Cinzia Montagna, giornalista enogastronomica La situazione del

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Cinzia Montagna, giornalista enogastronomica La situazione del
L’industria Italiana alimentare e la certificazione kosher, l’esperienza del vino, e nei prodotti trasformati
"Rispondiamo ad un’Autorità superiore, fidatevi di noi, siamo kosher” dichiara la voce di uno spot tv mentre
lo Zio Sam trangugia un hot dog di una nota marca kasher, uno scherzo che, nel tempo, si è tradotto in un
business di miliardi, sulle spalle di poveri animali torturati e sofferenti. Un numero sempre crescente di non
ebrei mangia carne e altri prodotti kosher che, per la falsa pubblicità, sono sinonimo di cibo sicuro e di
qualità, e sembra che la produzione abbia raggiunto proporzioni gigantesche del mercato; anche in Italia il
kosher mira ad ampliarsi con il marchio made in Italy kosher.
Cosa nasconde questo boom e cosa è oggi, veramente, il cibo kosher, considerato da molti sinonimo di
“sicurezza alimentare” e “cibo puro e di qualità” e, per questo, venduto ad un mercato sempre più vasto di
non ebrei a prezzi gonfiati?
Cominciamo con il dire che la stessa Compagnia dello slogan è stata denunciata e citata in giudizio da alcuni
consumatori che sostengono che la carne prodotta non è kasher e ciò significa che il marchio kosher non è
né oggettivo né sicuro e che il rabbino non garantisce nulla sul benessere degli animali, sulla sanità del
prodotto, sulla pulizia degli stabilimenti, sul trattamento dei lavoratori, sul gusto e sulla qualità, per le quali
cose sono necessarie altre certificazioni riconosciute da terze parti indipendenti. Inoltre, certe pubblicità
che usano Dio come certificatore sono sleali perché vogliono indurre il consumatore a credere che la carne
kasher sia migliore di quella non kasher sotto l’egida divina che avrebbe a cuore la bontà solo di alcune
produzioni.
Ahinoi, non vi è nulla di puro, di sacro e di sicuro dietro alla dichiarazione kasher di prodotti di animali
provenienti da allevamenti industriali (allevamenti-lager), animali-macchine da produzione che vivono solo
per assicurare un business economico gigantesco. Nulla di puro e di sacro nelle uova kasher prodotte dalle
ovaiole stipate in batterie in uno spazio inferiore ad un foglio; nella carne dei boiler, i polli cresciuti
forzatamente in poche settimane e macellati all’età di 42 giorni; nei formaggi kasher proveniente dal latte
di mucche fistulate, cioè con un buco di 10-15 centimentri praticato nell'addome e mantenuto aperto,
eseguito per massimizzare la produzione dell’animale vivo; nulla di sacro nel fegato d’oca, l’organo
ammalato di un animale torturato e ingrassato artificialmente o nella carne di vitello, reso artificialmente
anemico e costretto all’assoluta immobilità per assicurare la carne bianca; nulla di sacro e di puro nei pesci
che vengono allevati in vasche sovraffollate e nei loro escrementi fino ad impazzire. Nulla di sacro, appunto,
ma affari d’oro per un mercato in espansione che cresce florido e vigoroso sulle spalle di animali che vivono
nella sofferenza, privati della dignità e torturati, ma, intendiamoci, senza l’autorizzazione di Dio.
Il mercato in espansione del kosher si basa su pubblicità a volte anche ingannevoli. Vero è che kosher è
una certificazione perché non si basa su un unico ente terzo che ne certifica la produzione secondo
normative ufficialmente e universalmente riconosciute. Non è vero che kosher è maggiore garanzia di
trasparenza perché, per legge, gli ingredienti devono sempre essere riportati sull’etichetta. Non è vero che
kasher è sinonimo di qualità e sicurezza, visto che la carne e il pesce provengono dagli stessi stabilimenti
industriali che forniscono prodotti non kasher. Non è vero che i prodotti kasher a base di latte sono
destinati ai vegetariani, pubblico attento alla sofferenza degli animali, perché latte, formaggi e uova sono
prodotti di animali che soffrono negli allevamenti intensivi. Non è vero che i prodotti kosher passover
(kasher le pesach) sono validi per i celiaci, come spesso pubblicizzato, perché le matzot, il cibo principale di
pesach, contengono farina e glutine e dunque non sono cibo adatti ai celiaci. Non è vero che è il kosher è
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sinonimo di purezza perché gli animali che soffrono non dovrebbero mai essere dichiarati kasher. E,
specialmente, non è vero che il Creatore garantisce tutto questo ripugnante business kasher.
