Burn out

Transcript

Burn out
Università degli Studi del Piemonte Orientale
“Amedeo Avogadro”
Facoltà di Medicina e Chirurgia
Dipartimento di Scienze Mediche
Master I Livello in Cure Palliative per Medici e Infermieri
VI Modulo in “Management e Formazione in Cure Palliative”
Prevenzione o riduzione del burnout in Cure Palliative?
Indagine nelle sedi di tirocinio.
Novara, 1° giugno 2005
Nicoli Elisa
Matricola n° 195
INDICE.
• Introduzione
Pag. 3 - 4
PARTE PRIMA: REVISIONE BIBLIOGRAFICA
• Capitolo 1.1: Dallo stress al burnout.
Pag. 5 - 6
• Capitolo 1.2: Le origini storiche del burnout.
Pag. 7 - 8
• Capitolo 1.3: Burnout: cos’è e come si manifesta.
Pag. 9 - 11
• Capitolo 1.4: I modelli del burnout.
Pag.
• Capitolo 1.5: Che cosa provoca il burnout?
Pag. 13 - 14
• Capitolo 1.6: Prevenire o ridurre il burnout?
Pag.
• Capitolo 1.7: I fattori di prevenzione.
Pag. 16 - 17
PARTE SECONDA: INDAGINE
• Capitolo 2.1: Motivazione ed obiettivo
Pag.
• Capitolo 2.2: Materiali e metodi
Pag.
• Capitolo 2.3: Sede e periodo
Pag.
• Capitolo 2.3.1: Popolazione oggetto d‘indagine
Pag.
• Capitolo 2.3.2: Strumenti
Pag.
• Capitolo 2.4: Analisi dei dati
Pag.
• Sezione iconografica
Pag.
• Bibliografia
Pag.
• Allegato
Pag.
INTRODUZIONE.
12
15
Il lavoro umano(1) non è mai solo una semplice produzione di
“cose”, ma rimanda necessariamente ad aspetti più profondi come
l’identità , la relazione, la produzione di un senso.
Il lavoro terapeutico ed assistenziale si caratterizza infatti da
prodotti/servizi, da lavoro/processi che s’intrecciano con le aree
maggiormente problematiche della soggettività umana, con il timore
della malattia e della morte.
Nonostante le ricerche scientifiche e la tecnologia avanzata,
tale lavoro non può prescindere dalla relazione tra persone, tra chi
richiede e chi offre un aiuto ed eludere il disorientante squilibrio che essa
comporta sul piano emotivo.
Tuttora la persona dell’operatore socio-sanitario costituisce lo
strumento tecnologico per eccellenza…ma come si può tutelare,
sostenere fisicamente e psicologicamente questa persona?
Forse la risposta può essere quella di prevenire un eventuale
stress lavorativo che può divenire cronico, considerando la valenza della
soggettività di ogni singolo operatore che quotidianamente anima le
strutture sanitarie, assiste amorevolmente le persone bisognose e sovente
- come accade in cure palliative - le accompagna fino alla fine della vita.
Come viene esposto nella revisione bibliografica che segue,
esistono fattori esterni (organizzativi) ed interni (personali) che possono
essere essenziali per la prevenzione del burnout negli operatori socioassistenziali che lavorano quotidianamente a contatto con la sofferenza.
Ritengo infatti che la persona ammalata di burnout ha
principalmente bisogno di sostegno, ascolto, comprensione sia dei
colleghi sia dei superiori e pertanto - tale persona - non è più in grado di
offrire niente di sé e della sua professionalità agli altri.
Personalmente - lavorando in tossicodipendenza da cinque
anni - mi sono trovata in situazioni di stress lavorativo cronico e proprio
per tale motivo ho voluto approfondire tale argomento.
1. REVISIONE BIBLIOGRAFICA.
1.1 DALLO STRESS AL BURNOUT.
Il “gettonato” termine inglese stress che significa stretto,
serrato, compresso, oggi viene utilizzato ed inserito nel linguaggio
abituale di ognuno di noi molto frequentemente e forse - a volte - anche
impropriamente.
Lo stress è una risposta funzionale con cui l'organismo
reagisce ad uno stimolo, più o meno violento, di qualunque natura esso
sia (fisica-psichica).
Si parla di eustress quando la risposta è attiva e positiva o di
distress quando, al contrario, la risposta è negativa, inadeguata.
Ad uno stress grave o prolungato, l'organismo risponde con la
