MURI In TRAnSITO

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MURI In TRAnSITO
JO LATTARI - MARCO MOTTOLESE
MURI in transito
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Proprietà letteraria riservata
© by Pellegrini Editore - Cosenza - Italy
Foto di Francesco Cangemi
Stampato in Italia nel mese di settembre 2015 per conto di Pellegrini Editore
Via De Rada, 67/C - 87100 Cosenza
Tel. (0984) 795065 - Fax (0984) 792672
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I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie
fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.
Tutti voi scrivete i vostri nomi sui muri?
Certo! Escluso lui.
Tu non scrivi?
No, io non scrivo!
E perché no?
Ho qualcun altro che scrive al posto mio.
(colloqui con grafitari a New York negli anni ‘70
raccolti nel libro “The Faith on Graffiti”
di Norman Mailer)
Don’t bother to agree with me
I’ve already changed my mind!
(Non vi preoccupate di essere d’accordo con me,
ho già cambiato idea!)
Su un muro di Los Angeles
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Nota
Ti AMO COSTANZA (ma) SENZA SPERANZA
Enrico Ghezzi
Nell’ultima notte di babilonia, al grande tavolo di
nabuccodonosor e del figlio baldassarre, tra fiammate
orgiastiche e eccessi sacrileghi, si verifica un evento allarmante. Una mano appare e scrive sul muro segni che
nessuno riesce a leggere: ‘mane techel phares’. Tratto
dal carcere e portato davanti al muro, è il profeta daniele a riconoscere quei segni e a decriptare le tre parole indicandone il senso catastrofico (la misura è colma, il tiranno verrà ucciso la notte stessa e il regno sarà spartito
tra i nemici). La torre di Babele/babilonia, contigua nel
libro della Genesi con il capitolo di Noè, è l’esito suggestivo e diversamente catastrofico di un altro confronto
tra la cifra della lingua e quella del potere.
Babilonia si segnala il set più hard e nitido nella storia della comunicazione (ovvero del mondo in quanto
riconosciuto). L’enigma presto risolto e dissipato, e la
lingua unica che – punita per la sua sicurezza e per la
tracotanza espansionistica – si frantuma nei rivoli delle
diverse lingue (richiedendo poi uno sforzo di trasmissione traduzione ricomposizione. tutte figure della comunicazione che coincide in gran parte con la storia del
mondo stesso).
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Confesso (chiedendo scusa – per l’apparente siderale
distanza – ai due autori e ai lettori) che sono le prime
idee forme immagini a venirmi in mente. Né sembro
cambiare registro se dico che 2001 Odissea nello Spazio presenta nel proiettarsi sulla superficie liscia del
monolite nero una percezione intensamente ambigua
sul ruolo della scrittura (sulla losanga nera rettangolare
dello schermo una scritta bianca basta a far passare millenni e a scivolare verso mete interstellari e ultrainfinite, e il film tutto appare didascalia sublime dell’infinito,
lasciandoci per svariati minuti a luci spente di fronte al
muro nero dello schermo).
Ancora una volta si mostra la catastrofe come già avvenuta, il visibile quale replica inevitabile dei resti di
essa, con l’archeologia unica scienza possibile; e il museo vivente in cui tutti vengono educati e preparati a
morire, anzi a non-morire.
L’intero mondo, riconosciuto quale macchina residuale, va e viene, trascorrendo indifferentemente nei
due sensi e negli sguardi opposti del desiderio (dal museo verso l’esterno/dall’esterno verso il museo).
Questo traspare ovunque, anche a Cosenza. E vien
da ammirare la leggerezza con cui jo lattari e marco
mottolese hanno commentato le scritte sui muri fotografate. L’impegno di non volare, di non tradire con
l’interpretazione, di smorzare, si impenna ogni tanto
incrociandosi e ingolfandosi volutamente (lo stesso faccio io in questo preciso momento del 22 settembre 2015,
mentre scrivo ascoltando in sottofondo tv la notizia del
signor X che gira di notte in bicicletta testando l’asfalto e
il selciato della sua città alessandria, scrivendo per terra
con la bomboletta grossi avvisi in rosso o in bianco sulla
presenza di buchi pericolosi del manto stradale).
Del resto, non pare sia possibile molto altro che accettare l’anonimato che dai muri promana o che il muro
sembra aver quasi inghiottito. le scritte murali non dovrebbero arrestarsi mai, né possiamo non dire quanto
a volte un monumento non disdegni d’esser solleticato
da pennelli o matite o schizzi gassati, o non apprezzare
come una scritta possa far rivivere un luogo stravisto e
non più visto/letto da molti anni, o non perdere tempo a
sciogliere coacervi di strati e forme prodotti e rigenerati
da mani diverse e lontane.
A volte, specie nella notte di luna piena, si possono
avvertire rumori di raschiature e fruscii di scrivani, appoggiati a muri che son diventati lavagne della città o
del mondo, invisibili e fieri di non esser visti, sovrimpressi dentro il loro stesso disegno o invettiva o gioco
di parole o citazione poetica (e penso al bellissimo Passe
Muraille di aymé, bizzarro antisupereroe capace di attraversare i muri e infine bloccato dal muro che non lo
accoglie più o lo accoglie troppo definitivamente, ghermendolo e trattenendole in sé per sempre.
E non posso non tramandare la leggenda confermatissima dai miei pur miopissimi occhi.
Ti Amo Costanza ma Senza Speranza: la scritta (incerto nel ricordo non filmato se ci fosse il Ma o no) restò
per anni, attraverso diversi sindaci del periodo rutelveltroniani, su un grande ponte all’uscita di roma verso
la flaminia; più volte tentarono di cancellarla, per anni
essa ritornava identica dopo ogni spugnatura. Infine,
sparì da sola, credo per consunzione.
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Di certo, a meno che gli editor e gli editori del Mondo non vogliano imbavagliare i muri e minare i palazzi
segnalati come non (a)scrivibili, la bibbia che viviamo
ci ricorda (ma mentre trascriviamo le parole il mondo
ricomincia a disfarsi, anzi si disfa, ecco la mano – mane
thecel phares.
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Note d’autore
Jo Lattari
In principio fu Ambrosia. L’ho incrociata in un noioso sabato sera. “Non sarò mai del tutto sveglia”. Folgorante. Come il verso di una poesia o il ritornello di
una canzone che sembra parlare di te, anzi che avresti
voluto scrivere tu per quanto ti è familiare. D’istinto
butto un occhio all’angolo opposto della strada e altri
muri mi parlano con scie di fucsia e grafia inconfondibile. Sono circondata, come dopo aver varcato un confine. Quasi che Ambrosia avesse scelto il suo territorio
delimitandolo con tag e frasi criptiche. Inevitabilmente provo ad immaginarla (o immaginarlo, chi lo sa?) e
in fondo in fondo desidero incrociarla, mentre sguscia
da un vicolo per colpire ancora. Da quella sera, come
una caccia al tesoro, ho frugato tra i muri della città sorprendendomi dei tanti messaggi fino ad allora muti ai
miei occhi. A metà strada tra il semplice imbrattare e
l’esprimersi, frasi sgrammaticate o slogan impegnati si
stagliano impertinenti in location spesso improbabili.
Nulla di nuovo sotto il cielo e sopra i muri. Ad armare
la mano sono i moventi di sempre: amore, politica, rivendicazioni sociali, filosofia di strada resa talvolta più
spicciola dal dialetto del posto. Viene voglia di stanarli
questi ignoti graffitari per vedere di nascosto che effetto
gli fa. Perché proprio quel muro? E avevi paura che ti
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beccassero? Vivi ancora in città? E com’è passeggiare e
ri-leggersi? Non posso non citare una biondissima adolescente che ha fulminato me e Ciccio Cangemi mentre
fotografavamo un enorme “JENA TI AMO” su un marciapiede. “Siete della polizia?” “No, lavoriamo ad un
libro” Di slancio si è tirata giù dal muretto su cui stava
svogliatamente appollaiata “Questa l’ ho fatta io! E lui
è Jena” indicando un ragazzetto smilzo e spettinato che
in nulla somigliava al temibile soprannome. Sono certa
che questa scena avrebbe potuto avere come sfondo una
qualsiasi città, perché l’urgenza è identica a tutte le latitudini: lasciare segni, lanciare sogni.
Marco Mottolese
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Camminare, in una città che conosci per la prima
volta, essere attratto dai muri, dai segni, dalle parole
che li pervadono e li rivestono. Le scritte sui muri sono,
ormai, al pari della pubblicità urbana (detta outdoor, in
gergo) “inciampi visivi” che deviano a forza il corso dei
pensieri. Non so se diventa più semplice capire dove sei
“leggendo” una città attraverso le scritte. In questo caso
Cosenza, Calabria, luoghi antichi (o vecchi?) sopraffatti
di Sud.
