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CHÁVEZ-CASTRO, L’ANTIAMERICA
Il patriarca e il parà
V
1.
ENECUBA. VENEZUELA PIÙ CUBA, CHÁVEZ PIÙ CASTRO: L’ANTIAMErica per definizione.
Certo non la troviamo sul planisfero. Per ora. Ma il progetto di fusione
controllata fra le due rivoluzioni domina le carte mentali dei rispettivi líderes máximos. Un Piemonte latinoamericano destinato a riunire il subcontinente nel nome di Simón Bolívar e José Martí, eroi eponimi venecubani.
Una confederazione votata ad attrarre nella sua orbita la Bolivia di Evo
Morales, l’Ecuador di Rafael Correa, il Nicaragua del redivivo Daniel Ortega e forse l’Argentina neoperonista di Néstor Kirchner, nel nome dell’emancipazione dall’«imperialismo» statunitense. Per convertire al «socialismo del
XXI secolo» popoli e paesi della regione e del mondo intero. Megalomanie?
Probabile. Ma se solo una piccola quota di tali fantasie dovesse concretizzarsi – e in qualche misura sta accadendo – gli Stati Uniti non potrebbero
restare indifferenti. Già non lo sono. Non fosse che per il rango energetico
del Venezuela, paese Opec da cui gli Usa traggono l’11% circa delle loro importazioni di petrolio.
Venecuba forse non sorgerà mai, ma alla Cia esiste già. Nell’agosto
scorso l’allora zar dell’intelligence Usa, John Negroponte, oggi vice di Condoleezza Rice al Dipartimento di Stato, creava la Missione speciale Venezuela-Cuba. Da novembre a guidarla è Norman A. Bailey, veterano di
scuola reaganiana. Nella sede di Langley si precisa che Cuba e Venezuela
sono nell’ordine i due Stati più spiati dell’emisfero occidentale. Il malandato, ottuagenario Fidel Alejandro Castro Ruz e il fratello Raúl, suo facente
funzioni, sembrano però avviati a cedere il primato al vigoroso tenente colonnello venezuelano Hugo Chávez, che da presidente eletto sta accelerando la costruzione di un regime autoritario quanto visceralmente antiamericano. Lo stesso George W. Bush ha chiesto di «seguire più attentamente» il
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IL PATRIARCA E IL PARÀ
progetto chavista. E Negroponte ha invitato il Congresso a «preoccuparsi del
signor Chávez» 1.
I vertici militari Usa sono allertati. Nella base aerea di MacDill, a Tampa (Florida), sede del Comando Centrale (Centcom), l’attenzione è concentrata sul Venezuela in quanto teatro della guerra globale al terrorismo. Tre
mappe illustrano le poste in gioco. La prima proviene da un sito di alQå‘ida e segnala in verde gli spazi conquistati nel mondo dall’islamismo
militante. La seconda, anch’essa frutto delle officine cartografiche di Osama bin Laden, proietta lo scenario globale di qui a cent’anni: un pianeta
tutto verde, il «califfato virtuale». La terza, prodotta dal Centcom, dipinge in
giallo le aree strategiche in cui Washington e alleati combattono per impedire che quel califfato diventi reale: Medio Oriente, parti dell’Asia, Corno d’Africa, ma anche Venezuela e Triple Frontera (carta 1), dove si toccano Brasile, Argentina e Paraguay (e si trova la riserva d’acqua più importante al
mondo, il bacino del Guaraní). In questi territori sudamericani, secondo gli
analisti del Centcom, sono da tempo infiltrati gruppi terroristi come Õizbullåh, Õamås e perfino al-Qå‘ida 2.
Visto da Bush, Chávez è dunque un nemico su scala doppia. In ambito
continentale, dai Caraibi alla Terra del Fuoco, dove d’intesa con i fratelli Castro sta radicando una testa di ponte anti-Usa (progetto Venecuba). In proiezione globale, in quanto connivente con i terroristi, frequentatore di pessime
compagnie – dal presidente iraniano Ahmadi-Nejad al bielorusso Aleksandr
Lukašenko e al nordcoreano Kim Jong-Il – e insieme promotore di pericolose
intese energetiche con cinesi, iraniani, russi (dai quali acquista aerei, elicotteri e kalashnikov). Sempre da apostolo della lotta contro il «diavolo» Bush.
Quanto il presidente degli Stati Uniti consideri seria la minaccia chavista lo si è sperimentato nel suo viaggio latinoamericano, che dal 9 al 14
marzo l’ha portato in Brasile, Uruguay, Colombia, Guatemala e Messico. La
prima grande missione subcontinentale di Bush. Arrivato alla Casa Bianca
con l’idea di fare dell’America Latina la sua priorità, causa guerra al terrorismo il leader Usa ha finito per metterla tra parentesi, tanto da citarla
un’unica volta (gennaio 2001) nei suoi sette discorsi sullo stato dell’Unione.
Il suo è stato dunque un tardivo atto di riparazione all’insegna dell’«I care»,
con l’obiettivo implicito di offuscare la stella chavista.
Nel corso del periplo attorno all’aspirante caudillo Bush ha studiatamente evitato di pronunciarne il nome. Non occorre psicoanalisi per interpretare tale forzoso silenzio. Bush ha seguito il consiglio del Dipartimento di
Stato e di influenti think tank, dalla Heritage Foundation al Council on Foreign Relations, che lo invitavano a non cadere nella trappola retorica di
8
1. E. GOLINGER, «Bush Orders More CIA Activity in Venezuela», Venezualanalysis.com, 19/1/2007. Cfr.
www.venezuelanalysis.com/news.php?newsno-2196
2. N. I KEDA , «Venezuela y Triple Frontera en mapa de lucha antiterrorista», Associated Press,
24/11/2006.
