Epatite autoimmune: una terapia non sempre facile
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Epatite autoimmune: una terapia non sempre facile
Gennaio-Marzo 2012 • Vol. 42 • N. 165 • pp. 21-27 epatologia Epatite autoimmune: una terapia non sempre facile Marco Sciveresa, Francesco Cirilloa, Silvia Nastasiob, Giuseppe Maggioreb Epatologia Pediatrica e Trapianto di fegato Pediatrico, ISMETT, UPMC, Palermo Divisione di Pediatria, Dipartimento di Medicina della Procreazione dell’Università di Pisa, Azienda OspedalieraUniversitaria Pisana, Pisa a b Riassunto In età pediatrica l’epatite autoimmune (EAI) si caratterizza per una flogosi epatica cronica che interessa soprattutto l’epatocita. La fibrosi epatica che ne consegue è progressiva e giunge rapidamente, senza trattamento, alla cirrosi. EAI viene suddivisa in due sottotipi che presentano peculiarità specifiche. L’EAI tipo 1 interessa in egual misura tutte le età e si presenta prevalentemente con un quadro di epatopatia cronica, frequentemente già evoluta in cirrosi. Gli autoanticorpi caratterizzanti sono l’antinucleo (ANA) e l’anti muscolo liscio (SMA), usualmente ad alto titolo (> 1:100). L’EAI tipo 2 predilige il bambino più piccolo, tende a manifestare un andamento altamente fluttuante e ha il suo esordio con un quadro di insufficienza epatica acuta senza segni di cronicità. Questa forma è caratterizzata dalla presenza dell’anticorpo anti microsomi di fegato e di rene tipo 1 (LKM-1) e dall’anti citosol epatico (LC1). La diagnosi si fonda su un insieme di elementi clinici e sul riscontro del tipico quadro istologico di epatite d’interfaccia con massiccia infiltrazione portale di elementi mononucleati e plasmacelule. Il trattamento convenzionale con steroidi ed azatioprina è altamente efficace ma deve essere protratto a lungo prima di tentare una sospensione. La ciclosporina come farmaco alternativo è parimenti efficace ed ormai sufficientemente radicato nella pratica clinica. Summary Autoimmune Hepatitis (AIH) in children is characterized by a chronic, immuno-mediated liver inflammation involving mainly the hepatocyte. If untreated finally leads to liver cirrhosis. Common features of AIH are hypergammaglobulinemia and presence of seric autoantibodies against a limited number of autoantigens. AIH could be classified into two subtypes carrying peculiar features. AIH type 1 affects any age and presents often as a chronic liver disease with recurrent spikes of activity. Liver cirrhosis is frequently present at onset. Characterizing autoantibodies are anti-nuclear (ANA) and anti-smooth muscle (SMA), usually at high titers (>1:100). AIH type 2 shows a peak of incidence in younger children and its natural history has a fluctuating course. Acute liver failure is frequent in AIH type 2 at onset. Anti-liver kidney microsome autoantibodies type 1 (LKM1) and anti liver cytosol (LC1) are typically found in AIH type 2. Diagnosis of AIH results from all these peculiar features and by the histological finding of interface hepatitis with massive portal infiltration of mononuclear cells and plasmocytes. Conventional treatment with steroids and azathioprine is the milestone of therapy and proved very effective. Unfortunately, it is a chronic therapy and a trial of treatment withdrawal may be attempted after several years. Cyclosporin A is the alternative drug most currently used for AIH and this treatment is safe and as effective as steroids. Introduzione Le malattie autoimmuni del fegato sono malattie infiammatorie di causa sconosciuta che, di norma, evolvono spontaneamente, attraverso la necrosi del parenchima epatico, verso la cirrosi (Maggiore et al., 2009). Sono caratterizzate istologicamente dalla presenza di un infiltrato infiammatorio che varia qualitativamente in funzione delle fasi di malattia e che interessa il lobulo nelle sue fasi più precoci e lo spazio portale in quelle più tardive. Tipico e quasi costante è il riscontro di autoanticorpi organo e non-organo specifici (Alvarez, 2006). Ci sono almeno tre principali malattie epatiche nell’uomo in cui il danno epatico è ritenuto essere causato da un meccanismo autoimmune: l’epatite autoimmune (EAI) in cui il bersaglio