel che non sia mai stata Mary.» «Oh, impertinente!» disse Mary Poppins furibonda, lanciandosi verso di lui e buttandogli contro il grembiule. Ma lo Stornello saltò da una parte e volò sul davanzale della finestra fischiando maliziosamente, ben fuori dalla sua mira. «Credevi di prendermi questa volta, vero?» la canzonò e scosse verso di lei le piume delle ali. Mary Poppins brontolò. La luce del sole si mosse attraverso la stanza, tirandosi dietro la sua scia dorata. Fuori si era alzato un vento leggero e frusciava dolcemente tra gli alberi di ciliegio del Viale. «Ascolta, ascolta, il Vento sta parlando» disse Giovannino chinando la testa da un lato. «Dici davvero che non saremo più capaci di udirlo quando saremo grandi, Mary Poppins?» «Lo udirete benissimo» disse Mary Poppins «ma non lo comprenderete.» A queste parole Barbara cominciò a piangere sommessamente. E c’erano lacrime anche negli occhi di Giovannino. «Be’, non ci si può far nulla. Le cose vanno così» disse Mary Poppins in tono ragionevole. «Ma guardateli, guardateli!» li canzonò lo Stornello. «Piangono da morire! Uno stornello nell’uovo ha più cervello. Ma guardateli!» Infatti Giovannino e Barbara piangevano a dirotto nei loro lettini, lunghi, profondi singhiozzi di grande infelicità. La porta si aprì all’improvviso ed entrò la signora Banks. «Credevo di aver sentito i bambini» disse. Poi corse dai gemelli. «Cosa c’è, bambini miei? Oh, miei tesori, mie stelle, uccellini miei, che c’è? Sono stati così quieti tutto il pomeriggio, non un fiato. Ora cosa può essere?» «Sì, signora. No, signora. Ritengo che stiano mettendo i denti, signora» disse Mary Poppins, non guardando, deliberatamente, in direzione dello Stornello. «Oh, certo. Dev’essere questo» disse la signora Banks giocondamente. «Non voglio i denti, se mi fanno dimenticare tutte le cose che mi piacciono di più» gemette Giovannino agitandosi nel suo lettino. «Neppure io» pianse Barbara, nascondendo il volto nel cuscino. «Poveri piccoli miei, agnellini miei, andrà tutto bene quando spunteranno quei brutti dentacci» disse carezzevole la signora Banks, andando da un lettino all’altro. «Non capisci!» gridò furiosamente Giovannino. «Io non voglio i denti.» «Non andrà tutto bene, andrà tutto male» gemette Barbara nel suo cuscino. «Sì–sì. Qui–qui. La mamma sa. La mamma capisce. Andrà tutto bene, quando i denti spunteranno» mormorò teneramente la signora Banks. Un leggero rumore venne dalla finestra. Era lo Stornello che inghiottiva in fretta una risata. Mary Poppins gli lanciò uno sguardo che lo zittì, dopo il quale continuò a osservare la scena senza l’ombra di un sorriso. La signora Banks dava colpetti delicati ai bimbi, prima all’uno poi all’altro, mormorando parole che volevano essere rassicuranti. A un tratto Giovannino smise di piangere. Aveva modi molto educati e amava la sua mamma e ricordava quello che le era dovuto. Non era colpa sua, povera donna, se diceva sempre la cosa sbagliata. Era solo, rifletté, perché non capiva. Così, per mostrarle che la perdonava, si mise supino e con aria desolata tirando su per il naso le lacrime, si prese il piede destro con le mani e ne fece strisciare le dita sulla bocca aperta. «Che bravo, che bravo» disse la madre, ammirata. Lo fece ancora, e lei ne fu molto compiaciuta. Poi Barbara, per non essere da meno in cortesia, venne fuori dal suo cuscino e, con le lacrime ancora umide sulla faccia, si drizzò e si sfilò i calzini. «Che bambina straordinaria» disse la signora Banks con orgoglio e la baciò. «Ecco, vedete, Mary Poppins! Sono di nuovo buoni. Io riesco sempre a confortarli. Buonissimi, buonissimi» disse la signora Banks, come se cantasse una ninnananna. «E i denti spunteranno subito.» «Sì, signora» disse Mary Poppins dolcemente, sorridendo ai gemelli. La signora Banks uscì e chiuse la porta. Appena fu scomparsa lo Stornello scoppiò in una fragorosa risata. «Scusate la risata» gridò. «Ma veramente, non posso farne a meno. Che scena! Che scena!» Giovannino non gli fece caso. Spinse la faccia tra le sbarre del lettino e chiamò piano e rabbioso Barbara: «Io non sarò come gli altri. Ti dico che non lo sarò!» Scosse la testa verso lo Stornello e verso Mary Poppins. «Possono dire quello che vogliono. Io non dimenticherò mai, mai!» Mary Poppins sorrise, un segreto sorriso, tutto rivolto a se stessa, che voleva dire: «Ne so più di voi.» «Neanch’io» gli rispose Barbara. «Mai mai.» «Benedette penne della mia coda, sentite!» gridò lo Stornello, mentre appoggiava le ali sui fianchi e gorgogliava per l’allegria. «Come se potessero fare a meno di dimenticare! Fra un mese o due, tre al massimo, non sapranno neanche più come mi chiamo io, ridicoli cuculi! Ridicoli cuculi spennati! Ah ah ah!» E con un altro fragoroso scoppio di risa agitò le ali screziate e volò fuori dalla finestra. Non passò molto tempo che i denti, con grande fastidio, spuntarono, come debbono fare tutti i denti, e i gemelli festeggiarono il loro primo compleanno. Il giorno dopo la festa, lo Stornello, che era stato in vacanza al mare, tornò al numero 17 di Viale dei Ciliegi. «Ohilà, ohilà, ohilà, eccomi di nuovo qui» gridò pieno di gioia, atterrando con un piccolo dondolio sul davanzale della finestra. «Bene, come la va, ragazza?» domandò sfacciatamente a Mary Poppins, piegando la testina da una parte e guardandola con occhi allegri e maliziosi. «Non va certo meglio perché me lo chiedi tu» disse Mary Poppins, scuotendo la testa. Lo Stornello rise. «La stessa vecchia Mary Poppins» disse. «Non sei cambiata affatto. Come stanno gli altri, i cuculi?» domandò e guardò attraverso il lettino di Barbara. «Bene, Barbarina» cominciò con la sua sommessa voce smorfiosa «non hai qualcosa per il tuo vecchio amico, oggi?» «Ba–ba–ba–ba–ba» disse Barbara ninnandosi dolcemente, mentre continuava a mangiare il suo biscotto d’orzo. Lo Stornello, con un sussulto di sorpresa, saltellò più vicino. «Dicevo» ripeté più distintamente «non hai qualcosa per il tuo vecchio amico, oggi, Barbara cara?» «Ba–ba–ba–ba–ba» mormorò Barbara guardando il soffitto, mentre inghiottiva l’ultima briciola. Lo Stornello la guardò fissamente. «Ah!» disse all’improvviso e si volse guardando interrogativamente Mary Poppins. Gli occhi quieti di lei incontrarono i suoi in un lungo sguardo. Poi, rapido come una freccia, lo Stornello volò sul letto di Giovannino e si posò sulle sbarre. Giovannino teneva stretto fra le braccia un grosso agnello di lana. «Come mi chiamo? Come mi chiamo? Come mi chiamo?» gridò lo Stornello con una voce acuta e ansiosa. «Pa–pa–pa» disse Giovannino, aprendo la bocca e mettendoci dentro una zampa dell’agnello di lana. Lo Stornello scosse la testa e volò via. «Così è accaduto» disse quietamente a Mary Poppins. Lei assentì. Per un momento lo Stornello scrutò i gemelli con amarezza. Poi alzò le ali screziate. «Be’, lo sapevo che sarebbe accaduto. Lo dicevo sempre. Non volevano crederci.» Rimase in silenzio per breve tempo, guardando fisso nei lettini. Poi si scosse con decisione. «Bene, bene. Devo andare via. Tornare al mio comignolo. Avrà bisogno delle pulizie di primavera. Avrò molto da fare.» Volò sul davanzale della finestra e si fermò, guardando indietro. «Mi sembrerà strano, però, senza di loro. Mi piaceva tanto parlare con loro. Mi piaceva davvero. Sentirò la loro mancanza.» In fretta si passò l’ala sugli occhi. «Piangi?» lo prese in giro Mary Poppins. Lo Stornello si drizzò. «Piango? No di certo. Ehm, è un leggero raffreddore, l’ho preso nel mio viaggio di ritorno; è tutto qui. Sì, un leggero raffreddore. Nulla di grave.» Si lanciò verso la finestra, si lisciò le piume del petto con il becco, e poi: «Ciao» disse con disinvoltura. Aprì le ali e scomparve. Luna piena Tutto il giorno Mary Poppins era stata di fretta, e quando era di fretta era sempre di cattivo umore. Qualunque cosa Giovanna facesse andava male, qualunque cosa facesse Michele era ancora peggio. Si inquietava persino coi gemelli. Giovanna e Michele si tenevano il più possibile lontani da lei, perché sapevano che certe volte era meglio non essere visti o sentiti da Mary Poppins. «Vorrei che fossimo invisibili» sospirò Michele, dopo che Mary Poppins gli ebbe detto che la sola vista di lui era più di quel che una persona rispettabile potesse sopportare. «Possiamo diventare invisibili» suggerì Giovanna «se andiamo dietro il sofà. Lì ci mettiamo a contare i soldi dei nostri salvadanai, e può essere che lei sia d’altro umore, dopo mangiato.» E così fecero. «Sei penny e quattro penny, cioè dieci penny. E uno scellino e due scellini» disse Giovanna contando in fretta. «Quattro penny e due penny e… basta» sospirò Michele, facendo un mucchietto dei suoi. «Tutto questo va bene per le offerte ai poveri» disse Mary Poppins, guardando da sopra il bracciolo del sofà e arricciando il naso. «Oh, no» disse Michele con aria di rimprovero. «Sono per me. Sto risparmiando.» «Hum, per uno di quei tuoi aeroplani, suppongo!» disse Mary Poppins con disprezzo. «No, per un elefante, uno proprio tutto per me, come Lizzie al Giardino Zoologico. Potrei portarti a spasso, poi» aggiunse Michele, mezzo guardandola e mezzo non guardandola, per vedere come l’avrebbe presa. «Hum» disse Mary Poppins «che idea!» Ma videro che non era più così di cattivo umore come prima. «Io mi domando» disse Michele pensosamente «che cosa succede al Giardino Zoologico la notte quando tutti sono andati a casa.» «Quante curiosità» ribatté Mary Poppins. «Non era curiosità. Domandavo soltanto» la corresse Michele. «Tu lo sai?» domandò a Mary Poppins, che stava togliendo a tutta velocità le briciole dalla tavola. «Un’altra domanda e