MODIANO, Renzo. - Italianistica Ultraiectina

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MODIANO, Renzo. - Italianistica Ultraiectina
MODIANO, Renzo. ‘Istanbul e la mia famiglia’. Ebrei migranti: le voci della diaspora, a cura di Raniero Speelman, Monica Jansen e Silvia Gaiga. ITALIANISTICA ULTRAIECTINA 7. Utrecht: Igitur Publishing, 2012. ISBN 978‐90‐6701‐032‐0. RIASSUNTO Ho un motivo più di altri per essere qui oggi. Mio padre, Saul Modiano, era nato nel 1899 a Salonicco, allora parte dell’Impero ottomano. Le sue due sorelle, più grandi di lui, invece, erano nate qui, a Istanbul, che loro chiamavano Costantinopoli. Ho ancora alcuni – pochi – lontani cugini qui a Istanbul. Mio padre mi ha parlato della Turchia e delle guerre dei Balcani di circa un secolo fa, che furono combattute anche a Salonicco, sotto le finestre di casa sua. Lui era italiano (per il trattato delle Capitolazioni, dopo la guerra di Crimea) perché suo nonno aveva lasciato Livorno per aggiungersi alla fiorente comunità ebraica che viveva nell’impero turco. © Gli autori Gli atti del convegno Ebrei migranti: le voci della diaspora (Istanbul, 23‐27 giugno 2010) sono il volume 7 della collana ITALIANISTICA ULTRAIECTINA. STUDIES IN ITALIAN LANGUAGE AND CULTURE, pubblicata da Igitur Publishing. ISSN 1874‐9577 (http://www.italianisticaultraiectina.org). 119
ISTANBUL E LA MIA FAMIGLIA Renzo Modiano Scrittore a Milano Ho un motivo più di altri per essere qui oggi. Mio padre, Saul Modiano, era nato nel 1899 a Salonicco, allora parte dell’Impero ottomano. Le sue due sorelle, più grandi di lui, invece, erano nate qui, a Istanbul, che loro chiamavano Costantinopoli. Ho ancora alcuni – pochi – lontani cugini qui a Istanbul. Mio padre mi ha parlato della Turchia e delle guerre dei Balcani di circa un secolo fa, che furono combattute anche a Salonicco, sotto le finestre di casa sua. Lui era italiano (per il trattato delle Capitolazioni, dopo la guerra di Crimea) perché suo nonno aveva lasciato Livorno per aggiungersi alla fiorente comunità ebraica che viveva nell’impero turco. Non gli ho mai sentito esprimere sentimenti ostili verso la Turchia. Decisamente preferiva i turchi ai greci, antisemiti (i suoi parenti di Salonicco sono morti tutti durante la guerra). Diceva che i turchi erano stati tolleranti – questa è storia – e che avevano ammesso gli ebrei dappertutto, tranne che nell’esercito. Eppure un suo zio (o parente lontano) era ufficiale medico e una volta, quando era bambino, lo aveva portato con sé in un Harem perché doveva visitare una delle mogli di un alto funzionario. Aveva conservato un ricordo vivo di quello strano ambiente e delle feste che le donne gli avevano fatto. Mio padre parlava spagnolo, ma lo spagnolo del Cinquecento. La ‘lingua salvata’ di cui dice Canetti e quando incontrava degli spagnoli questi, stupiti, gli chiedevano da dove venisse. Per esempio, lui diceva ijo (figlio) in cui la pronuncia era priva dell’attuale Hota. Ma le lingue per gli ebrei del Mediterraneo sono sempre state come le ciliegie: una tira l’altra. Devo raccontarvi un episodio esemplare: negli anni Cinquanta passò per Roma, dove io sono nato, una cugina di mio padre proveniente da ‘Costantinopoli’. Era diretta ad Abano per fare delle cure termali. È stata ospite nostra per due giorni e al suo arrivo non sapeva una parola di italiano. Dopo tre settimane – lo giuro – quando ripassò per Roma, parlava l’italiano. Io non volevo crederle, mi sono fatto giurare che non aveva simulato, all’andata, ma lei mi disse, come fosse stata la cosa più naturale