È inverno, attraverso, in una giornata grigia e tiepida, una città di cui nulla so e che amalgama i colori della fatica umana in una unica tonalità, quella sostanza
indefinita che diventa casa, che diventa immobile, così
come immobili appaiono le scritte che letteralmente si
abbracciano ai palazzi, in una morsa definitiva e intima.
Epocale.
Lì, tatuato sul cemento, inizia e finisce lo sfogo di
una tribù che desidera. Desidera comunicare. Cambiare. Messaggi che però galleggiano all’interno della comunità stessa e che fanno male, perché sono invettive
per un mondo che si vorrebbe diverso, oppure per una
età che sembra più dura e lunga a maturare di quanto ci si aspettasse. Oppure perché, più semplicemente,
naufragano contro l’indifferenza generazionale che ha
partorito incomunicabilità e culture che non dialogano.
E allora ci si chiede: per chi scrivono davvero?
E, se “tutto il mondo è paese”, qui è paese più che mai
e l’esercizio creativo – e quasi “fuori legge” – di dare in
pasto ed affidare il proprio pensiero ad una bomboletta
spray che in parte lo rigenera diventa rivolta più che
divertimento. Non c’è danno né ignoranza nello scrivere e nell’imbrattare dei muri tutto sommato insensibili.
Camminare tra questi muri è come camminare tra corpi
feriti che attendono anticorpi artistici, letterari. Per guarire. Per resuscitare. Ci si aspetta una restituzione o un
risarcimento e si inventano frasi ad effetto che possano
non fermare il tempo, ma accellerarlo.
Così, il mio camminare è diventato viaggio. Forse
al termine della notte. O all’inizio del desiderio. Un
“muro è solo in transito” forse, ma infondo non è così
per la vita stessa?
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muri in transito
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A MURI
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A MURI
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Vi ricordate gli annunci sui giornali, quelli preceduti
dalle tre A, che quanto più pagavi tanto più stavi in
cima alla colonna? Non vogliamo credere che chi scrive su questo muro sia così anziano da avere questa
come strategia vincente. Invece ci viene in mente che
nel sangue di ognuno di noi, in fondo in fondo, scorre
la voglia di incontrare l’anima gemella per riconciliarci con la separazione iniziale. E Max non è il solo in
cerca di questa anima, ma anche quel “furbetto del
quartierino” che ha modificato il numero del cellulare. E così chi chiamerà, più che l’altra metà della mela,
troverà un impostore il quale, complice il muro, avrà
forzato le sliding doors provocando smottamenti imprevedibili.
A MURI
AAA Cercasi
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A chi più amiamo
A MURI
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Esemplare di aplomb cosentino su muro di via Londra. Questa, infatti, è la versione italiana del proverbio inglese che indica come a volte il coinvolgimento
emotivo possa arrivare a “zittire” le parole. Nell’afasia amorosa, ci sono altri modi di comunicare e tra
questi, evidentemente, le scritte sui muri che non temono concorrenti nel farsi notare da tutti. Dunque,
se il rimbambimento amoroso impedisce di usare la
voce, si passerà alla scritta sul muro e il messaggio
diventerà un po’ monito e un po’ tavola della legge.
Ancor prima che l’attenzione fu catturata l’anima e
poi oscurata... Ripensamento tardivo? Downgrading
amoroso in tempo reale? Oppure l’anima era troppa
cosa da riversare in questa dichiarazione e sufficiente fu l’attenzione, meno compromettente e maggiormente controllabile?
A MURI
Catturare attenzione
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Pupacchia
Un modo come un altro di prendersi delle confidenze
A MURI
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Ecco un grafomane che preferisce affidare a una bomboletta le parole che avrebbe potuto dire a voce. Altamente romantico nell’annunciarsi, ma è tutto da verificare. Facile parlare ai muri. Da notare, in alto, una
scritta calcistica di protesta a rimarcare le due passioni dei maschi di tutte le età: le ragazze e il calcio. Da
sbatterci la testa al muro.
A MURI
Se potessi
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Sei mia no
Ci sono muri come confessionali laici. Lettera aperta
di uno “stronzo” che si autoaccusa e si autoassolve
pure, credendo sfrontatamente e fermamente nel perdono.
A MURI
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Accanto a un portone signorile, una scritta in stile
“lettera commerciale”: Gentilissima Sign.ra M... Ma
possediamo solamente un indizio. In questo intrigante comunicato murario, il nome da intuire cela un destinatario misterioso e l’attestato di stima rimane sospeso a evocare chissà quali nobili cause. Un pizzino
amoroso che in tempi di toy boys potrebbe indurci a
credere che questo sia messaggio da parte di giovane
impetuoso a matura signora e, come buona creanza
vuole, almeno in pubblico, si mantiene la distanza attraverso l’uso del “lei”.
A MURI
Signora M la stimo
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Ti voglio
A MURI
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Qui abbiamo tutto il ventaglio delle possibilità:
NON TI VOGLIO, TI VOGLIO, TI AMO, NN TI AMO.
Una scritta passepartout, concepita dal collettivo di
bipolari che un giorno amano e un altro no. Con l’aggiunta di un po’ di colore (col rosso mi fermo, col blu
parcheggio) e una spruzzata di liceo, quel “non” che
minaccioso ghigliottina la vocale come a significare:
sbrighiamoci a dire ‘sta cosa.
Siamo a un bivio. “Ti renderò le cose più facili” essendoci o facendomi da parte? Sembra un busillis
morettiano: “mi si nota di più se vengo e me ne sto in
disparte...” ma l’ignoto autore non chiarisce. In alto
leggiamo “Freddo” e non sappiamo se è licenza poetica o citazione. Insomma, messaggio di commiato o
colpo di genio risolutivo di tutti i problemi? Di certo
il piccolo cuore in basso a destra ci dice che Joey ha
l’istinto della geisha.
A MURI
Ti renderò le cose facili
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Che mondo sarebbe
A MURI
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Già, saperlo, che mondo sarebbe se Pikkola non ci
fosse... un po’ di maschilismo in quel nomignolo (perché, LUI, è grande?) e un po’ di sicumera da soap opera. Chi ci rimette, in questo caso, è questo dignitoso
spicchio di muro, che avrebbe volentieri continuato a
essere ignorato dal resto del mondo.
Ci sono esagerazioni che pretendono non solo il contenuto epico ma anche una grammatica ridondante.
Se due, cioè entrambi, si scambiano la vita, mica è
detto che si debba arrivare anche a un baratto di virtù
interiori. Cioè a un’anima riflessa. C’è della filosofia
su questo muro, come un Kant dal pensiero lucido
ma col blocco dello scrittore. E questo spazio, allora,
prende le sembianze di una gabbia mentale per un
pensiero troppo grosso che naufraga nell’indicibile.
A MURI
Ci siamo scambiati le vite
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Dove stai te sto io
A MURI
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Un raro caso di sdoppiamento? Metempsicosi? Qui
si assume, usando la tecnica del “marciapiedi” – che
consiste nel mettere il muro in orizzontale – che una
persona possa essere sempre dove si trova l’altra. Ma
abbiamo l’impressione che quella data quasi lapidaria rappresenti l’esatto contrario di quanto scritto sopra: la certezza dichiarata, infatti, si affida al calendario e non ai poteri magici. Quel giorno sì, furono nello
stesso luogo. Ma poi?
Ogni tanto bisogna “prendere il toro per le corna”.
Questa scritta ci fa venire in mente il vecchio adagio
che rappresenta il momento decisionale. Poi, capire
le ragioni di questo assioma erogato su un muro praticamente isolato e invisibile, è un’altra cosa. Chiaramente c’è stato qualche problema. Speriamo solo
che chi scrive possa, un giorno, ravvedersi, e magari scrivere più verosimilmente sul prossimo muro: “in
amore si fotte”.
A MURI
L’amore ti fotte
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Jena ti amo
A MURI
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Un tempo i nomignoli erano più tradizionali e teneroni. Qui si ama una jena (probabilmente per il writer
la J fa più scena della I) e si vuole essere ben sicuri che
la bestia in questione veda questo messaggio: tanto è
vero che lo si scrive per terra.
Quesiti cosmici. In effetti, in un’epoca in cui si scrivono messaggi di 140 caratteri, si leggono libri di 50
pagine, si tende a taggare piuttosto che a dialogare,
be’, è legittima la paura del graffitaro che si domanda
se l’amore durerà almeno 24 ore. Fast Love.
A MURI
Mi amerai domani?
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Non ti dimendicherò
A MURI
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È la frase che molti studenti potrebbero rivolgere alla
tanto temuta e ormai desueta matita rossoblù, confine cromatico tra “orrori” gravi e meno. Qui dilaga catastroficamente il rosso. Ma ci viene anche da pensare
che il graffitaro, per nulla preoccupato dell’ortografia, sia corso ai ripari perché “dimendicare” si può,
eccome. Mai dire mai.