pim, pum, a letto!» rispose, e cominciò a riordinare la stanza così in fretta da sembrare più un turbine in cuffia e grembiule che un essere umano. «È inutile interrogarla. Lei sa tutto ma non dice mai nulla» commentò Giovanna. «A cosa serve sapere, se non lo dice a nessuno» brontolò Michele, ma lo disse a mezza bocca in modo che Mary Poppins non potesse udire. Giovanna e Michele non ricordavano di essere mai stati messi a letto così in fretta come quella sera. Mary Poppins spense la luce molto presto e uscì velocemente come se tutti i venti della terra le soffiassero dietro. Sembrò loro tuttavia che non fosse passato neanche un minuto, quando udirono una voce bassa mormorare alla porta. «Presto, Giovanna e Michele!» disse la voce. «Mettetevi qualcosa e sbrigatevi!» Saltarono giù dal letto trasalendo di sorpresa. «Andiamo» disse Giovanna «succede qualcosa.» E cominciò a frugare nell’oscurità per trovare i suoi abiti. «Presto!» disse ancora la voce. «Oh, povero me, tutto quel che riesco a trovare è il mio berretto alla marinara e un paio di guanti» disse Michele, correndo per la stanza, tirando i cassetti e annaspando fra la roba. «Quelli bastano. Indossali. Non fa freddo. Andiamo.» Anche Giovanna era riuscita a trovare soltanto un cappottino di Giovannino: ci infilò a malapena le braccia e aprì la porta. Non c’era nessuno, ma sembrò loro di udire qualcosa che si precipitava giù per le scale. Giovanna e Michele le andarono dietro. Qualunque cosa fosse, o chiunque fosse, si teneva continuamente davanti a loro. Non la vedevano mai, ma avevano la sensazione distinta di essere guidati da qualcosa che faceva loro costantemente segno di seguire. Ecco che giunsero nel Viale, le loro pantofole strisciavano sul marciapiede mentre avanzavano. «Presto» li incitò ancora la voce da un angolo vicino, ma, quando l’ebbero oltrepassato, non riuscirono a vedere nulla. Cominciarono a correre, tenendosi per mano, seguendo la voce giù per le strade, attraverso i vicoli, sotto gli archi e attraverso il Parco, finché ansimanti e senza fiato si arrestarono presso una grande porta a bussola, che s’apriva in un muro. «Eccovi arrivati» disse la voce. «Dove?» le domandò Michele. Ma non ci fu risposta. Giovanna avanzò verso la porta girevole, trascinando Michele per la mano. «Guarda!» disse. «Non vedi dove siamo? È il Giardino Zoologico!» Una luna piena, luminosissima, brillava nel cielo, e alla sua luce Michele osservò il cancello di ferro e guardò attraverso le sbarre. Ma certo! Come aveva fatto a non accorgersi che era il Giardino Zoologico? «Ma come facciamo a entrare?» domandò il bambino. «Non abbiamo soldi.» «Non fa niente» disse una voce profonda, rude, dal di dentro. «I visitatori speciali entrano gratis questa notte. Spingete la ruota, prego!» Giovanna e Michele spinsero e furono dall’altra parte in un minuto. «Eccovi il biglietto» disse la voce rude e alzando gli occhi videro che proveniva da un grosso Orso Bruno che portava una giacca con bottoni d’ottone e in testa un berretto a punta. Nella sua zampa c’erano due biglietti rosa che porse ai bambini. «Ma di solito siamo noi a consegnare i biglietti» disse Giovanna. «Questa notte li ricevete» disse l’Orso sorridendo. Intanto Michele lo aveva osservato da vicino. «Io mi ricordo di te» disse all’Orso. «Una volta ti ho dato un barattolo di miele.» «Sì» disse l’Orso «e ti sei dimenticato di togliere il coperchio. Sai, ho lavorato per più di dieci giorni intorno a quel coperchio. Fai più attenzione la prossima volta.» «Ma perché non stai nella tua gabbia? Stai sempre fuori la notte?» domandò Michele. «No, solo quando il Compleanno cade di luna piena. Ma dovete scusarmi. Devo badare al cancello.» E l’Orso si voltò e ricominciò a far girare la manovella della bussola. Giovanna e Michele, con i biglietti in mano, s’inoltrarono nel Giardino Zoologico. Nella luce della luna piena ogni albero, fiore, arbusto era ben visibile e potevano scorgere le cose e le gabbie molto distintamente. «Sembra che ci sia un sacco di gente in giro» osservò Michele. E infatti era così. Animali correvano tutt’intorno per i sentieri, talvolta accompagnati da uccelli e talvolta soli. Due lupi li oltrepassarono, parlando con calore a una cicogna altissima che camminava tra loro in punta di piedi, con movimenti aggraziati e leggeri. Giovanna e Michele, al loro passaggio, colsero distintamente le parole “Compleanno” e “Luna piena”. Un po’ più lontano tre cammelli vagabondavano uno accanto all’altro e non molto distante un castoro e un avvoltoio americano erano immersi in una conversazione. E sembrò ai bimbi che discutessero tutti dello stesso argomento. «Chissà di chi è il Compleanno…» disse Michele, ma Giovanna camminava avanti osservando una scena curiosa. Proprio presso la gabbia dell’elefante un vecchio signore molto grosso e molto grasso stava camminando su e giù a quattro zampe e sul dorso, su due sedili paralleli, portava otto scimmie che facevano una passeggiata. «Ma è tutto a rovescio!» esclamò Giovanna. Il vecchio signore le lanciò uno sguardo furioso mentre la sorpassava. «A rovescio!» brontolò. «Io a rovescio? No di certo. Che insulto volgare!» Le otto scimmie risero forte. «Scusi. Non intendevo lei, ma tutto quanto insieme» spiegò Giovanna, affannandosi a corrergli dietro per scusarsi. «Nei giorni ordinari gli animali trasportano gli esseri umani e ora c’è un essere umano che trasporta gli animali.» Ma il vecchio signore, trascinandosi e ansimando, insistette che era stato insultato e se ne andò via in fretta con le scimmie sulla schiena. Giovanna capì che non era il caso di seguirlo, così prese per mano Michele e riprese il cammino. Trasalirono quando una voce, quasi ai loro piedi, li sorprese. «Avanti voi due! Entrate! Ora vogliamo vedere voi che vi tuffate a prendere una buccia d’arancia che non desiderate.» Era una voce dura, in collera: guardando in giù videro che veniva da una Foca piccola e nera, che li guardava con la coda dell’occhio da una vasca illuminata dalla luna. «Andiamo, su, e vediamo se vi piace!» disse. «Ma… ma noi non sappiamo nuotare» disse Michele. «Non posso farci niente» disse la Foca. «Avreste dovuto pensarci prima. Nessuno si preoccupa di sapere se io so nuotare o no. Ehi, cosa c’è? Che cos’è questo?» Fece l’ultima domanda a un’altra Foca che era emersa dall’acqua e le stava mormorando qualcosa all’orecchio. «Chi?» disse la prima Foca. «Parla più forte!» La seconda Foca continuò a sussurrare. Giovanna colse le parole «Visitatori speciali. Amici di…» e poi nient’altro. La prima Foca sembrò contrariata, ma disse abbastanza gentilmente a Giovanna e a Michele: «Oh, domando scusa. Piacere di conoscervi. Domando scusa.» E porse la pinna e strinse la mano mollemente a tutti e due. «Fa’ attenzione a dove vai, accidenti!» gridò mentre qualcosa urtava violentemente Giovanna. Lei si volse in fretta ed ebbe un piccolo sussulto di spavento, vedendo un enorme Leone. Gli occhi del Leone scintillarono, guardandola. «Oh, volevo dire…» cominciò. «Non sapevo che eravate voi. Qui è così affollato stanotte e ho tanta premura di vedere il pasto degli uomini che non guardavo dove stavo andando. Venite? Non dovreste perdere questo spettacolo, sapete.» «Forse» disse Giovanna gentilmente «dovreste mostrarci la via.» Non si fidava troppo del Leone, ma le sembrava abbastanza educato. “E dopo tutto” pensò, “stanotte è tutto sottosopra.” «Con piacere!» disse il Leone con una voce piuttosto affettata e le offrì il braccio. Lei lo prese, ma per essere più tranquilla si tenne Michele accanto. Era un bimbo così tondo e grasso, e dopo tutto, pensava, i leoni sono leoni… «Sta bene la mia criniera?» domandò il Leone mentre andavano. «L’ho arricciata per l’occasione.» Giovanna la guardò. Effettivamente era stata unta con cura e pettinata a ricciolini. «Benissimo» disse lei. «Ma è piuttosto strano che un Leone badi a cose simili. Io credevo…» «Come! Mia cara giovane signora, il Leone, come voi sapete, è il Re degli animali. Deve rammentarsi la sua posizione. E io personalmente non credo di dimenticarla. Ritengo che un Leone debba sempre fare la sua miglior figura, non importa dove sia. Da questa parte.» E con un grazioso cenno della zampa anteriore indicò la Casa dei Felini e li precedette all’ingresso. Giovanna e Michele trattennero il respiro alla vista che si presentò ai loro occhi. La vasta sala era affollata di animali. Parte erano appoggiati alla lunga sbarra che li separava dalle gabbie, parte stavano ritti sulle poltroncine di fronte alle gabbie. C’erano pantere e leopardi, lupi, tigri e antilopi, scimmie e istrici, daini, capre delle nevi e giraffe; e un enorme gruppo composto interamente di gabbiani e avvoltoi. «Splendido, vero?» disse il Leone con orgoglio. «Proprio come ai vecchi cari giorni della giungla. Ma andiamo. Dobbiamo prendere dei posti buoni.» E si fece strada tra la folla gridando «Pista, pista!» e trascinandosi dietro Giovanna e Michele. Finalmente, attraverso un piccolo spazio nel mezzo della sala, riuscirono a vedere le gabbie. «Cosa?» disse Michele, spalancando la bocca. «Sono piene di uomini!» Ed era proprio così. In una gabbia due corpulenti signori di mezza età con cilindro e calzoni a righe vagavano su e giù, guardando ansiosamente attraverso le sbarre, come se fossero in attesa di qualcosa. Bimbi di ogni forma e misura, dai lattanti in fasce in su, si agitavano in un’altra gabbia. Gli animali di fuori li guardavano con grande interesse e alcuni tra loro cercavano di far ridere i bambini, infilando le zampe e le code attraverso le sbarre. Una giraffa allungò il collo sopra le teste degli altri animali e lasciò che un ragazzino in abito da marinaio le solleticasse il naso. In una terza gabbia erano imprigionate tre signore anziane, con tanto di impermeabile e scarpe da pioggia. Una di loro lavorava all’uncinetto, ma le altre due si tenevano presso le sbarre, gridando agli animali e agitando verso di loro gli ombrelli. «Sudici bruti. Andate via. Voglio il mio tè!» gridava una di esse. «Non è divertente?» dissero parecchi degli animali e le risero in faccia rumorosamente. «Giovanna, guarda!» disse Michele, indicando una gabbia alla fine della fila. «Non è?