Carlo Maratta e Mattia Preti

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Carlo Maratta e Mattia Preti
Rossella Villani
A
lla fine del Seicento risalgono le pregevoli opere provenienti da Roma attribuite a
Carlo Maratta e Mattia Preti. Quelle del Maratta si concentrano a Venosa: il
Martirio di S. Felice e l’Annunciazione, nella cattedrale, il S. Filippo Neri nella chiesa del Purgatorio e il ritratto del cardinale venosino Giovan Battista De Luca nella biblioteca comunale di Venosa1.
Esse sono state messe dalla Grelle in relazione al lungo soggiorno romano del cardinale Giovan
Battista De Luca, morto nel 16832.
Infatti probabilmente il De Luca le acquistò a Roma dove Carlo Maratta svolse un’intensissima attività, soprattutto durante il pontificato
di Alessandro VII che gli commissionò dipinti in Roma e per il Duomo di Siena.
Al Maratta, influenzato dal neoveneto Andrea
Sacchi suo primo maestro, e dallo studio di
Raffaello e dei Carracci, appartengono molte
tele a soggetto sacro, vasti cicli di affreschi e,
soprattutto, penetranti ritratti.
Il Martirio di S. Felice raffigura in primo piano il Santo inginocchiato e in preghiera, circondato da chierici e sovrastato dal giovane
carnefice che brandisce la spada sul suo capo.
In secondo piano, il mandante dell’omicidio,
posto in ombra e affiancato da un’imponente
statua marmorea, addita l’assassino; mentre in
alto, circondati da una cornice di nubi tre putti danzano intrecciando ghirlande.
Il dipinto si inserisce nell’ambito della corrente classicista di fine secolo: le figure mostrano
il loro saldo modellato e la piena volumetria
Venosa (Pz), Cattedrale, Martirio di S. Felice.
(foto S.B.A.S. - Matera)
dei corpi, sottolineata del resto dal paralleli-
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smo con la statua marmorea di gusto classicista presente nel dipinto. La scena mostra una sorprendente drammaticità data
dall’espressività dei volti che, abbacinati a
tratti da una luce calda, giallognola, sono
messi in risalto nei loro tratti spesso poco
eleganti, ma sicuramente veritieri e loquaci. A questi si accompagna la peculiare
trattazione del panneggio del Santo in primo piano e degli astanti. Panneggio modulato sulle stropicciature longitudinali
della turgida stoffa, di cui sono messe in
risalto le luminescenze, secondo la più nobile tradizione neoveneta.
L’Annunciazione mostra un equilibrio
compositivo più lineare: l’addensamento di
corpi del Martirio di S. Felice lascia qui il
posto al libero disporsi delle figure nello
spazio, sia terrestre che aereo.
In primo piano la Madonna, rivestita da
uno squillante abito rosso, si inchina umilVenosa (Pz), Cattedrale, Annunciazione
mente all’arrivo dell’angelo, il quale ac(foto S.B.A.S. - Matera)
compagnato da acrobati puttini e da bionde
testine alate discende in volo, maestoso e superbo, a recare il giglio con il lieto annunzio a Maria.
Il dipinto, sicuramente di un certo spessore, mi lascia perplessa per quanto riguarda la sua attribuzione al Maratta. Non ravviso in esso nessuno dei tratti distintivi del pittore romano, quali le pieghe ondulate e serpentine degli abiti, l’espressività forte e drammatica dei volti, che sono qui mal celati da una evidente patina manieristica, la sovrapposizione di piani, l’ammasso
e la torsione dei corpi.
Ritengo che esso appartenga piuttosto ad un pittore locale, attivo nella prima metà del
Settecento che guarda con occhio attento al Maratta.
L’altro dipinto attribuito al maestro romano, S. Filippo Neri intercede per le anime purganti,
presenta tutte le caratteristiche dello stile del Maratta, a cavallo tra il classicismo d’ascendenza
carraccesca e la grande maniera barocca in voga a Roma. Esso è costruito su piani digradanti
che vanno a formare un triangolo rettangolo: a partire dal basso, quindi dalla base del triangolo, le anime purganti ignude si dimenano tra le fiamme invocando l’intercessione del Santo
che, posto più in alto su una nuvola, rivolge la sua preghiera a Maria che, insieme con il
Bambino, occupa il vertice del triangolo. A sottolineare la scansione scalare della composizione, in alto all’angolo opposto a quello occupato dalla Madonna, un angelo si affaccia da un
parapetto di nubi.
Anche qui ritroviamo il modellato saldo delle figure caro al Maratta, i bagliori delle vesti, le li-
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nee ondulate e serpentine, date ora non
dalle pieghe degli abiti, ma dal baluginare
dei corpi e dei muscoli dei dannati nelle
fiamme, la drammaticità della rappresentazione, suggerita dalla luce che a sprazzi
filtra tra le tenebre.
Accanto alle opere venosine del Maratta
va posto il piccolo nucleo di dipinti nella
Parrocchiale di Montescaglioso attribuiti
a Mattia Preti: la Cena in casa Levi,
l’Adorazione dei Magi, l’Adorazione dei
Pastori e le Nozze di Cana.
