Il giallo di Milla
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Il giallo di Milla
Il giallo di Milla Tra il 1999 e il 26 giugno 2002 il newsgroup it.hobby.scacchi fu allietato dalla presenza di una serie di messaggi a firma di una certa “Milla”, appassionata scacchista fan di Bobby Fischer, nonché cultrice di fisica ed astronomia. Nel corso di tre anni apparvero circa ottocento messaggi (fonte: Google) di o su questa fantomatica presenza, riguardanti i più disparati argomenti: teoria delle aperture, richiesta di consigli, meccanica quantistica, racconti e anche la proposta per gruppi di studio permanenti su determinate aperture. L’entusiasmo, la simpatia e la parvenza fisica (almeno quella rivelata: tale Milla aveva indicato la foto che vedete, appartenente al suo “sosia” Milla Jovovich) della scrivente facevano sì che ogni messaggio su IHS della stessa fosse seguito con particolare attenzione. Alcuni esempi: titolo: ve l`avevo promesso... data (2000/02/12 ) indirizzo completo del messaggio: http://groups.google.com/groups?selm=38a54080.13495185@ news.interbusiness.it&oe=UTF-8&output=gplain titolo: per farmi perdonare data (2001/03/14) indirizzo completo del messaggio: http://groups.google.com/groups?selm=200103141201.f2EC1 [email protected]&oe=UTF-8&output=gplain contenenti ognuno un racconto di carattere fantascientifico (fonte:Google, : I thread più lunghi, 8 novembre 2003). Ma anche frivoli pettegolezzi o “scandali”: (titolo: ho aiutato un amico a vincere delle partite su FICS ). Ecco quanto scriveva di sé stessa (messaggio del 10.03.2001): “ Si', il mio nome e ' Emanuela e non dovrebbe essere un segreto, mi pare lo scrissi una volta su IHS. Non sono sposata e non intendo farlo, almeno per ora. Fidanzata non ve lo dico,(chissà, magari Bobby decide altrimenti...:-). Non rilascio foto (non ne esistono nemmeno in rete), a qualcuno tempo fa mandai una foto di Milla J. che - in quella foto mi e' sputata (Si' si', e' per questa ragione che ho scelto questo nick. D'altronde e' il mio soprannome da molto prima del 5 Elemento). Per i curiosoni: http ://www.cinemastars.com/milla/GalleryTwo.htm immagine n.15, la terza da sinistra (è la foto qui riprodotta, ndr). Non do' appuntamenti al di fuori di Internet. Scusate se in questo sono noiosa fino alla pallosità. Non dico dove abito, amo la mia privacy. (…) Amo la fisica (cosmologia e MQ) e la matematica ma non sono una fisica. Non vi dico cosa ho studiato perche'sono una femmina e in quanto tale vanesia e capricciosa.” La feroce ritrosia, apparentemente spontanea per una bella ragazza che si collega al variegato mondo di Internet, fu presa abbastanza seriamente dai partecipanti del NG It.hobby.scacchi, dato che bastava la sola presenza di quella magica firma per accendere l’attenzione di tutti: “Si, ma certe cose si percepiscono anche se tra di noi c'e` solo un monitor con delle scritte ASCII davanti. Tu sei diversa dalle altre...Tutto IHS se n'e` accorto.” Tutto proseguì fino alla fatidica data del 26 giugno 2002, quando apparve il seguente messaggio: (Oggetto:*** leggete questo ***), in cui compariva questo indirizzo: ww.geocities.com/milla_451. Andando a tale indirizzo si poteva leggere quanto segue: Mentre sto scrivendo queste righe so che questo non è un saluto temporaneo, di quelli che ci si scambia di solito tra amici, ma un addio, e definitivo. Questo addio è per la creatura che, per varie vie non del tutto previste, mi ha dato molto. Grazie Milla, grazie per la tua temporanea esistenza in questa mia vita. E addio. Sono convinto che la bellezza salverà il mondo. Non solo quella esteriore, che pure è ricercata ed inseguita. Spesso la vera bellezza è nascosta, e la sua ricerca costa fatica. E’ certo più facile inseguire l’apparenza. Qualche volta tuttavia dietro l’apparenza scopriamo le parole, e se penso a Milla la rivedo come una creatura non di immagini, ma di parole. Prima che leggiate il resto voglio lasciarvi un ultimo dono. E’ la cronaca di un incontro, e di un bacio. Il mio augurio è che possiate ancora un poco sognare con esso. D’altra parte, esclusi i sogni e il gioco (oltre alla famiglia, i buoni libri, il vino e gli amici), che altro ci resta per sopravvivere ? Non molto tempo fa… Questo pomeriggio torrido sembra non finire mai, e in un certo senso ho desiderato che fosse così. I villeggianti che affollano il marciapiedi sembrano appartenenti ad una misteriosa vociante tribù. La spiaggia non è lontana, e l’odore di salsedine, a cui non sono abituato, si spinge fino qua. Sfilo il portafogli dalla tasca. All’interno qualche carta moneta e, dagli spigoli ormai consunti, un foglietto ripiegato E’ una foto di lei. Non ho bisogno di vederla. Milla è lì, con quell’espressione copiata da un angelo sceso per errore su questa terra. Conosco quell’immagine in ogni suo millimetro, potrei disegnarla, suonarla o ricrearla con ogni oggetto. Quei pochi tocchi di colore che formano un viso hanno logorato i miei giorni e le mie notti, è stata una lenta malattia che, mio