INDICE - Ospedale di Udine

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INDICE
INTRODUZIONE....................................................................................... 3
CAPITOLO I. REVISIONE DELLA LETTERATURA........................ 5
1. LA MALATTIA TROMBO EMBOLICA VENOSA........................... 5
1.1 Definizione......................................................................................... 5
1.2 Epidemiologia.................................................................................... 5
1.3 Fattori di rischio................................................................................. 6
1.3.1 Fattori di rischio nei pazienti ricoverati per una problematica
clinica medica............................................................................ 7
1.3.2 Fattori di rischio nei pazienti ricoverati per una problematica
clinica chirurgica …................................................................... 8
1.3.3 Fattori di rischio nei pazienti ricoverati per una problematica
clinica traumatica..................................................................... 10
1.3.4 Fattori di rischio nei pazienti ricoverati in Terapia Intensiva... 11
2. LA TROMBOSI VENOSA PROFONDA........................................... 12
2.1 Fisiopatologia................................................................................... 12
2.2 Manifestazione clinica..................................................................... 13
2.3 Diagnosi........................................................................................... 13
2.4 Trattamento...................................................................................... 15
2.5 Complicanze..................................................................................... 18
3. L'EMBOLIA POLMONARE.............................................................. 19
3.1 Fisiopatologia................................................................................... 19
3.2 Manifestazione clinica..................................................................... 19
3.3 Diagnosi........................................................................................... 20
3.4 Trattamento...................................................................................... 20
3.5 Complicanze..................................................................................... 21
4. LA PROFILASSI PER LA TROMBO EMBOLIA VENOSA.......... 22
4.1 Farmacologica.................................................................................. 22
4.2 Meccanica........................................................................................ 23
1
4.2.1 Graduated Compression Stockings device (GCSd)................. 24
4.2.1.1 Meccanismo d'azione........................................................ 24
4.2.1.2 Studi di efficacia clinica................................................... 24
4.2.2 Intermittent Pneumatic Compression device (IPCd)................ 27
4.2.2.1 Meccanismo d'azione........................................................ 27
4.2.2.2 Studi di efficacia clinica................................................... 28
4.2.3 Venous foot-pump (VFP)......................................................... 32
4.2.4 Inferior Venous Cava (IVC) filter............................................. 32
4.2.5 GCSd vs IPCd.......................................................................... 33
4.2.6 GCSd plus IPCd....................................................................... 34
CAPITOLO II........................................................................................... 35
5. MATERIALI E METODI.................................................................... 35
6. RISULTATI........................................................................................... 37
6.1 Caratteristiche demografiche del campione..................................... 37
6.2 Variabili sulla applicazione dei dispositivi....................................... 37
6.3 Variabili riguardanti la motivazione della scelta del dispositivo..... 40
7. DISCUSSIONE..................................................................................... 43
7.1 Limiti dello studio............................................................................ 47
8. CONCLUSIONI.................................................................................... 49
9. IMPLICAZIONI PER LA PRATICA CLINICA.............................. 50
BIBLIOGRAFIA...................................................................................... 51
ICONOGRAFIA....................................................................................... 68
ALLEGATI................................................................................................ 73
RINGRAZIAMENTI............................................................................... 78
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INTRODUZIONE
Si definisce convenzionalmente, dal punto di vista nosografico, “malattia
tromboembolica venosa” (TEV) una condizione anatomo-clinica costituita
da una patologia trombotica a carico del circolo venoso profondo degli arti
inferiori (e/o del piccolo bacino) associata o meno ad embolia polmonare
(EP) (Prandoni, 1997).
Il tasso di insorgenza di Trombosi Venosa Profonda (TVP) è stimato essere
pari a 148 su 100000 persone ogni anno mentre il tasso di insorgenza di
Embolia Polmonare (EP) è stimato essere pari a 95 su 100000 persone ogni
anno (Cohen et al., 2007). Il tasso di rischio di TVP asintomatica varia in
base alla problematica clinica. In assenza di profilassi esso raggiunge oltre il
20% in pazienti con una problematica medica, il 40% in pazienti con una
problematica chirurgica (chirurgia generale, ginecologica, urologica,
cardiaca e neurochirurgica), il 50% in pazienti colpiti da stroke (emorragico
o ischemico) o sottoposti ad un’artroplastica del ginocchio o dell’anca e
circa l’80% in pazienti colpiti da eventi traumatici maggiori o che
necessitano di cure intensive (NCGC-ACC 2010, Geerts et al. 2004).
La scelta della profilassi farmacologica per la malattia TEV deve esser fatta
bilanciando il rischio di trombosi ed il rischio di sanguinamento.
La profilassi meccanica per la malattia TEV, invece, consiste nell'innescare
reazioni fisiologiche a partire da azioni meccaniche esterne od interne. Tali
azioni vengono esplicate da appositi dispositivi: calze elastiche a
compressione graduata o Graduated Compression Stockings device (GCSd),
dispositivi a compressione pneumatica intermittente o Intermittent
Pneumatic Compression device (IPCd) e pompa a pedale o Venous Foot
Pump (VFP) ad azione esterna. Filtro cavale o Inferior Venous Cava (IVC)
filter ad azione interna. Lippi et al. (2011) nella loro revisione sulla
profilassi meccanica concludono dicendo che nonostante le evidenze
biologiche e cliniche sembrano dimostrare che i dispositivi GCSd siano
delle misure tromboprofilattiche efficaci, relativamente economiche e più
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confortevoli, essi risultano complessivamente meno efficaci dei dispositivi
IPCd. Roderick et al. (2008) cercano di individuare gli eventuali benefici
derivanti dalla combinazione dei dispositivi GCSd con i dispositivi IPCd.
Essi affermano che qualsiasi beneficio esista dalla combinazione delle due
tipologie di dispositivi deve essere minimo ed i dati non sono
statisticamente significativi al punto tale da consigliare l'utilizzo combinato
rispetto quello singolo.
Gli obiettivi generali di questo studio sono descrivere quali motivazioni
portano l’infermiere di area critica a scegliere tra differenti dispositivi di
profilassi meccanica per la tromboembolia venosa e individuare quali siano
le possibili complicanze cutanee dell’applicazione di tali presidi.
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CAPITOLO I
REVISIONE DELLA LETTERATURA
1. LA MALATTIA TROMBOEMBOLICA VENOSA
1.1 Definizione
Si definisce convenzionalmente, dal punto di vista nosografico, “malattia
tromboembolica venosa” (TEV) una condizione anatomo-clinica costituita
da una patologia trombotica a carico del circolo venoso profondo degli arti
inferiori (e/o del piccolo bacino) associata o meno ad embolia polmonare
(EP) (Prandoni, 1997).
1.2 Epidemiologia
Le dimensioni epidemiologiche in Italia sono difficili da interpretare a causa
della mancanza di informazioni attendibili sull’incidenza e sulla mortalità.
Ciononostante in un’analisi epidemiologica, condotta su una serie di oltre
27.000 autopsie consecutive e non selezionate eseguite su cadaveri di
pazienti deceduti nel corso del decennio 1979-88 presso il Policlinico di
Trieste, il rilievo di embolia polmonare di grado significativo è stato
riscontrato in circa il 20% dei casi (Bussani & Cosatti, 1990). Una recente
revisione sistematica condotta a livello europeo (Francia, Germania, Italia,
Regno Unito, Spagna e Svezia) stima un tasso di insorgenza di trombosi
venosa profonda (TVP) pari a 148 su 100000 persone ogni anno (83 delle
quali acquisite in ospedale) e 95 su 100000 persone ogni anno per
l’insorgenza di EP (67 delle quali acquisite in ospedale) stimando un tasso
di mortalità a causa di TEV pari al 12% (Cohen et al., 2007). Le stime sono
state ottenute tramite l’analisi dei dati (IC 95%) disponibili nella letteratura
internazionale europea, quindi corrette in rapporto alla popolazione dei
paesi inclusi nello studio.
La realtà transatlantica riporta dei dati poco sovrapponibili. Lo confermano
quelli contenuti negli studi epidemiologi di Spencer et al. (2006), White
(2003), Silverstein et al. (1998) e Anderson et al. (1991) i quali hanno
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indagato sulla popolazione statunitense (ospedalizzata e non) riscontrando
che l’incidenza della malattia TEV, che include sia l’incidenza di TVP che di
EP, si aggira tra i 71 ed i 117 casi ogni 100000 persone. Mettendo quindi a
confronto la realtà europea con quella statunitense sembrerebbe che la prima
riscontri un maggior numero di eventi trombo embolici rispetto la seconda.
I dati finora analizzati presentano alcuni limiti. I primi sono stati ottenuti per
mezzo di esami autoptici difficilmente correlabili con la condizione clinica
del paziente di quando era in vita ed i dati di Cohen et al. (2007) sono stati
estrapolati da paesi quali Regno Unito e Francia nel caso in cui quelli
specifici di un paese non erano disponibili. Essi quindi permettono di
ottenere delle informazioni che, dal punto di vista clinico, non sono di aiuto
nella scelta di interventi che siano di natura profilattica, diagnostica o
terapeutica. Questo perché la TVP e l'EP, quest’ultima conseguente alla
prima, sono causate da eventi che rientrano in classi di fattori di rischio a
loro volta variabili in funzione della problematica principale riscontrata nel
paziente ma anche delle conseguenze che essa provoca.
1.3 Fattori di rischio
La malattia TEV ha molti fattori di rischio che in base alla problematica
clinica del paziente diventano caratteristici.
Per un paziente ricoverato in ospedale a causa di una patologia principale di
tipo medico saranno considerati dei fattori di rischio diversi rispetto a quelli
di un paziente ricoverato per una patologia chirurgica o traumatica. Per
meglio comprendere questo concetto è bene sapere che il rischio
approssimativo di TVP asintomatica, calcolato tramite screening diagnostici
obiettivi in pazienti non riceventi alcuna trombo profilassi, raggiunge oltre il
20% in pazienti con una problematica medica, il 40% in pazienti con una
problematica chirurgica (chirurgia generale, ginecologica, urologica,
cardiaca e neurochirurgica), il 50% in pazienti colpiti da stroke (emorragico
o ischemico) o sottoposti ad un’artroplastica del ginocchio o dell’anca e
circa l’80% in pazienti colpiti da eventi traumatici maggiori o che
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necessitano di cure intensive (NCGC-ACC 2010; Geerts et al. 2004).
1.3.1 Fattori di rischio in pazienti ricoverati per una problematica
clinica medica
In questa classe di pazienti, il ricovero per un evento acuto è associato ad un
aumento del rischio di sviluppare la malattia TEV di circa otto volte il
rischio di base (Heit et al., 2000) e, nonostante le precedenti statistiche, dal
50% al 75% degli eventi, inclusa la EP fatale, accade in reparti medici.
(Goldhaber et al. 2000, Heit et al. 2000).
Tra i fattori di rischio troviamo:

Neoplasia in fase attiva localizzata nella sede di origine o con
metastasi a distanza e/o chemioterapia o radioterapia nei precedenti
6 mesi. (Barbar et al., 2010). Particolarmente a rischio sono i
pazienti con tumori cerebrali; adenocarcinoma dei polmoni,
pancreas, colon , stomaco, prostata e reni; neoplasie ematologiche
(Simanek et al. 2007, Agnelli et al. 2006, Blom et al. 2006, Chew et
al. 2006, Khorana et al. 2006, Ogren et al. 2006, Stein et al. 2006,
Blom et al. 2005, Lee & Levine 2003, Sallah et al. 2002, Thodiyil &
Kakkar 2002, Levitan et al. 1999). Anche il genere sembra giocare
un ruolo importante; infatti le donne che sono state sottoposte ad un
trattamento con Modulatori Selettivi dei Recettori per gli Estrogeni
(MSRE), come il Tamoxifene, incorrono in un rischio per la malattia
TEV da due a cinque volte più elevato (Fisher et al. 2005, Lee &
Levine 2003), che aumenta ulteriormente nelle donne nella fase post
menopausale
in
trattamento
combinato
con
Tamoxifene
e
chemioterapia (Pritchard et al., 1996). Ulteriori farmaci che
influiscono in pazienti con cancro sono gli Inibitori dell’Angiogenesi
(Johnson et al., 2004), Talidomide e Lenalidomide se associati a
chemioterapici o ad alte dosi di Desametasone (El Accaoui et al.
2007, Barlogie et al. 2006, Hussein 2006, Palumbo et al. 2006) ed
infine l’uso del Bevacizumab (Nalluri et al., 2008).
7

Precedenti eventi di malattia TEV con esclusione di eventi
trombotici delle vene superficiali (Barbar et al, 2010).

Ridotta mobilità con allettamento superiore ai 3 giorni (Barbar et al.,
2010).

Condizioni di trombofilia già note come, ad esempio, il deficit di
Antitrombina, della proteina C o S, del fattore V di Leiden,
mutazione della protrombina G20210A e sindrome antifosfolipidica
(Barbar et al., 2010).

Interventi chirurgici (vedere punto 1.3.2) nell’ultimo mese (Barbar et
al., 2010).

Episodi traumatici (vedere punto 1.3.3) nell’ultimo mese (Barbar et
al., 2010).

