Quale giustizia? Noi, Dio e gli altri La regina del gospel
Transcript
Quale giustizia? Noi, Dio e gli altri La regina del gospel
«Il seme è la Parola di Dio» Trimestrale - n. 1 - anno 95 – gennaio/marzo 2006 (Luca 8:11) ✔ Quale giustizia? ✔ Noi, Dio e gli altri ✔ La regina del gospel dalla redazione L'argilla e il vasaio Dio, il Signore, prese dal suolo un po’ di terra e, con quella, plasmò l’uomo. Gli soffiò nelle narici un alito vitale e l’uomo diventò una creatura vivente. (Genesi 2, 7) Ma tu, Signore, sei nostro padre. Noi siamo l’argilla, tu il vasaio, siamo plasmati dalle tue mani. (Isaia 64, 7) 2 Su questo numero: ✒ Pane quotidiano . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. di Elena Caruso 3 ✒ Noi, Dio e gli altri . . . . . . . . . . . . . . . . pag. di Carmine Bianchi 4 ✒ Preparare ogni cosa con cura . . . . . . pag. di Sandro Spanu 5 ✒ Musica nella liturgia . . . . . . . . . . . . . . pag. a cura di Carlo Lella 6 ✒ Le chiese si raccontano . . . . . . . . . . . pag. di Maria Lorusso 8 ✒ Dialogo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 10 di Carmine Napolitano Egli è il vasaio e noi siamo l’argilla, ma com’è la qualità della nostra terra? Siamo morbidi e malleabili nelle sue mani, oppure siamo aridi per mancanza d’acqua e perché nascondiamo dei grumi che resistono alle mani dell’artigiano? (…) Signore, noi veniamo a te, ciascuno dal nostro angolo di terra. Noi ti affidiamo l’argilla della nostra vita. Che la tua Parola ci modelli e ci nutra. Che il tuo Spirito ci perdoni e ci plasmi. Amen (adattamento di: Antoine Nouis, «La galette et la cruche») Trimestrale d’evangelizzazione Numero 1 - Anno 95 - gennaio/marzo 2006 Redazione e amministrazione Piazza San Lorenzo in Lucina, 35 - Roma Ai lettori, alle lettrici, alle chiese tutte Nella parte centrale di questo numero del Seminatore troverete un volantino, estraibile (ripiegabile anche in tre), che il Dipartimento di evangelizzazione ha preparato come materiale che le chiese possono utilizzare per le loro attività di missione. Le chiese interessate all'acquisto di ulteriori copie del solo volantino possono rivolgersi a Rosetta Uccello, segreteria Ucebi: 06-68.76.124; 06-68.72.261. Direttrice responsabile Marta D’Auria Autorizzazione Tribunale di Roma n. 5894 del 23/7/1957. Progetto Grafico Pietro Romeo Tipografia Tipolitografia La Ghisleriana - Mondovì (CN) 3 pane quotidiano Quale giustizia? di Elena Caruso O re 10,00. Tribunale monocratico, sezione penale. Inizia l’udienza per la convalida degli arresti eseguiti nel corso delle ventiquattro ore precedenti. Come ogni mattina, le panche dei fermati ripropongono, con puntualità disarmante, il medesimo e più vario scenario: giovani visi sonnolenti, occhi smarriti, talora inconsapevolmente risoluti, ghigni amari, singhiozzi disperati. Ma chi sono? In attesa che arrivi il giudice, gli avvocati, d’ufficio o in cerca di lavoro, provano a scoprirne il nome, la storia, la provenienza. Ma i potenziali clienti non parlano né comprendono l’italiano, forse solo qualche parola. Ragazzi e ragazze di altra cittadinanza appena giunti in Italia… magari proprio qualche ora prima di essere coinvolti, da amici esperti, in una disperata illegalità o di essere colti senza permesso di soggiorno. Ed ecco che nel breve volgere di poche ore le speranze poste nell’agognata terra del promesso lavoro, del promesso aiuto per i cari lontani, della promessa di un futuro ridente si frantumano dietro le sbarre di una casa custodiale prima, nelle righe di un decreto di espulsione poi! Eppure tutto questo è giustizia. La giustizia di un diritto che ci rende padroni della terra che abitiamo e che biasima gli sradicati. La giustizia di una legge che fa dello straniero un nemico da combattere, allontanare, emarginare. La giustizia della nostra paura per un vicino che non conosciamo più e che dalla colpa di uno presume la