sindrome generale di adattamento o risposta “attacco o fuga”: ha
carattere fisiologico, ma può risultare dannosa nel caso non sia possibile
rimuovere i fattori di stress.
La sindrome generale di adattamento si caratterizza per:
- reazione di allarme;
- fase di resistenza;
- fase di esaurimento.
Lo stress lavorativo - differentemente dal burnout - può
interessare tutti i lavori e ha diverse fonti:
1) intrinseche alla mansione da espletare (rumorosità, sovraffollamento,
viaggi, orari);
2) dell'organizzazione (ambiguità e conflitto di ruolo);
3) di carriera (sovrapromozioni);
4) di lavoro (colleghi - capi - dipendenti);
5) struttura e clima organizzativo (norme/valori, sentimenti/credenze).
Negli anni è stato rilevato che gli agenti di stress e le modalità
di risposta possono variare secondo le caratteristiche personali, il tipo di
occupazione e l'ambito lavorativo.
Si è infatti visto recentemente che persone impegnate in
professioni dedite al sostegno, all'aiuto degli altri sono esposte
maggiormente a particolari agenti stressanti a cui rispondono con
modalità specifiche.
1.2 LE ORIGINI STORICHE DEL BURNOUT (1)
Alcuni autori - negli anni - hanno contribuito a sviluppare una
maggiore consapevolezza delle linee di forza più interne delle strutture
sanitarie e a delineare possibili e più integrati paradigmi operativi.
Già nel 1970 Menzies mette in luce l‘intreccio tra dinamiche
organizzative e meccanismi di difesa contro angosce primarie nel lavoro
infermieristico.
Nel 1974 H.J. Freudenberger utilizza per la prima volta in
ambito sociosanitario il termine burn-out (bruciato, scoppiato), che nel
giornalismo sportivo anglosassone descrive il brusco calo di rendimento
di un atleta, dovuto al venire meno degli stimoli motivazionali. Con tale
termine egli indica una condizione d‘esaurimento fisico ed emotivo,
riscontrata tra gli operatori impegnati in helping profession (professioni
d‘aiuto) e determinata dalla tensione emotiva cronica creata dal contatto
e dall‘impegno continui ed intensi con le persone, i loro problemi e le
loro sofferenze.
Nel 1976 Christina Maslach dà una definizione operativa di
Sindrome di burn-out così descritta:
1. esaurimento emozionale caratterizzato da perdita d‘energia e
sensazione di aver esaurito le proprie risorse emozionali;
2. depersonalizzazione caratterizzata dalla tendenza difensiva a trattare i
clienti come oggetti e non come persone;
3. ridotta realizzazione personale caratterizzata dalla sensazione che nel
rapporto con gli altri la propria competenza stia venendo meno.
La Maslach(2) si è dedicata all’analisi e allo studio di questa
sindrome raccogliendo informazioni attraverso questionari, interviste ed
osservazioni su migliaia di persone inserite professionalmente nel sociale
(psicologi, insegnanti, medici, infermieri, poliziotti, ecc) e ha elaborato,
insieme a Susan E. Jackson, una scala standardizzata di misurazione
detta Maslach Burnout Inventory (MBI).
Questa scala misura i tre aspetti della sindrome di burnout:
esaurimento emozionale, spersonalizzazione, ridotta realizzazione
personale ed è ora l’indice di burnout più usato sia nelle ricerche sia nei
programmi istituzionali.
Nel 1981 Cherniss ha osservato e descritto la Sindrome di
burn-out in operatori di servizi sociosanitari e l‘ha messa in relazione
con massicci processi di ristrutturazione, con processi di ridefinizione
delle identità professionali, con assetti organizzativi squilibrati, con stili
di comunicazione problematici, con carenza d‘adeguati sistemi
premianti, evidenziando i fattori di rischio e di protezione.
1.3 BURNOUT : COS‘E‘ E COME SI MANIFESTA.
Burnout, come già detto precedentemente, è un termine che
deriva dallo sport inglese e significa “bruciato”.
Considerando il burnout nella sua complessità, indica una