Probabilmente provenienti da Roma,
stando ad un manoscritto pervenuto
nella Parrocchiale essi sarebbero stati
donati alla Chiesa Madre di
Montescaglioso dal Marchese Cattaneo
nell’Ottocento.
I dipinti furono acquistati da un committente facoltoso visto che Mattia Preti
godeva di notevole prestigio nella
Venosa (Pz), Chiesa del Purgatorio, S. Filippo Neri
Napoli della seconda metà del Seicento.
intercede per le anime purganti.
Egli può infatti essere considerato il pri(foto S.B.A.S. - Matera)
mo grande interprete della pittura barocca che interrompe, alla metà del XVII secolo, il corso del naturalismo napoletano.
Dopo un primo soggiorno a Napoli, il Cavalier calabrese –così chiamato perché Cavaliere di
Malta dal 1642- si trasferì a Roma e compì viaggi in Italia settentrionale (a Modena nel 165253 dipinse cupola e coro di S. Biagio). A Roma, dove lasciò molte opere, Mattia Preti fu direttamente partecipe di quel felice momento di fervore innovativo, di incontro-scontro di tendenze e di idee che accompagna il primo fiore del barocco romano. Esperienza ben presente
nella sua arte, che è stata definita “geniale trasposizione in campo barocco dei principi formali del caravaggismo”3. Il Preti si avvale infatti degli effetti di luce particolare e radente, ma li
applica in funzione dinamica a composizioni affollate di personaggi in continuo movimento
su fondali di cielo tempestoso o di scenografie architettoniche, in un ricchissimo repertorio di
variazioni luministiche. Da Napoli, ove giunse nel 1656, dopo la peste (di cui lascia un impressionante documento nello spettacolare, drammatico groviglio di corpi de La peste a
Napoli, Museo di Capodimonte), Preti si trasferì definitivamente a Malta, dove dipinse numerose altre tele.
Le tele di Montescaglioso, che rappresentano uno di quei rari episodi di maggior avvicinamento della cultura lucana a quella ufficiale, contengono tutti gli elementi della pittura barocca filtrata attraverso i portati luministici caravaggeschi, tipici dell’arte di Mattia Preti.
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Montescaglioso (Mt), Chiesa Madre, Nozze di Canaa (foto S.B.A.S. - Matera)
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Le quattro tele formano due coppie che sembrano fare riferimento a due diversi racconti: la
Cena in casa Levi e le Nozze di Cana fanno perno attorno al banchetto; l’Adorazione dei Magi
e l’Adorazione dei Pastori rappresentano due momenti della Natività.
Tuttavia tutte e quattro presentano gli stessi elementi compositivi e formali. I personaggi, radunati ora attorno a una tavola imbandita ora attorno a Gesù Bambino, si muovono come attori nel vivo di una rappresentazione teatrale, sullo sfondo di elaborate scenografie architettoniche, costituite da incastri di volumi, archi, balaustre, statue, pilastri. Essi sono tutti
magnificamente connotati nei costumi, nelle posture, nella accentuata gestualità, ma soprattutto nei volti fortemente espressivi. Il pittore indugia su ogni singola figura, da Gesù dal volto buono, agli ospiti dal fare animato, dalla Maddalena discinta, agli sposi eleganti di Cana,
dai servitori solerti, e muscolosi, al ricciuto paggio vivandiere di colore, da Maria e Giuseppe
ai pittoreschi Magi. Egli non tralascia alcun particolare, né gli animali intenti a rosicchiare gli
avanzi di casa Levi, né l’inserto con le otri superbamente decorate al banchetto di Cana.
L’atmosfera dei dipinti è tenebrosa, filtrata da una luce debole e giallognola che esalta i colori bruni e grigi, splendidamente contrastati da sprazzi di rosso vivido.
Il Preti dimostra in queste tele di aver preso molto dagli epigoni del barocco romano, dallo
stesso Maratta per esempio, da cui trae il gusto per la ritrattistica fedele e veritiera e l’utilizzo
di una tavolozza povera, basata sulle tonalità terra rotte da tocchi di rosso.
Anna Grelle ravvisa nei dipinti un omaggio giovanile di Mattia Preti al Paolo Veronese delle
Nozze di Cana ed un chiaro riferimento ad un’opera napoletana di Mattia Preti, l’Adorazione
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Montescaglioso (Mt), Chiesa Madre, Cena in casa Levi - (foto S.B.A.S. - Matera)
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dei Pastori nella chiesa di S. Maria di Monteverginella a Napoli4.
Inoltre la studiosa rinviene lo stile del Preti in altre due opere lucane: la Madonna con
Bambino che offre la croce a S. Giovannino nella Parrocchiale di Montalbano Jonico e l’Incontro
tra S. Francesco e S. Domenico nella chiesa di S. Maria degli Angeli a Lagonegro, al cavaliere
attribuite rispettivamente dal Frangipane5 e dall’Arslan6.
In particolare, per quanto riguarda la tela di Montalbano, il Frangipane la assegna al Preti
sia sulla base della segnalazione dell’abate Placido Troyli, nativo di Montalbano, nato nel
1688 e morto nel 1757, sia sulla base delle affinità stilistiche con le tele eseguite dal cavaliere nell’isola di Malta.