dell’attacco è l’epatocita e due altre condizioni, la colangite autoimmune e la cirrosi biliare primitiva (eccezionale in età pediatrica) in cui il bersaglio è invece il colangiocita (Maggiore et al., 2009). l’obiettivo di approfondire e rivalutare le novità sulla patogenesi, la diagnosi e il trattamento delle epatiti autoimmuni. La ricerca bibliografica su PubMed è stata effettuata utilizzando come principali parole chiave: autoimmune liver disease, autoimmune hepatitis. Epidemiologia L’EAI è una malattia rara, presente in ogni razza e in ogni regione geografica, ma con ampia variabilità di prevalenza. I dati disponibili riguardano l’adulto europeo (1:10.000) (Boberg et al., 2002), tuttavia il carattere insidioso della malattia suggerisce una prevalenza assai maggiore. Entrambi i sessi possono essere affetti ad ogni età della vita con una netta predilezione per il sesso femminile (rapporto F/M che da 3: 1 arriva fino a 9: 1 in alcune casistiche) e con un picco di incidenza di esordio in età prepuberale. Anche se l’EAI può esordire ad ogni età, più della metà dei casi sono diagnosticati durante l’infanzia e l’adolescenza. Obiettivo della revisione e metodologia della ricerca bibliografica Patogenesi L’articolo fa seguito ad una revisione sulle malattie autoimmuni del fegato pubblicata su Prospettive in Pediatria (Maggiore, 1997) e ha L’EAI è una malattia multifattoriale. Si postula che fattori ambientali inneschino, in individui geneticamente predisposti, una rispo- 21 M. Sciveres et al. sta inappropriata e duratura verso uno o più autoantigeni. Molta attenzione è stata posta su meccanismi di mimetismo molecolare tra porzioni proteiche di virus quali HBV, HCV, CMV e HSV e proteine presenti nell’epatocita. L’autoantigene è in generale un piccolo peptide di 13-23 residui aminoacidici, prodotto finale di un processo di internalizzazione e parziale digestione di proteine extracellulari che avviene in cellule specificamente incaricate del ruolo (antigen presenting cell). Queste cellule presentano il peptide ai linfociti T CD4+ tramite molecole di HLA di classe II esposte alla loro superficie. La molecola DR, appartenente alla famiglia di recettori HLA-II è formata da due catene polipeptidiche DR alfa e DR beta, che compongono l’eterodimero DR. Gli alleli del locus DR sono altamente polimorfi e questo fa sì che ogni individuo esprima molecole DR con differenti affinità di legame. Da ciò consegue come la capacità di alcuni auto antigeni di innescare la risposta immune sia geneticamente determinata e dipenda strettamente dall’assetto genetico dell’HLA di classe II (Vergani et al., 2007). Substrato genetico. Gli alleli HLA associati ad un aumentato rischio di malattia variano secondo le differenti zone geografiche. Nella popolazione Caucasica la presenza dell’aplotipo HLA A1-B8-DR3 è strettamente associata all’EAI -1. Gli alleli DRB1*0301 e DRB1*0401 sono specifici fattori di rischio; entrambi condividono una lisina in posizione 71 e la sequenza LLEQKR in posizione 67-72. In Sud America e in Giappone, analoghi studi di associazione hanno sottolineato il ruolo, rispettivamente, del dimorfismo valina/glicina in posizione 86, e dell’istidina nella posizione 13 del polipeptide DRB1. Questi cluster di associazione possono essere condizionati dai differenti fattori ambientali presenti nelle diverse aree geografiche. Nel bambino i dati sono scarsi: in Europa è riconosciuto uno specifico ruolo di suscettibilità all’allele DR3 (DRB1*0301) e al DR52a (DRB3*0101), mentre in Argentina è piuttosto il DR6 (DRB1*1301) a rappresentare il principale allele di suscettibilità, con un ruolo più limitato per il DR3 (DRB1*0301), mentre il HLA DRB1*1302, che differisce per un solo residuo aminoacidico, esercita al contrario, un debole ruolo protettivo. Autoantigeni. L’autoantigene maggiormente accredidato di un ruolo patogenetico sembra essere il recettore della asialoglicoproteina (ASGP-R) per l’EAI-1 e il citocromo P450 2D6 (CYP2D6) per l’EAI- 2. ASGP-R è una molecola organo-specifica con sede nella membrana dell’epatocita e con prevalente espressione periportale. Linfociti T di pazienti con EAI hanno una risposta proliferativa se posti in coltura con