condanna dei tanti, senza ammissione di prova contraria. Una giustizia tutta umana che non comprende la illogica ingiustizia del messaggio biblico: «Quando qualche forestiero soggiornerà con voi nel vostro paese non gli farete torto. Il forestiero che soggiorna fra voi lo tratterete come colui ch’è nato fra voi, tu l’amerai come te stesso; poiché anche voi foste forestieri nel paese d’Egitto. Io sono l’Eterno, l’Iddio vostro» (Levitino 19, 33-34); «Voi dunque non siete né stranieri né ospiti; ma siete concittadini dei santi e membri della famiglia di Dio» (Efesini 2, 19). È forse giusto un Dio che non ci consente di ritenerci arrivati o radicati in terra nostra, di usare di questo mondo con arroganza di potere e che vuole garantire prima di tutto il diritto degli sradicati? È forse giusto un Dio che nell’incontro tra stranieri ed ospiti vede opportunità di crescita e di sviluppo umano e non cause di disagio? È forse giusto quel Dio di Abramo che per amore del giusto salva l’empio? È nel mentre della domanda che scopriamo la conferma dell’unicità della Sua Parola, che passa per l’incapacità della creatura umana e dei suoi falsi idoli di fare giustizia ai deboli, agli empi, agli ultimi. evangelizzazione 4 Centralità della relazione Noi, Dio e gli altri di Carmine Bianchi L a chiesa è un gruppo di persone chiamate dal Signore. Essa rimane tuttavia un gruppo e come tale è soggetta a tutte le dinamiche tipiche dei gruppi. Uno dei presupposti della dinamica di gruppo è che un insieme di persone, prima ancora di concentrarsi su qualsiasi compito, deve esaminare il modo in cui i singoli membri si relazionano tra loro. Succede spesso che le comunità, prese da mille impegni, trascurino questo aspetto. Per esempio, una comunità deve esaminare se all’interno del gruppo ci siano dei conflitti latenti, dei dissidi, dei dissapori, dei malintesi tra i membri o di qualche membro verso il gruppo stesso, deve notare il modo in cui si comunica, se si è pronti ad ascoltare, ecc. Problemi apparentemente irrisori nel campo delle relazioni impediscono lo sviluppo della comunità e la crescita del gruppo, sia in termini numerici, sia in termini di vitalità; per questo motivo molte chiese girano su se stesse o diventano stagnanti. La relazione oltre ad avere valenze socio-psicologiche ne ha anche una teologica. Dio crea persone che stanno insieme. Dio stesso, nel creare gli esseri umani, sceglie di essere in relazione con loro. Nel Giardino dell’Eden dialoga con la sua creatura, si preoccupa della sua vita, la cerca, pensa al suo benessere, le traccia dei confini, dei limiti in cui vivere la sua condizione umana. Tutta la storia della salvezza è storia di una relazione tra Dio e il suo popolo. Il peccato è la rottura del rapporto con Dio. L’essere umano, nella sua libertà, decide di rompere questa relazione con Dio, e non accetta le limitazioni insite alla sua natura umana, cerca di travalicare i confini sconfinando nel delirio di onnipotenza. Oggi come ieri l’essere umano cerca di costruire le sue Torri di Babele. La Grazia è la riconciliazione con Dio, il ripristino da parte di Dio di una relazione interrotta. La Fede è fidarsi di Dio che rimane fedele, nonostante la nostra infedeltà, è fidarsi della relazione d’Amore che ci unisce a Dio che niente e nessuno potrà spezzare. Dio è in relazione con l’umanità perché la relazione vive in Dio stesso. Dio è fonte della vita, Dio manifesta il suo amore in Cristo; Dio è presente in noi e con noi nel suo Spirito. 