PARAGUAY
Ciudad
de l’Este
Rio P
araná
CHÁVEZ-CASTRO, L’ANTIAMERICA
BRASILE
Foz do Iguaçú
Puerto Iguazú
ARGENTINA
Chávez 3. Per lui come per Fidel e per molti altri leader sudamericani di ieri
e di oggi, se gli Usa non esistessero bisognerebbe inventarli. Su chi scaricare
altrimenti le proprie frustrazioni, a chi attribuire i propri fallimenti?
3. Cfr. S. JOHNSON, A. COHEN, W.L.T. SCHIRANO, «Countering Hugo Chávez’s Anti-U.S. Arms Alliance», Heritage Foundation, Executive Memorandum No. 1010, 6/9/2006, www.heritage.org/research/nationalsecurity/em1010.cfm. A conclusioni analoghe giunge R. LAPPER nel suo Living with Hugo. U.S. Policy
Toward Hugo Chávez’s Venezuela, Council on Foreign Relations Press, Crs n. 20, November 2006.
9
IL PATRIARCA E IL PARÀ
Grafico 1. L’immagine dei leader sudamericani: 2006-media
Esprima la sua valutazione dei seguenti leader di paesi stranieri, su una scala da 0 (molto
negativa) a 10 (molto positiva).
Luis Inácio Lula da Silva
5.8
Michelle Bachelet
5.5
Álvaro Uribe
5.4
Néstor Kirchner
5
Evo Morales
5
Tabaré Vázquez
5
Hugo Chávez
4.6
George W. Bush
4.6
4.5
Alan García
Fidel Castro
4.4
0
1
2
3
4
5
6
7
Fonte: Latinobarómetro 2006.
10
Ma proprio il rifiuto assoluto di discutere il caso Chávez – la sua tabuizzazione – ha attirato l’attenzione dei media sul duello a distanza fra i
due leader. Giacché il presidente venezuelano non ha trattenuto l’istinto
battagliero e ha intrapreso un parallelo tour anti-Bush. Dall’Argentina alla
Bolivia, dal Nicaragua alla Giamaica e ad Haiti (9-13 marzo), Chávez ha
elargito promesse di aiuti, attingendo alla retorica socialpopulista e alle generose quanto strategiche elargizioni energetiche, su cui sta costruendo la
sua rete di influenza regionale e transcontinentale. Una contro-tournée
culminata il 9 marzo nel fiammeggiante comizio allo stadio Ferrocarril di
Buenos Aires, con il beneplacito di Kirchner, mentre sulla sponda opposta
del Río de la Plata, a Montevideo, Bush incontrava il suo omologo uruguayano Tabaré Vázquez in un clima da stato di assedio.
Chi ha vinto il duello? Se restassimo alla superficie, opteremmo per Chávez, non fosse che per l’accoglienza tra il glaciale e l’ostile ricevuta da Bush
quasi dappertutto. Ma l’applausometro non è un buon indicatore. Anzitutto
perché il presidente americano partiva da sottozero. Il fallimento delle ricette neoliberiste sponsorizzate da Washington negli anni Ottanta e Novanta,
il naufragio del progetto di area panamericana di libero scambio e l’impopolarità della guerra al terrorismo hanno spinto al parossismo l’insofferenza subcontinentale verso il colosso del Nord. Eppoi Bush è un’«anatra zop-
CHÁVEZ-CASTRO, L’ANTIAMERICA
Grafico 2. L’immagine dei leader sudamericani: 2006 (%)
Esprima la sua valutazione dei seguenti leader di paesi stranieri, su una scala da 0 (molto
negativa) a 10 (molto positiva)
37
Luis Inácio Lula da Silva
47
16
32
Michelle Bachelet
50
18
30
Álvaro Uribe
48
22
30
31
George W. Bush
39
29
Néstor Kirchner
43
27
29
Evo Morales
43
29
28
Hugo Chávez
27
Fidel Castro
34
39
33
41
26
Tabaré Vázquez
49
25
19
Alan García
48
33
0
10
20
30
40
50
60
70
Valutazione negativa (0-3)
Valutazione media (4-6)
Valutazione positiva (7-10)
Fonte: Latinobarómetro 2006.
pa». Con un Congresso ostile e un consenso domestico al minimo storico
non può fabbricare grandi strategie.
Non che il suo contraddittore sia amatissimo nella regione. Anzi, stando
all’ultimo sondaggio disponibile (dicembre 2006), Chávez eguaglia Bush nelle valutazioni negative dei latinoamericani (39%), mentre è sotto di due punti nei giudizi positivi (28% contro 30%). Fidel Castro sta anche peggio (27% a
favore, 41% contro). In una scala da 0 a 10, Chávez e Bush condividono un
modesto 4,6, appena meglio del leader cubano (4,4) (grafici 1 e 2) 4.
Soprattutto, Bush ha constatato che nessuno dei suoi interlocutori intende farsi manipolare da Chávez, né sogna di aderire a un polo bolivariano, tantomeno a una confederazione fra Venezuela e Cuba. Se nel caso
della Colombia di Uribe o del Messico di Calderón non potevano darsi dubbi, la conferma più importante è venuta dal brasiliano Lula. Un classico
esempio di «right left» – «sinistra di destra» o «sinistra giusta» nel gioco di parole americano. Una linea di governo che non indulge al servilismo verso la
superpotenza Usa, ma esprime una geopolitica prudente e persegue politiche
4. Cfr. Latinobarómetro 2006, www.latinobarometro.org
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IL PATRIARCA E IL PARÀ
macroeconomiche ortodosse, privilegiando la stabilità sulla crescita (intorno al 3,7%) e sulla lotta alla disoccupazione. Il Brasile è semplicemente
troppo grande per accodarsi a qualsiasi partner sudamericano. Figurarsi al
Venezuela radicalpopulista. Certo, l’accordo di principio tra Lula e Bush per
lo sviluppo dell’etanolo come biocarburante alternativo ai prodotti petroliferi non sembra aprire prospettive ravvicinate. Basti considerare che il Brasile
ne produce circa 17,5 miliardi di litri all’anno, per il 90% destinati al consumo interno, contro i 132 miliardi previsti per il 2017 dal progetto americano mirato ad abbattere del 20% la dipendenza dal petrolio. Eppure l’intesa ha un palese significato geopolitico. Avverte Chávez che Brasile e Stati
Uniti stanno collaborando per minarne la petropolitica.
