INDICE - Ospedale di Udine
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INDICE INTRODUZIONE....................................................................................... 3 CAPITOLO I. REVISIONE DELLA LETTERATURA........................ 5 1. LA MALATTIA TROMBO EMBOLICA VENOSA........................... 5 1.1 Definizione......................................................................................... 5 1.2 Epidemiologia.................................................................................... 5 1.3 Fattori di rischio................................................................................. 6 1.3.1 Fattori di rischio nei pazienti ricoverati per una problematica clinica medica............................................................................ 7 1.3.2 Fattori di rischio nei pazienti ricoverati per una problematica clinica chirurgica …................................................................... 8 1.3.3 Fattori di rischio nei pazienti ricoverati per una problematica clinica traumatica..................................................................... 10 1.3.4 Fattori di rischio nei pazienti ricoverati in Terapia Intensiva... 11 2. LA TROMBOSI VENOSA PROFONDA........................................... 12 2.1 Fisiopatologia................................................................................... 12 2.2 Manifestazione clinica..................................................................... 13 2.3 Diagnosi........................................................................................... 13 2.4 Trattamento...................................................................................... 15 2.5 Complicanze..................................................................................... 18 3. L'EMBOLIA POLMONARE.............................................................. 19 3.1 Fisiopatologia................................................................................... 19 3.2 Manifestazione clinica..................................................................... 19 3.3 Diagnosi........................................................................................... 20 3.4 Trattamento...................................................................................... 20 3.5 Complicanze..................................................................................... 21 4. LA PROFILASSI PER LA TROMBO EMBOLIA VENOSA.......... 22 4.1 Farmacologica.................................................................................. 22 4.2 Meccanica........................................................................................ 23 1 4.2.1 Graduated Compression Stockings device (GCSd)................. 24 4.2.1.1 Meccanismo d'azione........................................................ 24 4.2.1.2 Studi di efficacia clinica................................................... 24 4.2.2 Intermittent Pneumatic Compression device (IPCd)................ 27 4.2.2.1 Meccanismo d'azione........................................................ 27 4.2.2.2 Studi di efficacia clinica................................................... 28 4.2.3 Venous foot-pump (VFP)......................................................... 32 4.2.4 Inferior Venous Cava (IVC) filter............................................. 32 4.2.5 GCSd vs IPCd.......................................................................... 33 4.2.6 GCSd plus IPCd....................................................................... 34 CAPITOLO II........................................................................................... 35 5. MATERIALI E METODI.................................................................... 35 6. RISULTATI........................................................................................... 37 6.1 Caratteristiche demografiche del campione..................................... 37 6.2 Variabili sulla applicazione dei dispositivi....................................... 37 6.3 Variabili riguardanti la motivazione della scelta del dispositivo..... 40 7. DISCUSSIONE..................................................................................... 43 7.1 Limiti dello studio............................................................................ 47 8. CONCLUSIONI.................................................................................... 49 9. IMPLICAZIONI PER LA PRATICA CLINICA.............................. 50 BIBLIOGRAFIA...................................................................................... 51 ICONOGRAFIA....................................................................................... 68 ALLEGATI................................................................................................ 73 RINGRAZIAMENTI............................................................................... 78 2 INTRODUZIONE Si definisce convenzionalmente, dal punto di vista nosografico, “malattia tromboembolica venosa” (TEV) una condizione anatomo-clinica costituita da una patologia trombotica a carico del circolo venoso profondo degli arti inferiori (e/o del piccolo bacino) associata o meno ad embolia polmonare (EP) (Prandoni, 1997). Il tasso di insorgenza di Trombosi Venosa Profonda (TVP) è stimato essere pari a 148 su 100000 persone ogni anno mentre il tasso di insorgenza di Embolia Polmonare (EP) è stimato essere pari a 95 su 100000 persone ogni anno (Cohen et al., 2007). Il tasso di rischio di TVP asintomatica varia in base alla problematica clinica. In assenza di profilassi esso raggiunge oltre il 20% in pazienti con una problematica medica, il 40% in pazienti con una problematica chirurgica (chirurgia generale, ginecologica, urologica, cardiaca e neurochirurgica), il 50% in pazienti colpiti da stroke (emorragico o ischemico) o sottoposti ad un’artroplastica del ginocchio o dell’anca e circa l’80% in pazienti colpiti da eventi traumatici maggiori o che necessitano di cure intensive (NCGC-ACC 2010, Geerts et al. 2004). La scelta della profilassi farmacologica per la malattia TEV deve esser fatta bilanciando il rischio di trombosi ed il rischio di sanguinamento. La profilassi meccanica per la malattia TEV, invece, consiste nell'innescare reazioni fisiologiche a partire da azioni meccaniche esterne od interne. Tali azioni vengono esplicate da appositi dispositivi: calze elastiche a compressione graduata o Graduated Compression Stockings device (GCSd), dispositivi a compressione pneumatica intermittente o Intermittent Pneumatic Compression device (IPCd) e pompa a pedale o Venous Foot Pump (VFP) ad azione esterna. Filtro cavale o Inferior Venous Cava (IVC) filter ad azione interna. Lippi et al. (2011) nella loro revisione sulla profilassi meccanica concludono dicendo che nonostante le evidenze biologiche e cliniche sembrano dimostrare che i dispositivi GCSd siano delle misure tromboprofilattiche efficaci, relativamente economiche e più 3 confortevoli, essi risultano complessivamente meno efficaci dei dispositivi IPCd. Roderick et al. (2008) cercano di individuare gli eventuali benefici derivanti dalla combinazione dei dispositivi GCSd con i dispositivi IPCd. Essi affermano che qualsiasi beneficio esista dalla combinazione delle due tipologie di dispositivi deve essere minimo ed i dati non sono statisticamente significativi al punto tale da consigliare l'utilizzo combinato rispetto quello singolo. Gli obiettivi generali di questo studio sono descrivere quali motivazioni portano l’infermiere di area critica a scegliere tra differenti dispositivi di profilassi meccanica per la tromboembolia venosa e individuare quali siano le possibili complicanze cutanee dell’applicazione di tali presidi. 4 CAPITOLO I REVISIONE DELLA LETTERATURA 1. LA MALATTIA TROMBOEMBOLICA VENOSA 1.1 Definizione Si definisce convenzionalmente, dal punto di vista nosografico, “malattia tromboembolica venosa” (TEV) una condizione anatomo-clinica costituita da una patologia trombotica a carico del circolo venoso profondo degli arti inferiori (e/o del piccolo bacino) associata o meno ad embolia polmonare (EP) (Prandoni, 1997). 1.2 Epidemiologia Le dimensioni epidemiologiche in Italia sono difficili da interpretare a causa della mancanza di informazioni attendibili sull’incidenza e sulla mortalità. Ciononostante in un’analisi epidemiologica, condotta su una serie di oltre 27.000 autopsie consecutive e non selezionate eseguite su cadaveri di pazienti deceduti nel corso del decennio 1979-88 presso il Policlinico di Trieste, il rilievo di embolia polmonare di grado significativo è stato riscontrato in circa il 20% dei casi (Bussani & Cosatti, 1990). Una recente revisione sistematica condotta a livello europeo (Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Spagna e Svezia) stima un tasso di insorgenza di trombosi venosa profonda (TVP) pari a 148 su 100000 persone ogni anno (83 delle quali acquisite in ospedale) e 95 su 100000 persone ogni anno per l’insorgenza di EP (67 delle quali acquisite in ospedale) stimando un tasso di mortalità a causa di TEV pari al 12% (Cohen et al., 2007). Le stime sono state ottenute tramite l’analisi dei dati (IC 95%) disponibili nella letteratura internazionale europea, quindi corrette in rapporto alla popolazione dei paesi inclusi nello studio. La realtà transatlantica riporta dei dati poco sovrapponibili. Lo confermano quelli contenuti negli studi epidemiologi di Spencer et al. (2006), White (2003), Silverstein et al. (1998) e Anderson et al. (1991) i quali hanno 5 indagato sulla popolazione statunitense (ospedalizzata e non) riscontrando che l’incidenza della malattia TEV, che include sia l’incidenza di TVP che di EP, si aggira tra i 71 ed i 117 casi ogni 100000 persone. Mettendo quindi a confronto la realtà europea con quella statunitense sembrerebbe che la prima riscontri un maggior numero di eventi trombo embolici rispetto la seconda. I dati finora analizzati presentano alcuni limiti. I primi sono stati ottenuti per mezzo di esami autoptici difficilmente correlabili con la condizione clinica del paziente di quando era in vita ed i dati di Cohen et al. (2007) sono stati estrapolati da paesi quali Regno Unito e Francia nel caso in cui quelli specifici di un paese non erano disponibili. Essi quindi permettono di ottenere delle informazioni che, dal punto di vista clinico, non sono di aiuto nella scelta di interventi che siano di natura profilattica, diagnostica o terapeutica. Questo perché la TVP e l'EP, quest’ultima conseguente alla prima, sono causate da eventi che rientrano in classi di fattori di rischio a loro volta variabili in funzione della problematica principale riscontrata nel paziente ma anche delle conseguenze che essa provoca. 1.3 Fattori di rischio La malattia TEV ha molti fattori di rischio che in base alla problematica clinica del paziente diventano caratteristici. Per un paziente ricoverato in ospedale a causa di una patologia principale di tipo medico saranno considerati dei fattori di rischio diversi rispetto a quelli di un paziente ricoverato per una patologia chirurgica o traumatica. Per meglio comprendere questo concetto è bene sapere che il rischio approssimativo di TVP asintomatica, calcolato tramite screening diagnostici obiettivi in pazienti non riceventi alcuna trombo profilassi, raggiunge oltre il 20% in pazienti con una problematica medica, il 40% in pazienti con una problematica chirurgica (chirurgia generale, ginecologica, urologica, cardiaca e neurochirurgica), il 50% in pazienti colpiti da stroke (emorragico o ischemico) o sottoposti ad un’artroplastica del ginocchio o dell’anca e circa l’80% in pazienti colpiti da eventi traumatici maggiori o che 6 necessitano di cure intensive (NCGC-ACC 2010; Geerts et al. 2004). 