Insufficienza cardiaca e/o respiratoria (Barbar et al., 2010).

Età ≥ 70 anni (Barbar et al., 2010).

Infarto miocardico acuto o stroke ischemico (Barbar et al., 2010).

Obesità, BMI ≥ 30 (Barbar et al., 2010).

Trattamento ormonale in corso (Barbar et al., 2010).
1.3.2 Fattori di rischio in pazienti ricoverati per una problematica
clinica chirurgica
In questo contesto è necessario considerare sia fattori specifici del paziente,
simili a quelli che consideriamo per il paziente con una problematica
medica, che fattori specifici della procedura chirurgica a cui il paziente è
stato sottoposto. Dalla revisione di circa 130 Randomized Clinical Trial
(RCT), che includono pazienti sottoposti a procedure chirurgiche diverse,
emerge che presentano un rischio elevato di sviluppare una malattia TEV
coloro che affrontano un intervento di chirurgia ortopedica maggiore e, a
seguire, interventi di chirurgia generale e di neurochirurgia (NCGC-ACC,
2010).
I fattori di rischio vengono suddivisi in paziente-specifici e procedura-
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specifici.
Fattori di rischio paziente-specifici:

Età ≥ 60 anni (Agnelli et al. 2006, Epstein 2005, Clarke-Pearson et
al. 2003, Oda et al. 2000, White et al. 2000).

Pregresso evento di malattia TEV (Pedersen et al. 2010, Agnelli et
al. 2006, Epstein 2005, Leizorovicz et al. 2005, Clarke-Pearson et al.
2003, Oda et al. 2000, White et al. 2000).

Patologie cardiovascolari (Pedersen et al. 2010, Leizorovicz et al.
2005).

Apnee notturne (Caruana et al. 2011, Inabnet et al. 2010, Carmody et
al. 2006, Sapala et al. 2003).

BMI ≥ 30 (Caruana et al. 2011, Inabnet et al. 2010, Stroh et al. 2009;
Raftopoulos et al. 2008, Gargiulo et al. 2007, Piano et al. 2007,
Carmody et al. 2006, White et al. 2000).

Gravidanza o post-partum (Bahl et al., 2010).

Cancro (Khaldi et al. 2011, Simanek et al. 2007, Epstein 2005,
Clarke-Pearson et al. 2003, Oda et al. 2000, Ruff & Posner 1983).

Paresi (Khaldi et al. 2011, Simanek et al. 2007, Ruff & Posner
1983).

Genere maschile (Spyropoulos et al., 2009).
Fattori di rischio procedura-specifici:

Durata dell'anestesia generale ≥ 2 ore; (Khaldi et al. 2011, Simanek
et al. 2007, Agnelli et al. 2006, Ruff & Posner 1983).

Presenza di Catetere Venoso Centrale (CVC) (Bahl et al., 2010).

Coronary Artery Bypass Grafting (CABG) in off pump (Cartier &
Robitaille, 2001).

Allettamento ≥ 4 giorni (Agnelli et al. 2006; Leizorovicz et al.
2005).

Complicazioni post-chirurgiche tra cui: infezioni delle vie urinarie,
insufficienza renale acuta, trasfusione di emazie concentrate, infarto
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miocardico peri-operatorio, polmonite (Gangireddy et al., 2007) e
sepsi (Bahl et al., 2010).
1.3.3 Fattori di rischio in pazienti ricoverati per una problematica
clinica traumatica
Diversi studi hanno esaminato il rischio di malattia TEV in pazienti adulti
con trauma o politrauma. Gould et al. (2012) hanno analizzato i dati
contenuti in quattro di essi ed emerge che il rischio di malattia TEV
sintomatica è compreso tra 1% e 7.6% ove la percentuale più alta interessa
pazienti che riportano fratture vertebrali, lesioni midollari o cerebrali. Jones
et al. (2005) affermano che l'età al di sotto dei 14 anni sia un fattore
predittivo di non sviluppo della malattia TEV in presenza di lesioni
midollari.
Fattori di rischio:

Età ≥ 40 anni (Knudson et al., 2004) oppure secondo Geerts et al.
(1994) un Odds Ratio (OR) pari a 1.05 per ogni anno di età (CI 95%,
1.03-1.06).

Genere maschile (Jones et al., 2005).

Popolazione nera (Jones et al., 2005).

Neoplasia (Green et al., 2003).

Trasfusione di emazie concentrate (Geerts et al., 1994).

Interventi chirurgici (Knudson et al. 2004, Geerts et al. 1994).

Frattura del femore o della tibia (Knudson et al. 2004, Geerts et al.
1994).

Lesione midollare (Geerts et al., 1994).

Trauma cranico (Knudson et al., 2004).

Danno vascolare a carico del circolo venoso (Knudson et al., 2004).

Ventilazione meccanica ≥ 3 giorni (Knudson et al., 2004).

Paraplegia vs tetraplegia (Jones et al., 2005).

Presenza di almeno 3 comorbilità (Jones et al., 2005).
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1.3.4 Fattori di rischio in pazienti ricoverati in Terapia Intensiva
Il paziente ricoverato presso un'Unita di Terapia Intensiva raramente è
colpito da una singola patologia. La compresenza di più problematiche
cliniche giustifica il rischio così elevato.
I fattori di rischio riscontrati in letteratura per questo tipo di pazienti sono:

Disturbi acuti, ad esempio sepsi (Cook et al., 2005).

Patologie croniche, ad esempio insufficienza renale o scompenso
cardiaco (Cook et al., 2005).

Pregressa malattia TEV o familiarità per la stessa (Cook et al.,
2005).

Trasfusione di piastrine (Cook et al., 2005).

Allettamento prolungato (Cook et al., 2005).

Interventi chirurgici (Cook et al., 2005).

Presenza CVC (Cook et al., 2005).

Ventilazione meccanica (Cook et al., 2005).