Tuttavia, L’Industria Alimentare Italiana – SI PRESENTA A Consuntivo 2013 con dei dati impressionanti

Fatturato 2013 € 132 Mld (+1,5%)
– E’ il 2° settore manufatturiero in Italia: insieme con l’agricoltura,
l’indotto e la distribuzione, l’Industria alimentare è l’elemento centrale
del primo settore economico del Paese.
– L’Industria compra e trasforma il 72% delle materie prime agricole
nazionali.

Export 2013 € 26,2 Mld (+5,8%)
– L’Industria è generalmente riconosciuta come l’ambasciatrice del Made
in Italy nel mondo considerando che quasi l’80% dell’export
agroalimentare italiano è rappresentato da prestigiosi marchi industriali.

Import 2013 € 19,4 Mld (+4,1%)
– Bilancia commerciale 2013 € 7 Mld (+14,5%)

6.845 aziende con più di 9 addetti nel 2013
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EXPORT 2013
Composizione dei prodotti Tot Export 2013: 26,2 Mld di Euro
( elaborazioni e stime di Federalimentare su dati Istat)
I PRIMI 5 SETTORI:
Vini, Mosti, Aceto
Dolciario
Trasf. Frutta-Ortaggi
Lattiero- Caseario
Pasta
21%
12%
12%
9%
8%
ALTRI SETTORI
Oli e grassi
Carni Preparate
Caffè
Altri
7%
5%
4%
21 %
EXPORT 2013 PRINCIPALI PAESI: TOT. EXPORT 2013 : 26,2 Mld di €
Germania
Francia
Usa
UK
Svizzera
Austria
P.Bassi
Spagna
Belgio
Giappone
18%
13%
11%
9%
4%
3%
3%
3%
3%
3%
QUALITA’ DEGLI ALIMENTI
I regolamenti per la “Food safety”
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Tutto ciò che riguarda il processo alimentare viene attentamente disciplinato, in un
controllo di filiera che parte dalla coltivazione (e/o alimentazione e salute animale)
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fino alla fase di produzione o trasformazione degli alimenti.
“Pacchetto Igiene”, composto di diversi Regolamenti:
– • Reg. 852/2004 - igiene dei prodotti alimentari;
– • Reg. 853/2004 - igiene per gli alimenti di origine animale;
– • Reg. 854/2004 - controlli ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al consumo
umano;
– • Reg. 882/2004 - in materia di mangimi ed alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere
degli animali.
Regolamenti Europei sulla food safety :
– Regolamento (EC) n. 1829 e 1830/2003 – cibi e mangimi geneticamente modificati
– Regolamento (EC) n. 1935/2004 e n. 2023/2006 – per materiali e attrezzature che entrano in
contatto con i cibi (riprende le Direttive 80/590/EEC e 89/109/EEC)
– Regolamento (EC) n. 183/2005 - requisiti di igiene per i mangimi
– Regolamento (EC) n. 1331, 1332, 1333 e 1334/2008 – autorizzazioni per additivi, enzimi e
aromi alimentari
Focus sulla produzione alimentare Bio, Kosher e Halal
A) Analisi dei segmenti
B) Valore delle certificazioni
C) Potenziale export
Premessa metodologica -Bio-Kosher-Halal
Difficoltà di reperire dati sul valore della produzione alimentare industriale
– Scarsa o difficile tracciabilità delle certificazioni religiose
– Numerose fonti non concordanti
– Solo per il Bio ci sono dati più dettagliati e attendibili, sebbene parziali, sulle produzioni “industriali”
(GDO e retail specializzato)
Spesso le stime aggregano il prodotto industriale con il
prodotto fresco e la produzione agricola
– Talvolta le stime aggregano anche il settore della cosmetica,
– Servirebbe un migliore sistema di tracciabilità dei prodotti al fine di elaborare politiche promozionali
mirate e strategia di marketing consumer-oriented
QUALITA’ E CERTIFICAZIONI : BIO-KOSHER-HALAL
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La presenza delle certificazioni NON aumenta la qualità del prodotto ma gli attribuisce delle
caratteristiche aggiuntive in termini di:
Salubrità percepita dal consumatore: Maggiore attenzione al metodo di produzione
Attenzione verso il consumatore: Considerazione delle esigenze Etnico-religiose (Kosher, Halal)
Naturalità degli ingredienti: Assenza o riduzione dell’uso di sostanze chimiche (Bio)
ALCUNE CURIOSITA’
BIO: analisi del segmento
_________________________
Mercato interno = € 2, 2 Mld
– Produzione bio industriale (GDO+Retail)= € 1, 56 Mld
– Altro (Ristorazione+Altri canali) = € 0,62 Mld
Export = € 1,2 Mld
Aziende Bio di trasformazione = 2.000 con più di 9 dipendenti
Principali Paesi di destinazione:
NORD EUROPA – Austria, Svizzera, Germania, Francia, Gran Bretagna
NORD AMERICA – USA e Canada
KOSHER: Analisi del segmento
Mercato interno = € 0,3 Mld (stima)