1.3.1 Fattori di rischio in pazienti ricoverati per una problematica clinica medica In questa classe di pazienti, il ricovero per un evento acuto è associato ad un aumento del rischio di sviluppare la malattia TEV di circa otto volte il rischio di base (Heit et al., 2000) e, nonostante le precedenti statistiche, dal 50% al 75% degli eventi, inclusa la EP fatale, accade in reparti medici. (Goldhaber et al. 2000, Heit et al. 2000). Tra i fattori di rischio troviamo: Neoplasia in fase attiva localizzata nella sede di origine o con metastasi a distanza e/o chemioterapia o radioterapia nei precedenti 6 mesi. (Barbar et al., 2010). Particolarmente a rischio sono i pazienti con tumori cerebrali; adenocarcinoma dei polmoni, pancreas, colon , stomaco, prostata e reni; neoplasie ematologiche (Simanek et al. 2007, Agnelli et al. 2006, Blom et al. 2006, Chew et al. 2006, Khorana et al. 2006, Ogren et al. 2006, Stein et al. 2006, Blom et al. 2005, Lee & Levine 2003, Sallah et al. 2002, Thodiyil & Kakkar 2002, Levitan et al. 1999). Anche il genere sembra giocare un ruolo importante; infatti le donne che sono state sottoposte ad un trattamento con Modulatori Selettivi dei Recettori per gli Estrogeni (MSRE), come il Tamoxifene, incorrono in un rischio per la malattia TEV da due a cinque volte più elevato (Fisher et al. 2005, Lee & Levine 2003), che aumenta ulteriormente nelle donne nella fase post menopausale in trattamento combinato con Tamoxifene e chemioterapia (Pritchard et al., 1996). Ulteriori farmaci che influiscono in pazienti con cancro sono gli Inibitori dell’Angiogenesi (Johnson et al., 2004), Talidomide e Lenalidomide se associati a chemioterapici o ad alte dosi di Desametasone (El Accaoui et al. 2007, Barlogie et al. 2006, Hussein 2006, Palumbo et al. 2006) ed infine l’uso del Bevacizumab (Nalluri et al., 2008). 7 Precedenti eventi di malattia TEV con esclusione di eventi trombotici delle vene superficiali (Barbar et al, 2010). Ridotta mobilità con allettamento superiore ai 3 giorni (Barbar et al., 2010). Condizioni di trombofilia già note come, ad esempio, il deficit di Antitrombina, della proteina C o S, del fattore V di Leiden, mutazione della protrombina G20210A e sindrome antifosfolipidica (Barbar et al., 2010). Interventi chirurgici (vedere punto 1.3.2) nell’ultimo mese (Barbar et al., 2010). Episodi traumatici (vedere punto 1.3.3) nell’ultimo mese (Barbar et al., 2010). Insufficienza cardiaca e/o respiratoria (Barbar et al., 2010). Età ≥ 70 anni (Barbar et al., 2010). Infarto miocardico acuto o stroke ischemico (Barbar et al., 2010). Obesità, BMI ≥ 30 (Barbar et al., 2010). Trattamento ormonale in corso (Barbar et al., 2010). 1.3.2 Fattori di rischio in pazienti ricoverati per una problematica clinica chirurgica In questo contesto è necessario considerare sia fattori specifici del paziente, simili a quelli che consideriamo per il paziente con una problematica medica, che fattori specifici della procedura chirurgica a cui il paziente è stato sottoposto. Dalla revisione di circa 130 Randomized Clinical Trial (RCT), che includono pazienti sottoposti a procedure chirurgiche diverse, emerge che presentano un rischio elevato di sviluppare una malattia TEV coloro che affrontano un intervento di chirurgia ortopedica maggiore e, a seguire, interventi di chirurgia generale e di neurochirurgia (NCGC-ACC, 2010). I fattori di rischio vengono suddivisi in paziente-specifici e procedura- 8 specifici. Fattori di rischio paziente-specifici: Età ≥ 60 anni (Agnelli et al. 2006, Epstein 2005, Clarke-Pearson et al. 2003, Oda et al. 2000, White et al. 2000). Pregresso evento di malattia TEV (Pedersen et al. 2010, Agnelli et al. 2006, Epstein 2005, Leizorovicz et al. 2005, Clarke-Pearson et al. 2003, Oda et al. 2000, White et al. 2000). Patologie cardiovascolari (Pedersen et al. 2010, Leizorovicz et al. 2005). Apnee notturne (Caruana et al. 2011, Inabnet et al. 2010, Carmody et al. 2006, Sapala et al. 2003). BMI ≥ 30 (Caruana et al. 2011, Inabnet et al. 2010, Stroh et al. 2009; Raftopoulos et al. 2008, Gargiulo et al. 2007, Piano et al. 2007, Carmody et al. 2006, White et al. 2000). Gravidanza o post-partum (Bahl et al., 2010). Cancro (Khaldi et al. 2011, Simanek et al. 2007, Epstein 2005, Clarke-Pearson et al. 2003, Oda et al. 2000, Ruff & Posner 1983). Paresi (Khaldi et al. 2011, Simanek et al. 2007, Ruff & Posner 1983). Genere maschile (Spyropoulos et al., 2009). Fattori di rischio procedura-specifici: Durata dell'anestesia generale ≥ 2 ore; (Khaldi et al. 2011, Simanek et al. 2007, Agnelli et al. 2006, Ruff & Posner 1983). Presenza di Catetere Venoso Centrale (CVC) (Bahl et al., 2010). Coronary Artery Bypass Grafting (CABG) in off pump (Cartier & Robitaille, 2001). Allettamento ≥ 4 giorni (Agnelli et al. 2006; Leizorovicz et al. 2005). Complicazioni post-chirurgiche tra cui: infezioni delle vie urinarie, insufficienza renale acuta, trasfusione di emazie concentrate, infarto 9 miocardico peri-operatorio, polmonite (Gangireddy et al., 2007) e sepsi (Bahl et al., 2010). 1.3.3 Fattori di rischio in pazienti ricoverati per una problematica clinica traumatica Diversi studi hanno esaminato il rischio di malattia TEV in pazienti adulti con trauma o politrauma. Gould et al. (2012) hanno analizzato i dati contenuti in quattro di essi ed emerge che il rischio di malattia TEV sintomatica è compreso tra 1% e 7.6% ove la percentuale più alta interessa pazienti che riportano fratture vertebrali, lesioni midollari o cerebrali. Jones et al. (2005) affermano che l'età al di sotto dei 14 anni sia un fattore predittivo di non sviluppo della malattia TEV in presenza di lesioni midollari. Fattori di rischio: Età ≥ 40 anni (Knudson et al., 2004) oppure secondo Geerts et al. (1994) un Odds Ratio (OR) pari a 1.05 per ogni anno di età (CI 95%, 1.03-1.06). Genere maschile (Jones et al., 2005). Popolazione nera (Jones et al., 2005). Neoplasia (Green et al., 2003). Trasfusione di emazie concentrate (Geerts et al., 1994). Interventi chirurgici (Knudson et al. 2004, Geerts et al. 1994). Frattura del femore o della tibia (Knudson et al. 2004, Geerts et al. 1994). Lesione midollare (Geerts et al., 1994). Trauma cranico (Knudson et al., 2004). Danno vascolare a carico del circolo venoso (Knudson et al., 2004). Ventilazione meccanica ≥ 3 giorni (Knudson et al., 2004). Paraplegia vs tetraplegia (Jones et al., 2005). Presenza di almeno 3 comorbilità (Jones et al., 2005). 10 1.3.4 Fattori di rischio in pazienti ricoverati in Terapia Intensiva Il paziente ricoverato presso un'Unita di Terapia Intensiva raramente è colpito da una singola patologia. La compresenza di più problematiche cliniche giustifica il rischio così elevato. I fattori di rischio riscontrati in letteratura per questo tipo di pazienti sono: Disturbi acuti, ad esempio sepsi (Cook et al., 2005). Patologie croniche, ad esempio insufficienza renale o scompenso cardiaco (Cook et al., 2005). Pregressa malattia TEV o familiarità per la stessa (Cook et al., 2005). Trasfusione di piastrine (Cook et al., 2005). Allettamento prolungato (Cook et al., 2005). Interventi chirurgici (Cook et al., 2005). Presenza CVC (Cook et al., 2005). Ventilazione meccanica (Cook et al., 2005). Terapia farmacologica come agenti vasopressori o paralizzanti (Cook et al., 2005). 11 2. LA TROMBOSI VENOSA PROFONDA 2.1 Fisiopatologia “Per trombosi si intende la formazione di masse solide nelle cavità cardiache o in quelle dei vasi arteriosi o venosi durante la vita, a partire da costituenti normali del sangue.” (Welch, 1899). Le cause della trombosi sono soprattutto tre (Triade di Virchow): “l'alterazione della parete vasale, il rallentamento locale del circolo e l'alterazione primitiva di qualche componente ematico del processo coagulativo.” (Virchow, 1846-1856). Raramente ciascuno di questi fattori opera da solo. Le cause più frequenti di alterazione della parete vasale sono la presenza di ateromi ulcerati, o di processi infiammatori, trasmessi dall'esterno oppure originatisi direttamente nella parete. Altra causa di lesione della parete arteriosa, la quale però entra in gioco raramente nella trombosi di vasi importanti, può essere un trauma. Il rallentamento del flusso sanguigno può essere provocato da compressioni da parte di oggetti esterni al vaso, oppure la diminuzione della vis a tergo per insufficienza cardiocircolatoria. Il rallentamento è la causa principale nel determinismo dei trombi intracardiaci in corso di fibrillazione o fluttuazione. Altre volte invece è causato dalla formazione di vortici o di onde retrograde. Tra le alterazioni dei componenti ematici del processo coagulativo, importanza maggiore hanno le piastrine. Esse dimostrano una maggiore adesività dopo interventi chirurgici, traumi, emorragie e nel corso del puerperio. In certe condizioni, il rallentamento è determinato anche da alterazioni dei globuli rossi, che tendono a conglutinarsi e a impilarsi; ciò accade specialmente nei piccoli vasi, in rapporto con ustioni o con fenomeni autoimmunitari (per esempio, nella sindrome di Raynaud). Le emazie così danneggiate favoriscono il processo trombotico anche attraverso l'innesco del meccanismo coagulativo. Tra i fattori ematici che favoriscono la trombosi, sono infine da ricordare quelli plasmatici della coagulazione (Dianzani et al., 2004). 12 Il trombo, che per definizione rimane aderente alla parete del vaso, è friabile ed ha una struttura disomogenea con superficie irregolare, differisce dal coagulo, che non aderisce alla parete vasale dalla quale vi si stacca facilmente. Può essere classificato in base alla sua composizione, e quindi al colore, alla sede di origine ed alla grandezza. La composizione e la sede di origine giocano un ruolo principale per la definizione del trombo: la velocità del flusso ematico a livello venoso, indipendentemente dalla sede, è più bassa rispetto quella arteriosa perciò vi è un maggior tempo di permanenza della componente corpuscolare del sangue (eritrociti e piastrine) che favorisce l'evoluzione verso la coagulazione completa, verso il trombo rosso; nelle arterie, viceversa, sono prevalenti i trombi bianchi dalla composizione endoteliale-piastrinica. La grandezza del trombo, infine, può determinare la completa ostruzione del vaso, trombi ostruenti, oppure occupare soltanto una porzione del lume del vaso come nel caso dei trombi parietali (Dianzani et al., 2004). 2.2 Manifestazione clinica I tipici sintomi della TVP includono dolore, senso di pesantezza, crampi alle estremità inferiori, specialmente al polpaccio, che possono progredire lentamente col trascorrere dei giorni oppure accelerare rapidamente portando al gonfiore e alla colorazione blu-rossa o cianotica (Bauersachs, 2012). 2.3 Diagnosi Wells et al. (1995) hanno sviluppato un modello di accertamento clinico, modificato poi da un secondo gruppo di studio di Wells et al. (1997), per stratificare i pazienti sintomatici in gruppi con bassa, media o alta probabilità clinica pretest per la TVP. Nel 2006 gli stessi autori hanno pubblicato una revisione sistematica di tutti quei trials clinici che riportavano la prevalenza di TVP stimata mediante il modello clinico sopra citato. L'obiettivo di tale revisione era quello di determinare la prevalenza di 13 TVP previste prima di eseguire test strumentali. Da essa emerge che nei gruppi a bassa, media e alta probabilità clinica la prevalenza è rispettivamente del 5.0% (IC 95%, 4.0%-8.0%), 17% (IC 95%, 13%-23%) e 53% (IC 95%, 44%-61%). Una seconda classificazione, come riporta Prandoni (1997), distingue tre principali categorie di pazienti: quelli con il sospetto del primo episodio di TVP, con il sospetto di recidiva di TVP e asintomatici ad alto rischio di TVP (candidati ad intervento di chirurgia maggiore e coloro che restano immobilizzati a lungo a seguito di un episodio di ictus cerebrale). L'accertamento clinico e la classificazione aiutano nella scelta del test diagnostico più adeguato al paziente. Tra i test diagnostici strumentali, nei pazienti con il sospetto di primo episodio di TVP, la flebografia convenzionale risulta essere l’esame standard (Hull et al., 1981) ma i limiti imposti dall'utilizzo del mezzo di contrasto, iniettato nella vena dorsale del piede, hanno portato a sviluppare altre strategie di ricerca. Tra di esse troviamo: il livello ematico del Ddimero, ecografia compressiva degli arti inferiori, Tomografia Assiale Computerizzata (TAC) e Risonanza Magnetica per Immagini (RMI). L'esame ematico individua la quantità di D-dimero (prodotto di degradazione della fibrina) circolante, tipicamente elevata nei pazienti con TVP acuta. Comunque, tale quantitativo può aumentare in una varietà di disordini non trombotici quali neoplasia, Coagulazione Intravasale Disseminata (CID), età avanzata, infezione, gravidanza, evento traumatico, intervento chirurgico, stato infiammatorio, fibrillazione atriale e stroke; perciò è un marcatore altamente sensibile ma non specifico per la malattia TEV (Bates et al., 2012). L'ecografia compressiva degli arti inferiori è lo studio per immagini più utilizzato per diagnosticare la TVP (Kearon et al., 1998). Grazie ad essa viene accertata la compressibilità delle vene degli arti inferiori e l'assenza di un completo collasso venoso è considerato diagnostico. La flebografia osservata tramite esame TAC prevede l'iniezione di un mezzo di contrasto e, successivamente, le immagini delle vene 14 dell'arto interessato vengono acquisite tramite TAC. Tale esame condivide con la flebografia convenzionale l'impiego del mezzo di contrasto via endovena ma non richiede l'incannulamento della vena del piede e può essere combinata con l'esame angiografico polmonare nel caso in cui siano sospettate sia TVP che EP. Infine la RMI può essere eseguita con diverse tecniche. Alcune di queste prevedono la somministrazione endovenosa del mezzo di contrasto, altre invece identificano la TVP visualizzando direttamente le immagini del trombo (tecnica che individua le elevate concentrazioni di meta-emoglobina presenti nel coagulo) risultando a tutti gli effetti un esame non invasivo e ad alta specificità e sensibilità. Nonostante ciò, non è un esame di routine disponibile in tutti i centri (Bates et al., 2012). Nella situazione in cui si sospetti una recidiva di TVP gli esami strumentali sono i medesimi sopra citati ma l'efficacia dell'accertamento della probabilità clinica pretest, tramite il modello clinico di Wells, non è ancora stata validata in un campione ampio di popolazione. La stratificazione iniziale dei pazienti permette di individuare l'algoritmo del percorso diagnostico più adatto alla situazione clinica. 