Il presidente venezuelano sarà pure un «Perón col petrolio», ma la sua
arma energetica non è definitiva né infinita. La sua battaglia in seno all’Opec per mantenere il prezzo del greggio oltre i 50 dollari al barile, soglia necessaria al Venezuela per finanziare insieme welfare domestico e geopolitica globale, non può garantirlo nel medio-lungo periodo.
Per ora i numeri sono comunque dalla parte di Chávez. Oggi il Fondo
monetario internazionale presta solo 50 milioni di dollari annui all’America Latina, pari all’1% del totale, contro l’80% del 2005. Quanto all’aiuto
Usa nella regione, nel 2007 toccherà quota 1.600 milioni di dollari. Nel
2006, intanto, Chávez ha attinto alla sua rendita energetica per prestare
2.500 milioni di dollari all’Argentina, 1.500 alla Bolivia e 500 milioni all’Ecuador, sussidi petroliferi a parte (2.000 milioni alla sola Cuba). Un match impari, che spiega l’irradiamento venezuelano in America Latina. E illustra il declino della dottrina Monroe, reso bene dal commento del giornale
conservatore brasiliano O Estado de São Paulo al viaggio di Bush: sotto il titolo «Il misero pacchetto di Zio Paperone», si ricorda che gli aiuti Usa alla
regione «equivalgono a cinque giorni di guerra in Iraq, una goccia d’acqua
appetto all’oceano di petrodollari in cui il chavismo naviga a tutta forza,
dall’Argentina al Nicaragua» 5.
Le tournée parallele di Bush e Chávez consentono di mettere a fuoco la
cangiante mappa geopolitica dell’America Latina (carta a colori 1). A partire dall’asse Cuba-Venezuela, o Venecuba, che tende a ramificarsi prioritariamente in Bolivia ed Ecuador (ideologia più idrocarburi e sicurezza), poi
in Nicaragua, con supporti anche in Argentina (peronista ma soprattutto
debitrice a Chávez dell’acquisto di una corposa quota dei suoi buoni del Tesoro), Paraguay, Uruguay, Haiti e Giamaica, più o meno sensibili alle sirene della petropolitica chavista, orientamenti ideologici a parte. Cile, Perú,
Honduras, Costa Rica, Panamá e Repubblica Dominicana mantengono distanze variabili ma piuttosto ampie da Venecuba, mentre Colombia, Guatemala e El Salvador restano legati agli Usa, con il Messico più smarcato. Il
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5. Cit. in J. RUTENBERG, L. ROHTER, «Visit by Bush Fires Up Latins’ Debate Over Socialism», The New York
Times, 9/3/2007.
CHÁVEZ-CASTRO, L’ANTIAMERICA
Brasile è a parte. Come superpotenza regionale, tiene a mantenere buoni
rapporti con tutti, Bush e Chávez compresi. Le dimensioni paracontinentali
e le ambizioni geopolitiche globali – come testimonia la rivendicazione di
un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu, dal 1945 a oggi
– inducono Brasília a osservare con serena condiscendenza il balletto degli
allineamenti e riallineamenti regionali intorno al fenomeno Chávez.
2. Ma chi è il tenente colonnello Hugo Rafael Chávez Frías, nato il 28
luglio 1954 (sotto il segno del Leone, come il Libertador) a Sabaneta de Barinas, nella profonda provincia venezuelana, da umile famiglia llanera?
Che cosa vuole? Quanto realistici sono i suoi progetti?
Il presidente è un’icona vivente. La sua immagine campeggia ovunque
in Venezuela, negli uffici pubblici come in altarini improvvisati. È disponibile persino sotto forma di pupazzetto con batteria. Infatti Chávez è un moto perpetuo. Dorme tre o quattro ore a notte, beve almeno venti tazzine di
caffè al giorno, studia valuta decide proclama su tutto e di tutto. Ed è estremamente sensibile al giudizio altrui: un suo critico di sinistra, Teodoro
Petkoff, lo paragona a Zelig.
Il culto del «nuovo Bolívar» o del «secondo Fidel», campione della rivoluzione roja rojita (il colore del bolivarismo), è a uno stadio avanzato. Vi contribuisce lui stesso, iperattivo e onnipresente genio della comunicazione, come dimostrano le fluviali performance televisive nel suo programma domenicale «Aló Presidente!». In un paese spaccato in due, fra ricchi quasi sempre bianchi e poveri quasi sempre colorati, Chávez ama ricordare la sua
parabola di meticcio che s’è fatto da sé. Come osserva il suo grande ammiratore e «fratello maggiore» Fidel Castro, Hugo si considera una «mescolanza di indio», attribuendosi qualche goccia di sangue bianco, a mitigare i
tratti autoctoni 6. Ma si sente anzitutto un soldato, un missionario armato
della rivoluzione bolivariana e del «socialismo del XXI secolo». Avverte: «Sono un sovversivo a Miraflores» (il palazzo presidenziale, n.d.r.) 7. Si considera il vendicatore dei venezuelani, dopo i quarant’anni di puntofijismo
(1958-’98), l’oligarchia bipartitica segnata dalla corruzione e dall’inefficienza contro cui aveva tentato il suo primo assalto al potere, con il fallito
golpe del 4 febbraio 1992 che ne farà comunque un personaggio pubblico.
E da meticcio si erge a campione del multiculturalismo, a difensore dell’orgoglio indigeno (carta a colori 2).
