Il caso clinico ARMANDO VERDIGLIONE

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Il caso clinico ARMANDO VERDIGLIONE
IL SECONDO RINASCIMENTO
Ilcasoclinico
ARMANDO
VERDIGLIONE
Domenica, 9 febbraio 1997. Dall’equipe clinica n. 1
A. V. Vediamo tutto ciò che è rimasto in sospeso, nell’equipe svizzera.
Non diciamo “sospeso”, ma “in sospeso”, dal congresso La carta intellettuale, all’inizio di dicembre del 1994. C’era la decisione di tenere quel
congresso, ma si era posta la questione del pubblico. Certamente, senza
l’autorità non c’è neanche il pubblico. Da allora, che cosa è rimasto in
sospeso? Il libro di Claire-Lise Grandpierre e altri progetti editoriali, per
i quali erano stati acquisiti i diritti dalla casa editrice; la raccolta di scritti
clinici di cifrematica, tratti da varie riviste; tutto ciò che io avevo detto in
francese in Svizzera o all’equipe svizzera; gli Atti del congresso, di cui
abbiamo pubblicato alcuni estratti sulla rivista, in italiano; e la traduzione francese del Niccolò Machiavelli. Poi, restava da fare un catalogo della
collezione Bielutin, con una serie di scritti, da parte vostra e di storici
dell’arte, un volume importante anche per vendere le opere e, comunque, per il patrimonio.
Che cos’altro è rimasto in sospeso? L’Association chiffrématique
suisse Claire-Lise Grandpierre, con l’attuazione del suo programma.
Era stato redatto un budget dettagliato, nel ’94, che andava discusso con
l’interlocutore, e poi, affinato, precisato. Se viene soltanto consegnato,
non verrà letto. Quel budget andrebbe ripreso. Poi, resta il programma
finanziario, il programma intellettuale dell’Associazione cifrematica
svizzera Claire-Lise Grandpierre.
Si discuteva di dipartimenti a Ginevra, a Losanna e in altre città
svizzere. C’era l’ipotesi che una persona di voi avesse un dipartimento
nella propria città e uno in un’altra città. Ignoro se si sia avviato qualche
dipartimento di cifrematica a Ginevra, a Losanna, a Friburgo, a Neuchâtel.
I dipartimenti riguardano la formazione.
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Poi, resta la trascrizione delle equipe. Fa parte dell’esperienza: trascriverle significa studiarle, analizzarle e individuarne gli aspetti teorici,
pragmatici, clinici. Il 1993 e il 1994 hanno dato un materiale notevolissimo, nell’equipe svizzera.
È questo, mi pare, l’elenco globale delle cose rimaste in sospeso.
Sicuramente, ce ne sono altre: per esempio, indagare alla camera di
commercio italo-svizzera su quali siano le imprese e le banche svizzere
che operano in Italia e, in particolare, a Milano, e quali le banche e le
imprese italiane o di italiani che operano a Ginevra e a Losanna.
Occorreva fare un censimento.
È chiaro che proseguire comporta, anzitutto, la tripartizione. La
libreria viene dopo. C’è è la libreria virtuale che prosegue, senza i locali.
Come gestire la libreria virtuale? E poi, occorre verificare se c’è un libraio
che intenda associarsi per fare una libreria vera e propria. Ci vuole pure
chi abbia il mestiere di libraio. Voi non siete librai, siete lontani dal
mestiere di libraio. Ci vogliono anni di esperienza!
In termini di logica, prima ancora della libreria virtuale e della libreria
effettiva, occorre che ci sia la tripartizione, e che questa esperienza di
Losanna venga rilanciata. Altrimenti, i problemi sono enormi. L’esperienza di Losanna, avviata nel 1974 da Claire-Lise Grandpierre, è nuovissima, importantissima, per il modo che lei aveva trovato.
Ora, non ci sono stati, dopo, né l’autorità né la direzione né l’orientamento né il coordinamento per l’intera equipe svizzera, come invece
avveniva quando si tenevano le equipe a Milano, quando c’era la
tripartizione. Nel ’95 e nel ’96, c’è stato un deragliamento dovuto al fatto
di avere lasciato in sospeso.
Come proseguire? La questione che avevo posto il 17 maggio 1993
era: est-ce qu’il faut poursuivre? Bisogna proseguire? In effetti, la domanda era: che cosa bisogna fare proseguendo? Quali sono le cose che
bisogna fare secondo l’occorrenza?
Io posso venire a Losanna, a tenere un’equipe, ma bisogna che ci sia
la tripartizione, e che un’equipe si tenga anche a Milano, in modo che
vengano affrontate alcune questioni. Dev’essere una regola che ciascuno di coloro che interviene nell’esperienza di Losanna partecipi all’equipe,
perché è formativa, imprescindibile, essenziale per l’esperienza.
A me pare di avere toccato varie argomenti. Pascal Fossati, bonjour!
Ariane Schindelholz, vous êtes déjà venue, en novembre? Sébastien
Krauer, vuole riassumere quanto abbiamo detto finora?
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SÉBASTIEN KRAUER [Riassume, in francese]. Forse, c’è un’altra cosa
rimasta in sospeso, e è proprio qui che si situa il progetto di un’equipe
mensile, tenuta da Armando Verdiglione, a Losanna. Dicevamo dell’importanza che ciascuno di coloro che fanno parte dell’Associazione
svizzera intervenga, perché ci siano effetti clinici. E questa equipe non
può tenersi senza che anche a Milano ce ne sia una.
A. V. L’equipe che si tiene a Losanna verte intorno alla clinica.
FRANÇOIS KELLER Per quanto mi riguarda, c’è qualcosa da precisare
in relazione alla libreria: devo arrivare a integrare la libreria come un
elemento della pratica nel dipartimento. E poi, importano il movimento
tra Milano, Ginevra, Losanna, e gli appuntamenti come pretesti per la
formazione. Ancora, non siamo giunti a una vera provocazione, a
Ginevra. C’è il corso, ma ci vuole il pubblico. E occorre, forse, uno sforzo
di generosità intellettuale da parte nostra perché le cose che s’imparano
qui non restino tra noi, perché ci sia apertura alla città, perché a ciascuno
sia offerta l’occasione d’intraprendere l’itinerario.
FANCHETTE KUNZ Ultimamente, mi sono accorta che prepararmi
per il corso e, poi, tenerlo diventa un elemento di forza. Bisogna
proseguire.
A. V. Che cosa propone, Fanchette, un’equipe a Losanna e una a
Milano? Con quale frequenza?
F. K. Quindicinale.
A. V. Un’equipe quindicinale a Milano e una mensile a Losanna. Fino
a arrivare a una mia conferenza. Altre notazioni?
F. K. Mi auguro che facciamo tesoro dell’esperienza di questi ultimi
due anni e che se ne possano trarre i frutti.
A. V. Ecco, tutto ciò che è rimasto in sospeso attende di divenire frutto,
mira a divenirlo.
F. K. E si tratta d’intendere in che modo possiamo integrare nell’esperienza le difficoltà che abbiamo incontrato...
A. V. Anzitutto, non bisogna consacrarle! Grazie, Fanchette.
Allora, Enrica Ferri, Lei dice che Claire-Lise si è sbagliata, che io mi
sono sbagliato, che tutti ci siamo sbagliati e che Lei non era all’altezza?
ENRICA FERRI Non proprio, direi.
A. V. Ah, ecco. E allora, come proseguiamo?
E. F. Intanto, con una presenza assoluta a ciascun appuntamento.
A. V. E con un’assenza fuori dell’appuntamento! — assenza al
telefono, assenza per le vacanze, ecc.
E. F. La questione essenziale è arrivare al prodotto. Quel che è rimasto
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in sospeso è, ciascuna volta, il prodotto, il frutto del nostro lavoro. In
ogni caso, per risollevare, oggi, la questione economica e finanziaria non
c’è altro modo.
Una volta, in una conferenza, Lei parlava della prima volta in cui si
ottiene un credito. La prima volta funziona, perché c’è il nome: il nome
Verdiglione, il nome Grandpierre, il nome Spirali/Vel, il nome della
Fondazione.
A. V. E c’è il nome Enrica Ferri, suppongo?
E. F. Eh già! Ma è la seconda volta che ci si rende conto appieno della
difficoltà!