Quale rafforzativo rappresenta la scritta sul muro, per
vincere sulla comunicazione orale? È solo un semplice paravento per evitare il contatto diretto? “Scusa
se ti chiamo amore” la conoscevamo. Qui si passa a
“Scusa se ti deludo” (anzi, “se ti sto deludendo”, in
un crescendo drammatico). Per questo forsennato
scrivere sui muri altro non è che formazione poetica
per muratori romantici dall’immaginario troppo sviluppato per andare oltre la prima pietra.
A MURI
Scusa se ti deludo
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Perdono cirillico
A MURI
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Chi potrà mai aver scritto in cirillico la parola
PERDONO? Uno che si sente in colpa ma non ha voglia di pentirsi del tutto e usa l’escamotage di una lingua sconosciuta per salvarsi comunque l’anima? Un
reincarnato alle prese con i rigurgiti di un’altra vita?
Un fan moscovita di Caterina Caselli? Questa scritta
rimane lì, isolata ed enigmatica, come il monolite di
“2001 odissea nello spazio” che appare ad annunciare
il prossimo cambiamento. Ma quale, poi? La ricerca di
un modo di dire senza dire niente. Trendy Cosenza.
Il dubbio è lecito: si sta esprimendo un desiderio
amoroso, una fantasia erotica, una variante sentimentale, oppure chi scrive è semplicemente disgustato
dal cattivo odore di un suo simile? Che sia una formula esortativa?
A MURI
Ti va un bagno
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Amica mia
A MURI
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La grafia è femminile e la scelta del cancello chiuso
emblematica. Qui gatta ci cova... le due amiche si sono
sbarazzate del problema “uomini” e hanno creato
una autocombustione reciproca che alimenta la tipica
amicizia femminile (adolescenziale?), escludendo il
resto del mondo. Il gioco durerà, ovviamente, finché
le due firmatarie del messaggio non inciamperanno
nel primo elemento maschile sul quale mettere gli occhi entrambe. Allora leggeremo scritte ben diverse e i
cancelli saranno spalancati per la fuga (di lui).
“Pensavo fosse amore e invece...” Un tradimento. Un
errore. Può capitare a tutti di sbagliarsi. Quale migliore occasione, allora, per trasformare il rapporto
amoroso in un legame di fratellanza, avvalorato da
quel “paisà” rosselliniano? Il cinismo disinvolto racchiuso nel classico t.v.b. ci fa tanto pensare a un killer
navigato: professione spaccacuori.
A MURI
Ciao Paesà
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Se dovrei
A MURI
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Speriamo che questo writer innamorato non “dovrebbe” mai scegliere tra l’amore e la vita perché potremmo subire nuove scritte ancora più confuse. Chissà se
l’oggetto di tanta foga amorosa chiuderà un occhio
sull’incipit sgrammaticato… Condizionali condizionanti.
La parola “amore”, spauracchio per generazioni, da
pronunciare solo nelle grandi e definitive occasioni, si
trasforma. Grazie ai reality, ai social e alla tecnologia,
esplode sui muri. E ahinoi, ormai è facilmente interscambiabile: ”Auguri Principessina, ti twitto” o “Sei
come vorrei che tu fossi. Ti whatsappo.”
A MURI
Sei come vorrei
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A MURI
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A MURI
SOCIAL
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A MURI
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Immaginiamo di essere nel Bronx, a Seattle o a Tokyo.
Lì, dove spesso nascono i trend e i brand mondiali...
Il massimo della riconoscibilità coincide, spesso, con
il minimo dell’apparenza. Il caso del “baffo” Nike o
della “mela” Apple. O del cuore che sostituisce il verbo “Love”. Ecco, iconizzare il prefisso postale della
propria città, addirittura su un grigio muro anonimo,
rende l’idea. Lo sapevano bene anche i primi graffitari oltreceano, che si taggavano con il numero civico
delle proprie abitazioni. Rimane da capire se qui si
tratta di un messaggio cifrato tra cosche o, più semplicemente, dell’insano gesto di un impiegato postale
con la sindrome charlottiana dei “tempi moderni”.
SOCIAL
87100
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Amnistia
SOCIAL
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Ci viene da pensare che questo sconosciuto scribacchino sappia che, prima o poi, verrà acciuffato. Che
cerchi l’amnistia preventiva sapendo che non potrà
passarla liscia per una scritta del genere? L’urgenza
del “subito” contrasta con la genericità della richiesta di “grazia”, che ha sempre dinamiche e tempi
che vanno rispettati. Un piccolo sfogo su un piccolo
muro, tanto per sentirsi politicamente impegnati e
avanzare pretese vaghe.
Siamo inquietati. Non tanto per la frase “andate via
corrotti”, quantomeno attuale e nel solco ventennale
di una Italia ladrona e corrotta. È quel “giovani senza
pane che vi rubate” che sconcerta: è aggiunta spuria,
mélange che affloscia l’anatema precedente non risolvendo, ma aggravando. Immaginiamo, certo, che
si intenda che i “giovani non hanno lavoro per colpa
dei corrotti” ma siamo certi che, cacciati questi ultimi, il lavoro emergerebbe per tutti? È un’ipotesi come
un’altra. Premio al tentativo, aspettiamo la seconda
prova.
SOCIAL
Andate via corrotti
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Tag con cane
SOCIAL
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Questo inintelligibile muro ben si sposa con il cane
al centro della foto. I tag raccontano di linguaggi
inespressi, di incapacità a comunicare se non, forse,
all’interno della propria cerchia. Come i cani, che tra
loro si capiscono benissimo. D’altronde il graffitismo
annuncia già negli anni Cinquanta l’autentica cultura
di strada adolescenziale. E questo criptico scenario
sembra far parte di quella bolla di passaggio che (prima o poi) tutti attraversiamo.
Quello dell’abitazione è sempre stato un problema sociale molto sentito. Tantissime le famiglie alla ricerca
di una casa popolare affidata dalle istituzioni, ma fra
inchieste della Procura, ritardi burocratici e criminalità molti si ritrovano senza un tetto sulla testa. Il tema
è diventato ancora più caldo da quando il movimento
Prendocasa ha iniziato l’occupazione di alcuni stabili
in disuso o poco utilizzati come il convento delle suore Canossiane.
SOCIAL
Case
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Meno chiese
SOCIAL
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Lo spirito del ‘68 sembra non morire mai... questa
sbiadita citazione era frase che già all’epoca dei tumulti studenteschi compariva sui muri delle scuole.
Anche se di chiese se ne costruiscono davvero poche,
ormai, perché nel nostro Paese di certo non mancano.
Ma se meno chiese deve significare più case allora
il problema diventa urbanistico, stante alcuni orrori
edilizi che vediamo in giro, soprattutto al sud.
Il “meno” è segno classico delle scritte sui muri. In
questo caso si accostano due classici, che però sono
due classici problemi del nostro Paese: i rifiuti e il
lavoro. Non si sa perché avere meno rifiuti potrebbe
portare maggior lavoro a qualcuno, ma apprezziamo lo spirito propositivo di voler tracciare un futuro
ideale in cui le città sono pulite e il lavoro non manca. Chiaramente chi dovrebbe agire non coglierà lo
spunto.
SOCIAL
Meno rifiuti
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Né Stato né Dio
SOCIAL
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Luogo che vai, anarchico che trovi. Colpisce che questo genere di scritta, reiterata ovunque, abbia sempre
le medesime caratteristiche: la pennellata rigorosamente nera, lo stile dimesso e sfuggente come per
non lasciar traccia del proprio passaggio. Sono scritte
“vintage”pur se fresche di pittura. Come vecchi manifesti elettorali strappati.
Abbiamo visto una scritta del genere in più parti d’Italia. In versione stencil oppure manuale come su
questo muro, in stile “operaio”. Eat the rich, col sacro
simbolo comunista rivisitato ad hoc. Quella forchetta
faciliterà il compito, una volta in atto l’opulenta rivoluzione?
SOCIAL
Eat the rich
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Ettore
SOCIAL
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Ettore era un giovane tifoso del Cosenza. Anzi, Ettore
è un giovane tifoso rossoblù. È andato via da questa
terra troppo presto ma non c’è una partita di calcio
in cui i suoi amici non lo ricordino con un coro. Ogni
anno, supporter da tutta Italia giungono in Calabria
per celebrarlo in un torneo di calcio. Perché Ettore
vive.
Fratelli bastardi
SOCIAL
Agli adolescenti piace essere borderline. In questo
caso un po’ Robin Hood e un po’ Zorro, un po’ cosca e
un po’ “fratelli di sangue”. Una indicativa esaltazione
di ego e machismo. I muri sono psicologi di strada.
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La mala e la tekno
Romanzo Criminale? O troppi fumetti?
SOCIAL
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Semplice ode muraria. Siamo seguaci di Luther Blissett, si dice. E si potrebbe rispondere: io sono l’altro,
alla Rimbaud. Negli anni Novanta, il collettivo Luther Blissett introdusse in letteratura e nei media la
variante collettiva situazionista. Questo muro non è
una firma. È un’edicola votiva.