Chávez ha superato brillantemente varie prove elettorali, dall’avvento
alla presidenza nel 1998 fino alla trionfale riconferma del 3 dicembre
2006, con il 63% dei voti (portando alle urne il 74% dell’elettorato), via la
6. F. CASTRO, I. RAMONET, Autobiografia a due voci, Milano 2007, Mondadori, p. 492.
7. Intervista di J.V. RANGEL a H. CHÁVEZ FRÍAS, 4/3/2007, durante il programma televisivo José Vicente hoy,
trascrizione disponibile in Venezuelanalysis.com, 13/3/2007, www.venezuelanalysis.com/articles.php?artno=1985
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IL PATRIARCA E IL PARÀ
decisiva vittoria nel referendum del 2004 (il 59,25% si espresse per la sua
conferma a Miraflores). Ma negli ultimi tempi la vena autocratica e l’aggressività verbale contro il «diavolo» Bush hanno preso il sopravvento. Sarà
perché pensa di agire e parlare anche a nome di Fidel. O perché sente che a
guidarlo sono forze ultraterrene. Capita che durante una riunione lasci
una sedia vuota, perché vi si possa accomodare lo spirito di Bolívar 8.
Né si sente vincolato a una dottrina, essendo stato variamente influenzato dal marxismo e dal militarismo fascistoide, dalle guerriglie maoiste e
dai carapintadas. Con qualche slittamento antisemita, tipico di uno dei suoi
maestri, l’ideologo argentino Norberto Ceresole, cultore del caudillismo, teoria del potere basata sul rapporto diretto duce-popolo, al di sopra di qualsiasi vincolo legale. Il caudillo, secondo Ceresole, «non ha altra legge che la
sua volontà». E Chávez, suggeriva l’obliquo Ceresole (amico dei montoneros
come del dittatore argentino Viola), è stato scelto il 6 dicembre 1998 come
duce dei venezuelani: «Una persona fisica, non un’idea astratta o un “partito” generico, è stata delegata da questo popolo a esercitare il potere (…)
C’è dunque un ordine sociale maggioritario che trasforma un ex capo militare in un caudillo nazionale» 9. Chávez darà poi ordine di togliergli di torno quel «vecchio vagabondo», scomparso nel 2003. Ma non ha dimenticato
la sua lezione. Lui stesso si è cimentato nella difesa del caudillismo: «La funzione del caudillo in certe epoche storiche è quella di mobilizzatore di masse, di rappresentante di una massa con cui si identifica: una funzione che
la massa gli riconosce, senza che ci sia un procedimento formale, legale o
di legittimazione. (…) Se una persona così (un caudillo, n.d.r.) dedicasse la
vita, dedicasse i suoi sforzi a collettivizzare, servendosi del suo potere “mitico”, leader, progetti, idee: se si verificasse tutto questo, allora (…) io giustificherei la presenza di un caudillo» 10. Un autoritratto. Perfetto anche per Fidel. L’idealtipo del líder máximo venecubano.
Ma se il rivoluzionario cubano coltiva il suo patriottismo nel giardino
marxista-leninista, Chávez è molto più eclettico. Cita indifferentemente
Gramsci e Chateaubriand. Il suo romanzo preferito pare sia Il generale nel
suo labirinto di Gabriel García Márquez, centrato su Simón Bolívar, simbolo dell’anticolonialismo latinoamericano (carta 2). Ma un visitatore russo
l’ha recentemente colto a leggere L’uomo a cavallo di Pierre Drieu La Rochelle, che nel suo anelare a tutto ciò che negasse la democrazia e il mercato si avvicinò al nazismo prima di suicidarsi il 16 marzo 1945. L’eroe di
questo romanzo ambientato nella Bolivia della seconda metà dell’Ottocento, Jaime Torrijos, mezzo inca e mezzo spagnolo, «grande soldato e grande
14
8. C. MARCANO, A. BARRERA TYSZKA, Hugo Chávez, il nuovo Bolívar, Milano 2007, Baldini Castoldi Dalai, p. 175.
9. N. CERESOLE, Caudillo, Ejército, Pueblo. El Modelo Venezolano o la Postdemocracia, Enero, 1999,
citato in A. GARRIDO, Mi amigo Chávez. Conversaciones con Norberto Ceresole, Caracas 2001, Alberto
Garrido, p. 8.
10. C. MARCANO, A. BARRERA TYSZKA, op. cit., pp. 404-405.
CHÁVEZ-CASTRO, L’ANTIAMERICA
A
GU
Caracas
COSTA
RICA
VENEZUELA
1839 PANAMÁ
1903
Santa Fé de Bogotá
1811
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1839
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(al AP C E A
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2 - LE INDIPENDENZE SUDAMERICANE
RI
1839
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HONDURAS
EL SALVADOR
1839
NICARAGUA
COLOMBIA
al Brasile 1905
1819
al Brasile 1905
alla Colombia 1922
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1835
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(fino al 1962)
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1822
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al Brasile 1903
1821
1822
al Perú 1909
al Perú 1902
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Lima
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Arequipa
Pisagua
1879
G r o s s o
al Brasile 1927
Salvador de Bahia
La Paz
BOLIVIA
(Alto Perú fino al 1825)
Tarapacá
1879
Brasilia
1825
al Brasile 1870
Belo Horizonte
al Cile 1884
Calama
1879
O cea n o
P a ci f i co
PARAGUAY
ARGENTINA
CILE
1818
Santiago
San Paolo
1811
1816
Caseros
1852
Pavon
1861
Cepeda
1859
Rio de Janeiro
Cerro Cora al Brasile 1895
allíArgentina 1874
Pôrto Alegre
URUGUAY
1828
Buenos Aires
Montevideo
O c e a n o
A tla n tic o
ISOLE FALKLAND
(Alla Gran Bretagna nel 1833)
Repubblica della Grande
Colombia dal 1819 al 1830
Uruguay indipendente
dal 1828
Confederazione delle
Province Unite dell’America
Centrale dal 1823 al 1839
Paraguay dopo la guerra
del Chaco (1932-1935)
Confederazione del Perú e
della Bolivia dal 1836 al 1839
Panamá indipendente
nel 1903
Confini attuali
Battaglie della
Guerra del Pacifico
(1879-1884)
Altre battaglie
1822 Anno
d’indipendenza
15
IL PATRIARCA E IL PARÀ
asceta» alla ricerca delle sue origini, sollecita la fantasia del presidente, avido di modelli.