A. V. Perché, la prima volta non c’era Enrica Ferri?
E. F. Non so. Sì, forse...
A. V. La fiducia è nei confronti di chi firma. C’è un contesto, ma poi
è Lei che firma. La fiducia è rispetto a Lei, la prima volta. Che diviene
subito la seconda.
E. F. La questione è la seconda volta.
A. V. Allora, incominciamo.
E. F. Vorrei parlare di un giovane che si chiama M. R., di diciotto anni.
A. V. Da quanto tempo lo ricevete?
E. F. Da due anni.
A. V. Com’è arrivato all’equipe?
E. F. Al dipartimento di clinica?
A. V.Sì.
E. F. Ci è stato mandato dal tutore generale.
A. V. Chi?
E. F. Il suo tutore. Nell’ufficio del tutore generale, lavorano gli
assistenti sociali. Sono i rappresentanti legali di certe persone.
A. V. Ah, c’è l’ufficio del tutore generale. E dei suoi assistenti.
E. F.Sociali.
A. V. Con parecchi assistenti sociali. Ma è l’ufficio che ha mandato M.
R., o il tutore generale?
E. F. Gli assistenti sociali hanno il mandato…
A. V. Quindi, uno degli assistenti sociali vi ha mandato M. R.
E. F.Appunto.
A. V. E perché lo ha mandato da voi?
E. F. Non aveva altre possibilità, per ragioni di formazione e d’insegnamento.
S. K. Hanno saputo di noi vedendo il film di Catherine Scheuchzer.
A. V. Gli assistenti avevano visto il film. Dunque, questo era il
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pretesto. Ce n’erano altri, ma questo era uno dei pretesti. Ma perché dice
che non c’erano altre possibilità?
E. F. Perché M. R. aveva terminato la scuola dell’obbligo, ma non
aveva raggiunto un livello sufficiente, in francese, in matematica. Insomma, doveva trovare un altro itinerario.
A. V. Non ho capito. Aveva terminato la scuola dell’obbligo.
E. F.Sì.
A. V. Che termina a quale età?
E. F. A quindici anni. E era già in un’istituzione.
A. V. Era internato.
E. F. In un internato.
A. V. Era un’istituzione differenziale o un’istituzione “ordinaria”?
Un’istituzione per giovani con problemi…
E. F. Un’istituzione differenziale.
A. V. A Milano, vent’anni fa, si chiamavano scuole per anormali o
subnormali. Ho capito, non c’era altra soluzione per cui potesse stare in
un istituto e proseguire a fare il malato e lo studente. È così? E voi gli
avete offerto quest’opportunità. E così, viene a scuola da voi.
E. F. Non proprio a scuola, ha degli insegnanti che lo seguono.
A. V. Ma, alla fine dell’anno, c’è un esame.
E. F.No.
A. V. Sono corsi non riconosciuti dallo stato. Quindi, si tratta di
assicurargli una scolarità informale.
E. F. Perché possa giungere, un giorno o l’altro…
A. V. Alla scuola ordinaria…
E. F. No, non penso. Perché abbia almeno le basi essenziali per
incominciare una formazione.
A. V. Per lavorare.
E. F. Lui vuole fare il taglialegna.
A. V. Il taglialegna. Allora, M. R. è con voi da due anni. Suo padre e
sua madre?
E. F. È stato tolto alla famiglia quando aveva quattro anni, perché suo
padre lo picchiava. Picchiava la moglie e i figli.
A. V. Quindi, è un padre senza autorità.
E. F. No, nessuna.
A. V. È senz’autorità, ma con severità manesca. Chi gli dà lezione e in
quali materie?
E. F. Lezioni di francese…
A. V. Corsi concernenti il giardino, il bosco?
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E. F. No, lezioni di francese e di matematica. Non siamo noi a dargli
lezione, è una signora anziana, con molta esperienza.
A. V. Più forte di voi in matematica e francese!
E. F. Di me, senz’altro!
A. V. E poi?
E. F. La mamma ha già avuto a che fare con la psichiatria e, in seguito
alla separazione dal marito, ha trovato un altro uomo…
A. V. La picchiava anche lui.
E. F. No, ma ha abusato della figlia nata dal primo matrimonio e del
secondo figlio. È una storia complicata…
A. V. Lei è abbastanza imbarazzata. Allora, questo secondo marito…
E. F. Non lo è ancora, ma presto lo sarà.
A. V. Sarà marito?
E. F. Lo sarà presto. Insomma, il suo amico, il fidanzato: si sono
fidanzati…
A. V. Allora, il fidanzato di questa signora avrebbe approfittato,
abusato della sorella di M. R.
E. F. Della sorella e del fratellastro di M. R.
A. V. E del fratellastro di M. R., che è figlio di sua madre…
E. F. ... e di questo secondo amante. Del suo amico.
A. V. Questa signora sceglie bene gli uomini! È una signora fortunata.
E come se non bastasse, se lo sposa. Formidabile. È lei a avere una forza
enorme, terribile, è lei la protagonista.
E. F. È stata accusata di complicità...
A. V. È il minimo che si possa dire! D’accordo, questo sul piano
giudiziario, ma, a parte il piano giudiziario, ha scelto bene i suoi uomini.
Il primo ha esagerato, comunque.
E. F. Il primo marito, sì. Poi si è risposato, ha avuto altri due figli. Uno
dei due, lo ha praticamente picchiato a morte. Quindi, è andato anche
oltre.
A. V. Lo ha picchiato a morte.
E. F. Lo hanno salvato in extremis, ma è rimasto handicappato a vita.
A. V. E questo padre dov’è ora?
E. F. In uno studio, a Morges, vicino Losanna.
A. V. In uno studio?
E. F. Sì, abita lì.
A. V. Ci abita?
E. F. Non è stato nemmeno in prigione.
A. V. Non è stato nemmeno in prigione.
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E. F. No. Ha avuto una pena psichiatrica.
A. V. Ah, è stato considerato incapace.
Così, questa signora, non contenta, si è presa un altro uomo. Ora è
soddisfatta di quest’uomo e vuole sposarlo.
E. F. Contentissima.
A. V. Neppure lui è in prigione?
E. F. No, anche a lui hanno inflitto una pena psichiatrica.
A. V. La Svizzera è un ospedale psichiatrico! Per colpa di Jung, di
Bachofen, di Calvino, fra gli altri. La società italiana è terribile, certo. Ma,
in Italia, il primo padre sarebbe in carcere, il secondo pure, e anche la
madre. Sopra tutto negli anni novanta, sarebbero tutti in prigione. In
Italia, il discorso giudiziario penale è più forte del discorso giudiziario
psichiatrico.
E. F. Anche la madre è stata violentata dal proprio padre. E il fratello
della madre, lo zio, ha abusato di M. R.
A. V. C’è tutta una genealogia che passa attraverso l’assassinio e
l’incesto. Come potrà sfuggire, M. R., a questa genealogia?
Anzitutto, occorre ritrovare tutto ciò come fantasma materno nel suo
discorso. Sarebbe già una conquista. Ritrovare tutta quella gente come
animali fantastici sarebbe una prima conquista. Poi, occorre analizzare
il fantasma materno e l’animale fantastico. Leonardo fa la stessa cosa con
la zoologia fantastica; Machiavelli pure, con la zoologia fantastica e
politica.
Prima cosa, non assumere i disastri. Sono queste rappresentazioni
che giungono al disastro. Bisogna instaurare le condizioni perché egli
parli, racconti, esplori, cerchi, faccia. Occorrono dispositivi narrativi,
dispositivi pragmatici, dispositivi di racconto, dispositivi di lettura.
M. R. vuole fare il taglialegna. È evidente che tagliare il legno rientra
in questo. L’albero o è la figura del due o è la genealogia. Tagliare il legno
è questo. O abbatterlo. Se il bosco è secco, se il bosco è morto, bisogna
tagliarlo. Tagliare quel che c’è di troppo. Qui, c’è tutta una serie di cose
da esplorare. Voi non potete semplicemente delegare lo stage. C’è un
enorme materiale di elaborazione. Dovete studiarvi i libri di botanica! E
quelli che trattano del taglio degli alberi: perché tagliare un albero, come
tenere un giardino, e così via.