5 evangelizzazione Tecniche Preparare ogni cosa con cura di Sandro Spanu Non possiamo dare per scontato le relazioni all’interno delle nostre comunità, è necessario che la chiesa trovi il tempo per creare le competenze e sviluppare al suo interno delle relazioni autentiche. U n incontro non si inizia con un colpo di tosse! Le relazioni sono importanti sia nella chiesa sia in una casa dove ci incontriamo a parlare e vivere l’amore di Dio. Per tanto le relazioni vanno curate fin dal primo minuto. Un saluto affettuoso e un sorriso naturale segnalano da subito che la riunione che sta per iniziare potrà essere una bella esperienza. Una volta seduti, sedute, attorno al tavolo di cucina o sulle poltrone del salotto è bene che la persona che anima l’incontro abbia bene in mente come iniziare. Non certo un colpo di tosse per attirare l’attenzione dei presenti! Questo significherebbe immediatamente due cose: sospettiamo che le persone presenti non siano interessate a quanto condivideremo insieme; la riunione che si sta aprendo ha un carattere formale. La riunione nelle case (la cellula) vive perché le persone presenti sono convinte, o lo saranno ben presto, che quell’ora spesa insieme è una delle occasioni più belle della settimana. Abbiamo mai iniziato una cena con i nostri migliori amici con una frase del tipo «Adesso è importante iniziare?». Se a quella cena ci abbiamo pensato per tutta la settimana, abbiamo preparato con cura le vivande certamente sapremo benissimo ciò di cui vogliamo parlare con i nostri amici. Perché non dovrebbe essere lo stesso quando ci incontriamo con i fratelli e le sorelle nel nome del nostro amico Gesù? La riunione nelle case, o la cellula, non è la chiesa. La distinzione è importante. Soprattutto per chi viene la prima volta è importante che quel salotto, quella cucina sia e rimanga solo una cucina e non l’anticamera della chiesa. Il carattere informale dell’incontro aiuta i nuovi venuti a sentirsi a proprio agio senza il peso, che spesso a torto, viviamo quando siamo in chiesa. Allora praticamente come iniziamo? Se abbiamo fantasia con alcuni giochi. Uno tra tutti: il telefono senza fili. La persona che anima il gruppo pensa una frase – meglio un versetto – che pronuncerà alla persona alla sua sinistra, questa farà lo stesso e così di seguito fino a che il cerchio sarà concluso. Alla fine si vede come è cambiato il versetto e ci si farà una bella risata. Oppure con delle testimonianze. Ad esempio, condividiamo in che modo il Signore è stato concretamente presente nella nostra vita, o se ci sono accadute delle vicende che ci hanno dato da pensare, o se c’è un versetto della Bibbia che vogliamo regalare alle persone presenti. In conclusione, l’importante è arrivare ben preparate, ben preparati all’incontro con la gioia nel cuore, certi che l’ora che stiamo vivendo è uno dei momenti più belli della settimana. La straordinaria voce di Mahalia Jackson La regina del Gospel a cura di Carlo Lella io può realizzare i tuoi progetti, ma devi mettere ogni cosa nelle sue mani», disse nel corso di un’intervista Mahalia Jackson richiamando Proverbi 16, 3. Tale certezza affondava le sue radici in una profonda e genuina fede che ha accompagnato la vita e la carriera artistica di una delle più indimenticabili voci della musica gospel: Mahalia Jackson. Gospel che significa: Evangelo. Mahalia nasce il 16 ottobre del 1911 in uno dei quartieri più poveri di New Orleans. Figlia di Charity Clark, una cameriera e lavandaia, e Johnny Jackson che, oltre a lavorare come barbiere e scaricatore di porto, era un predicatore battista. I nonni erano nati schiavi ed erano stati braccianti nelle piantagioni di cotone della Louisiana. Con la morte della madre, avvenuta nel 1916, Mahalia va a stare presso la zia Duke che vive accanto ad una Chiesa dei Santi, la cui musica con i ritmi, gli strumenti, il battito delle mani e dei piedi affascina fortemente Mahalia. Così la piccola cresce con le melodie degli inni tradizionali e degli antichi negro-spiritual che ha imparato alla Mount Moriah Baptist Church dove la sua famiglia frequenta il culto. Non solo. Accanto alla musica sacra la giovane Mahalia respira l’intensa vita musicale della città di New Orleans nei primi anni del 1900 dove musicisti afroamericani, mescolando