ASGP-R umano purificato e inducono linfociti B autologhi a produrre autoanticorpi anti-ASGP-R. Numerose isoforme del citocromo (CYP) P450 sono espresse nel tessuto epatico: il bersaglio della risposta autoimmune nell’EAI-2 è il CYP2D6, un enzima intracellulare attivo nella detossificazione di numerosi farmaci (Guegen et al., 1988). Tramite stimolazione con specifiche citochine è possibile far esprimere il CYP2D6 sulla membrane dell’epatocita rendendolo quindi un bersaglio accessibile per i linfociti T autoreattivi (Muratori et al., 2000). Inoltre vi è la dimostrazione che l’immunizzazione nel topo con CYP2D6 umano possa indurre danno epatico (Lapierre et al., 2004). La risposta autoimmune come difetto della regolazione della risposta immune. Elevati titoli anticorpali nei confronti di antigeni microbici sono presenti in pazienti con EAI. Questo difetto non-antigene-specifico, egualmente presente nei parenti di primo grado, è correggibile in vivo e in vitro, da dosi farmacologiche di corticosteroidi. Una specifica popolazione di linfociti T CD4+ che esprimono il recettore per l’interleuchina 2 noti come cellule T regolatorie CD25+ appaiono 22 difettivi nei pazienti con EAI, sia dal punto di vista numerico che funzionale. La capacità di inibire la proliferazione di linfociti T tramite la secrezione di citochine immunoregolatori quali l’interleuchina 10 e la proprietà di regolare l’attivazione dei monociti appare infatti ridotta (Longhi et al., 2010). Manifestazioni cliniche L’EAI-1 è caratterizzata dalla presenza di autoanticorpi anti-muscolo liscio (SMA) e/o anti-nucleari (ANA) (Odièvre et al., 1983, Maggiore et al., 1993), l’EAI-2 dalla presenza di anticorpi anti-microsoma di fegato e di rene (LKM-1) (Maggiore et al., 1986) e/o anti-citosol epatico (LC1) (Bridoux-Henno et al., 2004). Le due forme differiscono per alcuni elementi specifici (Tab. I): • L’EAI-2 è una malattia che ha come bersaglio esclusivo l’epatocita (è la vera epatite autoimmune!). Nell’EAI-1 può essere presente una reattività tissutale, di grado variabile, nei confronti del colangiocita. • L’EAI-1 è presente sia in età adulta che in quella pediatrica, mentre l’EAI-2 è quasi esclusivamente una malattia pediatrica; • I pazienti con EAI-2 hanno un esordio ad una età significativamente inferiore rispetto all’EAI-1; • L’ipergammaglobulinemia è tipica e talora marcata nella EAI-1, mentre è assai moderata e occasionalmente assente nella EAI-2; • L’EAI-1 ha una attività di malattia generalmente costante mentre il tipo 2 progredisce piuttosto per “ondate” di necrosi, che di solito hanno fasi anche prolungate di remissione spontanea. Nonostante queste differenze la risposta al trattamento immunosoppressivo non differisce nei due tipi di EAI. Nel 10% circa delle epatiti croniche criptogeniche, tuttavia, nonostante le caratteristiche cliniche ed istologiche e la risposta al trattamento immunosoppressivo siano sovrapponibili ad una EAI, nessun autoanticorpo organo o non organo specifico è identificabile. Questa entità denominata “Epatite autoimmune sieronegativa” rappresenta un ulteriore fenotipo di EIA il cui riconoscimento è di fondamentale importanza per le implicazioni terapeutiche. Le più comuni modalità di esordio della EAI sono: • Epatite acuta. È la tipologia di esordio più comune, apparentemente indistinguibile da una epatite acuta virale con malessere, nausea, anoressia, vomito, dolore addominale seguito dalla comparsa di ittero generalizzato, urine scure e feci decolorate. Alcuni pazienti, in particolare con EAI-2 possono esordire con un quadro di insufficienza epatica acuta con encefalopatia (Maggiore et al., 1990); • Esordio insidioso con malessere ed ittero ingravescente. È una modalità di esordio che concerne circa un terzo dei pazienti; è caratterizzata da astenia, perdita di peso ed ittero, ora ingravescente, ora a carattere recidivante con fasi di miglioramento spontaneo, su un quadro di epatite cronica di fondo testimoniato dalla presenza di un’epato e/o splenomegalia di consistenza aumentata/dura; • Esordio fortuito. Dal 10 al 15% dei pazienti può essere completamente asintomatico. La malattia epatica può essere evidenziata dal riscontro occasionale