n. černyševskij, l`uomo russo al rendez

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n. černyševskij, l`uomo russo al rendez
N. ČERNYŠEVSKIJ, L’UOMO RUSSO AL RENDEZ-VOUS.
CONSIDERAZIONI SORTE DOPO LA LETTURA
DELLA POVEST’ “ASJA” DEL SIG. TURGENEV
“ […] Ecco un uomo dal cuore aperto a tutti gli alti sentimenti, dall’onore incrollabile,
dal pensiero che accoglie in sé tutto ciò, per cui la nostra epoca viene chiamata secolo delle
nobili tensioni [Vek blagorodnych stremlenij]. E cosa fa quest’uomo? Fa una scena, di cui si
vergognerebbe anche l’ultimo dei corrotti. Lui sente simpatia, la più forte e pura, per una
ragazza, dalla quale è amato; non riesce a vivere nemmeno un’ora senza vederla; il suo
pensiero notte e giorno abbozza per lui i di lei meravigliosi tratti, è giunto per lui, penserete
voi, il momento dell’amore, quando il cuore è sommerso dalla sua stessa beatitudine.
Vediamo Romeo, vediamo Giulietta, nessuno è d’intralcio alla loro felicità e si approssima
il momento della loro estasi, quando il loro destino sarà stabilito per l’eternità e per avere
questo Romeo deve soltanto dire: “Ti amo, tu mi ami?” e Giulietta sussurrerà “Sì…”.
Che cosa fa però questo nostro Romeo (chiameremo così il protagonista del racconto;
l’autore non ci comunica il suo cognome), giunto all’appuntamento con Giulietta? Con la
trepidazione propria dell’amore attende Giulietta il suo Romeo; lei deve sapere che lui la
ama, questa parola non è mai stata comparsa nei loro discorsi, ma ora lui la pronuncerà e si
uniranno per sempre; li attende la beatitudine, una beatitudine assolutamente alta e pura, la
cui meraviglia rende l’istante superbo della decisione appena tollerabile per l’organismo
umano. Molti sono morti per una felicità inferiore. Lei sta seduta come un uccellino
impaurito, si copre il viso per lo splendore del sole d’amore, sorto dinanzi a lei; respira
affannosamente, trema tutta; in maniera ancora più trepidante abbassa gli occhi quando
compare lui, quando pronuncia il di lei nome. Lui le tende la mano, la sua mano fredda, che
giace come morta nella sua mano; lei vorrebbe sorridere, ma non riesce a muovere le
proprie labbra pallide. Vorrebbe parlare con lui, ma la voce le si spezza. Tacciono entrambi
a lungo, e in lui, come lui stesso dice, il cuore si scioglie, e a questo punto Romeo si rivolge
alla sua Giulietta… e che cosa le dice? “Siete colpevole di fronte a me, le dice, mi avete
coinvolto in una serie di situazioni spiacevoli, sono scontento di voi, voi mi compromettete
e io non posso più frequentarvi; mi è molto spiacevole separarmi da voi, ma, per favore, se
ne vada”. Che cosa è accaduto? Qual è la di lei colpa? Davvero il fatto di averlo ritenuto una
persona per bene? Ha compromesso la sua reputazione per il fatto di essersi recata
all’appuntamento con lui? È sorprendente! Ogni tratto del suo volto pallido grida che lei sta
aspettando che con una parola egli decida l’esito del suo destino, che lei gli ha donato
incondizionatamente l’anima e attende soltanto che lui dica di accettarla, quell’anima, la sua
vita, ma lui tira fuori argomenti, che la accusano di comprometterlo! Che razza di orrenda
ferocia! Che bassa villania E quest’uomo, che agisce in maniera tanto vile fino a poco prima
sembrava tanto per bene! Ci ha ingannati, ha ingannato l’autore. Già, il cantore ha fatto un
errore troppo grossolano, immaginando di raccontarci di una persona per bene. Quest’uomo
è più ripugnante del peggiore tra i mascalzoni.