insieme le tradizioni europee con il blues, il ragtime, la musica bandistica, danno vita ad un nuovo stile musicale conosciuto come Jazz. All’età di 16 anni Mahalia si trasferisce a Chicago dove comincia a lavorare come cameriera e lavandaia. Dopo pochi mesi dal suo arrivo, prende parte al coro della Greater Salem Baptist Church, dove si unisce al gruppo dei «Johnson Brothers», composto dai tre figli del pastore. Il gruppo è conosciuto nel circuito delle chiese di Chicago e presto Mahalia, diventata la voce leader, diviene famosa in tutte le chiese da New York alla Calfornia non solo per la sua straordinaria voce di 6 Con chi vuoi stare? Con «D Dio! musica nella liturgia contralto ma anche per la presenza sul palcoscenico e la sua intensa spiritualità. Le chiese più grandi e tradizionaliste non approvano i ritmi dei suoi canti, le sue energiche performance, il suo ondeggiare e gridare. Ma Mahalia a queste critiche risponde: «Ogni giorno della mia vita leggo la Bibbia e ricordo che c’è un salmo che dice: “Oh, popolo batti le tue mani! Grida dinanzi a Dio con la voce!”. (…) Io voglio che le mie mani, i miei piedi, il mio corpo dicano tutto ciò che è in me». Nel 1936 Mahalia sposa Isaac Hockenhull, un impresario che, per soldi, la incoraggia a darsi al redditizio mondo del blues e della musica popolare. «Mahalia, nessuno può eguagliare la tua voce. Tu hai un futuro nel canto – si legge nella biografia Just Mahalia, baby, di Laurraine Goreau –. Non è giusto per te sprecarla cantando nelle chiese. Donna, vuoi accontentarti di pochi centesimi per tutta la vita?». Mahalia, pur vincendo con il vecchio spiritual «Sometimes I feel like a motherless child» l’audizione a cui aveva partecipato dietro pressione del marito, rifiuta la proposta della casa discografica Decca di cantare il blues. Questo fermo rifiuto che Mahalia Jackson manterrà nel corso di tutta la Con chi vuoi stare? Con lui ? S iamo tutti figli e quindi sperimentiamo il disagio di doverci confrontare con i nostri genitori. Appartengono ad un’altra generazione, hanno altre idee, altri gusti musicali, interferiscono nelle nostre scelte, a volte sono oppressivi, non di rado invadono la nostra privacy e interferiscono nelle nostre scelte con la motivazione: “finché sei in casa nostra, fai quello che diciamo noi”. Non devono per forza essere genitori all’antica per assumere questi atteggiamenti, basta che siano genitori per ricalcare il ruolo di quelli che “rompono”. Quindi ad un giovane viene quasi naturale simpatizzare con il coetaneo della parabola: è stufo di stare a casa, è giusto che voglia andare via, fare le sue esperienze, è giusto che abbia anche l’opportunità di sbagliare. In fondo nella vita si impara più dagli insuccessi che dalle vittorie! Ma anche i genitori possono confrontarsi con il padre della nostra storia. Da genitori possiamo comprendere il dolore di un padre che subisce la scelta del figlio di abbandonare la casa per lanciarsi nell’ignoto, recarsi in un posto dove non conosce nessuno, per iniziare una nuova vita, frequentare persone nuove che potrebbero approfittare di lui. È verò, forse ci preoccupiamo eccessivamente dei nostri figli, siamo ansiosi per loro fino al punto di diventare oppressivi, nella maggior parte dei casi si tratta di comportamenti che scattano come automatismi, ma non è il caso del padre di questa storia. Che cosa possiamo imparare da questa storia? Il padre fa la cosa giusta: non gli fa la predica, non lo rimprovera, non lo fulmina con gli sguardi, non gli rivolge delle minacce. Gli consegna la sua parte di eredità e lo lascia partire. Il padre rimane con il suo dolore e non lo scarica sul figlio. Il padre rispetta la scelta del figlio ma lascia la porta aperta. Il figlio fa la cosa giusta: va via di casa, cerca la sua libertà, diventa adulto. Ma brucia la sua occasione sprecando l’eredità del padre. Allora ha