Terapia farmacologica come agenti vasopressori o paralizzanti
(Cook et al., 2005).
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2. LA TROMBOSI VENOSA PROFONDA
2.1 Fisiopatologia
“Per trombosi si intende la formazione di masse solide nelle cavità
cardiache o in quelle dei vasi arteriosi o venosi durante la vita, a partire da
costituenti normali del sangue.” (Welch, 1899).
Le cause della trombosi sono soprattutto tre (Triade di Virchow):
“l'alterazione della parete vasale, il rallentamento locale del circolo e
l'alterazione primitiva di qualche componente ematico del processo
coagulativo.” (Virchow, 1846-1856). Raramente ciascuno di questi fattori
opera da solo. Le cause più frequenti di alterazione della parete vasale sono
la presenza di ateromi ulcerati, o di processi infiammatori, trasmessi
dall'esterno oppure originatisi direttamente nella parete. Altra causa di
lesione della parete arteriosa, la quale però entra in gioco raramente nella
trombosi di vasi importanti, può essere un trauma. Il rallentamento del
flusso sanguigno può essere provocato da compressioni da parte di oggetti
esterni al vaso, oppure la diminuzione della vis a tergo per insufficienza
cardiocircolatoria. Il rallentamento è la causa principale nel determinismo
dei trombi intracardiaci in corso di fibrillazione o fluttuazione. Altre volte
invece è causato dalla formazione di vortici o di onde retrograde. Tra le
alterazioni dei componenti ematici del processo coagulativo, importanza
maggiore hanno le piastrine. Esse dimostrano una maggiore adesività dopo
interventi chirurgici, traumi, emorragie e nel corso del puerperio. In certe
condizioni, il rallentamento è determinato anche da alterazioni dei globuli
rossi, che tendono a conglutinarsi e a impilarsi; ciò accade specialmente nei
piccoli vasi, in rapporto con ustioni o con fenomeni autoimmunitari (per
esempio, nella sindrome di Raynaud). Le emazie così danneggiate
favoriscono il processo trombotico anche attraverso l'innesco del
meccanismo coagulativo. Tra i fattori ematici che favoriscono la trombosi,
sono infine da ricordare quelli plasmatici della coagulazione (Dianzani et
al., 2004).
12
Il trombo, che per definizione rimane aderente alla parete del vaso, è friabile
ed ha una struttura disomogenea con superficie irregolare, differisce dal
coagulo, che non aderisce alla parete vasale dalla quale vi si stacca
facilmente. Può essere classificato in base alla sua composizione, e quindi al
colore, alla sede di origine ed alla grandezza. La composizione e la sede di
origine giocano un ruolo principale per la definizione del trombo: la velocità
del flusso ematico a livello venoso, indipendentemente dalla sede, è più
bassa rispetto quella arteriosa perciò vi è un maggior tempo di permanenza
della componente corpuscolare del sangue (eritrociti e piastrine) che
favorisce l'evoluzione verso la coagulazione completa, verso il trombo
rosso; nelle arterie, viceversa, sono prevalenti i trombi bianchi dalla
composizione endoteliale-piastrinica. La grandezza del trombo, infine, può
determinare la completa ostruzione del vaso, trombi ostruenti, oppure
occupare soltanto una porzione del lume del vaso come nel caso dei trombi
parietali (Dianzani et al., 2004).
2.2 Manifestazione clinica
I tipici sintomi della TVP includono dolore, senso di pesantezza, crampi alle
estremità inferiori, specialmente al polpaccio, che possono progredire
lentamente col trascorrere dei giorni oppure accelerare rapidamente
portando al gonfiore e alla colorazione blu-rossa o cianotica (Bauersachs,
2012).
2.3 Diagnosi
Wells et al. (1995) hanno sviluppato un modello di accertamento clinico,
modificato poi da un secondo gruppo di studio di Wells et al. (1997), per
stratificare i pazienti sintomatici in gruppi con bassa, media o alta
probabilità clinica pretest per la TVP. Nel 2006 gli stessi autori hanno
pubblicato una revisione sistematica di tutti quei trials clinici che
riportavano la prevalenza di TVP stimata mediante il modello clinico sopra
citato. L'obiettivo di tale revisione era quello di determinare la prevalenza di
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TVP previste prima di eseguire test strumentali. Da essa emerge che nei
gruppi a bassa, media e alta probabilità clinica la prevalenza è
rispettivamente del 5.0% (IC 95%, 4.0%-8.0%), 17% (IC 95%, 13%-23%) e
53% (IC 95%, 44%-61%).
Una seconda classificazione, come riporta Prandoni (1997), distingue tre
principali categorie di pazienti: quelli con il sospetto del primo episodio di
TVP, con il sospetto di recidiva di TVP e asintomatici ad alto rischio di TVP
(candidati ad intervento di chirurgia maggiore e coloro che restano
immobilizzati a lungo a seguito di un episodio di ictus cerebrale).
L'accertamento clinico e la classificazione aiutano nella scelta del test
diagnostico più adeguato al paziente.
Tra i test diagnostici strumentali, nei pazienti con il sospetto di primo
episodio di TVP, la flebografia convenzionale risulta essere l’esame
standard (Hull et al., 1981) ma i limiti imposti dall'utilizzo del mezzo di
contrasto, iniettato nella vena dorsale del piede, hanno portato a sviluppare
altre strategie di ricerca. Tra di esse troviamo: il livello ematico del Ddimero, ecografia compressiva degli arti inferiori, Tomografia Assiale
Computerizzata (TAC) e Risonanza Magnetica per Immagini (RMI).
L'esame ematico individua la quantità di D-dimero (prodotto di
degradazione della fibrina) circolante, tipicamente elevata nei pazienti con
TVP acuta. Comunque, tale quantitativo può aumentare in una varietà di
disordini non trombotici quali neoplasia, Coagulazione Intravasale
Disseminata (CID), età avanzata, infezione, gravidanza, evento traumatico,
intervento chirurgico, stato infiammatorio, fibrillazione atriale e stroke;
perciò è un marcatore altamente sensibile ma non specifico per la malattia
TEV (Bates et al., 2012). L'ecografia compressiva degli arti inferiori è lo
studio per immagini più utilizzato per diagnosticare la TVP (Kearon et al.,
1998). Grazie ad essa viene accertata la compressibilità delle vene degli arti
inferiori e l'assenza di un completo collasso venoso è considerato
diagnostico. La flebografia osservata tramite esame TAC prevede l'iniezione
di un mezzo di contrasto e, successivamente, le immagini delle vene
14
dell'arto interessato vengono acquisite tramite TAC. Tale esame condivide
con la flebografia convenzionale l'impiego del mezzo di contrasto via
endovena ma non richiede l'incannulamento della vena del piede e può
essere combinata con l'esame angiografico polmonare nel caso in cui siano
sospettate sia TVP che EP. Infine la RMI può essere eseguita con diverse
tecniche. Alcune di queste prevedono la somministrazione endovenosa del
mezzo di contrasto, altre invece identificano la TVP visualizzando
direttamente le immagini del trombo (tecnica che individua le elevate
concentrazioni di meta-emoglobina presenti nel coagulo) risultando a tutti
gli effetti un esame non invasivo e ad alta specificità e sensibilità.
Nonostante ciò, non è un esame di routine disponibile in tutti i centri (Bates
et al., 2012).
Nella situazione in cui si sospetti una recidiva di TVP gli esami strumentali
sono i medesimi sopra citati ma l'efficacia dell'accertamento della
probabilità clinica pretest, tramite il modello clinico di Wells, non è ancora
stata validata in un campione ampio di popolazione.
La stratificazione iniziale dei pazienti permette di individuare l'algoritmo del
percorso diagnostico più adatto alla situazione clinica.
2.4 Trattamento
L'approccio alla TVP acuta può essere di tipo farmacologico o meccanico. Il
primo prevede una somministrazione farmacologica via EV mentre il
secondo un approccio più invasivo.
Confermata la diagnosi di TVP si stima il rischio di sanguinamento
maggiore e si definisce in quale categoria di rischio rientra il paziente:
basso, moderato o alto rischio. Come riportato da Kearon et al. (2012) tra i
fattori di rischio di sanguinamento con terapia anticoagulante in corso vi
sono: età > 65 anni, precedenti sanguinamenti, neoplasia e/o metastasi,
insufficienza renale e/o epatica, trombocitopenia, precedente stroke, diabete,
anemia, terapia antipiastrinica, scarso controllo dell'anticoagulazione,
comorbidità e ridotta capacità funzionale, recente intervento chirurgico,
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frequenti cadute ed infine abuso di sostanze alcoliche. Se la terapia
anticoagulante è in corso da meno di tre mesi e non vi sono fattori di rischio,
il rischio di base di sanguinamento è di circa lo 0.6% che aumenta allo 1.2%
in presenza di un fattore di rischio ed al 4.8% in presenza di due o più fattori
di rischio. Il rischio totale può raggiungere il 12.8% in base alla gravità di
ciascun fattore di rischio. Nel caso in cui il periodo di anticoagulazione
superi i tre mesi, il rischio di base di sanguinamento è circa lo 0.3%, che
aumenta allo 0.6% in presenza di un fattore di rischio e che raggiunge
almeno il 2,5% in presenza di due o più fattori di rischio. Il rischio totale
può raggiungere il 6.5% in base alla gravità di ciascun fattore di rischio.
Comparando la durata della terapia anticoagulante gli stessi autori associano
un aumento del sanguinamento maggiore di 2.6 volte nei primi tre mesi di
terapia rispetto i successivi. La prescrizione medica del farmaco potrebbe
includere Antagonisti della Vitamina K (AVK) quali Warfarin o
Acenocumarolo, Eparina a Basso Peso Molecolare (EBPM) per via
Sottocutanea (SC), Fondaparinux per via SC, Rivaroxaban per via SC ed
Eparina Non Frazionata (ENF) per via SC o EV. Questi farmaci, con
meccanismi d'azione diversi, sono stati studiati e comparati in modo tale da
osservare quale possa essere considerato di prima scelta. La revisione
sistematica di Erkens & Prins (2010) include ventitré RCT che mettono a
confronto la terapia con EBPM e con ENF; conclude affermando che
l'EBPM riduce l'incidenza di complicazioni trombotiche, la manifestazione
di
sanguinamento
maggiore
dopo
le
prime
somministrazioni
e
complessivamente la mortalità al follow-up. Mantenendo lo stesso confronto
Linkins et al. (2012) pongono in svantaggio l'EBPM per il suo costo elevato
e per l'accumulo in circolo nei pazienti con insufficienza renale, tuttavia è
conveniente poiché può essere somministrata solo una volta al giorno ed ha
un potenziale più basso di Trombocitopenia Indotta da Eparina (TIE). Anche
Fondaparinux e Rivaroxaban, come l'EBPM, vengono eliminati per via
renale, perciò dovrebbero essere utilizzati con cautela nelle persone con
compromissione di tale funzionalità.
16
Un secondo approccio farmacologico impiega sostanze trombolitiche a
livello sistemico (Trombolisi Sistemica, TS) o locale (Trombolisi Diretta da
Catetere): streptochinasi ed urochinasi. La revisione sistematica di Watson
& Armon (2004) destinata ad accertare i rispettivi tassi di mortalità, di
ricorrente malattia TEV, di sanguinamento maggiore e di SPT afferma che
tale approccio riduce come previsto il rischio di SPT
ma aumenta il
sanguinamento maggiore. Tra le controindicazioni alla TS ed alla TDC
riportate da Kearon et al. (2012) troviamo patologie della struttura
intracranica, precedenti emorragie intracraniche, stroke ischemico da meno
di tre mesi, sanguinamento in atto, recente intervento neurochirurgico o di
chirurgia spinale, recente trauma cranico commotivo ed infine diatesi
emorragica. Nonostante la prima scelta sia la terapia anticoagulante, la TS o
la TDC andrebbe considerata in un paziente che manifesti una TVP ileo
femorale, sintomi da meno di 14 giorni, buono stato funzionale, aspettativa
di vita maggiore ad un anno ed un basso rischio di sanguinamento (Kearon
et al., 2012). L'aggiunta della frammentazione e dell'aspirazione del trombo
alla TDC viene comunemente nominata Trombolisi Farmaco-Meccanica
(TFM). Non esiste comunque un approccio standard che favorisce la TDC o
la TFM, la tecnica varia in funzione delle risorse locali e dell'esperienza
dell'operatore (Kearon et al., 2012).
Gli approcci che non prevedono l'impiego di farmaci che vanno ad agire sul
trombo sono la Trombectomia Meccanica Venosa Percutanea (TMVP) e la
Trombectomia Venosa Operativa (TVO). La prima, TMVP, è scoraggiata
dalla letteratura poiché spesso fallisce nella rimozione del trombo
(Vedantham et al. 2002, Kasirajan et al. 2001) quindi è associata ad un alto
rischio di EP (Delomez et al. 2001, Kinney et al. 2000). La seconda, TVO,
diviene scelta secondaria preceduta dalla TDC a causa della bassa qualità
degli studi.
17
2.5 Complicanze
L'EP e la SPT sono tra le complicanze più comuni della TVP (Hirsh et al.,
1986). L'EP verrà trattata al punto successivo. La SPT colpisce circa un
terzo delle persone con precedente TVP acuta e circa due terzi con
precedente TVP con sede ileo femorale (Kahn et al. 2008, Kahn & Ginsberg
2002). I sintomi principali sono gonfiore cronico, dolore, discomfort alla
deambulazione e decolorazione della cute. La gravità di questi può variare
nel tempo e la più grave manifestazione è data dalle ulcere degli arti
inferiori (Kearon et al., 2012).
18
3. L'EMBOLIA POLMONARE
3.1 Fisiopatologia
La dislocazione dei trombi dalla loro sede di origine, definita
embolizzazione, provoca il loro ingresso nel circolo arterioso. In tale
condizione, le alterazioni più comuni dello scambio dei gas sono