di un’epatomegalia dura eventualmente associata ad una splenomegalia, di una splenomegalia isolata o di un aumento delle aminotransferasi; • Esordio con sintomi correlati ad una complicanza della malattia epatica. Raramente l’EAI può decorrere in maniera talmente insidiosa da esordire con una complicanza di una malattia epatica già evoluta in cirrosi quale un’ascite o una emorragia digestiva da varici esofagee secondarie ad una ipertensione portale; Epatite autoimmune: una terapia non sempre facile Tabella I. Aspetti clinici delle principali forme di epatite autoimmune. EIA-1 EIA-2 EIA sieronegativa Sindrome da overlap EAI- Colangite autoimmune Età di esordio Ad ogni età, ma prevalentemente nell’adolescenza Infanzia e comunque in età prepuberale Ad ogni età Prevalentemente in corso della adolescenza Sintomi all’esordio Generalmente modesti Epatite acuta sintomatica Epatite acuta sintomatica Spesso correlate alla malattia infiammatoria cronica intestinale associata Cirrosi all’esordio Frequente Rara Rara Possibile Ipergammaglobulinemia Frequente Rara Possibile Possibile Lesion biliari Di modesta entità Assenti Possibili Costanti Autoanticorpi caratterizzanti ANA, SMA, pANCA, SLA LKM1, LC1 Assenti ANA, SMA, p/cANCA, SLA Malattie extraepatiche con l’eccezione delle malattie infiammatorie croniche intestinali Frequenti Frequenti Possibili Possibili MICI associata Possibile Rara Rara Quasi costante Risposta al trattamento immunosoppressivo Generalmente buona Buona con rare eccezioni Generalmente buona Incerta Tabella II. Malattie autoimmuni associate alla epatite autoimmune. EAI-1 EAI2 Emopatie Trombocitopenia Anemia emolitica Presenti Presenti Endocrinopatie Malattia di Graves Tiroidite autoimmune Diabete tipo 1 Presenti Frequenti le tiroiditi Altre Vitiligo Vasculiti Glomerulonefriti Connettiviti Presenti Presenti APECED (poliendocrinopatia autoimmune) Non presente Presente (associata a mutazioni del gene AIRE) • Esordio con sintomi di una patologia autoimmune associata. Una patologia extraepatica di natura autoimmune o comunque immunomediata è presente in circa un terzo dei pazienti con EAI (Tab. II). Studi recenti hanno inoltre sottolineato la strette interazione con la malattia celiaca nel bambino, con una prevalenza di malattia celiaca intorno al 15% dei casi delle epatopatie autoimmuni (Caprai et al., 2008). Aspetti bioumorali Eccetto la presenza di specifici autoanticorpi caratterizzanti le due forme di EAI, le anomalie di laboratorio che si riscontrano nell’EAI sono aspecifiche. Le aminotransferasi nel siero sono quasi costantemente elevate in assenza di trattamento, le gammaglutamil traspeptidasi (GGT) invece, sono quasi costantemente normali nella EIA-2 e nella EIA-1 con lesioni biliari minime (Gregorio et al., 1997). È pre- sente inoltre ipergammaglobulinemia, talora marcata, prevalentemente di classe IgG, in oltre l’80% dei pazienti. Questo aumento può non ritrovarsi nelle EAI-2 e comunque negli esordi acuti. È frequente un difetto parziale o completo di IgA seriche così come una riduzione geneticamente determinata dei livelli di C4, più spesso nelle EAI-2. Autoanticorpi. La presenza di autoanticorpi è un rilevante aiuto nella diagnosi di EAI. La metodica di scelta per la loro identificazione è l’immunofluorescenza (IF), metodica sfortunatamente trascurata perché richiede la disponibilità di medici e tecnici di laboratorio esperti e competenti e comporta quindi costi più elevati dei metodi immunoenzimatici. La presenza di ANA e/o di SMA identificano la EAI-1, specialmente se presenti ad titolo elevato (≥ 1:100). Gli SMA riconoscono antigeni strutturali del citoscheletro quali actina, desmina e troponina. La reattività SMA dell’EAI è tipicamente diretta nei confronti della actina filamentosa (F-actina). La reattività ANA ha svariati aspetti in IF: omogenea, (60%), punteggiata (speckled) (15-25%) e mista. In ragione della bassa specificità riteniamo che nella pratica clinica debbano essere considerate significative diluizioni di almeno 1:100. Gli anti-LKM1 fanno parte di un eterogeneo gruppo di reattività antimicrosomiali e caratterizzano l’EAI-2 (Maggiore et al., 1986). Il quadro caratteristico in IF è la colorazione