…» «L’Ammiraglio Boom!» disse Giovanna, con un’aria molto sorpresa. Era l’Ammiraglio Boom. Si arrampicava su e giù nella sua gabbia, tossendo e soffiandosi il naso e sputando di rabbia. «Corpo di mille bombe! A me la ciurma! Ammainate le vele!» gridava l’Ammiraglio. Ogni volta che si avvicinava alle sbarre, una tigre lo punzecchiava leggermente con un bastone, facendolo imprecare terribilmente. «Ma come sono finiti tutti là dentro?» domandò Giovanna al Leone. «Perduti» spiegò il Leone «o piuttosto rimasti indietro. Queste sono le persone che hanno gironzolato e sono rimaste indietro quando i cancelli sono stati chiusi. Dovendo tenerli in qualche posto, li teniamo qui. È pericoloso, quello lì. Poco fa quasi ammazzava il custode. Non andategli vicino!» E indicò l’Ammiraglio Boom. «State indietro, per favore, state indietro! Non spingete! Fate strada, per favore!» gridavano parecchie voci. «Ah, adesso danno loro da mangiare!» disse il Leone, spingendosi con eccitazione tra la folla. «Ecco i custodi.» Quattro Orsi Bruni, ciascuno con un berretto a punta, spingevano i carrelli col cibo attraverso il piccolo corridoio che separava gli animali dalle gabbie. «State indietro, voi!» dissero, quando un animale intralciò loro il cammino. Poi aprirono una porticina in ciascuna gabbia e vi spinsero il cibo con dei forchettoni appuntiti. Giovanna e Michele videro chiaramente ciò che accadeva attraverso uno spiraglio tra una pantera e un dingo. Diedero bottiglie di latte ai bambini, che se ne impossessarono con le manine morbide e iniziarono a stringerle golosamente. I bambini più grandi afferrarono dai forchettoni pan di Spagna e ciambelle e cominciarono a mangiare con voracità. Piatti con sottile pane imburrato e pasticcini furono dati alle signore con le scarpe da pioggia, e i signori in cilindro ebbero costolette d’agnello e bicchieri di crema. Costoro, appena ricevuta la loro razione, se la portarono in un angolo, stesero il fazzoletto sui calzoni a righe e cominciarono a mangiare. Ma ecco, appena i custodi ebbero oltrepassato la fila delle gabbie, si udì un gran trambusto. «Che mi scoppino le budella! E questo sarebbe un pasto? Un misero pezzetto di manzo e due cavoletti! Come?! Niente pasticcio di maiale? Orrore! Levate l’àncora! E dov’è il mio porto? Porto, dico! Ancorate! Ohi, la ciurma laggiù! Dov’è il porto dell’Ammiraglio?» «Ascoltatelo! È tornato feroce. Ve lo dico io, quello lì è pericoloso» disse il Leone. Giovanna e Michele non avevano bisogno di chiedere a chi alludesse. Conoscevano troppo bene il linguaggio dell’Ammiraglio Boom. «Bene» disse il Leone quando il chiasso nella sala fu meno assordante. «Sembra che siamo alla fine. E temo di dover andare, scusatemi. Ci vedremo più tardi alla Grande Catena, spero. Vi cercherò.» E conducendoli alla porta, si congedò da loro, agitando la criniera ondulata; il suo corpo dorato era circonfuso dalla tenue luce lunare. «Oh, per piacere» lo chiamò Giovanna. Ma il Leone non poteva più udirla. «Volevo domandargli se non usciranno mai! Quella povera gente! Pensa, avrebbero potuto essere Giovannino e Barbara, o uno di noi!» Si voltò verso Michele, ma si accorse che non era più accanto a lei. Si era inoltrato in uno dei sentieri e, correndogli dietro, lo trovò a parlare con un Pinguino che stava piantato in mezzo al sentiero, con un gran quaderno sotto un’ala e un’enorme matita sotto l’altra. Mentre lei si avvicinava, il Pinguino mordeva la punta della matita pensosamente. «Non riesco a trovarne altre» disse Michele, apparentemente in risposta a una domanda. Il Pinguino si volse a Giovanna: «Forse tu puoi dirmelo» disse. «Ecco: cosa fa rima con “Mary”? Non posso usare “la dama dei misteri” perché è già stato fatto prima e bisogna essere originali. Se stai per suggerirmi “la donna di ieri” non farlo. L’ho già pensato, ma siccome non le si adatta affatto, non va bene.» «“Dov’eri”» disse Michele con un sorriso luminoso. «Hum, non troppo poetico» osservò il Pinguino. «“Sei nei miei pensieri” può andare?» disse Giovanna. «Mah.» Il Pinguino sembrò riflettere. «Non mi pare che vada molto, vero?» disse sconcertato. «Temo di dover rinunciare. Vedete, sto cercando di scrivere una poesia per il Compleanno. Pensavo che sarebbe tanto graziosa se cominciasse così: “Oh, Mary, oh, Mary” ma non so andare avanti. È molto seccante. Si aspettano qualcosa di dotto da un Pinguino e non voglio deluderli. Be’, be’… non dovete farmi perder tempo. Devo andare avanti con la mia poesia.» E dicendo questo si allontanò in fretta, mordicchiando la matita, chino sul suo quaderno. «Tutto ciò non è molto chiaro» disse Giovanna. «Di chi è il Compleanno, si può sapere?» «Su, venite voi due, venite. Desiderate presentare i vostri omaggi, suppongo, dato che è il Compleanno eccetera» disse una voce dietro di loro, e voltandosi videro l’Orso Bruno che aveva dato loro i biglietti al cancello. «Oh, ma certo» rispose Giovanna, pensando che era la cosa più seria da dirsi, ma senza sapere né immaginare a chi stavano per porgere i loro omaggi. L’Orso Bruno mise un braccio intorno a ciascuno di loro e li guidò lungo il sentiero. I bambini sentivano il suo pelo caldo e morbido strisciare contro i loro corpi e udivano il rimbombo che faceva la sua voce nello stomaco, mentre parlava. «Eccoci, eccoci!» disse l’Orso Bruno, fermandosi davanti a una piccola casa le cui finestre erano così vivamente illuminate che, se non fosse stata una notte di luna piena, avreste creduto di veder brillare il sole. L’Orso aprì la porta e con garbo spinse dentro i due bambini. Da principio la luce li abbagliò, ma presto i loro occhi si abituarono e videro che erano nella Casa dei Serpenti. Tutte le gabbie erano aperte e i serpenti erano fuori, alcuni pigramente attorcigliati in grossi nodi scagliosi, altri a strisciare leggeri sul pavimento. E in mezzo ai serpenti, su una trave che evidentemente era stata presa da una delle gabbie, sedeva Mary Poppins. Giovanna e Michele facevano fatica a credere ai loro occhi. «Alcuni ospiti per il Compleanno, Signora» annunciò l’Orso Bruno rispettosamente. I serpenti volsero le teste verso i bambini, interrogativamente. Mary Poppins non si mosse, ma parlò: «E dove hai lasciato il tuo cappotto, se posso chiederlo?» disse guardando brusca ma senza sorpresa Michele. «E il tuo cappello e i guanti?» investì Giovanna. Ma prima che uno dei due avesse il tempo di rispondere, ci fu un movimento nella Casa dei Serpenti. «Ssssst! Sssst!» I serpenti con un leggero sibilo si drizzarono e s’inchinarono a qualcosa dietro Giovanna e Michele. L’Orso Bruno si levò il berretto a punta. E lentamente anche Mary Poppins si alzò. «Mia cara bambina. Mia carissima bambina» disse una vocina, delicata e sibilante. E fuori dalla gabbia più grossa uscì con lenti, morbidi, tortuosi movimenti, un Cobra Reale. Con graziose curve, scivolò oltre i serpenti inchinati e l’Orso Bruno, verso Mary Poppins. E quando l’ebbe raggiunta, sollevò la parte anteriore del suo lungo corpo dorato ed ergendo la testa a scaglie d’oro la baciò delicatamente, prima su una guancia e poi sull’altra. «Così!» sibilò sommessamente. «Questo è molto piacevole, molto piacevole veramente. È passato un gran tempo dall’ultima volta che il tuo Compleanno è caduto di luna piena, mia cara.» Volse la testa. «Sedetevi, amici» disse inchinandosi graziosamente agli altri serpenti, che a quelle parole di nuovo strisciarono sul pavimento con riverenza, si avvolsero su se stessi e si misero a mirare il Cobra e Mary Poppins. Poi il Cobra si voltò verso Giovanna e Michele e con un piccolo brivido i bambini videro che aveva la faccia più piccola e avvizzita che avessero mai visto. Fecero un passo avanti, perché i suoi strani occhi profondi sembravano attirarli. Erano lunghi e stretti, con uno scuro sguardo addormentato e, in mezzo a quella scura sonnolenza, una luce viva brillava come un gioiello. «E questi chi sono?» disse con la sua voce sommessa e agghiacciante il Cobra Reale, scrutando i bambini. «La signorina Giovanna Banks e il signor Michele Banks, al vostro comando» disse l’Orso Bruno, arcigno, come se fosse mezzo impaurito. «Amici di lei.» «Ah, amici di lei! Allora sono i benvenuti. Prego, miei cari, accomodatevi.» Giovanna e Michele, sentendo in un modo o nell’altro che erano alla presenza di un Re – sensazione che non avevano avuto quando avevano incontrato il Leone – con difficoltà distolsero gli occhi da quello sguardo avvolgente, e si guardarono intorno alla ricerca di qualcosa su cui sedersi. L’Orso Bruno provvide rannicchiandosi e offrendo loro un ginocchio peloso per ciascuno. Giovanna disse in un soffio: «Parla come se fosse un gran signore.» «Lo è. È il signore del nostro mondo, il più saggio e il più terribile di noi tutti» disse l’Orso Bruno sommessamente e con riverenza. Il Cobra Reale sorrise, un lungo, lento, misterioso sorriso, e si volse a Mary Poppins. «Cugina» cominciò sibilando delicatamente. «È veramente suo cugino?» mormorò Michele. «Secondo cugino da parte di madre» rispose l’Orso Bruno, sussurrando l’informazione