l'ipossiemia (con riduzione della pressione parziale arteriosa) ed un aumento
della tensione arteriosa-alveolare di O2, che provocano l'inefficace
trasferimento di O2 attraverso i polmoni. Lo spazio morto anatomico
aumenta perché il gas respirato non raggiunge la zona di scambio dei gas dei
polmoni. Lo spazio morto fisiologico aumenta perché la ventilazione verso
le zone di scambio dei gas dei polmoni eccede il flusso di sangue venoso
attraverso i capillari polmonari. Altre anormalità fisiopatologiche includono
l'aumento della resistenza vascolare polmonare causata dall'ostruzione
vascolare da parte dell'embolo; le alterazioni dello scambio dei gas a causa
dell'aumentato spazio morto alveolare secondario all'ostruzione vascolare,
all'ipossiemia secondaria all'ipoventilazione, allo shunting polmonare,
all'alterazione del trasferimento di CO a causa della perdita di superficie di
scambio dei gas; l’iperventilazione polmonare a causa della stimolazione
riflessa dei recettori irritanti; l’aumento della resistenza delle vie aeree a
causa della costrizione delle vie bronchiali distali; la ridotta compliance
polmonare a causa dell'edema polmonare, l’emorragia polmonare e la
perdita di surfactante (Goldhaber, 2012).
3.2 Manifestazione clinica
I segni e sintomi più comuni sono rispettivamente la tachipnea e la dispnea.
Ipotensione, sincope, dispnea o cianosi indicano un’embolia polmonare
massiva mentre il dolore pleurico, tosse o emottisi spesso suggeriscono la
presenza di un piccolo embolo situato distalmente vicino la pleura
(Goldhaber, 2012).
19
3.3 Diagnosi
Lucassen et al. (2011) hanno condotto una meta-analisi su 52 RCT con
l'obiettivo di comparare le caratteristiche degli accertamenti clinici per
definire la probabilità di embolia polmonare (Wells e Geneva scores) e delle
decisioni cliniche nei pazienti con sospetta embolia polmonare ed accertare
il tasso di insuccesso degli stessi quando combinati alla quantificazione del
D-dimero. Considerati i limiti dello studio, quali l’eterogeneità nella
prevalenza dell’embolia polmonare e le potenziali influenze a causa della
diagnosi differenziale, gli autori affermano che gli accertamenti clinici, che
stratificano i pazienti in classi a basso, medio o alto rischio, combinati
all'esame del D-dimero possono escludere in sicurezza l'evento embolia
polmonare. Ulteriori esami diagnostici per immagini non invasivi sono: la
Tomografia Computerizzata (TC) del torace, la scintigrafia polmonare,
l’ecografia venosa degli arti inferiori; mentre tra quelli invasivi si ricordano:
l’ecocardiografia trans-esofagea, la RMI o l’angiografia polmonare
(Goldhaber, 2012).
3.4 Trattamento
Come per la TVP, anche per l’embolia polmonare non esiste un trattamento
standard. I principali interventi di tipo farmacologico prevedono gli stessi
principi attivi utilizzati per la TVP, viceversa nuovi interventi possono
essere impiegati: l’embolectomia polmonare chirurgica e il posizionamento
di un filtro cavale in vena cava inferiore (Inferior Venous Cava = IVC).
Le linee guida dell'American College of Chest Physicians (ACCP) (2012),
curate da Kearon et al. (2012), in pazienti con un'evento acuto di embolia
polmonare, raccomandano l'avvio precoce della terapia con AVK per poi
continuare con l'anticoagulazione parenterale per almeno 5 giorni, o almeno
superiore alle 24 ore, e fino al mantenimento dell'INR superiore a 2.0 (1B).
La scelta dell'EBPM (2C) o del Fondaparinux (2B) è preferita alla ENF per
via sottocutanea (2B per EBPM e 2C per Fondaparinux).
L'embolia polmonare associata ad ipotensione (pressione arteriosa sistolica
20
<90 mmHg), o qualora il paziente risulti essere ad alto rischio di
svilupparla, in assenza di un alto rischio di sanguinamento può essere
trattata con la TS per periodi brevi di tempo (esempio 2 ore di infusione)
piuttosto che prolungati (esempio 24 ore di infusione) (2C).
Nei pazienti con embolia polmonare associata ad ipotensione e che hanno
controindicazioni alla TS, insuccesso alla TS o sono in uno stato di shock
che provocherà la morte prima dell'effetto della TS, gli autori consigliano la
rimozione del trombo attraverso la TDC (2C).
L'embolectomia polmonare chirurgica è consigliata qualora ci siano
controindicazioni alla TS, insuccesso della TS o della TDC oppure uno stato
di shock che provocherà la morte prima dell'effetto degli interventi
trombolitici (2C).
Infine il posizionamento del filtro IVC viene consigliato sia come supporto
alla terapia anticoagulante che in assenza di essa (1B).
3.5 Complicanze
Escluso l'evento fatale, l'Ipertensione Polmonare Tromboembolica Cronica
(IPTC) si verifica dallo 1% circa (Becattini et al., 2006) al 9% (Dentali et
al., 2009) dei pazienti con pregresso evento TEV.
Il sintomo più comune attribuibile alla IPTC è la dispnea da sforzo mentre
altri sintomi sono stanchezza, angina pectoris, sincope ed edema periferico.
I segni che si possono individuare all'esame fisico sono turgore giugulare,
ridotto polso carotideo e polso ventricolare destro palpabile. La cianosi e/o
l'edema tendono a verificarsi nelle fasi avanzate della malattia (Rich, 2012).
21
4. LA PROFILASSI PER LA TROMBO EMBOLIA VENOSA
4.1 Farmacologica
La scelta della profilassi farmacologica per la malattia TEV deve esser fatta
bilanciando il rischio di trombosi ed il rischio di sanguinamento.
Nei pazienti ricoverati per un problema clinico di tipo medico, che sia un
evento acuto, di origine oncologica, che si trovino in condizioni critiche o
che siano permanentemente immobilizzati, e che siano a basso, medio o ad
alto rischio di evento trombo embolico, la profilassi farmacologica prevede
EBPM o Eparina Non Frazionata a Basse Dosi (ENFBD). La compresenza
di un elevato rischio di sanguinamento pone in secondo piano la profilassi
farmacologica favorendo quella meccanica compressiva (trattata al punto
4.2) fino a quando il rischio di sanguinamento decresce (Kahn et al., 2012).
Gli stessi autori hanno svolto una meta-analisi di 3 RCT di qualità elevata
che includono pazienti con problematiche mediche in trattamento
anticoagulante per via parenterale. I risultati prevedono una riduzione
significante dell'EP fatale (RR, 0.41; IC 95%, 0.22-0.76) e della TVP
sintomatica (RR, 0.47; IC 95%, 0.22-1.00) (Kahn et al., 2012).
L'impiego di Acido Acetilsalicilico (ASA), nei pazienti con un problema di
tipo medico, prevede come profilassi una riduzione dei costi di trattamento e
la facilità nella somministrazione (per via orale) e, comparata con la terapia
placebo, riduce poco la mortalità (RR, 0.97; IC 95%, 0.85-1.10) agendo
maggiormente sulla riduzione dell'EP (RR, 0.47; IC 95%, 0.37-0.59) e della
TVP (RR, 0.71; IC 95%, 0.52-0.97) aumentando però il rischio di
sanguinamento (RR, 1.42; IC 95%, 1.16-1.74) (Kahn et al., 2012). Tuttavia
l'ASA non è mai stata comparata con i farmaci antitrombotici.
Quando il paziente viene sottoposto ad un intervento chirurgico, che sia di
chirurgia generale e addomino-pelvica, cardiochirurgia, chirurgia vertebro
midollare o neurochirurgia, la profilassi farmacologica a base di EBPM o
ENFBD per via parenterale viene somministrata nei casi in cui ci sia rischio
di evento TEV moderato o alto e non ci sia un alto rischio di sanguinamento
22
(Gould et al., 2012). Una meta-analisi di 51 RCT condotta da Mismetti et al.
(2001) ha come obiettivo la comparazione tra EBPM e placebo o ENFBD
somministrata in più di 48000 pazienti sottoposti ad interventi di chirurgia
generale e addominale. Emerge che l'EBPM rispetto il placebo riduce il
rischio di sviluppare la TVP asintomatica (RR, 0.28; IC 95%, 0.14-0.54),
l'EP (RR, 0.25; IC 95%, 0.08-0.79) e nel complesso l'evento TEV (RR 0.29;
IC
95%,
0.11-0.73);
confrontata
con
l'ENFBD,
l'EBPM,
riduce
significativamente la manifestazione clinica dell'evento TEV (RR, 0.71; IC
95%, 0.51–0.99; p 0.049). Gould et al. (2012) concludono affermando che
per la stessa classe di pazienti, nel caso in cui non vi sia un alto rischio di
sanguinamento ma sia presente un alto rischio di sviluppare un evento TEV
e siano controindicate sia EBPM che ENFBD, la scelta può ricadere su
Fondaparinux o basse dosi di ASA.
Nei pazienti sottoposti a chirurgia ortopedica l'orientamento è pressochè
simile poichè la profilassi farmacologica a base di EBPM, ENFBD o
Fondaparinux, Apixaban, Dabigatran e AVK nei casi in cui siano
controindicati i primi due non viene somministrata quando è presente un
elevato rischio di sanguinamento (Falck-Ytter et al., 2012).
Nei pazienti colpiti da trauma maggiore viene consigliata una profilassi
farmacologica a base di EBPM o ENFBD per ogni classe di rischio di
evento TEV; qualora i due farmaci siano controindicati viene preferita la
profilassi meccanica (Gould et al., 2012).
4.2 Meccanica
Già prima del XIX secolo la sperimentazione scientifica medica ha cercato
di migliorare la circolazione ematica grazie all'esercitazione di una
pressione esterna sugli arti inferiori. La profilassi meccanica per la malattia
TEV, appunto, consiste nell'innsescare reazioni fisiologiche a partire da
azioni meccaniche esterne od interne. Tali azioni vengono esplicate da
appositi dispositivi: calze elastiche a compressione graduata o Graduated
Compression Stockings device (GCSd), dispositivi a compressione
23
pneumatica intermittente o Intermittent Pneumatic Compression device
(IPCd) e pompa a pedale o Venous Foot Pump (VFP) ad azione esterna.
Filtro cavale o Inferior Venous Cava (IVC) filter ad azione interna.
4.2.1 Graduated Compression Stockings device (GCSd)
I GCSd comprimono le vene degli arti inferiori in modo graduale. Esistono
di diverse misure e possono ricoprire solo dal piede al ginocchio oppure
l'intera gamba fino alla coscia.
4.2.1.1 Meccanismo d'azione
Questi dispositivi esercitano il loro effetto favorevole riducendo il rischio di
sviluppare un evento TEV opponendosi ad una varietà di meccanismi
coinvolti nella patogenesi della trombosi venosa: comprimono la gamba, in
maniera statica, diminuendo così la sezione trasversa delle vene ed
aumentando la velocità del flusso ematico, quindi annullano la stasi venosa;
comprimono la regione attorno la caviglia aumentando ulteriormente la
velocità del flusso ematico; aumentano l'effetto pompa muscolare del
polpaccio e con ciò migliorano la funzione delle valvole venose riducendo
l'accumulo ematico venoso; modulano il livello ematico di alcuni fattori
della coagulazione (Lippi et al., 2011).
4.2.1.2 Studi di efficacia clinica
Diversi studi hanno indagato l'efficacia clinica di questi dispositivi. Primo
tra questi è quello condotto da Kierkegaard & Norgren (1993); dai quali
risultati purtroppo non emerge se i dispositivi siano efficaci o meno nel
prevenire la TVP. Tuttavia studi più recenti hanno ottenuto risultati migliori.
Roderick et al. (2005) hanno svolto una revisione sistematica con l'obiettivo
di accertare i benefici di: profilassi meccanica, anticoagulanti orali, destrano
ed anestesia locoregionale (in alternativa all'anestesia generale) in termini di
riduzione del rischio di sviluppare TVP, EP e sanguinamento in pazienti con
problemi medici o chirurgici. L'attenzione è stata focalizzata sulla parte
24
riguardante la profilassi meccanica con dispositivi GCSd. Sono presi in
considerazione nove trials nei quali l'applicazione dei dispositivi GCSd
sembra ridurre il rischio di incidenza della TVP del 66%. L'omogeneità
degli studi non è confermata.
L'impiego di tali dispositivi è studiato più metodicamente da Dennis et al.
(2009) i quali avviano il primo dei tre trials clinici denominati Clots in Legs
Or sTockings after Stroke 1 (CLOTS1). Obiettivo di questo primo RCT a
singolo cieco è quello di accertare l'efficacia dei GCS coprenti fino alla
coscia, o Thigh-Length (TL), nel ridurre la TVP dopo uno stroke; 2518
pazienti sono stati inclusi nello studio e divisi in due gruppi: il primo
(n=1256) ricevente la terapia farmacologica di routine più l'applicazione dei
GCSd ed il secondo (n=1262) ricevente la sola terapia di routine. I risultati
non sono molto incoraggianti poiché l'evento di TVP, sintomatico od
asintomatico, è stato riscontrato in circa il 10.0% nel gruppo dei pazienti
con GCSd ed in circa il 10.5% nei pazienti senza GCSd con una riduzione
poco significativa del rischio assoluto pari allo 0.5% (IC 95%, da -1.9% a
2.9%). Emerge anche che complicazioni quali rotture della cute, ulcere,
vesciche e necrosi cutanee sono molto frequenti nei pazienti con GCSd
rispetto i pazienti senza GCSd poiché si sono verificate rispettivamente in
circa il 5% verso lo 1% (OR 4.18; IC 95%, 2.40-7.27).
Un secondo studio CLOTS condotto da Dennis et al. (2010) compara
l'utilizzo dei dispositivi GCSd TL verso quelli coprenti fino al ginocchio, o
Knee-Length (KL). La metodologia è molto simile al precedente studio,
trattasi quindi di un RCT a singolo cieco con l'organizzazione dei pazienti in
due gruppi; il primo (n=1552) ricevente i dispositivi GCSd TL ed il secondo
(n=1562) ricevente i GCSd KL. La TVP, sintomatica od asintomatica, è stata
riscontrata nel 6.3% dei pazienti con GCSd TL e nel 8.8% dei pazienti con
GCSd KL con una differenza assoluta del 2.5% (IC 95%, 0.7%-4.4%;
p=0.008). La manifestazione delle complicanze cutanee, quali rotture della
cute, è avvenuta nel 3.9% nei pazienti con GCSd TL e nel 2.9% dei pazienti
con GCSd KL. Gli autori concludono affermando che la TVP si riscontra
