rapporto tra imprese italiane e soggetti residenti black list

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rapporto tra imprese italiane e soggetti residenti black list
Fiscalità internazionale: rapporto tra imprese italiane e
soggetti residenti black list
SAN MARINO PICCOLO FASTIDIO O OPPORTUNITA’? Innanzitutto un sincero ringraziamento agli organizzatori di questo convegno, all’Università di Pavia che con l’iniziativa odierna hanno creato un’importante opportunità di confronto e di dialogo fra Italia e San Marino avente per sfondo il tema della “BLACK LIST”. E’ un tema la cui soluzione ci sta molto a cuore, poiché lo status-­‐quo attuale rappresenta una condizione di grandissima difficoltà per le imprese e per il micro-­‐
sistema economico di San Marino. E’ un’occasione dunque che può servire a comprendere le reciproche esigenze ed a fornire elementi utili a percorrere quell’ultimo miglio indispensabile a ricostruire un rapporto vicendevolmente fruttuoso fra i due Stati. Per la verità non è semplice riuscire a conciliare al meglio le esigenze di un microstato, enclave nella penisola italiana, con un territorio molto piccolo, che non può sostenere sviluppi normali industriali legati al solo mercato interno, con le esigenze di un grande Stato quale è l’Italia che deve in questa fase storica misurarsi anche con temi straordinali quali lo spread, i conti pubblici ed importanti riforme strutturali, temi che inevitabilmente tendono a relegare il rapporto con San Marino fra le questioni meno prioritarie. Il tema del convegno di oggi è la FISCALITA’ INTERNAZIONALE, LA BLACK LIST ed i paradisi fiscali. Questo è un argomento che diviene di attualità sul finire degli anni 90 periodo in cui ci furono le prime reazioni dell’(ONU), dell’(OCSE), dell’(EU) e del (GAFI), contro i veri e propri paradisi fiscali, cioè quelli caratterizzati da un regime di tassazione molto basso o inesistente. Le liste nere, grigie e bianche hanno iniziato ad essere stilate in maniera sempre più frequente dagli organismi internazionali ed anche l’Italia ha stilato le sue. La Repubblica di San Marino non è mai rientrata nella categoria dei paesi a fiscalità molto bassa o inesistente. San Marino però pur non abusando su di un fisco troppo leggero (24%), come molti altri piccoli Stati privi di risorse proprie, ha cercato di attrarre capitali ed investitori stranieri facendo leva sulla riservatezza abbinata ad una tassazione non asfissiante. Nel 1999 quando col decreto 4 maggio l’Ex ministro Visco introdusse la black list delle persone fisiche comprendente una serie di Stati e territori aventi un regime fiscale privilegiato, San Marino ha suo malgrado iniziato a confrontarsi direttamente con questo termine. Sotto la lente d’ingrandimento vi erano quei cittadini italiani che trasferivano residenza nei paradisi fiscali, cancellandosi dalle anagrafi della popolazione residente. Confesso che quella iniziativa non creò particolari problemi all’economia locale, considerato che la stragrande maggioranza dei circa 4.000 italiani residenti sul Titano, lo sono per vincoli di matrimonio e non per una politica aggressiva di concessione delle residenze come invece potrebbe apparire. Anzi direi proprio che San Marino contrariamente ad altri micro stati (Montecarlo), non ha mai cercato di far leva sulla concessione delle residenze per l’attrazione di capitali. Si può affermare che rispetto al primo censimento del 1865 dal quale emerse che in Repubblica vi erano ben 1.584 stranieri residenti, su una popolazione totale di 7.080, vale a dire oltre il 22%, oggi la percentuale si è quasi dimezzata. Gli stranieri sono infatti circa 4.000 su di una popolazione totale di circa 32.000 abitanti (circa il 12%). La tassazione sulle persone fisiche era allora progressiva per scaglioni con l’ultimo scaglione avente una tassazione pari al 