– Il valore stimato comprende tutti i canali (trasformazione industriale+prodotti agricoli+altro)
Export = € 0,34 Mld (stima)
Aziende certificate Kosher = ca. 200
Principali Paesi di destinazione:
• USA 40% (solo il 20% consumatori per motivi religiosi, il resto per controllo e salubrità)
• Israele 15%
• Francia 10% e Resto d’Europa 25%
HALAL: Analisi del segmento
Le fonti sono molto eterogenee e le stime sono poco attendibili
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– Secondo il MAE, il mercato potenziale (consumi nazionali+export) è di € 3 Mld
Aziende certificate Halal = ca. 180 (3.500 prodotti)
Principali Paesi di destinazione:
• Europa – 38 milioni di musulmani
• Sud-est Asiatico – specialmente Indonesia e Malaysia
• Mondo Arabo (fascia alta)
Valore delle certificazioni, volano di crescita
Le certificazioni Bio, Kosher e Halal sono percepite come elementi caratterizzanti la qualità del prodotto
– Garanzia per il consumatore
Conferiscono un valore aggiunto al prodotto
– Leva di marketing e vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti
– Il costo della certificazione rappresenta pertanto un investimento sul prodotto da esportare
Le certificazioni religiose sono spesso necessarie per l’esportazione nei paesi in cui si pratica il relativo
culto
– Occorre verificare l’accreditamento del certificatore nel paese target
Sono sempre più numerose le imprese italiane che, nel rispetto delle regole ebraiche, certificano i loro
prodotti. Secondo AL food & grocery – Il 78% dei 35.000 ebrei residenti in italia rispettano le regole della
kasherut. Infatti sono sempre più numerose le aziende che hanno certificato parte della loro produzione
per consentire alle persone di religione ebraica e non come molti vegetariani di alimentarsi secondo i
dettami del loro culto: da Sagit, che con i suoi gelati Algida (ovvero quelli prodotti a Galvano, in provincia di
Napoli) a Mulino Bianco e Pavesi (in produzione nello stabilimento di Novara), che offrono diverse specialità
sia dolciarie sia da forno. Pure i prodotti tipici, come per esempio l’aceto balsamico di Modena Acetum di
Mazzeti, che ne produce 120mila litri all’anno con ingredienti super visionati dal rabbino per i mercati esteri
(80% Usa, 15% Israele, 5% Francia).
Tra le ultime aziende che hanno ottenuto la certificazione Kasher vi è tutta la gamma di yogurt omogeneo
di Sitia Yomo, come certificato dal Tribunale rabbinico di Milano, con validità fino al maggio 2004. Perché
un prodotto sia certificato Kasher è necessario che soddisfi rigorosi standard di qualità e che tutte le fasi
produttive siano conformi alle leggi del Kasheruth. Il rispetto di queste regole è verificato periodicamente
da esperti sul luogo di produzione e la certificazione (che ha una scadenza e va periodicamente ripetuta)
può essere revocata in qualsiasi momento.
Conclusioni: Potenzialità per l’export
 Enorme bacino di consumatori potenziali in Italia
 Nord Europa e Nord America mercati con maggiori potenzialità di assorbimento
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Le certificazioni Bio, Kosher e Halal possono costituire degli strumenti di successo per aprire
nuovi mercati di sbocco per l’impresa
La convenzione con il MISE prevede la realizzazione di workshop all’estero presso le principali
fiere dove almeno due delle certificazioni sono valorizzate
Biscotti, cioccolato, bevande, acque, condimenti, dentifrici, cosmetici, dolci, spezie, formaggi: la lista
potrebbe continuare ancora molto, ma l’importante è rendere l’idea della variegata galassia alimentare
(e non solo) italiana che ha iniziato a esplorare con sempre maggior convinzione le opportunità offerte
dalla certificazione kosher dei propri prodotti.
Sono infatti sempre di più le aziende che nel nostro Paese decidono di far certificare i propri alimenti
dal rabbinato italiano e il trend è in continua crescita. Il kasherut è un termine ebraico che indica le
regole alimentari contenute nella Bibbia e da cui deriva la parola kosher (adatto, conforme,
opportuno). Parola che in yiddish, la lingua degli ebrei dell’Europa dell’Est, è diventata kosher. “Si tratta
di un fenomeno in aumento – ha spiegato il coordinatore di Italy Kosher Union, Piha Meyer, perché le
aziende, soprattutto le grandi industrie alimentari, hanno sentito la necessità di raggiungere un
mercato che, soprattutto in alcuni Paesi, è di dimensioni rilevanti”.