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Luther Blissett
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Marulla al governo
SOCIAL
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Gigi Marulla era la bandiera della squadra di calcio
cosentina, prematuramente scomparso a luglio 2015.
Undici stagioni con indosso la maglia rossoblù, quasi
cento goal e innumerevoli record battuti. Per gli ultrà
non era un giocatore, era il Capitano. Una volta sui
muri della città lo si voleva sindaco, poi ci si è accorti
che era troppo poco. Per lui i cosentini avevano già
deciso: ci voleva almeno un ministero.
“Nessuno mi può misurare, nemmeno tu.” Se in Val
di Susa la popolazione non vuole la Tav, a queste latitudini i ragazzi esprimono il loro no al progetto della
metropolitana leggera. Lo scrivono con lo spray durante una manifestazione contro il governo. Vogliono
più autobus e più verde. Il “metro” è anche di giudizio: contrarietà totale al progetto.
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No metro
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Padre Fedele
SOCIAL
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Padre Fedele è un simbolo di Cosenza. Idolo della
curva del Cosenza Calcio, ha educato centinaia di ultrà alla solidarietà. Non ci sono mezze misure: o lo si
ama o lo si odia. Una vicenda giudiziaria, conclusasi positivamente, lo ha portato alla ribalta nazionale.
Ma qui abbiamo la prova che c’è chi, sin dall’inizio, ha
messo la mano sul fuoco sulla sua assoluta innocenza. Muro profetico.
Chissà se il vetusto conduttore di “Porta a Porta”,
Bruno Vespa, si risentirebbe passando da Cosenza e
leggendo questo muro. Sicuramente qualcosa da dire
ce l’ha, invece, il solito writer che deve avere qualche
conto in sospeso con il piccolo schermo. A meno che
questa scritta non sia un riconoscimento ad honorem
per gli addetti al “porta a porta”, un mestiere che una
volta riempiva le case di enciclopedie e aspirapolveri
e che oggi, in tempi di crisi, sembrerebbe essere tornato in auge.
SOCIAL
Porta a porta
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Reggea
“Unione di culture”. Dallo psichedelico all’informatico il passo ormai è breve. Reggae nerd.
SOCIAL
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Dal Globale al Glocale è un attimo. È il novembre 2002
e gli echi del tragico G8 di Genova dell’anno prima
arrivano fino alla città dei bruzi. Tredici militanti del
movimento Sud Ribelle vengono arrestati con l’accusa di aver tentato di sovvertire “l’ordine politico ed
economico dello Stato”. Sono ricercatori universitari, docenti, precari, volontari che operano nel sociale.
Alcuni di loro vengono detenuti in regime di carcere
duro. La città si indigna da destra e da sinistra e scende in piazza, insieme a centomila persone provenienti da tutta Italia per gridare i due slogan nelle foto.
Dopo dieci anni di processi, i tredici militanti vengono tutti assolti perché il fatto non sussiste.
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Sud ribelle
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Uccello libero
SOCIAL
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Uccello è il soprannome di un noto ultrà della curva
del Cosenza Calcio. Ne ha passate tante nella vita e,
come spesso capita in provincia, si finisce su strade
sbagliate compiendo azioni di cui non si può andare
fieri. Uccello ha pagato lo sbandamento con il carcere
e con l’ospedale psichiatrico giudiziario e chi lo conosce ha sempre chiesto per lui un aiuto che non prevedesse sbarre.
La rima, ah, la rima... siamo (quasi) certi che questo
muro è semplice e pura assonanza. Scevro di ragionamenti politici e religiosi, viene calato come la carta
scelta a caso dal mazzo. Sì, certo, il Vaticano potrebbe
a suo modo anche essere talebano, ma anche il talebano può andare in Vaticano. Questo muro è come un
limerick, quei brevi componenti poetici umoristici un
po’ “nonsense”.
SOCIAL
Vaticano talebano
65
SOCIAL
66
SOCIAL
X FACTOR
67
X FACTOR
68
In alto, alla destra di questa struggente frase c’è un
condizionatore pronto a intervenire in caso di svenimento per palese mancanza d’aria. Baglioni docet.
Dalla “maglietta fina” al respiro mancante la questione rimane sottile e il pensiero debole se ne approfitta,
spacciando per messaggio d’amore personale i popolari versi di un’icona italiota.
X FACTOR
Baglioni
69
Fedez
X FACTOR
70
Qui c’è della premeditazione. Se mi lasci ti cancello.
O ti sostituisco con un “copia e incolla”. E che dire
di quella rima matita/finita? Crudele. Come solo gli
innamorati sanno essere.
Se “il meglio deve ancora venire” non può che essere
la pulizia integrale di questo muro e del caos che si
porta su. Pulizie e psicologo per il gruppo di imbrattatori, magari a spese di Ligabue, no?
X FACTOR
Ligabue
71
Battiato
X FACTOR
72
Facciamo una psicolettura di questa scritta. Una strada in salita sovrasta un muretto che, per ovvie ragioni
architettoniche, si assottiglia verso l’inizio della leggera discesa. Piciu, certamente il writer innamorato,
sceglie di sprayare qui uno dei versi più belli mai
scritti da un cantautore. Questo Piciu va a incastrare
la magica dichiarazione di Battiato tra strada e asfalto, all’inizio di due opposti sensi di marcia, rendendo
assurda la scelta di realizzarla su questo brandello di
muro. Analisi: la dichiarazione è “fuori luogo”, un
verso poetico così alto non si può mettere in cattività.
Ci piace vederla così: “Stand by me, girl with a broken smile”. Una diabolica crasi tra John Lennon e i
Maroon 5. Questa è la fine che fa, cinquant’anni dopo,
la canzone culto che fu inizialmente di Ben E. King.
Ignara evoluzione o involuzione?
X FACTOR
Beatles
73
Blink 182
X FACTOR
74
I Jake e Sally cantati dalla band punk californiana
Blink 182 altri non sono che i protagonisti della favola gotico-romantica raccontata da Tim Burton nel
suo celebre film “The nightmare before Christmas”. I
personaggi vivono una storia d’amore struggente nel
buio delle tenebre, ma alla fine la luce dei loro sentimenti li aiuterà a restare insieme. Muro emo.
Chi scrive è un serial killer? Un bandito? Un pericoloso delinquente? O piuttosto sente di rappresentare
per l’altro un metaforico pericolo in quanto questuante d’amore? (E l’amore incute paura, eccome...). I versi sono d’autore ma il risultato, si sa, non può essere
garantito.
X FACTOR
Pausini
75
Lumpen
X FACTOR
76
È il titolo del primo album dei Lumpen, band made
in Cosenza che si cimenta con il punk oi, il genere che
canta di temi sociali e della vita della working class.
Suoni duri e parole ancora più crude per descrivere
che la provincia dell’impero non è rosa e fiori. La frase richiama anche l’omonimo romanzo di Pino Cacucci in cui viene raccontata la vita di Jules Bonnet,
l’anarchico francese che ha lottato per la rivoluzione.
Per la serie ESAGERAZIONI. Una hit del grande
Miguel diventa muro per mandare un pizzino, secco: qualcuno ha mollato gli ormeggi. La vita appare
insensata. Alzi la mano chi non ha provato almeno
una volta una sensazione del genere. Ma quanti, invece, sono andati a sfogare la propria tristezza su di un
muro? “Ti amo azzu.” Sfrontati nel dichiararsi, i ragazzi hanno trovato chi li aiuta nella necessaria analisi dell’abbandono: i muri, le scritte che li riempiono,
e la tribuna pubblica, in linea con lo stile televisivo
che ci ha cambiato la vita nel mettere in piazza i fatti
nostri.
X FACTOR
Bosé
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Ferro da stiro
X FACTOR
78
Per prendersi la briga di organizzare una scritta sul
muro, e rischiare, in fondo solo per sfottere il cognome di un cantante, be’, questo Ferro deve aver rappresentato qualcosa di importante per il writer. Ma
siamo nel campo delle barzellette per bambini. Forse un fan deluso? O i biglietti dell’ultimo concerto di
Ferro erano troppo cari?
Lei era stata molto chiara. Lo aveva scritto finanche
sui muri che era finita. Ma è risaputo, non sempre
l’uomo avvisato si salverà. “I never saw the writing
that was on the wall”, confessa Bublé in “Lost”. Lui
non aveva letto (distratto o analfabeta sentimentale?)
e ora, come spesso accade, cerca di salvarsi in extremis. Rilancia muro contro muro, sfida il buio con il
blu perché lei non si senta mai persa.
X FACTOR
Bublé
79
Gemelli diversi
X FACTOR
80
La minacciosa insegnante fa risvegliare lo studente
sognatore e il risultato potrebbe suonare come puro
esercizio di consecutio: coordinare una azione del
passato a una del presente. Tra tutti i muri della sezione musicale ci pare, forse, il più razionale ma anche il più romantico. Dai sogni ci si risveglia per poter
tornare a sognare.