La ricerca del Chávez autentico è probabilmente inutile. Sappiamo solo
che, come Fidel, pur non disprezzando alcuni tratti della way of life nordamericana, adorando anzi il baseball, usa gli Stati Uniti come bersaglio e leva della sua azione. E che non tiene gran conto delle regole liberaldemocratiche, pur evitando di calpestarle del tutto. Per ora.
Per capire che cosa Chávez vuole potremmo affidarci al motto del primo ambasciatore americano che ebbe a che fare con lui, John Maisto: «Si
badi alle sue mani, non alla sua bocca» 11. Traduzione: è un ciarlatano. La
sua retorica rivoluzionaria è per il consumo domestico. Lo stesso presidente
rassicurava Maisto, nel 1999: «Non si preoccupi, ambasciatore. So dove si
trova la linea rossa, e io non l’attraverserò» 12.
Ma oggi pensiero e azione sono meno divaricati. Chávez comincia a fare quello che dice e a teorizzare ciò che fa, esibendolo come «socialismo del
XXI secolo». Lui stesso spiega che nella vita di un uomo ci sono varie fasi. Oggi Chávez è all’apice dell’impeto rivoluzionario. I suoi obiettivi strategici sono
ben visibili: il nucleo geopolitico neobolivariano, che a partire da Venecuba
liberi l’America Latina dall’egemonia statunitense e si affermi come uno dei
soggetti del nuovo mondo multipolare; a questo fine, la sua repubblica bolivariana diventerà «socialista», ergo fondata sulla concentrazione del potere
nelle mani del presidente-caudillo, senza più controlli né equilibri, salva la
«volontà popolare», ossia il vincolo carismatico-plebiscitario fra «guida» e
«masse». Una «democrazia rivoluzionaria», secondo la definizione chavista
del regime cubano. Chávez non nasconde di puntare alla presidenza vitalizia, quanto meno fino al 2030 13.
Il percorso è nella Nuova mappa strategica tracciata nel novembre 2004
per promuovere il Salto Adelante, la svolta rivoluzionaria che culminerà nel
nuovo socialismo. Nel gennaio di quest’anno Chávez ha ottenuto dall’Assemblea nazionale – totalmente in sua mano per rinuncia degli oppositori a
partecipare alle elezioni parlamentari in quanto truccate – la facoltà di governare per decreto fino a metà 2008. Anche se resistendo alle pressioni governative diversi media restano critici nei suoi confronti, alcuni in modo
viscerale, il presidente sta avanzando verso la concentrazione del potere
nella sua persona. Ogni decisione, ogni programma è di Chávez, ubiquo testimonial di una rosseggiante autopromozione permanente. Avendo messo
sotto controllo la magistratura, affidato i principali uffici pubblici a uomini
di fiducia, riaccentrato lo Stato a scapito degli autonomismi – in particolare nella regione petrolifera di Zulia, da cui proviene il capo dell’opposizione
16
11. Ivi, p. 305
12. Ivi, p. 307.
13. Così nel discorso pronunciato dal presidente venezuelano il 15 agosto 2005 nel Panteón Nacional,
durante la commemorazione del bicentenario del giuramento di Simón Bolívar al Monte Sacro, cit. in
C. MARCANO, A. BARRERA TYSZKA, op. cit., p. 433.
CHÁVEZ-CASTRO, L’ANTIAMERICA
Manuel Rosales – l’obiettivo è adesso il partito unico chavista, da battezzare
Partito socialista unito del Venezuela. Alcuni degli alleati, fra cui il Partito
comunista, non vogliono la fusione per decreto e chiedono di discuterne,
ciò che profondamente irrita il presidente.
Il tratto decisivo del chavismo è la militarizzazione del potere. Dei 52
governi conosciuti a partire dall’indipendenza effettiva (1821, dieci anni
dopo l’emancipazione formale dalla Spagna), 35 sono stati guidati da militari o loro fantocci. Chávez crede profondamente nell’etica militare e nella
funzione sociale delle Forze armate. Sono migliaia gli ufficiali da lui assegnati a dirigere uffici civili. Temendo un possibile golpe, il presidente si è
preoccupato di armare milizie paramilitari a lui devote, con compiti sociali
e di difesa del territorio. Sullo sfondo lo spettro di un’invasione americana,
agitato per compattare il paese nell’orgoglio patriottico.
Il più grande successo di Chávez sono le «missioni». Così il colonnello ha
battezzato le iniziative di welfare in campo sanitario, educativo, sportivo,
accanto alla distribuzione di alimenti di base a prezzi sussidiati. Per i milioni di poveri del paese, questo conta molto più di qualsiasi limitazione della democrazia o delle libertà. Prima il mangiare, poi la legge. La forte popolarità del capo e i suoi ripetuti successi elettorali poggiano sull’assistenzialismo. Il successo di questo peculiare welfare è ben visibile, ma non sembra
ne possa scaturire una struttura produttiva di qualche respiro né un ceto
medio più consistente, necessario a ridurre stabilmente la polarizzazione
fra straricchi ed emarginati. Sarebbe peraltro miope trascurare l’effetto delle
«missioni», specie in un paese e in un continente che hanno sperimentato la
devastazione delle ricette liberiste imposte da Washington via Fondo monetario internazionale.
