l`inquietudine febbrile di guillaume apollinaire

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l`inquietudine febbrile di guillaume apollinaire
 ® F RONTIERA
DI
P AGINE
LETTERATURA CONTEMPORANEA
FRONTIERA DI PAGINE
POESIA CONTEMPORANEA
L’INQUIETUDINE FEBBRILE DI
GUILLAUME APOLLINAIRE
DI ANDREA GALGANO
HTTP://POLOPSICODINAMICHE.FORUMATTIVO.COM
PRATO, 12
“
SETTEMBRE 2012
Era un grossissimo personaggio; in ogni caso, come non ne ho più visti dopo di
lui. Un po’ stralunato, questo è vero. Era il lirismo fatto persona. Si trascinava
dietro il corteggio di Orfeo … Era il campione della poesia-avvenimento, cioè
l’apostolo di quella poetica che richiede a ogni nuova poesia di essere una
rifusione totale delle capacità del suo autore, di correre la propria avventura fuori dalle
strade già battute. (…) Apollinaire s’impegnava a fondo salvo sbattere qualche volta contro
il rovescio di un fondale dipinto. (…) Fu un «veggente» di notevole rilievo (A. Breton, da
Entretiens 1913-1952, Paris, Gallimard. 1952).
Il passo di Andrè Breton evidenzia la materia veggente del tessuto poetico di Guillaume
Apollinaire (1880-1918), che si nutre di queste evidenze, tracciate in modo sintetico e
denso.
Nato da un italiano e da una nobildonna polacca di origini francesi, egli ha vissuto
appieno, nella sua materia di calce, l’esperienza letteraria francese dagli ultimi anni del
diciannovesimo secolo fino alla Prima guerra mondiale, cui diede il suo valoroso
contributo.
L’irrequietezza e il suo fasto estroso, il disordine instabile e voluttuoso sostanziano, non
solo i suoi tumulti esistenziali, ma soprattutto la sua parola. Mutata in stelle.
La novità dirompente della sua opera affascina nuovi orizzonti, proclama squisitezze
remote, sia attraverso l’uso dell’alessandrino sia con la stravaganza medievale, che si
annuncia, offre galleggiamenti di tempo, sospensioni e deviazioni, come scrive Enrico
Guaraldo: “Venir dal buio lo esalta, lo induce ad aprirsi liberamente al futuro; lieve e
irresponsabile come chi non abbia, dietro a sé, il peso di una storia. Se il suo mondo
poetico nascerà dal confluire di individuatissimi echi culturali, così da far pensare in certi
luoghi a un impudente manierismo, ciò è dovuto anche a questa sensazione di galleggiare
sul tempo, di non aver radici; e di possedere quindi un illimitato diritto di scelta”.
La suggestione della parola e il gusto fiabesco, nitidamente proteso all’infanzia, divengono
via assolata, spesso marina, che incrocia lingue diverse, si erge a brusìo del tempo.
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Andrea Galgano. L’inquietudine febbrile di Guillaume Apollinaire, 12 settembre 2012
II
Nell’associazione di avventure solitarie e nel verso si rinviene la sua forza. Che conosce
l’oscuro bosco delle Ardenne e il suo silenzio, popola il suo immaginario di coltre. Come il
«male-amato» che occupa il destino della sua anima contadina e navigante, il suo essere
spurio. Gloria e riscatto, offesa e difesa risarcita.
La poesia di Apollinaire è oscura e gioiosa. Non indugia, seduce e immagina non solo
discendenze nobili ed eccezionali, ma crea, favoleggiando, il suo viaggio istrionico.
La moltiplicazione della sua anima, ricolma di sfaccettature, offre giochi di specchi e
congiungimenti strani.
Coniugare l’antico, imperioso e sopravvissuto, nelle sue rovine e nei suoi vasti filamenti,
con l’anima della creazione attuale, in uno scenario sfarzoso e solenne, come quello di
Parigi, non
disdegnando nemmeno di guardare, con frenesia, ai movimenti culturali
(futurismo, sintetismo, surrealismo, cubismo) significa situare una ricerca febbrile, una
vocazione violenta e d’avanguardia.
III
Gli incontri decisivi a Parigi, “madre e matrigna” come la definisce Roberto Rossi
Precerutti, rappresentano il suo labirinto, il suo confronto con il tempo assoluto e la sua
oltranza di gesti.
È una sopravvivenza di fiato in uno slargo di tempo. Quando nel 1911 egli pubblica
Bestiaire ou Cortège d’Orphèe, persegue ed insegue l’esito di una coniugazione, che
ispirata ai bestiari medievali, cede il passo all’eleganza e alla “solida concretezza delle
scomposizioni cubiste”, come annota Giovanni Raboni. Preistoria personale che si fa
critica: «Incertezza, io e te pari siamo. / Io e te, mio bene segreto, / Come i gamberi ce ne
andiamo/ A culo indietro, a culo indietro».
Chiarire i legami con il nuovo imperio del simbolismo determina il rintracciarsi, il
pedinarsi e perseguire il teatro del simbolo, le sue declinazioni e strumentazioni.
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Il suo frammento congiunto sembra rarefarsi in sogni e visioni, come risonanza barocca di
accensioni meravigliose, frequentando la naturalezza del poeta che, nella sua pagina di
tormento e estasi, conferma se stesso, misura il suo spazio scenico.