50%. Immagino quindi che le ragioni di quell’inserimento non fossero dovute al fisco ma in parte relative alla forte opacità coniugata alla elevata reticenza a scambiare informazioni con l’Italia. Si trattava dunque di un primo forte avvertimento circa la necessità di avviare un percorso virtuoso sullo scambio d’informazioni almeno su quei casi che più avevano creato distorsioni e tensioni dalla metà degli anni 90 e che si riferivano all’utilizzo illecito di “corporate vehicle” di diritto sammarinese per effettuare le cosiddette frodi carosello oggetto di forti tensioni proprio con l’allora ministro Visco. E’ vero che successivamente San Marino lavorò per arginare quei fenomeni, si impegno con l’OCSE (attraverso una lettera d’intenti) a non introdurre regimi fiscalmente dannosi, avviò seppur lentamente, un percorso di avvicinamento agli standard internazionali richiesti, tuttavia questa azione, non fu sufficiente a colmare il gap esistente, specie a seguito dell’accelerazione nell’evoluzione normativa internazionale post l’11 settembre. L’intermittenza con la quale i vari governi sammarinesi si confrontarono con la controparte italiana per cercare di tracciare insieme il perimetro delle linee di sviluppo dell’economia sammarinese, sempre più bisognosa di riposizionarsi su standard euro compatibili, ha impedito di chiudere gli accordi e normalizzare i rapporti che già dalla metà degli anni 90 iniziavano a deteriorarsi. Contro la piccola Repubblica, giocò anche una forte instabilità politica interna e qualche rimpasto al MEF. L’errore sammarinese fu quello di non capire che senza accordi, o con gli accordi in vigore troppo datati, la proliferazione degli strumenti giuridici e le loro interrelazioni, avrebbero ampliato le aree di contenzioso sulla sovranità fiscale, sulle pretese impositive, sulla concorrenza fiscale (in molte sue parti vige ancora l’accordo di amicizia e buon vicinato del 1939). L’assenza di una cornice di regole precise e stabili entro cui poter ricercare una competitività minima, necessaria a garantire uno sviluppo durevole e sostenibile, ha fatto sì che San Marino usasse, specie negli ultimi anni, in modo non ponderato la propria sovranità, approvando leggi e regole di competitività fiscale finanziaria calibrate sui criteri di concorrenza globale, ma non su quelli di accettabilità da parte dell’Italia. Inoltre vanno evidenziati gli errori fatti nel settore bancario e finanziario. Un settore fondamentale per uno Stato di 61 kmq, un settore cresciuto prima delle sue regole. Una politica senza visione strategica ha autorizzato tra la fine degli anni 90 ed il 2002/2003 troppi soggetti bancari e finanziari, in assenza di un’autorità di vigilanza effettiva e di regole di funzionamento da applicare e soprattutto in assenza di un vero e proprio progetto di centro finanziario. La riforma della Banca Centrale avviata nel 2003 e conclusa nel 2005, la nuova legge bancaria e finanziaria entrata in vigore solo nel 2006, il potenziamento della vigilanza realizzato in quegli anni, non sono bastati a colmare l’enorme gap che si era venuto a creare. Ed anche in questo ambito l’assenza di accordi fra le due autorità di vigilanza che regolamentavano i controlli sulle banche e finanziarie, hanno creato aree di contenzioso e di conflitto in gran parte evitabili (uno su tutti la vicenda Cassa di Risparmio-­‐Delta). L’atteggiamento di San Marino in quegli anni è perfettamente sintetizzato da questa frase dello scrittore Gustave Flaubert “Il futuro ci tormenta, il passato ci trattiene: ecco perché il presente ci sfugge”. Purtroppo, tutte queste contraddizioni unite anche all’infiltrazione di qualche soggetto difficilmente classificabile nella categoria degli imprenditori, hanno liso ulteriormente i rapporti con l’Italia ed indotto l’Ex Ministro Tremonti ad inserire con DL Decreto Legge 40/2010 