del mondo, che conoscendo lo spagnolo, il francese, l’inglese e il tedesco, oltre al greco e, ovviamente, al turco, le era venuto naturale apprendere la nostra lingua. Io non potevo crederci. Ancora, a proposito di lingue e degli ebrei del Mediterraneo, nel 1912 era scoppiata la guerra tra l’Italia e la Turchia, così gli interessi diplomatici dell’Italia li curava la Germania. Mia nonna, lasciando Salonicco con mio padre e le sue sorelle, era munita di passaporti tedeschi. Giunti a Napoli, un commissario li ricevette e chiese il perché di quell’anomalia essendo loro italiani. Mia nonna spiegò e il 120
commissario comprese, ma poi, rivolgendosi ad una della mie zie, usò lo spagnolo. Il commissario, un po’ irritato, di nuovo non comprese. “Questo è spagnolo”, disse. Allora, brevemente, la zia cercò di raccontare della cacciata dalla Spagna. Insomma, di spiegare quell’altra anomalia. Ma non era finita lì, perché a qualcuno di loro scappò anche di dire qualcosa in francese, che tutte le persone di buona famiglia usavano e quindi anche loro lo facevano comunemente. A quel punto il commissario esplose, premette tutti i bottoni e chiamò i suoi intorno a sé e disse più o meno queste parole in napoletano: “Guagliò, ascoltate, venite accà, chisti so’ italiani, ma tengono o’ pasciaporto tedesco, parlano lo spagnolo perché so ebbrei e pure il francese perché dicono che lo parlano tutti. Meno male che sanno anche l’italiano. Io nun mi ci raccapezzo chiù!!!” Mia madre, invece, era nata a Roma, ma per provare l’attaccamento di mio padre a Istanbul, fece il viaggio di nozze seguendo il percorso dell’allora Orient‐
Express, e lo concluse qui. Mio padre era tornato in Italia, per restarci, nel 1917. A Roma, dove aveva completato i suoi studi e conosciuto mia madre. Così la mia famiglia (ho un fratello e una sorella) si è formata li. Con noi è vissuta una sorella di mio padre che, a Salonicco, era rimasta vedova con una figlia, Ivonne (1921) e un figlio, Marco (1923). Noi, in famiglia, parlavamo italiano, ma sono cresciuto col suono nelle orecchie di mia zia che si esprimeva con le amiche in una sorta di esperanto composto da parole italiane, francesi, spagnole e persino greche e turche (Ikscirì, sutlatch, lochum… e altre che ho dimenticato). Nel 1938, a seguito delle leggi raziali, Marco è andato in ‘Palestina’ e ha fondato dei Kibbutz che oggi sono città (Revivim, Rishon Le‐Zion). È tornato dopo la guerra per rivedere la madre e per assistere la sorella, che, purtroppo, aggredita di nuovo dalla TBC da cui era guarita prima della guerra, è morta nel 1946. Poi, è tornato in Israele per combattere nel 1947‐48, ma alla fine si è stabilito a Roma dove vive tuttora. È il “Marco dalle mani d’oro”, che Joel de Malach cita a pagina 122 del suo libro: “Dal Campanile di Giotto ai pozzi di Abramo”, come ho appreso, proprio qui, da Vigevani col suo intervento. Le vie degli ebrei sono tante, ma si incontrano tutte, prima o poi, vien da dire. Da Marco ho appreso tutto sulla nascita dello Stato di Israele e quando ho visto il film EXODUS ho rivisitato molti dei suoi racconti. Altro ho appreso quando, per circa un anno, ho lavorato con Ada Sereni per l’Associazione Italia‐Israele. Questo sulle mie origini di ebreo della Diaspora mediterranea. Come scrittore, spenderò due parole sul mio testo Di razza Ebraica (nella mia pagella dell’anno scolastico 1942‐43, così era scritto e in rosso) in cui racconto – dopo più di sessant’anni – le vicende della mia famiglia durante i nove mesi di occupazione di Roma da parte dei tedeschi. Di quel periodo – avevo sette anni – ho un ricordo nitido e indelebile…. un film, che – mi sono accorto alla penultima delle circa venti volte in cui ho messo mani al testo – ho sempre visto in bianco e nero. Nessun romanzo che ho scritto mi ha fatto faticare tanto. Eppure, i fatti sono quelli e non li ho cambiati mai, ne ho solo eliso ogni volta qualche dettaglio di troppo, che subito era affiorato alla mia mente. Racconto di come noi ci siamo salvati quasi tutti per l’intelligenza e le 121