2.4 Trattamento L'approccio alla TVP acuta può essere di tipo farmacologico o meccanico. Il primo prevede una somministrazione farmacologica via EV mentre il secondo un approccio più invasivo. Confermata la diagnosi di TVP si stima il rischio di sanguinamento maggiore e si definisce in quale categoria di rischio rientra il paziente: basso, moderato o alto rischio. Come riportato da Kearon et al. (2012) tra i fattori di rischio di sanguinamento con terapia anticoagulante in corso vi sono: età > 65 anni, precedenti sanguinamenti, neoplasia e/o metastasi, insufficienza renale e/o epatica, trombocitopenia, precedente stroke, diabete, anemia, terapia antipiastrinica, scarso controllo dell'anticoagulazione, comorbidità e ridotta capacità funzionale, recente intervento chirurgico, 15 frequenti cadute ed infine abuso di sostanze alcoliche. Se la terapia anticoagulante è in corso da meno di tre mesi e non vi sono fattori di rischio, il rischio di base di sanguinamento è di circa lo 0.6% che aumenta allo 1.2% in presenza di un fattore di rischio ed al 4.8% in presenza di due o più fattori di rischio. Il rischio totale può raggiungere il 12.8% in base alla gravità di ciascun fattore di rischio. Nel caso in cui il periodo di anticoagulazione superi i tre mesi, il rischio di base di sanguinamento è circa lo 0.3%, che aumenta allo 0.6% in presenza di un fattore di rischio e che raggiunge almeno il 2,5% in presenza di due o più fattori di rischio. Il rischio totale può raggiungere il 6.5% in base alla gravità di ciascun fattore di rischio. Comparando la durata della terapia anticoagulante gli stessi autori associano un aumento del sanguinamento maggiore di 2.6 volte nei primi tre mesi di terapia rispetto i successivi. La prescrizione medica del farmaco potrebbe includere Antagonisti della Vitamina K (AVK) quali Warfarin o Acenocumarolo, Eparina a Basso Peso Molecolare (EBPM) per via Sottocutanea (SC), Fondaparinux per via SC, Rivaroxaban per via SC ed Eparina Non Frazionata (ENF) per via SC o EV. Questi farmaci, con meccanismi d'azione diversi, sono stati studiati e comparati in modo tale da osservare quale possa essere considerato di prima scelta. La revisione sistematica di Erkens & Prins (2010) include ventitré RCT che mettono a confronto la terapia con EBPM e con ENF; conclude affermando che l'EBPM riduce l'incidenza di complicazioni trombotiche, la manifestazione di sanguinamento maggiore dopo le prime somministrazioni e complessivamente la mortalità al follow-up. Mantenendo lo stesso confronto Linkins et al. (2012) pongono in svantaggio l'EBPM per il suo costo elevato e per l'accumulo in circolo nei pazienti con insufficienza renale, tuttavia è conveniente poiché può essere somministrata solo una volta al giorno ed ha un potenziale più basso di Trombocitopenia Indotta da Eparina (TIE). Anche Fondaparinux e Rivaroxaban, come l'EBPM, vengono eliminati per via renale, perciò dovrebbero essere utilizzati con cautela nelle persone con compromissione di tale funzionalità. 16 Un secondo approccio farmacologico impiega sostanze trombolitiche a livello sistemico (Trombolisi Sistemica, TS) o locale (Trombolisi Diretta da Catetere): streptochinasi ed urochinasi. La revisione sistematica di Watson & Armon (2004) destinata ad accertare i rispettivi tassi di mortalità, di ricorrente malattia TEV, di sanguinamento maggiore e di SPT afferma che tale approccio riduce come previsto il rischio di SPT ma aumenta il sanguinamento maggiore. Tra le controindicazioni alla TS ed alla TDC riportate da Kearon et al. (2012) troviamo patologie della struttura intracranica, precedenti emorragie intracraniche, stroke ischemico da meno di tre mesi, sanguinamento in atto, recente intervento neurochirurgico o di chirurgia spinale, recente trauma cranico commotivo ed infine diatesi emorragica. Nonostante la prima scelta sia la terapia anticoagulante, la TS o la TDC andrebbe considerata in un paziente che manifesti una TVP ileo femorale, sintomi da meno di 14 giorni, buono stato funzionale, aspettativa di vita maggiore ad un anno ed un basso rischio di sanguinamento (Kearon et al., 2012). L'aggiunta della frammentazione e dell'aspirazione del trombo alla TDC viene comunemente nominata Trombolisi Farmaco-Meccanica (TFM). Non esiste comunque un approccio standard che favorisce la TDC o la TFM, la tecnica varia in funzione delle risorse locali e dell'esperienza dell'operatore (Kearon et al., 2012). Gli approcci che non prevedono l'impiego di farmaci che vanno ad agire sul trombo sono la Trombectomia Meccanica Venosa Percutanea (TMVP) e la Trombectomia Venosa Operativa (TVO). La prima, TMVP, è scoraggiata dalla letteratura poiché spesso fallisce nella rimozione del trombo (Vedantham et al. 2002, Kasirajan et al. 2001) quindi è associata ad un alto rischio di EP (Delomez et al. 2001, Kinney et al. 2000). La seconda, TVO, diviene scelta secondaria preceduta dalla TDC a causa della bassa qualità degli studi. 17 2.5 Complicanze L'EP e la SPT sono tra le complicanze più comuni della TVP (Hirsh et al., 1986). L'EP verrà trattata al punto successivo. La SPT colpisce circa un terzo delle persone con precedente TVP acuta e circa due terzi con precedente TVP con sede ileo femorale (Kahn et al. 2008, Kahn & Ginsberg 2002). I sintomi principali sono gonfiore cronico, dolore, discomfort alla deambulazione e decolorazione della cute. La gravità di questi può variare nel tempo e la più grave manifestazione è data dalle ulcere degli arti inferiori (Kearon et al., 2012). 18 3. L'EMBOLIA POLMONARE 3.1 Fisiopatologia La dislocazione dei trombi dalla loro sede di origine, definita embolizzazione, provoca il loro ingresso nel circolo arterioso. In tale condizione, le alterazioni più comuni dello scambio dei gas sono l'ipossiemia (con riduzione della pressione parziale arteriosa) ed un aumento della tensione arteriosa-alveolare di O2, che provocano l'inefficace trasferimento di O2 attraverso i polmoni. Lo spazio morto anatomico aumenta perché il gas respirato non raggiunge la zona di scambio dei gas dei polmoni. Lo spazio morto fisiologico aumenta perché la ventilazione verso le zone di scambio dei gas dei polmoni eccede il flusso di sangue venoso attraverso i capillari polmonari. Altre anormalità fisiopatologiche includono l'aumento della resistenza vascolare polmonare causata dall'ostruzione vascolare da parte dell'embolo; le alterazioni dello scambio dei gas a causa dell'aumentato spazio morto alveolare secondario all'ostruzione vascolare, all'ipossiemia secondaria all'ipoventilazione, allo shunting polmonare, all'alterazione del trasferimento di CO a causa della perdita di superficie di scambio dei gas; l’iperventilazione polmonare a causa della stimolazione riflessa dei recettori irritanti; l’aumento della resistenza delle vie aeree a causa della costrizione delle vie bronchiali distali; la ridotta compliance polmonare a causa dell'edema polmonare, l’emorragia polmonare e la perdita di surfactante (Goldhaber, 2012). 3.2 Manifestazione clinica I segni e sintomi più comuni sono rispettivamente la tachipnea e la dispnea. Ipotensione, sincope, dispnea o cianosi indicano un’embolia polmonare massiva mentre il dolore pleurico, tosse o emottisi spesso suggeriscono la presenza di un piccolo embolo situato distalmente vicino la pleura (Goldhaber, 2012). 19 3.3 Diagnosi Lucassen et al. (2011) hanno condotto una meta-analisi su 52 RCT con l'obiettivo di comparare le caratteristiche degli accertamenti clinici per definire la probabilità di embolia polmonare (Wells e Geneva scores) e delle decisioni cliniche nei pazienti con sospetta embolia polmonare ed accertare il tasso di insuccesso degli stessi quando combinati alla quantificazione del D-dimero. Considerati i limiti dello studio, quali l’eterogeneità nella prevalenza dell’embolia polmonare e le potenziali influenze a causa della diagnosi differenziale, gli autori affermano che gli accertamenti clinici, che stratificano i pazienti in classi a basso, medio o alto rischio, combinati all'esame del D-dimero possono escludere in sicurezza l'evento embolia polmonare. Ulteriori esami diagnostici per immagini non invasivi sono: la Tomografia Computerizzata (TC) del torace, la scintigrafia polmonare, l’ecografia venosa degli arti inferiori; mentre tra quelli invasivi si ricordano: l’ecocardiografia trans-esofagea, la RMI o l’angiografia polmonare (Goldhaber, 2012). 3.4 Trattamento Come per la TVP, anche per l’embolia polmonare non esiste un trattamento standard. I principali interventi di tipo farmacologico prevedono gli stessi principi attivi utilizzati per la TVP, viceversa nuovi interventi possono essere impiegati: l’embolectomia polmonare chirurgica e il posizionamento di un filtro cavale in vena cava inferiore (Inferior Venous Cava = IVC). Le linee guida dell'American College of Chest Physicians (ACCP) (2012), curate da Kearon et al. (2012), in pazienti con un'evento acuto di embolia polmonare, raccomandano l'avvio precoce della terapia con AVK per poi continuare con l'anticoagulazione parenterale per almeno 5 giorni, o almeno superiore alle 24 ore, e fino al mantenimento dell'INR superiore a 2.0 (1B). La scelta dell'EBPM (2C) o del Fondaparinux (2B) è preferita alla ENF per via sottocutanea (2B per EBPM e 2C per Fondaparinux). L'embolia polmonare associata ad ipotensione (pressione arteriosa sistolica 20 <90 mmHg), o qualora il paziente risulti essere ad alto rischio di svilupparla, in assenza di un alto rischio di sanguinamento può essere trattata con la TS per periodi brevi di tempo (esempio 2 ore di infusione) piuttosto che prolungati (esempio 24 ore di infusione) (2C). Nei pazienti con embolia polmonare associata ad ipotensione e che hanno controindicazioni alla TS, insuccesso alla TS o sono in uno stato di shock che provocherà la morte prima dell'effetto della TS, gli autori consigliano la rimozione del trombo attraverso la TDC (2C). L'embolectomia polmonare chirurgica è consigliata qualora ci siano controindicazioni alla TS, insuccesso della TS o della TDC oppure uno stato di shock che provocherà la morte prima dell'effetto degli interventi trombolitici (2C). Infine il posizionamento del filtro IVC viene consigliato sia come supporto alla terapia anticoagulante che in assenza di essa (1B). 3.5 Complicanze Escluso l'evento fatale, l'Ipertensione Polmonare Tromboembolica Cronica (IPTC) si verifica dallo 1% circa (Becattini et al., 2006) al 9% (Dentali et al., 2009) dei pazienti con pregresso evento TEV. Il sintomo più comune attribuibile alla IPTC è la dispnea da sforzo mentre altri sintomi sono stanchezza, angina pectoris, sincope ed edema periferico. I segni che si possono individuare all'esame fisico sono turgore giugulare, ridotto polso carotideo e polso ventricolare destro palpabile. La cianosi e/o l'edema tendono a verificarsi nelle fasi avanzate della malattia (Rich, 2012). 