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Indice
Biografia
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La Rotonda
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Le Ville
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I Palazzi
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Altre Opere
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I Percorsi Del Palladio (DVD Multimediale)
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Biografia
Biografia
ANDREA PALLADIO: LA CARRIERA DI UN GENIO
Andrea di Pietro della Gondola nasce a Padova il 30 novembre del 1508, in un periodo in cui
l’entroterra veneto sta vivendo un momento critico a causa della crisi politica e militare provocata dalla guerra contro Venezia voluta
dall’imperatore Massimiliano e dalla Lega Santa.
Il giovane Palladio inizia la sua carriera, poco più che tredicenne, come apprendista nella bottega dello scultore Cavazza, più precisamente in qualità di tagliapietra, ma solo dopo due anni, nel 1523, lascia la bottega e la città natale per andare a Vicenza, sua città d’adozione,
la quale, pur essendo più piccola di Padova, offre più opportunità per un giovane artigiano come lui e soprattutto gli dà la possibilità di
confrontarsi con maestri stagionali, provenienti da Lugano, specializzati in lavori d’arredo scultoreo sacro e profano.
Nel 1524 Andrea si iscrive alla Corporazione dei muratori, scalpellini e tagliapietre e per i successivi dodici anni impara ad intagliare
basi, capitelli, trabeazioni e modanature: si tratta di un momento fondamentale per Palladio perché compiendo queste opere acquisisce
il gusto per il dettaglio e la cura dello studio dell’antico.
La sua carriera è ora pronta a decollare, e verso il 1537 la sua vita cambia bruscamente grazie all’incontro con Gian Giorgio Trissino,
intellettuale e fra i maggiori esponenti dell’aristocrazia vicentina, letterato di una certa fama, e dilettante d’architettura.
Trissino commissiona al giovane Palladio la ricostruzione del suo
palazzo cittadino e, successivamente anche la residenza suburbana situata a Cricoli, modello di attualizzazione dei dettami dell’architettura classica. Proprio in questa occasione il dotto umanista vicentino scopre il talento di Andrea ed inventa per lui il
sofisticato e classicheggiante nome “Palladio”, che richiama la
sapienza di Pallade Atena.
Gian Giorgio Trissino è un elemento fondamentale nel percorso
di Palladio perché è proprio lui a raccomandarlo ad altri patrizi
vicentini durante i primi anni della sua attività, ed è sempre lui ad
accompagnarlo, nei primi anni Quaranta del Cinquecento, nelle
ricognizioni archeologiche, prima nel Veneto e quindi a Roma,
dove l’architetto può sperimentare e disegnare direttamente sul
campo i monumenti del mondo classico misurandoli e disegnandoli, apprendendo così il senso della misura e dell’equilibrio tipici
dell’architettura classica. I viaggi col suo mecenate significano
anche l’incontro con i grandi contemporanei: Michelangelo, Sebastiano Serlio, Giulio Romano, Bramante, altrettanto abili ed
originali, visto che questo secolo, come del resto il precedente,
è un periodo in cui l’architettura viene riconosciuta come altissima forma d’espressione culturale, strettamente legata alla rappresentazione del potere, della ricchezza, del prestigio sociale.
La sua attività autonoma come architetto inizia intorno al 1540,
ma è nel 1549 che avviene l’episodio che lo consacrerà definitivamente: la ricostruzione delle Logge della Basilica di Vicenza, in
sostituzione di quelle quattrocentesche. Da questo momento la
nobiltà vicentina si contenderà l’attività di Palladio.
Inizia dunque per l’architetto un periodo di intensa attività, impegnato non solo nella costruzione di palazzi cittadini, ma anche
di ville suburbane.
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Nel 1566 viene eletto tra i membri dell’Accademia di Disegno di Firenze, un privilegio
raro per un non toscano.
Nel 1570 pubblica i Quattro Libri dell’Architettura, un’opera esplicitamente rivolta alla
pratica ed un trattato che influenzerà tutta l’Architettura dell’età moderna e che sarà
fondamentale per la diffusione del palladianesimo a livello internazionale.
Nello stesso anno, alla morte di Jacopo Sansovino, Palladio assume il ruolo di architetto
ufficiale della Serenissima e si trasferisce a Venezia, anche se nella città lagunare incontra
una certa resistenza, soprattutto nel campo dell’edilizia pubblica: presenta, per esempio,
due progetti, nel 1554 e nel 1563, per il Ponte di Rialto, entrambi respinti dalle autorità
veneziane, come sarà respinto il progetto per Palazzo Ducale, devastato dopo il rovinoso
incendio del 1577.