malgrado, mi ha catturato sempre più. Questo pomeriggio sembra non finire mai. Anche se finirà, come tutte le sere e tutti i giorni di questa terra. Forse in un luogo non troppo lontano dell’universo le sere così belle rimangono in eterno. Come nel paradiso o nel nirvana, dove dicono si annullino tutte le sofferenze. L’aria ora porta un profumo di fiori e di mare, la vicinanza di grandi palme fa di questo viale un enorme giardino esotico. Guardo per l’ennesima volta lo sgraziato scatolone dell’Hotel ****. L’ultimo turno del torneo scacchistico si è concluso da poco. La premiazione comincerà tra poco meno di un’ora. Davanti all’entrata sosta un gruppo di persone in attesa. So che tra loro ci sono anche dei GM, ma non mi importa granché. So che lei è là dentro, da qualche parte. Se i miei amici sapessero che sono qui non per giocare ma solo per vedere lei, mi prenderebbero per scemo. Probabilmente lo sono. Uno scemo con un sogno. Forse tutti quelli che inseguono un sogno lo sono. Mi alzo per sgranchirmi le gambe. Sono in attesa ormai da un’ora. Il sudore mi cola lungo le guance. Aspetto non lontano dalla porta a vetri dalla quale lei uscirà, come è già successo altre volte in questi giorni. Uscirà in compagnia di un tipo che sembra sbucato da un’agenzia per modelli. Mi specchio in una vetrina poco distante e vedo l’immagine di una persona che non ha niente a cui vedere con quella specie di vichingo abbronzato. Lei passerà a pochi metri di distanza e forse sarà come le altre volte, altre volte in cui mi è sempre mancato il coraggio. Ripenso a tutti i momenti in cui l’ho veduta durante questi giorni, assorta sulla scacchiera, una ciocca di capelli biondi che sfiora il tavolo, i suoi occhi che guardano seri davanti a sé. So che il mio desiderio vive di pura fantasia, ed è della stessa materia dei sogni. So che non ho alcuna speranza, ma non cerco nemmeno una soluzione. Preferisco inseguire un sogno, il mio sogno. La banalità delle parole che esprimono questo pensiero, “inseguire un sogno” non mi infastidisce più con il suo sapore di luogo comune. Ora che sto scrivendo me ne rendo conto. Era, è stato per molto tempo – da quando ho veduta la sua foto per la prima volta - un luogo comune. E’ vero. Ma era il mio luogo comune. Continuo a fissare quel punto come se lì risiedesse il centro del mondo, l’origine e il termine ultimo di tutte le mie domande. E’ solo una porta, una stupida porta di vetro e metallo che si apre su di una parete di albergo. Solo ora mi rendo conto di quanto tempo ho atteso per essere qui ora, quante volte la mia immaginazione ha costruito questo momento. Ed è naturalmente diverso, come è diverso ogni avvenimento troppo atteso e non ancora accaduto. Figli della memoria, mi scorrono di fronte una quantità di scenari diversi, assemblati nei più minuti istanti e particolari: una spiaggia al tramonto, un lungo viale alberato, un colonnato in penombra… solo ora mi rendo conto dell’evidenza così ridicola di tali fantasie. In questo momento sono appoggiato ad un cartellone pubblicitario, un cane sta orinando a due metri dalle mie gambe, poco distante c’è un cassonetto della spazzatura. So che non pretendo poco, il paradiso non si guadagna così facilmente. Ma questo, se qualcuno lo vorrà, sarà il mio pezzo di paradiso. Il destino a cui mi sono abbarbicato con tutte le mie speranze è stato di parola. La porta si apre e Milla esce, seguita dal ragazzo biondo, occhiali specchiati e una maglietta senza maniche. Lei gli sta dicendo qualcosa e ride. Sembrano due divi del cinema. Sto per staccarmi dal marciapiede quando accade qualcosa che mi fa capire che qualcuno lassù, se esiste, mi sta offrendo un regalo unico. Dopo una decina di passi lei si ferma e dice qualcosa all’amico, che fa dietrofront e torna nell’albergo. Il viale davanti a me è deserto, ed è così strano, poco fa sembrava pieno di gente. Tra noi ci sono poco più di dieci metri. E allora lo faccio. L’avrei fatto lo stesso con quella sorta di guardia del corpo presente. L’ho già fatto decine di volte nella mia testa. Da settimane, mesi l’avrei fatto. Approfitto della distrazione del destino, di Dio o di qualcun altro che sta lassù, attraverso la strada e mi dirigo verso di lei. Milla alza la testa, Mi vede. “Ciao amore”, penso, Ciao Milla. Lei sembra interdetta. Si è sicuramente accorta che non sono uno scacchista, che lì, in quel momento, non c’entro niente. Non voglio spaventarla. Sorrido, lei mi rimanda il sorriso ma avverto del timore. Devo agire velocemente per impedire che i miei movimenti siano fraintesi. Mi fermo, dal marsupio estraggo la scatola che contiene la rosa che ho scelto per lei. E’ una rosa bianca, appena screziata di rosso. Alzo la scatola e la porta a vetri dietro a Milla si riapre. Il resto accade tutto in pochi secondi, come accadono gli eventi che cambiano una vita, come forse è avvenuta la creazione. Il mio ricordo ora dilata quei pochi attimi all’infinito, smagliando le immagini e i pensieri come una rappresentazione congelata di