il cosiddetto “Decreto incentivi” San Marino nella Black list. Il legislatore italiano ha introdotto l’obbligo, per tutti i soggetti passivi IVA, di comunicare alla Agenzia delle Entrate, in via telematica, tutte le cessioni/acquisti di beni e le prestazioni di servizi rese/ricevute nei confronti di qualunque operatore economico, impresa o professionista (esclusi quindi i privati), avente sede, residenza o domicilio nei Paesi cosiddetti “blacklist” (fra cui figura, appunto anche San Marino). Questa decisione ha creato problemi serissimi soprattutto al tessuto imprenditoriale sano del paese, un’imprenditoria che, a quasi due anni di distanza è ormai agonizzante, non più in grado di garantire occupazione e neppure gettito per lo Stato. Se ancora a molti opinion leader sammarinesi non era chiaro, dal maggio 2010 tutti hanno compreso che l’Italia percepiva e percepisce questo piccolo territorio come un pericolo, come un fastidio, specie se insiste a difendere le caratteristiche di opacità. E’ evidente tuttavia che l’Italia non è mai stata minacciata da San Marino, per sproporzione delle forze; il potere dissuasivo del Belpaese su San Marino è pressoché totale. Da sammarinese sono convinto che il pericolo percepito sia molto superiore rispetto a quello reale, tuttavia, lo scriveva Macchiavelli “dove men si sa più si sospetta”. Possiamo affermare in realtà che le informazioni ottenute dall’agenzia delle entrate, attraverso le nuove formalità conseguenti all’inserimento di San Marino nella Black list, le erano già erano disponibili. Il DM 24 dicembre 1993 che regolamenta nel dettaglio l’interscambio fra i due paesi, consentiva già di avere tutti i dati dell’interscambio delle merci, una sorta di listing fra Italia e San Marino. Quindi si può affermare che l’adempimento riferito a San Marino è ridondante in quanto l’amministrazione italiana era già in possesso dei dati sensibili. E’ lapalissiano quindi che questo provvedimento rappresenta l’ennesima sollecitazione a superare l’opacità. Il costo di questa sollecitazione però, per gran parte degli operatori di San Marino, sta diventando insostenibile. Non è esagerato affermare che la black list rappresenti una condizione pesantissima, paragonabile ad un embargo. Molti operatori italiani non intendono più avere relazioni commerciali con operatori di San Marino non tanto perché temono che l’operazione possa essere messa in discussione in un’eventuale visita della GDF, ma per il timore che poi la GDF trovi criticità di altro tipo nella contabilità dell’azienda. Addirittura vi sono operatori che si rifiutano di vendere le loro merci. Piuttosto rinunciano a vendite sicure a clienti storici, pur di non inviare la segnalazione all’Agenzia delle Entrate. Le ragioni? La paura, il terrore delle visite della GDF spesso alimentata dai suggerimenti dei loro consulenti. Le condizioni geografiche fanno si che per gli operatori sammarinesi quello italiano sia il loro mercato di riferimento ed il perdurare di questa condizione, a breve li porterà all’asfissia. Ciò metterà A RISCHIO IL VALORE SUPREMO DI QUESTA PARTICELLA DI ETERNITA’ STATUALE, che ha superato indenne le tante bufere che le ha riservato la sua lunga storia. MI RIFERISCO ALLA SUA STABILITA’ ECONOMICA, ALLA SUA AUTONOMIA, ALLA SUA ESISTENZA. E’ quindi davvero urgente ritrovare una via che eviti il tracollo di questo microsistema economico, una nuova via che COMBINANDO LA TRASPARENZA DEL SISTEMA ECONOMICO ALL’INTEGRAZIONE con l’Italia e l’Europa, potrebbe TRASFORMARE SAN MARINO DA FASTIDIO IN OPPORTUNITA’. Lungo questa direzione obbligata dalla quale San Marino non può più deviare, occorre che incontri velocemente anche quelle condizioni minime che gli consentano di poter ricreare un ambiente economico ancorato alle nuove regole internazionali, in grado di sfruttare la sua UNICITA’, maggiormente