Per sostenere le «missioni» Chávez deve disporre di adeguate risorse pubbliche, spesso gestite personalmente dal presidente, in barba a ogni contabilità. Di qui la marcia forzata verso il completamento del programma di nazionalizzazioni, a partire dagli idrocarburi fino alle telecomunicazioni e
all’energia elettrica. Le compensazioni per le aziende private pesano sul bilancio statale, ma Chávez può ora disporre delle principali leve dell’economia venezuelana.
Per le companies, che alla fine dello scorso decennio spuntavano ancora contratti estremamente vantaggiosi, la stagione in cui potevano fare il
bello e il cattivo tempo nell’Eldorado venezuelano è trascorsa (carta 3). Tasse
e royalties petrolifere sono in crescita. Ed è Chávez a dettare le nuove condizioni di sfruttamento del suo tesoro energetico, limitando il ruolo delle
grandi multinazionali e aprendo il mercato alle aziende pubbliche cinesi,
iraniane, russe e di altri partner disposti ad assumersi il rischio di operare
in un territorio «geopoliticamente scorretto». Così nel bacino dell’Orinoco
ExxonMobil, ConocoPhillips, Chevron e Total sono invitate a collaborare all’estrazione del greggio con la compagnia di Stato Petróleos de Venezuela
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18
C OLOMBIA
La Solita
Maracaibo
Bajo Grande
Punta Palmas
Maicao
Puerto Bolívar
La Salina
Puerto Miranda
Barinas
Emmaslad (Bullen Bay)
320.000 b/g
AN TILLE OLAN D E S I
V E
El Palito
126.000 b/g
Z U
San Felipe
N E
Barquisimeto
Coro
Punta Cardon-Amuay Bay
955.000 b/g
ARUBA
Guanare
Amuay Bay
Las Piedras
Punta Cardon
San Nicolas
315.000 b/g
3 - IL VENEZUELA PETROLIFERO
E
Caracas
La Guaira
d e i
Iguerote
L A
Las Mercedes
Pariguan
San Roque
5.200 b/g
Puerto José
C a r a i b i
Altagracia de Orituco
Maiquetía
M a r
Aguasay
O
Caripito
Progetto
Venezuela LNG
c o
n o
r i
Morichal
Santa Barbara
Puerto la Cruz
195.000 b/g
Importante sito di
stoccaggio gpl
Impianto gnl di
esportazione in progetto
Tanker Terminal gpl
Tanker Terminal
Raffineria
Oleodotto
Giacimento petrolifero
Gasdotto
Giacimento di gas
IL PATRIARCA E IL PARÀ
CHÁVEZ-CASTRO, L’ANTIAMERICA
S.A. (Pdvsa) in posizione privilegiata (una quota di almeno il 60% nelle
joint ventures). I termini delle intese non soddisfano le majors, ma l’alternativa è tra partecipare allo sfruttamento dei massimi giacimenti mondiali di
petrolio extrapesante secondo le regole decise da Chávez o lasciare il campo
alla concorrenza.
Secondo le bulimiche stime di Pdvsa, nei 55 mila chilometri quadrati
della Fascia dell’Orinoco giacciono 236 miliardi di barili di petrolio, che
aggiunti ai 79,7 miliardi di riserve accertate proietterebbero il Venezuela al
primo posto nel mondo, davanti all’Arabia Saudita. Per valutare queste riserve Pdvsa si è servita dell’expertise di alcune compagnie di Stato amiche,
con le quali Chávez ha stretto intese dal forte retrosapore geopolitico: Gazprom (Russia), Petrobras (Brasile), Cnpc (Cina), Petropars (Iran), PetroVietnam, Enarsa (Argentina), Ongc (India) e Petronas (Malaysia), oltre alla compagnia privata spagnola Repsol.
Il petrolio è il principale strumento della geopolitica chavista e la massima
fonte di entrate per lo Stato (grafici 3, 4 e 5). Da quando Chávez ne ha preso il
controllo, purgandola degli avversari ma anche di manager e lavoratori capaci, i conti della Pdvsa sono piuttosto opachi. Gli analisti internazionali stimano una produzione petrolifera nazionale vicina ai 2,8 milioni di
barili/giorno, 500 mila meno di quanti dichiarati dallo Stato. Agli Stati Uniti
sono andati nel 2006 1,5 milioni di b/g, l’8% in meno rispetto all’anno precedente. Insomma, l’interdipendenza petrolifera Caracas-Washington resiste –
con qualche affanno – alle intemperie provocate dalla retorica chavista, così
come gli scambi commerciali in genere. Ma Chávez fornisce greggio a prezzi
scontati ai paesi centroamericani e caraibici, con un trattamento privilegiato
per Cuba, cui spettano 92 mila barili annui, scambiati con migliaia di medici e istruttori inviati dal regime castrista a supporto delle misiones chaviste.
Meno rilevante il gas, anche se il Venezuela vanta riserve per 152 trilioni di piedi cubi e conta di scoprirne altri 100-200 trilioni offshore (carta 4).
Tanto che Chávez suggerisce a Kirchner e a Morales di fondare una «Opec
del gas» sudamericana, pur se il Venezuela non è un esportatore e gli altri
due partner vendono gas solo in ambito subcontinentale. In questo scenario
campeggia un improbabile progetto a sfondo geopolitico, il Gasdotto del
Sud, più noto come Hugoducto. Chávez immagina un circuito gasifero sudamericano imperniato su Caracas di difficile realizzazione per i costi
astronomici e perché i partner, brasiliani in testa, non vogliono offrire al
Venezuela, già superpotenza petrolifera, troppi strumenti di ricatto energetico (carta a colori 3).