tre attori che cercano di seguire un assurdo copione. Io che apro la scatola e dalla scatola esce quello che della rosa non è più, solo pochi petali arruffati e un paio di foglie accartocciate. Milla che mi guarda e sorride, mentre il ragazzo mi si avvicina. La mano di lei si alza, la sua voce dice qualcosa all’amico che non riesco a sentire. Il ragazzo si blocca ad un metro di distanza, mi sorpassa di tutta la testa, so che potrei prendermi un ceffone da un momento all’altro. Intimorito, ho eseguito un movimento istintivo con la testa e mi sono caduti gli occhiali da sole. Solo ora mi rendo conto di aver avuto una reazione stupida. Milla si fa avanti. Non sorride più, ma nella sua serietà non c’è più timore. Si china, mi raccoglie gli occhiali. “Chi sei ?” dice, “Ci conosciamo ?” Lì per lì non capisco, mi rendo conto che sto facendo la figura del deficiente. dalla sua bocca le parole sono uscite quasi mormorate. La sua voce è proprio come l’ho sempre immaginata, calda e morbida. Ti ho conosciuta attraverso il newsgroup rispondo, ho saputo da *** che eri qui a giocare. E il mio nome non ha molta importanza, non sono nessuno, solo uno che vuole un bacio. Un bacio per una rosa. E le porgo lo stelo sfinito. Lei ha posato la mano sopra il braccio dell’amico. Basterebbe una sua parola e mi ritroverei steso per terra. “Un bacio”, ripete Milla, “Un bacio per una rosa”, e ha un’espressione che la mia memoria ormai potrebbe dipingere ovunque. Poi ride, e questo è l’ennesimo regalo. Un bacio per una rosa, ripete, e questa frase sembra divertirla. Ma non sta canzonando la mia richiesta stupida. Allunga una mano e prende quello che rimane della mia rosa. “Questa è una…rosa ?” sorride ancora. Poi avvicina il suo viso al mio. Sento un profumo di limone, il tocco minuscolo delle labbra che si sfiorano. “…e questo è un bacio”. Le ultime cinque parole le hanno udite solo due persone. Questo è il suo ultimo regalo. Mi saluta. Senza capire cosa sto dicendo ripeto il suo saluto. La seguo con gli occhi mentre, mano nella mano, si allontana con il suo biondo angelo custode. Attraverso la strada e mi dirigo verso un bar. Ordino una birra. Lungo il viale passano urlando una manciata di ragazzi in bicicletta. La piccola folla di curiosi davanti all’entrata dell’Hotel si è dissipata. Qualcuno ride forte. La birra è calda, ma non ci faccio caso. Pago, mi accendo un mezzo toscano e mi incammino verso la stazione. Cari amici, Prima di cominciare con le spiegazioni vorrei che leggeste questo messaggio inviato a IHS nell’aprile dello scorso anno. Da:Andrea Soggetto:per Claudio Benzi (e per Seby) Newsgroups:it.hobby.scacchi Data:2001-04-26 10:29:41 PST ciao ragazzi, Riporto uno "scambio di battute" tra due partecipanti al newsgroup it.hobby.scacchi, Claudio Benzi e Seby (thread "depressione" di Claudio Benzi, risposta di Seby del 25 aprile 2001): Claudio Benzi: "Sono molto depresso perché non riesco a perdere dignitosamente contro Gnu e sul Fics, dovendo fare in fretta, vado nel pallone e poi finisce che abbandono". Seby: "Bè come dici tu stesso "dovendo fare in fretta" non giochi bene, ma nessuno ti vieta di giocare con tempi + lunghi". Claudio: "In tutta la mia vita (ne ho 63) avrò fatto forse dieci partite con amici, molto scarsi,in verità, ed ora, grazie al PC, mi sono un po' allargato, ma sono veramente sconsolato. Penso che non vivrò abbastanza per poter affermare di 'saper giocare a scacchi'......" Seby: "Certamente puoi affermare di saper giocare a scacchi, per ciò basta conoscere le regole... ma non potrai affermare di saper perdere se la prendi in questo modo. Secondo me la prendi troppo sul serio: 1 - tu non sei un professionista degli scacchi! 2 - l'importante nella vita è partecipare! 3 - ci sono ben altri motivi per cui varrebbe la pena di essere depressi, non credi? 4 - hai mai analizzato una tua partita persa? 5 - giochi per giocare o per dimostrare qualcosa a te stesso e agli altri? 6 - guarda agli scacchi come un mezzo per distrarti dai problemi reali e non il contrario e sarai felice...almeno mentre giochi :-) P.S. ricorda che mille giorni di tristezza non ne fanno uno di felicità." Questo era il thread. Ora dico la mia. Ho una storia, e ve la racconterò. Premessa: Questo periodo della mia vita (almeno da due anni a questa parte)è caratterizzato dal gioco degli scacchi. Dire caratterizzato è alquanto limitante. Più propriamente posso affermare che sono letteralmente bruciato dalla febbre degli scacchi. Ho quasi quarant'anni e ho cominciato a muovere i pezzi due anni fa. Da allora ho studiato libri, ho frequentato il circolo della mia città e ho giocato quanto più possibile. Un anno fa ho preso coscienza che chi inizia a giocare a quarant'anni ed è immerso in una vita di impegni di lavoro e familiari non diventerà mai un campione. Dal canto mio non mi faccio troppe illusioni. Ho partecipato ad un unico torneo a costo di notevoli sforzi e credo che non avrò più tante occasioni nella vita, se non quando sarò in pensione. E' noto che