Notevole invece l’influenza che Palladio esercita nell’architettura sacra, attraverso vaste
e complesse realizzazioni: il convento delle Zitelle alla Giudecca, la ristrutturazione globale della chiesa e del convento di San Giorgio Maggiore e la costruzione del Redentore,
tempio civico eretto dopo la peste del 1576.
Nel 1580 Andrea Palladio compie la sua ultima opera prima di morire: la realizzazione di
un teatro in muratura, il Teatro Olimpico, opera straordinaria e fondamentale per la storia dell’architettura europea, perché segna il ritorno del teatro a scena fissa, abbandonato
dai tempi della caduta dell’impero romano. A cantiere aperto, Palladio muore il 19 agosto
1580 ed il teatro sarà inaugurato cinque anni dopo grazie al completamento ad opera di
Vincenzo Scamozzi.
Palladio rappresenta dunque un caso singolare nella strada per la sua affermazione come
architetto, principalmente per via della sua formazione: egli passa infatti da un’iniziale attività pratica ed essenzialmente artigiana, che lo vede esecutore di difficili dettagli, come
i capitelli, e progettista di opere su piccola scala, ad essere, nella maturità, un architetto
essenzialmente teorico, che non lavora più con lo scalpellino, ma con la mente, con i libri,
con squadra e penna, con i suoi disegni dell’antico.
Palladio e l’antichità
Palladio meditò in modo molto approfondito, più
di tutti i suoi contemporanei, sull’architettura
classica e sul trattato di Vitruvio, che rimase un
riferimento fondamentale per tutto il Rinascimento. Ne uscì un sentimento di distacco rispetto
agli antichi, dovuto alla consapevolezza che essi
dovevano servire come fonte d’ispirazione e non
come modelli. E anche quando, dopo un’attenta
analisi, riprodusse fedelmente alcuni stilemi della
classicità, riuscì ad inscriverli in un contesto d’indubbia originalità. Così i capitelli ionici della Rotonda – di per sé non originali né particolarmente
interessanti – nulla tolgono alla straordinaria
modernità della villa nel suo complesso.
I Quattro Libri dell’Architettura
Il trattato stampato a Venezia nel 1570, caratterizzato da un linguaggio semplice e diretto, è frutto di
una preparazione durata circa vent’anni. Palladio
chiarisce fin da subito il programma: unire “utile”
e “comodo”, con particolare riguardo al fondamentale rapporto tra l’edificio e il luogo in cui sorge. Il
trattato nasce probabilmente dall’esigenza di riunire
e ordinare i vari momenti di un’esperienza professionale e culturale lunga e complessa.
Il testo è corredato da incisioni tratte da disegni
sicuramente autografi nella quasi totalità dei casi. I
progetti che vi compaiono, concreti, di case di campagne, palazzi, con precisi riferimenti alla posizione
sociale del committente o al rapporto “organico”
fra parti di rappresentanza e zone di servizio, sono
elaborati come “tipi” architettonici. L’opera segna
il vertice degli studi teorici condotti dagli architetti
rinascimentali e ottiene quasi subito un grande successo sia in Italia sia all’estero.
Le corporazioni delle arti e mestieri
Erano delle associazioni, create a partire dal XII
secolo in molte città italiane ed europee, per
regolamentare e tutelare le attività degli appartenenti ad una stessa categoria professionale, oltre
a curarne la formazione. Con questo nome sono
attestate a partire dal XIII secolo nelle città di
Venezia, di Padova e di Vicenza.
Le fraglia (anche “fragia” o “frala”, con il significato di “fratellanza”, da fratalia o fratalea) indica nel
Veneto e nei territori facenti parte della Repubblica di Venezia le corporazioni di arti e mestieri o le
confraternite religiose.
La Rotonda
La Rotonda
LA ROTONDA
Villa Almerico Capra detta “la Rotonda”, probabilmente la più celebre fra le opere palladiane, viene commissionata nel 1566 dal canonico Paolo Almerico, che considera questa una residenza suburbana, non propriamente una villa, come del resto lo stesso Palladio, che
nei Quattro libri dell’architettura la inserisce nella sezione dei palazzi di città.
Il prelato Almerico non aveva bisogno di un vasto palazzo ma desiderava una sofisticata villa, e fu esattamente questo che Palladio ideò
per lui: una residenza suburbana con funzioni di rappresentanza, ma anche tranquillo rifugio di meditazione e studio.