C’è chi ha il fantasma di tagliare la pietra: bisogna studiarlo. Jean
Oury raccontava che ci sono professionisti, in Francia, che si riuniscono
e stanno a lungo dinanzi a un muro di roccia, per capire come tagliare la
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pietra. A Venezia, c’è un monumento fatto dai tagliapietre.
Il taglialegna. La radice, le radici. Bisogna che questo sia interessante
per voi, come caso, che vi ponga questioni intellettuali; allora, potete
intervenire. Altrimenti, come potreste intervenire? Che cosa può fare lo
psichiatra? Dà lo psicofarmaco, pone costrizioni. Invece, occorrono
differenti dispositivi.
È un caso su cui tenere equipe, ma anche un’elaborazione. Anche
l’insegnante di matematica e l’insegnante di francese devono essere
bene istruite sulla questione. Chi insegna francese, per esempio, insegna
anche un po’ di letteratura francese, dove interviene spesso la questione
dell’albero e dell’araldica a proposito dell’albero.
In Leonardo da Vinci, c’è la palma, accanto alla fenice. Esiste un’ampia letteratura, cui ho accennato nel mio libro. Ho citato autori francesi
che parlano degli alberi. Occorrono gli alberi e gli animali, è importante
per l’elaborazione.
Come lo picchiava il papà? Con le mani o con un bastone?
E. F. Non so...
A. V. Come, non lo sa? È essenziale. Sono domande da porre nella
conversazione. Per questo, dico che occorre un interesse intellettuale,
indispensabile da parte dello psicanalista, del cifrante. Come può intervenire, altrimenti?
Questo, per incominciare. Non abbiamo esaurito la questione.
Pascal Fossati, venga. Mi rallegro che Lei sia qui.
PASCAL FOSSATI Sono favorevole all’equipe. Si tratta di vedere
come coinvolgere gli uni e gli altri in modo intelligente, senza creare
opposizioni o chiusure.
A. V. Opposizioni e chiusure. Se opposizioni e chiusure si cristallizzano significa che trionfa il familiarismo. Il familiarismo è sordido. Non
ha niente a che vedere con la famiglia.
P. F. O la familiarità.
A. V. Anche questo si tratta di analizzare. Lei pensa che l’equipe che
veniva a Milano nel ’93 e nel ’94 abbia approfittato di Lei?
P. F. Di noi?
A. V. No, di Lei, Pascal. Della Sua bontà, della Sua gentilezza.
P. F. C’è stato un tempo in cui ho pensato che ci sono stati errori e che
era difficile farsi capire...
A. V. Erano duri, duri d’orecchie, non intendevano! Esercitavano la
chiusura contro di Lei. È una questione.
P. F. Erano protesi verso qualcosa che sembrava un obiettivo da
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raggiungere.
A. V. Hanno lasciato cadere l’obiettivo, per un certo periodo. Cadere
o perdere. Siamo qui proprio per riprendere l’itinerario.
Cosa dice della presidenza di Enrica Ferri? È interessante com’era
quella di Claire-Lise Grandpierre?
P. F. C’è una differenza, che all’epoca di Claire-Lise non esisteva
l’Association chiffrématique suisse. La posta in gioco era interamente
dell’Association Le chiffre de la parole.
A. V. Ho capito. L’Association chiffrématique suisse riguarda sopra
tutto le conferenze e il congresso di Ginevra, la libreria. Quindi, hanno
cercato di far portare a Lei il peso dell’Associazione, se ho ben capito. Sta
dicendo questo...
P. F. No. Le cose si sono cristallizzate, a un certo punto, in una specie
di opposizione, ma non so neppure io come sia accaduto.
A. V. Hanno fatto opposizione.
P. F. Ci sono state opposizioni. C’erano quelli che investivano nella
formazione e quelli che non investivano. Si sentivano termini come “i
superintervenienti”...
A. V. Mi ricordo. Il fatto di venire a Milano, di far parte dell’Association
chiffrématique suisse era diventato quasi un segno, un segno dei
“superintervenienti”, che esigevano, per questo, rispetto e devozione!
Quindi, c’era un po’ di arroganza?
P. F. C’era anche questo aspetto.
A. V. Me n’ero accorto, e ne avevo orrore. E sono sempre stato dalla
Sua parte!
L’esigenza di un’equipe a Losanna è sentita da Lei?
P. F. Anzitutto, è una domanda di Enrica Ferri connessa alla responsabilità che ha assunto nella struttura.
A. V. Come presidente dell’Associazione.
P. F. Una responsabilità che ha preso nel momento in cui riceve
alcune persone nell’ambito della nostra struttura.
A. V. Certo, è stata Enrica a proporre l’equipe. Ma Lei non pensa di
trarne qualche profitto intellettuale?
P. F. Assolutamente sì. Per esempio, nei confronti di M. R. ci vorrebbe
uno slancio che non è sempre facile trovare.
A. V. Questo può avvenire nell’equipe clinica. Perciò, occorre distinguere fra l’equipe che si tiene a Milano, quindicinalmente, che concerne
le varie cose rimaste in sospeso e sulla via di divenire prodotti, di
divenire cifra, e l’equipe mensile, strettamente clinica, da tenere a
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Losanna.
Lei è d’accordo, Pascal, che siano presenti tutti coloro che intervengono nell’esperienza di Losanna?
P. F. Sì, sono d’accordo.
A. V. Non che debba essere una regola, ma un’esigenza, questo sì, di
ciascuno per intendere la portata della propria esperienza.
P. F. Per incominciare, occorrono le condizioni perché sia posta come
esigenza.
A. V. Certamente. Sta proseguendo a dipingere?
P. F. A disegnare.
A. V. E è proprio sicuro che non visiterò mai il Suo atelier?
P. F. Per il momento, abbastanza sicuro.
A. V. Venga qui, Ariane. Quanti anni ha?
ARIANE SCHINDELHOLZ Ventiquattro.
A. V. E la mamma?
A. S. Sessantaquattro.
A. V. Lei è l’ultima.
A. S. Sì.
A. V. E prima di Lei, quanti ce ne sono?
A. S. Una.
A. V. È la seconda e l’ultima.
A. S. Sì.
A. V. E Suo papà?
A. S. Ha sessantacinque anni.
A. V. Sono entrambi in pensione. Che lavoro fa la sorella?
A. S. L’infermiera.
A. V. Come ha incontrato l’equipe?
A. S. Attraverso un amico, che ci lavora saltuariamente, un italobrasiliano. Così sono venuta qui, per uno stage di due mesi.
A. V. Che studi ha fatto?
A. S. Sto prendendo il diploma in psicologia.
A. V. E presenterà una tesi?
A. S. Si tratta di una ricerca.
A. V. Che si concluderà con un testo.
A. S. Sì, con una memoria.
A. V. Come trova il mio amico Pascal Fossati?
A. S. Sono qui da appena sei mesi, sto ancora tastando il terreno,
cercando di capire...
A. V. Ma come trova il terreno?
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A. S. È un terreno... È la mia prima esperienza pratica, quindi, è un po’
difficile.
A. V. È un terreno che si trova nella parola oppure, qua e là, è senza
parola? È un terreno melmoso?
A. S. Vuole dire arido?
A. V. Melmoso.
A. S. Avevo fatto un piccolo stage, con un’altra associazione; francamente...
A. V. Quando qualcuno le dice “bisogna che Le parli francamente”,
costui sta parlando nella propria lingua: dice fesserie, cose inelaborate.
Ogni volta che qualcuno Le dice “bisogna che Le parli francamente”, sta
dicendoLe cose cattive; evita la questione intellettuale, evita di parlare
nell’altra lingua e d’intendere nella propria lingua, e ci mette del suo.
Comunque, occorre che in questa equipe Lei trovi una formazione e
un vero itinerario. È essenziale. Occorre che questa equipe assicuri a
ciascuno di coloro che intervengono le condizioni dell’itinerario intellettuale. Perché, dopo sei mesi, una ragazza come Lei, intelligente e gentile,
non debba dire “sto tastando il terreno” e si accorga, invece, che si tratta
di un terreno assolutamente intellettuale, che sta nella parola! E che
nulla sia lasciato perdere, come se fosse estraneo alla parola. Tutto quello
che interviene nell’esperienza è da riprendere e da elaborare come
iscritto nell’esperienza originaria. Sono indispensabili le letture.