negli scacchi per possedere una categoria è necessario partecipare a tornei. Rimpianti ? Potrebbe servirmi il rimpianto di non aver iniziato a giocare a dieci anni ? Vediamo un po' cosa ho fatto nella mia vita giovanile. A dieci anni costruivo capanne sugli alberi in riva al fiume, a tredici anni mi sbafavo pagine di Asimov e a sedici correvo dietro alle ragazze. A vent'anni ho cominciato ad andare seriamente in motocicletta e le due ruote mi hanno regalato istanti indimenticabili. Ho studiato, ho cominciato a lavorare, mi sono sposato e ho generato dei figli. Insomma, durante la mia giovinezza (e anche dopo) ho fatto altro. Certo, conoscevo l'esistenza degli scacchi. Verso i dieci anni (era il '72), lambito dalla scia del match del secolo ho rischiato di cominciare a giocare, ma nessuno dei miei amici giocava, e non me la sentivo di andare solo soletto nel circolo della mia città (non credo nemmeno sapessi dell'esistenza di un circolo). Mancando degli stimoli in questo senso, l'idea degli scacchi progressivamente si allontanò. Talvolta tuttavia essi tornavano: mi incuriosivano quei problemi che appaiono nei giornali enigmistici, e possedendo una certa passione per la logica qualcosa mi diceva che prima o poi avrei imparato le regole. Tuttavia soprassedevo, giustificandomi con l'affermazione che in fondo gli scacchi sono una perdita di tempo e che ci sono altre attività più utili per passare il tempo. La mia storia Passò così l'infanzia, passò l'adolescenza, arrivarono i momenti delle grandi scelte, del lavoro, della famiglia. Nel 1992 per motivi di lavoro dovetti cambiare città per un luogo che conoscevo soltanto sulla carta, lasciando a casa la famiglia e gli amici. Causa la lontananza tornavo a casa solo il fine settimana. I primi tempi (si era in primavera) alloggiai ospite di un convento. Ero completamente solo e durante i lunghi tramonti estivi imparai a giocare a scacchi. Mi ero comprato un libricino, "giocare a scacchi" di Averbach e avevo con me una scacchierina portatile. Durante quell'estate imparai a muovere i pezzi. Quando trovai un alloggio stabile cominciai a frequentare un bar in cui si talvolta si radunavano gli studenti universitari per giocare. Lì imparai il significato di avere un avversario. Perdevo quasi sempre, ma non mollavo. Ricordo in particolare uno studente, un greco, che era considerato il campioncino del bar: ci batteva tutti, invariabilmente. Un giorno comparve un uomo dimesso, quasi un barbone, che dopo aver bevuto un bicchiere si fermò a guardare il gioco del greco. Dopo qualche minuto sfidò il campione del bar, che umiliò in poche mosse. Era uno di quegli slavi che vendevano binocoli e macchine fotografiche sul marciapiede. Fu in quel momento che intravidi l'esistenza di una qualità di gioco superiore a quello dilettantesco. Passarono tre anni in cui, dopo un periodo iniziale di passione il gioco si affievolì, più che altro per mancanza di avversari. Riuscii a tornare alla mia città e cercai di frequentare l'unico circolo scacchistico. Un paio di visite confermarono l'impressione iniziale: il circolo era praticamente inesistente, e trovare un avversario era un'impresa ardua. Lasciato solo a me stesso, mi allontanai di nuovo dal gioco. Ma era una brace che covava sotto la cenere: appena vedevo qualcuno giocare mi avvicinano, un paio di volte andai a vedere un torneo. Insomma, la scacchiera continuava ad esercitare su di me il suo fascino. Nel 1999 caso volle che un parente si trasferisse nella mia città. Giocava a scacchi da dilettante, come me, e cominciammo a vederci qualche volta per giocare. La brace riprese forza, divenne un fuoco dirompente. Ricominciai a frequentare il circolo andando letteralmente a scovare avversari disponibili, acquistai libri, cominciai a studiare partite commentate. Nei primi mesi del 2000 partecipai in una città vicina [Rimini] ad un Festival in cui c'era una sezione per la promozione alla Terza Nazionale. Persi tutte le partite meno una, l'ultima, ma le ripetute sconfitte non fecero altro che accrescere la mia voglia di continuare a giocare e imparare. Da allora continuo a giocare. Purtroppo, per accresciuti impegni, non riesco più a frequentare il circolo, ma ho un PC e la sera tardi strappo un'oretta al sonno per frequentare FICS. Non gioco breve perché ancora non ne sono capace, e i tempi lunghi (almeno 20') aiutano la mia connaturata lentezza nel pensare. Ogni tanto do un'occhiatina a qualche libro tecnico. E' chiaro che ho dovuto fare delle scelte. Per giocare a scacchi ho rinunciato ad altre cose a cui tenevo e continuo a tenere tantissimo. Ma credo che il gioco degli scacchi sia un gioco bellissimo e che valga la pena di "perderci" un po' di tempo. D'altronde la scelta è stata unicamente mia. Il gioco degli scacchi è una "meravigliosa" perdita di tempo. Ora si tratta di valutare come viene perso questo tempo. Poche sere fa mia moglie mi chiese perché ero così intrattabile. Risposi che avevo perso tutte le partite in FICS. Lei si mise a ridere