“Torneremo felici del nostro inferno”. Questo verso
murario ci trasporta in una torbida dimensione rimbaudiana. La stagione dell’adolescenza d’altronde è
un po’ maledetta. Ma se si può essere felici del proprio inferno vale qualsiasi cosa. Infatti poi alla fine
scopri che è un compleanno, e tutto si sfalda.
X FACTOR
Mecna
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Oasis
X FACTOR
82
Il leader degli Oasis, durante un’intervista, ammise
che la parola Wonderwall (letteralmente “muro delle
meraviglie”) non aveva alcun significato. Il termine
fu preso dalla colonna sonora di un film degli anni
Sessanta scritta da George Harrison. Il “muro delle
meraviglie” è la persona su cui si può sempre contare, solida al nostro fianco. Ma la canzone recita anche
“Ci sono molte cose che vorrei dirti e non so come farlo”. Allora wonderwall è il supporto stesso, l’anonimo
muro metropolitano che si fa sfondo per l’urgenza di
chi scrive, magico lasciapassare per un wonderworld.
Sul finire degli anni Settanta questo inno al “triangolo
libera tutti” arrivò di certo come una trasgressione,
oltre che una liberazione. Oggi suona un po’ retrò. La
geometria dei sentimenti si è evoluta: da “mi aspettavo lo sai un rapporto un po’ più normale” a quadrati
da allargare a piacimento, cerchi da chiudere, teoremi indimostrabili, rette che diventano perpendicolari. Ma i conti non tornano quasi mai. Alla fine tutti
assolti per insufficienza di regole.
X FACTOR
Zero
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X FACTOR
84
X FACTOR
fiFilosofIfi
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FILOSOFI
86
Alle origini delle scritte sui muri italiani “Dio c’è” è
sempre esistita. Si è creata un’ampia mitologia sul suo
significato che non esclude si tratti di un graffitaro vaticanense – ci aspettiamo prima o poi una tag Cardinal
00120. Chi crede che segnali la presenza di un forte
potere malavitoso, in un gergo mafioso o camorrista.
Chi crede sia una setta che manda messaggi ai seguaci.
Chi invece la accredita ai pusher che segnalano prezzi modici. E chi ormai la legge senza sussulti, perché
vista e rivista, in fondo, è innocua. Dato l’argomento,
in questo libro non poteva mancare, anche perché se
“Dio c’è” sicuramente è limitato. Da un muro.
FILOSOFI
Dio c’è
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Batti un colpo
FILOSOFI
88
Bene, dunque, a questo punto se “Dio c’è” prende forma spontanea l’esortazione: allora batti un colpo.
Scriveva Mallarmé: Ogni pensiero emette un colpo di
dadi. Spavaldo e azzardante l’ignoto writer sposta in
avanti la sfida col muro e con chi leggerà. “Dio se
ci sei lancia un dado”, “Giocatela con me”. Ci sono
momenti nella vita in cui non esistono rivali, neanche
in cielo.
Se Dio c’è e può battere un colpo magari può anche
impedire ai writer di fare tutto quello che si mettono in testa, come sfogarsi a casaccio su questo muro.
Siamo per la libertà di espressione, non c’è dubbio.
Ma caro collettivo del caos interiore, lo sanno tutti che
anche i muri hanno delle regole.
FILOSOFI
Fare tutto
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Che state facendo
FILOSOFI
90
Andando in giro per Cosenza, come per molte altre
città del nostro Bel Paese, il quesito sorge spontaneo.
Il muro propaga l’interrogativo in una gigante domanda retorica. Forse originariamente diretta a una
piccola comunità, si trasforma in inchiesta sociale
che, riletta così, inquieta e allarma. E rende tutti, in
qualche modo, colpevoli.
Simili con simili verrebbe da dire. Un elogio della follia a due, ma non solo. Sarà mica un caso che in via
degli Alimena si trova l’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza... Tra le righe sembra di intravedere il
sottotesto “Noi siamo pazzi. E voi?” Chi legge non
potrà dirsi del tutto immune al contagio. Per fortuna.
Una follia così dichiarata strizza l’occhio al passante e
alla fine è innocua, anzi, secondo Erasmo, porta addirittura alla felicità. Certamente è più innocua di tanta
follia taciuta e travestita da “normalità”.
FILOSOFI
Elogio della follia
91
Vogliamo tutto
FILOSOFI
92
Ancora nella via dei pazzi, super sintesi dei meravigliosi slogan del ‘68 francese. Stringato come lo erano allora, anche se l’ignoto scriba qui opta per la rimozione del verbo “volere” che all’epoca invece era
la colonna del discorso. Vogliamo tutto fu romanzo
importante anche da noi, grazie a Nanni Balestrini.
Insomma questo muro pretende tutto e non solo, lo
vuole subito. E dimostra che alcune lotte giovanili
non sono state combattute invano. I nipotini potrebbero risvegliarsi...
Se qualcuno volesse descrivere il caos che pervade il
genere umano potrebbe iniziare a farsi un’idea dalla
lettura di questo muro. Greve ma leggero, come un
bambino maleducato. Un verso che conosciamo recita così: “L’individuo esce dal Caos, procede”. Guardando questo muro graffitato qualche dubbio lo abbiamo. Il dadaismo pecoreccio del muro di via Mauro
Leporace sembra suggerire che l’uomo esce dal Caos
per entrare in una latrina. E il botta e risposta da caserma fa anche sorridere pensando che da qui si può
solo risalire. FILOSOFI
Ho sete
93
Fame di sesso
FILOSOFI
94
Un nuovo modo di mendicare? Senza alcun ritegno (anzi, firmandosi!) il graffitaro piatisce, appunto, del sesso e anche piuttosto famelico. Quando, in
una certa fase della propria vita, si arriva a esternare
pubblicamente un pensiero intimo così impellente il
sovraccarico di punti esclamativi è cifra stilistica imprescindibile. Ma il bon ton filosofico-scaramantico
del “lasciamo fare al fato” deve aver prevalso sull’urgenza se il nostro amico non ha condiviso con noi il
suo numero di cellulare. Chissà se poi ha risolto.
Il concetto a questo punto è chiaro, ma le modalità
per comunicarlo sono ancora un po’ confuse: si parte
con l’inglese, si atterra sull’italiano; si scrive da soli
ma si sdoppia il desiderio, parlando anche a nome di
qualcun altro. Persino i caratteri cambiano nelle due
righe. Un bravo designer ne farebbe una maglietta.
Dove al posto di “love” ci sarebbe il solito, esausto
cuore. Tanto si sa che il letto è la più grande sineddoche mai inventata che porta sempre alla stessa cosa...
FILOSOFI
We love letto
95
Momento catartico
FILOSOFI
96
Quando si dice che ormai la cultura è alta e bassa
allo stesso tempo... in questo caso il muro ci parla sia della catarsi, dal greco katharsis κἁθαρσις,
sia del libro umoristico di tal Flavio Oreglio che,
distruggendo la serietà del concetto di catarsi,
prese spazio rilevante anni fa al “Maurizio Costanzo Show”, diventando star per i soliti 15 minuti wharholiani. In Italia sembra abbastanza
semplice unire l’utile al dilettevole, la cultura alla
sottocultura, la streetart agli sgorbi murali. E sì, il
momento è “catartico”.
Seguace della famosa scuola filosofica ateniese del
“cinismo”, questo graffitaro ha sicuramente deciso di
allontanarsi dal writing degli “assetati” e degli “affamati” dei precedenti muri per creare una corrente
autonoma. Indifferente ai bisogni e alle passioni, fedele solo al rigore morale e a una vita randagia. Questa scritta sembrerebbe un invito a un’adunata degli
“happy few” che lo capiscono.
FILOSOFI
Filosofi cinici
97
Francamente
FILOSOFI
98
Un filosofo cinico colpisce ancora? La comunicazione
di servizio potrebbe essere “Francamente... me ne infischio”. Nell’incertezza dell’appartenenza alla nota
scuola di pensiero cosentina, siamo almeno sicuri di
essere di fronte a un caso pinocchiesco. Una tale Franca mente a qualcuno.
Avevamo già letto altrove di non accettare sogni dagli
sconosciuti. Ora troviamo questa variante emblematica dove la condivisione implica che anni di monito
della nonna sul “non accettare caramelle dagli sconosciuti” non sono serviti a granché. Non solo c’è chi le
caramelle se l’è prese, ma ora le vuole anche distribuire in giro. Ci viene da pensare che queste caramelle,
o sogni che siano, fossero una gran fregatura. E ora
le vogliono rifilare a qualcun altro. Certo, la nonna
aveva avvisato.
FILOSOFI
Sogni con gli sconosciuti
99
Non spreco fiato
FILOSOFI
100
Ecco uno statement molto preciso: il graffitaro intende far sapere a tutti che non parlerà più a vuoto, ma
affida però tale decisione a una comunicazione che
contrasta con il proponimento. Non “parlerò più a
vuoto” però nel frattempo ve lo dico, ma senza emettere suono, così, per non andare contro la decisione.