21 4. LA PROFILASSI PER LA TROMBO EMBOLIA VENOSA 4.1 Farmacologica La scelta della profilassi farmacologica per la malattia TEV deve esser fatta bilanciando il rischio di trombosi ed il rischio di sanguinamento. Nei pazienti ricoverati per un problema clinico di tipo medico, che sia un evento acuto, di origine oncologica, che si trovino in condizioni critiche o che siano permanentemente immobilizzati, e che siano a basso, medio o ad alto rischio di evento trombo embolico, la profilassi farmacologica prevede EBPM o Eparina Non Frazionata a Basse Dosi (ENFBD). La compresenza di un elevato rischio di sanguinamento pone in secondo piano la profilassi farmacologica favorendo quella meccanica compressiva (trattata al punto 4.2) fino a quando il rischio di sanguinamento decresce (Kahn et al., 2012). Gli stessi autori hanno svolto una meta-analisi di 3 RCT di qualità elevata che includono pazienti con problematiche mediche in trattamento anticoagulante per via parenterale. I risultati prevedono una riduzione significante dell'EP fatale (RR, 0.41; IC 95%, 0.22-0.76) e della TVP sintomatica (RR, 0.47; IC 95%, 0.22-1.00) (Kahn et al., 2012). L'impiego di Acido Acetilsalicilico (ASA), nei pazienti con un problema di tipo medico, prevede come profilassi una riduzione dei costi di trattamento e la facilità nella somministrazione (per via orale) e, comparata con la terapia placebo, riduce poco la mortalità (RR, 0.97; IC 95%, 0.85-1.10) agendo maggiormente sulla riduzione dell'EP (RR, 0.47; IC 95%, 0.37-0.59) e della TVP (RR, 0.71; IC 95%, 0.52-0.97) aumentando però il rischio di sanguinamento (RR, 1.42; IC 95%, 1.16-1.74) (Kahn et al., 2012). Tuttavia l'ASA non è mai stata comparata con i farmaci antitrombotici. Quando il paziente viene sottoposto ad un intervento chirurgico, che sia di chirurgia generale e addomino-pelvica, cardiochirurgia, chirurgia vertebro midollare o neurochirurgia, la profilassi farmacologica a base di EBPM o ENFBD per via parenterale viene somministrata nei casi in cui ci sia rischio di evento TEV moderato o alto e non ci sia un alto rischio di sanguinamento 22 (Gould et al., 2012). Una meta-analisi di 51 RCT condotta da Mismetti et al. (2001) ha come obiettivo la comparazione tra EBPM e placebo o ENFBD somministrata in più di 48000 pazienti sottoposti ad interventi di chirurgia generale e addominale. Emerge che l'EBPM rispetto il placebo riduce il rischio di sviluppare la TVP asintomatica (RR, 0.28; IC 95%, 0.14-0.54), l'EP (RR, 0.25; IC 95%, 0.08-0.79) e nel complesso l'evento TEV (RR 0.29; IC 95%, 0.11-0.73); confrontata con l'ENFBD, l'EBPM, riduce significativamente la manifestazione clinica dell'evento TEV (RR, 0.71; IC 95%, 0.51–0.99; p 0.049). Gould et al. (2012) concludono affermando che per la stessa classe di pazienti, nel caso in cui non vi sia un alto rischio di sanguinamento ma sia presente un alto rischio di sviluppare un evento TEV e siano controindicate sia EBPM che ENFBD, la scelta può ricadere su Fondaparinux o basse dosi di ASA. Nei pazienti sottoposti a chirurgia ortopedica l'orientamento è pressochè simile poichè la profilassi farmacologica a base di EBPM, ENFBD o Fondaparinux, Apixaban, Dabigatran e AVK nei casi in cui siano controindicati i primi due non viene somministrata quando è presente un elevato rischio di sanguinamento (Falck-Ytter et al., 2012). Nei pazienti colpiti da trauma maggiore viene consigliata una profilassi farmacologica a base di EBPM o ENFBD per ogni classe di rischio di evento TEV; qualora i due farmaci siano controindicati viene preferita la profilassi meccanica (Gould et al., 2012). 4.2 Meccanica Già prima del XIX secolo la sperimentazione scientifica medica ha cercato di migliorare la circolazione ematica grazie all'esercitazione di una pressione esterna sugli arti inferiori. La profilassi meccanica per la malattia TEV, appunto, consiste nell'innsescare reazioni fisiologiche a partire da azioni meccaniche esterne od interne. Tali azioni vengono esplicate da appositi dispositivi: calze elastiche a compressione graduata o Graduated Compression Stockings device (GCSd), dispositivi a compressione 23 pneumatica intermittente o Intermittent Pneumatic Compression device (IPCd) e pompa a pedale o Venous Foot Pump (VFP) ad azione esterna. Filtro cavale o Inferior Venous Cava (IVC) filter ad azione interna. 4.2.1 Graduated Compression Stockings device (GCSd) I GCSd comprimono le vene degli arti inferiori in modo graduale. Esistono di diverse misure e possono ricoprire solo dal piede al ginocchio oppure l'intera gamba fino alla coscia. 4.2.1.1 Meccanismo d'azione Questi dispositivi esercitano il loro effetto favorevole riducendo il rischio di sviluppare un evento TEV opponendosi ad una varietà di meccanismi coinvolti nella patogenesi della trombosi venosa: comprimono la gamba, in maniera statica, diminuendo così la sezione trasversa delle vene ed aumentando la velocità del flusso ematico, quindi annullano la stasi venosa; comprimono la regione attorno la caviglia aumentando ulteriormente la velocità del flusso ematico; aumentano l'effetto pompa muscolare del polpaccio e con ciò migliorano la funzione delle valvole venose riducendo l'accumulo ematico venoso; modulano il livello ematico di alcuni fattori della coagulazione (Lippi et al., 2011). 4.2.1.2 Studi di efficacia clinica Diversi studi hanno indagato l'efficacia clinica di questi dispositivi. Primo tra questi è quello condotto da Kierkegaard & Norgren (1993); dai quali risultati purtroppo non emerge se i dispositivi siano efficaci o meno nel prevenire la TVP. Tuttavia studi più recenti hanno ottenuto risultati migliori. Roderick et al. (2005) hanno svolto una revisione sistematica con l'obiettivo di accertare i benefici di: profilassi meccanica, anticoagulanti orali, destrano ed anestesia locoregionale (in alternativa all'anestesia generale) in termini di riduzione del rischio di sviluppare TVP, EP e sanguinamento in pazienti con problemi medici o chirurgici. L'attenzione è stata focalizzata sulla parte 24 riguardante la profilassi meccanica con dispositivi GCSd. Sono presi in considerazione nove trials nei quali l'applicazione dei dispositivi GCSd sembra ridurre il rischio di incidenza della TVP del 66%. L'omogeneità degli studi non è confermata. L'impiego di tali dispositivi è studiato più metodicamente da Dennis et al. (2009) i quali avviano il primo dei tre trials clinici denominati Clots in Legs Or sTockings after Stroke 1 (CLOTS1). Obiettivo di questo primo RCT a singolo cieco è quello di accertare l'efficacia dei GCS coprenti fino alla coscia, o Thigh-Length (TL), nel ridurre la TVP dopo uno stroke; 2518 pazienti sono stati inclusi nello studio e divisi in due gruppi: il primo (n=1256) ricevente la terapia farmacologica di routine più l'applicazione dei GCSd ed il secondo (n=1262) ricevente la sola terapia di routine. I risultati non sono molto incoraggianti poiché l'evento di TVP, sintomatico od asintomatico, è stato riscontrato in circa il 10.0% nel gruppo dei pazienti con GCSd ed in circa il 10.5% nei pazienti senza GCSd con una riduzione poco significativa del rischio assoluto pari allo 0.5% (IC 95%, da -1.9% a 2.9%). Emerge anche che complicazioni quali rotture della cute, ulcere, vesciche e necrosi cutanee sono molto frequenti nei pazienti con GCSd rispetto i pazienti senza GCSd poiché si sono verificate rispettivamente in circa il 5% verso lo 1% (OR 4.18; IC 95%, 2.40-7.27). Un secondo studio CLOTS condotto da Dennis et al. (2010) compara l'utilizzo dei dispositivi GCSd TL verso quelli coprenti fino al ginocchio, o Knee-Length (KL). La metodologia è molto simile al precedente studio, trattasi quindi di un RCT a singolo cieco con l'organizzazione dei pazienti in due gruppi; il primo (n=1552) ricevente i dispositivi GCSd TL ed il secondo (n=1562) ricevente i GCSd KL. La TVP, sintomatica od asintomatica, è stata riscontrata nel 6.3% dei pazienti con GCSd TL e nel 8.8% dei pazienti con GCSd KL con una differenza assoluta del 2.5% (IC 95%, 0.7%-4.4%; p=0.008). La manifestazione delle complicanze cutanee, quali rotture della cute, è avvenuta nel 3.9% nei pazienti con GCSd TL e nel 2.9% dei pazienti con GCSd KL. Gli autori concludono affermando che la TVP si riscontra 25 maggiormente nei pazienti ai quali sono stati applicati i dispositivi GCSd KL rispetto ai TL ma che quest'ultimi, per migliorare il comfort della cute del paziente, vengono rimossi più frequentemente. Uno studio simile è stato condotto da Sajid et al. (2012) con l'obiettivo di analizzare sistematicamente gli RCT che hanno valutato l'efficacia dell'applicazione dei dispositivi GCSd KL verso i dispositivi TL nei pazienti sottoposti a varie tipologie di chirurgia. Emerge che non esistono differenze significative nell'incidenza della TVP tra le due tipologie di dispositivi. Tuttavia individuano altri punti da argomentare. I dispositivi GCSd TL risultano molto più difficili da applicare e possono provocare più frequentemente un effetto laccio nella parte superiore della coscia se applicati incorrettamente (Hameed et al. 2002, Byrne et al. 2001, William et al. 1996, Porteous et al. 1989). Questo effetto laccio può danneggiare la cute e ridurre il flusso venoso aumentando il rischio potenziale di TVP. Viceversa anche se i dispositivi GCSd KL si dovessero arrotolare verso la caviglia il punto di maggior pressione rimarrebbe sempre a livello della caviglia stessa. Infine i dispositivi GCSd KL sono maggiormente preferiti dai pazienti perchè ritenuti più confortevoli (Hameed et al. 2002, Sharpe et al. 2002, Byrne et al. 2001). Dalla letteratura emergono quindi dati poco sovrapponibili. Non è noto se il rischio di sviluppare complicanze cutanee dei pazienti con stroke sia sovrapponibile ad altre classi di pazienti, tuttavia l'applicazione dei dispositivi GCSd, che siano TL o KL, non è priva di complicanze. Lippi et al. (2011) individuano tre controindicazioni principali all'applicazione dei dispositivi: patologie dermatologiche, arteriopatie periferiche gravi e neuropatia diabetica. Secondo le linee guida ACCP (2012) curate da Kahn et al. (2012) l'applicazione dei dispositivi GCSd rimane come una delle due alternative di scelta nei pazienti, con moderato o alto rischio di TEV ed alto rischio di sanguinamento, ricoverati per una problematica clinica medica acuta (2C), per i pazienti in condizioni critiche (2C) e nei pazienti immobilizzati (2C). 26 4.2.2 Intermittent Pneumatic Compression device (IPCd) Sin dagli anni '30 del secolo scorso la comunità scientifica cominciò a studiare gli effetti che la pressione e la depressione ottenevano quando applicate agli arti inferiori. Oggigiorno per la terapia profilattica compressiva pneumatica non vengono più utilizzate camere a pressione o depressione ma dispositivi esterni: gli IPCd. Tali dispositivi variano in termini di lunghezza e di organizzazione delle camere d'aria. Per quanto riguarda la lunghezza, le alternative disponibili sul mercato possono ricoprire il solo piede, il piede ed il polpaccio, solo il polpaccio, il polpaccio e la coscia ed infine l'intera gamba a partire dal piede fino alla coscia. L'organizzazione delle camere d'aria permette di avere dispositivi monocamera o con più camere la cui immissione d'aria è sincronizzata, dalle zone distali a quelle prossimali, grazie ad una pompa pneumatica elettrica (Lippi et al., 2011). 