Ci vorranno però quarant’anni perché la costruzione venga completata grazie ai nuovi proprietari – Almerico nel frattempo era morto,
come del resto anche Palladio – Odorico e Mario Capra e grazie al nuovo architetto, Vincenzo Scamozzi, erede spirituale del geniale
architetto.
L’immagine è quella di una villa-tempio, dal volume pressoché cubico, sovrastata da una cupola originariamente ispirata al Pantheon e
quindi aperta da un oculo, ma poi realizzata in forma schiacciata e chiusa. Questo tipo di costruzione ha chiaramente un forte valore
simbolico, vista la combinazione di volumi perfetti, cubo e sfera, con gli spigoli orientati verso i punti cardinali, secondo una concezione
che rimanda alla filosofia greca.
Le quattro facciate della villa sono perfettamente identiche, ma ciascuna di esse si apre su una situazione paesaggistica diversa, offrendo
così un’inaspettata varietà di scenari.
Ognuna delle quattro facciate è dotata di un avancorpo con una loggia che si può raggiungere salendo una gradinata; ciascuno dei quattro ingressi principali conduce alla sala centrale sormontata dalla cupola.
La sala centrale rotonda, da cui il popolare nome di Rotonda, si sviluppa su tutta l’altezza, con corridoi d’accesso e ambienti d’angolo
su due livelli e rappresenta il centro nevralgico della composizione, alla quale il Palladio imprime slancio centrifugo allargandola verso
l’esterno, nei quattro pronai ionici e nelle scalinate. Essa ha la maestosità di una chiesa, caso unico nell’architettura civile del Palladio, e
probabilmente questo va messo in relazione con il rango ecclesiastico del primo committente.
Gli edifici rustici non sono affiancati alla parte centrale, ma sono nettamente staccati, anzi, sono proprio nascosti alla vista, nella parte
posteriore della collina e non erano previsti nel progetto originario di Palladio, ma aggiunti dallo Scamozzi.
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Le Ville
Le Ville
INTRODUZIONE
Durante il XV secolo Venezia attraversa un periodo di gravi difficoltà dovute, sul mare, dall’incontrollabile espansione dei Turchi che
minacciano il suo dominio, fino ad allora incontrastato, e, sulla terraferma, dal desiderio di conquista dei Visconti, per affrontare i quali
decide di accrescere i propri possedimenti dello “Stato da Terra”, spingendosi, dopo una serie di battaglie, ad annettere ampie zone della
pianura padana fino a Brescia e Bergamo.
Segue un lungo periodo di pace, che vedrà la nobiltà locale abbandonare l’attività guerriera e dedicarsi alla gestione dei possedimenti
terrieri, e quella veneziana capire che il commercio marittimo non poteva più essere una sicura fonte di ricchezza, motivo per cui inizia
ad acquistare possedimenti fondiari.
Verso la metà del Cinquecento la nobiltà veneziana comincia a dedicarsi all’attività agricola e dà avvio ad imponenti opere di bonifica e
all’introduzione di nuove tecniche di coltivazione Dal 1530 al 1560 assistiamo così ad un graduale “esodo”: i nobili veneziani si trasferiscono nelle ville di campagna, per dirigere in prima persona il fondo agricolo, oltre che per riposarsi dal lavoro cittadino.
Le residenze che i nobili chiedono rispecchiano anche la necessaria e nuova esigenza funzionale: gli edifici devono ospitare la famiglia
del padrone, i domestici, il bestiame e tutti gli strumenti necessari al lavoro. Ma questa classe sociale proviene da una ricca ed avanzata
cultura cittadina, la nuova dimora deve assumere anche un aspetto di magnificenza, che ricordi ed esalti il rango sociale dei padroni.
Palladio interpreta perfettamente queste esigenze, progettando edifici che integrano in maniera armonica le diverse funzioni della villa e
che dialogano con l’ambiente circostante.
VILLA EMO
Villa Emo viene progettata nel 1558 a Fanzolo di Vedelago per il committente Leonardo Emo, rappresentante di una nobile famiglia
veneziana. La tenuta agricola di Fanzolo si trova in una zona di centuriazione romana, regolata da tracciati ortogonali che si dimostrano
uno scenario ideale per le ampie prospettive palladiane.