conoscenze che mio padre aveva facendo parte della Delasem. Perciò era al corrente del fatto che i tedeschi uccidevano gli ebrei (avvertì tutti quelli che incontrò, ma quasi nessuno gli diede retta, purtroppo). Ma noi ci siamo salvati grazie all’aiuto di brava gente, onesta e disinteressata. Ho sentito di pagare un debito d’onore facendo i loro nomi nel libro. Però ho anche visto vendere mio zio che poi è finito ad Auschwitz, venduto per 5.000 lire. Questo libro ha ottenuto un premio e da due anni è incluso tra i testi (facoltativi) di lettura per le scuole medie. Ma di ciò che riguarda noi oggi non voglio dire altro, perché le vicende della mia famiglia sono solo una minuscola goccia nell’oceano della Shoah. E sono anche vicende ‘relativamente’ fortunate. Voglio dire invece come il destino talvolta dipenda dal caso, o al contrario, dalla lungimiranza delle persone. Trarrò due episodi in merito alla tragica retata di ebrei romani il 16 Ottobre del 1943. Due episodi veri che ho anche riportato nel testo. Eccone il primo: a causa delle leggi razziali tutti gli ebrei di Roma erano stati schedati e nessuno, alla caduta del fascismo il 25 Luglio 1943, aveva pensato di distruggere quelle liste infami. Così, i tedeschi ne vennero in possesso e con la loro proverbiale meticolosità, avevano calcolato il numero di camion che occorreva loro per catturarli. Tutti insieme, prelevandoli casa per casa, tanti centimetri a testa avevano stimato necessari, compresa una valigia per ciascuno. Tutto era stato previsto dalle SS, ma per fortuna la Wehrmacht non fornì tutti i camion che occorrevano. Così…. il padre di un mio amico, alle sette di mattina, ricevette una telefonata :”Scappa, scappa”, gli disse qualcuno e attaccò il telefono. Lui cominciò a fare le valige e verso le 14 lasciò casa… Gli arresti erano giunti a meno di cento metri da casa sua. Ora il secondo episodio. In Ghetto viveva una donna, non troppo intelligente e perciò disistimata. La donna andava a servizio, come si diceva allora, da un sottufficiale dei carabinieri, che, credo non a caso, aveva fatto trapelare che l’indomani ci sarebbe stata una ‘retata’ di ebrei. La poveretta corse in Ghetto e urlò verso le finestre degli ebrei (che vivevano lì da prima di Cristo) di fuggire, di nascondersi. Non le diedero retta e l’indomani…. Un paio di anni fa ero al telefono con mia sorella e lei mi disse che doveva incontrarsi con una sua conoscente che viveva in Ghetto e che il 16 ottobre si era salvata. Stupito, le chiesi: “Ma come ha fatto a salvarsi se viveva in ghetto?” e mia sorella, laconicamente, mi ha risposto: “Perché ha dato retta alla matta e quella notte si è nascosta in una grotta, che esiste ancora vicino al quartiere ebraico, sotto il Campidoglio”. A quella retata, e ai bambini che vi sono finiti e al loro viaggio verso Auschwitz, dedico delle pagine nel mio libro, evidenziate rispetto a quelle in cui parlo di me e dei miei parenti. Mi è parso giusto parlarne oggi a voi. Oggi che si parla degli ebrei del Mediterraneo. Perché Roma si affaccia sul Mediterraneo. 122