particolare risposta allo stress lavorativo negativo ed è elettivo di chi fa
un mestiere di cura (medici, infermieri, volontari), di comunicazione
(avvocati), di allevamento (insegnanti).
E' una sindrome caratterizzata da esaurimento psicologicoemotivo e talvolta da malattie organiche. I segni più visibili sono
appunto nervosismo, irrequietezza, apatia, indifferenza, cinismo,
meccanismi di fuga.
Il processo del burnout(3) - che una volta avviato è difficilmente
reversibile - inizia dunque come una risposta di difesa, quando l
‘operatore prova uno stress che non riesce ad alleviare attraverso una
soluzione attiva del problema: ossia quando la persona si convince che il
vuoto tra lei, i bisogni dell‘utenza e le risorse disponibili è divenuto
incolmabile.
A quel punto la persona assume un atteggiamento di distacco,
talora di fastidio e d‘ostilità sia verso l‘utenza sia verso il lavoro. Tale
atteggiamento dovrebbe risultare di difesa e protezione verso l'esperienza
dolorosa di inadeguatezza e sovraccarico, tensione e inutilità
sperimentate nell'esercizio della professionalità verso lo stress che - al
contrario - si rivela improduttivo e a sua volte fonte di disagio.
Situazioni stressanti e ansiogene non individuate, non
analizzate e non contenute consapevolmente, intaccano negativamente
non solo le potenzialità del singolo, ma anche quelle della struttura nel
suo complesso.
Sottolineando che il burnout non è un semplice evento ma è un
processo o sindrome, si evince che la sua manifestazione sarà espletata
dalla presenza di una costellazione di sintomi (fisici e psichici) che
porteranno la persona in una condizione di cronicità dalla quale è molto
difficile poter tornare indietro.
La persona che si ammala di burnout si sente esaurito di fronte
alle richieste implicite del proprio lavoro che diviene intollerabile.
La sua manifestazione si può classificare in tre fasi che si
susseguono, durante le quali compaiono sintomi differenti.
• 1° fase: inizialmente la persona consapevole del suo stato emotivo ed
avverte dei sintomi premonitori: l'accresciuto impegno verso gli
obiettivi, l'esaurimento oppure la riduzione dell'impegno verso gli altri e
il lavoro.
• 2° fase: la persona ha più solo una consapevolezza parziale della sua
condizione e si evidenzia depressione, aggressività, senso di colpa,
riduzione dell'emotività e della creatività con conseguente appiattimento
della vita emotiva, sociale e psichica.
• 3° fase: la persona ha la completa perdita della consapevolezza e
compaiono disturbi del sonno (incubi), dell'alimentazione (aumento del
peso), indebolimento delle difese e delle reazioni immunitarie fino ad
arrivare alla disperazione esistenziale (atteggiamento negativo verso la
vita) ad un punto tale da avere propositi di suicidio.
E’ da tenere ben presente che gli effetti negativi del burnout
non coinvolgono solo il singolo lavoratore.
Infatti ne viene interessato anche:
• l’utente al quale gli viene offerto un servizio meno umano e
inadeguato;
• l’istituzione attraverso la prestazione scadente del lavoratore e il
fenomeno dell’assenteismo o dell’avvicendamento;
• la famiglia attraverso uno stato di tensione e conflitto che può
sfociare in una situazione di frattura insanabile.
1.4 I MODELLI DEL BURNOUT.
Si possono distinguere cinque modelli :
1. psicologia dell'apprendimento (=impotenza appresa):
• senso di onnipotenza, ci si sente bravi e indispensabili -----> deficit
motivazionale
• ci si sente staccati dal gruppo -----> deficit cognitivo
• paura, ansia, rabbia rompono l'immagine idealizzata -----> deficit
emozionale
2. clinico-psicoanalitico: burnout come conseguenza della autotomia,
ossia capacità della mente di automutilarsi per evacuare pensieri e
sentimenti vissuti come inaccettabili (la persona per non soffrire
preferisce passare per stolta);