Villa Emo rappresenta un punto d’arrivo nello schema di definizione architettonica della villa: la dimora padronale si erge su un alto basamento che ne esalta l’importanza ed è affiancata da due lunghe barchesse porticate che, come accade spesso in Palladio, sono concluse
da torri colombaie. La facciata, pur nella sua maestosità, è frutto di uno schema molto semplice e lineare: spicca la struttura del tempio
greco, con quattro colonne di ordine dorico sovrastate da un timpano triangolare con lo stemma della famiglia retto da angeli.
Nella progettazione della villa sono state utilizzate le stesse proporzioni matematiche, sia in elevazione che nelle dimensioni delle stanze,
impiegate da Palladio per il resto della sua opera.
Il progetto di Villa Emo è inserito nei Quattro libri dell’architettura e corrisponde esattamente alla sua realizzazione effettiva. Nel descriverla i commenti dell’architetto sono molto brevi, a differenza di quanto abbia fatto in altre circostanze.
L’interno della casa padronale è riccamente decorato da un ciclo di affreschi di Giovan Battista Zelotti, originario di Verona, specialista
della decorazione d’interni e presente anche in altre ville del Palladio.
VILLA BARBARO
Daniele e Marcantonio Barbaro sono i committenti della Villa di Maser: Marcantonio era un influente personaggio politico, spesso coinvolto nelle scelte architettoniche di Venezia, Daniele, patriarca di Aquileia, era un uomo colto e raffinato, oltre che essere un grande appassionato di architettura, tanto da diventare mentore del Palladio stesso, dopo la morte del suo primo mecenate, Gian Giorgio Trissino.
La cultura e la passione dei committenti fanno ipotizzare una probabile partecipazione degli stessi alla progettazione della loro dimora,
che in effetti rappresenta un caso particolare nel panorama delle realizzazioni dell’architetto.
Il corpo centrale presenta la struttura di un tempio, avanzato rispetto alle ali laterali, la cui facciata principale è scandita dalle quattro
semicolonne di ordine ionico, sovrastate da un timpano riccamente decorato da sculture di Alessandro Vittoria, artista profondamente
stimato dal Palladio.Le barchesse laterali terminano con singolari colombare, coronate anch’esse da timpano sotto al quale è inserita una
meridiana con simboli astrologici.Sul retro della villa viene realizzato anche un ninfeo semicircolare, ricavato sfruttando la pendenza della collina, che si affaccia su una peschiera, dalla quale, grazie ad un sofisticato sistema idraulico, l’acqua, dopo aver raggiunto gli ambienti
di servizio, veniva incanalata per l’irrigazione dei giardini e del frutteto.La decorazione degli interni è opera di Paolo Veronese, pittore fra
i massimi interpreti della pittura rinascimentale, che esegue un ciclo di affreschi di straordinario realismo, grazie al gioco di alternanze fra
architetture reali e architetture dipinte, e alle illusioni pittoriche che rappresentano personaggi ritratti a grandezza naturale che escono
da porte o si affacciano a balaustre e balconi.
Palladio, a vent’anni dalla costruzione della villa, nel 1580, torna a Maser per costruire il Tempietto, la cappella di famiglia, molto simile
al Pantheon, formata da quattro grandi pilastri che servono da contrafforti alla cupola.
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I Palazzi
I Palazzi
INTRODUZIONE
Vicenza ospita la maggior parte delle opere pubbliche realizzate da Palladio, che, con la progettazione di una decina di edifici, riesce a
dare alla città un volto pienamente rinascimentale.
In effetti le conseguenze del lungo periodo di crisi seguito al conflitto mosso dalla Lega di Cambrai avevano influito negativamente
anche sullo sviluppo delle arti per tutta la prima parte del Cinquecento, privando la città di quell’aspetto prestigioso e moderno che era
prerogativa già da molto tempo di molti centri italiani.
In linea con i principi umanistici e rinascimentali del tempo, Palladio fa rivivere l’antichità a Vicenza, cercando soluzioni per le facciate
e per i dettagli che non sono una mera copia degli edifici antichi, ma intendono dichiarare il proficuo dialogo con i grandi architetti
contemporanei, di cui aveva conosciuto le mirabili opere durante i viaggi a Roma.
PALAZZO BARBARAN DA PORTO
Il committente Montano Barbarano, per dimostrare il proprio prestigio sociale, mette a disposizione di Palladio il terreno centralissimo di
sua proprietà ed i vari palazzi che lo occupano, e lo incarica di fondere i vari edifici per crearne uno all’altezza delle sue ambizioni.
I problemi che l’architetto deve affrontare sono molti, ma la sfida viene vinta dal Palladio grazie a brillanti intuizioni formali e statiche.