INTEGRATO con l’esterno e che sia COMPATIBILE alle sue dimensioni. John P. Kotter – Harvard Business School afferma che: “Nessuna istituzione sopravvive nel tempo, se non sa reinventare se stessa”. San Marino sta cercando con un grande sforzo di reinventare il proprio sistema economico, tuttavia il fattore tempo in questo passaggio rappresenta un elemento cruciale. Notiamo come sia difficile in tutt’Europa Italia compresa, rilanciare la crescita senza poter contare sulla leva della politica monetaria; ebbene San Marino oltre a questo vincolo ne ha molti altri. Essi sono legati principalmente ad un’autolimitazioni interne legate a motivi di opportunità (diciamo pure per non irritare il grande vicino) che c’erano nel passato, ci sono nel presente e ci saranno nel futuro. Mi riferisco per esempio al gioco d’azzardo, alla politica dei prezzi sui carburanti, alle aliquote delle imposte indirette. Per esempio un piccolo Stato come Malta con una legislazione aggressiva sul betting e sul gioco d’azzardo è riuscita ad attrarre operatori del settore da tutto il mondo. Oggi molti casinò virtuali e molte attività di betting online hanno la loro sede ed i loro server in questo Stato, facendolo diventare un punto di riferimento per tutti gli operatori europei. E’ del tutto evidente che San Marino, non potendo contare da un lato su una serie di “motori di sviluppo” o fattori di competitività, e dall’altro in assenza di un’assistenza ed aiuto del suo grande vicino in questo delicato passaggio ad un’economia trasparente, sarà destinato all’inevitabile collasso. Una assistenza ed aiuto dell’Italia che: -­‐ tolga rapidamente San Marino dalla morsa asfissiante delle black lists; -­‐ consenta il passaggio dalla strategia della mimetizzazione a quella della specializzazione, specie in alcune nicchie, in alcuni segmenti economici; -­‐ consenta di realizzare i presupposti per un’integrazione paritetica del settore finanziario sammarinese con quello italiano (ed europeo); -­‐ conduca alla firma e ratifica in tempi brevi della nuova convenzione contro le doppie imposizioni. Ciò consentirebbe almeno di superare molte aree di contenzioso aperte, legate al tema dell’esterovestizione/stabile organizzazione contestati alle aziende sammarinesi per il solo fatto di avere come mercato di riferimento quello italiano. Ciò risolverebbe alcuni contenziosi fra operatori sammarinesi e l’amministrazione finanziaria italiana, sorti per l’inapplicabilità dell’Art. 4 paragrafo terzo della convenzione contro le doppie imposizioni (standard OCSE), attualmente non ancora firmata e ratificata. Riuscire ad attrarre investitori stranieri (non italiani) non sarà così semplice ed immediato, sarà necessario infatti cancellare la cattiva reputazione che ha acquisito San Marino in questi ultimi anni. Per questo farebbe comodo un’azione riabilitatrice da parte dell’Italia rispetto all’evoluzione virtuosa che San Marino ha messo in atto. Sarà anche necessaria un’evoluzione culturale da parte dei professionisti, degli operatori economici e finanziari locali, della politica e di tutti coloro che con la loro attività ed azione quotidiana, dovranno guardare sempre di più oltre l’Italia, proteggendo meglio il territorio dall’ingresso di quei soggetti non classificabili nella categoria degli imprenditori o dei risparmiatori. San Marino nell’imboccare la strada della maggiore integrazione del suo sistema con quello italiano ed europeo, dovrà da parte sua metter mano ad una riforma tributaria che introduca finalmente il regime I.V.A. e che gli consenta di avere un regime omogeneo a quello europeo. Il regime I.V.A. così com’è strutturato (IVA a destino e non all’origine) non è il modello migliore ma è comunque quello da tutti adottato. Dovrà riformare il mercato del lavoro superando quelle rigidità e quelle differenze di trattamento fiscale e nelle