dietro la zampa. «Ma ascoltate, adesso. Sta per offrire il regalo del Compleanno.» «Cugina» ripeté il Cobra. «È passato molto tempo dall’ultima volta che il tuo Compleanno è caduto di luna piena e molto tempo da quando abbiamo potuto celebrare l’avvenimento come lo celebriamo stanotte. Ho avuto perciò tutto il tempo di considerare la questione del tuo regalo di Compleanno. E ho deciso» fece una pausa, e non si sentiva nessun suono nella Casa dei Serpenti, se non il suono di molte creature che trattenevano tutte il respiro, «che non possso far di meglio che darti una delle mie pelli.» «Davvero, cugino, è troppo gentile da parte tua» cominciò Mary Poppins, ma il Cobra levò il capo per imporle il silenzio. «Niente affatto. Niente affatto. Tu sai che io cambio la mia pelle di tanto in tanto e che una più, una meno, significa poco per me. Non sono forse…» fece una pausa e girò intorno lo sguardo. «Il signore della giungla» sibilarono tutti i serpenti all’unisono, come se la domanda e la risposta facessero parte di un ben noto cerimoniale. Il Cobra fece un cenno con la testa: «Così» disse «quello che sembra bene a me, sembrerà bene a voi. È un ben piccolo dono, cara Mary, ma può servire per una cintura o un paio di scarpe, anche per una guarnizione da cappello; queste cose tornano sempre utili, sai.» E cominciò a contorcersi graziosamente da una parte e dall’altra e sembrò a Giovanna e Michele, mentre lo osservavano, che piccole onde corressero sul suo corpo dalla coda alla testa. Improvvisamente dette un balzo, lungo, contorto, attorcigliato a spirale, e la sua dorata pelle esterna cadde sul pavimento e al posto di quella indossava un abito nuovo di argento scintillante. «Aspetta» disse il Cobra, mentre Mary Poppins si chinava a raccogliere la pelle. «Voglio scriverci sopra un saluto.» E fece scorrere in fretta la coda sulla pelle che aveva abbandonato, piegò in cerchio graziosamente il suo dorato involucro e infilandoci la testa, come se fosse una corona, la porse con garbo a Mary Poppins. Lei la prese, inchinandosi. «Non so proprio come ringraziarti» cominciò e s’interruppe. Era evidentemente molto soddisfatta, perché fece scorrere la pelle avanti e indietro tra le dita, guardandola ammirata. «Non cercare di ringraziarmi» disse il Cobra. «Sssst!» proseguì e tese la testa come in ascolto. «Mi pare di udire il segnale per la Grande Catena.» Tutti ascoltarono. Una campana suonava e si udì una voce profonda e dura avvicinarsi sempre più gridando: «Grande Catena, Grande Catena! Ciascuno al centro per la Grande Catena e il Finale. Venite, venite. Tenetevi pronti per la Grande Catena!» «Proprio così» disse il Cobra sorridendo. «Devi uscire, mia cara. Staranno aspettando che tu prenda posto al centro. Arrivederci al tuo prossimo Compleanno.» Si eresse come aveva fatto prima e delicatamente baciò Mary Poppins su tutte e due le guance. «Va’, presto!» disse il Cobra. «Avrò cura io dei tuoi giovani amici.» Giovanna e Michele sentirono l’Orso Bruno muoversi sotto di loro e si alzarono. Sentirono strisciare sui loro piedi tutti i serpenti, che lasciavano in fretta la Casa dei Serpenti. Mary Poppins s’inchinò molto cerimoniosamente verso il Cobra Reale e, senza rivolgere uno sguardo ai bambini, corse verso l’ampio piazzale verde, al centro del Giardino Zoologico. «Puoi lasciarci» disse il Cobra all’Orso Bruno che, dopo essersi inchinato umilmente, corse fuori col berretto in mano, là dove tutti gli altri animali si stavano adunando intorno a Mary Poppins. «Volete venire con me?» chiese gentilmente il Cobra a Giovanna e Michele. E, senza attendere che rispondessero, strisciò tra loro e con un movimento della testa li invitò a camminare uno da una parte e uno dall’altra. «Cominciata» disse, sibilando di piacere. E dalle alte grida che ora si levavano dal prato, i bimbi poterono indovinare che parlava della Grande Catena. Mentre si avvicinavano, udirono gli animali cantare e gridare, ed ecco che videro leopardi e leoni, castori, cammelli, orsi, gru, antilopi e molti altri, che formavano un gran cerchio tutti intorno a Mary Poppins. Poi gli animali cominciarono a muoversi, gridando selvaggiamente i loro canti della giungla, impennandosi dentro e fuori dal cerchio e scambiandosi mano e lato come fanno i ballerini della Grande Catena dei Lancieri. Una vocetta languida s’innalzò su tutto il resto: «Oh, Mary, oh, Mary. Ti faccio tutti interi gli auguri più sinceri.» E videro il Pinguino avvicinarsi danzando, agitando le ali brevi e cantando energicamente. Il Pinguino li vide, s’inchinò al Cobra e disse: «Ce l’ho fatta. Mi avete sentito cantare? Non è una cosa perfetta, naturalmente. “Sinceri” è una rima un po’ facile con “Mary”. Ma può andare, può andare!» E fece un salto e offrì l’ala a un leopardo. Giovanna e Michele contemplavano la danza, il Cobra misterioso era ancora tra loro. Mentre il loro amico, il Leone, danzando s’inchinava a prendere nella sua zampa l’ala di un Fagiano Brasiliano, Giovanna provò timidamente a esprimere con parole le sue sensazioni. «Io credevo, Eccellenza» cominciò e s’interruppe, confondendosi, non troppo sicura se dovesse dirlo o no. «Parla, bambina mia» disse il Cobra. «Tu credevi?…» «Ecco, che i leoni e gli uccelli e le tigri e i piccoli animali…» Il Cobra la aiutò. «Tu credevi che fossero nemici naturali, che il leone non potesse incontrare un uccello senza mangiarlo, e lo stesso la tigre con la lepre, eh?» Giovanna arrossì e fece segno di sì con la testa. «Ah, può darsi che tu abbia ragione. È possibile. Ma non nel giorno del Compleanno» disse il Cobra. «Questa notte i piccoli non corrono pericoli e i grandi li proteggono. Anch’io» fece una pausa e sembrò riflettere profondamente, «persino io potrei incontrare un’oca selvatica senza pensare a uno spuntino, in questa occasione. E dopo tutto» proseguì, tirando dentro e fuori la lingua biforcuta mentre parlava, «può essere che mangiare ed essere mangiati siano la stessa cosa, in fondo. La mia saggezza mi dice che probabilmente è così. Siamo tutti fatti della medesima stoffa, ricordate bene, noi della giungla, voi della città. Siamo fatti della stessa sostanza, l’albero sopra di noi, il suolo sotto di noi, l’uccello, la belva, la stella, siamo tutti un’unica cosa, tutti ci muoviamo al medesimo fine. Ricordati questo, quando ti sarai dimenticata di me, bimba mia.» «Ma come può l’albero essere pietra? Un uccello non è me. Giovanna non è una tigre» disse Michele risolutamente. «Tu credi di no?» disse la voce sibilante del Cobra. «Guarda!» e accennò con la testa verso la massa di creature in movimento davanti a loro. Uccelli e animali ondeggiavano insieme circondando da vicino Mary Poppins, che dondolava leggermente da un parte all’altra. Avanti e indietro andava la folla ondeggiante, battendo il tempo, oscillando come il pendolo di un orologio. Anche gli alberi si piegavano e si sollevavano con grazia, e la luna sembrava dondolarsi nel cielo come un battello si dondola sul mare. «Uccello e bestia, pietra e stella, siamo tutti uno, tutti uno…» mormorò il Cobra, piegandosi lievemente su se stesso, mentre lui pure dondolava tra i bambini. «Bambino e serpente, stella e pietra, tutt’uno.» La voce sibilante divenne più sommessa. Le grida degli animali ondeggianti diminuivano e si allontanavano. Giovanna e Michele, in ascolto, sentivano che anche loro si dondolavano delicatamente o forse venivano fatti dondolare. Leggera, una luce soffusa coprì loro il volto. «Dormono e sognano, tutti e due» disse una voce in sussurro. Era la voce del Cobra, o quella della mamma quando li toccava nella sua abituale visita notturna alle stanze dei bambini? «Bene.» Era l’Orso Bruno che parlava arcigno o il signor Banks? Giovanna e Michele, cullandosi e ondeggiando, non avrebbero saputo dirlo. «Ho fatto un sogno così strano l’altra notte» disse Giovanna mentre a colazione innaffiava di zucchero i suoi fiocchi d’avena. «Ho sognato che eravamo al Giardino Zoologico ed era il compleanno di Mary Poppins, e invece di animali c’erano nelle gabbie degli uomini e tutti gli animali erano fuori.» «Ehi, questo è il mio sogno! Anch’io l’ho sognato» disse Michele, mostrandosi assai sorpreso. «Non possiamo aver sognato tutti e due la stessa cosa» disse Giovanna. «Sei sicuro? Ricordi il Leone che si arricciava la criniera e la Foca che voleva che noi…» «Ci tuffassimo a prendere una buccia d’arancia?» disse Michele. «Certo, me lo ricordo! E i bambini nelle gabbie, e il Pinguino che non riusciva a trovare una rima, e il Cobra.» «Allora non può essere stato un sogno» disse Giovanna con enfasi. «Deve essere stato vero. E se era vero…» Guardò curiosamente Mary Poppins, che stava facendo bollire il latte. «Mary Poppins» disse, «è possibile che Michele e io abbiamo fatto lo stesso sogno?» «Voi e i vostri sogni!» disse Mary Poppins, arricciando il naso. «Mangia i tuoi fiocchi d’avena, fammi il favore, altrimenti niente pane tostato col burro.» Ma Giovanna non voleva farsi azzittire. Doveva sapere. «Mary Poppins» disse guardandola risoluta, «sei stata allo Zoo stanotte?» «Al Giardino Zoologico? Io, al Giardino Zoologico di notte? Io? Una persona quieta e ordinata che sa che per star bene bisogna andare a letto presto e alzarsi presto?» «Ma ci sei stata?» insistette Giovanna. «In questa casa c’è già tutto lo Zoo che mi serve» disse Mary Poppins. «Iene, oranghi, tutto qui dentro. Siediti dritta e basta con le sciocchezze.» «Allora dev’essere stato un sogno» disse lei «dopo tutto.» Ma Michele stava fissando a bocca spalancata Mary Poppins, che ora arrostiva le fettine di pane al fuoco. «Giovanna» sussurrò con voce acuta. «Guarda!» Indicò