3. sociologico: burnout come declino dello stile di vita comunitario;
scarso senso di appartenenza; mancanza di reti di sostegno;
4. psicosociale: interazione individuo/contesto, burnout come
conseguenza delle problematiche inerenti la gestione delle relazioni
(equipe, colleghi, superiori, struttura organizzativa);
5. integrato: convergenza tra i vari modelli.
1.5 CHE COSA PROVOCA IL BURNOUT? (2)
Se il burnout è prodotto da situazioni cattive più che da gente
cattiva, sicuramente l’individuo che si trova in circostanze simili
dovrebbe individuare le forze situazionali esterne e deviare il biasimo da
se stesso all’ambiente esterno…ma non è così.
Molto spesso la gente interpreta la propria esperienza del
burnout come il riflesso di una fondamentale manchevolezza della
personalità. Alcuni infatti si sottopongono a terapia per capire la propria
inadeguatezza, anche quando sono in grado di riconoscere gli stress
situazionali derivanti da un lavoro che richiede un eccessivo contatto con
un numero elevato di persone, sono pronti ad incolpare una qualche
mancanza in se stessi.
Perché tendiamo sempre ad avere questa forte predisposizione
a gettare la colpa del burnout su noi stessi, anziché sulle componenti
della situazione di lavoro?
Molte ricerche psicologiche rivelano che tante persone hanno
la tendenza generale a sopravvalutare l’importanza dei fattori personali e
insieme a sottovalutare quelli situazionali (gli psicologi la definiscono
“errore fondamentale di attribuzione”).
Si tende quindi a trascurare il contributo dato dall’ambiente ai
problemi della persona; si considera scontato il contesto e l’individuo è
l’attore principale.
Come detto precedentemente, la sindrome di burnout si
presenta come risposta allo stress cronico, quotidiano (piuttosto che a
crisi occasionali). La depressione emozionale derivante dallo stretto
contatto con la gente è una componente costante della routine lavorativa
quotidiana; ciò che cambia nel tempo è la propria tolleranza per questo
stress continuo, tolleranza che gradualmente si esaurisce sotto l’assalto
incessante delle tensioni emozionali.
Il risultato è che quando l’operatore comincia ad avere
problemi nel trattare la gente, gli resta difficile identificare la causa
situazionale. Effettivamente lo stress del lavoro ne è la causa ma, dato
che esso è un fattore costante mentre i problemi personali variano con il
tempo, l’individuo non riesce a vedere una causa situazionale
coincidente con l’effetto.
Un aiuto importante potrebbe darlo il gruppo di lavoro accogliendo e sostenendo l’operatore che si ammala di burnout - perché è
probabile che alcune delle sue reazioni emotive possano essere condivise
anche dagli altri componenti dell’èquipe.
1.6 PREVENIRE O RIDURRE E IL BURNOUT? (4)
La creazione di un clima organizzativo atto a mantenere lo
stress del personale ad un livello gestibile e a prevenire il burnout
dovrebbe essere un preoccupazione costante per i dirigenti di ogni
livello.
L’obiettivo è di ridurre il turnover e l’assenteismo, di innalzare
il morale e la motivazione dei collaboratori e, indirettamente, di
mantenere elevata la qualità delle prestazioni. Per realizzare questi
obiettivi non vi sono “ricette” di facile uso e forse neanche così
standardizzabili, ma è possibile dare dei suggerimenti come i seguenti.
1. Avere sempre il polso della situazione, conoscendo il più possibile i
collaboratori e verificando costantemente il clima di gruppo, inclusi i
livelli di motivazione, soddisfazione nel lavoro e stress (supervisione).
2. Intervenire sulle persone per ottenere una corretta ed efficace
gestione dello stress (quando è necessario e possibile). Una volta
riconosciuti i segni fisici ed emotivi dello stress dei collaboratori,
osservandoli e ascoltandoli, bisogna cercare di eliminare o ridurre i