4.2.2.1 Meccanismo d'azione Tutti i dispositivi IPCd aumentano il flusso venoso delle vene prossimali per il breve arco di tempo in cui esercitano la compressione e possono essere utilizzati diversi livelli di pressione. L'aria può essere immessa uniformemente o sequenzialmente con pressioni graduate. I tempi del ciclo di gonfiaggio e sgonfiaggio delle camere d'aria così come i livelli di pressione possono variare ampiamente (Lippi et al., 2011). Prendiamo in considerazione un dispositivo per volta partendo dagli IPCd, più diffusi, che ricoprono o il solo polpaccio o sia il polpaccio che la coscia. La pressione esercitata sul polpaccio e sulla coscia raggiunge circa i 40 mmHg e produce un aumento della velocità da 35 a 60 cm/s a livello della vena femorale (un incremento di circa il 250% rispetto il fisiologico durante la compressione) ed a 55 cm/s nella vena polplitea. Chen et al. (2001), sulla base dello studio di Knight & Dawson (1976) i quali hanno ottenuto una riduzione dell'incidenza di TVP degli arti inferiori applicando i dispositivi IPCd sulle estremità superiori, deducono che 27 l'efficacia di questi dispositivi nel ridurre il tasso di TVP non è solamente il risultato diretto della compressione meccanica quale causa di cambiamenti emodinamici. Infatti le forze meccaniche esercitate dai dispositivi IPCd possono avere stimolato la capacità del sistema fibrinolitico o altri meccanismi biochimici della coagulazione. Quando il dispositivo è applicato alle estremità inferiori, la compressione improvvisa genera un flusso pulsante che spinge il volume ematico ottenendo uno svuotamento completo nel sito di compressione. La distensione causata dal volume di sangue genera uno stato di tensione delle cellule endoteliali venose, mentre l'aumentata velocità del flusso ematico impone un aumento della forza da taglio sulle stesse cellule endoteliali. Gli effetti delle due forze, da taglio e tensione, sono state osservate sugli animali e su modelli colturali di cellule. Esse causano risposte fisiologiche nelle stesse cellule endoteliali riconducibili agli effetti antitrombotici, pro-fibrinolitici e vasodilatatori dei dispositivi IPC (Chen et al., 2001). 4.2.2.2 Studi di efficacia clinica L'applicazione di tali dispositivi è ancora, per certe realtà, poco utilizzata. Ciononostante non mancano studi che indagano la loro effiacia. Tapson et al. (2007) sulla base dei dati dell'International Medical Prevention Registry on Venous Thromboembolism, uno studio prospettico osservazionale che include 52 strutture ospedaliere con più di 15000 pazienti ricoverati per una problematica medica acuta di 12 nazioni diverse, inclusa l'Italia, individua i dispositivi IPCd quale forma di profilassi meccanica più utilizzata negli Stati Uniti rispetto le altre nazioni (22% verso lo 0.2%). La recente conclusione del trial CLOTS 3, studio RCT a singolo cieco, fornisce informazioni più vicine alla realtà europea. Dennis et al. (2013), gli autori dello studio, hanno suddiviso tramite sistema random il campione iniziale di pazienti (n=2876) in due gruppi con uguale numerosità (n=1438): il primo gruppo ricevente i dispositivi IPCd ed il secondo gruppo non ricevente i dispositivi IPCd. Obiettivo dello studio è quello di accertare 28 l'efficacia dei dispositivi IPCd nei pazienti colpiti da stroke. La TVP, sintomatica e non, è stata diagnosticata nello 8.5% dei pazienti con IPCd e nel 12.1% dei pazienti senza IPCd con una riduzione assoluta del rischio del 3.6% (IC, 95%; 1.4-5.8). A causa di alcuni decessi è stato calcolato l'OR corretto con le nuove numerosità ed è pari allo 0.65 (IC, 95%; 0.51-0.84; p=0.001). I decessi si sono verificati nello 11% dei pazienti con IPCd e nel 13% dei pazienti senza IPCd e, la comparsa di complicanze, quali rotture cutanee, si sono verificate nel 3% dei pazienti con IPCd e nello 1% dei pazienti senza IPCd. Gli autori concludono affermando che i dispositivi IPCd sono un metodo efficace nella riduzione degli eventi di TVP nei pazienti immobilizzati. Gli studi eseguiti sui pazienti sottoposti ad interventi chirurgici, di varie specialità, risultano più frequenti. Una meta-analisi condotta da Urbankova et al. (2005) ha come obiettivo l'accertamento dell'efficacia dei dispositivi IPCd nella prevenzione della TVP in pazienti sottoposti ad interventi di neurochirurgia, chirurgia generale, oncologica, ortopedica ed urologica. I dati riportano una riduzione del rischio di sviluppare la TVP del 60% (RR, 0.40; IC 95%; 0.29-0.56; p<0.001). Contemporaneamente Roderick et al. (2005) svolgono una revisione sistematica, il cui obiettivo è già stato esposto, che conduce a risultati abbastanza sovrapponibili allo studio precedente: la riduzione del rischio di sviluppare la TVP, con i dispositivi IPCd usati come monoterapia, è pari al 66%. Kakkos et al. (2008) svolgono una revisione sistematica di 11 studi, di cui 6 RCT e 5 Controlled Clinical Trial (CCT), con l'obiettivo di accertare l'efficacia della profilassi combinata che, come si può dedurre dal nome, prevede la contemporanea associazione della profilassi meccanica compressiva (adottando dispositivi IPCd) con la profilassi farmacologica (a base di EBPM, ENFBD o Fondaparinux). L'efficacia della profilassi combinata è stata confrontata sia con l'efficacia della sola profilassi farmacologica che con quella meccanica compressiva. Su un campione totale di 7431 pazienti ad alto rischio di TEV la profilassi combinata 29 confrontata con la monoterapia meccanica compressiva riduce significativamente l'incidenza di EP (dal 3% allo 1%; OR 0.39; IC 95%; 0.25-0.63) e di TVP (dal 4% allo 1%; OR 0.43; IC 95%; 0.24 to 0.76) sintomatiche. Il confronto con la monoterapia farmacologica ottiene risultati altrettanto significativi nella riduzione dell'incidenca della TVP sintomatica o asintomatica (dal 4.21% allo 0.65%; OR 0.16; IC 95%; 0.07-0.34). Gli autori, in conclusione, supportano la scelta della profilassi combinata per prevenire la TEV e rimandano a studi futuri l'approfondimento sulla prevenzione della EP. La limitazione più grande per questi dispositivi risulta essere la compliance sia del paziente che degli operatori (Falck-Ytter et al., 2012). Comerota et al. (1992) individuano, durante una visita a sorpresa presso un'Unità di Terapia Intensiva, che solo il 78% dei dispositivi IPCd applicati erano correttamente applicati od in funzione. Come viene riportato nelle linee guida ACCP (2012) curate da Kahn et al. (2012)le indicazioni all'applicazione dei dispositivi IPCd è prevista quando il paziente ha un moderato o alto rischio di TEV ed un alto rischio di sanguinamento. Prendendo in analisi le singole situazioni, l'applicazione dei dispositivi IPCd è consigliata: nei pazienti ricoverati per una problematica clinica medica acuta (2C), nei pazienti in condizioni critiche (2C) in alternativa ai dispositivi GCSd e nei pazienti immobilizzati (2C). Le linee guida ACCP (2012) curate da Gould et al. (2012) consigliano, nei pazienti sottoposti ad interventi di chirurgia generale ed addomino-pelvica, l'applicazione dei dispositivi IPCd come monoterapia (2C); quando il rischio TEV è moderato ed il rischio di sanguinamento non è elevato è consigliata l'applicazione dei dispositivi IPCd (2C) o la somministrazione della terapia anticoagulante parenterale a base di EBPM (2B) o ENFBD (2B); quando il rischio TEV è elevato ma non lo è il rischio di sanguinamento è consigliata la terapia combinata con EBPM (1B) o ENFBD (1B) per la parte farmacologica e l'applicazione dei dispositivi IPCd (2C) o GCSd (2C) per la parte meccanica compressiva; quando entrambi i rischi sono elevati o sono 30 controindicate sia la EBPM che la ENFBD è consigliata la monoterapia meccanica compressiva con i dispositivi IPCd (2C) fino a quando il rischio di sanguinamento diminuisce. Nei pazienti sottoposti ad interventi di cardiochirurgia il cui percorso perioperatorio non è complicato è consigliata la monoterapia meccanca compressiva, preferibilmente con i dispositivi IPCd (2C); se invece il percorso perioperatorio è complicato, comunque da eventi non emorragici, è consigliata l'aggiunta della terapia farmacologica con EBPM (2C) o ENFBD (2C). Per i pazienti sottoposti ad interventi di chirurgia toracica con moderato rischio di TEV ma non ad alto rischio di sanguinamento è consigliata la terapia farmacologica con EBPM (2B) o ENFBD (2B) o la terapia meccanica compressiva, preferibilmente con i dispositivi IPCd (2C); se invece il rischio TEV diventa alto è consigliata la terapia combinata con EBPM (1B) o ENFBD (1B) e dispositivi GCSd (2C) o IPCd (2C); nel caso in cui diventi elevato anche il rischio di sanguinamento è consigliata la sola terapia meccanica compressiva, preferibilmente con IPCd (2C). Nei pazienti sottoposti ad interventi di neurochirurgia (con craniotomia) o chirurgia vertebro midollare è consigliata la terapia meccanica compressiva con dispositivi IPCd e, qualora sia presente un alto rischio di sanguinamento, la terapia farmacologica a base di EBPM e ENFBD è consigliata solamente quando il rischio di sanguinamento decresce (2C). Infine nei pazienti colpiti da un evento traumatico maggiore è consigliabile la terapia farmacologica a base di EBPM (2C) o ENFBD (2C) o la terapia meccanica compressiva preferibilmente con dispositivi IPCd (2C); se il rischio di TEV è alto (lesione midollare, trauma cranico commotivo o chirurgia vertebro midollare per trauma) è consigliata la terapia combinata con EBPM (2C) o ENFBD (2C) per la parte farmacologica e l'applicazione dei dispositivi IPCd (2C) per la parte meccanica compressiva. Alla luce dei dati riportati e delle linee guida prese in considerazione, i dispositivi IPCd cominciano ad assumere un ruolo molto importante nella prevenzione degli eventi TEV anche come monoterapia. Tuttavia, i dati 31 presi in considerazione appartengono per la maggioranza a classi di pazienti ricoverati per problematiche cliniche chirurgiche o con stroke. 4.2.3 Venous Foot Pump (VFP) L'adozione di questo dispositivo ha origine dopo la scoperta di Gardner & Fox (1983) i quali individuano un potente meccanismo fisiologico di pompa venosa situato nella pianta del piede, il plesso venoso. Il dispositivo, che ricopre il piede, agisce per mezzo di compressioni cicliche del plesso venoso della pianta del piede che aumentano il flusso venoso e quindi riducono la stasi ematica. Questo sistema garantisce un ritorno venoso e supporta la fibrinolisi quando il paziente non deambula (Vanhoutte et al. 1995, Allenby et al. 1973). La compressione del piede da parte del dispositivo esercita una pressione ≥ 130 mmHg e permette di incrementare le velocità quasi come i dispositivi che ricoprono il polpaccio, con valori da 30 a 55 cm/s, ma ottiene un incremento inferiore rispetto ai dispositivi che ricoprono anche la coscia, con valori da 20 a 40 cm/s (Lippi et al. 2011). Dohm et al. (2011) affermano che per garantire la profilassi per la TVP sono imperative la compliance del paziente e la coerente applicazione dei dispositivi durante le 24 ore giornaliere. 4.2.4 Inferior Venous Cava (IVC) filter L'introduzione percutanea per via giugulare o per via femorale di un filtro che viene poi posizionato nella vena cava inferiore ha lo scopo di intercettare materiale trombotico proveniente dal circolo venoso degli arti inferiori (Prandoni et al. 1997). La prima grande classificazione dei filtri IVC è in base alla modalità di cattura degli emboli. Si distinguono perciò filtri IVC “a setaccio” ed “idrodinamici”. La seconda grande classificazione prevede il tempo di permanenza in sede. Si distinguono perciò filtri permanenti e non permanenti e, tra questi ultimi si distinguono filtri temporanei e rimovibili-permanenti. In letteratura sono stati condotti diversi 32 studi con l'intento di individuare quale dispositivo svolgesse la miglior funzione di prevenzione col minor numero di complicanze, sia nel breve che nel lungo termine. Uno di questi è lo studio RCT francese Prevention du Risque d'Embolie Pulmonaire par Interruption Cave (PREPIC). Decousus et al. (1998), gli autori dello studio, affermano che nei pazienti ad alto rischio e con una TVP prossimale, il beneficio iniziale del filtro IVC nella prevenzione della EP viene bilanciato da un'aumento di incidenza di TVP ricorrenti e nessuna differenza nella mortalità. Un secondo studio, condotto sempre da Decousus et al. (2005), accerta il risultato ottenuto nel precedente studio PREPIC al fine di confermare i risultati per il lungo termine. Emerge infatti che, ad otto anni di distanza, il filtro IVC riduce il rischio di EP ma aumenta il rischio di TVP ricorrenti e non incide sulla sopravvivenza. Le linee guida ACCP (2012) curate da Gould et al. (2012) sconsigliano l'utilizzo del filtro IVC come prima scelta di profilassi per la malattia TEV (2C), mentre Falck-Ytter et al. (2012) lo consigliano come profilassi nei pazienti che subiscono un intervento di chirurgia ortopedica maggiore ad alto rischio di sanguinamento in cui siano controindicate sia la profilassi farmacologica che meccanica compressiva (2C). 