A. S. Ce ne sono.
A. V. Legge in francese, in tedesco, in inglese?
A. S. In francese.
A. V. Devono esserci le condizioni perché Lei possa trovare il Suo
itinerario. Ha un avvenire dinanzi!
A. S. Per questo, ci vuole molto tempo.
A. V. Sì, ma dipende da questi nostri amici dell’equipe se Lei ci mette
tanto tempo...
A. S. Forse dipende anche dai dubbi.
A. V. Dubitano di Lei?
A. S. Non loro, sono io che ho molti dubbi!
A. V. Ma questo va bene, se La spinge a enunciare alcune questioni.
Questi dubbi vanno enunciati attraverso domande e questioni. E i nostri
amici devono giungere a intervenire, elaborando e rilanciando queste
domande, indicando la traccia di una risposta che Lei stessa troverà. È
molto urgente. È la seconda volta che c’incontriamo e mi sembra
assolutamente indispensabile che Lei trovi il Suo itinerario.
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A. S. Mi vengono date alcune risposte, ma spesso sono difficili...
A. V. Quando non capisce una cosa, Lei dica a che cosa la fa pensare...
A. S. Termini come “sembiante”, per esempio...
A. V. Sono termini da non dare mai per scontati o automatici; entrano
nell’elaborazione, non devono costituire un impedimento.
Sono contento che Lei sia venuta a Milano e che si trovi in questa
esperienza. È venuta volentieri?
A. S. Sono venuta volentieri!
Trascrizione di Sébastien Krauer.
Traduzione dal francese di Alessandro Atti, a cura di Cristina Frua De Angeli.
Domenica, 2 marzo 1997. Dall’equipe clinica n. 2
FANCHETTE KUNZ Vorrei parlare di una giovane donna, che abbiamo accolto a Losanna.
A. V. Quanti anni ha?
F. K. Ventinove.
A. V. Da quanto tempo è lì?
F. K. Da tredici anni.
A. V. Dall’84. È di Losanna?
F. K. No, viene dalla Colombia.
A. V. Se ho capito bene, avete molte persone provenienti dalla
Colombia, dal Kossovo, dalla Spagna, da tante regioni del pianeta, e
tutte sono in trattamento in Svizzera! Questa ragazza viene dalla Colombia, ma, in effetti, viene dall’ospedale?
F. K. È stata mandata da noi dalla tutrice.
A. V. La tutrice ve l’ha affidata. La tutrice rappresenta un’istituzione?
F. K. Fa parte dell’organizzazione “Terre des Hommes”.
A. V. Terra degli uomini. E anche delle donne, o no?
F. K. Si chiama così, ma si occupa anche dei bambini.
A. V. Ah, la “Terra degli uomini”, dove le donne si occupano dei
bambini. Perfetto! È arrivata sola o con i genitori?
F. K. A sei anni è arrivata dalla Colombia accompagnata dalla tutrice
o da qualcuno di questa organizzazione, non ricordo.
A. V. Dunque, la tutrice non si accontenta di trattare la gente che
arriva in Svizzera, ma va addirittura a cercarla nelle varie regioni del
pianeta! Che compito orribile! L’ha portata via dalla famiglia colombiana...
F. K. No, si trovava già in un istituto.
A. V. Quindi, l’istituto colombiano l’ha ceduta volentieri alla tutrice
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che l’ha portata in Svizzera per occuparsi di lei.
F. K. No, perché fosse adottata.
A. V. Ah, ecco, l’ha portata a qualcuno che, preso da spirito altruistico,
l’adottasse per ragioni umanitarie.
F. K. A una famiglia che voleva un bambino.
A. V. Ma, una volta arrivata in Svizzera, evidentemente, non è stata
adottata, è stata trattata.
F. K. Non subito…
A. V. Ma, poi, ha finito per essere trattata. In Svizzera, bisogna andare
e tornare, non restarci! A che età ha incominciato a essere trattata, la
bambina?
F. K. Aveva otto anni quando ha lasciato la famiglia che avrebbe
dovuto adottarla.
A. V. Questa nuova famiglia credeva di avere a che fare non con una
bambina di sei anni, ma con una ragazza di ventidue, già ben formata,
e che, quindi, non ci fosse bisogno di educarla. E, quando si sono accorti
che si trattava di tutt’altro e di tutt’altro che di una figlia, l’hanno sentita
come straniera e l’hanno respinta; così, lei ha incominciato a essere
respinta da tutti. La tutrice non ha ottenuto il risultato che si era proposto
e, tuttavia, ha continuato a occuparsi di lei.
F. K. L’arrivo della bambina nella nuova famiglia ha acuito i contrasti
che esistevano già prima...
A. V. Non solo non hanno adottato la bambina, ma hanno divorziato.
E la tutrice è rimasta la stessa. È tutrice anche di altre ragazze?
F. K.Sì.
A. V. È la sua professione; non è nominata dalla famiglia, ma dall’istituzione. E così, la ragazza è andata a scuola. Anche qui, era sentita come
straniera…
F. K. Ogni due anni, cambiava scuola.
A. V. Gli svizzeri, considerandola malata, l’hanno affidata all’ospedale, agli psichiatri e, infine, la tutrice l’ha affidata a voi. A quattordici anni
era già all’ospedale. Bel risultato! Dopo otto anni in Svizzera — all’ospedale!
F. K. Lei non poteva accettarlo.
A. V. Ma perché, quando la nuova famiglia l’ha respinta, la tutrice non
l’ha riportata in Colombia? Sarebbe stato un gesto. Perché non l’ha
adottata lei stessa?
F. K. All’inizio, mi sembra che non fosse lei la tutrice. Non fu lei a
25
IL SECONDO RINASCIMENTO
averla portata in Svizzera...
A. V. Ah, ma questo è fondamentale! Sono dettagli importantissimi,
su cui occorre essere molto precisi. Lo statuto di questa tutrice è fondamentale. Lei ha parlato con questa tutrice? Ha costituito un dispositivo
con lei? Oppure vi ha affidato questa giovane donna, così?
F. K. No, c’era un dispositivo già con Claire-Lise Grandpierre. All’inizio, la ragazza attaccava le persone dell’equipe.
A. V. È il minimo che potesse accadere! Che cosa doveva fare? Per dire
che lei esisteva, da qualche parte, e che c’era la parola che non poteva
essere dominata, attaccava.
F. K. C’era stata una prima elaborazione, con Claire-Lise Grandpierre,
per predisporre un dispositivo. Erano emersi molti elementi concernenti le donne… C’era tutto un lavoro per sfuggire ai suoi attacchi. Bisognava non prestarsi ai suoi attacchi, quando, per esempio, si trovava in
cucina con qualcuno di noi, bisognava sottrarsi.
A. V. D’accordo. E perché non fare in modo che enunciasse, raccontasse, indicasse l’attacco? Dovevate sottrarvi all’attacco, d’accordo, ma
perché evitare che lei enunciasse gli attacchi? Dovevate sottrarvi alle
rappresentazioni degli attacchi, ma non all’enunciazione degli attacchi,
perché doveva ben farla, questa enunciazione! Si trattava d’instaurare
dispositivi che le consentissero di enunciare gli attacchi.
F. K. Era difficile, perché c’è stato un periodo in cui non parlava molto,
non riusciva a ricordare...
A. V. Ricordare cosa? Non si tratta di ricordare! Gli attacchi erano
rivolti a voi, non c’era proprio niente da ricordare. Apparentemente,
attaccava voi, e, quindi, bisognava che enunciasse qualcosa rispetto a
voi. Non si tratta di questioni personali; ecco dove sta a Lei intervenire,
in modo che ogni personalismo sia dissipato. Non bisogna affatto
cercare il ricordo.
F. K. La questione è anche che, ora, rivolge le cose contro se stessa.
S’insulta, urla...
A. V. Non so se Lei abbia davvero colto quanto diceva Claire-Lise, che
occorreva sottrarsi agli attacchi. Sottrarsi alla rappresentazione degli
attacchi è una cosa, sottrarsi agli attacchi è un’altra cosa! Occorre non
prestarsi alle rappresentazioni degli attacchi, certo, e quindi instaurare
dispositivi per cui gli attacchi si enuncino. Se questa giovane donna non
ha la libertà di enunciare gli attacchi, a un certo punto, si rivolterà contro
di voi e, poi, contro se stessa. La domanda è questa: avete instaurato
dispositivi efficaci per dissipare la rappresentazione degli attacchi? La
26
IL SECONDO RINASCIMENTO
questione è tutta qui.
