CHIARE, FRESCHE E DOLCI ACQUE 1. Chiare

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CHIARE, FRESCHE E DOLCI ACQUE 1. Chiare
CHIARE, FRESCHE E DOLCI ACQUE
1. Chiare, fresche e dolci acque,
ove le belle membra
pose colei che sola a me par donna;
gentile ramo ove piacque,
con sospir mi rimembra,
a lei di fare al bel fianco colonna:
erbe e fior che la gonna
leggiadra ricoperse
co l’angelico seno;
aer sacro sereno
ove Amor co’ begli occhi il cor m’aperse:
date udienza insieme
a le dolenti mie parole estreme.
Nell’incipit : Chiare, fresche e dolci acque di questa famosissima canzone del Petrarca mi sono
imbattuto per caso leggendo i libri che costituiscono il Corpus Hermeticum. Possibile che anche il
linguaggio del Petrarca sia “ convenzionale “? Costruito cioè per essere inteso da orecchi da
iniziati? Se così fosse, il tanto deprecato “ petrarchismo “ era nato ancor prima che nascesse lo
stesso Petrarca. Vorrei poter aprire il segreto nascosto. Non per curiosità. Ma per dare un altro colpo
al muro dell’omertà intellettuale che ci circonda. Allora comincia: Chiare, fresche e dolci acque
ecc. Domanda, sono la chiarezza, la freschezza e la dolcezza qualità oggettive? Non lo sono. Le
acque infatti assorbono i raggi luminosi invece di disperderli come tutte le superficie solide. E la
frescura scaturisce da un passaggio di calore da un corpo gelido a quello più caldo. Infine la
dolcezza dipende da un miscuglio. E tra l’acqua e gli zuccheri, sono sostanza gli zuccheri.
Accidente l’acqua. Però i tre termini possono coesistere se consideriamo non all’acqua come causa,
ma all’acqua come effetto. Essa, come effetto non è diversa dalla specchio. E in uno specchio le
immagini sono chiare, fresche o sempre nuove e dolci alla vista. La bella donna allora è vista allo
specchio. La bella donna? Ma si tratta di una donna in carne ed ossa - la tal Laura ecc. – o si tratta
di se stesso che si vede come una donna? In molti hanno notato questa sovrapposizione continua di
immagini in tutte le opere del Petrarca. Mentre era più facile pensare a uno sdoppiamento di
personalità. Insomma si vedeva come una donna e se ne compiaceva, solo che si vergognava di
ammetterlo in pubblico. Ma non falsifichiamo l’indagine. Intanto prosegue: gentile ramo ove
piacque, / con sospir mi rimembra, / a lei di fare al bel fianco colonna. Domanda: se si tratta di
ramo, non è la donna che funge da colonna? Se è la donna che fa da colonna, allora anche il gentile
ramo è della donna. O, se più piace, quella che appare a lui come donna, in realtà è un maschio. E
leggiamo anche i versi: erbe e fior che la gonna / leggiadra ricoperse / co l’angelico seno.
Domanda: l’angelico seno può mai essere quello di una donna? Non può essere. La vecchia
discussione sul sesso degli angeli si riduce in fondo a determinare quale fosse il loro seno. Che non
può essere diverso da quello di tutti i volatili. E infine: aer sacro sereno / ove Amor co’ begli occhi
il cor m’aperse. Domanda: non sta ricordando il tempo dell’iniziazione. Sacro per tutti gli adepti?
Per i seguaci cioè di Eros? E a questi ultimi rivolge la sua ultima preghiera, come a dettare la sua
ultima volontà: date udienza insieme / a le dolenti mie parole estreme.
2. S’egli è pur mio destino
e il cielo in ciò s’adopra,
ch’Amor quest’occhi lacrimando chiuda,
qualche grazia il meschino
corpo fra voi ricopra,
e torni l’alma al proprio albergo ignuda;
la morte fia men cruda,
se questa spene porto
a quel dubbioso passo,
chè lo spirito lasso
non porìa mai in più riposato porto
né in più tanqula fossa
fuggir la carne travagliata e l’ossa.
Evidenziamo i versi: S’egli è pur mio destino ecc. ecc. Non si possono non notare i termini:
“destino”, “cielo”, e “Amore”, che per la teoria ermetica agiscono sull’uomo. Ma noterei in
particolare il ruolo di Amore. Perché se Amore fosse il nome proprio dello Spirito Santo, Egli non
potrebbe chiudere gli occhi ma aprirli. Infatti lo Spirito Santo dà la vita e la dà in abbondanza. Ma
dunque se invece di dare la vita, la toglie, allora l’Amore di cui si parla è l’Eros, il dio dei filosofi. Il
quale essendo amor sui intellectualis, non può che scindere o, se si preferisce, portare alla scissione
dell’anima dal corpo. L’idea di un anima o dell’immagine di sé ignuda, separata dal corpo, poteva
generarsi solo nella mente di filosofi schiavi dell’ Eros. Stando così le cose, si spiega anche l’ultimo
desiderio espresso in precedenza: desidera che il corpo in cui è tenuto prigioniera la sua anima,
venga presto seppellito perché l’anima possa ritornare al proprio albergo. Si tratta insomma di una
professione di fede orfico- pitagorico e via discorrendo, tante forme di un unico mistero.