4.2.5 GCSd vs IPCd Morris & Woodcock (2010) conducono una revisione sistematica con l'obiettivo di confrontare l'efficacia clinica dei dispositivi IPCd rispetto i dispositivi GCSd. Tre studi su dieci sono stati considerati statisticamente significativi ed ognuno di essi mostra un tasso di incidenza di TVP ridotto nei gruppi di pazienti ai quali sono stati applicati i dispositivi IPCd. Il tasso grezzo di incidenza di TVP per ogni trials preso in considerazione è pari al 5.9% per i gruppi di pazienti ai quali sono applicati i dispositivi GCSd ed è pari al 2.8% per i gruppi di pazienti ai quali sono applicati i dispositivi IPCd. Lippi et al. (2011) nella loro revisione sulla profilassi meccanica concludono dicendo che nonostante le evidenze biologiche e cliniche sembrano 33 dimostrare che i dispositivi GCSd siano delle misure tromboprofilattiche efficaci, relativamente economiche e più confortevoli, essi risultano complessivamente meno efficaci dei dispositivi IPCd. 4.2.6 GCSd plus IPCd Dagli studi sopra riportati questi dispositivi risultano essere efficaci come tromboprofilassi. Nasce a questo punto un quesito: l'utilizzo combinato dei dispositivi IPCd in aggiunta ai dispositivi GCSd, ne aumenta l'efficacia? Roderick et al. (2005) per trovare una risposta a questa domanda prendono in considerazione 8 studi. Limite di questi ultimi è la bassa numerosità dei pazienti studiati. Tuttavia gli autori giungono ad una conclusione ed affermano che qualsiasi beneficio esista dalla combinazione delle due tipologie di dispositivi deve essere minimo ed i dati non sono statisticamente significativi al punto tale da consigliare l'utilizzo combinato rispetto quello singolo. 34 CAPITOLO II 5. MATERIALI E METODI Tipologia di studio: studio osservazionale prospettico. Criteri di inclusione: Sono stati intervistati gli infermieri (previa lettura e firma del consenso alla partecipazione alla raccolta dati e del consenso al trattamento dei dati personali) della SOC di Anestesia e Rianimazione 1, della SOC di Anestesia e Rianimazione 2 e della Clinica di Anestesia e Rianimazione dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria “Santa Maria della Misericordia” di Udine. Sono stati inclusi nello studio i pazienti ricoverati (nel periodo di raccolta dati) presso le rispettive due SOC e la Clinica sopra citate per i quali era prevista l'applicazione del dispositivo di profilassi meccanica compressiva per la tromboembolia venosa. La consultazione delle cartelle cliniche è avvenuta durante il periodo di degenza del paziente presso le strutture sopra citate. Criteri di esclusione: Temporale per il personale infermieristico (servizio presso la SOC o Clinica inferiore a 6 mesi). Non sono stati inclusi nello studio i pazienti per i quali non era prevista l'applicazione del dispositivo di profilassi meccanica per la tromboembolia venosa. La consultazione delle cartelle cliniche è stata sospesa al momento della dimissione del paziente dalla SOC o dalla Clinica. Strumenti: Scheda di raccolta dati, compilata dallo studente dopo aver intervistato il personale infermieristico e consultato le cartelle cliniche dei pazienti ricoverati presso la SOC di Anestesia e Rianimazione 1, la SOC di Anestesia e Rianimazione 2 e la Clinica di Anestesia e rianimazione dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria “Santa Maria della Misericordia” di Udine. Obiettivi: Descrivere quali motivazioni portano l’infermiere di area critica a scegliere tra differenti dispositivi di profilassi meccanica per la tromboembolia venosa e individuare quali siano le possibili complicanze cutanee dell’applicazione di tali presidi. 35 Periodo di raccolta dei dati: Dal 20/08/2013 al 20/10/2013 Analisi dei dati: l’analisi statistica dei dati è stata eseguita con il software GraphPad Prism 5.01 1992-2007© (GraphPad Software Inc., San Diego, California, USA). Sono state elaborate misure descrittive e di tendenza centrale per quanto concerne le caratteristiche demografiche e la prevalenza di complicanze legate all’utilizzo dei dispositivi del campione considerato. Sono state inoltre ricercate misure di associazione (Rischio Relativo - RR) tra l’insorgenza di complicanze e i fattori di rischio individuati. E' stata accettata una significatività statistica per p<0.05. 36 6. RISULTATI 6.1 Caratteristiche demografiche del campione Sono stati osservati 45 pazienti, 31 (68.9%) dei quali di genere maschile ed i restanti 14 (31.1%) di genere femminile. L'età media osservata è di 63 anni con una Deviazione Standard (DS) di ± 19 anni (range 15 – 97 anni). La prima causa di ricovero presso il servizio di Anestesia e Rianimazione è dovuta al monitoraggio post-operatorio di pazienti in condizioni vitali critiche oppure con specifiche comorbidità (48.9%, n= 22), seguono la gestione del paziente politraumatizzato (26.7%, n= 12) e quella del paziente ricoverato per un'evento di natura medica, che non rientra nelle precedenti due classi (24.4%, n=11). I pazienti sono stati distinti in base al valore del Body Mass Index (BMI) (kg/m2). Il 73.3% (n=33) dei quali risultano essere normopeso, il 22.2% (n=10) sovrappeso e solo il 4.4% (n=2) sottopeso. La tabella I riassume le caratteristiche demografiche sopracitate. 6.2 Variabili sulla applicazione dei dispositivi Ogni paziente è stato osservato in media 3.4 giorni con una DS ± 2.6 giorni (range 1 – 11 giorni). Il 13% (n=6) dei pazienti presentava lesioni o alterazioni cutanee prima dell'applicazione dei dispositivi antitromboembolici. Due di questi presentavano una ferita lacera contusa a livello del terzo medio anteriore del polpaccio, altri due pazienti presentavano segni caratteristici di ipoperfusione da arteriopatia, un paziente presentava una ferita lacera contusa più un'escoriazione a livello del medio distale del polpaccio destro e l'ultimo presentava una lesione da arteriopatia in regione del medio distale del polpaccio sinistro. L'applicazione più frequentemente osservata è stata quella dei dispositivi a compressione pneumatica intermittente coprenti il polpaccio, o Intermittent Pneumatic Compression device (IPCd), applicati al 66.7% (n=30) dei pazienti. A seguire è stato osservato un importante utilizzo delle calze a 37 compressione graduata coprenti fino alla coscia, o Graduated Compression Stockings device (GCSd) thigth-length, applicati al 31.1% (n=14) dei pazienti. Nessun utilizzo del dispositivo GCSd coprente fino al ginocchio, o knee-length, è stato osservato. In un solo paziente è stato osservato l'utilizzo combinato del dipositivo GCSd, coprente fino alla coscia, con il dispositivo IPCd coprente fino alla coscia. In un solo paziente è stata osservata l'applicazione unilaterale del presidio antitromboembolico, in questo caso un GCSd coprente fino alla coscia, sulla sola gamba destra poiché sul ginocchio della gamba controlaterale era stato posizionato un fissatore ortopedico esterno. Nella maggioranza dei pazienti, 86.7% (n=39), il dispositivo antitromboembolico è stato applicato il giorno stesso del ricovero mentre nel 8.9% (n=4) è stato applicato nella prima giornata dopo il ricovero in Terapia Intensiva, nel 2.2% (n=1) nella seconda giornata e nel 2.2% (n=1) nella terza giornata dopo il ricovero. Sono state osservate 2 sostituzioni del dispositivo antitromboembolico. In un caso il dispositivo IPCd coprente il polpaccio è stato sostituito con il dispositivo GCSd coprente fino alla coscia a causa di arrossamenti cutanei in prossimità dei bordi, superiore ed inferiore, del dispositivo. Nel secondo caso il dispositivo IPCd coprente il polpaccio è stato sostituito con il dispositivo GCSd coprente fino alla coscia poiché il primo era necessario su un altro paziente appena ricoverato in Terapia Intensiva, a maggior rischio di evento tromboembolico venoso. Sono stati osservati in totale quattro pazienti con delle complicanze agli arti inferiori coperti dai dispositivi. Nel primo caso si sono manifestati degli edemi declivi nella regione coperta dal dispositivo IPCd. Nel secondo caso si è osservata la comparsa di arrossamento reversibile alla digitopressione in prossimità dei bordi del dispositivo, IPCd coprente il polpaccio. Nel terzo caso si sono manifestate delle vesciche nella regione coperta dal dispositivo IPCd coprente il polpaccio (in cui era presente già una ferita lacera) e nel quarto ed ultimo caso, in cui dispositivi GCSd e IPCd erano combinati, si 38 sono verificate due complicanze, l'arrossamento cutaneo reversibile alla digitopressione nella regione prossimale della coscia per prima e la comparsa di vesciche localizzate in prossimità delle prominenze ossee dopo. Sono state osservate due rimozioni dei presidi antitromboembolici per almeno 6 ore. In entrambi i casi la rimozione è stata motivata dall'insorgenza di complicanze. Nel primo caso, il presidio IPCd coprente il polpaccio veniva rimosso a causa della comparsa di edemi declivi agli arti inferiori, precedentemente citata, per almeno 2 ore ogni 6 ore, ovvero almeno una volta al turno per almeno 2 ore. Nel secondo caso il presidio GCSd coprente fino alla coscia veniva rimosso per l'insorgenza di complicazioni quali vesciche ed arrossamento reversibile alla digitopressione nella zona prossimale della coscia coperta dal presidio. Sono stati analizzati gli esiti delle diverse combinazioni di applicazione dei dispositivi. Nel primo caso sono stati confrontati gli esiti dell'applicazione dei dispositivi IPCd verso i dispositivi GCSd, con l'obiettivo di evidenziare un'eventuale protezione degli IPCd verso le complicanze cutanee. I risultati, statisticamente non significativi (p >0.05), evidenziano un RR 0.93 (IC 95%, 0.85 – 1.0) ed un OR 0.39 (IC 95%, 0.018 – 8.7). Nel secondo caso sono stati confrontati gli esiti dell'applicazione combinata dei dispositivi IPCd più GCSd verso l'applicazione dei dispositivi GCSd, con l'obiettivo di evidenziare se l'applicazione combinata esponga il paziente ad un maggior rischio di sviluppare delle complicanze cutanee agli arti inferiori rispetto all'applicazione dei soli dispositivi GCSd. Risulta un OR 87 (IC 95%, 1.26199), tuttavia tale risultato non è statisticamente significativo (p >0.05). Nel terzo ed ultimo caso sono stati analizzati gli esiti dell'applicazione combinata dei dispositivi IPCd più GCSd verso l'applicazione dei dispositivi IPCd, con l'obiettivo di evidenziare se l'applicazione combinata esponga il paziente ad un maggior rischio di sviluppare delle complicanze cutanee agli arti inferiori rispetto all'applicazione dei soli dispositivi IPCd. Risultano un RR 15 (IC 95%, 3.9-57) ed un OR 34 (IC 95%, 1.1-1080) anche questa volta statisticamente poco significativi (p> 0.05). 39 La tabella II riassume alcune delle variabili riguardanti l'applicazione dei dispositivi. 