25
maggiormente nei pazienti ai quali sono stati applicati i dispositivi GCSd
KL rispetto ai TL ma che quest'ultimi, per migliorare il comfort della cute
del paziente, vengono rimossi più frequentemente. Uno studio simile è stato
condotto da Sajid et al. (2012) con l'obiettivo di analizzare sistematicamente
gli RCT che hanno valutato l'efficacia dell'applicazione dei dispositivi
GCSd KL verso i dispositivi TL nei pazienti sottoposti a varie tipologie di
chirurgia. Emerge che non esistono differenze significative nell'incidenza
della TVP tra le due tipologie di dispositivi. Tuttavia individuano altri punti
da argomentare. I dispositivi GCSd TL risultano molto più difficili da
applicare e possono provocare più frequentemente un effetto laccio nella
parte superiore della coscia se applicati incorrettamente (Hameed et al.
2002, Byrne et al. 2001, William et al. 1996, Porteous et al. 1989). Questo
effetto laccio può danneggiare la cute e ridurre il flusso venoso aumentando
il rischio potenziale di TVP. Viceversa anche se i dispositivi GCSd KL si
dovessero arrotolare verso la caviglia il punto di maggior pressione
rimarrebbe sempre a livello della caviglia stessa. Infine i dispositivi GCSd
KL sono maggiormente preferiti dai pazienti perchè ritenuti più confortevoli
(Hameed et al. 2002, Sharpe et al. 2002, Byrne et al. 2001).
Dalla letteratura emergono quindi dati poco sovrapponibili. Non è noto se il
rischio di sviluppare complicanze cutanee dei pazienti con stroke sia
sovrapponibile ad altre classi di pazienti, tuttavia l'applicazione dei
dispositivi GCSd, che siano TL o KL, non è priva di complicanze. Lippi et
al. (2011) individuano tre controindicazioni principali all'applicazione dei
dispositivi: patologie dermatologiche, arteriopatie periferiche gravi e
neuropatia diabetica.
Secondo le linee guida ACCP (2012) curate da Kahn et al. (2012)
l'applicazione dei dispositivi GCSd rimane come una delle due alternative di
scelta nei pazienti, con moderato o alto rischio di TEV ed alto rischio di
sanguinamento, ricoverati per una problematica clinica medica acuta (2C),
per i pazienti in condizioni critiche (2C) e nei pazienti immobilizzati (2C).
26
4.2.2 Intermittent Pneumatic Compression device (IPCd)
Sin dagli anni '30 del secolo scorso la comunità scientifica cominciò a
studiare gli effetti che la pressione e la depressione ottenevano quando
applicate agli arti inferiori.
Oggigiorno per la terapia profilattica compressiva pneumatica non vengono
più utilizzate camere a pressione o depressione ma dispositivi esterni: gli
IPCd. Tali dispositivi variano in termini di lunghezza e di organizzazione
delle camere d'aria. Per quanto riguarda la lunghezza, le alternative
disponibili sul mercato possono ricoprire il solo piede, il piede ed il
polpaccio, solo il polpaccio, il polpaccio e la coscia ed infine l'intera gamba
a partire dal piede fino alla coscia. L'organizzazione delle camere d'aria
permette di avere dispositivi monocamera o con più camere la cui
immissione d'aria è sincronizzata, dalle zone distali a quelle prossimali,
grazie ad una pompa pneumatica elettrica (Lippi et al., 2011).
4.2.2.1 Meccanismo d'azione
Tutti i dispositivi IPCd aumentano il flusso venoso delle vene prossimali per
il breve arco di tempo in cui esercitano la compressione e possono essere
utilizzati diversi livelli di pressione. L'aria può essere immessa
uniformemente o sequenzialmente con pressioni graduate. I tempi del ciclo
di gonfiaggio e sgonfiaggio delle camere d'aria così come i livelli di
pressione possono variare ampiamente (Lippi et al., 2011). Prendiamo in
considerazione un dispositivo per volta partendo dagli IPCd, più diffusi, che
ricoprono o il solo polpaccio o sia il polpaccio che la coscia. La pressione
esercitata sul polpaccio e sulla coscia raggiunge circa i 40 mmHg e produce
un aumento della velocità da 35 a 60 cm/s a livello della vena femorale (un
incremento di circa il 250% rispetto il fisiologico durante la compressione)
ed a 55 cm/s nella vena polplitea.
Chen et al. (2001), sulla base dello studio di Knight & Dawson (1976) i
quali hanno ottenuto una riduzione dell'incidenza di TVP degli arti inferiori
applicando i dispositivi IPCd sulle estremità superiori, deducono che
27
l'efficacia di questi dispositivi nel ridurre il tasso di TVP non è solamente il
risultato diretto della compressione meccanica quale causa di cambiamenti
emodinamici. Infatti le forze meccaniche esercitate dai dispositivi IPCd
possono avere stimolato la capacità del sistema fibrinolitico o altri
meccanismi biochimici della coagulazione. Quando il dispositivo è
applicato alle estremità inferiori, la compressione improvvisa genera un
flusso pulsante che spinge il volume ematico ottenendo uno svuotamento
completo nel sito di compressione. La distensione causata dal volume di
sangue genera uno stato di tensione delle cellule endoteliali venose, mentre
l'aumentata velocità del flusso ematico impone un aumento della forza da
taglio sulle stesse cellule endoteliali. Gli effetti delle due forze, da taglio e
tensione, sono state osservate sugli animali e su modelli colturali di cellule.
Esse causano risposte fisiologiche nelle stesse cellule endoteliali
riconducibili agli effetti antitrombotici, pro-fibrinolitici e vasodilatatori dei
dispositivi IPC (Chen et al., 2001).
4.2.2.2 Studi di efficacia clinica
L'applicazione di tali dispositivi è ancora, per certe realtà, poco utilizzata.
Ciononostante non mancano studi che indagano la loro effiacia. Tapson et
al. (2007) sulla base dei dati dell'International Medical Prevention Registry
on Venous Thromboembolism, uno studio prospettico osservazionale che
include 52 strutture ospedaliere con più di 15000 pazienti ricoverati per una
problematica medica acuta di 12 nazioni diverse, inclusa l'Italia, individua i
dispositivi IPCd quale forma di profilassi meccanica più utilizzata negli
Stati Uniti rispetto le altre nazioni (22% verso lo 0.2%).
La recente conclusione del trial CLOTS 3, studio RCT a singolo cieco,
fornisce informazioni più vicine alla realtà europea. Dennis et al. (2013), gli
autori dello studio, hanno suddiviso tramite sistema random il campione
iniziale di pazienti (n=2876) in due gruppi con uguale numerosità (n=1438):
il primo gruppo ricevente i dispositivi IPCd ed il secondo gruppo non
ricevente i dispositivi IPCd. Obiettivo dello studio è quello di accertare
28
l'efficacia dei dispositivi IPCd nei pazienti colpiti da stroke. La TVP,
sintomatica e non, è stata diagnosticata nello 8.5% dei pazienti con IPCd e
nel 12.1% dei pazienti senza IPCd con una riduzione assoluta del rischio del
3.6% (IC, 95%; 1.4-5.8). A causa di alcuni decessi è stato calcolato l'OR
corretto con le nuove numerosità ed è pari allo 0.65 (IC, 95%; 0.51-0.84;
p=0.001). I decessi si sono verificati nello 11% dei pazienti con IPCd e nel
13% dei pazienti senza IPCd e, la comparsa di complicanze, quali rotture
cutanee, si sono verificate nel 3% dei pazienti con IPCd e nello 1% dei
pazienti senza IPCd. Gli autori concludono affermando che i dispositivi
IPCd sono un metodo efficace nella riduzione degli eventi di TVP nei
pazienti immobilizzati.
Gli studi eseguiti sui pazienti sottoposti ad interventi chirurgici, di varie
specialità, risultano più frequenti. Una meta-analisi condotta da Urbankova
et al. (2005) ha come obiettivo l'accertamento dell'efficacia dei dispositivi
IPCd nella prevenzione della TVP in pazienti sottoposti ad interventi di
neurochirurgia, chirurgia generale, oncologica, ortopedica ed urologica. I
dati riportano una riduzione del rischio di sviluppare la TVP del 60% (RR,
0.40; IC 95%; 0.29-0.56; p<0.001). Contemporaneamente Roderick et al.
(2005) svolgono una revisione sistematica, il cui obiettivo è già stato
esposto, che conduce a risultati abbastanza sovrapponibili allo studio
precedente: la riduzione del rischio di sviluppare la TVP, con i dispositivi
IPCd usati come monoterapia, è pari al 66%.
Kakkos et al. (2008) svolgono una revisione sistematica di 11 studi, di cui 6
RCT e 5 Controlled Clinical Trial (CCT), con l'obiettivo di accertare
l'efficacia della profilassi combinata che, come si può dedurre dal nome,
prevede la contemporanea associazione della profilassi meccanica
compressiva (adottando dispositivi IPCd) con la profilassi farmacologica (a
base di EBPM, ENFBD o Fondaparinux). L'efficacia della profilassi
combinata è stata confrontata sia con l'efficacia della sola profilassi
farmacologica che con quella meccanica compressiva. Su un campione
totale di 7431 pazienti ad alto rischio di TEV la profilassi combinata
29
confrontata
con
la
monoterapia
meccanica
compressiva
riduce
significativamente l'incidenza di EP (dal 3% allo 1%; OR 0.39; IC 95%;
0.25-0.63) e di TVP (dal 4% allo 1%; OR 0.43; IC 95%; 0.24 to 0.76)
sintomatiche. Il confronto con la monoterapia farmacologica ottiene risultati
altrettanto significativi nella riduzione dell'incidenca della TVP sintomatica
o asintomatica (dal 4.21% allo 0.65%; OR 0.16; IC 95%; 0.07-0.34). Gli
autori, in conclusione, supportano la scelta della profilassi combinata per
prevenire la TEV e rimandano a studi futuri l'approfondimento sulla
prevenzione della EP.
La limitazione più grande per questi dispositivi risulta essere la compliance
sia del paziente che degli operatori (Falck-Ytter et al., 2012). Comerota et
al. (1992) individuano, durante una visita a sorpresa presso un'Unità di
Terapia Intensiva, che solo il 78% dei dispositivi IPCd applicati erano
correttamente applicati od in funzione.
Come viene riportato nelle linee guida ACCP (2012) curate da Kahn et al.
(2012)le indicazioni all'applicazione dei dispositivi IPCd è prevista quando
il paziente ha un moderato o alto rischio di TEV ed un alto rischio di
sanguinamento. Prendendo in analisi le singole situazioni, l'applicazione dei
dispositivi IPCd è consigliata: nei pazienti ricoverati per una problematica
clinica medica acuta (2C), nei pazienti in condizioni critiche (2C) in
alternativa ai dispositivi GCSd e nei pazienti immobilizzati (2C).
Le linee guida ACCP (2012) curate da Gould et al. (2012) consigliano, nei
pazienti sottoposti ad interventi di chirurgia generale ed addomino-pelvica,
l'applicazione dei dispositivi IPCd come monoterapia (2C); quando il rischio
TEV è moderato ed il rischio di sanguinamento non è elevato è consigliata
l'applicazione dei dispositivi IPCd (2C) o la somministrazione della terapia
anticoagulante parenterale a base di EBPM (2B) o ENFBD (2B); quando il
rischio TEV è elevato ma non lo è il rischio di sanguinamento è consigliata
la terapia combinata con EBPM (1B) o ENFBD (1B) per la parte
farmacologica e l'applicazione dei dispositivi IPCd (2C) o GCSd (2C) per la
parte meccanica compressiva; quando entrambi i rischi sono elevati o sono
30
controindicate sia la EBPM che la ENFBD è consigliata la monoterapia
meccanica compressiva con i dispositivi IPCd (2C) fino a quando il rischio
di sanguinamento diminuisce.
Nei pazienti sottoposti ad interventi di cardiochirurgia il cui percorso
perioperatorio non è complicato è consigliata la monoterapia meccanca
compressiva, preferibilmente con i dispositivi IPCd (2C); se invece il
percorso perioperatorio è complicato, comunque da eventi non emorragici, è
consigliata l'aggiunta della terapia farmacologica con EBPM (2C) o ENFBD
(2C). Per i pazienti sottoposti ad interventi di chirurgia toracica con
moderato rischio di TEV ma non ad alto rischio di sanguinamento è
consigliata la terapia farmacologica con EBPM (2B) o ENFBD (2B) o la
terapia meccanica compressiva, preferibilmente con i dispositivi IPCd (2C);
se invece il rischio TEV diventa alto è consigliata la terapia combinata con
EBPM (1B) o ENFBD (1B) e dispositivi GCSd (2C) o IPCd (2C); nel caso
in cui diventi elevato anche il rischio di sanguinamento è consigliata la sola
terapia meccanica compressiva, preferibilmente con IPCd (2C).
Nei pazienti sottoposti ad interventi di neurochirurgia (con craniotomia) o
chirurgia vertebro midollare è consigliata la terapia meccanica compressiva
con dispositivi IPCd e, qualora sia presente un alto rischio di
sanguinamento, la terapia farmacologica a base di EBPM e ENFBD è
consigliata solamente quando il rischio di sanguinamento decresce (2C).
Infine nei pazienti colpiti da un evento traumatico maggiore è consigliabile
la terapia farmacologica a base di EBPM (2C) o ENFBD (2C) o la terapia
meccanica compressiva preferibilmente con dispositivi IPCd (2C); se il
rischio di TEV è alto (lesione midollare, trauma cranico commotivo o
chirurgia vertebro midollare per trauma) è consigliata la terapia combinata
con EBPM (2C) o ENFBD (2C) per la parte farmacologica e l'applicazione
dei dispositivi IPCd (2C) per la parte meccanica compressiva.
Alla luce dei dati riportati e delle linee guida prese in considerazione, i
dispositivi IPCd cominciano ad assumere un ruolo molto importante nella
prevenzione degli eventi TEV anche come monoterapia. Tuttavia, i dati
31
presi in considerazione appartengono per la maggioranza a classi di pazienti
ricoverati per problematiche cliniche chirurgiche o con stroke.
4.2.3 Venous Foot Pump (VFP)
L'adozione di questo dispositivo ha origine dopo la scoperta di Gardner &
Fox (1983) i quali individuano un potente meccanismo fisiologico di pompa
venosa situato nella pianta del piede, il plesso venoso. Il dispositivo, che