l’umiltà di riconoscere i propri errori, di chiedere perdono, di ritornare sui suoi passi e mettere da parte l’orgoglio. Gesù raccontò anche que aveva due figli. Il più gio ”Padre dammi subito l Allora il padre divise il p Pochi giorni dopo, il figl tutti i suoi beni e con i so un paese lontano. Là si disordinata e così sp Ci fu poi in quella region e quel giovane non aven grave difficoltà. Allora an di quel paese e si mise all lo mandò nei campi a far li. Era talmente affamato marsi con le ghiande che nessuno gl Allora si mise a riflette e disse: “Tutti i dipende cibo in abbondanza. Io, di fame. Ritornerò da mi ho peccato contro Dio e c degno di essere consider come uno dei tu Si mise subito in cammin Era ancora lontano dal suo padre lo vide e com tro. Lo abbracciò e lo ba ”Padre ho peccato cont sono più degno di essere Ma il padre ordinò “Presto andate a prend fateglielo indossare. Me dategli un paio di sanda quello che abbiamo ingr Dobbiamo festeggiare ritorno, perché questo m morto e ora è tornato in l’ho ritrovato”. E comin esta parabola: «Un uomo ovane disse a suo padre: la mia parte d’eredità”. patrimonio tra i due figli. lio più giovane vendette oldi ricavati se ne andò in abbandonò ad una vita pese tutti i suoi soldi. ne una grande carestia, ndo più nulla si trovò in ndò da uno degli abitanti le sue dipendenze. Costui re il guardiano dei maiao che avrebbe voluto sfae si davano ai maiali, ma liene dava. ere sulla sua condizione enti di mio padre hanno invece, sto qui a morire io padre e gli dirò: Padre contro di te. Non sono più rato tuo figlio. Trattami uoi dipendenti”. no e ritornò da suo padre. lla casa paterna quando mmosso, gli corse inconciò. Ma il figlio gli disse: tro Dio e contro te. Non e considerato tuo figlio”. subito ai suoi servi: dere il vestito più bello e ettetegli l’anello al dito e ali. Poi prendete il vitello, rassato, e ammazzatelo. con un banchetto il suo mio figlio era per me come n vita, era perduto e ora nciarono a far festa…». (Luca 15, 11-24) Ma perché Gesù racconta questa storia, che cosa ci vuole dire? Si tratta di una parabola, di una metafora del rapporto che intercorre tra gli esseri umani e Dio. Tutti noi, giovani, adulti, anziani viviamo nell’illusione che se ci allontaniamo da Dio potremo assaporare veramente la libertà, e questo perché ci siamo fatti l’idea di un Dio despota, oppressivo, ecco allora che facciamo tutto il possibile per allontanarci dalla casa del Padre. Ma Dio non è così come ce lo immaginiamo… Dio ci lascia liberi di scegliere e anche di allontanarci da lui… Ma è pronto ad accoglierci quando noi vorremo ritornare a casa. Ritornare a Dio che ci ama, come il padre della parabola, e ci dona la vera libertà. Dio ci accoglie e si prende cura di noi. La parabola è un invito rivolto a tutti e tutte noi che ci sentiamo soli. Perché Dio, come un padre, come una madre, ci aspetta a braccia aperte! Il figlio ha lasciato i maiali ed è tornato a casa. E tu con chi vuoi stare? Se volete approfondire il tema di questo volantino contattateci al numero che trovate sul retro. Con chi vuoi stare? Con Dio! Con chi vuoi stare? 7 Con musica nella liturgia sua carriera, è testimoniato anche da uno scambio epistolare con Louis Amstrong. «Io so cosa puoi fare con il blues», disse Amstrong e Mahalia rispose: «Anch’io so cosa posso fare con il blues, bambino, e cioè non cantarlo. Io sono nata di nuovo! (…) Le canzoni blues sono canti di disperazione… i canti gospel sono canti di speranza. Quando li canti, tu sei liberato dal tuo peso». Ma il ritmo swing della Jackson e le sue interpretazioni, che lasciavano spazio all’emotività, incontrano le resistenze di molte chiese nere che sentono quella musica troppo jazzata, e dunque non adatta ai culti. La gente nera, appartenente alla classe media delle città del nord, considerando retrogrado il modo lamentoso e gridato in cui le chiese