col dito e anche Giovanna vide ciò che stava guardando. Intorno alla vita, Mary Poppins portava una cintura fatta di pelle di serpente a scaglie dorate. Sopra c’era scritto, in una calligrafia ricurva e serpentina: “Dono del Giardino Zoologico”. Compere natalizie «Sento odore di neve» disse Giovanna mentre scendevano dall’autobus. «Sento odore di alberi di Natale» disse Michele. «Sento odore di pesce fritto» disse Mary Poppins. E poi non ci fu tempo di sentire odore di altro, perché l’autobus si era fermato davanti al più grande negozio del mondo e loro stavano per entrarci per gli acquisti natalizi. «Possiamo guardare le vetrine prima?» chiese Michele saltando su una gamba sola per l’eccitazione. «Per me, fa’ pure» disse Mary Poppins con sorprendente mitezza. Non che Giovanna e Michele fossero veramente sorpresi, perché sapevano che la cosa che piaceva più di tutte a Mary Poppins era guardare le vetrine dei negozi. Sapevano anche che mentre loro guardavano giocattoli e libri e rami di pungitopo e dolci, Mary Poppins non guardava altro che se stessa riflessa nel vetro. «Guarda gli aeroplani!» disse Michele, mentre si fermavano davanti a una vetrina dove degli aeroplani giocattolo correvano per aria lungo fili metallici. «E guarda là» disse Giovanna. «Due bambinetti neri in una culla. Sono di cioccolata o di porcellana?» «E guardati!» disse a se stessa Mary Poppins, notando in particolare la graziosa figura che facevano i suoi nuovi guanti colorati e ornati di pelliccia. Era il primo paio che possedeva, e pensava che non si sarebbe mai stancata di vederli riflessi nelle vetrine dei negozi, con le sue mani dentro. E dopo aver esaminato i guanti riflessi, passò attentamente in rivista tutta la sua persona. Cappotto, cappello, sciarpa e scarpe, e lei stessa dentro; pensava che, in fin dei conti, lei non aveva mai visto nessuno con una figura tanto elegante e distinta. Ma i pomeriggi invernali, lei lo sapeva, erano corti, e dovevano essere a casa per l’ora del tè. Così con un sospiro si strappò dalla piacevole contemplazione. «Entriamo, ora» disse, e spiacque molto a Michele e Giovanna che si attardasse al banco delle mercerie e si desse un gran daffare nella scelta di una matassina di cotone nero. «Il reparto dei giocattoli» le ricordò Michele «è in quella direzione.» «Lo so, grazie. Non far segno col dito» disse, e pagò il conto con esasperante lentezza. Ma alla fine si trovarono accanto a Babbo Natale, che si affannò nell’aiutarli a scegliere i regali. «Questo andrà benissimo per il papà» disse Michele, scegliendo un trenino a carica con segnali speciali. «Ne avrò cura io per lui, quando lui va alla City.» «Io credo che prenderò questa per la mamma» disse Giovanna spingendo una carrozzina da bambola che, ne era sicura, sua madre aveva sempre desiderato. «Forse me la presterà qualche volta.» Dopo di ciò, Michele scelse un pacchetto di forcine da capelli per ciascuno dei gemelli, una scatola di meccano per la madre, uno scarabeo meccanico per Robertson Ay, un paio di occhiali per Ellen, che aveva una vista eccellente, e dei lacci da scarpe per la signora Brill, che portava sempre le pantofole. Giovanna dopo qualche esitazione decise alla fine che una pettorina bianca era proprio quello che ci voleva per il signor Banks e comprò per i gemelli il libro di Robinson Crusoe da leggere quando fossero diventati grandi. «Finché non sono abbastanza grandi, lo posso leggere io» disse. «Sono sicura che me lo presteranno.» Mary Poppins ebbe poi una lunga discussione con Babbo Natale su un pezzo di sapone. «Perché non al miele?» disse Babbo Natale, cercando di rendersi utile e guardando ansiosamente Mary Poppins, la quale sembrava stesse quasi per scoppiare. «Preferisco alla lavanda» disse lei altezzosamente e ne comprò un pezzo. «Santo cielo!» disse lisciando la pelliccia del suo guanto destro. «Avrei proprio voglia di una tazza di tè. È ora di andare a casa.» Ecco, aveva detto esattamente le parole che i bambini avevano sperato non dicesse. Questo era proprio il modo di fare di Mary Poppins. «Ancora cinque minuti» implorò Giovanna. «Oh sì, Mary Poppins! Stai così bene con i guanti nuovi» disse Michele con astuzia, per lusingarla. Ma Mary Poppins, pur apprezzando il complimento, non si lasciò distrarre. «No» disse e chiuse la bocca con un colpo secco e marciò fieramente verso l’uscita. «Oh, accipicchia» disse Michele a se stesso, mentre la seguiva, oscillando sotto il peso dei suoi pacchetti. «Se solo tu dicessi sì per una volta.» Ma Mary Poppins si affrettò avanti e dovettero andar con lei. Dietro di loro Babbo Natale faceva cenni di saluto con la mano e la Regina delle Fate sull’albero di Natale e tutte le altre bambole sorridevano malinconicamente e dicevano: «Ci porti a casa qualcuno!…» e tutti gli aeroplani dicevano con una voce simile a quella degli uccellini: «Fatemi volare! Oh, fatemi volare.» Giovanna e Michele affrettarono il passo, chiudendo le orecchie a quelle voci incantatrici con la sensazione che il tempo nel reparto dei giocattoli fosse stato irragionevolmente e crudelmente breve. Ed ecco che, mentre avanzavano verso la porta d’ingresso, capitò l’avventura. Stavano proprio per spingere la porta di vetro e uscire, quando videro venire nella loro direzione, dal marciapiede, la figura guizzante di una bambina in corsa. «Guarda!» dissero insieme Giovanna e Michele. «Santo cielo, bontà divina!» esclamò Mary Poppins e si arrestò. E ne aveva ben donde, poiché la bambina praticamente non indossava abiti: aveva soltanto una lieve fascia di stoffa azzurra che sembrava aver strappato dal cielo per cingere il suo corpo nudo. Era evidente che non se ne intendeva di porte girevoli, perché continuò a girarci dentro, spingendo così forte da farla girare sempre più veloce e ridendo perché la teneva prigioniera e la faceva ruotare come una trottola. All’improvviso, con un rapido movimento si liberò, schizzò fuori e atterrò dentro il negozio. Si fermò in punta di piedi, volgendo la testa di qua e di là, come se stesse cercando qualcuno. Poi con un sussulto di piacere si accorse della presenza di Giovanna e Michele e Mary Poppins, che stavano immobili, mezzo nascosti dietro un enorme abete, e si mosse gioiosamente verso di loro. «Ah, eccovi! Grazie di avermi aspettata. Temo di essere un po’ in ritardo» disse la bambina tendendo le belle braccine a Giovanna e Michele. «Allora» piegò la testa da una parte «non siete contenti di vedermi? Dite sì, dite sì!» «Sì» disse Giovanna sorridendo: chiunque sarebbe stato contento di vedere una creatura così radiosa e felice. «Ma chi sei?» domandò con curiosità. «Come ti chiami?» domandò Michele, fissandola con attenzione. «Chi sono? Come mi chiamo? Volete dire che non mi conoscete? Oh, certo, certo…» La bambina sembrò molto sorpresa e un po’ delusa. Si volse all’improvviso verso Mary Poppins e puntò il dito. «Lei mi conosce. È vero? Sono sicura che mi conosci!» Il volto di Mary Poppins aveva una strana espressione. Giovanna e Michele poterono vedere fiamme azzurre nei suoi occhi, come se riflettessero l’azzurro e la luce dell’abito della bambina. «Comincia… comincia con M?» La bambina saltò su una gamba divertita. «Certo che comincia così e tu lo sai. M–A–I–A. Io sono Maia.» Si volse a Giovanna e Michele. «Adesso mi riconoscete, vero? Io sono la seconda delle Pleiadi. Elettra è la maggiore, non è potuta venire perché bada a Merope. Merope è la più piccola, e noi altre cinque veniamo in mezzo, tutte femmine. Nostra madre all’inizio fu molto contrariata di non avere un maschio, ma ora non ci pensa più.» La bambina accennò qualche passo di danza e sbottò fuori ancora con la sua vocetta eccitata: «Oh, Giovanna! Oh, Michele! Io vi ho osservato spesso dal cielo ed ecco che ora sto proprio parlando con voi. Non c’è nulla di voi che non conosca. A Michele non piace pettinarsi e Giovanna tiene un uovo di tordo in un barattolo della marmellata sul caminetto. E vostro padre sta diventando calvo sul cocuzzolo. Gli voglio bene. Fu lui che per primo ci presentò, vi ricordate? Una sera, l’estate scorsa, disse: “Guardate, ecco là le Pleiadi. Sette stelle tutte insieme, le più piccole nel cielo. Ma c’è una di loro che non potete vedere”. Voleva dire Merope, naturalmente. È ancora troppo piccola per star su la notte: deve andare a letto molto presto. Qualcuno di lassù ci chiama “Le sorelline”, e qualche volta ci chiamano le “Sette colombe”. Orione ci chiama “Ehi ragazze” e ci porta a caccia con lui.» «Ma che cosa stai facendo qui?» domandò Michele ancora molto sorpreso. Maia rise. «Domandalo a Mary Poppins. Lei certo lo sa.» «Diccelo, Mary Poppins» supplicò Giovanna. «Be’» disse Mary Poppins seccamente, «suppongo che voi due non siate gli unici al mondo che abbiano da fare acquisti per Natale.» «Proprio così» cinguettò Maia giocondamente. «Ha proprio ragione. Sono venuta giù a comprare giocattoli per tutte loro. Non possiamo allontanarci spesso, sapete, perché siamo così occupate a preparare le Piogge di Primavera! Questo è il lavoro speciale delle Pleiadi. Tuttavia abbiamo tirato a sorte e ho vinto io. Non sono stata fortunata?» Si abbracciò da sola allegramente. «Adesso andiamo. Non posso trattenermi molto. E voi dovete tornare indietro e aiutarmi a scegliere.» E danzando loro intorno, correndo ora dall’uno e ora dall’altro, li trascinò di nuovo al reparto dei giocattoli. E mentre avanzavano la folla dei clienti si fermava a osservarli a occhi spalancati e lasciava cadere i pacchetti per la meraviglia. «Fa troppo freddo! I suoi genitori non dovrebbero lasciarla andare in giro così» dicevano le madri, con voci che