L`esame delle posizioni di Camillo Boito e di Luca Beltrami sulla
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L`esame delle posizioni di Camillo Boito e di Luca Beltrami sulla
L’esame delle posizioni di Camillo Boito e di Luca Beltrami sulla questione della fronte del Duomo di Milano ha un particolare interesse perché permette di dare uno sguardo a molteplici aspetti del dibattito sull’architettura nell’ultimo quarto dell’ottocento e nel primo decennio del novecento, all’’ambiente milanese di fronte di un tema di grande rilevanza, fonte di discussioni ma anche di contese politiche fra enti che a diverso titolo si ritenevano investiti da competenze nell’amministrazione dell’edificio, soprattutto il comune e la fabbriceria, in un momento storico in cui sono delicati e complessi i rapporti tra enti civili e quelli che, direttamente o indirettamente, erano emanazione delle autorità religiose. Camillo Boito e Luca Beltrami due eminenti personalità, protagonisti in vario modo del dibattito sul restauro architettonico, sull’architettura, sul senso della sua presenza nell’attualità, sul significato della continuità storica, con modalità e mezzi di espressione e di diffusione del proprio pensiero molto differenti, ebbero una iniziale intensa collaborazione in cui il maestro, Boito, è artefice della carriera di Beltrami che aveva individuato come il suo allievo più dotato. Essi ebbero in seguito rapporti molto polemici, in taluni momenti con durissime manifestazione anche pubbliche. Ciò è l’esito dello scontro fra due caratteri contrastanti (gli aspetti personali non sono da sottovalutare) ma soprattutto per due concezioni dell’architettura, e ancor più del restauro, molto diverse, che il dibattito sulla nuova fronte del Duomo, all’origine di un dissidio che si sarebbe probabilmente comunque manifestato. mette in evidenza con chiarezza. Beltrami, si laurea al Politecnico (1876) nel corso ideato da Boito che, sintetizzando la preparazione tecnica della scuola di ingegneria applicata all’edilizia con quella artistica e storica dell’Accademia, mirava a formare un architetto capace di soddisfare le esigenze progettuali della nuova civiltà industriale superando la condizione dell’ideatore di facciate ad organismi costruttivi predisposti dagli ingegneri, capace di concepire un edificio con una visone unitaria, tecnicamente ineccepibile senza sacrificare la creatività. Una linea che certamente era condivisa da Beltrami: la loro sintonia intellettuale è indirettamente documentata da alcune corrispondenze nelle quali il maestro elogia il giovane allievo che si era recato a Parigi e lo invita alla carriera accademica. Non c’è dubbio che la vittoria concorsuale per il ruolo a Brera come aggiunto alla cattedra di Architettura sia dovuto a qualcosa di più del semplice appoggio di Boito, che del resto era necessario in qualsiasi concorso di qualsiasi accademia italiana; anche l’immediata assunzione di responsabilità didattiche al Politecnico probabilmente aveva la stessa origine. La rottura si manifesta in occasione dei concorsi per nuova la fronte del Duomo: in quello accademico il primo premio assegnato dalla giuria a Beltrami ex aequo con Ferrario premiava la qualità di due soluzioni divergenti: una proponeva una fronte a capanna, ricollegando il Duomo alla tradizione lombardesca, l’altra che con due torri lo assimilava ad esempi esteri, tedeschi e francesi. Il consiglio Accademico, presieduto da Boito, rifiuta il verdetto ed assegna la vittoria al solo Ferrario. La vicenda si riproduce in parte nel concorso internazionale di primo grado ma diviene clamorosa in secondo grado, quando la vittoria viene attribuita a Giuseppe Brentano con un progetto a capanna che smentisce quello a torri da lui presentato in primo grado, accoglie l’idea di fondo di Beltrami che si vede superato nel giudizio per ragioni di qualità formale. La vicenda diviene paradossale quando, prematuramente morto l’autore, il progetto vincitore si dimostrerà irrealizzabile per la difficoltà di tradurre in architettura un disegno scenografico: Beltrami non solo non riuscirà a far realizzare il proprio di cui documenta la fattibilità, ma neppure a farlo prendere