Se sperimentare scenicamente, abolendo la punteggiatura e propendere per la vasta
campitura di versi, significa liberarsi di limiti occulti e rievocare, la poesia acquista il suo
peso quando appartiene, quando, spesso in maniera dotta e sfarzosa, costruisce il suo
discorso iniziatico, raffina i suoi strumenti, come scrive Roberto Rossi Precerutti: “Nel
segno della leggerezza, i ‘materiali’ culturali, considerati, come elementi dell’infinito
prodigio dell’esistente, si fondono armoniosamente con la parola che dice lo sguardo
desiderante del mondo”.
Anche in Alcools, che raduna e raggruma testi scritti tra il 1898 e il 1913, il multiforme
prodigio della sua anima si distende nell’inebriamento dell’esistente, invoca il suo rapporto
gridato con la realtà, gli oggetti, le passioni: «Sei solo sta per arrivare il mattino/ I bidoni
del latte tintinanno nelle vie/ la notte si allontana come una bella meticcia/ è Ferdine la
falsa o Lèa la premurosa/ E tu bevi quest’alcool che brucia come la tua vita/ La tua vita che
bevi come un’acquavite».
La modernità di Apollinaire non sta, pertanto, nel tentativo di recuperare le vitalità del
passato, ma di rimodellarle in linfa nuova, sperimentando e guardando più attentamente.
Infatti la medesima linfa dei Calligrames (1918), che come disse Michel Dècaudin
“presiede alla nascita delle immagini e alla loro organizzazione”, si nutre di fughe e,
apparentemente, sembra rifiutare l’orlo dell’abisso, creando uno spettacolo labirintico di
specchi, vite remote, limpidezza di suono e schermo.
L’esistenza che detta i minuti, la terra del sentimento che porge controverse evocazioni
lontane e infinite, tensione e grido, cerca la sua scomparsa, “puntando su una studiata
leggerezza di toni che le oscurità potenziano, lungi dal diminuire, perché facendo pensare
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Andrea Galgano. L’inquietudine febbrile di Guillaume Apollinaire, 12 settembre 2012
IV
al gioco e al crittogramma, all’esercizio tanto più fragile in quanto svolto a contatto di un
intenso lirismo, rarefanno il clima sino allo scherzo e alla canzone” (Enrico Guaraldo).
Il lirismo e il crittogramma si traducono in un’intima efficacia comunicativa, laddove il suo
risultato poetico, riconoscendo quasi una colla di frammenti e impennature, riscopre
l’epifania del vero nel mistero scheggiato, nel buio emerso dell’uomo-poeta-soldato che si
illumina di gioia e dramma: «La putrida tua gravidanza o Guerra abortisca morta/ Ecco
tutte le primavere in fiore/ Ecco le cattedrali col loro incenso/ Ecco le tue ascelle col loro
divino odore/ e le tue lettere profumate ch’io fiuto/ Per ore e ore …».
L’erudizione, l’originalità colta e geniale, condita da un teatro di surrealtà, diventano
cantica autentica quando abbracciano visibilità e invisibilità, che pur non conoscendo
lucida solitudine interiore, gemono di rinascita ed entusiasmo nel canto femminile, a Lou, e
non solo a lei, donna di ombra, ma anche a Madeleine («Questa poesia è per te sola
Madeleine/ è una delle prime poesie del nostro desiderio/ è la nostra prima poesia segreta/
te che amo/ Il giorno è dolce e la guerra è dolce. Se si dovesse morirne!!!»)
Ecco la forza di Apollinaire. Il suo segreto e il suo esilio, la sua rêverie e la sua irriverenza
straniera: «Ecco venire l’estate la stagione violenta/ E la mia gioventù è morta come la
primavera/ O Sole è il tempo della ragione ardente/ E attendo/ Per seguire sempre la forma
nobile e dolce/ che prende perché l’ami soltanto/ Viene e m’attira come ferro la calamita/
ha l’aspetto affascinante/ D’una adorabile rossa.».
La raffigurazione del corpo femminile, fatto di snodi, curve improvvise e segrete,
prorompe nell’esultante materia dei segni, nella inaspettata allegrezza del frammento e
infine nella unione di attese e suoni. È cinema e sigillo di finitudine, come ansia profonda e
inquieta: «Perché nulla può innalzarvi di più/ Dell’aver amato un morto o una morta/ Si
diventa così puri da giungere/ nei ghiacciai della memoria/ A confondersi col ricordo/ Se
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Andrea Galgano. L’inquietudine febbrile di Guillaume Apollinaire, 12 settembre 2012
V
ne resta fortificati per l’intera vita/ e non s’ha più bisogno di nessuno». Un ciglio che
conosce la luce per scomparire.
SEMPRE
A Madame Faure-Favier
Sempre
Andremo più lontano senza avanzare mai
E di pianeta in pianeta
Di nebulosa in nebulosa
Il don Giovanni delle mille e tre comete
Pur senza muoversi dalla terra
Cerca le forze nuove
E prende sul serio i fantasmi
E tanti universi si obliano
Chi sono i grandi obliatori
Chi mai riuscirà a farci obliare questa
o quella parte del mondo
Dov è il Cristoforo Colombo
cui dovremo l’oblio d’un continente
VI
Perdere
Ma perdere veramente
Per far posto alla trovata
Perdere
La vita per trovar la Vittoria.
(da Calligrammi)
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