si facevano all’improvviso delicate e sommesse. «Non dovrebbe essere permesso. Scriverò al Times!» dicevano i padri, e le loro voci erano aspre e corrucciate. Anche i capi reparto si comportavano in modo strano. Come il piccolo gruppo passava, s’inchinavano a Maia quasi fosse una regina. Ma nessuno di loro, né Giovanna, né Michele, né Mary Poppins, né Maia, notò né udì niente di eccezionale. Erano troppo occupati con la loro straordinaria avventura. «Eccoci!» disse Maia, entrando trionfalmente nel reparto dei giocattoli. «Ora, che cosa scegliamo?» Un commesso, con un sussulto, s’inchinò rispettosamente appena la vide. «Desidero qualcosa per ciascuna delle mie sorelle. Sono sei. Dovete aiutarmi a scegliere, per favore» disse Maia, sorridendogli. «Certo, signora» rispose l’assistente in modo cordiale. «Primo, la mia sorella maggiore» disse Maia. «È piuttosto casalinga. Cosa ne direste di un piccolo fornello da cucina con le casseruole d’argento? E questa scopa a strisce? Ci dà tanto da fare la polvere di stelle, e a lei farà molto piacere avere qualcosa con cui spazzarla via.» Il commesso cominciò ad avvolgere gli oggetti nella carta colorata. «Adesso per Taigete. Le piace ballare. Non credi, Giovanna, che una corda per saltare sia il regalo adatto? La avvolgerete con cura, vero?» disse al commesso. «Ho da fare molta strada.» Svolazzò fra i giocattoli, senza fermarsi un momento, come se avesse l’argento vivo addosso, o stesse ancora brillando nel cielo. Mary Poppins e Giovanna e Michele non potevano staccare lo sguardo da lei, mentre andava dall’uno all’altro domandando consiglio. «Adesso c’è Alcione. Lei è difficile. È così quieta e pensosa: sembra che non abbia mai voglia di nulla. Un libro, non credi, Mary Poppins? Cos’è questo “Libro della Giungla”? Credo che le piacerebbe. E se non le piace, può guardare le illustrazioni. Incartatemelo.» Porse il libro al commesso. «So quel che vuole Celeno» proseguì. «Un cerchio. Può farlo correre per il cielo di giorno e farselo girare attorno la notte. Le piacerà questo qui, rosso e turchino.» Il commesso s’inchinò di nuovo e cominciò a incartare il cerchio. «Ora, sono rimaste solo le due piccole. Michele, che cosa consiglieresti per Sterope?» «Cosa ne diresti di una trottola?» suggerì Michele, dopo una profonda riflessione. «Una trottola con la musica? Che bell’idea! La divertirà vederla danzare e cantare per il cielo! E che cosa suggerisci per Merope, la più piccolina, Giovanna?» «Giovannino e Barbara» rispose Giovanna timidamente «hanno anitre di gomma.» Maia diede in un grido di gioia e batté le mani. «Oh grazie, Giovanna! Non ci avrei mai pensato! Un’anitra di gomma per Merope, per favore, azzurra con gli occhi gialli.» Il commesso legò i pacchetti, mentre Maia gli correva intorno dando dei colpetti alla carta e delle tiratine alla corda per assicurarsi che fossero legati strettamente. «Va bene» disse. «Sapete, non posso perdere nulla.» Michele, che era stato a fissarla con insistenza fin dal suo apparire, si volse e disse sottovoce a Mary Poppins: «Ma non ha il borsellino. Chi pagherà i giocattoli?» «Non è affar tuo» lo rimbeccò Mary Poppins «e poi è da maleducato parlare sottovoce.» Ma cominciò a frugare con premura nella sua borsa. «Cos’hai detto?» domandò Maia spalancando gli occhi. «Pagare? Nessuno pagherà. Non c’è niente da pagare. Vero?» Volse lo sguardo scintillante al commesso. «Niente assolutamente, signora» assicurò il commesso, mentre le metteva fra le braccia i pacchetti e s’inchinava di nuovo. «Lo dicevo io. Vedi» disse rivolgendosi a Michele, «il vero spirito del Natale è che le cose devono essere regalate, non è vero? E poi, con che cosa pagherei? Non abbiamo soldi lassù.» E rise alla semplice supposizione di una cosa simile. «Ora dobbiamo andare» proseguì prendendo Michele per il braccio. «È molto tardi e ho sentito che la vostra mamma vi ha detto di tornare a casa in tempo per il tè. E anch’io devo tornare. Andiamo.» E tirandosi dietro Michele e Giovanna e Mary Poppins fece loro strada attraverso il negozio e fuori dalla porta girevole. Appena usciti, Giovanna disse improvvisamente: «Ma non c’è un regalo per lei. Ha comprato qualcosa per tutte le altre e nulla per sé. Maia non ha un regalo di Natale.» Cominciò a cercare in fretta tra tutti i suoi pacchetti per vedere che cosa poteva regalare a Maia. Mary Poppins lanciò un rapido sguardo nella vetrina accanto a lei. Si vide riflessa, molto elegante, molto distinta, col cappello dritto, l’abito stirato e coi guanti nuovi, che completavano l’effetto. «Non ti preoccupare» disse a Giovanna col suo tono più asciutto. E nello stesso tempo si sfilò i guanti e ne infilò uno in ciascuna delle mani di Maia. «Ecco» disse brusca. «Fa freddo oggi. Questi ti faranno comodo.» Maia guardò i guanti, che le pendevano molto larghi e quasi vuoti dalle mani. Non disse nulla ma si avvicinò a Mary Poppins, stese il suo braccino magro e liscio, lo mise intorno al collo di Mary Poppins e la baciò. Un lungo sguardo passò tra loro e si sorrisero come sorridono le persone che si comprendono. Poi Maia si volse e con la mano accarezzò leggermente Giovanna e Michele. E per un attimo stettero tutti in cerchio, guardandosi l’un l’altro come incantati. «È stato così bello» disse Maia sommessamente, rompendo il silenzio. «Non mi dimenticherete, vero?» Scossero la testa. «Addio» disse Maia. «Addio» dissero gli altri, anche se questa era l’ultima cosa che volevano dire. Poi Maia, stando in equilibrio sulla punta dei piedi, alzò le braccia e si slanciò nell’aria. Cominciò a salire, un gradino dopo l’altro, arrampicandosi sempre più in alto come se vi fossero stelle invisibili scolpite nel cielo grigio. Fece loro segno con la mano, mentre se ne andava, e loro tre ricambiarono lo stesso saluto. «Cosa mai succede?» disse qualcuno vicino a loro. «Ma non è possibile!» disse un’altra voce. «Assurdo!» gridò un terzo. Poiché una folla si era riunita ad assistere allo straordinario spettacolo di Maia che tornava a casa. Un vigile si fece strada tra la folla, disperdendola col suo manganello. «Ehi, ehi, cosa succede? Un incidente o che cosa?» Guardò in su, dove guardavano tutti. «Qui!» gridò furiosamente, minacciando Maia col pugno. «Vieni giù! Non possiamo permettere questo genere di cose, in un luogo pubblico. Questo non è naturale!» In lontananza si udì Maia ridere e si vide qualcosa di luminoso penderle dal braccio. Era la corda per saltare. Malgrado tutto, il pacchetto si era disfatto. Per un momento ancora la videro arrampicarsi su per l’aerea scala e poi una nuvola la nascose ai loro occhi. Si capiva tuttavia che Maia era là dietro, dalla luce che brillava intorno allo spesso orlo scuro. «Me l’ha fatta!» disse il vigile, guardando in su e grattandosi la testa sotto l’elmetto. «E ben vi sta!» disse Mary Poppins. E lo disse con impeto così feroce che chiunque avrebbe pensato che fosse veramente furiosa con il vigile. Ma Giovanna e Michele non si lasciarono ingannare da quel modo di fare. Perché videro negli occhi di Mary Poppins qualcosa che, se si fosse trattato di qualsiasi altro invece che di Mary Poppins, avrebbero pensato che fossero lacrime. «Forse ce lo siamo immaginato?» disse Michele quando arrivarono a casa e raccontarono la storia alla madre. «Forse» disse la signora Banks «forse noi immaginiamo cose strane e graziose, mio caro.» «Ma allora, i guanti di Mary Poppins?» disse Giovanna. «Noi l’abbiamo vista che li regalava a Maia. E adesso infatti non li porta. Perciò dev’essere vero!» «Come, Mary Poppins!» esclamò la signora Banks. «I vostri guanti migliori, col bordo di pelliccia, li avete dati via!» Mary Poppins arricciò il naso. «I miei guanti sono i miei guanti e ne faccio ciò che voglio» disse altezzosamente. Si tolse il cappello e andò in cucina a prendere il suo tè. Vento da Ovest Era il primo giorno di primavera. Giovanna e Michele se ne accorsero subito perché udirono il signor Banks che cantava in bagno, e questo accadeva solo una volta all’anno. Avrebbero ricordato per sempre quella particolare mattina. Da un lato era la prima volta che veniva loro concesso di scendere di sotto per la colazione, e dall’altro, il signor Banks perdette la sua borsa. Così la giornata iniziò con due avvenimenti straordinari. «Dov’è la mia borsa?» gridava il signor Banks, girando intorno per l’ingresso come un cane che vuole acchiapparsi la coda. E tutti cominciarono a correre intorno. Ellen e la signora Brill e i bambini. Anche Robertson Ay fece un grande sforzo e fece il giro due volte. Alla fine fu proprio il signor Banks a ritrovare la borsa nel suo studio, e irruppe nell’ingresso tenendo la borsa in aria. «Ecco» disse, come se stesse per cominciare una predica, «la mia borsa sta sempre in un posto. Qui. Sopra il portaombrelli. Chi l’ha messa nel mio studio?» gridò. «Sei stato tu, mio caro, quando hai tolto le cartelle delle tasse, ieri sera» disse la signora Banks. Il signor Banks le lanciò uno sguardo così offeso che la signora Banks avrebbe preferito dire che ce l’aveva messa lei, la borsa, nello studio. «Hum! Hum!» disse soffiandosi forte il naso e togliendo il cappello dall’attaccapanni. Avanzò con il cappello in mano fino alla porta. «Ciao» disse più animato. «I tulipani screziati sono in boccio!» Andò in giardino e aspirò l’aria. «Hum, Vento da Ovest, credo.» Guardò in giù, verso la casa dell’Ammiraglio Boom, dove il telescopio–banderuola si agitava. «Lo sapevo» disse. «Vento da Ovest. Chiaro e balsamico. Non voglio prendere il cappotto.» E con ciò, prese la borsa e si affrettò verso la City. «Hai sentito ciò che ha detto?» Michele prese il braccio