ricopre il piede, agisce per mezzo di compressioni cicliche del plesso
venoso della pianta del piede che aumentano il flusso venoso e quindi
riducono la stasi ematica. Questo sistema garantisce un ritorno venoso e
supporta la fibrinolisi quando il paziente non deambula (Vanhoutte et al.
1995, Allenby et al. 1973).
La compressione del piede da parte del dispositivo esercita una pressione ≥
130 mmHg e permette di incrementare le velocità quasi come i dispositivi
che ricoprono il polpaccio, con valori da 30 a 55 cm/s, ma ottiene un
incremento inferiore rispetto ai dispositivi che ricoprono anche la coscia,
con valori da 20 a 40 cm/s (Lippi et al. 2011). Dohm et al. (2011) affermano
che per garantire la profilassi per la TVP sono imperative la compliance del
paziente e la coerente applicazione dei dispositivi durante le 24 ore
giornaliere.
4.2.4 Inferior Venous Cava (IVC) filter
L'introduzione percutanea per via giugulare o per via femorale di un filtro
che viene poi posizionato nella vena cava inferiore ha lo scopo di
intercettare materiale trombotico proveniente dal circolo venoso degli arti
inferiori (Prandoni et al. 1997). La prima grande classificazione dei filtri
IVC è in base alla modalità di cattura degli emboli. Si distinguono perciò
filtri IVC “a setaccio” ed “idrodinamici”. La seconda grande classificazione
prevede il tempo di permanenza in sede. Si distinguono perciò filtri
permanenti e non permanenti e, tra questi ultimi si distinguono filtri
temporanei e rimovibili-permanenti. In letteratura sono stati condotti diversi
32
studi con l'intento di individuare quale dispositivo svolgesse la miglior
funzione di prevenzione col minor numero di complicanze, sia nel breve che
nel lungo termine. Uno di questi è lo studio RCT francese Prevention du
Risque d'Embolie Pulmonaire par Interruption Cave (PREPIC). Decousus et
al. (1998), gli autori dello studio, affermano che nei pazienti ad alto rischio e
con una TVP prossimale, il beneficio iniziale del filtro IVC nella
prevenzione della EP viene bilanciato da un'aumento di incidenza di TVP
ricorrenti e nessuna differenza nella mortalità. Un secondo studio, condotto
sempre da Decousus et al. (2005), accerta il risultato ottenuto nel precedente
studio PREPIC al fine di confermare i risultati per il lungo termine. Emerge
infatti che, ad otto anni di distanza, il filtro IVC riduce il rischio di EP ma
aumenta il rischio di TVP ricorrenti e non incide sulla sopravvivenza. Le
linee guida ACCP (2012) curate da Gould et al. (2012) sconsigliano
l'utilizzo del filtro IVC come prima scelta di profilassi per la malattia TEV
(2C), mentre Falck-Ytter et al. (2012) lo consigliano come profilassi nei
pazienti che subiscono un intervento di chirurgia ortopedica maggiore ad
alto rischio di sanguinamento in cui siano controindicate sia la profilassi
farmacologica che meccanica compressiva (2C).
4.2.5 GCSd vs IPCd
Morris & Woodcock (2010) conducono una revisione sistematica con
l'obiettivo di confrontare l'efficacia clinica dei dispositivi IPCd rispetto i
dispositivi GCSd. Tre studi su dieci sono stati considerati statisticamente
significativi ed ognuno di essi mostra un tasso di incidenza di TVP ridotto
nei gruppi di pazienti ai quali sono stati applicati i dispositivi IPCd. Il tasso
grezzo di incidenza di TVP per ogni trials preso in considerazione è pari al
5.9% per i gruppi di pazienti ai quali sono applicati i dispositivi GCSd ed è
pari al 2.8% per i gruppi di pazienti ai quali sono applicati i dispositivi
IPCd.
Lippi et al. (2011) nella loro revisione sulla profilassi meccanica concludono
dicendo che nonostante le evidenze biologiche e cliniche sembrano
33
dimostrare che i dispositivi GCSd siano delle misure tromboprofilattiche
efficaci, relativamente economiche e più confortevoli, essi risultano
complessivamente meno efficaci dei dispositivi IPCd.
4.2.6 GCSd plus IPCd
Dagli studi sopra riportati questi dispositivi risultano essere efficaci come
tromboprofilassi. Nasce a questo punto un quesito: l'utilizzo combinato dei
dispositivi IPCd in aggiunta ai dispositivi GCSd, ne aumenta l'efficacia?
Roderick et al. (2005) per trovare una risposta a questa domanda prendono
in considerazione 8 studi. Limite di questi ultimi è la bassa numerosità dei
pazienti studiati. Tuttavia gli autori giungono ad una conclusione ed
affermano che qualsiasi beneficio esista dalla combinazione delle due
tipologie di dispositivi deve essere minimo ed i dati non sono
statisticamente significativi al punto tale da consigliare l'utilizzo combinato
rispetto quello singolo.
34
CAPITOLO II
5. MATERIALI E METODI
Tipologia di studio: studio osservazionale prospettico.
Criteri di inclusione: Sono stati intervistati gli infermieri (previa lettura e
firma del consenso alla partecipazione alla raccolta dati e del consenso al
trattamento dei dati personali) della SOC di Anestesia e Rianimazione 1,
della SOC di Anestesia e Rianimazione 2 e della Clinica di Anestesia e
Rianimazione dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria “Santa Maria della
Misericordia” di Udine. Sono stati inclusi nello studio i pazienti ricoverati
(nel periodo di raccolta dati) presso le rispettive due SOC e la Clinica sopra
citate per i quali era prevista l'applicazione del dispositivo di profilassi
meccanica compressiva per la tromboembolia venosa. La consultazione
delle cartelle cliniche è avvenuta durante il periodo di degenza del paziente
presso le strutture sopra citate.
Criteri di esclusione: Temporale per il personale infermieristico (servizio
presso la SOC o Clinica inferiore a 6 mesi). Non sono stati inclusi nello
studio i pazienti per i quali non era prevista l'applicazione del dispositivo di
profilassi meccanica per la tromboembolia venosa. La consultazione delle
cartelle cliniche è stata sospesa al momento della dimissione del paziente
dalla SOC o dalla Clinica.
Strumenti: Scheda di raccolta dati, compilata dallo studente dopo aver
intervistato il personale infermieristico e consultato le cartelle cliniche dei
pazienti ricoverati presso la SOC di Anestesia e Rianimazione 1, la SOC di
Anestesia e Rianimazione 2 e la Clinica di Anestesia e rianimazione
dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria “Santa Maria della Misericordia” di
Udine.
Obiettivi: Descrivere quali motivazioni portano l’infermiere di area critica a
scegliere tra differenti dispositivi di profilassi meccanica per la
tromboembolia venosa e individuare quali siano le possibili complicanze
cutanee dell’applicazione di tali presidi.
35
Periodo di raccolta dei dati: Dal 20/08/2013 al 20/10/2013
Analisi dei dati: l’analisi statistica dei dati è stata eseguita con il software
GraphPad Prism 5.01 1992-2007© (GraphPad Software Inc., San Diego,
California, USA). Sono state elaborate misure descrittive e di tendenza
centrale per quanto concerne le caratteristiche demografiche e la prevalenza
di complicanze legate all’utilizzo dei dispositivi del campione considerato.
Sono state inoltre ricercate misure di associazione (Rischio Relativo - RR)
tra l’insorgenza di complicanze e i fattori di rischio individuati. E' stata
accettata una significatività statistica per p<0.05.
36
6. RISULTATI
6.1 Caratteristiche demografiche del campione
Sono stati osservati 45 pazienti, 31 (68.9%) dei quali di genere maschile ed i
restanti 14 (31.1%) di genere femminile. L'età media osservata è di 63 anni
con una Deviazione Standard (DS) di ± 19 anni (range 15 – 97 anni).
La prima causa di ricovero presso il servizio di Anestesia e Rianimazione è
dovuta al monitoraggio post-operatorio di pazienti in condizioni vitali
critiche oppure con specifiche comorbidità (48.9%, n= 22), seguono la
gestione del paziente politraumatizzato (26.7%, n= 12) e quella del paziente
ricoverato per un'evento di natura medica, che non rientra nelle precedenti
due classi (24.4%, n=11).
I pazienti sono stati distinti in base al valore del Body Mass Index (BMI)
(kg/m2). Il 73.3% (n=33) dei quali risultano essere normopeso, il 22.2%
(n=10) sovrappeso e solo il 4.4% (n=2) sottopeso.
La tabella I riassume le caratteristiche demografiche sopracitate.
6.2 Variabili sulla applicazione dei dispositivi
Ogni paziente è stato osservato in media 3.4 giorni con una DS ± 2.6 giorni
(range 1 – 11 giorni). Il 13% (n=6) dei pazienti presentava lesioni o
alterazioni
cutanee
prima
dell'applicazione
dei
dispositivi
antitromboembolici. Due di questi presentavano una ferita lacera contusa a
livello del terzo medio anteriore del polpaccio, altri due pazienti
presentavano segni caratteristici di ipoperfusione da arteriopatia, un paziente
presentava una ferita lacera contusa più un'escoriazione a livello del medio
distale del polpaccio destro e l'ultimo presentava una lesione da arteriopatia
in regione del medio distale del polpaccio sinistro.
L'applicazione più frequentemente osservata è stata quella dei dispositivi a
compressione pneumatica intermittente coprenti il polpaccio, o Intermittent
Pneumatic Compression device (IPCd), applicati al 66.7% (n=30) dei
pazienti. A seguire è stato osservato un importante utilizzo delle calze a
37
compressione graduata coprenti fino alla coscia, o Graduated Compression
Stockings device (GCSd) thigth-length, applicati al 31.1% (n=14) dei
pazienti. Nessun utilizzo del dispositivo GCSd coprente fino al ginocchio, o
knee-length, è stato osservato. In un solo paziente è stato osservato l'utilizzo
combinato del dipositivo GCSd, coprente fino alla coscia, con il dispositivo
IPCd coprente fino alla coscia.
In un solo paziente è stata osservata l'applicazione unilaterale del presidio
antitromboembolico, in questo caso un GCSd coprente fino alla coscia, sulla
sola gamba destra poiché sul ginocchio della gamba controlaterale era stato
posizionato un fissatore ortopedico esterno.
Nella
maggioranza
dei
pazienti,
86.7%
(n=39),
il
dispositivo
antitromboembolico è stato applicato il giorno stesso del ricovero mentre
nel 8.9% (n=4) è stato applicato nella prima giornata dopo il ricovero in
Terapia Intensiva, nel 2.2% (n=1) nella seconda giornata e nel 2.2% (n=1)
nella terza giornata dopo il ricovero.
Sono state osservate 2 sostituzioni del dispositivo antitromboembolico. In
un caso il dispositivo IPCd coprente il polpaccio è stato sostituito con il
dispositivo GCSd coprente fino alla coscia a causa di arrossamenti cutanei
in prossimità dei bordi, superiore ed inferiore, del dispositivo. Nel secondo
caso il dispositivo IPCd coprente il polpaccio è stato sostituito con il
dispositivo GCSd coprente fino alla coscia poiché il primo era necessario su
un altro paziente appena ricoverato in Terapia Intensiva, a maggior rischio
di evento tromboembolico venoso.
Sono stati osservati in totale quattro pazienti con delle complicanze agli arti
inferiori coperti dai dispositivi. Nel primo caso si sono manifestati degli
edemi declivi nella regione coperta dal dispositivo IPCd. Nel secondo caso
si è osservata la comparsa di arrossamento reversibile alla digitopressione in
prossimità dei bordi del dispositivo, IPCd coprente il polpaccio. Nel terzo
caso si sono manifestate delle vesciche nella regione coperta dal dispositivo
IPCd coprente il polpaccio (in cui era presente già una ferita lacera) e nel
quarto ed ultimo caso, in cui dispositivi GCSd e IPCd erano combinati, si
38
sono verificate due complicanze, l'arrossamento cutaneo reversibile alla
digitopressione nella regione prossimale della coscia per prima e la
comparsa di vesciche localizzate in prossimità delle prominenze ossee dopo.
Sono state osservate due rimozioni dei presidi antitromboembolici per
almeno 6 ore. In entrambi i casi la rimozione è stata motivata
dall'insorgenza di complicanze. Nel primo caso, il presidio IPCd coprente il
polpaccio veniva rimosso a causa della comparsa di edemi declivi agli arti
inferiori, precedentemente citata, per almeno 2 ore ogni 6 ore, ovvero
almeno una volta al turno per almeno 2 ore. Nel secondo caso il presidio
GCSd coprente fino alla coscia veniva rimosso per l'insorgenza di
complicazioni
quali
vesciche
ed
arrossamento
reversibile
alla
digitopressione nella zona prossimale della coscia coperta dal presidio.
Sono stati analizzati gli esiti delle diverse combinazioni di applicazione dei
dispositivi. Nel primo caso sono stati confrontati gli esiti dell'applicazione
dei dispositivi IPCd verso i dispositivi GCSd, con l'obiettivo di evidenziare
un'eventuale protezione degli IPCd verso le complicanze cutanee. I risultati,
statisticamente non significativi (p >0.05), evidenziano un RR 0.93 (IC
95%, 0.85 – 1.0) ed un OR 0.39 (IC 95%, 0.018 – 8.7). Nel secondo caso
sono stati confrontati gli esiti dell'applicazione combinata dei dispositivi
IPCd più GCSd verso l'applicazione dei dispositivi GCSd, con l'obiettivo di
evidenziare se l'applicazione combinata esponga il paziente ad un maggior
rischio di sviluppare delle complicanze cutanee agli arti inferiori rispetto
all'applicazione dei soli dispositivi GCSd. Risulta un OR 87 (IC 95%, 1.26199), tuttavia tale risultato non è statisticamente significativo (p >0.05).
Nel terzo ed ultimo caso sono stati analizzati gli esiti dell'applicazione
combinata dei dispositivi IPCd più GCSd verso l'applicazione dei dispositivi
IPCd, con l'obiettivo di evidenziare se l'applicazione combinata esponga il
paziente ad un maggior rischio di sviluppare delle complicanze cutanee agli