diffusa degli epatociti e dei tubuli prossimali (nella porzione più distale) di tessuto di ratto. Il bersaglio è un antigene di 50 kDa successivamente identificato come CYP2D6 (Guegen et al., 1988). L’anticorpo anti citosol epatico (LC1) è un autoanticorpo organo-specifico la cui presenza caratterizza egualmente l’EIA-2 ma può essere anche presente in maniera isolata (Bridoux-Henno et al., 2004). L’LC1 riconosce un antigene epatico di 58-62 kDa successivamente identificato nella formiminotransferasi ciclodeaminasi (Lapierre et al., 2009). In entrambe le forme si possono ritrovare altri autoanticorpi meno specifici quali gli anticorpi anti-recettore della asialoglicoproteina (ASGP-R), gli anti-SLA (antigene epatico solubile) o gli ANCA (anticitoplasma dei neutrofili) (Vitozzi et al., 2002, Hajoui et al., 2000). 23 M. Sciveres et al. La reattività autoanticorpale tende in generale a fluttuare nel corso del trattamento, riducendosi fino a scomparire in corso di remissione e ricomparendo in caso di recidiva. Tuttavia lo stato autoanticorpale e il suo titolo non coincide necessariamente con lo stato di remissione bioumorale o istologica, né è predittiva di ricaduta o di remissione sostenuta, né infine elevati titoli all’esordio identificano pazienti a rischio prognostico elevato o con peculiari necessità terapeutiche. Aspetti istologici La biopsia epatica ha un ruolo rilevante nella diagnosi di EAI specialmente in caso di esordio acuto e nella forma sieronegativa. Il quadro istologico che identifica l’EAI è l’“epatite di interfaccia” definita dalla presenza di un denso infiltrato infiammatorio nello spazio portale costituito da linfociti T e NK, da plasmacellule e da macrofagi attivati che, erodendo la lamina limitante, tendono ad invadere il parenchima circostante (piecemeal necrosis) e circondano epatociti in apoptosi. La presenza di plasmacellule è ritenuta indispensabile per la diagnosi di EAI. Un numero non trascurabile di polimorfonucleati eosinofili può talora essere presente nell’infiltrato portale particolarmente nei casi di EAI associati a celiachia (Caprai et al., 2008). Nella forma acuta di EAI la lesione centrolobulare è predominante, talora associata ad un collasso della trama reticolare. In queste circostanze gli elementi eventualmente suggestivi di una patogenesi autoimmune sono: la presenza di una necrosi epatica massiva/sub massiva (Fig. 1); la presenza di follicoli linfoidi negli spazi portale; un infiltrato prevalentemente plasma cellulare associato ad una perivenulite centrale. La reazione proliferativa duttulare è considerata una risposta proliferativa reattiva al danno necrotico quindi di tipo rigenerativo a partire da cellule epatiche progenitrici. La presenza di un danno infiammatorio biliare non è tipica dell’EAI ma può essere osservata in forma limitata in circa il 25% dei casi. Diagnosi La diagnosi di EAI in età pediatrica può essere semplice se tutti i principali elementi che la caratterizzano sono presenti. In caso contrario la diagnosi può essere difficile e risulta da una combinazione di criteri clinici, sierologici ed istologici e dall’esclusione di epatopa- Tabella III. Punteggio (score) diagnostico per la diagnosi di Epatite Autoimmune (da Alvarez et al., J Hepatol 1999). Parametri Sesso femminile 2+ Rapporto Fosfatasi alcalina /AST (o ALT) < 1.5 1.5-3.0 > 3.0 2+ 0 2- Livelli di immunoglobuline IgG > 2.0 gm/dl 1.5-2.0 gm/dl 1.0-1.5 gm/dl < 1.0 gm/dl 3+ 2+ 1+ 0 Autoanticorpi ANA, SMA o LKM1 titolo > 1:80 1:80 1:40 < 1:40 Autoanticorpi AMA 3+ 2+ 1+ 0 4- Marcatori sierici di epatite virale Presenti Assenti 33+ Anamnesi di assunzione di farmaci Presente Assente 41+ Assunzione media giornaliera di alcool < 25 gm/giorno > 60 gm/giorno 2+ 2- Istologia epatica Epatite di interfaccia Infiltrato infiammatorio prevalentemente linfomonocitario Formazione di “rosette” degli epatociti Nessuna delle precedenti Presenza di lesioni biliari Altre lesioni Presenza di altre malattie autoimmuni 3+ 1+ 1+ 5332+ Elementi addizionali Positività per altri autoanticorpi correlati Presenza di HLA DR3 o DR4 2+ 1+ Risposta alla terapia Completa Presenza di ricadute 2+ 3+ Interpretazione del punteggio Pre-trattamento Epatite Autoimmune certa Epatite Autoimmune probabile Post-trattamento Epatite Autoimmune certa Epatite Autoimmune probabile Figura 1. Necrosi panlobulare con infiltrato infiammatorio polimorfo caratterizzato dalla presenza di linfociti CD3 + e CD20+plasmacellule, polimorfonucleati eosinofili e neutrofili, in una paziente con EAI-1 con esordio acuto e marcata ipergammaglobulinemia. 