il samurai – le vie solari del guerriero - S.K.I.

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il samurai – le vie solari del guerriero - S.K.I.
IL SAMURAI – LE VIE SOLARI DEL GUERRIERO
1. Il Samurai ed il Bushidō
Il Giappone è un Paese che vanta un tradizione guerriera lunga ed interessante. Interprete di questa
tradizione è la figura del cavaliere dell’antico Giappone: il samurai. È intrepido, l’archetipo del
guerriero individuale. È un esteta, che apprezza la bellezza del fiore di ciliegio, ravvisando nella sua
breve durata la propria vita altrettanto breve. Interpreta bene questo concetto un antico adagio
sottoriportato:
“HANA WA SAKURA GI
HITO WA BUSHI”
tra i fiori il ciliegio,
tra gli uomini il guerriero
Tale adagio ricorda l’analogia tra il fiore di ciliegio (sakura) e il bushi ad indicare l’eccellenza e la
nobiltà dei due.
Il ciliegio è l’emblema radioso della primavera, il segno del ritorno della vita e della vittoria della
dea solare. La forza della terra si rivela come bellezza, purezza e fragranza nell’azzurro del cielo.
Così la potenza del guerriero non si rivela come peso brutale e travolgente, ma con la purezza ed il
candore dei sentimenti del cuore.
La delicatezza del fiore esprime il non attaccamento; dopo avere annunciato la primavera il fiore di
ciliegio si lascia trasportare dal vento. La vita del bushi è bella ed effimera come solo i fiori più
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belli sanno essere. La morte è come il vento che distacca i fiori dai rami per cospargerne i prati, le
acque, i torrenti. Non vi è nulla di tremendo nel vento di primavera: viene dall’azzurro e luminoso
mistero del cielo, annuncia la vita. Il bushi apprese a considerare la sua morte come il vento di
primavera: egli va da mistero a mistero, da Vita a Vita ed è cosciente di questo andare nel suo breve
passaggio primaverile sulla terra degli uomini.
Il samurai può, a seconda dei casi, essere il capo di armati sul campo di battaglia, l’assassino nella
notte, il custode della pace, l’aristocratico amministratore, il vendicatore del proprio signore. I
samurai svolsero tutti questi ruoli nelle diverse epoche della storia giapponese. Nati come élite
militare, furono dapprima guerrieri tribali; all’apice del potere della famiglia imperiale furono
brevemente messi da parte, poi lentamente cominciarono a dominare la burocrazia civile che gli
Imperatori avevano conservata. In ogni caso, pur modificando la propria posizione ed il proprio
ruolo durante le diverse fasi della storia del loro Paese, i samurai fino alla fine del XIX secolo,
furono gli amministratori dell’impero, con una organizzazione di tipo feudale. È tra il IX e l’XI
secolo che la parola samurai (letteralmente “coloro che servono”) divenne di uso comune.
Il significato della parola è graficamente espresso dal suo ideogramma (v. sotto), formato dal
radicale di “persona” e dall’ideogramma di “tempio (buddista)”; il tutto oltre a pronunciarsi
“samurai” può anche essere letto “ji” (da cui “ji suru” = servire).
Spesso come sinonimo di samurai si usa il termine bushi che è scritto da due ideogrammi: “bu” e
“shi”. Il primo esprime il concetto di “guerriero” ed è a sua volta composto dal segno di “alabarda”,
“lancia” e dall’ideogramma “toma(ru)” che significa “dominare”, “fermare”; si ha dunque l’idea
dell’”alabarda/lancia che soggioga”.
“Shi” è un termine che sta per “gentiluomo, cavaliere, la classe sociale dei samurai”, quest’ultima a
costituire la prima delle quattro classi in cui si divideva la società giapponese: “Shi – Hō – Kō –
Shō” (militari – contadini – artigiani – mercanti).
Dal termine “bushi” deriva quello di “bushidō” (v. sotto).
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Il terzo ideogramma si legge “dō” ed anche “tō” e “michi” ed indica la Via. La designazione
“bushidō” risale al periodo Tokugawa (1603 – 1867); la designazione primitiva sembra essere stata
quella di “kyū ba no michi” (via dell’arco e del cavallo). In ogni caso l’essenza del “bushidō” non fu
mai l’ arte del combattimento, che forma l’indispensabile supporto tecnico della Via. Il “bushidō”,
proprio in quanto Via, presuppone l’esistenza di una visione del mondo, di un “cuore” (da cui:
“bushidō no kokoro”) che si traduce nella pratica di una via ascetica propria del guerriero.
Il bushidō ha però inizio con il periodo Kamakura (1185 – 1336) che vede l’inizio del feudalesimo
e la diffusione dello Zen, introdotto dalla Cina nel periodo Asuka (552 – 710).
Durante il periodo Kamakura le due grandi vie di realizzazione furono quella del monaco e del
guerriero. Non di rado esse confluivano. Il guerriero (bushi) alla morte del proprio Signore spesso si
ritirava, come monaco, in un monastero, sempre che non preferisse praticare il rito del seppuku.
Questo, detto anche, “junshi o otomobara” (morire seguendo) consisteva nel taglio del centro vitale
(“hara”) al fine di precedere il proprio Signore “nello stretto sentiero dell’aldilà”.