Questa è stata l’impressione suscitata in molti da questa svolta, assolutamente inattesa,
nelle relazioni tra il nostro Romeo e la sua Giulietta. Da molti si sente dire, che il racconto è
stato rovinato da questa scena sorprendente, che il carattere del protagonista manca di
coerenza, che se quest’uomo fosse stato così, come appare nella prima metà del racconto,
non avrebbe potuto agire con una tale rozza viltà, e se avesse potuto agire così, allora fin
dall’inizio avrebbe dovuto essere rappresentato come un essere ripugnante.
Sarebbe consolante pensare che l’autore si sia sbagliato, ma invece proprio in questo
sta il triste decoro del suo racconto, nel fatto che il tipo del protagonista sia coerente con la
nostra società. Può essere che se il tipo fosse stato tale, come lo vorrebbero vedere coloro
che sono feriti dalla sua rozzezza durante il loro incontro, se non avesse temuto di offrire se
stesso all’amore che lo aveva conquistato, il racconto ne avrebbe guadagnato sul piano
ideale e poetico.
[…] L’aspetto tragicomico della relazione del nostro Romeo nei confronti di Asja sta
nel fatto che lui è davvero uno dei migliori rappresentanti della nostra società, che uomini
migliori di lui quasi non ce ne sono.
[…] È facile che mostriate enorme gioia nell’incontrare in società un mascalzone, che
poco prima avreste cacciato via; e può essere che quel mascalzone sia una persona con un
peso in società e che grazie al fatto di essere voi in buone relazioni con lui i vostri affari
possano trarne un vantaggio. E non parlo del fatto che vi vergognerete di meno dei falsi
dubbi di coscienza per godere dei vantaggi, che possono venirvi da quegli incontri. E perché
mai dovreste vergognarvi di una sensibilità eccessiva, se siete convinti, che ognuno al posto
vostro si sarebbe comportato nella stessa maniera?
[…] Se tutti sono uguali, da dove nasce allora la differenza di comportamento?
[…] Ormai è chiaro che tutto dipende dalle consuetudini sociali e dalle circostanze,
dal momento che le consuetudini sociali sono una conseguenza delle circostanze. Voi
incolpate un uomo, ma pensate prima quale sia la sua colpa (vina), di che cosa lo accusate, o
se piuttosto sia una vittima delle circostanze e delle consuetudini sociali, guardate per bene,
forse non è colpa sua, ma soltanto una sua disgrazia (beda).
[…] Conoscevo un sarto, che puniva i suoi apprendisti, passandogli sui denti il ferro
da stiro arroventato. Probabilmente lo si deve considerare colpevole, e lo si deve punire;
però non tutti i sarti passano il ferro arroventato sui denti degli apprendisti, gli esempi di una
tale ferocia sono ben rari. Ma quasi a ogni artigiano capita di ubriacarsi durante le feste e di
fare a botte. Questa non è una colpa, ma una disgrazia. Qui non ha senso punire il singolo,
ma è necessario cambiare le condizioni della vita di un intero ceto. Ed è ancora più triste che
la differenza tra colpa e disgrazia sia molto facile da distinguere; un aspetto di questa
differenza l’abbiamo già visto: la colpa è sporadica, è l’eccezione, la disgrazia è
un’epidemia. Una bruciatura causata volontariamente è una colpa, ma tra milioni di persone
se ne trova uno solo che si comporta così. C’è un altro aspetto da aggiungere al primo. La
disgrazia colpisce chi si mette nella condizione che la disgrazia lo colpisca. La colpa
affligge gli altri, recando un vantaggio al colpevole. Questo ultimo aspetto è estremamente
sottile. Un rapinatore accoltella un uomo per derubarlo e ne trae un vantaggio; questa è una
colpa. Un cacciatore disattento che ferisce per sbaglio un altro è il primo che si tortura per
un tale caso fortuito; questa non è una colpa, ma una disgrazia.