3. Tempo verrà ancor forse
ch’a l’usato soggiorno
torni la fera bella e mansueta
e là ‘v’ella mi scorse
nel benedetto giorno
volga la vista disiosa e lieta,
cercandomi; ed o pièta!
già terra infra le pietre
vedendo, Amor l’inspiri
in guisa che sospiri
sì dolcemente che mercè m’impetre,
e faccia forza al cielo
asciugandosi gli occhi col bel velo.
Analizziamo i versi: Tempo verrà ancor forse ecc. ecc. Domanda: di quale tempo parla? La prima
impressione porta a pensare al tempo del primo incontro con la tal Laura ecc. Ma l’impressione è
fallace. Perché, diciamo così, il primo mobile dell’incontro, non è chi guarda ma chi è guardato. Ci
troviamo così di fronte di nuovo a una teoria ermetica, ripresa da Platone, secondo cui il tempo è
l’immagine mobile dell’eterno. E l’espressione: tempo verrà ancor forse traduce bene la definizione
del tempo dataci da Platone, mutuata a sua volta dai libri esoterici. Potremmo anche dire che
l’anima rappresenti dell’eterno la sua immagine mobile. Non è decaduta l’anima? E non si incarna
anche in corpi non umani? L’ultimo stadio della metempsicosi della è dato proprio dal corpo
umano. Ora,dunque, è come giunto il tempo del ritorno alla patria celeste, ora che la sua anima è
ritornata ad assumere sembianze umane. Il fato – per ritornare ai termini precedenti – rappresenta il
tipo di incarnazione; l’amore – quel tipo d’amore- scinde il corpo dall’anima, e il cielo è la patria
delle anime.
4. Da’ be’ rami scendea,
dolce ne la memoria,
una pioggia di fior sovra ‘il suo grembo,
ed ella si sedea
umile in tanta gloria,
coverta già de l’amoroso nembo;
qual fior cadea sul lembo,
qual su le treccie bionde,
ch’oro forbito e perle
eran quel dì a vederle;
qual si posava in terra e qual su l’onde,
qual con vago errore
girando parea dir : “ qui regna Amore “.
Che tipo di amore qui regni è facile intuire. Ma possiamo anche esplicitarlo senza rompere, come
dire, la bellezza dell’incantesimo. Allora, dai rami scendeva una pioggia di fior che si disperdevano
un po’ dovunque. ecc. Domanda: è un amore che porta frutto? Non porta frutto, perché è un amore
che sfiorisce nella sua stessa bellezza.
5. Quante volte diss’io
allor pieno di spavento :
“ Costei per fermo nacque in paradiso! ”
Così carco d’oblio
Il divin portamento
E il volto e le parole e ‘l dolce riso
m’aveano, e sì diviso
da l’imagine vera,
ch’i’ dicea sospirando:
“ Qui come venn’io, o quando? “
credendo esser in ciel, non là dov’era.
Da indi in qua mi piace
Quest’erba sì ch’altrove non ho pace.
Fermiamoci ai primi versi: Quante volte diss’io ecc. Domanda: e dove poteva nascere l’anima se
sulla terra l’amor sui non è produttivo? E dove poteva nascere lui stesso nello sdoppiamento
prodotto dall’amore omosessuale se non in cielo?
6. Se tu avessi ornamenti quant’hai voglia,
poresti arditamente
uscir del bosco e gir infra la gente.
Se tu avessi – dice – ornamenti ecc. La domanda è retorica. O, forse ironica. Perché se l’amor sui
rende ignuda l’anima, aver voglia o una voglia continua non può non mettere sempre più a nudo la
propria anima. Può uscire dal bosco e gir infra la gente?
Marcello Caleo
Caro Direttore,
ho scritto questo pezzo, sperando di fare cosa gradita ai suoi lettori dal momento che si tratta – a
mio modo di vedere - di una “ novità “. Ma veda lei. Come giudichi lei se le mie cose tutte possono
interessare. Le lascio il numero del mio cellulare che, sbadatamente, l’altra volta ho dimenticato di
darle: 3489860799
Stia tranquillo che, se la sua riposta è negativa, non mi farò più vivo. Tanto cari auguri di buon
Natale. Felice di averla conosciuta.
Marcello Caleo