Il volo del calabrone

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Il volo del calabrone
Il volo del calabrone
Tutti sanno che il calabrone, a causa del suo peso e della forma delle sue ali, non può volare, ma siccome
lui non lo sa continua a farlo. Mi è sempre piaciuto questo aforisma, che al di là della sua discutibile
fondatezza scientifica dice che la realtà è sempre più grande delle teorie.
Sabato notte ho volato con il calabrone, ho partecipato cioè a un evento impossibile, una di quelle cose
che gli scienziati ci assicurano che non possono succedere, eppure accadono quotidianamente; è infatti
contro ogni teoria sociologica comunemente accettata quello che regolarmente succede a Roma ogni
Sabato sera da Pasqua ad Ottobre.
Non era la nostra una società sazia e disperata? Non stavamo assistendo alla morte di Dio? Non si ripete
continuamente che la generazione dei quarantenni ha voltato le spalle alla Chiesa? L’ultimo a dirlo in
ordine di tempo mi pare sia stato Vito Mancuso in un articolo su Repubblica che proponeva come
soluzione alcuni rimedi geniali, mai pensati da nessuno, come l’abolizione del celibato e il sacerdozio alle
donne.
Ma intanto il calabrone non lo sa e presumibilmente neppure legge Repubblica, perché ogni Sabato sera
continua a volare. Ogni Sabato a mezzanotte centinaia, a volte migliaia, di persone, in gran parte
quarantenni, si danno appuntamento davanti al palazzo della FAO per percorrere a piedi, rosario alla
mano, i quattordici chilometri necessari a giungere al santuario della Madonna del Divino Amore,
protettrice della capitale.
Nessuna spiritualità alla moda, nessun canto accattivante, nessun teologo telegenico, nessuna concessione
all’estetica, nemmeno uno di quegli “specchietti per le allodole” così spesso usati per catturare
l’attenzione, il pellegrinaggio si svolge secondo lo stile più tradizionale e popolare possibile, eppure tutti
partecipano con grande fervore ad una marcia oggettivamente molto faticosa.
È la pura fede a dare spettacolo, senza nessuna aggiunta, senza nessun additivo, la fede dei semplici,
quella che non occupa le prime pagine dei giornali, quella che i saggi e i potenti non conoscono, quella
che sfugge ai progetti pastorali, fatta di contraddizioni adorabili, come quella del vecchietto che non va a
Messa da anni, ma ogni mese partecipa al pellegrinaggio, come quella della prostituta rumena a piedi
scalzi che chiede una grazia per suo figlio e coinvolge nella preghiera decine di amici e perfino qualche
cliente… è la fede che salverà il mondo.
Sabato eravamo un migliaio a cantare e pregare per le affollatissime strade di Roma (tra l’altro siamo
passati accanto ad una festa dell’Unità e ad un rave party… interessante combinazione) tra lazzi e
sberleffi. Questa città abituata a tutto, capace di ignorare qualsiasi cosa, ci guardava passare con stupore,
ma anche, così mi pare, con rispetto, poiché a Roma lo sfottò non implica disprezzo, ma è semmai un
segno di attenzione.
È una testimonianza oggettiva e commovente quella che si ripete ogni settimana e che porta sulla strada,
nel giro di un anno, circa centomila persone, centomila calabroni che le statistiche ci assicurano non
potrebbero essere lì. Eppure ci sono, a sfidare logica e sociologia ed a formare un unico grande calabrone
che è l’evento pellegrinaggio.
Il dettaglio che più mi ha colpito è quello delle numerose confessioni. Non si diceva che la gente non si
confessa più, che non ha il senso del peccato? Sabato sera eravamo tre sacerdoti ed abbiamo confessato in
continuazione, io personalmente quindici persone in due ore e mezzo, che significa una media di uno ogni
dieci minuti, il minimo indispensabile per una confessione decente.
Colpisce semmai il fatto che per mille persone fossimo solo tre sacerdoti a disposizione.
Forse i preti lo sanno di avere le ali troppo piccole, forse la leggono Repubblica, forse loro lo sanno di
non poter volare.
Don Fabio Bartoli