Le disavventure del galeotto interpretato da Steve McQueen non

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Le disavventure del galeotto interpretato da Steve McQueen non
CARCERI
IL BAGNO PENALE DI TOLONE
Le catene
di Papillon
Le disavventure del galeotto
interpretato da Steve McQueen non
sono fantasia, bensì il resoconto
reale delle condizioni di vita nelle
prigioni francesi, i famigerati «bagni
penali». Creati a fine Settecento
e in attività fino all’ultimo
dopoguerra, i bagni vengono ora
rievocati a Tolone da una mostra
con documenti inediti
di Veronica Arpaia
L
e autorità militari francesi
hanno inaugurato a Tolone un’esposizione
sul
famigerato
bagno penale
della città che durerà sino al 13
maggio 2013. E’ l’occasione per
ripercorrere ed evocare le angoscianti atmosfere dei bagni penali
grazie a una serie di manoscritti
esposti per la prima volta: relazioni, atti, appunti; un insieme di
documenti mai editi a cura dello
zelante commissario e amministratore del bagno, Auguste Reynaud (1779-1859). Ad arricchire
il portato documentario si aggiun-
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gono alcuni acquarelli dello stesso
Reynaud che – come avrebbe potuto fare una macchina fotografica
in presa diretta – restituiscono e
danno vita a forzati senza volto e
senza nome. I suoi lavori attualmente conservati presso gli archivi del porto di Tolone, rendono la
comprensione del quotidiano dei
condannati più immediata.
Racconta Reynaud che ogni
mattina i forzati venivano divisi
in gruppi di venti, guidati da un
secondino e portati negli arsenali.
Ogni giorno uno stuolo di vestiti
rossi (colore della divisa penale) prendeva percorsi diversi: chi
veniva condotto verso i lavori di
artiglieria, chi ai terrapieni e chi
Steve McQueen interpreta il forzato
Papillon nell’omonimo film del 1973, tratto
dal romanzo autobiografico di Henri
Charrière sulla sua prigionia alla Caienna
ancora a riparar gomene e vele
nella darsena. I prigionieri partiti all’alba sarebbero tornati solo
al tramonto. La presenza del bagno penale nel cuore di Tolone ha
lasciato un’impronta indelebile
nella storia antropologica della
città, marcandone per sempre («à
jamais») la memoria collettiva.
Sorto nel 1816 come evoluzione
delle galere alto medievali di cui
prolungava le pene, ha aperto una
nuova pagina del sistema penitenziario francese. Quando le galere
erano alla fonda i prigionieri venivano ospitati in ambienti malsani
e umidi come i sotterranei delle fortezze e dei castelli costruiti lungo i
litorali che, per la loro morfologia,
vennero chiamati bagni penali (ed i
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I forzati nei bagni penali francesi erano
costretti a dormire con le caviglie incatenate
loro ospiti «bagnards»). La prigione
di Tolone, chiusa nel 1873, sopravvisse per circa un quarto di secolo a
quelle di Brest e di Rochefort.
L’esposizione del ministero della
Marina in collaborazione con il Servizio Storico di quello della Difesa
racconta quindi l’arrivo dei forzati
a Tolone, il loro trattamento, l’abbigliamento, il lavoro quotidiano, la
lunghezza e quindi il peso delle catene variabile a seconda della gravità
della pena, ma anche le rocambolesche evasioni dei «bagnards» simili
a quelle cinematografiche di «Papillon» dal penitenziario di St. Laurent
nei domini d’oltremare. Quando nel
1748 Luigi XV decise di annettere le
galere alla Marina, i forzati «sareb-
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bero stati impiegati a turno nei lavori di fatica degli arsenali secondo
le loro capacità» assolvendo compiti
non meno gravosi quali la costruzione e la riparazione delle navi. A
quel punto i quattromila forzati presenti a Marsiglia dovettero essere
quindi trasferiti nelle città di Brest,
Rochefort e Tolone. Questo afflusso
di persone pose immediatamente il
problema del loro alloggio. A Brest,
la durezza del clima rese necessaria
la realizzazione di un bagno penale
monumentale, così come a Rochefort. A Tolone invece, l’intendente
della Marina venne invitato ad esaminare le modalità di costruzione di
una prigione non più galleggiante
che rappresentava già allora una
novità soprattutto se si pensa che in
epoche anteriori l’edilizia carceraria
era totalmente assente. La durezza della prigionia era tremenda: la
struttura era in pietra così da diventare un forno in estate e una ghiacciaia in inverno. Ogni stanza della
prigione era di nove metri quadri.
La promiscuità diventava la regola,
gli edifici erano rustici e spartani. I
letti venivano preparati con legname di bassa qualità e erano larghi
appena 50 cm. Oltre allo spazio
concesso per dormire, ogni prigioniero disponeva di appena un metro quadro. La facciata dal versante
della rada era priva di finestre onde
evitare possibili evasioni mentre
sul lato darsena se ne aprivano di
molto piccole. Durante i lavori i prigionieri continuarono a vivere nel-
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