Tero Saarinen, un finlandese nutrito d`Oriente

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Tero Saarinen, un finlandese nutrito d`Oriente
4 marzo/aprile 2013
cronache
Belarbi: “A Tolosa per difendere la
tradizione accademica in Francia”
Il Ballet du Capitole de Toulouse.
VERONA - Sullo sfondo
c’è la Francia, dove molto è ancora possibile. Qui
la storia di Kader Belarbi, classe 1962, si snoda
all’incrocio fra etnie (padre
algerino, madre francese)
e culture (di danza, e ben
oltre), che ne arricchiscono
il profilo, personale e professionale. Allievo, a tredici
anni, de l’Ecole de danse
de l’Opéra de Paris, compie il suo intero percorso
nella maison. Nel ’75 è nel
corpo di ballo, poi quadrille (1981), coryphée (’84) e
sujet l’anno dopo. È premier danseur nel 1989,
étoile lo stesso anno grazie a Nureyev. Segue una
lunghissima teoria di prese
di ruolo e creazioni, con lo
gnia solo perché mi è stato chiesto. Ma ho sempre
considerato essenziale non
tenere dentro di me ciò che
ho imparato sulla danza.
Un’esperienza, che, sin
dall’inizio, ho vissuto come
se fossi all’interno di un laboratorio: era importante,
per me, conoscere ogni tipo di danza”.
- Cosa ha significato, per
lei, lavorare sotto la guida di Nureyev?
“Quando Nureyev è arrivato, nell’82, mi interrogavo su me stesso, su
quanto stavo facendo. Mi
chiedevo se la danza era
un vero lavoro. Ma avendo
accanto un personaggio
come lui, con la sua umiltà,
devozione e carisma, con
KABER BELARBI
Danzatore étoile
dell’Opéra de Paris
è, dal 2012, direttore
del Ballet du Capitole
de Toulouse
(foto Tanja Ahola)
scibile del repertorio e della danza contemporanea,
quella francese in particolare, e oltre una ventina di
coreografie da lui firmate,
dall’87. Dopo gli adieux alla
scena parigina, nel 2008,
la direzione del Ballet du
Capitole di Tolosa, agosto
2012, corona una magnifica carriera. È un fil rouge
che l’interessato dipana
per noi al Teatro Ristori di
Verona dove l’abbiamo incontrato.
- Kader Belarbi, facciamo un po’ di conti. Lei a
Tolosa, José Martinez a
Madrid, Manuel Legris a
Vienna, Eric vu-An a Nizza. Con le sue ex-étoile
l’Opéra punta al proprio
irradiamento?
“Ciascuno dei nomi che lei
ha citato le darà una propria risposta al riguardo.
Posso dirle che credo all’esperienza, tanto più quando si proviene da una Maison come l’Opéra. All’inizio
non volevo diventare danzatore, sono molto ‘atipico’ in rapporto ad altri che
hanno avuto la vocazione,
e sono diventato coreografo e direttore di compa-
un carattere e una genialità così in bianco e nero,
buoni e cattivi allo stesso
tempo, non potevo restare
indifferente. Frequentarlo
è stato per me un elettroshock. Con lui ho capito
che la danza non era un
mestiere, ma uno stato
dell’anima, e del corpo. A
partire da quel momento, mi sono applicato alla
danza in un modo del tutto diverso. Rudolf e la sua
équipe, Patricia Ruanne,
Patrice Bart, Eughenij Poliakoff, hanno lavorato con
quei danzatori che avevano un potenziale, e offerto
precise chance ai più giovani. Io, Manuel, con Sylvie
Guillem, Hilaire, Pietragalla
e altri, sotto la direzione di
Nureyev abbiamo sperimentato il rigore. Lui ci ha
insegnato a superare noi
stessi, e indicato un enorme ventaglio di possibilità
e proposte. Con Rudolf si
è creato un fenomeno, ‘naturale’, direi, grazie al quale
certi danzatori, étoile o meno, hanno maturato un forte desiderio di trasmettere
le proprie competenze”.
- Oltre a questo, l’Opéra
proponeva, ieri come oggi, un ventaglio formidabile di danze.
“Certamente, dal barocco al repertorio romantico e
neoclassico, fino ai giovani
coreografi contemporanei.
Lo spirito e il corpo non
possono restare indifferenti
di fronte a tanta abbondanza. Ci si nutre di questo, lo
si assimila. Come danzatore ho attraversato tutti gli
stili dell’Opéra, in più ho
voluto fare altre esperienze
personali, conoscere altro
al di fuori della ‘maison’:
dall’hip hop a Roland Petit, con il quale ho lavorato
per nove anni. Ancora una
volta, tutto questo non si
può tenerlo per sé. Dunque
mi sono sperimentato nella coreografia, ma ho avuto bisogno di otto anni di
maturazione per sentirmi
e dichiararmi coreografo.
È successo nel ’98, con il
successo riscosso da Les
Saltimbanques. Mi sono detto: se riesco a fare
un balletto di un’ora e un
quarto forse sono proprio
un coreografo. Il resto si è
messo in moto da solo, un
passo dopo l’altro, nulla è
stato voluto”.
- E la direzione a Tolosa?
“Due teatri mi volevano.
Ho scelto Tolosa perché è
un teatro d’opera, posso
lavorare con l’orchestra e
il suo ottimo direttore e la
troupe ha 35 danzatori, con
le potenzialità che ciò offre.