Che cosa può minacciare Chávez? Come impedire la cubanizzazione
del Venezuela o addirittura l’espansione del castrochavismo nel continente
sudamericano? L’opposizione di centro-destra – radicata nei ceti benestanti
e alimentata da alcuni intellettuali, pur sempre una minoranza – oscilla
tra rassegnazione, recriminazioni su brogli elettorali che gli osservatori in-
19
Ballenas
Casigua
Gasdotti
esistenti
N E
Gasdotti da
realizzare entro il 2012
V
E
Guanare
Barinas
Valencia
Maracay
Moron
E
Altri gasdotti
in progetto
Z U
Cabruta
YUCAL PLACER
300 Mpc/g
i n
Giacimenti di gas
in sfruttamento
L A
O
r
o
o c
Marno
Giacimenti di gas
da sfruttare
TR IN ID A D
BARRANCAS
produzione stimata
MARISCAL SUCRE
1.200 Mpc/g
Güria
TOB A GO
Esportazione
gnl
Impianto di liquefazione
futuro
Impianti di compressione
futuri
Impianti di compressione
esistenti
Puerto Ordaz
Santa Barbara
Dacion
Morichal
Soto
Barcelona
Cumana
PLC
Isla de
Margarita
Anaco
José
ANACO
2.794 Mpc/g
C a r a i b i
Caracas
d e i
Sombrero
Litoral
M a r
San Carlos S.J. Morros
Yaritagua
Acarigua
BARRANCAS
100 Mpc/g
Barrancas
Ulé
Barquisimeto
Rio Seco
Mpc/g= milioni di piedi cubici al giorno
El Piñal
Maracaibo
ZULIA
1.400 Mpc/g
O
C OLOMBIA
C
A
BI
M
LO
o
G a s d o tt z u e la n o
o -v e n e
c o lo m b
Ga sdo tto
Ven ezu ela -Br asi le
20
4 - IL FUTURO DEL GAS
IL PATRIARCA E IL PARÀ
GU YA N A
CHÁVEZ-CASTRO, L’ANTIAMERICA
Grafico 3. Riserve accertate di petrolio e produzione petrolifera dell’emisfero occidentale, 2006*
8.26
178.8
3.76
79.7
3.22
2.76
2.05
21.4
Canada**
Venezuela
Stati Uniti
12.9
11.2
Messico
Brasile
Riserve accertate (miliardi di barili)
Produzione complessiva (milioni di barili al giorno)
* Gennaio-agosto.
** Incluse le sabbie oleose.
Fonte: Oil and Gas Journal; Eia, Short Term Outlook.
ternazionali hanno escluso, e tentazioni golpiste. Ma se nel 2002 la longa
manus di Bush e di Aznar aveva dato luce verde alla fallita sollevazione
anti-Chávez, oggi Washington assume un profilo basso. La speranza dei
suoi avversari è che «Don Regalón» – il presidente-Babbo Natale che continua a distribuire petrodollari ovunque possibile, inclusa Londra e alcuni
quartieri poveri negli Stati Uniti – cada vittima della propria generosità. Alla lunga, la rendita energetica non pare in grado di sostenere il ritmo delle
elargizioni mirate al mantenimento del consenso interno e alla diffusione
del chavismo nel mondo. C’è bisogno di imponenti investimenti e di nuove
infrastrutture. Malgrado la bonanza energetica, i conti pubblici zoppicano.
Si prospettano nuove tasse, mentre l’inflazione corre oltre il 17%. Per frenarla è in preparazione una curiosa miniriforma monetaria, basata sulla
reintroduzione di un pezzo da 12,5 centesimi che negli anni Sessanta, ai
tempi del «Venezuela saudita», simboleggiava la stabilità della divisa locale.
Ma il sistema di potere chavista appare oggi sufficientemente ramificato
– e armato – da poter reggere l’impatto di una crisi economica. A meno che
non sia davvero devastante, e accompagnata da una tale erosione del consenso per il caudillo da spingere qualcuno dei suoi attuali alleati a cambiare
campo. Accanto ai cosiddetti «taliban», i duri e puri del chavismo, nella galassia neobolivariana si distinguono infatti alcuni moderati, poco propensi
al salto nella «postdemocrazia», come l’ex vicepresidente José Vicente Rangel.
21
IL PATRIARCA E IL PARÀ
Grafico 4. Produzione e consumo di petrolio in Venezuela, 1980-2006*
200
180
Produzione
migliaia di barili / g
120
100
80
Esportazioni nette
60
40
20
Consumo
0
1986
1988
1990
1992
1994
1996
1998
2000
2002
2004
2006*
* Gennaio-agosto.
Fonte: Eia, International Energy Annual; International Petroleum Monthly; Short Term Energy
Outlook.
Oppure Chávez potrebbe finire vittima della propria pulsione allo scontro permanente, che lo spinge talvolta verso l’avventurismo. Prima di ammalarsi gravemente, il vecchio Fidel sapeva frenare il suo pupillo e orientarlo secondo realismo. Da quando il líder máximo è impegnato a recuperare
una salute accettabile, sembra che il paracadutista di Miraflores arrischi
qualche passo troppo più lungo della gamba. Come nella fallita battaglia
per la conquista di un seggio nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu, quando
dopo 47 votazioni Chávez ha dovuto ingoiare un candidato di compromesso a lui piuttosto ostile: Panamá.
22
3. Fidel Castro è un uomo fortunato. Nello scorcio estremo della vita,
quando sembrava condannato all’oblio, all’orizzonte del patriarca cubano è
apparso Hugo Chávez. L’ultima carta per realizzare il sogno di Fidel: esportare la rivoluzione in America Latina. Visto dall’Avana, il «nuovo Bolívar» è
l’inviato della Provvidenza che porterà a compimento la parabola castrista,
a un tempo ultrapatriottica e internazionalista, avviata 48 anni fa con il
trionfale ingresso dei barbudos all’Avana (carta a colori 4). Il 14 dicembre
2004, quando il líder máximo appunta sul petto di Chávez le insegne dell’Ordine Carlos Manuel de Céspedes, non esita a inserirlo nel Pantheon della teologia rivoluzionaria latinoamericana: «Sono convinto da molto tempo che
quando arriva la crisi nascono i leader. Così nacque Bolívar, quando l’occupazione della Spagna da parte di Napoleone e l’imposizione di un re straniero crearono le condizioni propizie all’indipendenza delle colonie spagnole
in questo emisfero. Così nacque Martí, all’ora propizia per portare avanti la
CHÁVEZ-CASTRO, L’ANTIAMERICA
Grafico 5. Export petrolifero venezuelano verso gli Stati Uniti, 1960-2005
60
1.800
50
1.600
1.400
40
1.200
30
1.000
800
Export verso gli Usa
20
600
400
% delle importazioni Usa complessive
200
% dell’import petrolifero Usa
Export verso gli Usa: migliaia di barili / g
2.000
10
0
0
1960
1965
1970
1975
1980
1985
1990
1995
2000
2005
* Gennaio-agosto.