carismatiche eseguivano i canti, rifiutavano quelle esperienze musicali prendendo le distanze dalle loro antiche radici africane. Intorno al 1947 Mahalia diviene la solista ufficiale della National Baptist Convention. Negli anni ‘50 la sua voce è ascoltata alla radio, nei programmi televisivi e nei teatri di tutto il mondo. È la prima cantante gospel ad esibirsi nella Carnegie Hall di New York. In quegli stessi anni Mahalia è una figura di spicco del Movimento per i diritti civili, e una militante sostenitrice del pastore Martin Luther King. Nel 1963, alla famosa marcia su Washington, nel corso della quale M. L. King pronuncia il suo famoso discorso «I have a dream», Mahalia Jackson entusiasma i milioni di presenti al Memorial Lincoln con il canto del rev. Brewster «How I got over…». Cinque anni più tardi al funerale di King canta in una struggente interpretazione il famoso gospel «Precious Lord, take my hand». Mahalia Jackson fa concerti anche in Europa, Asia. È conosciuta in tutto il mondo come la regina del Gospel. Quando i dottori le ordinano di rallentare il ritmo della sua attività, lei si rifiuta dicendo: «Io non farò nulla di meno di quanto posso fare per abbattere le divisioni tra i bianchi e i neri negli Stati Uniti e nel mondo». Mahalia muore per insufficienza cardiaca il 27 gennaio 1972 nella sua casa a Evergreen Park, nell’Illinois. Ancora oggi la voce potente e vibrante di Mahalia, capace di atterrare su una nota o una parola che desiderava enfatizzare, ripetendola, scuotendola, come se ci giocasse, ci ricorda la forza ed il valore del canto quando diventa strumento di testimonianza della Parola di Dio. le chiese si raccontano 8 La chiesa battista di Matera Un coro per essere comunità insieme di Maria Lorusso È bello raccontarsi anche attraverso il canto, riscoprire nelle parole dei testi musicali la propria fede. Capita a volte di citare un inno o un canto che ci sta più a cuore e che magari ha segnato un evento particolare della nostra vita. La nostra chiesa sta sperimentando un percorso di crescita con un gruppo corale che si è costituito quattro anni fa e che ha avuto solitamente 15 elementi, per lo più donne. Inizialmente l’approccio è stato di semplice curiosità e temporaneo interesse da parte di alcuni/ne; successivamente è nato il desiderio di avere una corale stabile con un impegno settimanale che potesse rendere un vero e proprio servizio alla comunità per animare ogni domenica il canto liturgico. Il lavoro va avanti regolarmente ogni venerdì e alla fine degli incontri i momenti di preghiera sono veramente edificanti. Questa esperienza è molto positiva anche perché oltre alla responsabilità di ognuno ed ognuna dei partecipanti, nel tempo sono state vinte molte timidezze e inibizioni; lasciarsi andare alle emozioni di un canto e cantare con gioia e disinvoltura, infatti, non è per tutti facile come può sembrare. Nella comunità di Matera attraverso il canto più organizzato si riscopre oggi una maggiore apertura degli uni verso gli altri; un entrare in relazione più vera e più diretta. La vitalità musicale, quella da creare e da esprimere, coinvolge i fratelli e le sorelle a sentirsi parte più integrante di un corpo unico e a condividere insieme anche una semplice gestualità, a cominciare da un sorriso che a volte ci riesce difficile esprimere. Avendo riscoperto la gioia che si riesce a manifestare con il canto, ora c’è in noi il desiderio di testimoniare la nostra fede attraverso iniziative utili. Un esempio concreto: insieme altri gruppi corali delle parrocchie di Matera ci siamo costituiti come corale ecumenica per organizzare una serata di solidarietà a favore di una associazione chiamata Dumbo che si occupa di ragazzi/e disabili. Il nostro proposito è di continuare a testimoniare dell’evangelo attraverso il canto e la musica per dare più espressione ai nostri pensieri e rendere più armonioso