Crede forse di conoscervi, crede di sapere quali saranno le vostre
reazioni, crede che ogni vostro gesto sia automatico? Pensa, forse, che,
qualunque sia il suo attacco, da parte vostra non ci sarà parola, non ci
sarà interlocuzione? In altri termini, come vi sottraete al trattamento?
Ecco la vera questione: come Lei, Fanchette, sfugge alla tentazione di
trattarla. Non bisogna assolutamente che questa ragazza sia trattata. Se
voi la trattate, rispondete con una rappresentazione alle sue rappresentazioni degli attacchi.
Ma mi occorrono molti altri elementi. Perché Lei è tanto riservata su
questo caso? Quali sono le implicazioni per Lei? Quali sono le implicazioni soggettive, i fantasmi, le idee che Lei ha intorno a questo caso e che,
evidentemente, costituiscono uno sbarramento? Soltanto attraverso
l’analisi del fantasma materno che Lei stessa ha rispetto a questo caso
può intervenire. Nessun dispositivo può instaurarsi se Lei stessa si trova
in una rappresentazione fantasmatica. Comunque, è molto gentile a
dirmi tutto questo.
F. K. Anche Lei!
A. V. Il problema non è che questa giovane donna, dopo tredici anni,
si trovi ancora lì, con voi, dipende da come si trova lì. Potrebbe essere la
vicepresidente dell’Association Le chiffre de la parole, potrebbe trovarsi
lì con questo statuto, invece si trova lì ancora come “male accolta”, se si
potesse dir così. Teoricamente, voi rifiutate le rappresentazioni degli
attacchi della ragazza; praticamente, voi le consacrate. Ogni rifiuto rientra
nell’accettazione mentale del fantasma materno, quindi della rappresentazione degli attacchi.
Questa distinzione tra coloro che intervengono (che accolgono) e
coloro che sono accolti nella vostra struttura a Losanna in nessun modo
deve risultare una distinzione tra attante sociale e paziente (attante era
il termine di Greymas: attante sociale, medico, assistente o rappresentante di una categoria professionale o sociale). Proprio per questo,
occorre il dispositivo, che s’instaura quando questa distinzione tra chi
accoglie e chi è accolto non è più la distinzione tra attante sociale e
paziente. Quello che le sto dicendo è radicale!
Qual è il problema delle scuole materne? Che i bambini sono trattati,
e sono trattati da donne insegnanti, cioè da una congregazione di madri!
Già accade, di solito, che i bambini siano trattati come bambini, cioè che
siano presi in una scena sociale, in una genealogia sociale e politica.
Quando poi c’è l’insegnante, bambino e insegnante formano un animale
27
IL SECONDO RINASCIMENTO
fantastico anfibologico.
Occorre che voi riusciate a instaurare un dispositivo — il dispositivo
non è due, non è anfibologico, non fa dicotomia. Ripeto, la dicotomia
insegnante-bambino rappresenta l’Altro nel due. È zoopedagogia, cioè
pedagogia sostenuta dalla zoologia fantastica.
Maestro-allievo non è attribuibile al due, ma è dispositivo. Amiconemico, invece, non è dispositivo, ma è modo del due, è ossimoro.
Cifrante-cifratore è dispositivo, ma psicanalista-paziente non è dispositivo: è questo l’apporto di Michel Foucault, che occorre leggere e
analizzare. Lui stesso non si è nemmeno reso conto di questo suo
apporto, intento com’era a fantasmatizzare, a immaginare il sistema di
potere. Verso la fine, si è accorto che non c’era sistema, ma solo negli
ultimi due libri, i migliori, scritti quando era già malato di Aids.
Glucksmann ha colto l’aspetto più gnostico di Michel Foucault, quello di
Nascita della clinica, di Storia della follia, di Archeologia del sapere.
ALESSANDRO ATTI È venuta qui, nella Villa San Carlo Borromeo, la
ragazza colombiana di cui parla Fanchette, e ha trovato qualcosa, come
ciascuno di coloro che sono venuti qui; per esempio, ha iniziato una dieta
dimagrante. Venendo agli appuntamenti qui, ciascuna volta ci tiene a
dire che sta seguendo la dieta.
A. V. È importante che, quando le persone vengono qui, ci siano
dispositivi. Il pretesto perché vengano qui è che ci sono delle cose da fare,
ma occorre che s’instaurino dispositivi clinici, pragmatici, intellettuali:
in altre parole, che non ci sia nessun trattamento. Anche la dieta è un
dispositivo intellettuale.
Se dico che Alessandro Atti è “direttore amministrativo”, per esempio, non è un’ontologia, non è l’essere, non è il nome funzionale. È uno
statuto nel dispositivo (e il dispositivo è secondo la logica funzionale).
Se, invece, lo indichiamo lungo una ricerca, allora “direttore amministrativo” è funzione di significante.
Invece, quando diciamo che lo psicanalista occupa la posizione di sembiante, “posizione” è maschera — la forma, la posizione, il ruolo, ovvero
la maschera (quella che sant’Agostino chiama la forma di Dio, la forma di
servo). In altre parole, l’indice dell’alterità irrappresentabile, irrecuperabile dell’immagine. Si tratta, per esempio, dell’alterità che c’è nel
teatro e nella teoria.
La posizione di sembiante non è il sembiante. Lo psicanalista non può
credersi il sembiante! Ma, dicendo che lo psicanalista occupa la posizione di sembiante, diciamo soltanto lo psicanalista come maschera — non
28
IL SECONDO RINASCIMENTO
è gran che, ma occorre pure che ci sia, nella sembianza. Per chi si trova
nella posizione di psicanalista, bisogna pure che esista il sembiante, che
anche per lui s’instauri l’identificazione del sembiante (o con il sembiante). Il sembiante è la condizione stessa del fatto che egli occupi la
posizione di sembiante. Ripeto, la posizione di sembiante non è il
sembiante, e lo psicanalista non è il sembiante. Altrimenti, prenderebbe
il posto del sembiante e lo prenderebbe, appunto, come fantasma
materno, quindi per una specularità, per una disciplinarità, per una
significabilità.
Sentiamo Enrica Ferri.
ENRICA FERRI È a proposito di un uomo di ventisei anni.
A. V. È accolto nella vostra associazione?
E. F. No, lavora lì, trenta ore alla settimana. Dal 1992.
A. V. Tutto concentrato in tre giorni?
E. F. In quattro giorni e mezzo. La notte non si conta.
A. V. Già sei anni. Che studi ha fatto?
E. F. Filosofia, psicologia, linguistica. Sta per concludere l’università.
A. V. Perché, in Svizzera, la gente ci mette tanto tempo per concludere
gli studi?
E. F. Si può sempre chiedere una proroga.
A. V. Come per il servizio militare! Funziona per tranche.
E. F.Sì!
A. V. Lei dice che, in Svizzera, anche l’università è gestita come
un’economia patologica...
E. F. C’è questo aspetto.
A. V. ... dove la conclusione è sempre respinta.
E. F. Lui concluderà tra quindici giorni.
A. V. L’ho incontrato?
E. F.Sì.
A. V. Come si chiama?
E. F.F.
A. V. Ah, il caso di F.!
E. F. Sì, la questione è come può riprendere l’analisi.
A. V. Bene. Ora, però, dato che lei mi ha detto che si tratta di F., la cosa
cambia, perché potrei avere elementi diretti.
E. F.Sì.
A. V. La questione è che riprenda le conversazioni, la tripartizione.
Introduco, comunque, un elemento: aveva il panico di parlare in pubblico. Non la paura, il panico. Si è cancellato da Milano, per non incontrare
29
IL SECONDO RINASCIMENTO
il panico.
Il panico del pubblico si enuncia anche come panico dei soldi. È esattamente
lo stesso panico! Lei dice: si laurea e può riprendere le conversazioni. Ma
Lei, Enrica, si augura che lui riprenda le conversazioni? Lei ha deciso che
lui riprenda le conversazioni?