fattori stressanti ed aumentare la resistenza delle persone.
3. Intervenire sull’organizzazione perché sarebbe improduttivo
attribuire lo stress e il burnout solo a fattori interni (motivazionali) alla
persona.
1.7 FATTORI DI PREVENZIONE DEL BURNOUT.
Come appena citato nel capitolo precedente, si possono distinguere
sia fattori personali (interni) sia fattori organizzativi (esterni) che devono
servire per “lavorare meglio anziché di più”(2).
Tra i fattori personali (interni) le indicazioni che si possono dare sono
di:
• chiarire e dimensionare gli obiettivi con le risorse reali senza però
rinunciare all’idealità;
• condividere con i colleghi i compiti emotivamente più pesanti;
• rinunciare all’esclusività delle prese in carico più complesse
(l’organizzazione dovrebbe prevedere il verificarsi di una eventualità
simile e programmare interventi mirati);
• avere chiara la differenza tra empatia e identificazione (il gruppo deve
essere di aiuto);
• stabilire un limite alla disponibilità verso il paziente e la sua famiglia;
• chiedere la rotazione temporanea o incarichi meno pesanti nei periodi
di forte pressione emotiva;
• individuare idee comuni che possono essere controproducenti;
• riconoscere le motivazioni personali soggiacenti alla scelta
professionale conoscendo meglio sé stessi;
• programmare le pause lontano dai pazienti e programmare il tempo
libero in attività piacevoli, rilassanti e divertenti (umorismo)
circondandosi di cose “vive”;
• tracciare confini ben delineati e ritualizzarli (periodo di
decompressione e di stacco, spazi rigeneranti);
• avere l’opportunità di cambiare lavoro solo dopo essere
guariti…l’allontanamento o la fuga dal lavoro non è la cura!
Tra i fattori organizzativi (esterni) le indicazioni che si possono dare
sono di:
• favorire il supporto tra colleghi (rivolto soprattutto ai coordinatori)
utilizzando come strumento le riunioni di équipe settimanali;
• assicurare una supervisione del lavoro da parte dei coordinatori (va
richiesta dal gruppo);
• assicurare una supervisione esterna (il supervisore deve essere
estraneo a tutto il gruppo);
• assicurare una leadership significativa;
• privilegiare orari flessibili e compiti chiaramente definiti;
• ottimizzare il rapporto numerico pazienti e operatori;
• limitare l’inquinamento del tempo privato;
• permettere la rotazione del personale;
• offrire la possibilità di formazione continua;
• sostenere la necessità di imparare le capacità interpersonali della
relazione;
• incentivare gli operatori con maggior esperienza e competenza;
• sostenere una filosofia della professione forte;
• informare e formare sul bunout.
2. INDAGINE.
2.1 MOTIVAZIONE E OBIETTIVO DELL’INDAGINE.
Personalmente - lavorando in tossicodipendenza da cinque
anni - mi sono trovata in situazioni di stress lavorativo cronico e proprio
per tale motivo ho voluto approfondire tale argomento.
L’obiettivo è capire quanto gli operatori sociosanitari che
lavorano in Cure Palliative considerino reale e necessario ridurre il
rischio di ammalarsi di burnout.
2.2
MATERIALE E METODI.
La parte di revisione bibliografica è stata svolta consultando il
motore di ricerca GOOGLE utilizzando i ricercatori booleani AND e OR.
I Meschterms utilizzati sono burnout, cure palliative, pediatria,
psicologia.
I dati raccolti sono stati elaborati con le funzioni statistiche del
programma Execel® versione per Window97 e per conoscere
l’andamento della varianza delle risposte è stato utilizzato il t-TEST di
Student(5).
2.3
SEDE E PERIODO.
Le sedi utilizzate per l’indagine - condotta dal 9 al 16 maggio
2005 - corrispondono a quelle utilizzate per i tirocini durante il master e
sono:
• UOCP Biella
• UOCP Borgomanero,
• UOCP Novara
• UOCP Chivasso
• Hospice Biella
• Hospice Bergamo
• Faro di Torino