lo stare insieme. Il canto, elisir spirituale Ho scelto il titolo che avete appena letto non perché sia nè uno specialista di erbe né tanto meno un omeopata! Sono membro della comunità di Matera e da qualche anno sono coinvolto in maniera del tutto entusiasta nella corale che ad ogni incontro esprime con gioia la voglia di condivisione, di crescita, ma soprattutto di rinnovamento. La domenica è il giorno dedicato al Signore, ed è anche il momento in cui ognuno di noi riceve attraverso l’ascolto della predicazione della Parola di Dio, l’annuncio del perdono e il canto, un rinnovamento spirituale; e per quanto mi riguarda partecipare al culto comunitario è anche un incoraggiamento per poter affrontare la settimana successiva. Se però uno degli ingredienti suddetti viene meno, il rinnovamento non è totale. Ebbene, la nostra corale, diretta con passione, pazienza e costanza da Maria Lorusso e Mirella Sasaniello, punti cardini del nostro gruppo, sta dando il suo contributo portando una ventata nuova e positiva durante lo svolgimento dei nostri culti domenicali. I fratelli e le sorelle stanno accogliendo con grande gioia, armonia e partecipazione le nostre esecuzioni. L’esperienza che ho intrapreso come corista sta comportando dei cambiamenti nella mia vita da cristiano: puntualmente le riflessioni teologiche, le preghiere comunitarie accompagnate dal canto e dalla musica rafforzano e rinnovano la mia fede. Non vi nascondo che i testi e la musica di qualche canto rispecchiano così bene il mio percorso di fede, che qualche volta per l’emozione e la partecipazione mi è venuto un nodo alla gola… Marco Coretti 9 le chiese si raccontano Canto la mia fede S ono una delle monitrici della scuola domenicale della comunità di Matera. Quando ascoltavo cantare la corale durante i culti domenicali sentivo che la musica coinvolgeva tutta me stessa e mi trasportava; tutto ciò mi dava una grande gioia. Ho sempre voluto partecipare e farne parte, ma l’impegno da me assunto per la scuola domenicale (seguo la classe dei più piccoli durante l’ora del culto) non mi ha dato mai la possibilità di farlo. Durante i momenti liturgici quando la corale presentava i canti di lode al Signore e faceva da supporto al canto comunitario il mio desiderio di parteciparvi cresceva sempre di più. Quest’anno ormai trascorso, l’ora di scuola domenicale è stata anticipata, e finalmente ho potuto essere presente al coro senza rinunciare al ruolo di monitrice. Il coro mi ha accolto con grande entusiasmo e la nostra direttrice, Maria Lorusso, è stata molto contenta di vedere sempre più persone aggregarsi a questo gruppo. A parte il canto liturgico ho cantato per la prima volta in pubblico insieme al coro ad un anniversario di matrimonio. È stata indescrivibile l’emozione nel poter testimoniare, attraverso il canto, la mia fede. Cantare per me è gioia, ringraziamento e preghiera. A volte le parole di un sermone penetrano dentro i nostri cuori rinnovandoli in maniera più efficace se lo stesso messaggio viene accompagnato da un canto il cui testo ci aiuta a proseguire la riflessione. Sono entusiasta di far parte della corale della mia comunità e spero che il Signore attraverso me e il mio canto possa toccare il cuore di chi ascolta. Liliana Barbaro dialogo 10 Il dialogo tra battisti e pentecostali Un cammino paziente e spontaneo di Carmine Napolitano I l dialogo tra le chiese battiste (Ucebi) e quelle pentecostali (Fcp) è nato quasi per caso ed è andato, poi, sempre più crescendo e acquistando significato man mano che gli incontri si susseguivano; dico “per caso” nel senso che non c’è stata alcuna preventiva pianificazione o azione diplomatica in tal senso, bensì una spontaneità piacevole e sorprendente che poi ha informato di sé ciò che è accaduto in questi anni. Di rapporti e di momenti di collaborazione e azione comune le chiese battiste e pentecostali ne avevano