E. F. Sì, da giovedì. Da tre giorni.
A. V. Che cosa è accaduto giovedì?
E. F. C’è stato un incontro di analisi. Effettivamente, c’è stato qualcosa
del panico, per cui si è messo a parlare.
A. V. Che cosa vi siete detti, vi siete incontrati, l’ha invitato Lei a
parlare?
E. F. No no, ci siamo incontrati così...
A. V. Ma come, in corridoio?
E. F.Ecco!
A. V. Ah, sì, Suo malgrado, allora!
E. F. Mio malgrado.
A. V. Aaaaah! Per questo Le ho chiesto se Lei avesse deciso.
Tre anni fa, non Le ho detto forse che Lei lo aveva abbandonato? Ha
abbandonato Fontana, Perrot, ha abbandonato la giovane Del Menico.
Insomma, come dice Fanchette tra le righe, Lei ha la responsabilità
rispetto a coloro che vengono accolti, ma non rispetto a coloro che
accolgono... In un primo tempo, hanno incominciato a non venire più a
Milano; poi, non sono più venuti da Lei.
E dire che Lei aveva proposto F. come presidente dell’Associazione!
Qual era il fantasma? Fortunatamente, non è stato eletto presidente:
sarebbe già morto, simbolicamente. M’interrogo quale fosse il fantasma,
perché è proprio questo fantasma che è intervenuto dopo. E che ha fatto
sì che F. non avesse altra chance che sospendere con Lei, sospendere la
formazione a Milano e proseguire con l’equipe di Losanna, come salariato. Non aveva altra possibilità che quella di sospendere da una parte e
di proseguire dall’altra. Ma perché ha sospeso, perché ha interrotto? A
causa di quel fantasma, che Lei ha avuto, che lui fosse eletto presidente.
Ma per arrivare a dirlo... Solo se Lei fa l’analisi di questo fantasma
materno, F. può riprendere le conversazioni con Lei. Ma questo concerne il Suo discorso, Enrica.
Per essere discreto, non posso insistere, ma i termini ci sono per
affrontare la questione.
Ci sono elementi interessanti, che dice Elisabetta Costa? Anche
nell’esperienza di un avvocato ci sono elementi clinici interessanti, che,
30
IL SECONDO RINASCIMENTO
se elusi, portano a dare consigli pazzeschi. A volte, l’avvocato crede che
quando va peggio va meglio, ma non è così, è una vista corta, basata sul
trattamento del cliente.
Trascrizione di Alessandro Atti, a cura di Cristina Frua De Angeli.
Domenica, 9 marzo 1997. Dall’equipe clinica n. 4
A. V. Incominciamo l’equipe. G. N., ha un caso da proporre?
G. N. Io accetto il Suo invito, anche se...
A. V. Lo accoglie, perché non c’è niente da accettare, noi non disponiamo nemmeno dell’accetta!
G. N. ... anche se non so di quale caso parlare. Forse, potrebbe essere
interessante proseguire con le cose cui ho accennato stamattina, nella
narrazione. Per quanto riguarda la conversazione, in questo momento
ho interrotto, se si può dire così.
A. V. In quale anno Lei ha incontrato il dottor G. T.?
G. N. Il mio percorso con il dottor T. è stato molto frastagliato e
variegato. È incominciato nel 1992, nel mese di maggio o di giugno.
A. V. Non sa se sia proprio maggio o giugno.
G. N. Non ricordo con precisione.
A. V. O in maggio o in giugno. E qual’è stata l’occasione del primo
incontro?
G. N. In maggio, o in giugno, c’è stata la decisione d’intraprendere
l’analisi. Il primo incontro con il dottor T. è avvenuto nel febbraio dello
stesso anno.
A. V. Il primo incontro, quindi, è avvenuto nel febbraio del 1992,
quando il dottor T. ha tenuto una conferenza...
G. N. Ha tenuto un corso su Il tempo e la parola.
A. V. Non il tempo della parola, ma il tempo e la parola.
G. N. No, forse era Il tempo della parola.
A. V. E Lei ha frequentato il corso per intero o soltanto una conferenza?
G. N. Più di una lezione.
A. V. E avvenivano in una libreria?
G. N. In una sala pubblica che l’Associazione aveva preso in affitto.
A. V. Lei è andata lì per alcune conferenze, e si è intrattenuta, dopo le
conferenze, a parlare con il dottor T....
G. N. No.
31
IL SECONDO RINASCIMENTO
A. V. Ha parlato con alcune persone che andavano da lui.
G. N. Lei mi chiede quale sia stato lo stimolo per cui sono andata alla
conferenza? Conoscevo alcune persone.
A. V. E poi, qual è stato il passo ulteriore?
G. N. C’era stato un invito da parte di alcuni amici a partecipare...
A. V. Quindi, Lei è andata a trovare il dottor T. perché altri andavano
a trovarlo.
G. N. Non proprio. Certamente, altri mi hanno fornito testimonianze.
C’era una mia curiosità, dal corso avevo tratto elementi. C’è un aspetto
del dottor T. che m’incuriosisce e, nello stesso tempo, potrei dire anche
mi spaventa, e è lo stile estremamente provocatorio. C’era una provocazione intellettuale, ma anche una provocazione... non saprei come
definirla. Per esempio, un aspetto che ha subito caratterizzato il mio
impatto con il professor T. è che, durante queste conferenze, mentre io
le seguivo con atteggiamento fra l’estasiato e il meravigliato, mi ha detto:
“È vero che le cose non sono bianche o nere, come sicuramente Lei vede
la realtà?”. Una cosa che non è assolutamente vera!
A. V. Per Lei, è variopinta.
G. N. Per me, i grigi sono infiniti!
A. V. C’è una gamma infinita di grigiore, no? I grigi sono infiniti, ma
gli altri colori no, sono finiti.
G. N. Può essere!
A. V. Può essere, ma non è. Meglio non dare troppa soddisfazione.
G. N. La domanda per cui ho interpellato il professor T. concerneva
quella che io avvertivo come la mia difficoltà di essere madre.
A. V. Essere madre, fare la madre, divenire madre?
G. N. Io l’avvertivo come difficoltà di essere madre, e poi le difficoltà
di relazione con il padre di mia figlia.
A. V. La relazione con il padre di Sua figlia...
G. N. Devo dire le cose come stanno...
A. V. Questa relazione con il padre di Sua figlia è posteriore al fatto
che lui è divenuto il padre della figlia?
G. N. [Ride] La difficoltà è intervenuta quando è diventato padre.
Insomma, c’era un padre con cui c’erano difficoltà, adesso non sappiamo
quale sia.
A. V. Ah, ecco. C’era un altro padre, allora.
G. N. Sì, che si è comunque ben rappresentato con il padre di mia figlia
E.
A. V. Insomma, Lei dice che se l’è fabbricato apposta! Prima si è
32
IL SECONDO RINASCIMENTO
fabbricato il padre di E., poi ha incominciato la relazione con questo
padre di E., per gestire la difficoltà con il padre. Così? Beh, sembra un po’
troppo facile. Insomma, la storia è lunghissima. E, poi, Lei è una
professionista di questa storia, riesce a cogliere sfumature, malintesi...,
per cui non è facile intervenire.
G. N. Guai a chi la tocca! [Ride]
A. V. Quindi, la fiaba è così: “c’era una volta un padre”, che non era
il padre di E. E chi era?
G. N. ...
A. V. Piangiamo?
G. N. [Ride] Chi era? Non lo so ancora!
A. V. Ah, buona questa. Questa vale una seduta. Perfetto. So che Lei
adesso riprenderebbe, e andremmo avanti... Però, già questo è qualcosa.
Grazie. Avremmo dovuto parlare di Udine, dell’associazione a Udine e
così via, invece, abbiamo parlato di un’altra cosa. È così, nella vita! È
molto interessante come si è svolta la nostra conversazione. È chiaro che
ci sono ben altri aspetti, però sono emersi questi.
G. N. Sono emersi questi.
A. V. Molto interessante.
Dottor S. B., Lei enuncia un caso? Vediamo.
S. B. Non ero preparato.
A. V. E, quindi, è un trabocchetto. O non ha portato il blocchetto? Non
ho capito. Non c’è blocchetto né trabocchetto, c’è un bel quaderno. Su
questo quaderno, cosa c’è? Fiori, animali?
