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Osservatorio Popai
di Daniele Tirelli*
Bluewater, il gigante
che attrae con decoro
IL MALL, SORTO IN UN’AREA ABBANDONATA DEL KENT, SI
RELAZIONE CON LA NATURA CIRCOSTANTE E IL PATRIMONIO
CULTURALE LEGATO AL PASSATO DI QUESTA REGIONE
N
el mezzo della bufera finanziaria che sta
rimodellando le economie occidentali, può
essere interessante analizzare la tenuta
della cattedrali dello shopping costruite nel pieno
della precedente euforia del new millenium. Così,
salito a Euston (London) sul treno ad alta velocità,
giungo a Greenhithe e, dopo un breve tragitto via
bus, eccomi nuovamente davanti a Bluewater,
nella valle che lo ospita e che fu ricavata da una
cava di gesso dismessa profonda ben 60 m. Questo
shopping center che, al momento dell’apertura,
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il 16 marzo 1999, si contendeva con il Colombo
di Lisbona il primato della più grande struttura
commerciale d’Europa, conserva tuttora gran parte
della sua spettacolarità visionaria.
Il progetto iniziale fu certamente oltremodo
coraggioso. Insediare un complesso di 325 store
in un’area abbandonata del Kent, a 23 miglia da
Londra, costituiva una sfida verso molti criteri di
localizzazione da manuale, dato che un calcolo
realistico della clientela potenziale evidenziava un
notevole rischio. Oggi, a undici anni di distanza,
la sfida sembra essere in gran parte vinta sebbene
nuove minacce sembrano profilarsi all’orizzonte.
Il riferimento è alla recentissima apertura del
maestoso Westfield London che con i suoi 314
store si colloca nei pressi della White City,
collegata alla Central Line dalla metropolitana della
capitale, un’altra splendente cattedrale facilmente
raggiungibile da ogni parte di quest’area
metropolitana. Vi sono pochi dubbi, infatti,
che il potere attrattivo di questo modernissimo
centro commerciale non mancherà di spostare
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il baricentro degli acquisti dell’immensa massa
di londinesi e di turisti che affluiscono nella
capitale. Dunque Bluewater dovrà adattarsi al
nuovo contesto competitivo enfatizzando le
caratteristiche che tuttora lo contraddistinguono
e che fungono da richiamo per gli shopper che per
un giorno desiderano evadere dal traffico caotico
della città.
Il primo punto di forza è certamente la filosofia
che lo ispira: essere un luogo interamente
dedicato allo “shop-entainment”, chiuso su stesso,
autosufficiente... il massimo dell’ispirazione
postmodernista in quanto “total space, a complete
world, a kind of miniature city”, come avrebbe
detto Fredric Jameson. In esso il suo frequentatore
tipico ha un unico scopo (avendo deciso di
affrontare uno spostamento non breve!): dedicare
la sua giornata e il suo tempo libero agli acquisti,
allo spettacolo della merce e all’alimentazione e ai
passatempi consumistici offerti dal centro.
Il secondo è l’attualità della sua architettura volta a
interpretare perfettamente ogni predisposizione del
proprio shopper. La sua pianta triangolare lega tra
loro tre mall specializzati: The Guildhall, dedicato
al fashion, al lifestyle e ai ristoranti gastronomici
collegati all’area The Village; The Rose Gallery,
che ospita le insegne e i franchising più celebri
e popolari e sfocia nell’area del Winter Garden;
The Thames Walk, che accompagna il visitatore
verso un’ampia sequenza di café, casual restaurant
collocati nel cosiddetto Water Circus e a luoghi
destinati al leisure. Il concetto è stato elaborato
dell’architetto Eric Khune per la società australiana
Lend Lease Corporation che ne ha curato lo
sviluppo.
Nel complesso lungo questo percorso lo shopper ha
disposizione 335 punti di vendita, disposti su un
tracciato chiuso che risponde a una organizzazione
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longitudinale arcuata, la quale agevola la visione
prospettica di ogni punto di vendita sviluppandosi
sui due livelli del complesso. Questi due piani sono
poi armonicamente collegati da scale mobili e altri
passaggi che consentono un agevole interscambio
dei flussi di traffico. Ai vertici del triangolo si
trovano gli anchor store John Lewis, Marks &
Spencer e House of Fraser.
Per la novità del suo disegno Bluewater fu
considerato al tempo un caposaldo di una nuova
generazione di altri shopping mall che ne trassero
ispirazione. L’investimento richiesto per la sua
realizzazione fu nella seconda metà degli anni
’90 notevolissimo: circa 600 milioni di euro a cui
corrispose un giro d’affari, nel suo prima anno di
vita, di oltre 1 miliardo di euro.