6.3 Variabili riguardanti la motivazione della scelta del dispositivo La motivazione che stava alla base della scelta del presidio veniva registrata, tramite intervista all'infermiere responsabile del paziente, al momento dell'applicazione del presidio oppure al momento della prima osservazione da parte dello studente. Le motivazioni, singole o multiple, sono state registrate per ogni paziente del campione. Sono stati intervistati in totale 45 infermieri. L' 8.9% (n=4) aveva un'esperienza lavorativa compresa tra i sei mesi ed i due anni, l' 8.9% (n=4) tra i due ed i cinque anni ed il restante 82.2% (n=37) con più di cinque anni. Consideriamo la prima classe di infermieri, ovvero quelli con un'esperienza lavorativa compresa tra i 6 mesi ed i due anni. Il 100% (n=4) affermava che la motivazione nella scelta del dispositivo era la prescrizione medica, il 75% (n=3) affermava che il dispositivo (IPCd) era più facile da applicare rispetto ad altri dispositivi, il 50% (n=2) affermava che il dispositivo (IPCd) godeva di un'efficacia clinica maggiore rispetto gli altri dispositivi, il 25% (n=1) affermava che il dispositivo (IPCd) era stato applicato perchè ritenuto più confortevole per il paziente ed il 25% (n=1) affermava che il dispositivo (GCSd) era stato applicato precedentemente in sala operatoria della neurochirurgia. Anche la seconda classe di infermieri, con un'esperienza lavorativa compresa tra i due ed i cinque anni, è composta da quattro componenti. Tra essi, il 100% (n=4) affermava che la motivazione nella scelta del dispositivo era la prescrizione medica, il 25% (n=1) affermava che il dispositivo era l'unica alternativa disponibile nell'unità operativa ed il 25% (n=1) affermava che il presidio (GCSd) era stato applicato precedentemente in sala operatoria della neurochirurgia. Il campione più numeroso è quello degli infermieri con un'esperienza lavorativa superiore ai cinque anni. Il 100% (n=37) dei quali afferma che la motivazione nella scelta del dispositivo era la prescrizione medica, il 29.7% (n=11) afferma che il dispositivo (IPCd) era più facile da 40 applicare, il 16.2% (n=6) afferma che il dispositivo (IPCd) aveva una maggior efficacia clinica, il 13.5% (n=5) affermava che il dispositivo (GCSd) era stato applicato precedentemente in sala operatoria della neurochirurgia, l'8.1% (n=3) affermava che il dispositivo (GCSd) era l'unica alternativa presente nell'unità operativa, il 5.4% (n=2) affermava che il dispositivo (IPCd) era considerato più confortevole per il paziente, il 5.4% (n=2) affermava che il dispositivo era stato scelto per dei problemi fisici agli arti inferiori, ovvero erano presenti delle controindicazioni all'applicazione di un altro presidio, il 5.4% (n=2) affermava che il dispositivo (IPCd) era stato applicato precedentemente in sala operatoria della chirurgia generale ed il 2.7% (n=1) affermava che il dispositivo (GCSd) era stato applicato precedentemente in sala operatoria della otorinolaringoiatria. Indipendentemente dagli anni di esperienza lavorativa dell'infermiere, la motivazione primaria era la prescrizione medica, osservata nel 100% dei casi (n=45). Il 33.3% (n=15) degli infermieri trovava i dispositivi IPCd al polpaccio più facili da applicare rispetto gli altri dispositivi. Il 17.8% (n=8) degli infermieri era convinto che i dispositivi IPCd avevano un'efficacia clinica maggiore rispetto ai dispositivi GCSd. Il 15.6% (n=7), il 4.4% (n=2) ed il 2.2% (n=1) degli infermieri affermava che il dispositivo era stato applicato in sala operatoria della neurochirurgia (GCSd), della chirurgia generale (IPCd) e della otorinolaringoiatria (GCSd), rispettivamente. L'8.9% (n=4) degli infermieri affermava che l'applicazione del dispositivo, GCSd coprente fino alla coscia, era influenzata dalla disponibilità, ovvero al momento dell'applicazione del presidio nell'unità di Terapia Intensiva era presente solo una tipologia; in un solo caso tra quelli sopracitati la prescrizione medica prevedeva l'applicazione del dispositivo IPCd ma è stato applicato un dispositivo GCSd. La stessa percentuale di infermieri, 8.9% (n=4), affermava che nella scelta del dispositivo IPCd il comfort del paziente, riferito dallo stesso o come convinzione dell'infermiere, fosse un fattore importante da considerare. Nel 4.4% (n=2) dei casi gli infermieri affermavano che il dispositivo era stato posizionato per problemi fisici o 41 clinici agli arti inferiori che rappresentavano una controindicazione per un altro dispositivo. In uno di questi casi il problema fisico era la presenza di un'escoriazione mentre nel secondo caso il problema fisico non è possibile classificarlo poiché non era una lesione. Nel corso dell'osservazione è avvenuto l'exitus di un paziente a causa delle sue gravi condizioni cliniche. La tabella III riassume le variabili riguardanti le motivazioni della scelta del dispositivo. 42 7. DISCUSSIONE Una prima analisi dei dati epidemiologici raccolti permette di classificare i pazienti come ad alto rischio di sviluppare una trombosi venosa profonda asintomatica, poiché sottoposti a cure intensive, ed è confermato dagli studi della NCGC-ACC (2010) e di Geerts et al. (2004) che approssimano il rischio di tale classe di pazienti circa allo 80%. Alcuni pazienti avevano caratteristiche o manifestavano segni che corrispondevano ai fattori di rischio per la malattia trombo embolica venosa e, perciò, contribuivano ad aumentare il rischio di base di sviluppare tale evento. Considerando i fattori di rischio dei pazienti ricoverati per una problematica clinica medica, il 36.4% (n=4) di questi pazienti aveva più di 70 anni (Barbar et al., 2010). Un paziente risultava essere sia sovrappeso, con un BMI>30 (Barbar et al., 2010), ed avere più di 70 anni. Più dello 80% risultava essere allettato per almeno tre o più giornate (Barbar et al., 2010). Considerando i fattori di rischio presenti nei pazienti ricoverati per una problematica clinica chirurgica, il 63.6% (n=14) aveva più di 60 anni (Agnelli et al. 2006, Epstein 2005, Clarke-Pearson et al. 2003, Oda et al. 2000, White et al. 2000) e la stessa percentuale era di genere maschile (Spyropoulos et al., 2009), il 22.7% (n=5) risultava essere sovrappeso (BMI>30) (Caruana et al. 2011, Inabnet et al. 2010, Stroh et al. 2009; Raftopoulos et al. 2008, Gargiulo et al. 2007, Piano et al. 2007, Carmody et al. 2006, White et al. 2000). Solo due pazienti erano di genere maschile, sovrappeso e con più di 60 anni. Considerando i fattori di rischio presenti nei pazienti ricoverati per una problematica clinica traumatica, il 75% (n=9) aveva più di 40 anni (Knudson et al., 2004) e lo 83% (n=10) era di genere maschile (Jones et al., 2005). Il 66.7% (n=8) aveva più di 40 anni ed era di genere maschile. Dai risultati inoltre emerge che il 66.7% (n=30) dei pazienti ha ricevuto i dispositivi IPCd. A distanza di 6 anni, in cui Tapson et al. (2007) affermavano che tali dispositivi erano maggiormente usati negli Stati Uniti 43 piuttosto che nelle altre nazioni, si può notare come, anche qui in Italia, siano la forma profilattica maggiormente utilizzata nel contesto della Terapia Intensiva. I pazienti che al momento del ricovero presentavano una o più lesioni agli arti inferiori erano in totale sei. Considerando le tre principali controindicazioni all'utilizzo dei dispositivi GCSd (patologia dermatologica, arteriopatia periferica e neuropatia diabetica [Lippi et al., 2011]), in un paziente con segni di ipoperfusione da arteriopatia sono stati applicati i dispositivi GCSd anziché preferire i dispositivi IPCd. I restanti cinque pazienti hanno ricevuto il dispositivo IPCd. Come emerge dai risultati, nella totalità dei casi la motivazione che ha giustificato l'applicazione dei dispositivi antitromboembolici è stata la prescrizione medica. Nella maggioranza dei casi è stato specificato quale dispositivo adottare; nei casi con prescrizione non specifica la scelta è risultata essere prettamente infermieristica. Gli infermieri sono convinti che i dispositivi IPCd siano sia clinicamente più efficaci, confermato da Lippi et al. (2011), che più facili da applicare e che la scelta di applicare i dispositivi GCSd avvenga solamente se gli stessi siano gli unici disponibili. I risultati analizzati tra gli infermieri con anni di esperienza lavorativa differenti sono coerenti con quanto detto finora. In relazione a quanto presente in letteratura, Sajid et al. (2012) affermano che la decisione circa quale dispositivo impiegare nella pratica clinica è probabilmente influenzata da fattori quali la compliance del paziente, la facilità di utilizzo e le implicazioni economiche. Considerando che la maggioranza dei pazienti ricoverati in Terapia Intensiva è farmacologicamente sedata o, nel caso in cui non lo siano, risultano comunque allettati, la compliance ha poca influenza. La facilità di utilizzo invece viene riscontrata anche nello studio condotto. Le implicazioni economiche non sono state valutate. L'infermiere deve essere in grado di saper riconoscere le situazioni in cui un dispositivo è controindicato in un paziente in base alla presenza di determinate alterazioni dell'integrità cutanea degli arti inferiori e 44 successivamente garantire il mantenimento dell'integrità cutanea. Non è possibile comparare pienamente i risultati ottenuti da tale studio con gli studi RCT CLOTS 1, 2 e 3 poiché essi hanno un campione di pazienti più ampio (n> 2000) e ricoverati per lo stesso evento (stroke), un periodo di osservazione più lungo (6 mesi), osservazioni svolte in più centri europei o internazionali. Alcuni dati, però, possono essere confrontati. Dai risultati emerge che quattro pazienti sviluppano complicanze agli arti inferiori. Una tra queste, la comparsa di edemi declivi agli arti inferiori, non è correlabile con l'applicazione dei dispositivi. Risulta quindi che il 6.7% (n=3) dei pazienti riceventi i dispositivi antitromboembolici ha sviluppato complicanze cutanee agli arti inferiori. Il 6.7% (n=2) dei pazienti riceventi i dispositivi IPCd (n=30), di cui uno con un valore di BMI>30, hanno sviluppato vesciche o arrossamenti cutanei, ed il 2.2% (n=1) dei pazienti riceventi i dispositivi IPCd e GCSd in maniera combinata ha sviluppato vesciche; in questo caso non sono disponibili dati da mettere a confronto. Rispetto allo studio condotto da Dennis et al. (2013), CLOTS 3, la percentuale di pazienti riceventi i dispositivi IPCd che sviluppa delle complicanze è più del doppio. Il gruppo di pazienti ricevente i dispositivi GCSd (n=14) non sviluppa complicanze cutanee. Dato sorprendente date le aspettative; infatti, dallo studio CLOTS 1 di Dennis et al. (2009) si nota che il 5% dei pazienti riceventi i dispositivi GCSd ha sviluppato delle complicanze quali rotture cutanee, ulcere, vesciche o necrosi tissutale. Il fatto che i dispositivi IPCd siano ritenuti più efficaci clinicamente nel prevenire eventi di tromboembolia venosa rispetto i dispositivi GCSd è confermato dalla letteratura (Lippi et al., 2011). Tuttavia i dati analizzati non supportano l'ipotesi, sviluppata dallo studente, che tali dispositivi provochino meno complicanze cutanee rispetto ai dispositivi GCSd. E' stato osservato un solo caso di complicanze agli arti inferiori non correlato all'applicazione dei dispositivi IPCd. In tal caso la complicanza erano edemi declivi agli arti inferiori, correlati con la condizione clinica del 45 paziente. Il problema fondamentale riguardava l'edema che si confinava a livello del piede. La strategia adottata dall'équipe infermieristica aveva due obiettivi: il primo era garantire la prescrizione medica ovvero la profilassi antitromboembolica con i dispositivi meccanici compressivi, ed il secondo ridurre l'aggravarsi degli edemi declivi a livello pedideo. Tali dispositivi venivano rimossi tre volte nelle 24 ore per almeno due ore. In tal modo avveniva una corretta distribuzione dei liquidi extravascolari. La scelta di un dispositivo GCSd è stata scartata a causa degli edemi molto pronunciati, ma un'eventuale adozione di un dispositivo IPCd con incluso il Venous Foot Pump, non disponibile nell'Unità Operativa, avrebbe garantito una corretta distribuzione dei liquidi extravascolari a partire dal piede ed avrebbe ridotto il tempo di non applicazione della terapia profilattica meccanica. Un'informazione che supporterebbe la strategia in questo caso adottata è riportata da Falck-Ytter et al. (2012) nella revisione della letteratura per le linee guida ACCP (2012). In tale contesto, pazienti sottoposti ad interventi chirurgici ortopedici, afferma che è necessario raggiungere almeno le 18 ore di compliance nell'indossare i dispositivi IPCd. Tale informazione risulta poco chiara, ovvero non si comprende se 18 ore su 24 possono essere considerate un target valido per garantire l'efficacia del dispositivo oppure no. Sono stati analizzati anche i dati rispetto la frequenza d’insorgenza delle complicanze cutanee con l'applicazione combinata dei dispositivi IPCd e GCSd verso l'applicazione singola dei dispositivi, IPCd o GCSd. Purtroppo è stato osservato un solo paziente con la combinazione. Seguono due analisi: nella prima è stata osservata l'insorgenza di complicanze cutanee nel 100% (n=1) dei casi durante l'applicazione combinata IPCd più GCSd, mentre con la singola applicazione dei dispositivi GCSd non è stata osservata alcuna complicanza. Considerando il basso valore statistico dei dati analizzati (p >0.05) la combinazione dei dispositivi non è supportata dai risultati; anche nella seconda analisi si osserva il campione (n=1) ricevente la combinazione dei dispositivi IPCd più GCSd che sviluppa lesioni nel 46 100% dei casi ed il campione (n=30) al quale sono stati applicati i singoli dispositivi IPCd che ha sviluppato complicanze cutanee nel 6.7% (n=2) dei casi; l'applicazione