S. B. Sono animali fantastici.
A. V. Tantissimi, è proprio un quaderno degli anni novanta. Prodotto
al computer. Snoopy. E questi, sono altri animali. Chi è Snoopy?
[Dalla sala ridono]
A. V. Ah, capisco che sono entrato in un terreno dove ci sono tante
competenze! È un bracchetto? Un piccolo bracco, Snoopy. Purtroppo, io
non mi ero accorto.
S. B. Vorrei introdurre il caso di una ragazza di ventisei anni, che ha
incominciato un’attività lavorativa come cameriera, la stessa attività
che, per lungo tempo, è stata svolta dalla mamma...
A. V. Riprendiamo. Una ragazza di ventisei anni. Vive con la mamma? Lei dove l’ha incontrata?
S. B. È mia figlia.
A. V. Ah, ecco, questo è il caso. Una volta, le ho parlato per telefono:
cercavo Lei. Come si chiama?
33
IL SECONDO RINASCIMENTO
S. B.Silvia.
A. V. Lei, questa ragazza l’ha avuta da un primo matrimonio.
S. B.Esatto.
A. V. Mentre ora si trova in un secondo matrimonio?
S. B.Esatto.
A. V. Il primo matrimonio è avvenuto con rito civile?
S. B. Con rito civile.
A. V. E, quindi, anche il secondo.
S. B. No, il secondo con rito religioso.
A. V. Perché il primo matrimonio è avvenuto solo con rito civile? Lei
intravvedeva una provvisorietà?
S. B. In termini semplici? Il matrimonio civile è stato fatto esclusivamente per evitare il servizio militare. In quel momento, ero ancora
studente universitario.
A. V. Se Lei avesse fatto il matrimonio religioso, non avrebbe evitato
il servizio militare?
S. B. Mentre ero studente universitario, avevo messo incinta questa
ragazza; ci siamo messi insieme.
A. V. Mentre Lei era studente, ha fatto questo.
S. B.Esatto.
A. V. Nella Sua qualità di studente, ha messo incinta questa ragazza.
Era una compagna di università, non era la Sua ragazza. Eravamo negli
anni sessanta.
S. B. No, era una ragazza di paese.
A. V. Quindi, Lei era studente e lei una ragazza di paese.
S. B. Sì, mi sono portato a Padova una ragazza di paese.
A. V. È già differente. Non è che Lei, un giorno, da Padova torna al
paese e, lì, nella Sua qualità di studente, incontra questa ragazza e la
mette incinta! È un incidente, Lei non se l’aspettava, non lo sapeva, per
lo meno, ma poteva essere un’ipotesi. C’era questa ipotesi che sarebbe
rimasta incinta.
S. B.Sì.
A. V. Questa ragazza, Lei se l’è portata a Padova. Lei non pensava che
a Padova potesse esserci una ragazza che rispondesse a alcune Sue
aspettative, che potesse interessarLa; ha sentito il bisogno di portarsene
una dal paese.
S. B.Sì.
A. V. Per stare al riparo da altre eventualità o per stare al riparo di uno
smacco?
34
IL SECONDO RINASCIMENTO
S. B. Nel primo anno di università a Padova, per una questione di
aritmetica, avevo la sensazione di aver perso qualcosa d’importantissimo, al paese.
A. V. Per una questione di aritmetica. Il paese dov’era?
S. B. Nel Trentino.
A. V. Lei fa le scuole medie e superiori nel Trentino, e per l’università
va a Padova. Al primo anno, dice, è come se avesse perso molto in
termini di aritmetica. In che senso?
S. B. Nel senso del passo più lungo della gamba.
A. V. Andando a Padova, il passo era più lungo della gamba. Al paese,
Lei aveva tante possibilità, mentre andando a Padova ne aveva di meno?
O ne aveva troppe?
Immaginiamo che quello delle donne sia un campo: nel campo delle
donne, Lei aveva maggiori possibilità a Padova che al paese o viceversa?
Perché dice di aver perso qualcosa in termini di aritmetica?
S. B. In termini di fantasia? Era avvenuto qualcosa che aveva comportato, nella mia fantasmatica, la perdita di qualcosa di fondamentale, per
me.
A. V. Che cosa era avvenuto?
S. B. Le dico com’è incominciata la storia. Facciamo un passo indietro.
Io ero al primo anno di medicina, a Padova. Questo mio andare a Padova
aveva comportato un passo: mi sembrava che, da quel momento in poi,
non fosse più possibile quell’appartenenza al paese che supponevo
esistesse prima: era come se tutto un mondo se ne fosse andato.
A. V. Ha perso le montagne, ha perso la terra, ha perso le case del
Trentino, la gente del Trentino. Ha perso anche un’età.
S. B. Sì, anche se questa perdita non aveva una rappresentazione
precisa.
A. V. Non era chiaro allora e non è chiaro adesso che cosa Lei avesse
perso. Quindi, era un salto in una cosa differente, che Le dava questa
sensazione di perdita — si tratta sempre dell’oggetto, dell’oggetto in
perdita, cioè sovrabbondante: l’oggetto è in perdita in questo senso.
Perdere, perdita non è nel senso che intendiamo noi: l’oggetto in perdita
è l’oggetto insituabile, eccedente, che fa eccezione — in questo senso, in
perdita, mai perduto. Ma per Lei c’era un lutto, allora.
S. B. Sì, nella fantasmatica, l’impressione era anche questa...
A. V. Di lutto.
S. B. Di abbandono, più che di lutto.
A. V. Ma chi abbandonava chi? O che cosa o chi era abbandonato? Lei
35
IL SECONDO RINASCIMENTO
aveva abbandonato il paese, facendo quel passo più lungo?
S. B. Forse, dopo quel passo irreversibile, la posizione che credevo di
avere prima, come figlio di un papà importante, si era vanificata.
A. V. Quindi, aveva perso anche un privilegio.
S. B.Sì.
A. V. C’era un fantasma di genealogia, che Lei viene a perdere. Prima,
questo fantasma di genealogia aveva, lì, nel paese, un fondamento
supposto, mentre a Padova non lo aveva più. Perché a Padova Lei era
uno fra tanti (Lei dice: una questione di aritmetica). Mentre in famiglia,
con papà, mamma e quanti fratelli?
S. B. Non ho fratelli.
A. V. Lei sa di fratelli morti?
S. B. So di molti aborti.
A. V. Lei era figlio unico — superstite, in effetti.
S. B.Sì.
A. V. Superstite, perché c’era una serie di bambini non nati, perché
espulsi prima: aborti.
S. B. Espulsi prima perché, nel corso del parto, ci furono difficoltà,
con lesioni del collo dell’utero di mia mamma, per cui, poi, ci fu quella
che va sotto il nome d’incompetenza cervicale.
A. V. Al primo parto è nato Lei, niente aborti prima.
S. B.Esatto.
A. V. Lì, c’è stato un problema che ha comportato l’impossibilità che
ci fossero parti efficaci, successivi.
S. B. Sì, l’incompetenza cervicale è tale per cui, dopo il quarto o quinto
mese, avviene un aborto...
A. V. C’è un’espulsione. Quindi, il primo e l’unico a non essere stato
espulso è stato Lei.
S. B. Sì, anche perché sono nato con il forcipe... La mamma, qualche
volta, quando la facevo arrabbiare, mi accusava di essere colpevole di
questo.
A. V. Di quello che è avvenuto dopo? Di avere approfittato di questa
nascita in modo tale da impedire poi, a altri, di crescere e di non essere
espulsi al quarto mese. Sarebbe stato Lei il responsabile.
S. B. Pensavo di mettermi la coscienza a posto, scegliendo la divisione
di ostetricia e facendo rianimazione neonatale.
A. V. Quindi, Lei ha quasi creduto a questo racconto materno! E ha
pensato di diventare un esperto, un professionista in materia e, in
qualche modo, di riparare alle malefatte. Lei dice che già nella decisione
36
IL SECONDO RINASCIMENTO
di fare medicina c’era qualcosa sullo sfondo; poi, ha pensato di specializzarsi in anestesia e rianimazione. Specializzato nella non espulsione.
In pratica, in questo reparto, Lei fa anestesia e rianimazione.