Il progetto risale al 1569 ed è eseguito in stile manierista, tipico della fase matura dell’architetto.
Caratteristico, in entrata, l’atrio a colonne libere su uno schema di serliane, creato sia per sostenere il salone superiore con delle crociere
sia per compensare la divergenza dei muri perimetrali delle case preesistenti con impalcati piani.
Nella facciata si nota l’ordine ionico su bugnato del piano terra e l’ordine corinzio riccamente festonato del piano nobile.
Il palazzo Barbaran è l’unico palazzo di Vicenza che Palladio riesce a realizzare integralmente, dopo l’elaborazione di tre diversi progetti
che testimoniano la complessità del lavoro dell’architetto.
PALAZZO CHIERICATI
Il progetto di Palazzo Chiericati risale al 1550, anno in cui Palladio consegna i disegni al committente Girolamo Chiericati, che, nello
stesso anno, è chiamato a sovrintendere la gestione del cantiere delle Logge della Basilica: il Chiericati infatti, insieme al Trissino, si batte
in prima persona in Consiglio perché il prestigioso incarico di ristrutturazione della Basilica sia affidato al giovane Palladio.
La particolarità dell’edificio deriva dalla sua posizione scenografica, dal fatto cioè di affacciarsi su uno spazio aperto ai margini della città,
caso unico tra i palazzi del Palladio, che gli consente di esprimersi senza limitazioni imposte da una prospettiva stradale ristretta.
La facciata è impostata su un doppio ordine di logge, ispirata a certi schemi d’architettura usati per il foro romano, e per aumentare la
grandiosità dell’edificio, ma anche per proteggerlo dalle frequenti inondazioni, vista la vicinanza del fiume, Palladio solleva il palazzo su
un podio, che nella parte centrale è interrotto da una scalinata chiaramente ispirata ad un tempio antico.
Palazzo Chiericati rimane incompiuto per oltre un secolo, interrotto a metà della quarta campata, sarà completato verso il 1680, secondo
la tavola dei Quattro Libri.
PALAZZO THIENE
E’ il palazzo che esprime più di tutti l’avvenuto perfezionamento architettonico di Palladio.
L’edificio viene commissionato da Marcantonio Thiene e dal fratello Adriano, membri di una delle più potenti famiglie vicentine
Le ambizioni edilizie dei Thiene coinvolgono in un primo momento uno degli architetti più in voga dell’epoca, Giulio Romano, presente
a Vicenza nel 1542 per una consulenza sulla sistemazione della Basilica. Alla sua morte prematura, nel 1546, subentra Palladio nella
progettazione esecutiva e nella realizzazione del progetto.
Per questo l’edificio rispecchia le caratteristiche di entrambi gli architetti: l’impostazione dell’atrio a quattro colonne e della parte inferiore della facciata sono tipiche del Romano, mentre le trabeazioni e i capitelli del piano nobile sono chiaramente palladiani.
Del grandioso progetto che avrebbe dovuto occupare un intero isolato, per soddisfare la volontà dei committenti di rimarcare il proprio
ruolo in città con un palazzo principesco, viene realizzata solo una minima porzione.
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Altre Opere
Altre Opere
BASILICA PALLADIANA
L’intervento palladiano sul Palazzo della Ragione, il cui impianto medioevale era già stato rifatto alla fine del ‘400 da Formenton, nasce
dalla volontà dell’aristocrazia vicentina di distinguersi ed autocelebrarsi in iniziative private e pubbliche che rinnovano il volto della città
in senso classicistico.
Nel 1546 il Consiglio cittadino, grazie anche a Trissino e Chiericati, approva il progetto di Palladio, che vince sulla concorrenza di prestigiosi architetti quali il Sansovino, Serlio, Sanmicheli, Giulio Romano, sancendo così il prestigio da lui raggiunto nel contesto vicentino.
I lavori iniziano dopo tre anni, nel 1549, e proseguono a rilento: il primo ordine di arcate settentrionali e occidentali sarà concluso nel
1561, il secondo livello sarà completato nel 1597, il prospetto su piazza delle Erbe nel 1614.
Il progetto si caratterizza per la ripetizione del modulo della “serliana”, una finestra a tre luci con quella centrale ad arco, più alta ed
ampia, e quelle laterali rettangolari, di larghezza variabile e quindi in grado di assorbire le differenze di ampiezza delle campate.
Tra i modelli contemporanei che probabilmente influenzano l’architetto nella realizzazione del doppio porticato sovrapposto si ricorda la
libreria che Jacopo Sansovino aveva edificato nella piazzetta di San Marco a Venezia.