Insomma, un furbo escamotage che ci fa intuire che
non passerà molto tempo prima che il writer ricominci a sprecare il proprio fiato.
Maccheronico il latino, incisiva la traduzione. Se non
c’è fiato da sprecare allora meno parole e più fatti.
Una rivendicazione trasversale, applicabile dalla politica all’amore. Il supporto in questo caso è risolutivo:
mandare al macero le parole inutili su un cassonetto
di rifiuti è quasi una garanzia. Divieto di affissione
abilmente aggirato. Verba volant, scripta manent. E le
chiamano lingue morte.
FILOSOFI
Verba volant
101
Servabo te
FILOSOFI
102
Ancora una prova pubblica di erudizione del graffitaro colto. Emblematica la scelta della parete del
Museo del Presente, crocevia di arti contemporanee e
tendenze giovanili, per una citazione ripescata chissà
come dal Satyricon di Petronio. Ben lontana dagli abusati Catullo e Orazio, troppo spesso sfoggiati all’occasione (sbagliata). L’ originale dice: “Salvami, ti salverò”. Qui la variatio è notevole: “Salvo me, salverò te”.
Dal fondo di un gran pasticcio murario, la sentenza
emerge forte e chiara: salvarne uno per salvarsi tutti.
Il collegamento tra solitudine e morte trova ben altri
capisaldi nella storia della cultura degli uomini, che
non ovviamente questa inquietante scritta come un
monito tombale schiantato sul muro. Parole sparse
qua e là sul medesimo, avanzi di più felici pensieri,
contrastano con la cupezza della scritta rivestita di
quell’emblematico viola eucaristico che ne aggrava il
tono e la rende sepolcrale. Domandarsi come e perché nasce è un tutt’uno e la solitudine che pervade
il graffito è testimonial di quanto la socialità, tanto
bramata oggi, altro non sia che un falso rivestimento
per giovani che combattono con i più cupi pensieri
del futuro.
FILOSOFI
Siamo morti
103
Sopravvivo
FILOSOFI
104
Da un artista di strada che bazzica la zona universitaria potevamo facilmente aspettarci una scritta da
diario. Il muro come gigantografia del proprio ego. E
come prolungamento di una coda di paglia. La scritta
vale esclusivamente per il coraggio di esternare una
banalità adolescenziale: excusatio non petita, accusatio
manifesta.
Chi è questa creatura che si sente troppo strana e
troppo rara? Ma è ovvio, siamo ancora di fronte
all’autoesaltazione dell’adolescente ripetente, che si
sente unico e oscilla tra la vita e la morte (apparente)
ogni giorno. Tra lo spleen di Rilke e “I ragazzi della
via Pal”.
FILOSOFI
Troppo stanco
105
Sorridi
FILOSOFI
106
Il sorriso è alla bellezza quello che il sale è alle vivande,
scriveva Carlo Dossi. La pulizia formale e la sinteticità di questa scritta esaltano il muro come fa una bella
cravatta su una camicia, e ci fa sognare di un graffitaro che ha a cuore la bellezza di qualcuno che non ha,
o crede di non avere, motivi per sorridere.
The difference between men and boys is the price of their
toys (la differenza tra uomini e ragazzi è il prezzo dei
loro giocattoli) disse nel 1975 Doris Rowland riferendosi al marito, l’imprenditore Ross Rowland jr , l’uomo che realizzò l’American Freedom Train. Abbassando di parecchio il profilo, per il writer i giocattoli
siamo tutti noi. Interessante sapere che il termine toy
nel linguaggio dei graffitari sta per pivello alle prime
armi, ovvero “incompetente”. Insomma, qualcuno ci
muove come marionette. Scritta mistica.
FILOSOFI
Tutti toy
107
Viva la vita single
FILOSOFI
108
Stratificazione di ere e di educazione all’italiana su
questo muro, neanche a farlo apposta, di via degli
Stadi: sembra una celebrazione del vitellonismo. “W
la fica” è scritta da neorealismo, è goliardia in bianco e nero. Trasformarla in “W la vita single” equivale al passaggio dalla macchina da scrivere al pc. Dai
dinosauri allo zoo. Il tutto con brevi e rapidissime
spruzzate per attraversare, in pochi secondi di imbrattatura, un secolo: dal proverbiale italico ardore
alla solitudine che, per farla pesare meno e tirarsela
un po’, si cita in inglese.
Se poco conosci è più semplice la citazione che il silenzio. Lo immaginiamo questo writer che scrive sul
muro con mano incerta un motto da regime totalitario di una volta. L’impasto di ideologie politiche che
tendevano a sottomettere le intelligenze e il libero arbitrio è coltura ancora attiva in molti “pantani” del
mondo. Paludi di ignoranza in cui si aggirano alcuni
girini che, per colpa di società che faticano a dare ciò
che dovrebbero, mai diventeranno rane. Il vero stile
di una scritta del genere nasce nel passato e approda
nel presente, trasformando un banalissimo muro in
una cartina di tornasole.
FILOSOFI
Stile
109
Caos quieto
FILOSOFI
110
E dopo Caos calmo ecco anche Caos quieto. Sicuramente un meta-citazione o, meglio ancora, una citazione a
metà. Il libro di Veronesi avrà pure lasciato qualcosa
nell’aria, ma l’aspetto più accattivante di questa immagine sono i numeri danzanti che reggono dal basso la scritta. Deve essere stato un maggio non molto
quieto questo, per lo sconosciuto “comunicatore”.
Messaggio da crittografare.
La notte è un mito. È lo spazio segreto in cui tutto
sembra possibile. Chi non ha amato la prima volta in
cui ha visto l’alba? In questo caso, però, sembra quasi
un imperativo più che una esortazione: un’incitazione, la chiamata alle armi di una tribù. Un appello scolastico. Da notare il rosa catarifrangente che emerge
dal buio delle tenebre.
FILOSOFI
Si vive di notte
111
Grande fratello
FILOSOFI
112
Apprezzabile il muretto che nasce direttamente in
inglese. La lingua originale fornisce un tono diverso a questo graffitaro che forse – magari – si ispira a
Orwell e non alla trasmissione trash che ormai tutti
conosciamo. Le sorti di un titolo superlativo, distrutto dalla televisione, vengono salvate da un muro ai
confini italici accendendoci di curiosità.
Muro criptico che incute paura. In assenza di punteggiatura com’è, suona come un caloroso invito a farsi i
fatti propri. Dopotutto siamo in Calabria e può capitare qui più che altrove. E se invece il movente fosse
religioso? Il tuo inteso come ricchezza interiore. Fratello, pensa a quanto già hai e non desiderare i beni
altrui. Oppure? Pensa al tuo… fidanzato, al tuo…
futuro? O magari è semplicemente un messaggio incompleto. Mentre l’ignoto graffitaro scriveva è passato qualcuno, e lui se l’è data a gambe lasciando la
scritta abbandonata e l’oggetto della frase perso. Così
nasce un mistero.
FILOSOFI
Pensa al tuo
113
Quei bravi ragazzi
FILOSOFI
114
Più che un muro questo è un grande schermo. “Che
io mi ricordi, ho sempre voluto fare il gangster” recitava Ray Liotta in Goodfellas (titolo originale di Quei
bravi ragazzi). A meno che chi scrive non intenda fare
esattamente il gangster nella vita, possiamo pensare
che dietro ci sia lo zampino di un mister che vuole celebrare la sua squadra di calcio, oppure del membro
di una baby gang che usa una frase ad effetto per darsi un tono e distinguersi. Il muro e pochi altri sanno.
Un muro “bacheca” di cui molti si servono per lasciare il proprio messaggio, che poi chissà se andrà
a buon fine.
L’ex Dudù, oggi solo Dù, è la vita di qualcuno. Qualcun altro vuole bene a Marianna. A Soma è toccato
riempire uno spazio, e ci auguriamo non solo a parole... Una sorta di autismo murario ci viene incontro
dalle scritte per raccontare storie di “vuoti” e di “pieni”, dove solo l’amore e l’amicizia giovanili possono
colmare la noia e scardinare la paura del futuro.
FILOSOFI
Vuota e soma
115
FILOSOFI
116
FILOSOFI
in calabrese
117
IN CALABRESE
118
Tra la confessione e la minaccia. Scuola napoletana,
come suggerisce l’uso di “capa” a cui i calabresi preferiscono di gran lunga “capu”. Infinite le variazioni
sul tema: “a capu un m’aiuta”, “capu frisca”, “capu
gluriusa”, “‘na mala capu”, “un tegnu capu”, “ha
pers’a capu”, “a capu è na sfoglia ‘i cipuddra”, “a
capu è nu filu”. Da perderci la testa. Caput.