di Giovanna. La bambina annuì. «Vento da Ovest» disse piano. Nessuno di loro aggiunse altro, ma nelle loro menti nacque un pensiero che avrebbero desiderato non nascesse. Lo dimenticarono subito, perché ogni cosa sembrava andare come sempre, e il sole di primavera illuminava così allegramente la casa che nessuno rammentava che lei aveva bisogno di una mano di bianco e di una nuova tappezzeria. Al contrario si trovarono tutti a pensare che era la più bella casa di tutto il Viale dei Ciliegi. Ma le complicazioni cominciarono dopo pranzo. Giovanna era andata a zappare in giardino con Robertson Ay. Aveva appena gettato una fila di semi in un solco, quando udì un gran fracasso nella stanza dei bambini, e il rumore di passi affrettati per le scale. Ecco che apparve Michele, rosso in faccia e tutto ansimante. «Guarda, Giovanna, guarda!» gridò e mostrò la mano, nella quale teneva la bussola di Mary Poppins, con il disco che girava furiosamente intorno all’ago, come se tremasse nella mano di Michele. «La bussola?» disse Giovanna con sguardo interrogativo. D’improvviso Michele scoppiò in lacrime. «Me l’ha data lei» singhiozzò. «Mi ha detto che ora la potrò tenere tutta per me. Oh, ci dev’essere qualcosa che non va. Cosa starà per succedere? Non mi ha mai dato nulla prima.» «Forse sarà soltanto per gentilezza» disse Giovanna per calmarlo, ma si sentì un tuffo al cuore come Michele. Sapeva benissimo che Mary Poppins non perdeva mai il tempo a essere gentile. Eppure, strano a dirsi, durante tutto il pomeriggio Mary Poppins non aveva detto neanche una parola sgarbata. Non aveva quasi mai pronunciato parola. Sembrava che pensasse profondamente e, quando le facevano delle domande, rispondeva con voce assente. Alla fine Michele non poté sopportarlo più a lungo: «Oh, sii sgarbata, Mary Poppins! Sii ancora sgarbata! Non è da te! Oh, mi sento tanto in ansia!» E veramente il cuore gli pesava al pensiero che qualcosa, non sapeva bene che cosa, stesse per accadere al numero 17 di Viale dei Ciliegi. «Sei sempre il solito sciocchino» lo rimproverò Mary Poppins, seccamente come al solito. E lui subito si sentì un po’ meglio. «Forse è soltanto un’impressione» disse a Giovanna. «Forse tutto va bene e io ho solo delle fantasie, ti pare, Giovanna?» «Forse» disse piano Giovanna. Ma era soprappensiero e si sentiva un peso al petto. Il vento crebbe, si fece più selvaggio verso sera, e soffiò in brevi raffiche intorno alla casa. Soffiò e fischiò giù per i comignoli, s’infilò nelle fessure delle finestre, rivoltò gli angoli dei tappeti nelle stanze dei bambini. Mary Poppins servì loro la cena e sparecchiò, riponendo le stoviglie con molta cura. Poi riordinò le stanze dei bambini e posò il bollitore sul caminetto. «Là!» disse, girando lo sguardo per la stanza per vedere se tutto era in ordine. Tacque per un momento. Poi pose delicatamente una mano sulla testa di Michele e l’altra sulla spalla di Giovanna. «Ecco» disse «ora vado giù a prendere le scarpe di Robertson Ay, per pulirle. State quieti finché torno.» Uscì e chiuse piano la porta dietro di lei. All’improvviso, mentre lei se ne andava, entrambi si sentirono spinti a correrle dietro, ma allo stesso tempo c’era qualcosa che sembrava fermarli. Rimasero quieti, con i gomiti sulla tavola, aspettando che lei tornasse. Ciascuno cercava di rassicurare l’altro senza dire nulla. «Come siamo sciocchi» disse a un tratto Giovanna. «Va tutto benissimo come al solito.» Ma sapeva di averlo detto più per confortare Michele che per dire il suo vero pensiero. L’orologio della loro stanza batté le ore. Il fuoco sfavillò, scoppiettò e morì lentamente. Rimasero a lungo seduti ad aspettare. Alla fine Michele osservò senza naturalezza: «È andata via da un bel pezzo, no?» Il vento fischiò e gridò intorno alla casa, come in risposta. L’orologio continuò a battere il suo doppio rintocco solenne. All’improvviso il silenzio fu rotto dal rumore della porta d’ingresso che si chiudeva con un forte colpo. «Michele!» disse Giovanna, trasalendo. «Giovanna!» disse Michele, pallido e ansioso. Stettero in ascolto. Poi corsero affannati alla finestra e guardarono fuori. Giù, proprio davanti alla porta d’ingresso, stava Mary Poppins, in cappotto e cappello, con la sua grande borsa di tappeto in una mano e l’ombrello nell’altra. Il vento le soffiava intorno selvaggiamente, impigliandosi nella sottana, mandandole fuori posto il cappello. Ma a Giovanna e Michele sembrò che lei non ci badasse, perché sorrideva come se il vento e lei se la intendessero. Si arrestò un momento sul gradino e lanciò un’occhiata alla porta d’ingresso. Poi con un rapido movimento aprì l’ombrello, per quanto non piovesse, e lo issò sopra la testa. Il vento con un urlo selvaggio s’infilò sotto l’ombrello spingendolo in su, come se cercasse di strapparlo dalla mano di Mary Poppins. Ma lei lo tenne forte, e proprio questo desiderava il vento, perché ecco che sollevò l’ombrello più in alto, in aria, e Mary Poppins dalla terra. La trascinava leggermente cosicché i suoi piedi sfioravano il sentiero del giardino. Poi la trasportò sopra il cancello e la trascinò su verso i rami degli alberi di ciliegio nel Viale. «Se ne va! Se ne va!» gridò Michele piangendo. «Presto!» gridò Giovanna. «Andiamo a prendere i gemelli. Devono vederla per l’ultima volta.» Non aveva dubbi, e neppure Michele, che Mary Poppins era andata via per sempre, perché il vento era cambiato. Ciascuno di loro afferrò uno dei gemelli e tornarono di corsa alla finestra. Mary Poppins era adesso alta nell’aria, navigava lontano, sopra gli alberi di ciliegio e i tetti delle case, tenendosi forte all’ombrello con una mano e alla borsa di tappeto con l’altra. I gemelli cominciarono a piangere sommessamente. Con la mano libera Giovanna e Michele aprirono la finestra e fecero un ultimo tentativo per fermare il volo di Mary Poppins. «Mary Poppins» gridarono «Mary Poppins, torna indietro!» Ma lei non udì o fece finta di non udire. Continuò a volare, su nell’aria nuvolosa, che fischiava. Fu trasportata lontano, oltre la collina, e i bambini non poterono vedere altro che gli alberi che si piegavano e gemevano al vento selvaggio dell’Ovest. «Ha fatto ciò che aveva detto. È rimasta finché il vento è cambiato» disse Giovanna, sospirando e ritirandosi dalla finestra, tristemente. Condusse Giovannino alla culla e ce lo mise dentro. Michele non disse nulla, ma mentre portava indietro Barbara e le rimboccava le coperte, inghiottì lacrime sconsolate. «Mi domando» disse Giovanna «se la vedremo ancora.» A un tratto udirono delle voci per le scale. «Bambini, bambini!» chiamava la signora Banks, aprendo la porta. «Bambini, sono furibonda. Mary Poppins ci ha lasciati.» «Sì» dissero Giovanna e Michele. «Come lo sapete?» disse la signora Banks, piuttosto sorpresa. «Vi aveva detto che se ne andava?» Scossero la testa e la signora Banks proseguì: «È un oltraggio! Era qui un minuto fa, e ora è andata via. Neppure una scusa. Ha detto solo: “Me ne vado!” E se ne è andata. Nulla di più sfacciato, di più sconsiderato, di più inurbano. Cosa c’è, Michele?» domandò inquieta, perché Michele l’aveva afferrata per il vestito e la scuoteva. «Cosa c’è, piccolo?» «Ha detto che sarebbe tornata?» gridò lui quasi sospingendo sua madre. «Dimmi, te l’ha detto?» «Non ti comporterai come un selvaggio, Michele?» disse lei liberandosi dalla stretta. «Non mi ricordo quel che ha detto, tranne che se ne andava. Ma certamente non intendo riprenderla, se vuole tornare. Piantarmi in asso, di punto in bianco, senza nessuno per aiutarmi e senza una parola di preavviso.» «Oh, mamma!» disse Giovanna in tono di rimprovero. «Sei una donna molto cattiva!» disse Michele, mostrandole i pugni come se stesse per colpirla. «Bambini! Mi vergogno di voi, proprio mi vergogno! Desiderare che torni una persona che ha trattato vostra madre in questo modo. Sono davvero sbalordita.» Giovanna scoppiò in lacrime. «Mary Poppins è la sola persona al mondo che io voglio!» gemette Michele e si rotolò sul pavimento. «Davvero, bambini, davvero! Non vi capisco. Siate buoni, ve ne prego. Non c’è nessuno che badi a voi, questa notte. Io devo andare a cena fuori ed è il giorno libero di Ellen. Dovrò mandarvi la signora Brill.» E li baciò distratta e se andò con una piccola ruga di ansia sulla fronte. «Mah! Se lo avessi fatto io! Andarsene così, poveri tesori, e piantarvi in questo modo» disse la signora Brill poco più tardi, venendo avanti rumorosamente e cominciando a prendersi cura dei bimbi. «Un cuore di pietra, ecco quello che aveva quella ragazza, non c’è dubbio su questo, oppure io non mi chiamo Clara Brill. Pensare sempre a se stessa, anche, e neppure un fazzoletto di merletto o una forcina in dono per ricordo. Su, per favore, padroncino Michele!» la signora Brill proseguì, respirando pesantemente. «Come l’abbiamo sopportata tanto a lungo, non so, con le sue arie, i suoi fronzoli e tutto il resto. Quanti bottoni, signorina Giovanna! State quieto e lasciatevi svestire, padroncino Michele. Brutta era per giunta, niente di bello da vedere! Davvero, tutto considerato, io non so se non staremo meglio, dopo tutto. Su, signorina Giovanna, dov’è la vostra camicia da notte? Ohi, cos’è questo sotto il cuscino?» La signora Brill aveva tirato su un elegante pacchettino. «Cos’è? Dammelo. Dammelo» disse Giovanna tremando per l’emozione e lo tolse in fretta dalle mani della signora Brill. Michele s’avvicinò e si fermò accanto a lei e la osservò sciogliere lo spago e strappare la carta marrone. La signora Brill, senza attendere di vedere che cosa saltava fuori dal pacchetto, andò dai gemelli. L’ultimo foglio che