[…] Per il nostro Romeo sarebbe stato molto più piacevole beneficiare delle gioie
reciproche di un amore felice, piuttosto che fare la figura dello stupido e rimproverarsi
aspramente per la rozzezza e la villania dimostrata nei confronti di Asja. Il fatto che la rozza
villania, alla quale è stata sottoposta Asja, gli dia non vantaggio o piacere, ma lo faccia
vergognare di se stesso, il sentimento peggiore di tutte le torture morali, dimostra che lui è
incorso non in una colpa, ma in una disgrazia.
[…] La bassezza che ha compiuto, sarebbe stata compiuta da molte altre persone,
dalle cosiddette persone per bene o dai migliori della nostra società; ne consegue che non è
altro che un sintomo di una malattia contagiosa, radicata nella nostra società. […] Il sintomo
della malattia non è la malattia stessa. E se la questione risiedesse soltanto nel fatto che
alcuni o addirittura quasi tutti i “migliori” offendono una ragazza, quando lei rivela più
nobiltà o meno esperienza di loro, questa cosa, riconosciamolo pure, ci interesserebbe poco.
Che il diavolo se le porti, le questioni di carattere erotico, il lettore della nostra epoca ha ben
altro a cui pensare, lui è occupato dalle questioni amministrative e di miglioramento del
sistema giuridico, dalle trasformazioni del mondo della finanza, dalla liberazione dei
contadini. Ma la scena, di cui sono protagonisti il nostro Romeo e Asja, come abbiamo
notato, è soltanto il sintomo di una malattia che rovina tutti i nostri affari e basta
comprendere che cos’è che ha fatto cadere Romeo in disgrazia, per vedere che cosa tutti noi,
così simili a lui, dobbiamo attenderci.
[…] Da dove deriva quella sia incredibile incapacità di comprendere le cose? È colpa
di due fattori, uno dei quali, tra l’altro, dipende dall’altro, e quindi si tratta di una cosa sola.
Egli non sa comprendere nulla di elevato e di vitale, in quanto la sua vita è sempre stata
troppo piccola e materiale, piccole e materiali sono sempre state le sue relazioni e le
situazioni, alle quali è abituato. Questa è la prima cosa. Secondo: lui è timido, retrocede
senza volontà da tutto ciò, che esige una notevole decisione e un nobile rischio; e di nuovo
perché la sua vita gli ha sempre mostrato la pallida grettezza di tutto quanto. È simile a un
uomo, che per tutta la vita ha giocato a briscola, puntando mezza copeca d’argento ogni
mano. Mettete questo abile giocatore a giocare una partita, nella quale si perdano o si
vincano non copeche, ma migliaia di rubli e vedrete che apparirà completamente confuso,
tutta la sua abilità scomparirà, giocherà in maniera assai goffa e probabilmente non riuscirà
nemmeno a tenere le carte in mano.
[…] Mio Dio! Perché analizziamo in maniera tanto severa il nostro protagonista? In
che cosa è peggiore degli altri? In che cosa è peggiore di tutti gli altri? Quando entriamo in
società vediamo attorno a noi uomini in divisa e con o senza frac; queste persone sono alte
un metro e settanta, oggi anche di più; si fanno crescere i peli sulle guance, sul labbro
superiore e la barba o li rasano; e noi ci immaginiamo di vedere degli uomini, ma questo è
un errore enorme, un’illusione ottica, null’altro. Senza avere esperienza e senza essere
addentro agli affari di stato, senza aver acquisito il senso dell’essere cittadino [Graždanin],
un bambino maschio cresce e diventa un essere di sesso maschile di mezz’età, e poi anziano,
ma non diventa uomo o per lo meno non diventa un uomo dal carattere nobile. […] Asja
non ci fa nessuna pena; per lei è stato insopportabile sentire quelle parole severe di rifiuto,
ma probabilmente è stato meglio per lei che la frattura sia stata provocata da un uomo poco
riflessivo. Se si fosse legata a lui, per lui sarebbe stata, ovviamente, una gioia immensa. Ma
non crediamo che lei sarebbe stata contenta di vivere per sempre con quel tipo d’uomo.