24 Punteggio > 15 10-15 > 17 12-17 tie ad etiologia nota eventualmente compatibili con il quadro clinico, come una infezione da virus epatotropi o una malattia di Wilson. Anche se non esistono aspetti istologici patognomonici, una valutazione dell’istologia epatica è obbligatoria se l’emostasi lo permette. La risposta al trattamento immunosoppressivo specialmente in caso di forme sieronegative, rappresenta un ulteriore e rilevante elemento suggestivo per la diagnosi. A supporto del clinico, un gruppo di esperti internazionali ha validato, nell’adulto, uno score diagnostico (Alvarez et al., 1999) (Tab. III), Epatite autoimmune: una terapia non sempre facile successivamente semplificato (Hennes et al., 2008), che si è dimostrato sufficentemente sensibile (88%) e specifico (97%). Questo punteggio diagnostico è applicabile anche in pediatria avendo cura, però, di utilizzare l’attività delle GGT al posto della fosfatasi alcalina per identificare con maggiore specificità i pazienti da sottoporre ad un imaging biliare (Ebbeson et al., 2004). La presenza infatti alla colangio-RM o alla colangiografia endoscopica per via retrograda di quadri di colangiopatia potrebbe suggerire la diagnosi alternativa di sindrome da overlap epatite autoimmune/ colangite sclerosante autoimmune (Gregorio et al., 2001). Trattamento Il trattamento medico delle EAI è di tipo immunosoppressivo. La risposta al trattamento dipende dalla gravità della malattia all’esordio. Il trattamento definito “convenzionale” utilizza il prednisone o il prednisolone, inizialmente in monoterapia o in associazione con l’azatioprina. Il corticosteroide è utilizzato alla dose di 1-2 mg/kg/die con un massimo di 60 mg/die nell’adolescente e l’azatioprina alla dose iniziale di 1 mg/kg/ die fino ad una dose massima di 2.5 mg/kg/die. Preferiamo comunque il trattamento combinato dei due farmaci fin dall’esordio per l’effetto “risparmiatore di steroidi” della azatioprina (Maggiore et al., 1984). Remissione iniziale. L’obiettivo del trattamento è di indurre una rapida e completa remissione dei sintomi e dei segni clinici di epatopatia e della attività biochimica di malattia. Il trattamento produce una “misurabile” risposta clinica e bioumorale in 6-10 settimane (Maggiore et al., 1984). Ottenuta una risposta sostanziale, si comincia a ridurre la dose del prednisone anche se una completa normalizzazione dei parametri bioumorali può completarsi anche in alcuni mesi. Esistono differenti schemi e modalità di riduzione delle dosi di steroide che dovrebbero essere il più possibile personalizzati in relazione alle caratteristiche del paziente. Il passaggio della corticoterapia a giorni alterni è possibile nella quasi totalità dei pazienti e auspicabile per la minore incidenza di effetti collaterali della corticoterapia in particolare per quanto attiene ai problemi di crescita (Maggiore et al., 1984). Anche i pazienti che esordiscono con una grave insufficienza epatocellulare, rispondono in oltre il 90% dei casi ed in egual modo, sia ad una monoterapia a 2 mg/kg di prednisone che all’associazione di prednisone 1 mg/kg, fino a 40 mg/die, e ciclosporina con una ciclosporinemia bersaglio di 200 ± 50 ng/mL (Cuarterolo et al., 2011). Nel 10% dei casi che rispondono scarsamente al trattamento, può essere tentata come trattamento di salvataggio una associazione di prednisone, ciclosporina ed eventualmente di micofenolato mofetile (MMF) anche se va considerato con attenzione il rischio di infezioni gravi. Una mancata risposta al trattamento deve far immediatamente considerare l’opzione di un trapianto di fegato in urgenza. Risposta sostenuta. Una volta indotta la remissione, che comporta la rigorosa normalità delle amino transferasi e dei livelli di immunoglobuline IgG, l’obiettivo della terapia diventa quello di mantenere