Bluewater dovette comunque risolvere un
difficile problema ambientale. Occorreva infatti
stabilire una relazione il più felice possibile tra la
dimensione della struttura e l’enorme vuoto che
l’avrebbe ospitato. Le contraddizioni generate
da questa collocazione molto particolare furono
evidenti. Tuttavia il risultato ottenuto da questo
inserimento avveniristico nella campagna del
Kent appare tuttora felice. La soluzione prescelta
fu costituita da un ulteriore investimento non
immediatamente finalizzato ai fini commerciali: la
creazione di ampi giardini con passeggiate e piste
ciclabili attorno ai 7 laghetti recuperati dall’antica
cava e dotati di giochi d’acqua: una scelta che
regge all’usura del tempo e che contribuisce
in maniera intangibile anche agli obiettivi
più prosaici del “vendere”. Rispetto ai tempi
dell’apertura il rimboschimento dell’area con oltre
1 milione di nuovi alberi piantati costituisce infatti
un ulteriore arricchimento dell’atmosfera rilassata
dell’ambiente circostante.
L’esterno di Bluewater gioca un ruolo
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fondamentale. È funzionalmente complementare
al disegno delle strutture interne, come nel caso
dell’enorme serra che contiene piante, alte sino a
18 m, provenienti dalla foresta pluviale della Florida
e che con i suoi 1.000 mq funge da ingresso laterale
dell’ala denominata Winter Garden, il cui ambiente
distensivo ed esteticamente accattivante gioca un
ruolo fondamentale per l’immagine complessiva.
In questo senso l’investimento fatto è andato oltre
le pure finalità commerciali dell’impresa. All’epoca
della progettazione infatti il centro commerciale
venne concepito come un importante punto d’avvio
della rinascita sociale ed economica di una zona
colpita dalla ristrutturazione industriale e posta
ai margini del grande attrattore londinese. Da qui
la cura notevolissima prestata a ogni genere di
facility per la popolazione anziana e disabile che
avrebbe potuto trovarvi un momento di svago e
di integrazione sociale. La grande disponibilità
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di parcheggi (13.500 posti) di collegamenti con
i mezzi pubblici (600 autobus giornalieri) e,
all’interno, di aree relax, di punti di ristoro, di
toilette rendono l’agibilità di Bluewater ancora
senza paragoni.
Un altro accesso allo shopping centre è la
monumentale Steeplechase Square, predisposta
per accogliere i 20 milioni di visitatori annui.
Il simbolismo dei suoi elementi decorativi e
l’epigrafe di Rudyard Kipling che corre sulle fasce
laterali e sul frontone, contribuiscono a conferire
all’insieme una notevole carica di suggestione.
L’inflessione di questa entrata è rafforzata dai
padiglioni asimmetrici antistanti, sui quali sono
stati giustapposti un cubo e un cono fuoriscala
che si confrontano con l’enorme spazialità della
depressione circostante.
Bluewater non manca pertanto di sorprendere
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l’occhio di chi lo visita per la prima volta con le
sue ambigue dualità di forma e di significato. In
sintesi, l’espressività dell’architettura e del decoro
traggono ispirazione da un patrimonio visuale
e letterario autenticamente legato al passato di
questa regione.
Un aspetto particolare è costituito inoltre dalle
strutture della copertura, dalle 11 cupole che ne
sono parte integrante e dalle curiose prese d’aria
per la ventilazione. Va ricordato che a parte la loro
estetica avveniristica, la loro geometria estrema
ha richiesto, negli anni ’90, l’uso di tecniche
computeristiche d’avanguardia.
Gli interni di Bluewater si caratterizzano poi per
l’inserimento di 50 opere d’arte moderna ispirate
al concetto del lavoro, dell’acqua e del grande
fiume Thames poco distante. Il percorso del fiume
è stato anche riprodotto su una “mappa” lunga
200 m intarsiata nel pavimento del mall omonimo.
All’occhio meno superficiale che ammira i decori
delle pareti appaiono poi evidenti (tra i tanti) i
richiami all’atmosfera dei Kew Gardens londinesi,
della Burlington Arcade, a Shakespeare, a John
Sargent, ai riferimenti della New Age.
Resta inoltre validissima la scelta di costruire una
scenografia interna attorno alle superfici luminose
costituite dalle ampie vetrate e dagli oblò dai
quali filtra la luce naturale che sostituisce per
quanto possibile l’uso della luce artificiale, ma
senza alcun detrimento alla corretta percezione
cromatica degli interior. Particolarmente riuscito
resta anche il gioco delle spazialità interne che
vincono il pericolo della monotonia con l’uso di
diverse tensostrutture. Esse richiamano a volte
le vele delle imbarcazioni, in altri creano giochi
di luce e d’ombra con le loro forme inusuali.
Insomma la carica sinestetica è notevole pur senza
sovrastare psicologicamente la predisposizione dei
frequentatori verso lo scopo principale della visita,
ovvero curiosare tra le innumerevoli proposte del
luogo e soprattutto acquistare e consumare.
Bluewater resta dunque un punto di riferimento
obbligato per tutto il settore degli shopping center
e ciò per molte e svariate ragioni. L’importanza di
quest’opera si evidenzia soprattutto da un fatto:
il sovrainvestimento iniziale motivato da un lungo
e profondo lavoro analitico aprioristico. Rispetto
ai big box nati da pure operazioni immobiliari di
breve respiro, la creazione di un attrattore che si
inserisce seriamente nella vita sociale e culturale
di un luogo ripaga più che proporzionalmente
l’investimento con la sua durata nel tempo. ●
*Presidente di Popai Italy