Fonte: Eia, Annual Energy Review.
rivoluzione per l’indipendenza di Cuba. Così è nato Chávez, quando la terribile situazione sociale e umana nel Venezuela e nell’America Latina rendeva urgente lottare per la seconda e vera indipendenza» 14.
È da Fidel che parte l’idea della confederazione Cuba-Venezuela, aperta a Bolivia e Nicaragua – dove stanno penetrando le misiones castrochaviste – oltre che all’Ecuador e ad altri nemici del «diavolo» a stelle e strisce.
Nelle strade dell’Avana s’incrociano manifesti inneggianti all’Alba – l’Alternativa Bolivariana per le Americhe, asse economico-geopolitico di marca
castrochavista, cui hanno aderito boliviani e nicaraguensi – con le bandiere stellate di Cuba e Venezuela che sfumano l’una nell’altra, a suggerirne la
fusione (vedi foto di Danilo Manera in quarta di copertina).
Dunque, Venecuba come trampolino geopolitico che proietta Fidel oltre
l’isola, nella nuova funzione di mentore dell’emulo di Bolívar. La differenza di età e di esperienza consente al dittatore cubano di atteggiarsi a maestro. Un saggio protettore, costretto a raffreddare gli eccessi di esuberanza
del discepolo. E tiene a farlo sapere. Così quando nell’aprile 2002 i golpisti
si avvicinano a Miraflores, Castro implora Chávez di arrendersi, per guadagnare tempo: «Hugo, non immolarti! Non fare come Allende. Allende era solo, non aveva neanche un soldato. Tu hai dalla tua gran parte dell’esercito.
Non dimetterti, non rinunciare!» 15.
14. Discorso pronunciato da Fidel Castro il 14 dicembre 2004 nel teatro Carlos Marx all’Avana,
www.cuba.cu/gobierno/discursos/2004/ing/f141204c.html
15. F. CASTRO, I. RAMONET, op. cit., p. 493.
23
IL PATRIARCA E IL PARÀ
Fra i due c’è una linea telefonica diretta, tornata calda dopo che Fidel
è parso riprendersi dalle operazioni chirurgiche che l’estate scorsa l’avevano
costretto a cedere «provvisoriamente» i poteri al fratello Raúl. Il quale non
condivide l’entusiasmo del líder máximo per Chávez. È considerato un pragmatico fautore della ricetta cinese: «Libertà economica, controllo politico, ristabilimento delle relazioni con gli Stati Uniti, garantendo a questi ultimi
che non vi saranno spargimenti di sangue (la crisi potrebbe provocare violente esplosioni sociali) per impedire la fuga verso il territorio nordamericano di milioni di cubani affamati», stando a Carlos Franqui, un ex compagno che lo conosce bene (e lo detesta) 16. Non sarà facile per Raúl vestirsi da
Deng Xiaoping. Molti cubani sono talmente affezionati all’egualitarismo da
preferire le certezze di un welfare minimo alla competizione capitalistica,
magari pagandosi le medicine. E lavorando a ritmi cinesi.
Con i suoi 75 anni, Raúl non può guardare molto avanti. L’ombra del
carismatico fratello continua a condizionarlo, tanto più se tornerà formalmente alla guida del paese. «Per fortuna non mi telefona troppo», ammicca
Raúl.
I fratelli Castro incarnano il conflitto fra filocinesi e chavisti che secondo alcuni analisti divide la dirigenza cubana. Con i sostenitori del paradigma venezuelano che forse vedono nell’integrazione fra i due paesi l’opportunità di importare qualche elemento di democrazia. Perché l’influenza
Cuba-Venezuela è reciproca. Se i missionari castristi diffondono con l’esempio (e con successo) i loro precetti sociali nei barrios più miserabili delle
città venezuelane, entrano pur sempre in contatto con un paese dove alcune fondamentali libertà «borghesi» resistono e dove il dibattito pubblico,
malgrado la stretta chavista, attinge a tutti i colori dell’arcobaleno politicoideologico. È troppo immaginare un effetto di retroazione a Cuba?
Forse la partizione fra filocinesi e chavisti è solo un gioco delle parti. O
almeno è tenuta sotto controllo dal regime. Di sicuro le bottiglie di champagne frettolosamente stappate la scorsa estate a Miami dagli esuli cubani
hanno dato nuova forza a Fidel. Il quale è ricomparso in televisione, naturalmente insieme al «fratello» Hugo. Nessuna rivolta, neppure un atto di violenza hanno finora segnato la successione soft, che potrebbe paradossalmente rientrare se la convalescenza di Fidel procederà come i suoi ammiratori sperano. Ne ha ancora molti, nell’isola e non solo. Grazie a Chávez – e
grazie agli Stati Uniti, che con l’embargo e con i 638 attentati falliti hanno
contribuito a farne una superstar – l’ultimo dittatore dell’emisfero occidentale può oggi compiacersi nell’idea di non morire senza erede.
24
16. C. FRANQUI, Cuba, la rivoluzione: mito o realtà. Memorie di un fantasma socialista, Milano 2007,
Baldini Castoldi Dalai, p. 615.

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