IN CALABRESE
A capa mia nun è bona
119
IN CALABRESE
120
Chi cosa bella a minda
Che bella cosa mettere. Questa scritta campeggia su un
distributore di preservativi. A questo punto si aprono
vari scenari interpretativi. Si tratta di un momento di
euforia in previsione degli effetti dell’acquisto? Dobbiamo leggerla come una provocazione per chi sta
per inserire i soldi nella macchinetta? O va forse intesa in chiave propagandistica e attribuita a qualcuno
che è tornato ex post sul luogo del delitto? Il dialetto
è secco e sbrigativo ma, a suo modo, quel “cchi cosa
bella” ha un che di languido e nostalgico. E allora c’è
una quarta via che non ci sentiamo di escludere e cioè
che la scritta sia stata fatta da un anziano latin lover
per ricordare i bei tempi che furono.
Lotta dura, senza paura! E la carica comunista contro
i fascisti libro e moschetto è a colpi di ironia e di verdura. L’autore specifica che il significato del termine
“fascio” che più gli aggrada è solo ed esclusivamente
quello che si può abbinare ai broccoli. Per la cottura è
altamente sconsigliato l’utilizzo di olio di ricino.
IN CALABRESE
Fascio
121
IN CALABRESE
122
Gent’i Cusenza
Il patriottismo regionale fa sì che sui muri si esalti ciò
che spesso a parole viene denigrato. E così le “gent’i
cusenza sono ok” anche se chi scrive sul muro magari non lo pensa proprio. Suona come avvertimento
questa scritta. Un “apt” locale e laterale che induce
alla riflessione. Si può essere contenti o scontenti del
luogo in cui si nasce, ma per sopravvivere bisogna
farsi forza.
Essere un amico significa appartenere a una sorta di
magica cerchia. Ma il tale scugnizzu non deve essere
per forza un giovanotto, la sua età (come del resto il
suo nome), è indefinita. L’unica certezza è che si tratta
del tipo giusto su cui si può contare magari per rimediare a degli errori, che forse si sono risolti quel
depennato 14.12.11
IN CALABRESE
Scugnizzo
123
IN CALABRESE
124
Mbratt your city
La scritta in sé è fiacchetta ma il contenuto interessante... Un pizzico di calabrese, una spruzzata di inglese.
Ed ecco insorgere una esortazione per le masse a “imbrattare la propria città”, come se ce ne fosse ulteriore
bisogno. A meno che il solito writer non cercasse connivenza. In fondo ‘mbrattare la propria città vuol dire
lasciare un segno. E, in qualche modo, dominarla.
Non basta partecipare, bisogna scriverlo ai quattro
venti. Italia Campione del Mondo 2006. C’era lo stivale intero e c’era pure Cosenza con tutti i cosentini.
IN CALABRESE
Nua c’eramu
125
IN CALABRESE
126
Paniancu
In un mondo di spettacolarizzazione dove tutti vogliono essere visibili, anche un intero quartiere può
dire la sua. È il caso della zona di via Panebianco, popoloso quartiere nella parte nord della città. “Paniancu c’è” e vuole che si sappia. E, implicitamente, tutti
gli altri non sono nulla. Nel Paese dei Comuni anche
il quartiere regna.
Tipico intercalare bruzio multiuso in cui quel “nente”
è poco attendibile. A volte è la degna risposta al generico “Cum’è?” (Come stai? Che fai? Tutto bene? Novità?). Talvolta, invece, l’espressione emerge dal nulla,
come rassicurazione quando tra amici calano silenzi
bergmaniani. In entrambi i casi, è d’obbligo reclinare
il capo facendo spallucce.
IN CALABRESE
Simu cà
127
IN CALABRESE
128
S’affuca
Chi non ha avuto in classe il classico “battutista”?
Una volta si chiamavano “pierini” oggi forse “silvietti”, ma comunque cambia poco. Mescolare le nozioni
che, faticosamente, i professori cercano di inculcare
agli studenti, con stravolgimenti di senso e finali a
sorpresa, è un classico della scuola. Il “pierino” attende solo, ad arte, la fragorosa risata della classe e le
facce contrite dei professori davanti a cotanta beffardaggine. E così anche Archimede diventa televisione.
La protagonista della scritta ha delle turbe psichiche.
Fa la “pazzerellona” nei confronti di chi la ama, il
quale ha come unica arma quella di raccontare anche
ai muri del caratterino dell’innamorata. Ma allo stesso tempo il romantico graffitaro non può evitare di
sintetizzare in due parole tutto quello che la svitata
rappresenta per lui nonostante i tormenti che gli provoca. Ah, l’amour...
IN CALABRESE
Si ciota ma ti amo
129
IN CALABRESE
130
Si ti pigghiu ti cunsumu
Il maschio, a ogni latitudine, ha la mitologia della
candela. Bisogna liquefarla, si deve “consumare” e
“disfare”per dirsi vivi e forti. Se poi lo fai nel tuo dialetto vale il doppio. Su questo muro possiamo notare
anche nelle sue parti meno “rilevanti” un leitmotiv
sessuale di un certo tono. Noi siamo particolarmente colpiti dalla frase “iu ti pigghiu e ti cunsumu”. E
se l’idea del “consumare” qualcuno, invece di eroica
performance, si riferisse a uno slittamento verso la
noia? Gli eroi del sesso estremo adolescenziale all’atto
pratico solitamente scappano.
Dichiarazione di status doppiamente “singolare”.
Non si comprende se quel “simu” sia un plurale maiestatis o l’indizio di una congrega fedele al “meglio
soli che male accompagnati”. Con buona pace dell’inglese, si dice SINGOL e si scrive uguale. Poco importa se qualche coppietta storcerà il naso. Una risata di
fondo, seppure scalcinata, la seppellirà.
IN CALABRESE
Simu singol
131
IN CALABRESE
132
Stipa ca truavi
La versione integrale del proverbio recita: “Campa ca
vidi, stipa ca truavi” (vivi e vedrai, conserva e troverai). Un misto tra “cogli l’attimo” e “impara l’arte e
mettila da parte”. Il potere evocativo dello stipu – l’italiana dispensa – è legato all’infanzia: nonne e madri vi custodivano con parsimonia ogni bene per poi
distribuirlo in famiglia come da un magico cilindro.
L’antico invito a mettere da parte suona più che mai
saggio in epoca di crisi. Formica batte cicala. Chi vivrà vedrà.
Una scritta dai tratti beckettiani. I due protagonisti,
proprio come Vladimiro ed Estragone in Aspettando
Godot, si domandano cosa sia più giusto fare durante
la loro perenne attesa fatta di indecisioni. L’obiettivo
di Pippo e Marti è un tantinello pretenzioso in questo
caso. Ma, in fondo, perché porre i limiti alle proprie
capacità? Perché non provare a volare?
IN CALABRESE
Vulamu
133
134
Senza parole
135
SENZA PAROLE
136
I muri puramente “figurativi” spesso sono pervasi da
echi di antiche culture che arrivano misteriosamente
alle nuove leve tramite le generazioni di mezzo usate
come fili conduttori in rame e, dunque, a bassa resistività. In questo caso è evidente l’influsso della cultura
psichedelica. Il fiore di loto, il “paese che non c’è” e
gli uccelli in alto sono elementi simbolici degli anni
Sessanta e Settanta, alimentati dalle tendenze musicali e letterarie e, spesso, come forse anche in questo
caso, da nuvolette di fumo da respirare in comitiva.
Senza parole
Psichedelico
137
SENZA PAROLE
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Psycho
Una parola, un film culto, una tag impegnativa. Psycho c’è e lotta insieme a noi, verrebbe da dire. La mano
è acerba e contrasta con il contenuto drammatico ma
nel complesso il muro è effervescente, anche grazie
alle bollicine e al substrato confondente che in realtà
fa risaltare la scritta ancora di più.
Sicuramente, tra quelli che usano i muri di tutti come
quaderni personali, un capitolo a parte andrebbe
aperto per chi adotta la tecnica dello stencil. In genere, hanno una filosofia tutta loro e, uscendo dagli
schemi comunicano in modo trasversale, ma così trasversale che spesso non riusciamo a coglierlo. Come
accade per questo occhio lacrimoso e ispirato. La sua
origine ci è ignota, come l’artista e il suo scopo. Uno
stencil come questo si colloca, in pieno autismo, tra
quelli che molto evocano e nulla dicono.
Senza parole
Occhio
139
SENZA PAROLE
140
Fake Bansky
Sebbene la cultura del graffitismo sia giovane ha già
i suoi punti di riferimento. Con la velocità che contraddistingue i tempi moderni, il passo dal classico al
contemporaneo è molto abbreviato. E così il grande
Banksy, il misterioso streetartist inglese, il più famoso
di tutti, viene qui ripreso nella sua esemplare bambina col pallone, un graffito che ha fatto il giro del mondo quando apparve sul muro di Gaza, a simboleggiare una leggerezza che potrebbe trasportare ovunque.