combinata anche in questo caso non trova ragione nei dati. Ciascuno dei pazienti (n=3) che avevano sviluppato delle complicanze cutanee era stato ricoverato per un problema clinico diverso (medico, chirurgico o traumatico), ed in un solo caso il paziente era sovrappeso (BMI>30). I tre pazienti erano di genere maschile. E' stato osservato un solo caso di applicazione dei dispositivi unilaterale. Il dispositivo utillizzato è stato un GCSd applicato alla gamba controlaterale rispetto quella sottoposta ad intervento chirurgico ortopedico che ha previsto il posizionamento di un fissatore ortopedico esterno. Come confermato da Falck-Ytter (2012) nel campo ortopedico i dispositivi anti-tromboembolici garantiscono parte della loro efficacia anche quando applicati ad un solo arto, come in questo caso. 7.1 Limiti dello studio A differenza degli studi citati, le rilevazioni sono state portate a termine da un'unica persona (lo studente), in un'unica struttura ospedaliera (Azienda Ospedaliero-Universitaria “Santa Maria della Misericordia di Udine). Le indagini sono state eseguite su un campione di pazienti ristretto (n=45) e durante un periodo di osservazione di sole 5 settimane, rispetto agli studi citati la cui la numerosità del campione ed il tempo di osservazione erano molto più ampi. Inoltre l'osservazione del paziente avveniva una sola volta al giorno ed a causa della bassa numerosità sono state osservate poche complicanze e pochi casi di combinazione dei dispositivi, ottenendo così dei risultati statisticamente poco significativi per la pratica clinica. Nel corso dello studio non sono stati osservati: il corretto posizionamento dei dispositivi, l'accensione dei dispositivi una volta applicati sul paziente, la motivazione dell'applicazione avvenuta in data diversa (successiva) a quella del ricovero ed il numero di casi in cui la prescrizione medica non 47 specificava quale dispositivo applicare. 48 8. CONCLUSIONI Nella maggior parte dei casi, i pazienti ricoverati in Terapia intensiva presentano delle condizioni cliniche molto gravi ed a causa di molteplici fattori sono ad elevato rischio di sviluppare un evento tromboembolico venoso. L'impiego dei dispositivi antitromboembolici, perciò, non è inusuale. La scelta del dispositivo da quanto emerge dallo studio è prettamente di natura medica. Nonostante ciò non sempre era specificata la tipologia del dispositivo da impiegare, quindi la scelta era di competenza infermieristica. Di conseguenza, un infermiere, deve conoscere quali dispositivi sono disponibili in commercio, il loro meccanismo d'azione ed il loro campo di applicazione. Infine deve saper scegliere il dispositivo più adatto al paziente. Tali dispositivi, utili poiché riducono il rischio di sviluppare un evento tromboembolico venoso senza aumentare il rischio di sanguinamento (Falck-Ytter et al., 2012) non sono immuni da complicanze cutanee. La scelta della corretta misura del dispositivo da applicare, la corretta applicazione sugli arti inferiori ed una corretta cura della cute degli stessi, rimuovendo il dispositivo solo per il tempo necessario, possono essere dei piccoli dettagli che possono prevenire l'insorgere di lesioni che a loro volta possono protrarsi nel tempo e ridurre così la qualità di vita del paziente. 49 9. IMPLICAZIONI PER LA PRATICA E RICERCA Sono necessari ulteriori studi al fine di ottenere delle informazioni che possano avere un peso rilevante sulle decisioni della pratica clinica. Anzitutto studi futuri dovranno avere un campione più ampio di pazienti ed un periodo di osservazione più lungo. Inoltre sarebbe interessante osservare realtà diverse dalle Unità di Terapia Intensiva al fine di ottenere un campione più eterogeneo. Potrebbe essere utile includere negli obiettivi di studi futuri l'osservazione della corretta scelta del dispositivo in termini di taglia e tipologia, in base alle disponibilità dell'Unità Operativa; osservare il corretto posizionamento del dispositivo, più volte al giorno (almeno 3), e nel caso in cui sia un dispositivo pneumatico che necessita di un controllo elettronico, verificare il corretto utilizzo e la corretta accensione dello stesso; specificare la motivazione dell'applicazione in data diversa a quella del ricovero; identificare e registrare quante prescrizioni mediche non specificavano il dispositivo da applicare ed, infine, monitorare l'insorgenza di complicanze cutanee. 50 BIBLIOGRAFIA Agnelli G, Bolis G, Capussotti L, Scarpa RM, Tonelli F, Bonizzoni E, et al. A clinical outcome based prospective study on venous thromboembolism after cancer surgery: the ARISTOS project. Annales of Surgery 2006; 243: 89–95. Allenby F, Boardman L, Pflug JJ, Calnan JS. 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Variabili sulla applicazione dei dispositivi N=45 Numero di giornate di osservazione Media (± Deviazione Standard) 3.4 (± 2.6) Range 1 - 11 Alterazioni cutanee osservate agli arti inferiori Precedenti l'applicazione del dispositivo antitromboembolico Ferita lacera contusa 3 (6.7%) Ipoperfusione da arteriopatia 2 (4.4%) Escoriazione 1 (2.2%) Lesione da arteriopatia 1 (2.2%) Dispositivi applicati IPCd coprenti il polpaccio (KL) 30 (66.7%) GCSd coprenti fino la coscia (TL) 14 (31.1%) IPCd TL + GCSd TL 1 (2.2%) GCSd coprenti il polpaccio (KL) 0 (0%) Momento di applicazione Ammissione in Terapia Intensiva (TI) 39 (86.7%) 1^ giornata dopo ammissione in TI 4 (8.9%) 2^ giornata dopo ammissione in TI 1 (2.2%) 3^ giornata dopo ammissione in TI 1 (2.2%) Sostituzioni dei dispositivi Comparsa di complicanze 1 (2.2%) Bisogno urgente su un altro paziente 1 (2.2%) Complicanze cutanee Edemi declivi 1 (2.2%) Arrossamento reversibile alla digitopressione 2 (4.4%) Vesciche 2 (4.4%) Rimozioni dei dispositivi (almeno per 6 ore) Comparsa di edemi declivi (rimozione alternata) 1 (2.2%) Comparsa di arrossamento reversibile alla digitopressione e vesciche 1 (2.2%) 69 Tabella III. Motivazioni della scelta dei dispositivi N=45 Motivazioni Prescrizione medica 45 (100%) Facilità nell'applicazione (IPCd KL) 15 (33.3%) Maggiore efficacia clinica (IPCd KL) 8 (17.8%) Dispositivo (GCSd TL) applicato in Sala Operatoria (SO) della Neurochirurgia 7 (15.6%) Disponibilità del presidio 4 (8.9%) Comfort del paziente 4 (8.9%) Dispositivo (IPCd) applicato in SO della Chirurgia Generale 2 (4.4%) Controindicazioni all'uso di un altro presidio 2 (4.4%) Dispositivo (GCSd TL) applicato in SO della Otorinolaringoiatria 1 (2.2%) 70 Figura 1. Numero di osservazioni in funzione dei dispositivi utilizzati, Graduated Compressive Stockings device (GCSd) e Intermittent Pneumatic Compression device (IPCd), e dell'insorgenza di lesioni o dell'integrità cutanea. Osservazioni 30 Insorgenza di lesioni Cute integra 20 10 0 GCSd IPCd Dispositivi Figura 2. Numero di osservazioni in funzione delle combinazioni dei dispositivi applicati e dell'integrità cutanea o dell'insorgenza di lesioni. Osservazioni 15 Insorgenza di lesioni Cute integra 10 5 0 IPCd+GCSd GCSd Dispositivi 71 Figura 3. Numero di osservazioni in funzione delle combinazioni dei dispositivi applicati e dell'integrità cutanea o dell'insorgenza di lesioni. Osservazioni 30 Insorgenza di lesioni Cute integra 20 10 0 IPCd+GCSd IPCd Dispositivi 72 ALLEGATI Allegato 1. Scheda utilizzata dallo studente per la raccolta dei dati SEZIONE 1. Dati demografici del paziente N° ricovero: …………….. Unità operativa: 1. Anestesia e Rianimazione 1 2. Anestesia e Rianimazione 2 3. Clinica di Anestesia e Rianimazione Età (anni): ……………. Genere: 1. Maschile 2. Femminile Motivo del ricovero del paziente: 1. Medico 2. Chirurgico 3. Trauma Data del ricovero in TI Data della prima applicazione del dispositivo anti TE Tipologia di dispositivo utilizzata: BMI paziente all’ingresso (kg/m2): 1. < 20 2. 20 – 30 3. > 30 73 SEZIONE 2. Dati relativi all’applicazione del dispositivo anti TE N° ricovero: ……………………… Data della compilazione Dispositivo applicato (più scelte possibili): 1. Calze elastocompressive al ginocchio 2. Calze elastocompressive alla coscia 3. Gambali pneumatici al polpaccio Il dispositivo è applicato ad entrambi gli arti: 1. Si 2. No (indicare perchè) ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… …………………………………………… Motivazioni della scelta del dispositivo (calze elastiche, sistema pneumatico, entrambi): 1. Prescrizione medica 2. Protocollo presente in SOC 3. Disponibilità del dispositivo (a magazzino era disponibile solo un’alternativa) 4. Comfort del paziente (paziente che esprime la scelta di uno dei due oppure convinzione dell’infemiere che un presidio sia più confortevole dell’altro) 5. Facilità nell’applicazione (da parte dell’infermiere) 6. Maggior efficacia clinica (convinzione dell’infermiere circa la maggior efficacia clinica di un presidio rispetto all’altro) 7. Problemi fisici o clinici agli arti inferiori (es. traumatismo, ecc) 8. Altro:............................................................................................................. .............................................................................................................. 74 Presenza di lesioni al momento della presa in carico: 1. Nessuna 2. Ferita lacera 3. Ferita lacera-contusa 4. Ferita perforante 5. Vesciche 6. Ulcere da decubito 7. Ulcere da danno vascolare 8. Ulcera da neuropatia 9. Altro……………………………………………………………………… ………………….................................................................................. .............................................................................................................. Sede della lesione (indicare con una X seguita dal numero identificante il tipo di lesione facendo riferimento al punto precedente): Il presidio è stato rimosso per più di 12 o 24 ore? SI NO 75 Specificare perché: 1. Procedure diagnostiche/terapeutiche 2. Disturbi riferiti dal paziente (caldo, prurito) 3. Comparsa di complicanze 4. Altro:……………………………………………………………......... Presenza di lesioni/complicanze nella sede coperta dal dispositivo: Lesioni/Complica nze 1. Nessuna 2. Ferita lacera 3. Ferita laceracontusa 4. Ferita perforante 5. Vesciche 6. Ulcere da decubito 7. Ulcere da danno vascolare 8. Ulcera da neuropatia 9. Necrosi tissutale 10. Effetto laccio emostatico 11. Sindrome compartimentale 12. Altro …......................... ............................. .................. 76 Sede della lesione/complicanza (indicare con una X seguita dal numero identificante il tipo di lesione facendo riferimento al punto precedente): Precisare dopo quante giornate dall’applicazione del presidio è insorta la complicanza: …… Anni di lavoro presso la TI 1. < 2 2. 2 - 5 3. > 5 77 RINGRAZIAMENTI Vorrei ringraziare la Dott.ssa Irene Comisso per l'opportunità concessami nel condurre lo studio ed il Dott. Francesco Coiz per essersi interessato a tale studio e per aver contribuito alla sua realizzazione. Un ringraziamento è rivolto anche al Dott. Omar Trombini, Coordinatore Infermieristico del primo servizio di Terapia Intensiva, al Dott. Daniele Pavsler, Coordinatore Infermieristico del secondo servizio di Terapia Intensiva ed a Di Taranto Pierpaolo, Facente Funzioni del Coordinatore Infermieristico della Clinica di Anestesia e Rianimazione, nonché a tutto il personale delle tre équipe per la disponibilità dimostrata. Meritano un ringraziamento anche tutti i tutor clinici che mi hanno seguito nel corso di questi tre anni, a partire da Linda ed Ivano, Nadianna, Simonetta, Antonio, Antonella, Dario, Andrea, Roberta, Daniele, Erica ed Elisa. Ringrazio tutti Voi, mentori, per avermi trasmesso una vostra parte professionale. Sarà il mio tesoro di partenza. Infine, ma non per questo meno importanti, vorrei ringraziare i membri della mia famiglia e gli amici. A partire dalla mia nonna, Maria, per avermi trasmesso sin da piccolo il rigore ed il senso del dovere. Il mio nonno, Piero, per avermi fatto capire cosa significa conoscere il mondo che ci circonda ed usare la passione in tutto ciò che si fa. I miei genitori per aver supportato e supportare tuttora le mie passioni e le mie scelte negli studi. Mio fratello, Riccardo, per ricordarmi ogni giorno quanto è importante mantenere il bambino che è dentro ognuno di noi. Ilaria, per essermi stata accanto nei momenti difficili che sono emersi nel corso degli studi, per accettare la mia personalità e le mie ambizioni. 78