rispondendomi: "ma se dev'essere un gioco, a che vale arrabbiarsi tanto ?". E' vero, gli scacchi sono un gioco e le affermazioni di Seby sono sacrosante. Le riporto ancora perché ne vale la pena: "ci sono ben altri motivi per cui varrebbe la pena di essere depressi, non credi?", "giochi per giocare o per dimostrare qualcosa a te stesso e agli altri?", "guarda agli scacchi come un mezzo per distrarti dai problemi reali e non il contrario". Sono affermazioni molto importanti e razionalmente le comprendo, anche se a volte il "sacro fuoco scacchistico" me li fa dimenticare. Invece le dobbiamo tenere sempre presenti. Gioco a scacchi. Perché gioco? Gioco perché mi dà gusto, perché mi fa sentire vivo. Probabilmente da qui a vent'anni non riuscirò a partecipare a tornei ma, grazie ad Internet, oggi è possibile giocare in un circolo virtuale grande come il mondo. Non sento il bisogno di possedere categorie ufficiali (anche se sarei fiero di possederne),non mi interessa una carriera professionistica. Penso che il giocatore di scacchi non sia quello che si fregia di 3N, 1N o GM, ma la persona che siede davanti ad una scacchiera. Che siede e gioca. E' il gioco che crea gli scacchi, non tutto quello che gli sta intorno (e che tuttavia gli è necessario). "guarda agli scacchi come un mezzo per distrarti dai problemi reali e non il contrario". Gli scacchi sono una delle poche medicine a questo straccio di vita (oltre alla famiglia, i buoni libri, il vino e gli amici). Gli scacchi sono per il me il momento della sera in cui, nel silenzio di casa mia, magari con un birrino, mi piazzo davanti al PC, entro in FICS e il cuore comincia a battere più veloce nel momento in cui il mio avversario ha accettato la partita. E' la stessa sensazione che provavo quando ero alla partenza di una gara motociclistica. E in questo senso gli scacchi allungano indefinitamente la giovinezza. E, come ogni cosa della vita, si continua ad imparare, sempre. Anche a perdere. Anzi. Ultimamente mi è capitato di complimentarmi con il mio avversario per la sua vittoria, mentre qualche mese fa gli avrei messo, se avessi potuto, un dito in un occhio. Sono permaloso di natura e gli scacchi mi fanno bene. Per me gli scacchi sono anche la "lettura" di una partita commentata di un grande campione. In un certo senso è come leggere un bel libro; intuire anche in misura minima le meraviglie tattiche e strategiche di un grande dà appagamento. Il gioco degli scacchi in effetti è qualcosa di più di un gioco: è agonismo, studio, meditazione (la famosa triade: arte, scienza e sport è indicatissima). Quindi gioco a scacchi, e continuo a farlo. Magari cercando di evitare dannosi estremismi. A quest'età non me li potrei permettere. (una volta seppi di una persona che aveva perso il lavoro per il gioco: ecco, questo è quello che definisco un estremismo dannoso). Giocare per vivere e non viceversa quindi. Ho cominciato a giocare a quarant'anni, ma vorrei che il gioco degli scacchi mi accompagnasse per il resto della mia vita. E questo, a prescindere dall'età in cui si comincia, è una cosa stupenda. Andrea Ho premesso questo lungo messaggio per il semplice fatto che Andrea sono io. Non mi chiamo Andrea ma Francesco. Tutto quello che ho scritto nel messaggio precedente è vero. Tutto quello che vi ho scritto finora è vero, salvo le due bugie sull’età… e naturalmente sul sesso. Ora le spiegazioni. Perché ho fatto nascere Milla. Non è stata una stupida facezia. Come principiante avevo grossi problemi a imparare a giocare a scacchi. Nella mia città ci sono pochissime occasioni per giocare. Quindi se volevo risolvere i miei problemi dovevo darmi da fare da un’altra parte. Internet e il newsgroup era una porta aperta sul mondo scacchistico, ma come sfruttarla ? Quando ho iniziato a scrivere su IHS e a porre domande su molti dubbi che affioravano un giorno dopo l’altro ho scoperto una cosa: che difficilmente gli esperti scacchisti – per il 99% uomini rispondono ad un messaggio firmato “Francesco”. Altra cosa era se scriveva una ragazza. E’ allora che è nata Milla. In quei giorni avevo visto “Il quinto elemento”, ed ero rimasto affascinato da Milla Jovovich. Non ho dovuto faticare granché, in fondo mi sono soltanto cambiato sesso ed eseguito una correzione sull’età (una quarantenne principiante di scacchi sarebbe stata forse poco credibile, una trentenne forse più attraente). Per il resto, la casa vicino al fiume, i gusti letterari, gli studi scientifici – tutto è rimasto inalterato. Ho pescato una foto della Jovovich con la quale, chi voleva, poteva associare un volto alla “voce” di Milla. Insomma, ho creato una personalità virtuale ma nemmeno tanto, dato che al 90% ero io. L’esperimento funzionò, e alcuni cominciarono a rispondermi. Abbandonai volutamente i contatti di chi insisteva per incontrarmi, o di chi aveva voglia di perdere solo tempo. Grazie ad Internet risolsi vari dubbi che, progredendo, affioravano. E per questo devo ringraziare tutti voi. Tuttavia mi rendevo sempre più conto che era