• DH Oncologia
• CTMO
2.3.1 POPOLAZIONE OGGETTO D’INDAGINE.
L’unità di analisi è il singolo reparto/unità, considerando la
risposta del singolo operatore - scelta del tutto casuale - come media di
quel reparto.
2.3.2 STRUMENTI.
L’indagine è stata condotta personalmente e/o telefonicamente
formulando 13 domande comprendenti - come indicatori - alcuni dei
fattori di prevenzione del burnout che personalmente ho ritenuto più
importanti.
Il rispondente dà una valutazione numerica - ad ogni singola
domanda - seguendo una scala valori da 1 a 10 (1= minimo, 2=
massimo).
2.4
ANALISI DEI DATI.
Le interviste - condotte personalmente - sono 10, una per ogni
singola unità.
Nella tabella seguente vengono riportati la media e la devianza
standard sul valore intero e totale di tutti i reparti rispetto al singolo
indicatore:
TABELLA N° 1.
INDICATORI
Riunione Equipe
LeadershipSignificativa
Supervisione Esterna
Flessibilità Oraria
Compiti Definiti
Motivazione Personale
Lavoro Gruppo
Obiettivi Comuni
Rotazione Personale
Minore Carico Lavoro
Condivisione Compiti
Formazione Continua
Prevenzione Burnout
TOTALE VALORI RISPOSTE
MEDIA
DVS
7,1
2,80673792
8,6
1,17378779
7,5
2,83823106
7,4
3,16929715
7,9
1,72884033
9,1
0,99442893
8,4
1,95505044
9,1
1,28668394
6,4
2,7162065
7,4
1,57762128
8,2
1,13529242
8,5
1,3540064
8
2,62466929
SEZIONE ICONOGRAFICA.
INDICE.
• Grafico N° 1
Pag.
• Grafico N° 2
Pag.
• Grafico N° 3
Pag.
TABELLE NEL TESTO:
- Tabella N° 1
Pag.
- Tabella N° 2
GRAFICO N° 1.
Pag.
11
10
9
8
7
6
5
4
3
2
1
0
R
E
LS
SE
O
F
C
D
M
P
LG
O
C
R
MP
C
L
C
C
FC
BO
Scala punteggio
Ogni reparto rispetto al singolo indicat
Indicatori
GRAFICO N° 2.
UO
UO
UO
UO
CP
HO
HO
FO
DH
CT
TOT(%)
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
UOCP BI UOCP
BMAN
GRAFICO N° 3.
UOCP
NO
UOCP
CHIV
CP HOSPICEHOSPICE F
AOSTA
BI
BG
Somma % e devianza standard d
risposte del singolo reparto
10
1
U UO
O C
C P
P
U B M BI
U OC A N
O P
C N
P
C C O
P
H A HIV
O O
H SP S T
O I A
F O S P I CE
N C E BI
D
D . F BG
H A
O RO
N
C
C OL
TM
O
Percentuale
100
0,1
Reparti
BIBLIOGRAFIA.
1. Boccalon R.M. “Chi cura rischia di bruciarsi” - Sanità e
Management 2001 pubblicato sul Sole 24 Ore
2. Maslach C. “La sindrome del burnout: il prezzo dell’aiuto agli altri”
- Cittadella Editrice
3. Progetto di ricerca “Stress e sindrome del burnout” - Regione
Piemonte 2002
4. Calamandrei C., Orlandi C. “La dirigenza infermieristica” - Seconda
Edizione McGraw-Hill - Capitolo 20 pag. 279-287
5. Colton T. “Statistica in medicina” - Edizioni Piccin - Pag. 112 e ss.
6. Zammuner, V.L. (1998,2000) „Tecniche dell’intervista e del
questionario” - Bologna, Il Mulino
7. “Stress e burnout dei volontari” - RICP vol. 5 n. 1, marzo 2003
8. Ventafridda V. “Curare quando non si può guarire” - Milano
9. Erba M. “Quando a fare male è il male altrui” - Tempo Medico n°
660 dell’8 marzo 2000

Documenti analoghi

Modulo 6- La sindrome del burnout

Modulo 6- La sindrome del burnout Quando una persona assume un atteggiamento freddo e distaccato nei confronti del lavoro e delle persone che incontra sul lavoro, diminuisce sino a ridurre al minimo o ad azzerare il proprio coinvol...

Dettagli

Canavero, La sindrome del burnout nel mondo degli insegnanti

Canavero, La sindrome del burnout nel mondo degli insegnanti all’ambito lavorativo, in relazione agli operatori dei servizi sociali, alle cosiddette “professioni di aiuto”, le helping profession. Queste categorie di lavoratori, infatti, dopo mesi di impegno ...

Dettagli

La sindrome del Burn Out nei servizi alla persona

La sindrome del Burn Out nei servizi alla persona della documentazione relativa agli accertamenti sanitari per l'inabilità al lavoro presentata dall'INPDAP e riferita al decennio 1992/2001 - sono risultate gli insegnanti, gli impiegati, il persona...

Dettagli