Il kosher in Italia, ha spiegato Meyer, è infatti un settore numericamente piuttosto limitato, di nicchia,
“mentre il made in Italy è conosciuto in tutto il mondo e tutti i consumatori nel mondo hanno desiderio
di poter disporre di prodotti di qualità che siano garantiti”. Di riguardo, in particolare, il mercato
statunitense, dove nel 2004, secondo il sito marketing Largo Consumo, il kosher ha subito un
incremento di oltre il 12,5 punti percentuali e più del 40 per cento della dry grocery è certificata kosher,
con oltre 9.500 società e 58mila articoli sotto supervisione.
“Per l’industria italiana sarebbe un’ulteriore opportunità di crescita dell’export, non solo negli Stati
Uniti, ma anche in Israele e in molti altri Paesi. Per questo credo, ha sostenuto Meyer, che sia
importante incoraggiare le aziende nazionali a certificare i propri prodotti”. Il fenomeno non è
certamente solo italiano, ma interessa tutta Europa e tutti i prodotti alimentari, con riguardo anche e
soprattutto alle novità e alle mode culinarie: tempo fa, ad esempio, dalla Francia è giunto il sushi
kosher, alimento che sta riscuotendo sempre maggior successo per la sua vena esotica.
Discorso a parte merita poi il vino, settore in cui sono soprattutto le piccole e medie realtà ad
esprimere maggiori interessi: oggi diverse cantine italiane producono vini kosher. Una bottiglia italiana
è quasi un marchio di garanzia all’estero. Perciò legare made in Italy a certificazione kosher apre
maggiori porte per le esportazioni di queste cantine. Il più grande mercato di sbocco, anche in questo
caso, è quello Usa. Il trend è sicuramente positivo ed è legato alla crescita delle esportazioni italiane in
generale: più si vendono vini italiani, più si espande l’export kosher.
Una scelta strategica per chi esporta qualità: Olio, vino, pasta, pomodori: in molti paesi la certificazione
aiuta a vendere
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A testimonianza che la certificazione Kosher è un biglietto da visita per le esportazioni che sempre più
aziende italiane si convincono a inserire nel proprio portafogli, l’intensa attività di diverse società che
anche nel nostro paese offrono questo tipo di servizio. Un’azienda agricola lombarda dovrebbe essere
interessata alla certificazione Kosher, piccole e grandi, produttrici o trasformatrici, che vogliano
prendere in considerazione l’idea di rendere più efficace la loro presenza su alcuni importanti mercati
esteri. Gli Stati Uniti, in questo caso, rappresentano l’esempio più concreto e, per le aziende italiane,
sono portatori di un doppio valore aggiunto. Innanzitutto per la vastità dell’area, la presenza di milioni
di persone che seguono la religione ebraica e di altrettanti che identificano i prodotti certificati kosher
come sinonimo di prodotti salubri e di qualità, indipendentemente dalle loro idee confessionali. Il
secondo valore aggiunto è insito nell’immagine del prodotto italiano, che in quel paese è ovviamente
rispettato, conosciuto e apprezzato. Tanto per capire, negli Stati Uniti ci sono catene della grande
distribuzione che vendono i loro prodotti di marchio (quelli che da noi sono i prodotti Coop, Carrefour
ecc.) con tanto di certificazione Kosher…
È ovvio che il Kosher in Italia, seppur in costante crescita, rimane un settore di nicchia, per il quale è
necessaria ancora un grande sforzo di comunicazione. Spesso, infatti, si rivolgono a noi aziende attirate
dalla prospettiva del business, magari basata sul passaparola, che poi dimostrano di non avere le idee
chiare o reali esigenze rispetto alla certificazione. Se invece le caratteristiche dell’azienda e dei prodotti
ben si adattano alla penetrazione in mercati molto ricettivi rispetto alla certificazione, allora questa
scelta diventa strategica. Potrei citare aziende che hanno sistemato il bilancio annuale dopo essersi
certificate. Altre che sono letteralmente uscite dal baratro della crisi. È chiaro che non consiglierei di
certificarsi a ogni costo al titolare di un’azienda che magari produce biscotti anonimi che negli Stati
Uniti non possono diventare competitivi solo per il fatto di essere kosher. Chi produce “Made in Italy”
come pasta, vino, olio, conserve, può invece guardare a questa opportunità con grandissimo interesse,
contando anche sul fatto che certificare un prodotto agricolo primario non è complesso come fare
quest’operazione per un prodotto industriale che prevede una complessa miscela di ingredienti. La
nostra seppur giovane storia è piena di casi di successo tra le aziende che abbiamo seguito. Clienti che
si sono fidelizzati, instaurando con noi rapporti e richieste di servizi che continuano negli anni.
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