Inoltre il Troyli menziona nella nota della sua “Istoria Generale del Reame di Napoli” Antonio
Mansi, Vicario Generale di Malta e nativo di Montalbano, quale committente della Madonna
con Bambino e S. Giovannino in Montalbano”.
Altro episodio degno di nota relativo all’importazione di opere in Basilicata nel corso del
Settecento è dato dalla serie di cacce e di nature morte autografate da Carlo Ruther, nel
castello di Melfi.
Si tratta di splendidi riquadri aventi ad oggetto cacciagioni, definiti da pennellate rapide ed
efficaci che descrivono minutamente le piume degli uccelli, le sfumature di tono del pelo della selvaggina, lo sguardo mite del cane acciambellato, il luccichio del calcio del fucile.
Essi si pongono nel solco della riscoperta della pittura di genere, di paesaggio e di nature mor-
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Melfi (Pz), Castello, natura morta con cacciagione - (foto S.B.A.S. - Matera)
te, che prende avvio dal Seicento in poi.
Una pittura da sempre ritenuta “minore”, che non esalta immagini sacre, ma che prende
spunto da oggetti inanimati o animali.
Inizialmente condannata dai classicisti, in quanto considerata volgare, e di gran lunga apprezzata nei paesi nordici in cui la fedeltà al dato naturale era già una caratteristica della tra-
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Melfi (Pz), Castello, natura morta con cacciagione - (foto S.B.A.S. - Matera)
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dizione, essa penetra nella nostra regione, ultima appendice del regno di Napoli, grazie ai
Doria, che si fanno promotori delle nuove tendenze, non solo italiane, ma europee.
Il primo esempio di natura morta della pittura italiana è la stupefacente canestra di frutta dipinta da Caravaggio attorno al 1595, in cui per la prima volta un oggetto inanimato viene nobilitato in quanto protagonista assoluto del quadro.
Da Caravaggio in poi la natura morta, accanto a scene di paesaggio o di genere, assume la
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Melfi (Pz), Castello, natura morta con cacciagione - (foto S.B.A.S. - Matera)
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stessa dignità, o quasi, di opere a carattere religioso e diviene il simbolo del totale affrancamento dalla tradizione, sia antica che moderna, e di un cambiamento di rotta del linguaggio
artistico corrente. Mutamento recepito in Italia e in Europa dagli spiriti più aperti e controcorrente, ansiosi di andare incontro ai nuovi scenari aperti da questo rivoluzionario modo di intendere l’arte.
Le nature morte di Carlo Ruther in Basilicata rappresentano dunque una pagina isolata della
storia artistica della regione, la scelta avanguardista di committenti che, in opposizione alla cultura ufficiale in larga misura sintonizzata su un manierismo già tramontato, mostrano di aprirsi alle novità provenienti dal resto dell’Italia.
Novità che non attecchiscono nel sostrato locale, che non raggiungono la massa ma che, semmai, si estrinsecano in collezioni private destinate ad essere fruite da pochissimi eletti.
NOTE:
1
Tradizionalmente sono attribuite al Maratta il Martirio di S. Felice e il S. Filippo Neri intercede per le anime purganti (W. ARSLAN, Relazione di una missione artistica in Basilicata, in
“Campagne della Società Magna Grecia 1926-27”, Roma, 1928 (estratto) p. 88 e E. LAURIDIA, Il castello aragonese di Venosa, 1972, p. 114); ad esse A. Grelle (A. GRELLE IUSCO,
Arte in Basilicata. Catalogo della Mostra, 1981, pp. 125-126) aggiunge l’Annunciazione e il
ritratto del cardinale De Luca.
2
Cfr. A. GRELLE IUSCO, 1981, pp. 125-126.
3
F. NEGRI ARNOLDI, Storia dell’Arte, Milano, vol. III, 1990, p. 311.
4
Cfr. A. GRELLE IUSCO, 1981, p. 126.
5
A. FRANGIPANE, Un quadro di M. Preti in Lucania, in “Brvtivm”, n. 1, 1936, pp.5-6.
6
Cfr. W. ARSLAN, 1928 (estratto) p. 88.
BIBLIOGRAFIA:
W. ARSLAN, Relazione di una missione artistica in Basilicata, in “Campagne della Società
Magna Grecia 1926-27”, Roma, 1928 (estratto) p. 88;
A. FRANGIPANE, Un quadro di M. Preti in Lucania, in “Brvtivm”, n. 1, 1936, pp.5-6;
E. LAURIDIA, Il castello aragonese di Venosa, 1972, p. 114;
A. GRELLE IUSCO, Arte in Basilicata. Catalogo della Mostra, 1981, pp. 125-126;
F. NEGRI ARNOLDI, Storia dell’Arte, Milano, vol. III, 1990;
D.MAZZEO-G.SETTEMBRINO, Pittori del ’600: due esponenti della scuola napoletana e
romana in Basilicata, in “Basilicata Regione Notizie”, n. 5, 1997, pp. 107-108.
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