una remissione persistente e di prevenire eventuali ricadute. Il prednisone sarà progressivamente ridotto fino a raggiungere la più bassa dose compatibile con una completa remissione clinica e bioumorale. Se una remissione debba necessariamente essere documentata istologicamente è un argomento dibattuto. La remissione istologica non è infatti predittiva di assenza di recidive. La valutazione quantitativa della fibrosi può essere effettuata in maniera meno invasiva con una misurazione dell’elastometria epatica. La fibrosi epatica progredisce solo in una minoranza di pazienti che sono aderenti al trattamento e che mantengono una remissione persistente. Durata del trattamento. Non esistono dati certi sulla durata ottimale del trattamento immunosoppressivo nei pazienti con EAI. Una recidiva può insorgere, anche in assenza di fattori scatenanti, in ogni momento. Il rischio è molto elevato in caso di una durata di trattamento inferiore ai 2 anni. La principale causa di recidiva nell’adolescente è una inadeguata aderenza al trattamento. Se poi anche la recidiva meriti una valutazione bioptica è egualmente dibattuto. L’esperienza attuale suggerisce che un trattamento immunosoppressivo debba produrre almeno cinque anni di remissione completa prima di tentarne la sospensione. In caso di trattamento convenzionale combinato si provvederà a sospendere completamente il prednisone nel corso del terzo-quarto anno di remissione per mantenere il paziente in monoterapia con azatioprina almeno per un altro anno. Il trattamento non andrà sospeso durante la fase di spurt puberale. Una assenza di autoanticorpi non è predittiva di assenza di recidiva, tuttavia un significativo incremento del titolo autoanticorpale deve essere considerato con cautela in ogni fase di riduzione della terapia. Effetti collaterali. Sono frequenti e prevalentemente dovuti ai corticosteroidi che producono iperfagia ed aumento di peso e rallentamento della crescita staturale. Complicanze più gravi, legate all’uso di dosi elevate e per periodi protratti, includono: obesità, grave ritardo di crescita, cataratta responsabile di riduzione del visus, collasso vertebrale, iperglicemia, psicosi e gravi conseguenze estetiche legati al prodursi di strie cutanee cicatriziali. Queste complicanze sono più rare nei centri con maggiore esperienza nel trattamento delle epatopatie autoimmuni. L’azatioprina è raramente responsabile di effetti secondari gravi, ma lo sviluppo di una linfopenia necessita una riduzione della dose del farmaco. Nell’uomo, una teratogenicità della azatioprina non è dimostrata con sicurezza, tuttavia, in caso di inizio di un trattamento nell’adolescente fertile dovrebbe essere esclusa una condizione di gravidanza. Più di 200 gravidanze sono riportate in pazienti con EAI e un progetto di gravidanza sembra realistico in pazienti con EAI in remissione farmacologica. L’utilizzo di basse dose di steroidi è preferibile, anche se l’azatioprina sembra non essere di nocumento né alla madre né al bambino (Aggarwal et al., 2011). Terapie farmacologiche alternative. Una parziale o incompleta risposta al trattamento convenzionale, il rifiuto o la comparsa di gravi effetti collaterali dei corticosteroidi costituiscono una chiara indicazione all’uso di trattamenti alternativi ed in particolare della Ciclosporina (CSA). La CSA in monoterapia è stata dimostrata efficace nell’indurre in remissione pazienti con entrambi i tipi di EAI (Alvarez et al., 1999) (Debray et al., 1999). Gli effetti collaterali del trattamento con CSA, almeno nel breve-medio termine, sono pochi e ben tollerati e scompaiono con la riduzione delle dosi (Sciveres et al., 2004). Una volta ottenuta la remissione il paziente può essere orientato verso un trattamento convenzionale a dosi di mantenimento di corticosteroidi (Alvarez et al., 1999) o continuare il trattamento con la CSA con ciclosporinemie inferiori ai 100 ng/ ml (Sciveres et al., 2004). Il Micofenolato Mofetile (MFM) alla dose di 20-40 mg/kg è stato utilizzato con successo in aggiunta ai corticosteroidi nei pazienti intolleranti alla azatioprina o resistenti alla terapia convenzionale. I principali effetti collaterali del MFM sono rappresentati da