Un caso di celebre guerriero divenuto monaco è quello di Miyamoto Musashi (il più grande maestro
dell’arte della spada, vissuto tra il 1584 e il 1645, ritiratosi in meditazione all’età di sessanta anni in
una grotta dove scrisse il famoso “Libro dei cinque anelli”).
Esistono, d’altro canto, esempi di monaci che seguivano la Via con le armi in pugno, come gli
Yamabushi (“Guerrieri della Montagna” della setta buddista Tendai).
Lo Zen con la dottrina della “non mente” (mushin) fornì il supporto ascetico alla via guerriera, per
cui si poté parlare di “Zen to bushi” (Via dello Zen e del Guerriero). L’esperienza ultima dello Zen,
l’illuminazione (satori) è il punto in cui convergono le vie, diverse ma pure complementari, del
monaco e del guerriero.
Occorre, pertanto, che il guerriero sia interiormente monaco e che l’attitudine interiore sia quella di
chi si dispone ad un contatto con il Sacro.
Con il periodo Tokugawa (caratterizzato da circa 250 anni di pace) iniziò l’influsso delle teorie
confuciane sul bushidō: Kōshi to bushi (Via di Confucio e del Guerriero). La lunga pace propiziò
l’approfondimento del bushidō come “Via dello Spirito”. Il Confucianesimo educò l’irruenza del
guerriero armonizzandola con il culto delle lettere e delle arti, sottolineando la necessità di tradurre
in azione la dottrina e proponendo al bushi l’impegno primario dell’assoluta consequenzialità tra
pensare ed agire. Pose le basi della formazione guerriera nella disciplina del cuore: si pensa e si
agisce in base a ciò che si è.
L’ultimo periodo storico del bushidō si apre con l’epoca Meiji (1472 – 1592) con la quale avviene
la Restaurazione ed iniziano, per il Giappone, i tempi moderni. L’inizio dell’epoca Meiji coincide
con il declino del bushidō in seguito al crollo dell’”epoca della nobiltà guerriera”, durata quasi otto
secoli. Dal punto di vista religioso il Giappone tornava alle origini della sua tradizione imperiale
dello Shintō (la religione autoctona giapponese).
2. L’armatura: segno distintivo dei Samurai
Dato lo “status” militare dei samurai, le armi e le armature sono sempre state considerate come
importanti simboli di potere e di condizione sociale.
Oltre alle due spade, vero e proprio simbolo ed anima del samurai, la base dell’abbigliamento
militare all’epoca era l’armatura.
La maggior parte di quelle conservate, pur fornendo un’idea molto chiara dell’aspetto del samurai
sul campo di battaglia, sono relativamente moderne e non destinate ad essere indossate in battaglia.
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Le armature hanno subito, nell’arco dei secoli, diverse evoluzioni, evidenziate dal confronto dei
rari esemplari del XII secolo (caratterizzati dallo stile detto “ō–yoroi”, letteralmente “grande
armatura”), con quelli più moderni del XVII secolo che appaiono simili alle armature europee,
tranne che per l’uso della lacca e della maschera facciale.
La figura sottostante illustra i principali elementi costituenti un’armatura usata dai samurai.
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3. Il Samurai: le arti marziali e il bushidō
Già all’epoca dei samurai si ebbe uno sviluppo di quella serie di arti marziali, giunte sino a noi con
il termine collettivo di “budō”. Arti marziali quali il kendō (scherma) e lo iaidō (sguainare la spada)
hanno naturalmente origini puramente samurai. Anche il kuydō (tiro con l’arco) ha le stesse origini
e veniva considerato un eccellente esercizio spirituale, avendo numerose connotazioni Zen,
ponendo l’accento sul “modo” in cui è eseguito.
Il budō si basava su una delle virtù più importanti per il samurai, l’adattabilità (rinkiōhen): “Non ho
principi, l’adattabilità ad ogni circostanza è il mio principio”.
Le tecniche delle arti marziali vengono apprese con un lungo tirocinio per poi venire interiorizzate a
tal punto che non è più necessario richiamarle alla mente con un procedimento cosciente al
momento di usarle. È il “cuore”, al di là di ogni formulazione logica, che istantaneamente applica la
tecnica giusta al momento giusto.
L’atteggiamento mentale che consiste nel sentirsi impegnato in un duello mortale, per cui esiste un
avversario ed un soggetto che deve difendersi, riflette il dualismo tra l’”io” e l’”altro”, tra vita e
morte. Dal dualismo deriva il timore e l’odio. Quando il pensiero cessa di esistere si è nella
condizione di avere superato l’”io” cosciente e avere dunque superato il timore della morte.
Nell’”imperturbabilità” della mente c’è posto per la benevolenza, per la pietà filiale e religiosa per
cui, secondo un antico detto, poté dirsi che “l’eroe è forte come una montagna, lieve come la
brezza”.
Questa qualificazione interiore di limpida, inalterabile mente, comune sia al guerriero che al
contemplante, esclude di per sé ogni possibile confusione tra bushidō e il “mestiere delle armi”.
Nello stesso momento la disciplina ascetica alla quale il bushi si sottopone prova che nella Via del
guerriero è data la preminenza gerarchica alla contemplazione dalla quale l’azione discende.
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