ingiusto continuare a tacere la verità. Prima o poi avrei dovuto scoprire le carte. D’altra parte Milla aveva sorpassato le mie più rosee previsioni, mi era venuta troppo bene ! era perfetta: bella come una dea, intelligente e spudorata, appassionata di scacchi, di letteratura e cosmologia, delicata e maliziosa… forse la femmina ideale, forse inesistente? Devo dire che parecchi hanno tentato di penetrare non nel rifugio informatico che avevo dovuto necessariamente creare (finti indirizzi, depistaggi su improbabili server, numeri di cellulare fasulli), e devo dire che qualcuno ce l’aveva quasi fatta a smascherarmi. Ma fra le innumerevoli email che Milla ha ricevuto durante questi anni, queste sono le righe (scusami amico, ho perduto il tuo nome) che forse meglio hanno colto il “personaggio” Milla: “…qui nel web la maschera conta più del volto. Anzi, la maschera è il volto (…) sta di fatto però che hai creato un personaggio affascinante, con una personalità specifica e immanente, che però esiste solo in quella realtà impalpabile e aspaziale che è il web. In altre parole sei il vero frutto del superweb, una scintillante promessa irrealizzabile, l'albero degli zecchini d'oro promesso dal gatto e dalla volpe…” Cara Milla, addio. E così Milla scomparve dalla scena scacchistica di IHS. Poco tempo fa ci pervenne il seguente messaggio anonimo: (l’ indirizzo del mittente : [email protected] - è evidentemente fasullo, il mittente ha mascherato in qualche modo il suo vero indirizzo) – Milla Milla Milla Milla. M-i-l-l-a. M come magnificenza fatta carne, meravigliosa incarnazione dei miei sogni. I come imprescindibile prorompenza, L languida rotondità dei suoi seni e ancora L, perché i seni delle donne sono due e per la limpidezza del suo sorriso. A come angoscia per la sua assenza, agognata presenza, abbracci lentissimi su far della sera… Amore ? Che cos’è l’amore, virgoletta rosa tra le paroline “ora t’amo, tra sei mesi chissà”, stracciatella linguistica sbrodolata in ogni sonetto ed in ogni salsa, spalmata ad ogni cambio di nota per sanremesi vagonate armoniche, girata rigirata e rosolata per bibliche generazioni di show televisivi. Amore, amore, amore…Detta, ridetta e stradetta e infarcita da interi zoo di pussi pussi, micci micci, ticci ticci, chiudi tu no prima tu, dai fammi il gattino l’orsetto il cagnolino il cucciolino il pipistrellino il barracudino il coccodrillino… e che cazzo ! No, l’amore come “Amore”, sentimento sublime ed indissolubile che smuove le montagne e innesca conflitti continentali è defunto, ucciso dall’idiozia degli adepti, divorato dall’interno dalla sua stessa bocca, compresa la lingua – disgustosamente rosa confetto. Sminuzzati i suoi eterei atomi di tenerezza, prerogativa questa intercambiabile con altre seimila almeno, in un andirivieni evocativo che ha del paranoico nella storia dell’umanità. Amore. Il Love shakespiriano, Amore leopardiano, Amor nerudiano si è sbriciolato in stupidità extragalattica. L’unico oggetto che è capace di muovere non è certo una montagna, e i conflitti innescati sono quelli che s’impigliano tra una cerniera lampo e un reggicalze difettoso. L’universale divorato dal particolare, digerito in porcheria qualunque (ma caspiterina se commercializzabile) e adoperato come concime. Ad uso della banalità cretina, che piace sempre e tira l’audience. That’s amore. Se l’Amore è “quell’amore”, non so che farci per Milla. Quindi non dirò cosa provo per Milla. L’inutilità mi toglie le parole, ad un oceano di inesattezza è preferibile un secco ma preciso silenzio. Cosa prova un elettrone per il suo nucleo, l’archetto per il suo violino, una patatina per un tubetto di maionese, o meglio un bicchiere di Coca-Cola ? Milla non ha cambiato la mia vita, ma l’ha presa e messa in lavatrice, in un programma con due prelavaggi e sette centrifughe. Milla ha dovuto essere inventata perché esistessi, in caso contrario perché trascinarmi dal pannolino al sudario, dallo spermatozoo alla tomba ? La incontrai a Rimini, il tre luglio del 2000 alle ore quindici e trenta. Ricordo bene l’ora perché parcheggiai l’auto in zona grattino, un’ora duemila lire, le ore successive mille e così via in serie decrescente fino alla notte dei tempi e della Riviera. Il calcolo dell’orario di parcheggio mi ha sempre portato via una considerevole fetta di parcheggio già pagato. Credo che la difficoltà di interpretazione delle spiegazioni dei parcometri sia una subdola necessità per rimpinguare le casse comunali. Dovevo incontrarmi con Windo per andare insieme ad una improbabile mostra di grafica computerizzata. Nel luogo scelto per l’appuntamento Windo non c’era. Conoscendo il mio amico, mi recai nel più vicino bar e mi presi un caffè. Windo non c’era dieci minuti più tardi, non c’era il quarto d’ora successivo e nemmeno quaranta minuti dopo. Dopo tre caffè, un cappuccino, un bicchiere d’acqua gassata e una incipiente incazzatura decisi di tornare a casa. Dovevo prevederlo che era più probabile fare pipì sulle scarpe del