in considerazione. E’ da notare che se l’esito del concorso poteva essere attribuito ad una giuria internazionale, l’ostracismo al progetto del pur influentissimo Beltrami, poteva avere soltanto ragioni locali. Questi i fatti in sintesi; l’esame degli studi sul Duomo dei due protagonisti della vicenda chiariscono i motivi del dissidio scientifico: Beltrami legge il Duomo di Milano come un organismo costruttivo che documenta la permanenza di caratteri propri della tradizione lombardesca, dal punto di vista del dimensionamento geometrico, della concezione statica studiata fin nei particolari, in alcune costanti distributive, Egli giunge ad elaborare una spiegazione darwiniana dell’aspetto gotico dell’edificio, fatto decorativo, adattamento all’ambiente (alla temperie culturale del tempo) di un organismo che non muta nei suoi elementi costitutivi fondamentali. Un’idea di fondo, l’applicazione all’architettura dell’evoluzionismo scientifico, che attenuerà nel tempo ma che si manterrà nella concezione dell’architettura come di un fatto razionale, evolutivo, legato al complesso delle condizioni sociali e culturali dell’ambiente in cui esso si produce. Una visione nella quale l’architetto esprime una propria libertà soltanto in forma condizionata, l’opera di un artista, egli scrive, ha origini individuali soltanto per una metà, per il resto è frutto delle condizioni ambientali. Non a caso Beltrami difenderà la propria fronte trascurando del tutto le critiche formali ma dimostrandone la fattibilità, che non è dato puramente tecnico ma dimostrazione del suo essere in organica continuità con quanto esistente. Una qualità che si legge nella storia, che è adesione al suo razionale svolgimento; un concetto in perfetta aderenza con le sue posizioni politiche conservatrici. E’ interessante notare che si tratta esattamente quanto ebbe a dichiarare Friedrich Schmidt durante i lavori della commissione del concorso di secondo grado: egli ammira nel Beltrami la potenza di architetto ma deplora il suo attaccamento alla storia, che ha fruttato concetti che non si accordano più con lo stato attuale del Duomo. Al contrario in Boito prevale una lettura che senza negare un rapporto con la storia, valorizza l’apporto personale dell’artista, l’interpretazione, il valore della forma; il senso dell’architettura verso il fruitore: il Duomo è gotico perché suscita un sentimento che è tale. Non è trascurabile nell’esame di questa sostanziale divergenza esaminare l’espressione verbale e letteraria dei due, narratori di qualità notevolissime: il primo, oratore di ammirate capacità persuasive, di grande fascino unanimemente riconosciuto, è romantico autore di storie passionali ed intime; il secondo, impacciato nella parola, scrittore di stile manzoniano, ammirato da Pascoli, è pacato e convincente narratore di storia, e quella dell’arte non è mai fatto a sé, autore di racconti che in veste di esposizione di fatti immaginati nelle circostanze ma reali nella sostanza, propongono, con un certo successo, lezioni politiche, come ben avvertì, condannandole, Antonio Gramsci. Due caratteri antitetici, due visioni lontane, e tuttavia, ma il qui discorso si aprirebbe ad altre considerazioni, il “romantico” tentò di elaborare regole stringenti per il restauro architettonico, sottraendolo quindi all’ambito della creatività artistica; il “razionale” lo tacciò di burocratismo applicato all’architettura e rivendicò la liberà dalle regole astratte perché soltanto nella lettura storica l’architetto poteva e doveva trovare le implicite linee di svolgimento futuro della vita della fabbrica. Un contrasto che Gaetano Moretti, collaboratore ed allievo di Beltrami ma estimatore anche di Boito, nel necrologio del primo lo indicò, forse esagerandone l’influenza, come colui che aveva sconfitto in Lombardia la tendenza romantica in architettura, quel neo medievalismo a cui Boito si appellava. Apparentemente comune la condanna del neoclassicismo, ma anche in questo caso una divergenza di fondo: per Boito l’atteggiamento di un romantico neomedievalista, per Beltrami la valutazione del fenomeno come una interpretazione ristretta dei valori del classicismo. Amedeo Bellini