Scopri gli spettacoli del Teatro Regio che il

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Scopri gli spettacoli del Teatro Regio che il
Spettacoli Teatro Regio 2015/16
AIDA
TOSCA
di Giuseppe Verdi
Mercoledì 21 Ottobre h. 20,00
Giacomo Puccini
Giovedì 18 Febbraio h. 20,00
«Ciò che il Viceré vuole è un’opera egiziana esclusivamente storica. Le scene saranno
basate su descrizioni storiche, i costumi saranno disegnati avendo i bassorilievi
dell'alto Egitto come modello». Così il 27 aprile 1870 l'archeologo francese
Auguste Mariette scriveva a Camille Du Locle, direttore del Théâtre de l'Opéra
Comique di Parigi. L'“opera egiziana” che voleva Isma'il Pascià, Chedivè d’Egitto,
diventerà, ovviamente, Aida. La prima esecuzione ebbe luogo il 24 dicembre 1871 al
Teatro dell'Opera del Cairo. Da allora Aida è una delle opere più rappresentate
e amate al mondo: troppo facile etichettarlo solo come un kolossal operistico
(elefanti e cavalli nella scena del trionfo, come avviene negli storici allestimenti
all'aperto o nei Palasport) debitore dello stile del grand-opéra francese, Aida è opera
molto più raffinata e complessa di quanto voglia il semplice stereotipo dell'amore
infelice tra amanti di due fazioni rivali (insomma, una sorta di Romeo e Giulietta tra
le dune). A testimonianza del mito “eterno” di Aida basti ricordare l'omaggio di Elton
John e Tim Rice, che nel 2000 hanno fatto debuttare al Palace Theatre di New York il
musical Aida: due giovani di oggi visitano in un museo la tomba di Aida e Radamès…
Puccini pensava già a Tosca nel 1895, quando La bohème non era ancora terminata.
Con quest’opera, il compositore affronta una drammaturgia lontana da quella che
aveva caratterizzato Manon Lescaut e La bohème, opere dallo sviluppo
frammentario, dove l'approfondimento psicologico prevale sull'intreccio. Il confronto
di personaggi nell'ambito di un’azione serrata e lineare, in cui si esaltano passioni
elementari e si esaspera la tensione emotiva, su uno sfondo storico che legittima
letture in chiave etico-politica, avvicinano Tosca a una drammaturgia analoga a
quella della tradizione incarnata da Verdi e proseguita dagli autori veristi. Non a caso
Verdi stesso aveva manifestato interesse per il dramma, e sintomaticamente in
Tosca, la più verdiana delle opere di Puccini, giganteggia un personaggio affidato al
registro di baritono. Nel libretto, il personaggio di Scarpia è portato in primo piano,
diventando un eroe negativo dalla complessità psicologica affascinante. Nel sadismo
di Scarpia – efferato e devoto, sensuale e aristocraticamente distaccato – Mosco
Carner riconosce un tratto tipico dell'arte fin de siècle: la rappresentazione
dell'emozione erotica nella sua dimensione patologica. Tosca fu eseguita al Teatro
Costanzi di Roma il 14 gennaio 1900, alla presenza della regina Margherita, e fu
accolta con disorientamento da pubblico e critica. Sull'opera è sempre pesato
l'equivoco di un presunto sbandamento di Puccini in direzione verista. Ma la scelta di
una drammaturgia più lineare e la ricerca di un’elevatezza tragica che si traduce in
una maggiore tensione della vocalità, non dovrebbero far passare in secondo piano
gli elementi di continuità con i precedenti successi di Puccini (il personale ricorso a
Leitmotive nell'uso di “reminiscenze logiche”, la costruzione melodica “a mosaico”, la
correlazione tra i nuclei motivici, l'uso simbolico dei piani tonali), rispetto ai quali i
materiali musicali si presentano se mai ulteriormente affinati per caratterizzare
psicologie ambigue e complesse.