E’ proprio il Palladio a coniare per l’edificio un nome coerente alle sue convinzioni, in omaggio alle strutture della Roma antica dove si
discuteva di politica e si trattavano gli affari.
TEATRO OLIMPICO DI PALLADIO
E’ il primo teatro stabile coperto dell’epoca moderna. La realizzazione viene commissionata nel 1580 a Palladio dall’Accademia Olimpica,
alla cui fondazione egli stesso aveva partecipato nel 1556. Il Teatro Olimpico costituisce dunque l’ultima opera di Andrea Palladio ed è
considerato uno tra i suoi più grandi capolavori.
In quest’opera egli riporta gli esiti dei suoi lunghi studi sul tema del teatro classico: il progetto palladiano infatti ricostruisce il teatro dei
Romani con una precisione archeologica fondata sullo studio accurato del testo di Vitruvio e delle rovine dei complessi teatrali antichi.
I lavori iniziano nel 1580 e, dopo la morte di Palladio, continuano, sulla base dei suoi appunti, sotto la direzione del figlio Silla per concludersi nel 1584.
Per la realizzazione della scena viene chiamato Vincenzo Scamozzi, il più importante architetto vicentino dopo Palladio e suo erede
spirituale. Scamozzi disegna le scene lignee, di grande effetto per il loro illusionismo prospettico e la cura del dettaglio, costruite appositamente per lo spettacolo inaugurale avvenuto il 3 marzo 1585 con la rappresentazione dell’Edipo re di Sofocle. L’allestimento dello
Scamozzi si rivela una soluzione eccellente, e perciò rimane parte integrante del teatro, anche se solo in parte rispettosa del progetto
palladiano, che, per esempio, prevedeva solamente un’unica prospettiva sviluppata in corrispondenza della porta centrale della scena,
mentre nei due varchi laterali dovevano trovare posto fondali dipinti. Risale al progetto palladiano la cesura delle due ali di muro e il
soffitto “ alla ducale” sopra il proscenio.
LOGGIA DEL CAPITANIATO
Il cantiere viene avviato nel 1556, in sostituzione di un edificio simile che esisteva già nel Medioevo nella stessa posizione: una loggia
pubblica coperta al piano terreno e un salone per le udienze al piano superiore. Nata come sede del Maggior consiglio vicentino, in seguito cambiò destinazione ospitando il rappresentante della Repubblica di Venezia.
La costruzione, che sorge di fronte ad un’altra prestigiosa opera giovanile dell’architetto, riflette pienamente il suo stile maturo e magniloquente: alla trasparenza elegante e quasi esile delle serliane della Basilica, Andrea propone nella nuova opera la massiccia gravità
delle quattro colonne incassate dell’ordine gigante del prospetto principale. Palladio progetta in modo radicalmente diverso la facciata
sulla piazza e quella su contrà del Monte, per dare risposta adeguata a due situazioni diverse: l’ampia visuale frontale della piazza impone
lo slancio potente della dimensione verticale delle colonne giganti, mentre le ridotte dimensioni del fianco dell’edificio obbligano a un
ordine più contenuto. Sul fianco laterale una decorazione plastica celebra la vittoria della flotta veneziana sui Turchi a Lepanto il 17
ottobre 1571.
10-11
DICONO DI LUI…
“Il Maestro Andrea Palladio vicentino architetto
ha con incredibile profitto acquistato la vera architettura non solo intendendo le belle, e sottili
ragioni di essa, ma anco ponendole in opera, sì ne
i sottilissimi e vaghi disegni delle piante, de gli alzati, et de i profili, come ne lo eseguire e far molti,
e superbi edifici ne la patria sua, et altrove, che
contendono con gli Antichi dando lume a’ moderni e daran meraviglia a quelli che verranno”
Mons. Daniele Barbaro (1513-1579)
“Uomo grande nel suo intimo e dal suo interno”
“V’è davvero alcunché di divino nei suoi progetti”
Goethe, “Il viaggio in Italia”
“Palladio aveva una missione: trasformare, sostituire l’architettura scomoda, malsana, brutta con
architettura di gusto, dove fosse bello vivere, permettendo alle persone di vivere meglio…aveva
anche una mente da urbanista…direi che quando
creava un edificio, generava un ordine, creava collegamenti, riposizionava una strada, creava uno
spazio che non c’era: penso a Palazzo Chiericati
che genera una piazza su uno spazio difforme…”
Howard Burns, esperto di storia arte ed architettura