arti inferiori rispetto all'applicazione dei soli dispositivi IPCd. Risultano un
RR 15 (IC 95%, 3.9-57) ed un OR 34 (IC 95%, 1.1-1080) anche questa
volta statisticamente poco significativi (p> 0.05).
39
La tabella II riassume alcune delle variabili riguardanti l'applicazione dei
dispositivi.
6.3 Variabili riguardanti la motivazione della scelta del dispositivo
La motivazione che stava alla base della scelta del presidio veniva registrata,
tramite intervista all'infermiere responsabile del paziente, al momento
dell'applicazione del presidio oppure al momento della prima osservazione
da parte dello studente. Le motivazioni, singole o multiple, sono state
registrate per ogni paziente del campione. Sono stati intervistati in totale 45
infermieri. L' 8.9% (n=4) aveva un'esperienza lavorativa compresa tra i sei
mesi ed i due anni, l' 8.9% (n=4) tra i due ed i cinque anni ed il restante
82.2% (n=37) con più di cinque anni. Consideriamo la prima classe di
infermieri, ovvero quelli con un'esperienza lavorativa compresa tra i 6 mesi
ed i due anni. Il 100% (n=4) affermava che la motivazione nella scelta del
dispositivo era la prescrizione medica, il 75% (n=3) affermava che il
dispositivo (IPCd) era più facile da applicare rispetto ad altri dispositivi, il
50% (n=2) affermava che il dispositivo (IPCd) godeva di un'efficacia clinica
maggiore rispetto gli altri dispositivi, il 25% (n=1) affermava che il
dispositivo (IPCd) era stato applicato perchè ritenuto più confortevole per il
paziente ed il 25% (n=1) affermava che il dispositivo (GCSd) era stato
applicato precedentemente in sala operatoria della neurochirurgia. Anche la
seconda classe di infermieri, con un'esperienza lavorativa compresa tra i due
ed i cinque anni, è composta da quattro componenti. Tra essi, il 100% (n=4)
affermava che la motivazione nella scelta del dispositivo era la prescrizione
medica, il 25% (n=1) affermava che il dispositivo era l'unica alternativa
disponibile nell'unità operativa ed il 25% (n=1) affermava che il presidio
(GCSd) era stato applicato precedentemente in sala operatoria della
neurochirurgia. Il campione più numeroso è quello degli infermieri con
un'esperienza lavorativa superiore ai cinque anni. Il 100% (n=37) dei quali
afferma che la motivazione nella scelta del dispositivo era la prescrizione
medica, il 29.7% (n=11) afferma che il dispositivo (IPCd) era più facile da
40
applicare, il 16.2% (n=6) afferma che il dispositivo (IPCd) aveva una
maggior efficacia clinica, il 13.5% (n=5) affermava che il dispositivo
(GCSd) era stato applicato precedentemente in sala operatoria della
neurochirurgia, l'8.1% (n=3) affermava che il dispositivo (GCSd) era l'unica
alternativa presente nell'unità operativa, il 5.4% (n=2) affermava che il
dispositivo (IPCd) era considerato più confortevole per il paziente, il 5.4%
(n=2) affermava che il dispositivo era stato scelto per dei problemi fisici agli
arti inferiori, ovvero erano presenti delle controindicazioni all'applicazione
di un altro presidio, il 5.4% (n=2) affermava che il dispositivo (IPCd) era
stato applicato precedentemente in sala operatoria della chirurgia generale
ed il 2.7% (n=1) affermava che il dispositivo (GCSd) era stato applicato
precedentemente in sala operatoria della otorinolaringoiatria.
Indipendentemente dagli anni di esperienza lavorativa dell'infermiere, la
motivazione primaria era la prescrizione medica, osservata nel 100% dei
casi (n=45). Il 33.3% (n=15) degli infermieri trovava i dispositivi IPCd al
polpaccio più facili da applicare rispetto gli altri dispositivi. Il 17.8% (n=8)
degli infermieri era convinto che i dispositivi IPCd avevano un'efficacia
clinica maggiore rispetto ai dispositivi GCSd. Il 15.6% (n=7), il 4.4% (n=2)
ed il 2.2% (n=1) degli infermieri affermava che il dispositivo era stato
applicato in sala operatoria della neurochirurgia (GCSd), della chirurgia
generale (IPCd) e della otorinolaringoiatria (GCSd), rispettivamente. L'8.9%
(n=4) degli infermieri affermava che l'applicazione del dispositivo, GCSd
coprente fino alla coscia, era influenzata dalla disponibilità, ovvero al
momento dell'applicazione del presidio nell'unità di Terapia Intensiva era
presente solo una tipologia; in un solo caso tra quelli sopracitati la
prescrizione medica prevedeva l'applicazione del dispositivo IPCd ma è
stato applicato un dispositivo GCSd. La stessa percentuale di infermieri,
8.9% (n=4), affermava che nella scelta del dispositivo IPCd il comfort del
paziente, riferito dallo stesso o come convinzione dell'infermiere, fosse un
fattore importante da considerare. Nel 4.4% (n=2) dei casi gli infermieri
affermavano che il dispositivo era stato posizionato per problemi fisici o
41
clinici agli arti inferiori che rappresentavano una controindicazione per un
altro dispositivo. In uno di questi casi il problema fisico era la presenza di
un'escoriazione mentre nel secondo caso il problema fisico non è possibile
classificarlo poiché non era una lesione.
Nel corso dell'osservazione è avvenuto l'exitus di un paziente a causa delle
sue gravi condizioni cliniche.
La tabella III riassume le variabili riguardanti le motivazioni della scelta del
dispositivo.
42
7. DISCUSSIONE
Una prima analisi dei dati epidemiologici raccolti permette di classificare i
pazienti come ad alto rischio di sviluppare una trombosi venosa profonda
asintomatica, poiché sottoposti a cure intensive, ed è confermato dagli studi
della NCGC-ACC (2010) e di Geerts et al. (2004) che approssimano il
rischio di tale classe di pazienti circa allo 80%.
Alcuni pazienti avevano caratteristiche o manifestavano segni che
corrispondevano ai fattori di rischio per la malattia trombo embolica venosa
e, perciò, contribuivano ad aumentare il rischio di base di sviluppare tale
evento. Considerando i fattori di rischio dei pazienti ricoverati per una
problematica clinica medica, il 36.4% (n=4) di questi pazienti aveva più di
70 anni (Barbar et al., 2010). Un paziente risultava essere sia sovrappeso,
con un BMI>30 (Barbar et al., 2010), ed avere più di 70 anni. Più dello 80%
risultava essere allettato per almeno tre o più giornate (Barbar et al., 2010).
Considerando i fattori di rischio presenti nei pazienti ricoverati per una
problematica clinica chirurgica, il 63.6% (n=14) aveva più di 60 anni
(Agnelli et al. 2006, Epstein 2005, Clarke-Pearson et al. 2003, Oda et al.
2000, White et al. 2000) e la stessa percentuale era di genere maschile
(Spyropoulos et al., 2009), il 22.7% (n=5) risultava essere sovrappeso
(BMI>30) (Caruana et al. 2011, Inabnet et al. 2010, Stroh et al. 2009;
Raftopoulos et al. 2008, Gargiulo et al. 2007, Piano et al. 2007, Carmody et
al. 2006, White et al. 2000). Solo due pazienti erano di genere maschile,
sovrappeso e con più di 60 anni.
Considerando i fattori di rischio presenti nei pazienti ricoverati per una
problematica clinica traumatica, il 75% (n=9) aveva più di 40 anni
(Knudson et al., 2004) e lo 83% (n=10) era di genere maschile (Jones et al.,
2005). Il 66.7% (n=8) aveva più di 40 anni ed era di genere maschile.
Dai risultati inoltre emerge che il 66.7% (n=30) dei pazienti ha ricevuto i
dispositivi IPCd. A distanza di 6 anni, in cui Tapson et al. (2007)
affermavano che tali dispositivi erano maggiormente usati negli Stati Uniti
43
piuttosto che nelle altre nazioni, si può notare come, anche qui in Italia,
siano la forma profilattica maggiormente utilizzata nel contesto della
Terapia Intensiva.
I pazienti che al momento del ricovero presentavano una o più lesioni agli
arti inferiori erano in totale sei. Considerando le tre principali
controindicazioni all'utilizzo dei dispositivi GCSd (patologia dermatologica,
arteriopatia periferica e neuropatia diabetica [Lippi et al., 2011]), in un
paziente con segni di ipoperfusione da arteriopatia sono stati applicati i
dispositivi GCSd anziché preferire i dispositivi IPCd. I restanti cinque
pazienti hanno ricevuto il dispositivo IPCd.
Come emerge dai risultati, nella totalità dei casi la motivazione che ha
giustificato l'applicazione dei dispositivi antitromboembolici è stata la
prescrizione medica. Nella maggioranza dei casi è stato specificato quale
dispositivo adottare; nei casi con prescrizione non specifica la scelta è
risultata essere prettamente infermieristica. Gli infermieri sono convinti che
i dispositivi IPCd siano sia clinicamente più efficaci, confermato da Lippi et
al. (2011), che più facili da applicare e che la scelta di applicare i dispositivi
GCSd avvenga solamente se gli stessi siano gli unici disponibili. I risultati
analizzati tra gli infermieri con anni di esperienza lavorativa differenti sono
coerenti con quanto detto finora. In relazione a quanto presente in
letteratura, Sajid et al. (2012) affermano che la decisione circa quale
dispositivo impiegare nella pratica clinica è probabilmente influenzata da
fattori quali la compliance del paziente, la facilità di utilizzo e le
implicazioni economiche. Considerando che la maggioranza dei pazienti
ricoverati in Terapia Intensiva è farmacologicamente sedata o, nel caso in
cui non lo siano, risultano comunque allettati, la compliance ha poca
influenza. La facilità di utilizzo invece viene riscontrata anche nello studio
condotto. Le implicazioni economiche non sono state valutate.
L'infermiere deve essere in grado di saper riconoscere le situazioni in cui un
dispositivo è controindicato in un paziente in base alla presenza di
determinate alterazioni dell'integrità cutanea degli arti inferiori e
44
successivamente garantire il mantenimento dell'integrità cutanea.
Non è possibile comparare pienamente i risultati ottenuti da tale studio con
gli studi RCT CLOTS 1, 2 e 3 poiché essi hanno un campione di pazienti
più ampio (n> 2000) e ricoverati per lo stesso evento (stroke), un periodo di
osservazione più lungo (6 mesi), osservazioni svolte in più centri europei o
internazionali. Alcuni dati, però, possono essere confrontati.
Dai risultati emerge che quattro pazienti sviluppano complicanze agli arti
inferiori. Una tra queste, la comparsa di edemi declivi agli arti inferiori, non
è correlabile con l'applicazione dei dispositivi. Risulta quindi che il 6.7%
(n=3) dei pazienti riceventi i dispositivi antitromboembolici ha sviluppato
complicanze cutanee agli arti inferiori. Il 6.7% (n=2) dei pazienti riceventi i
dispositivi IPCd (n=30), di cui uno con un valore di BMI>30, hanno
sviluppato vesciche o arrossamenti cutanei, ed il 2.2% (n=1) dei pazienti
riceventi i dispositivi IPCd e GCSd in maniera combinata ha sviluppato
vesciche; in questo caso non sono disponibili dati da mettere a confronto.
Rispetto allo studio condotto da Dennis et al. (2013), CLOTS 3, la
percentuale di pazienti riceventi i dispositivi IPCd che sviluppa delle
complicanze è più del doppio.
Il gruppo di pazienti ricevente i dispositivi GCSd (n=14) non sviluppa
complicanze cutanee. Dato sorprendente date le aspettative; infatti, dallo
studio CLOTS 1 di Dennis et al. (2009) si nota che il 5% dei pazienti
riceventi i dispositivi GCSd ha sviluppato delle complicanze quali rotture
cutanee, ulcere, vesciche o necrosi tissutale.
Il fatto che i dispositivi IPCd siano ritenuti più efficaci clinicamente nel
prevenire eventi di tromboembolia venosa rispetto i dispositivi GCSd è
confermato dalla letteratura (Lippi et al., 2011). Tuttavia i dati analizzati non
supportano l'ipotesi, sviluppata dallo studente, che tali dispositivi
provochino meno complicanze cutanee rispetto ai dispositivi GCSd.
E' stato osservato un solo caso di complicanze agli arti inferiori non
correlato all'applicazione dei dispositivi IPCd. In tal caso la complicanza
erano edemi declivi agli arti inferiori, correlati con la condizione clinica del
45
paziente. Il problema fondamentale riguardava l'edema che si confinava a
livello del piede. La strategia adottata dall'équipe infermieristica aveva due
obiettivi: il primo era garantire la prescrizione medica ovvero la profilassi
antitromboembolica con i dispositivi meccanici compressivi, ed il secondo
ridurre l'aggravarsi degli edemi declivi a livello pedideo. Tali dispositivi
venivano rimossi tre volte nelle 24 ore per almeno due ore. In tal modo
avveniva una corretta distribuzione dei liquidi extravascolari. La scelta di un
dispositivo GCSd è stata scartata a causa degli edemi molto pronunciati, ma
un'eventuale adozione di un dispositivo IPCd con incluso il Venous Foot
Pump, non disponibile nell'Unità Operativa, avrebbe garantito una corretta
distribuzione dei liquidi extravascolari a partire dal piede ed avrebbe ridotto
il tempo di non applicazione della terapia profilattica meccanica.
Un'informazione che supporterebbe la strategia in questo caso adottata è
riportata da Falck-Ytter et al. (2012) nella revisione della letteratura per le
linee guida ACCP (2012). In tale contesto, pazienti sottoposti ad interventi
chirurgici ortopedici, afferma che è necessario raggiungere almeno le 18 ore
di compliance nell'indossare i dispositivi IPCd. Tale informazione risulta
poco chiara, ovvero non si comprende se 18 ore su 24 possono essere
considerate un target valido per garantire l'efficacia del dispositivo oppure
no.
Sono stati analizzati anche i dati rispetto la frequenza d’insorgenza delle
complicanze cutanee con l'applicazione combinata dei dispositivi IPCd e