Librettista: Antonio Ghislanzoni
Prima rappresentazione: 1872 Milano, Teatro alla Scala
ONEGIN
Venerdì 11 Dicembre h. 20,00
Evgenij Onegin, uomo di mondo che conosce l'Europa e la sua cultura, costretto a
vivere nella magione di campagna accanto a un vecchio zio malato da accudire,
spesso in visita nella vicina tenuta dei Larin, tipica famiglia nobiliare russa che vive
alla buona, dove le donne di casa passano il tempo a ricamare in giardino, cuocere
marmellate e a indagare il futuro osservando una candela in un doppio specchio,
lasciandosi scivolare la vita fra le dita.Evgenij Onegin, dandy annoiato, pronto a
uccidere in duello il migliore amico per una ripicca, nobiluomo sempre più
lontano dagli ideali imperiali e zaristi, ma incapace di prendere in mano il proprio
destino. Non un poema, ma un romanzo in versi, “diabolica differenza” sottolineava
Aleksandr Puškin in una lettera a un amico mentre era preso nella stesura di questo
monumento della letteratura russa del primo Ottocento, incominciato durante il
confino nel sud della Russia, dove lo aveva relegato lo zar Alessandro I nel 1823, e
terminato nel 1831. Quattro destini incrociati di giovani innamorati. Un
girotondo perfetto di amore, rifiuto, delitto, fuga e pentimento: Tatjana che si
innamora di Onegin che la rifiuta e fa la corte alla sorella Ol'ga, che è fidanzata di
Lenskij. Questi sfida a duello Onegin, che lo uccide. Dovranno passare molti anni
perché Onegin e Tatjana si incrocino di nuovo a Pietroburgo, ma la nuova passione di
lui non potrà più essere corrisposta dalla autorevole dama della nobiltà della
capitale. Una vicenda che passerà all'opera e alla danza. Con
Čajkovskij
e le sue
“scene liriche” del 1879; e con John Cranko, che lo ha messo in danza per il Balletto
di Stoccarda nel 1965. Bene, dimenticatevi di tutto questo, perché Evgenij Onegin
rinasce ora ai tempi del putsch. Il balletto di Boris Eifman è ambientato nel 1991, nei
giorni dell'assalto alla Casa Bianca e dell'intervento salvifico di Eltsin, e dell'originale
di Puškin conserva tutta la forza drammatica. Ora però Lenskij è un dissidente in
jeans e chitarra, Onegin un oligarca annoiato, Tatjana e Ol'ga romantiche, ma amanti
della bella vita. Se avevate dei sospetti sulla pulsione che spinge Onegin a corteggiare
Ol'ga, fidanzata di Lenskij, dopo avere respinto le profferte di Tatjana, Eifman ve le
esplicita: lo fa perché a sua volta è stato respinto da Lenskij, di cui è inconsciamente
invaghito. A questo aggiungete che la bella Tatjana esce dalla tragedia sposando il
ricco Gremin, uomo dal losco passato, ferito negli scontri del ’91 e con una benda
nera su un occhio.Grandi scene di eleganza vistosa dei nuovi ricchi, balli
scintillanti dove arriva Onegin e si innamora di quella bella donna che aveva respinto
da ragazzetta. Per raccontarci tutto questo, Eifman fa ricorso a un
linguaggio coreografico ibrido, molto esigente per i suoi splendidi danzatori. Usa, per
le idealistiche esplosioni di libertà degli anni Novanta, la musica di Aleksandr
Sitkoveckij: Empty Arena, un rock elegante, fra Santana e Pink Floyd.
Massiccio ovviamente il ricorso a Čajkovskij, dal quale pesca nella vasta produzione
sinfonica, senza tralasciare l'Onegin. Per esempio il grande valzer del primo atto, che
qui diventa l'occasione di ballo per i nuovi ricchi russi. Se a noi occidentali questa
versione può sembrare al primo impatto straniante, in realtà nella cultura russa
questi temi sono costantemente presenti, come ben ci spiega Eifman: «Perché ho
scelto proprio il romanzo Evgenij Onegin di Aleksandr Puškin? Cosa racchiude, da
attirare oggi la mia attenzione? Il romanzo è stato definito “un’enciclopedia della vita
russa”, in cui Puškin ha creato un esempio perfetto dell'indole russa di quel tempo,
dandone un’immagine poetica, misteriosa, imprevedibile ed estremamente
sensuale».
Coreografia: Boris Eifman
Prima rappresentazione: 2009 San Pietroburgo, Eifman Ballet Theater
Librettista: Luigi Illica e Giuseppe Giacosa
Prima rappresentazione: 1900 Roma, Teatro Costanzi
LUCIA DI LAMMERMOOR
Gaetano Donizzetti
Giovedì 19 Maggio h. 20,00
«Per vederlo meglio Emma si sporgeva piantando le unghie nel velluto del parapetto,
si riempiva il cuore dei lamenti melodiosi strascicantisi sull'accompagnamento dei
contrabbassi come urli di un naufrago nel tumultuar d’una tempesta. Le
riconosceva tutte, quelle ebbrezze, quelle angosce, lei, non ne era morta per poco?
La voce della cantante le pareva il riecheggiare stesso della propria coscienza:
quell'illusione scenica che la affascinava, la sentiva parte della propria vita. Ma
nessuno sulla terra le aveva mai votato un simile amore. Non aveva mica pianto
come Edgardo, lui, l'ultima sera quando s’eran detti: “a domani! A domani!”». È
Emma Bovary, la spettatrice d’eccezione e così romanticamente coinvolta, che
assiste, nelle pagine del romanzo di Flaubert, a una recita di Lucia di Lammermoor di
Donizetti al Teatro di Rouen. L'opera è destinata a far palpitare i cuori degli
spettatori dal 1835: era il 26 settembre al Teatro di San Carlo di Napoli quando
andò in scena con straordinario successo con le voci di Fanny Tacchinardi Persiani
come Lucia e di Gilbert Duprez (considerato l'inventore del do di petto)
come Edgardo, per non uscire mai più dal repertorio operistico. L'autore del libretto
è Salvatore Cammarano e la vicenda è tratta da uno dei più popolari romanzi storici
di Sir Walter Scott, The Bride of Lammermoor, ispirato a vicende avvenute nel 1689,
mentre nell'opera l'azione viene retrodatata alla fine del Cinquecento e scompare la
figura della madre di Lucia, contraria al matrimonio con Edgardo. Lucia, l'eroina
fragile, ha solo una confidente, Alisa, ma è praticamente sola in un universo maschile
che trasforma l'amore in merce di scambio per ottenere il potere.
Librettista: Salvatore Cammarano
Prima rappresentazione: 1835 Napoli, Teatro di San Carlo