Anche a Cosenza.
Per diventare fenomeno planetario la povera Marilyn
ha dovuto attraversare una vita d’inferno. La bellezza
ha il suo contrappeso malvagio. Eppure a noi scalda
il cuore trovare replicato sulle superfici pubbliche di
una sperduta città italiana uno stencil che raffigura il
suo volto, icona pop che non morirà mai. Parafrasando: troverai su un muro chi è caro agli dei.
Senza parole
Marilyn
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SENZA PAROLE
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Zappa
Un’immagine, un simbolo, nessuna parola: e così
emerge dal passato, a stampigliarsi su un muro, un
Frank Zappa accigliato (e molto somigliante) a ricordarci che la cultura del rock non è in pericolo di estinzione, anzi. Il suo culto attraversa gli anni, i continenti e i muri.
Gli elementi base di questo graffito ci sono tutti: la
scelta del pavimento, il soggetto molto battuto dai
graffitari, l’uso dello stencil a tre colori che va di
moda. L’intenzione è apprezzabile ma, se pensiamo
ai pinguini sui panettoni milanesi, la streetart cosentina ancora ne deve imbrattare di muri.
Senza parole
Pinguino
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A MURI
144
A MURI
Ambrosia
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AMBROSIA
146
Alle origini delle scritte sui muri, dei graffiti e della
street art ci sono le tag, ovvero le firme degli autori.
Inizialmente era questo il “manifesto” dei primi che
tornarono a usare i muri come fossero tele, a distanza
di milioni di anni (le grotte di Lascaux) o migliaia (i
graffiti di Pompei). Ambrosia qui si firma con sicurezza al centro del muro, con la stessa spavalderia di
un brand importante che spicca sulle vetrine di un
negozio. E se dietro a questa tag ci fosse un’operazione di guerrilla marketing? Nome e colore potrebbero essere parte di una strategia. Alla fine si insinua
anche il dubbio che l’artista misterioso stia spiando
dietro la finestra chiusa l’effetto che fa, nello zoo cittadino, la lettura coatta del proprio nome di battaglia.
AMBROSIA
Tag
147
Elettrostasi
AMBROSIA
148
Classico caso di tag non convenzionale. Continuiamo
a seguire le orme del nostro graffitaro: Elektron in greco significa “ambra”, la portentosa resina che Talete,
circa 600 anni prima di Cristo, notò che se strofinata
con un panno attirava a sé polvere, pagliuzze e fili,
svelando il fenomeno dell’elettrizzazione dei corpi.
Se è vero che ogni nome è un presagio, qui Ambrosia sembra non accontentarsi del facile riferimento al
nettare degli dèi. Vuole fare scintille, proprio come
tra cariche elettriche opposte. E trasforma questo
muro in una scossa, tanto da far vedere le stelle alla
“a”. Leggi ed è subito attrazione.
“Attenzione: fase REM in corso”. Rapid Eye Movement, gli esperti chiamano così la fase liminale tra il
sonno e la veglia la in cui, a ogni battito di ciglia, tutto
può accadere. Perfino che Ambrosia usi la desinenza
al femminile svelandoci il suo “genere”. E ci faccia
entrare nel suo mondo fatto di chiaroscuri, contraddizioni e dormiveglia, appunto. Paradossi onirici. Sogno e son desta.
AMBROSIA
Non sono sveglia
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Il mattino
AMBROSIA
150
Pur di negare l’alba e trattenere l’amato, Giulietta
spacciava allodole per usignoli. Ma qualcosa deve
aver costretto Ambrosia ad affrontare il rassicurante, ma molto meno elettrizzante, “domani è un altro
giorno”. Qui, a uno degli incroci preferiti dal traffico
cittadino, nel viavai metropolitano che fagocita i sentimenti, la domanda quasi intenerisce. E immaginiamo la nostra graffitara girare l’angolo mettendo su gli
occhiali da sole, con addosso il pallore tipico di una
notte lasciata a malincuore.
Jonathan Swift sentenziava che promesse e pastafrolla
sono fatte per essere infrante, non lontano dalla nota
questione del resistere alle tentazioni cedendovi. Un
vecchio adagio dunque, sbiadito ad arte già nell’incipit. Chi scrive promette e non mantiene? O piuttosto
lancia uno strale imbevuto di vernice spray contro
gli impenitenti fedifraghi? Avevamo già intuito che
il risveglio del mattino non presagiva nulla di buono.
Ora quel muro sembra scrostato a furia di sbatterci la
testa. Di certo Ambrosia una promessa non può farla:
di non cedere alle ormai dilaganti abbreviazioni da
chat.
AMBROSIA
Promesse
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Sberle
AMBROSIA
152
Tafferugli illuministi. Ci sono sberle come pugni nello
stomaco e sberle salvifiche, che svegliano, soprattutto
se non vengono da una mano ma da un pensiero. In
ogni caso, anche le lettere hanno subìto il colpo e traballano in disequilibrio. Più di tutte la “e”, rigiratasi a
mimare il numero perfetto.
Un ossimoro che potrebbe essere uno slogan generazionale. I desideri negati alla loro stessa fonte e la via
Lattea si fa intricato labirinto. Come dire che potremmo avere tutto e non vogliamo niente. Ma nulla vieta
a quel “noi”, che sta col naso insù, di arrampicarsi
lungo un filo argentato del groviglio astrale e tentare
la strada del cielo. Per aspera ad astra.
AMBROSIA
Senza desideri
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Troppo sentire
AMBROSIA
154
Scritta imparentata cromaticamente con i “filosofi cinici” che si aggirano per la città a spargere sensi di
colpa... E se fosse ricollegabile anche ad altre? Se fosse nata dopo un incontro fatale con il “collettivo dei
bipolari”? Di vero c’è che il “troppo sentire stordisce”
ma non inibisce. Ambrosia o Ax, attraversata da una
ingestibile vena sentimentale, scarica il suo stupore di
cinica filosofa su un muro che nulla avrebbe preteso
nella sua immobilità. E così torna in sé, pronta a distruggere tutto.
Il momento è solenne: bisogna ricominciare tutto da
capo e non ci si deve distrarre. Quando le scritte si
autolimitano a poche, fulminanti parole, è come se
creassero, nel loro fluttuare nello spazio a disposizione, una rete di protezione dal crossing selvaggio che
solitamente conduce il muro al caos totale. E al vandalismo. Anche qui infatti, come in altri casi analizzati, la secca incitazione a “distruggere” campeggia da
sola nello spazio di cemento ingentilita, pur nella sua
minacciosa imperatività, dalle fioriture della S e della
Y. A un esperto calligrafo non sfuggirebbe che l’artista
non distruggerà mai nulla.
AMBROSIA
Destroy all
155
Reset
AMBROSIA
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“Reset” è termine necessario dopo un malfunzionamento del computer. Sembra essere naturale conseguenza della distruzione. Su questo muro “naviga”
ancora isolata la parola, rigorosamente viola, e con
quel punto che la rende inaggirabile. È un urlo nel
deserto. Un grido sommesso che attira l’attenzione,
una voce per chi non ha altro modo di farsi ascoltare, come accadeva alle origini della storia dei graffiti.
Non siamo d’accordo, sembra dire. Tempo di restaurare un qualsiasi “status quo”.
Può passare quasi inosservato. Perché se ne aspetta
un altro, nell’assordante viavai di una stazione qualunque. Ma a volte un treno in transito è proprio quello su cui vorremmo salire. E ci sfreccia accanto, spettinandoci i capelli come un’occasione mancata.
AMBROSIA
Treno in transito
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Sei nell’aria
AMBROSIA
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Che una persona, un ricordo o una canzone possa,
come un odore familiare, invadere la nostra aria non
è poi così raro. Quell’“eppure” nasconde però premesse misteriose. Poco cambia l’aggiunta del NON.
La negazione non ci convince. Qualcuno aleggia, nonostante tutto. Così etereo ed impalpabile da sentire
il bisogno di metterlo al muro.
Ringraziamenti
I ringraziamenti degli autori vanno a: Francesco Cangemi che, oltre agli scatti fotografici, a
questo libro ha dato moltissimo, scrivendo alcune didascalie e girovagando per la città con occhio vigile e coinvolto a caccia di scritte. Un vice
autore. A Enrico Ghezzi, che ha scritto facendosi capire. Al professor Cimatti, che ha provato
con disciplina cattedratica a sintonizzarsi sul
progetto. Alla fidanzata di Jena, unica dei tanti writers presenti nel libro a palesarsi anche se
in tempi non sospetti. Un grazie anche alla Dacia rossa di Jo, senza la quale molte scritte non ci
sarebbero “apparse”. Ringraziamenti da estendere, infine, ad Ambrosia, che ci ha fornito l’ispirazione per il titolo ed ovviamente a Walter, che
ci ha atteso con la pazienza che contraddistingue
i grandi editori quando si mettono in testa una
pubblicazione.
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