GCSd verso l'applicazione singola dei dispositivi, IPCd o GCSd. Purtroppo
è stato osservato un solo paziente con la combinazione. Seguono due
analisi: nella prima è stata osservata l'insorgenza di complicanze cutanee nel
100% (n=1) dei casi durante l'applicazione combinata IPCd più GCSd,
mentre con la singola applicazione dei dispositivi GCSd non è stata
osservata alcuna complicanza. Considerando il basso valore statistico dei
dati analizzati (p >0.05) la combinazione dei dispositivi non è supportata dai
risultati; anche nella seconda analisi si osserva il campione (n=1) ricevente
la combinazione dei dispositivi IPCd più GCSd che sviluppa lesioni nel
46
100% dei casi ed il campione (n=30) al quale sono stati applicati i singoli
dispositivi IPCd che ha sviluppato complicanze cutanee nel 6.7% (n=2) dei
casi; l'applicazione combinata anche in questo caso non trova ragione nei
dati.
Ciascuno dei pazienti (n=3) che avevano sviluppato delle complicanze
cutanee era stato ricoverato per un problema clinico diverso (medico,
chirurgico o traumatico), ed in un solo caso il paziente era sovrappeso
(BMI>30). I tre pazienti erano di genere maschile.
E' stato osservato un solo caso di applicazione dei dispositivi unilaterale. Il
dispositivo utillizzato è stato un GCSd applicato alla gamba controlaterale
rispetto quella sottoposta ad intervento chirurgico ortopedico che ha previsto
il posizionamento di un fissatore ortopedico esterno. Come confermato da
Falck-Ytter (2012) nel campo ortopedico i dispositivi anti-tromboembolici
garantiscono parte della loro efficacia anche quando applicati ad un solo
arto, come in questo caso.
7.1 Limiti dello studio
A differenza degli studi citati, le rilevazioni sono state portate a termine da
un'unica persona (lo studente), in un'unica struttura ospedaliera (Azienda
Ospedaliero-Universitaria “Santa Maria della Misericordia di Udine).
Le indagini sono state eseguite su un campione di pazienti ristretto (n=45) e
durante un periodo di osservazione di sole 5 settimane, rispetto agli studi
citati la cui la numerosità del campione ed il tempo di osservazione erano
molto più ampi. Inoltre l'osservazione del paziente avveniva una sola volta
al giorno ed a causa della bassa numerosità sono state osservate poche
complicanze e pochi casi di combinazione dei dispositivi, ottenendo così dei
risultati statisticamente poco significativi per la pratica clinica.
Nel corso dello studio non sono stati osservati: il corretto posizionamento
dei dispositivi, l'accensione dei dispositivi una volta applicati sul paziente,
la motivazione dell'applicazione avvenuta in data diversa (successiva) a
quella del ricovero ed il numero di casi in cui la prescrizione medica non
47
specificava quale dispositivo applicare.
48
8. CONCLUSIONI
Nella maggior parte dei casi, i pazienti ricoverati in Terapia intensiva
presentano delle condizioni cliniche molto gravi ed a causa di molteplici
fattori sono ad elevato rischio di sviluppare un evento tromboembolico
venoso. L'impiego dei dispositivi antitromboembolici, perciò, non è
inusuale. La scelta del dispositivo da quanto emerge dallo studio è
prettamente di natura medica. Nonostante ciò non sempre era specificata la
tipologia del dispositivo da impiegare, quindi la scelta era di competenza
infermieristica. Di conseguenza, un infermiere, deve conoscere quali
dispositivi sono disponibili in commercio, il loro meccanismo d'azione ed il
loro campo di applicazione. Infine deve saper scegliere il dispositivo più
adatto al paziente.
Tali dispositivi, utili poiché riducono il rischio di sviluppare un evento
tromboembolico venoso senza aumentare il rischio di sanguinamento
(Falck-Ytter et al., 2012) non sono immuni da complicanze cutanee. La
scelta della corretta misura del dispositivo da applicare, la corretta
applicazione sugli arti inferiori ed una corretta cura della cute degli stessi,
rimuovendo il dispositivo solo per il tempo necessario, possono essere dei
piccoli dettagli che possono prevenire l'insorgere di lesioni che a loro volta
possono protrarsi nel tempo e ridurre così la qualità di vita del paziente.
49
9. IMPLICAZIONI PER LA PRATICA E RICERCA
Sono necessari ulteriori studi al fine di ottenere delle informazioni che
possano avere un peso rilevante sulle decisioni della pratica clinica.
Anzitutto studi futuri dovranno avere un campione più ampio di pazienti ed
un periodo di osservazione più lungo. Inoltre sarebbe interessante osservare
realtà diverse dalle Unità di Terapia Intensiva al fine di ottenere un
campione più eterogeneo.
Potrebbe essere utile includere negli obiettivi di studi futuri l'osservazione
della corretta scelta del dispositivo in termini di taglia e tipologia, in base
alle disponibilità dell'Unità Operativa; osservare il corretto posizionamento
del dispositivo, più volte al giorno (almeno 3), e nel caso in cui sia un
dispositivo pneumatico che necessita di un controllo elettronico, verificare il
corretto utilizzo e la corretta accensione dello stesso; specificare la
motivazione dell'applicazione in data diversa a quella del ricovero;
identificare e registrare quante prescrizioni mediche non specificavano il
dispositivo da applicare ed, infine, monitorare l'insorgenza di complicanze
cutanee.
50
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67
ICONOGRAFIA
Tabella I. Caratteristiche demografiche del campione di pazienti reclutati nello studio.
N= 45
Genere
Maschi
31 (68.9%)
Femmine
14 (31.1%)
Età (anni)
Media (± Deviazione Standard)
63 (± 19)
Range
15 - 97
Causa del ricovero
Monitoraggio post-operatorio
22 (48.9%)
Politrauma
12 (26.7%)
Evento di natura medica
11 (24.4%)
2
BMI (kg/m )
Sottopeso (BMI < 20)
2 (4.4%)
Normopeso (BMI 20 – 30)
33 (73.3%)
Sovrappeso (BMI > 30)
10 (22.2%)
68
Tabella II. Variabili sulla applicazione dei dispositivi
N=45
Numero di giornate di osservazione
Media (± Deviazione Standard)
3.4 (± 2.6)
Range
1 - 11
Alterazioni cutanee osservate agli arti inferiori
Precedenti l'applicazione del dispositivo antitromboembolico
Ferita lacera contusa
3 (6.7%)
Ipoperfusione da arteriopatia
2 (4.4%)
Escoriazione
1 (2.2%)
Lesione da arteriopatia
1 (2.2%)
Dispositivi applicati
IPCd coprenti il polpaccio (KL)
30 (66.7%)
GCSd coprenti fino la coscia (TL)
14 (31.1%)
IPCd TL + GCSd TL
1 (2.2%)
GCSd coprenti il polpaccio (KL)
0 (0%)
Momento di applicazione
Ammissione in Terapia Intensiva (TI)
39 (86.7%)
1^ giornata dopo ammissione in TI
4 (8.9%)
2^ giornata dopo ammissione in TI
1 (2.2%)
3^ giornata dopo ammissione in TI
1 (2.2%)
Sostituzioni dei dispositivi
Comparsa di complicanze
1 (2.2%)
Bisogno urgente su un altro paziente
1 (2.2%)
Complicanze cutanee
Edemi declivi
1 (2.2%)
Arrossamento reversibile alla digitopressione
2 (4.4%)
Vesciche
2 (4.4%)
Rimozioni dei dispositivi (almeno per 6 ore)
Comparsa di edemi declivi (rimozione
alternata)
1 (2.2%)
Comparsa di arrossamento reversibile alla
digitopressione e vesciche
1 (2.2%)
69
Tabella III. Motivazioni della scelta dei dispositivi
N=45
Motivazioni
Prescrizione medica
45 (100%)
Facilità nell'applicazione (IPCd KL)
15 (33.3%)
Maggiore efficacia clinica (IPCd
KL)
8 (17.8%)
Dispositivo (GCSd TL) applicato in
Sala Operatoria (SO) della
Neurochirurgia
7 (15.6%)
Disponibilità del presidio
4 (8.9%)
Comfort del paziente
4 (8.9%)
Dispositivo (IPCd) applicato in SO
della Chirurgia Generale
2 (4.4%)
Controindicazioni all'uso di un altro
presidio
2 (4.4%)
Dispositivo (GCSd TL) applicato in
SO della Otorinolaringoiatria
1 (2.2%)
70
Figura 1.
Numero di osservazioni in funzione dei dispositivi utilizzati, Graduated
Compressive Stockings device (GCSd) e Intermittent Pneumatic Compression device
(IPCd), e dell'insorgenza di lesioni o dell'integrità cutanea.
Osservazioni
30
Insorgenza di lesioni
Cute integra
20
10
0
GCSd
IPCd
Dispositivi
Figura 2. Numero di osservazioni in funzione delle combinazioni dei dispositivi applicati e
dell'integrità cutanea o dell'insorgenza di lesioni.
Osservazioni
15
Insorgenza di lesioni
Cute integra
10
5
0
IPCd+GCSd
GCSd
Dispositivi
71
Figura 3. Numero di osservazioni in funzione delle combinazioni dei dispositivi applicati e
dell'integrità cutanea o dell'insorgenza di lesioni.
Osservazioni
30
Insorgenza di lesioni
Cute integra
20
10
0
IPCd+GCSd
IPCd
Dispositivi
72
ALLEGATI
Allegato 1. Scheda utilizzata dallo studente per la raccolta dei dati
SEZIONE 1. Dati demografici del paziente
 N° ricovero: ……………..
 Unità operativa:
1. Anestesia e Rianimazione 1
2. Anestesia e Rianimazione 2
3. Clinica di Anestesia e Rianimazione
 Età (anni): …………….
 Genere:
1. Maschile
2. Femminile
 Motivo del ricovero del paziente:
1. Medico
2. Chirurgico
3. Trauma
 Data del ricovero in TI
 Data della prima applicazione del dispositivo anti TE
 Tipologia di dispositivo utilizzata:
 BMI paziente all’ingresso (kg/m2):
1. < 20
2. 20 – 30
3. > 30
73
SEZIONE 2. Dati relativi all’applicazione del dispositivo anti TE
 N° ricovero: ………………………
 Data della compilazione
 Dispositivo applicato (più scelte possibili):
1. Calze elastocompressive al ginocchio
2. Calze elastocompressive alla coscia
3. Gambali pneumatici al polpaccio
 Il dispositivo è applicato ad entrambi gli arti:
1. Si
2. No (indicare perchè)
………………………………………………………………………
………………………………………………………………………
……………………………………………
 Motivazioni della scelta del dispositivo (calze elastiche, sistema
pneumatico, entrambi):
1. Prescrizione medica
2. Protocollo presente in SOC
3. Disponibilità del dispositivo (a magazzino era disponibile solo
un’alternativa)
4. Comfort del paziente (paziente che esprime la scelta di uno dei due
oppure convinzione dell’infemiere che un presidio sia più
confortevole dell’altro)
5. Facilità nell’applicazione (da parte dell’infermiere)
6. Maggior efficacia clinica (convinzione dell’infermiere circa la maggior
efficacia clinica di un presidio rispetto all’altro)
7. Problemi fisici o clinici agli arti inferiori (es. traumatismo, ecc)
8. Altro:.............................................................................................................
..............................................................................................................
74
 Presenza di lesioni al momento della presa in carico:
1. Nessuna
2. Ferita lacera
3. Ferita lacera-contusa
4. Ferita perforante
5. Vesciche
6. Ulcere da decubito
7. Ulcere da danno vascolare
8. Ulcera da neuropatia
9. Altro………………………………………………………………………
…………………..................................................................................
..............................................................................................................
 Sede della lesione (indicare con una X seguita dal numero identificante il
tipo di lesione facendo riferimento al punto precedente):
Il presidio è stato rimosso per più di 12 o 24 ore?
SI
NO
75
 Specificare perché:
1. Procedure diagnostiche/terapeutiche
2. Disturbi riferiti dal paziente (caldo, prurito)
3. Comparsa di complicanze
4. Altro:…………………………………………………………….........
 Presenza di lesioni/complicanze nella sede coperta dal dispositivo:
Lesioni/Complica
nze
1. Nessuna
2. Ferita lacera
3. Ferita laceracontusa
4. Ferita
perforante
5. Vesciche
6. Ulcere da
decubito
7. Ulcere da
danno vascolare
8. Ulcera da
neuropatia
9. Necrosi
tissutale
10. Effetto laccio
emostatico
11. Sindrome
compartimentale
12. Altro
….........................
.............................
..................
76
 Sede della lesione/complicanza (indicare con una X seguita dal numero
identificante il tipo di lesione facendo riferimento al punto precedente):
 Precisare dopo quante giornate dall’applicazione del presidio è insorta la
complicanza: ……
 Anni di lavoro presso la TI
1. < 2
2. 2 - 5
3. > 5
77
RINGRAZIAMENTI
Vorrei ringraziare la Dott.ssa Irene Comisso per l'opportunità concessami
nel condurre lo studio ed il Dott. Francesco Coiz per essersi interessato a
tale studio e per aver contribuito alla sua realizzazione.
Un ringraziamento è rivolto anche al Dott. Omar Trombini, Coordinatore
Infermieristico del primo servizio di Terapia Intensiva, al Dott. Daniele
Pavsler, Coordinatore Infermieristico del secondo servizio di Terapia
Intensiva ed a Di Taranto Pierpaolo, Facente Funzioni del Coordinatore
Infermieristico della Clinica di Anestesia e Rianimazione, nonché a tutto il
personale delle tre équipe per la disponibilità dimostrata.
Meritano un ringraziamento anche tutti i tutor clinici che mi hanno seguito
nel corso di questi tre anni, a partire da Linda ed Ivano, Nadianna,
Simonetta, Antonio, Antonella, Dario, Andrea, Roberta, Daniele, Erica ed
Elisa. Ringrazio tutti Voi, mentori, per avermi trasmesso una vostra parte
professionale. Sarà il mio tesoro di partenza.
Infine, ma non per questo meno importanti, vorrei ringraziare i membri della
mia famiglia e gli amici. A partire dalla mia nonna, Maria, per avermi
trasmesso sin da piccolo il rigore ed il senso del dovere. Il mio nonno, Piero,
per avermi fatto capire cosa significa conoscere il mondo che ci circonda ed
usare la passione in tutto ciò che si fa. I miei genitori per aver supportato e
supportare tuttora le mie passioni e le mie scelte negli studi. Mio fratello,
Riccardo, per ricordarmi ogni giorno quanto è importante mantenere il
bambino che è dentro ognuno di noi. Ilaria, per essermi stata accanto nei
momenti difficili che sono emersi nel corso degli studi, per accettare la mia
personalità e le mie ambizioni.
78