Tanti segnali positivi che mi
indicavano: posso farcela,
da danzatore ho imparato, da coreografo ho fatto
qualcosa di buono, come
direttore posso sperimentarmi. La successione degli
eventi è stata regolare. Ho
accettato anche perché mi
sono interrogato su questo:
cos’è un balletto, oggi, nel
2012? Oltre il castello dorato dell’Opéra, che è in un
piedistallo, chi difende, in
Francia, l’identità e la tradizione accademica? Quello
che voglio fare, con Tolosa, è creare, con il vocabolario classico, un balletto
vivo, contemporaneo, che
risponda al sentire di oggi. Creare lo spettacolo dal
vivo, e la sua verità, è un
privilegio, da condividere
con altri, nella vita vera del
nostro tempo”.
Ermanno Romanelli
danza & danza
Tero Saarinen, un finlandese
nutrito d’Oriente
Apprezzato solista del
Finnish National Ballet,
interprete ideale per Murray Louis, Jorma Uotinen
e protégé di Carolyn Carlson, modello per Issey
Miyake, Tero Saarinen,
classe 1964, tornato a Helsinki dopo un lungo soggiorno asiatico, abbandona il balletto e fonda nel
1996 la Toothpick Company (dal 2002 ribattezzata
Tero Saarinen Company)
diventando uno dei principali coreografi di Finlandia,
richiesto come firma in patria e all’estero. Uno stile il
suo che mette in dialogo
tecniche e culture diverse,
senza tralasciare le profonde visioni di cui ognuna
Sembra che la comprensione e il sentimento siano
spariti”.
- Cosa l’ha spinta a rileggere il repertorio stravinskiano?
“C’è qualcosa nella
musica di Stravinskij che
tocca il mio subconscio in
profondità, come la musica del Butō. Tutte le tre
pièce che ho creato dalla
musica stravinskiana, Petrushka, Mariage (da Les
Noces, n.d.r.), e Hunt,
espongono il sacrificio:
dell’innocenza, dell’amore
giovanile, dell’uomo/danzatore. Hunt è una creazione molto personale,
affronta il problema della
conoscenza storico-cultu-
ato il mio alfabeto personale che insegno ai miei
danzatori per aiutarli ad
ampliare le loro stesse capacità”.
- Come ricorda l’esperienza con Carolyn Carlson per Blue Lady?
“C’è una sorta di legame spirituale tra me e Carolyn. È difficile spiegarlo a parole. È come una
poesia. Qualcosa ci lega
allo stesso albero di famiglia, un abbraccio che
viene dal passato. Lei è
uno dei miei mentori. Ho
avuto il piacere e l’onore
di lavorare con lei prima di
Blue Lady, suo personale
ritratto di donna a cui sono stato ammesso, arric-
Tero Saarinen Company in “Absent Present” all’Ariosto di Reggio Emilia (foto A. Anceschi).
TERO SAARINEN
Danzatore, coreografo,
ha fondato nel 1996
la Tero Saarinen
Company oggi in
residenza all’Alexander
Theater di Helsinki
(foto Tanja Ahola)
di esse è imbevuta. Ospite
a Reggio Emilia del Teatro Ariosto ha presentato
in dittico Absent Presence, sua ultima creazione, e
in vista di centenari Hunt,
sua personale versione de
Le Sacre du Printemps,
datata Biennale di Venezia
2002.
- In Absent Presence
muove una critica alla
società contemporanea?
“Sì. La nostra società è
dominata dalla frustrazione: non siamo mai presenti
gli uni a gli altri e neanche
a noi stessi. Il presente è
continua distrazione, ciò
riduce le possibilità d’incontro reale. È una ‘presenza assente’. Da qui
sono partito per creare
un viaggio che rifletta su
relazioni e aspettative. Ci
aspettiamo molto dagli altri, ma le relazioni appaiono sempre dissonanti.
rale del corpo e della vita
del danzatore. Una carriera breve la nostra, piena
d’aspettative e determinata dalla sorte, in cui bisogna dimostrare in scena
il valore dei sacrifici. Sto
pensando di concludere la
mia carriera di danzatore,
non posso continuare per
sempre”.
- Passare dal Balletto al
But ō cos’ha significato
per lei?
“Il But ō è stato rivoluzionario per me. All’inizio
quando arrivai in Giappone
fu un vero e proprio shock.
Mi chiedevano di sentire
l’oscurità, la terra e immaginare di essere nel ventre materno. Un approccio
totalmente differente da
quello da cui provenivo,
il balletto, dove bisogna
essere tecnicamente belli, perfetti e luminosi. Da
queste esperienze ho cre-
chendo la mia conoscenza
di interprete maschile. Mi
ha dato i mezzi per allargare la mia consapevolezza d’artista”.
- Dal 2005 la sua compagnia è in residenza
all’Alexander Theatre di
Helsinki. Qual è la situazione della danza in Finlandia oggi?
“Con la residenza è come se fosse arrivata una
certificazione di validità
del mio lavoro. Lì avevo
già danzato come solista
quando era la sede del
balletto nazionale. Il cerchio così si chiude. Torno a casa, utilizzando il
palcoscenico dove sono
cresciuto. In Finlandia ci
sono molte attività, danzatori e coreografi di grandi qualità. Un numero rilevante per un paese che
conta poco più di cinque
milioni di abitanti. Negli
ultimi quindici anni c’è stato, inoltre, un grande aumento di pubblico, specialmente tra le giovani generazioni. Per il 2015
ho in cantiere una grande
produzione in cui dirigerò
insieme cantanti d’opera
e danzatori. Prima, però,
firmerò un’altra nuova creazione per la mia compagnia”.
Carmelo A. Zapparrata