procedure di assunzione attualmente esistenti per i lavoratori frontalieri. Dovrà rivedere il proprio modello di welfare state non più sostenibile nella dimensione di assistenza attuale. Nonostante tutti questi vincoli, lo shopping di legislazioni straniere che la globalizzazione rende sempre più semplice ed alla portata di tutti, abbinato alla maggiore attenzione per i costi connessi agli oneri di natura fiscale, rendendo più favorevole la realizzazione di progetti industriali in determinate zone piuttosto che in altre, specie per quelli meno legati ad un territorio, potrebbe attrarre sul nostro paese con l’aiuto dell’Italia, holding di gruppi extra Ue (USA, Cina India), succursali di multinazionali interessate ad aprire loro unità operative sul territorio europeo. È noto come storicamente queste realtà scelgano sempre latitudini oltre alle Alpi. La Svizzera, il Lussemburgo, l’Irlanda e la City di Londra sono infatti le loro mete preferite. Quasi mai l’Italia. Non serve che sia io ad elencare i motivi. Nel luglio 2009 la catena americana di fast food McDonald ha spostato la sua sede europea da Londra alla Svizzera, dove beneficiava di un regime fiscale più blando. Questa decisione ha consentito a McDonald di sottrarsi all’aumento di imposte entrato in vigore in quell’anno nel Regno Unito. La nuova legge fiscale britannica avrebbe comportato per McDonald un raddoppio delle imposte sui diritti di proprietà intellettuale. In questi ultimi anni, parecchie società americane, tra cui Procter & Gamble, Google, Yahoo e l’editore di videogiochi Electronic Arts hanno traslocato le loro attività dal Regno Unito alla Confederazione Elvetica. San Marino potrebbe soddisfare le proprie modeste esigenze di bilancio e di occupazione, semplicemente con una decina di succursali di multinazionali combinate a qualche banca di profilo internazionale. San Marino potrebbe anche essere utile a riavvicinare all’Italia capitali italiani che nel perfetto rispetto delle regole comunitarie hanno scelto centri finanziari evoluti come il Lussemburgo, Londra, e l’Irlanda per creare fondi d’investimento alternativi o con passaporto comunitario, per creare quindi le fabbriche di alcuni prodotti finanziari ed assicurativi e collocarli o distribuirli attraverso le controllanti italiane sui loro mercati di riferimento. Insomma fra San Marino e l’Italia si potrebbe veramente realizzare una collaborazione che gli anglofoni definirebbero win win dove entrambi si vince. Si vince perché San Marino si trasformerebbe in un generatore indiretto di opportunità specie per le regioni limitrofe, dalle quali potrebbe essere reclutata quella manodopera specializzata che la statistica fa si che fra i 32.000 residenti non sempre sia reperibile. Oppure potrebbe attrarre quelle imprese straniere che creando delle unità produttive a San Marino potrebbero anche sfruttare l’elevata qualità dei terzisti italiani specie nel settore dell’abbigliamento e della moda più in generale. (Es. stilista belga con finanziatore francese Olivier Theyskens). Hanno sfruttato il vantaggio di un fisco a la burocrazia di RSM abbastanza competitivi (circa il 20%) abbinandoli alla possibilità di effettuare alcune lavorazioni presso laboratori produttivi qualificati del distretto marchigiano. Questi esempi potrebbero essere molto numerosi. La loro concretizzazione sarà subordinata però alla normalizzazione dei rapporti, soprattutto dipenderà dal fatto che l’Italia inizi a considerare finalmente San Marino un’opportunità e non un fastidio, un alleato e non un problema. In caso contrario anche gli sforzi compiuti e che compirà verso modelli economici maggiormente trasparenti, non potranno che produrre risultati marginali e San Marino rimarrà sempre con un sistema economico su cui diffidare. Antonio Valentini 

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