già diversi; basti pensare alla cordialità che c’è a Lentini in Sicilia tra queste chiese e all’amicizia fraterna che c’è a Napoli e in Campania oltre che in alcune zone della Puglia. Probabilmente un primo momento di confronto teologico lo si ebbe in occasione della pubblicazione di un saggio sulla figura di Giuseppe Petrelli, importante figura del pentecostalesimo italiano, ma figura di rilievo anche del battismo italiano residente negli Usa di inizio Novecento. Fu dalla scoperta, per così dire, di una qualche comune radice che nacque l’idea di strutturare un dialogo di ampia portata ed approfondire i possibili ambiti di comunione. A dirla tutta un dialogo tra chiese battiste e chiese pentecostali era ed è un debito con la storia; non può sfuggire, infatti, anche ad una rapida e sommaria verifica la quantità e la qualità delle cose che accomunano sul piano storico e teologico e che probabilmente costituiscono anche, in parte, la ragione di incomprensioni e contrapposizioni che negli anni si sono venute a sedimentare allontanando sempre più tra di loro i due ambiti ecclesiali. È noto, infatti, che le chiese battiste e pentecostali hanno pressoché la stessa estrazione sociale e culturale, hanno in molti casi una ecclesiologia quasi identica, hanno una convergenza teologica sostanziale su alcuni grandi temi quali battesimo, cena del Signore, conversione ed evangelizzazione. Ed è, per l’appunto, proprio sul confronto relativo a queste cose che il dialogo sta continuando e si sta sviluppando con serenità e qualche volta con lo stupore di accordi a volte insospettati. Personalmente ho sempre creduto che se si riesce a parlarsi con serenità e a ragion veduta sulle rispettive posizioni alla fine la comprensione reciproca non può mancare. Naturalmente le scoperte piacevoli non possono offuscare le questioni difficili che pur sono presenti e costituiranno motivo di confronto e dibattito; dalla questione del vissuto carismatico, a quella della comprensione delle Scritture e di alcune problematiche socio-culturali vi è una distanza che non credo sia, però, talmente netta 11 dialogo da negare la possibilità di relazioni. Ovviamente qui esprimo il mio personale punto di vista nella consapevolezza di non poter parlare a nome di tutti i pentecostali; ma credo che le possibilità di proseguire e vedere crescere questo dialogo siano molte in diverse direzioni anche perché sia le chiese battiste che quelle pentecostali nel loro modo di essere chiesa conservano e propongono un dinamismo che potrà giovare senz’altro a tale prosieguo. Ci vorrà pazienza nel superare i pregiudizi che su entrambi i fronti ancora permangono e nel circoscrivere qualche situazione locale di tensione che attiene più il carattere delle persone singole e il loro modo di porsi anziché questioni sostanziali; in questa direzione un elemento che potrà senz’altro giovare è mantenere il carattere di spontaneità nel promuovere e incoraggiare iniziative di collaborazioni locali privilegiando il fare sul dire o quanto meno dando priorità agli spazi operativi. È in questi, infatti, che si stabiliscono relazioni e contatti umani sfocianti a volte in veri e propri sodalizi; da una tale dimensione sarà poi più facile innalzare il confronto sulle questioni teologiche avendo l’animo non rivolto alla difesa di una posizione, ma ad una sua proposta nella consapevolezza che l’altro può pensare diversamente: come tra fratelli e sorelle che imparano ad amarsi conoscendosi e a conoscersi amandosi. Dipartimento di Evangelizzazione Carmine Bianchi Nunzio Loiudice segretario [email protected] [email protected] Marta D’Auria e Pietro Romeo Carlo Lella referenti del settore «Stampa» [email protected] Sandro Spanu [email protected] Per contatti scrivere a: Dipartimento di Evangelizzazione dell’Ucebi P.zza S. Lorenzo in Lucina, 35 - 00186 Roma tel. 06.6876124 e-mail: [email protected]