presidente degli Stati Uniti che avere un appuntamento con Windo. E a proposito di pipì avevo qualcosa da dire. Di molto lungo. Ero certo che il viaggio verso casa non avrebbe che peggiorato la situazione della mia vescica. E se qualcuno ha viaggiato in auto sulla Statale Adriatica trafficata con la vescica ricolma sa cosa voglio dire. Non un angolino appartato, non un bar, l’angolo di un’officina né l’entrata di un supermercato. Una disperazione organica per chilometri e chilometri, fino alla risoluzione estrema di uno spartitraffico trafficatissimo. Il problema maggiore era stato l’acqua gassata. Le bollicine di anidride carbonica avevano sadicamente organizzato un party nei miei tubercoli renali, mentre le molecole lattee del cappuccino mi lavoravano allo stomaco. Sapevo di avere pochissima autonomia. Forse un altro paio di centinaia di metri e non avrei più risposto delle mie azioni organiche. Tornare al bar dell’appuntamento non mi andava, avrei dovuto ordinare qualcosa d’altro e solo la vista delle file di bottiglie di liquidi dietro il bancone mi avrebbe fatto esplodere come un palloncino ad una fiera paesana. Ci voleva un diversivo, e subito. Due oggetti risolsero il mio problema e cambiarono per sempre la mia vita. Il primo era l’insegna TOILETTES all’interno della hall di un albergo, il secondo un cartello riguardante un torneo di scacchi che si stava svolgendo nel salone delle conferenze accanto alla hall. Vicino ai bagni, dove la provvidenza divina di qualche superno architetto vi aveva dislocato un lavandino, due rubinetti, un rotolo di carta igienica e un vater, un cesso alla turca o un qualsiasi buco nel pavimento che mi avrebbe concesso di rivivere. Il torneo di scacchi era ad ingresso libero. Mentre infilavo l’entrata dell’albergo avevo già pronto il mio piano: assistere per trenta secondi al torneo, quindi fiondarmi nel cesso. Come spettatore scacchistico ne avevo tutti i diritti. La sala conferenze era gremita di gente. Una sfilza di tavoli disposti su quattro file esponeva altrettante scacchiere con tanto di scacchi e scacchisti. Su tutto vigilava un silenzio che nemmeno una motosega gli avrebbe fatto granché. Non ero, fortuna mia, il solo spettatore. Accennai qualche passo tra i tavoli, giusto per salvare l’apparenza, simulando un grande interesse. Mentivo spudoratamente, e capii che lì tutti lo sapevano. Avevo per gli scacchi e gli scacchisti quella specie di compassionevole indifferenza che si concede agli handicappati, o alle persone geneticamente pedanti. Il solo pensiero che due persone sprecassero ore della loro vita nel muovere dei pezzi di legno su un altro pezzo di legno mi indisponeva. L’aspetto più fastidioso della faccenda era che, alla fin fine, si trattava di un gioco: tutte quelle energie mentali che in altra sede avrebbero potuto sfornare trattati, stilare poemi o comporre sinfonie venivano sprecate in una schizofrenica danza di alfieri, torri e cavalli. Dopo tre passi capii che era venuto il momento della resa dei conti tra me e la mia vescica. Stavo per fare dietro front e catapultarmi verso l’agognata porta, quando ogni liquido contenuto nel mio organismo si congelò all’istante. Mi pietrificai in una posa dall’equilibrio incerto. Stavo avendo una visione, in tecnicolor e in tempo reale, ma non era su Internet. Nemmeno san Giovanni della Croce avrebbe osato sperare tanto. Se Dante avesse visto quello che stavo vedendo io, avrebbe aggiunto un’appendice al paradiso. Seduta tre tavoli più in là c’era una ragazza. Non voglio attardarmi sui particolari fisici: alta, capelli biondo scuri, due tormaline al posto degli occhi, un paio di labbra burrose, come il resto sotto al mento. Un errore ontologico, sicuramente un errore in un torneo di scacchi. Lei doveva essere seduta su una panchina per il lungomare, appiccicata con tutta sé stessa al sottoscritto in un bacio interminabile. Lei, solo lei e per sempre lei, fino alla fine del mondo, dei giorni o di qualsiasi altra cosa s’inventassero gli altri. In un quarto di secondo dimenticai tutto: la mia vescica, l’incazzatura con Windo, Windo stesso e tutto il resto della galassia. E feci male. Ci si può dimenticare del resto del mondo in mezzo ad una piazza, in un viale deserto nel bagno di casa, ma non nel bel mezzo di un torneo di scacchi. In preda ad un’inarrestabile trance mi avvicinai al tavolo di lei, la mia coscia destra incappò nello spigolo del tavolo vicino tirandosi dietro scacchiera e relativi scacchi. In quel silenzio da cosmo profondo il complesso ligneo rovinò a terra con il fracasso di una supernova. Della supernova invece il mio viso acquistò il colore e calore. Mi sembrò che tutti si alzassero in piedi e si tirassero su le maniche. Intorno a me non riuscivo a vedere che sguardi molto spiacevoli. Ma quelli che mi facevano più paura erano i due ai quali avevo interrotto la partita. Avevano visi uguali a quelli di due ufficiali delle SS che non trovano lo spazzolino da denti. Pensavo già alla mia fine ed ero incerto tra il