avvolgeva il pacchetto cadde sul pavimento e il suo contenuto apparve nella mano di Giovanna. «È il suo ritratto» disse in un soffio, guardandolo da vicino. Ed era proprio così. Dentro una piccola cornice barocca c’era un ritratto a colori di Mary Poppins e sotto c’era scritto “Mary Poppins dipinta da Berto”. «Berto è l’Uomo dei Fiammiferi, lo ha fatto lui» disse Michele, e lo prese in mano in modo da poterlo vedere meglio. Giovanna scoprì all’improvviso che c’era una lettera attaccata al ritrattino. La svolse con cura. C’era scritto: “Cara Giovanna, Michele ha avuto la bussola, così il ritratto è per te. Au revoir, Mary Poppins.” Giovanna lesse ad alta voce finché arrivò alle parole che non poteva capire. «Signora Brill» chiamò «cosa significa Au revoir?» «O revuar, cara?» gridò la signora Brill dalla stanza accanto. «Ecco, non significa… Lasciatemi vedere, non mi ritrovo in queste lingue estere. Non significa: Dio vi benedica? No, no, mi sbaglio. Io credo, cara signorina Giovanna, che significa arrivederci.» Giovanna e Michele si guardarono l’un l’altro. Un lampo di gioia e d’intesa brillò nei loro occhi. Sapevano quello che Mary Poppins voleva intendere. Michele tirò un profondo sospiro di sollievo. «Va benissimo» disse tremante. «Lei fa sempre quello che promette.» Si volse dall’altra parte. «Michele, piangi?» domandò Giovanna. Scosse la testa e cercò di sorriderle. «No, io non piango» disse. «Sono i miei occhi soltanto.» Giovanna lo spinse delicatamente verso il letto e, mentre lui ci si infilava, fece scivolare il ritratto di Mary Poppins nella sua mano, in fretta, per non avere il tempo di ripensarci. «Per stanotte lo puoi tenere, caro» mormorò Giovanna, e gli rimboccò le coperte proprio come era solita fare Mary Poppins. Leggera come il vento, robusta come un’istitutrice Dato che Pamela Lyndon Travers, nata nel 1906 nel Queenland, in Australia, “proprio dove la costa fronteggia la Grande Scogliera” chiede che il suo Mary Poppins venga considerato un “libro per bambini e non”, sarà bene ascoltarla con attenzione e allora, come lettori “bambini e non”, io vi propongo una piccola ma istruttiva esplorazione. Ecco: avrete, come tutti, in casa, un videoregistratore e non vi sarà difficile procurarvi due film in cassetta (o anche scoprirli su qualche canale che ogni tanto li manda in onda), si tratta di Rebecca, la prima moglie di Alfred Hitchcock, del 1940, e di Suspense, di Jack Clayton del 1961 (tratto dal racconto di Henry James Il giro di vite). Nel primo film, accanto alla giovane sposa giunta nel castello di Menderley, c’è la governante di Rebecca, quella che fu la “prima moglie”. Nel secondo, un ragazzino e una ragazzina vivono la loro esperienza drammatica (anch’essi in un castello…) con un’istitutrice che deve addirittura difenderli dai fantasmi. Ecco: prima di leggere Mary Poppins è bene cercare di capire chi fossero le istitutrici e le governanti. Vi parlo, naturalmente, delle governanti e delle istitutrici inglesi, perché noi italiani abbiamo, o abbiamo avuto, le “tate” o le “dade”, persone dotate di ruoli molto diversi. Le governanti e le istitutrici avevano invece una posizione fondamentale nelle famiglie inglesi che potevano, per la loro agiatezza, permettersi di stipendiarne una. C’erano addirittura scuole particolari da cui si usciva con il diploma di governante o istitutrice, e i corsi che vi si tenevano comprendevano materie davvero speciali. Certo lì non si insegnava quell’abilità di cui è dotata Mary Poppins e che l’ha resa tanto famosa: lì nessuna governante diplomata imparava a sollevarsi da terra come un fachiro indiano, ma tutte venivano messe in grado di tirar su i ragazzini con il culto delle buone maniere e con tutte le informazioni utili nella vita di un buon suddito britannico. Non bisogna dimenticare che fino a mezzo secolo fa l’Impero inglese governava gran parte del pianeta e quindi i ragazzini, una volta cresciuti, erano molto spesso destinati a diventare potentissimi personaggi in località molto lontane dal loro paese. Il ruolo della governante (già il nome ha qualcosa a che fare con i futuri governatori di tante isole, penisole, subcontinenti o istmi…) era così da intendersi come fondamentale. Le istitutrici e le governanti avevano in mano le sorti di gran parte del globo, può apparire strano e sconcertante, ma era così. Le prime idee sul comportamento, le prime abitudini, le inclinazioni più durature trovavano, nell’istitutrice, una specie di punto di riferimento indiscutibile. E i genitori? Loro erano molto meno coinvolti nell’allevamento dei bambini. Nelle case agiate o ricche, bambini e adulti inglesi vivevano addirittura separati. Regno della governante o dell’istitutrice era la nursery, ovvero la “camera dei bambini”, un regno assoluto, dove esistevano regole particolari, lontano, anche in senso territoriale, dalle stanze degli adulti, ben protetto e ben chiuso. Ora Mary Poppins ha l’incarico di raccontarci quasi tutto su quel regno segreto, separato, addirittura nascosto da tende, porte foderate, corridoi. Naturalmente le governanti e le istitutrici vere non erano proprio come lei, ci mancherebbe… Quando arriva ha con sé una valigia che è vuota, ma da cui tira fuori, vuota com’è, un po’ di tutto: undici camicie, un letto da campo pieghevole… sembra di assistere a un’esibizione di Eta Beta, quando fa comparire, dal suo minuscolo gonnellino, ombrelli, pistole, tavolini, oppure dei personaggi dei cartoons, che hanno in tasca pacchi di dinamite, cannoni, bombe a orologeria. Per Mary Poppins, come per i bambini e per i gatti, non esistono confini ben definiti tra il fantastico, l’assurdo, l’ironico e il reale: lei si mette a passeggiare perfino in un quadro, ci fa una gita, fa poi buon uso di Gas Esilarante che solleva in aria le persone e anche le cose. Però, quando si tratta di cibo, Mary Poppins è sempre molto chiara e molto esatta: “Entrarono in una stanza ampia e luminosa. Da una parte in un caminetto il fuoco scoppiettava allegramente e al centro c’era una tavola enorme preparata per il tè: quattro tazze e relativi piattini, montagne di pane e burro, gallette, pasticcini alle mandorle e una grossa torta coperta di glassa rosa.” Ecco un po’ di spesa: “un chilo di salsiccia dal macellaio, una sogliola di Dover, un chilo di merluzzo, mezzo chilo di gamberetti e un’aragosta dal pescivendolo.” Sì, se si allude agli alimenti, tutto diventa subito molto concreto, preciso, perfino pignolo. In questo senso Mary Poppins potrebbe assomigliare molto alle fiabe, o meglio a quelle fiabe in cui ci sono castelli incantati, sonni secolari, baci di principi che ridestano un regno e una ragazza, ma poi anche meringhe alla panna, porcellini arrosto, crostate di albicocche, formaggi, salami, bignè. Si comprende bene però che tutto il racconto di Mary Poppins vive intorno alla figura di un’istitutrice, e loro, le istitutrici, dovevano essere proprio così, sospese tra sogni, fiabe, filastrocche, capricci, fantasie, e cose molto sode e molto concrete, come il mangiare, il dormire, il tipo di sciroppo che fa bene a ogni bambino. Mary Poppins ha una sola bottiglietta e un solo cucchiaio, però il sapore del suo sciroppo cambia a seconda del bambino che lo beve. Dei bambini, infatti, lei capisce cose che ad altri appaiono misteriose. Tutto il sesto capitolo è, in questo senso, davvero splendido: Michele ha una di quelle “giornate storte” che capitano un po’ a tutti, ma forse specialmente ai bambini, la madre lo definisce prima “malato” e poi “cattivo”, e propone abbondante sciroppo nel primo caso e castigo nel secondo. Mary Poppins osserva, dispone le cose con i suoi modi bruschi, poi inizia un giro del mondo tutto fondato sui poteri di una bussola che aiuta a fantasticare. Alla sera Michele dice: “Non è una cosa buffa, Mary Poppins? Sono stato tanto cattivo e mi sento tanto buono.” Naturalmente la risposta dell’istitutrice è un burbero “Hum!”. Sembra che tutto questo universo domestico, la casa dei signori Banks, ma anche viali, strade, ville dei vicini, sia in certo modo tenuto sotto controllo dall’istitutrice, scontrosa, ma sempre presente e attenta. Andrea, il cane della ricchissima e solitaria signorina Lark, mangia solo ostriche e cibi alla crema, possiede quattro cappotti e ha gli stivaletti per andare nel parco quando piove. Ma un giorno torna a casa con un cagnaccio “che sembrava per metà un cane da caccia e per metà un barbone, e di entrambi la metà peggiore” e si fa capire solo da Mary Poppins che letteralmente traduce, per l’antipatica signorina Lark, il linguaggio del cane Andrea. Sono precise condizioni, altrimenti il cane se ne andrà per sempre, per conto suo: il cagnaccio amico dovrà essere accolto in casa e trattato benissimo, e basta con i cappotti e il trattamento dalla parrucchiera che Andrea non tollera più. Quando si riferisce agli animali, Mary Poppins cambia ancora. C’è una magica notte, sospesa tra il sogno e la realtà, in cui Giovanna, Michele e l’istitutrice si trovano nel Giardino Zoologico, ma le gabbie non contengono più gli animali, bensì le persone, e l’Ammiraglio Boom, il tremendo vicino di casa della famiglia Banks, se ne sta furioso dietro le sbarre come uno scimmione. E soffia anche il vento dell’Ovest, quello destinato a portar via Mary Poppins come quello dell’Est l’aveva fatta arrivare. Scorbutica e tenera, espertissima in tutto ma sognatrice, di carattere inflessibile ma capace di comprendere ogni bestiola… chi è? Ai bambini di casa Banks non interessa questa domanda: mentre l’istitutrice vola via nel vento, si limitano a sperare che torni presto. ANTONIO FAETI, 1994