cefalea, diarrea, perdita di capelli e sopratutto la leucopenia (Aw et al., 2009). Trapianto di fegato. Il trapianto di fegato può diventare una opzione terapeutica nell’EAI in particolare in due circostanze: 1) nei pazienti, prevalentemente maschi, con esordio acuto grave o fulminante che non rispondano alla terapia di “salvataggio”; 25 M. Sciveres et al. 2) nei pazienti, per lo più di sesso femminile, con cirrosi ed insufficienza epatica terminale con scarsa o assente attività di malattia. I pazienti con EAI che beneficiano di un trapianto di fegato, rappresentano meno del 5% dei trapianti epatici pediatrici, hanno una sopravvivenza a 5 anni dell’86% e non differiscono dal gruppo nonEAI per sopravvivenza, numero, tipologia di complicanze infettive e metaboliche e frequenza di ritrapianto. (Martin et al., 2011). nel tentativo di selezione e produzione di linee cellulari autologhe di cellule regolatrici CD 25+ nei confronti dei verosimili antigeni trigger. La speranza è che tali cellule siano capaci di indurre tolleranza e di spegnere alla radice la risposta autoimmune senza la necessità di farmaci. Per il momento è stata suggerita l’efficacia in vitro di celllule regolatrici specifiche per l’antigene CYP2D6 della EAI tipo 2 (Longhi et al., 2011) Prognosi a lungo termine. La prognosi a lungo termine dei pazienti con EAI ad esordio in età pediatrica rimane incerta. Una remissione completa e di lunga durata può essere mantenuta nella maggioranza dei pazienti senza significativi effetti collaterali e con basse dosi di farmaci immunosoppressori. Una percentuale minoritaria di pazienti mantiene una remissione persistente, anche a lungo termine, anche una volta sospesa definitivamente la terapia immunosoppressiva, con evidenza di una bassa elastanza epatica. Alcuni pazienti una volta sospesa la terapia immunosoppressiva possono sviluppare patologie immunomediate anche severe (LES) anche senza recidiva della malattia epatica. Conclusioni Terapie innovative. In seguito al riconoscimento del difetto di regolazione dei linfociti regolatori CD25+ la ricerca si è concentrata La diagnosi di EAI deve essere sempre ipotizzata in ogni paziente con segni e/o sintomi di epatopatia acuta o cronica di causa non definita, specialmente in presenza di una patologia extraepatica di natura immunomediata. La presenza di ipergammaglobulinemia e/o di autoanticorpi circolanti è di rilevante aiuto diagnostico ed identifica almeno due forme di EAI che presentano specifiche peculiarità, anche se va considerata la possibilità di EAI sieronegative.Una rapida e completa remissione indotta con una appropriata terapia migliora la prognosi a breve e lungo termine, controllando l’evoluzione della fibrosi e anche potendo determinare una sua regressione. Questa certezza giustifica un approccio che compreda anche accertamenti diagnostici invasivi (biopsia epatica). Box di orientamento Cosa si sapeva prima: L’epatite autoimmune è una malattia non spontaneamente risolutiva con tendenza alla recidiva ad ogni tentativo di riduzione o sospensione del trattamento. Il pilastro del trattamento è il prednisone che inevitabilmente porta con sé numerosi effetti indesiderati anche gravi. Cosa sappiamo adesso: Nel tempo si è definito il ruolo di numerosi altri farmaci quali, storicamente, l’azatioprina, ma anche, in seguito, la ciclosporina ed il micofenolato mofetile. L’obiettivo futuro è quello di poter disporre di trattamenti personalizzati capaci di indurre immunotolleranza. Quali ricadute sulla pratica clinica: Oggi, nei centri con maggiore esperienza, sono proponibili numerosi schemi terapeutici con diverse combinazioni di farmaci da adattare al singolo paziente e strategie atte a minimizazre l’impatto e la durata della terapia steroidea. Bibliografia Aggarwal N, Chopra S, Suri V, et al. Pregnancy outcome in women with autoimmune hepatitis. Arch Gynecol Obstet 2011;284:19-23. Alvarez F, Ciocca M, Cañero-Velasco C, et al. Short-term cyclosporine induces a remission of autoimmune hepatitis in children. J Hepatol 1999;30:222-7. ** Articolo che per primo descrive l’esperienza di trattamento con la ciclosporina. Alvarez F. 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