linciaggio, la castrazione e la crocifissione ad una grande scacchiera murale. In ogni caso niente che avrebbe risolto i miei due problemi primari: lei e la mia pipì. Iniziai una laboriosa contorsione linguale mentre elaboravo la più umile scusa che essere umano possa concepire. Purtroppo gli effetti della paresi divina che mi aveva colto alla vista della creatura dagli occhi verdi persistevano, e il meglio che riuscii a concepire furono una terna di bi, bo e bu in lenta successione. Accennai a chinarmi per raccogliere i cocci, ma la frittata era già fatta e mangiata. Una mano mi tenne la spalla bloccata: - lasci, lasci, ha già fatto abbastanza danni – grugnì il proprietario della zampa. Ma il destino, le divinità o qualcun altro stavano lavorando, eccome. dopo il terzo monosillabo tra la buia ferocia degli sguardi d’odio comparve il sole. Era un’alba di un altro pianeta agli inizi di un altro universo: di sicuro non era della mia città. - Ma su, non ha mica fatto apposta. Alzai gli occhi e in quel momento accadde tutto. Capita di vedere quei film in cui lei e lui si guardano per la prima volta: lo sguardo indugia quella frazione di tempo più del necessario, e quella briciolina temporale implica già tanti baci, abbracci, gite in barca e pic-nic in riva al lago, nonché una brillante commedia a lieto fine. La briciolina arrivò, si fermò quel tanto che basta e quindi se ne andò. Ma era bastata. Sapevo che mia vita non sarebbe stata più la stessa. Rialzai la testa, cercai di sorridere e di ringraziare. Dalla bocca non mi uscì nulla. In compenso durante una sequenza di movimenti che non saprei più ricostruire riuscii a rovesciare un’altra scacchiera vicina. Forse fu il sentimento della mia morte imminente che mi scongelò dalla trance. In preda ad un istinto di conservazione puramente animale fuggii. Mi infilai nel primo bar che incontrai. Mentre ordinavo il quinto espresso della giornata chiesi, senza fermarmi, del bagno. Se non ce l’avevano gliela avrei fatta sul bancone. Ce l’avevano. Ripassandomi tutte le tabelline sciolsi la vescica martoriata. Quando uscii dalla toilette lei era lì. Dal suo sorriso capii che, se volevo fare colpo, in qualche modo c’ero riuscito. - Dimmi un po’, lo hai fatto apposta ? Tornai all’auto sorvolando le strisce pedonali. Ero in uno dei corridoi del paradiso e in cielo nuvolette di pappagallini rosa di peluche cinguettavano solo per me. Per poco non venni disossato da un BMW e il grido “ma dove vivi deficiente” mi riportò parzialmente alla realtà. Il grattino era ancora al suo posto. In compenso mi avevano grattato la radio. Poco importava. In quel momento il mio peggior nemico avrebbe potuto augurarmi la rottura di un aneurisma che l’avrei baciato. Infilai una cassetta nel portacenere, simulai lo zufolio dell’amplificatore e continuai così fino a casa, ridettandomi tutte le loving’ songs dei Dire Straits, tour compresi. Avevo un nome, Emanuela “ma tutti mi chiamano Milla”, un numero di telefono ed ettolitri di felicità che potevo riversare sull’asfalto da Rimini a Fano senza timore di rimanerne senza. All’altezza di Riccione provai compassione per tutti quelli che s’imbarcano in spedizioni infernali da Milano per beccare una pollastra che frutterà loro una mediocre pomiciata. Verso Cattolica meditai che la gloriosa discoteca Baia Imperiale non aveva mai visto la mia faccia, ragione per cui, secondo gli amici, la mia giovinezza non avrebbe conosciuto alcuna femmina. Alla vista del castello di Gradara conclusi che Paolo e Francesca erano stati degli emeriti coglioni e che invece di farsi scoprire per finire sulla quartina dantesca più odiata dagli studenti avrebbero potuto continuare ad essere sconosciuti, ma felici. Io, che non ero milanese, né bello e famoso, né bravo a ballare o cantare ma zoppo e bruttino, avevo beccato. Ed era per la vita. Che dire ? Alcune ipotesi possono essere avanzate, Considerando le corrispondenze tra i vari scritti. La data del 3 luglio 2000 sembra corrispondere a quella del 7° Festival Internazionale "Città di Rimini" svoltosi dal 2 al 9 Luglio (vinto dal IM Laketic, ndr), ma nell’elenco dei partecipanti alla categoria Promozione non si è trovata alcuna traccia di iscritti femminili. Appare tuttavia evidente l’origine comune degli scritti. Dopo attente ricerche non si sono inoltre trovati riferimenti scacchistici a tale nome nei tornei svolti successivamente al 2000, escludendo le partecipanti con età non confrontabili con quella della presunta “Milla”. La nostra conclusione è che si tratti di una burla messa su per scherzo da qualche buontempone, anche se continuano a pervenire isolate segnalazioni che indicherebbero la presenza di questa eccezionale bellezza nei circoli della riviera adriatica. Da parte nostra possiamo solo dire: Milla, Emanuela o chi altra: se esisti, fatti viva ! nessuno ti farà del male, vogliamo solo conoscerti (e a questo punto, sapere la verità). A tutt’oggi rimaniamo con l’amletico dubbio: Milla esiste o non esiste ? Ai posteri l’ardua sentenza…