S. B. Sì, adesso, le frontiere di questa specifica attività sono tali per
cui…
A. V. Dato che i parti non avvengono più in casa…
S. B. ... si rianimano bambini abortiti di sei, sette, otto etti di peso,
anche meno.
A. V. Ah, ecco: quindi appena nati.
S. B. Sì, molto prematuri, anche di cinque mesi.
A. V. Vengono rianimati e poi? Incubatrice.
S. B.Sì.
A. V. Lei è divenuto uno specialista, si è specializzato negli espulsi! È
quello che si dice un professionista responsabile, ha preso sul serio il
racconto materno: Lei, nato privilegiato (con il forcipe), ha proseguito a
vivere — altrimenti non avrebbe avuto, la mamma, l’occasione di farle
il rimprovero — e quindi è responsabile di tutta quella strage successiva.
E così, si è occupato degli espulsi; una professione dedicata agli espulsi,
per rianimarli e rimetterli in un altro contenitore.
S. B. Da ventidue anni lavoro esclusivamente in un reparto ostetrico,
dove facevo, quando occorreva, anche anestesie per interventi ginecologici.
A. V. Quindi Lei, in questo campo, ha un materiale immenso, con una
serie di dettagli importanti.
Ritorniamo al paesello. Lei arriva a Padova. E si trova quanto meno
a disagio.
S. B. Sì, senza ragazze, ma anche senza eccessivi problemi per quanto
riguarda le ragazze, nel senso che avevo buoni propositi di portare
avanti il corso di studi.
A. V. Lei aveva buoni propositi e, anche senza il traffico con le
ragazze, si sarebbe trovato bene. Se non che, durante quel primo anno,
Lei va al paese.
S. B. Prima, c’era stato questo passo falso, questa perdita; è stato lì che
le ragazze hanno incominciato a interessarmi in maniera particolare,
specialmente le ragazze con certe caratteristiche.
A. V. Dunque, Lei arriva a Padova. A Padova sente questa perdita; i
buoni propositi ci sono sempre...
S. B. I buoni propositi vacillano.
A. V. Ah, come accade. Erano buone intenzioni…
37
IL SECONDO RINASCIMENTO
S. B. E mi distraggo…
A. V. Le buone intenzioni sono fatte apposta per badare a ciò contro
cui si erano formulate, in questo caso alle ragazze. Quindi, è andando al
paese che s’interessa alle ragazze più belle.
S. B. Belle e more.
A. V. Lei s’interessa alle ragazze e, per caso, una rimane incinta. È
così?
S. B. C’è un’ulteriore complicazione. In quel periodo, l’approccio con
le ragazze comportava per me delle difficoltà, specialmente con le
ragazze del paese, nel senso che esisteva una specie di proibizione.
A. V. Ah, ecco. Finché Lei era rimasto al paese, c’era una specie di veto
a intraprendere “pratiche sessuali” con le ragazze. Questo veto viene un
po’ sospeso (e anche le buone intenzioni) dopo che Lei è andato Padova
e torna, di tanto in tanto, al paese.
[Rivolto alla sala] Capisco che è un argomento che desta problemi: siete
in grado di ascoltare o no?
Non è che Lei, arrivato al paese, si fosse trasformato in un libertino,
era sempre dentro un certo ambito. Molte cautele e precauzioni ma, una
volta, c’è un incidente: la ragazza rimane incinta. Non sono state efficaci
oppure c’è stata una deroga alle cautele e alle precauzioni?
S. B. No, le cautele e le precauzioni non miravano a che non restasse
incinta... Nonostante il mio essere andato a Padova comportasse un
venir meno di questa proibizione — che prima era quasi assoluta —, le
precauzioni erano in questo senso, che non mi permettevo nessun
approccio con ragazze del paese che appartenessero a pieno titolo alla
comunità. E, sopra tutto, non m’interessava molto una ragazza che fosse
bene inserita nella comunità.
A. V. A Lei non interessava l’endogamia. Estendiamo l’endogamia
dalla casa all’intero paese, non Le interessava andare a letto con la
sorella, che non aveva, o con la cugina...
S. B. La casa dove abitavamo era costituita da due famiglie, la mia e
quella dello zio, che invece aveva delle figlie.
A. V. A Lei non interessava una quasi sorella, una cugina; qualsiasi
ragazza della comunità, del paese, Le sarebbe sembrata una cugina,
quasi ci fosse una familiarità…
S. B.Sì.
A. V. Lei dice: io non avevo il fantasma di privilegiare l’erotismo
diretto all’endogamia, ma volevo stare al di fuori dell’endogamia.
S. B.Esatto.
38
IL SECONDO RINASCIMENTO
A. V. Questa ragazza, invece, faceva parte della comunità?
S. B. Viveva in mezzo ai boschi, era di una famiglia marginale rispetto
alla comunità. E si chiamava Sara.
A. V. Sara, un nome biblico. Una famiglia nei boschi, fuori della
comunità, poteva esserci un certo interesse e non doveva impegnarsi per
un matrimonio.
S. B.Sì.
A. V. Ma alla ragazza aveva detto che l’avrebbe sposata? O la ragazza
Le ha detto che desiderava sposarsi?
S. B. No. Anche dopo che è nata la bambina, è venuta a vivere con me,
ma non ci siamo sposati.
A. V. Così, rimane incinta. E Lei la porta a Padova. Perché? Lei non
desidera che ci sia un aborto; già ne sono stati espulsi tanti e non
intendeva divenire complice…
S. B. Questo sicuramente, ma non solo.
A. V. Non mi costringa a fare la maieutica, racconti Lei!
Questa ragazza non l’abbandona, non dice: io non c’entro niente,
magari è passato un altro per i boschi, mi ha scambiato con mio cugino
oppure con un altro di un villaggio vicino...
S. B. Anzitutto, non è rimasta incinta subito, c’è una storia. Con lei, era
come se avessi recuperato quelle montagne selvagge che pensavo di
avere perso. Quindi, per quell’aspetto, la cosa funzionava.
A. V. Questa ragazza Le ricordava la natura, il mondo selvaggio e,
quindi, Lei ha pensato: tutto ciò che io ho perso andando a Padova, lo
recupero in qualche modo.
S. B. Non solo, mi sembrava anche un ottimo equilibrio fra la
decisione di portare avanti gli studi senza perdere un colpo…
A. V. Senza perdere un colpo e poi…
S. B. Mi finanziavo con il presalario…E dall’altra parte, però...
A. V. Dall’altra parte, uno di questi colpi è andato a segno! A questo
punto, la porta a Padova. E i Suoi sono d’accordo?
S. B. I miei genitori non sono d’accordo su nulla di quello che faccio:
non sono stato un bravo figliolo…
A. V. Quindi, Lei ha fatto una cosa non gradita ai Suoi. Né prima,
quando andava nei boschi, né dopo, quando ha portato questa ragazza
a Padova. Quindi, a Padova, Lei s’era immaginato di non avere tante
chance se ha avuto bisogno di prendersi una ragazza così, dalla natura,
e portarla a Padova. Che fosse rimasta incinta era, anzi, una caratteristica
che confermava quanto fosse della natura.
39
IL SECONDO RINASCIMENTO
S. B. Per me, rimanere a Padova e, nello stesso tempo, non avere perso
le montagne era, come dire, salvare capra e cavoli!
A. V. Esatto: la capra e i cavoli. La montagna era andata da Maometto.
Era bella, non era colta, non aveva fatto gli studi, ma questo, anzi,
deponeva a suo vantaggio. Tuttavia, i Suoi non erano affatto d’accordo
con questa impostazione e non erano propensi a finanziare il Suo
soggiorno a Padova
S. B. I miei genitori non mi hanno mai finanziato.
A. V. Aveva il presalario.
S. B. E ho anche insegnato per un anno.
A. V. La ragazza, invece, stava a casa. Però, non dovevate sposarvi,
perché, comunque, Lei era nato privilegiato, in quella comunità, con la
mamma e un papà importante, mentre questa ragazza veniva dalla
montagna. E anche quando rimane incinta, e anche dopo, quando nasce
la bambina, Lei non si ritiene impegnato a sposarla. È solo perché, a un
certo punto, Lei è chiamato al servizio militare, che la sposa. Insomma,
tutta questa storia è nata un po’ dalla fantasia. Sia la ragazza sia la
bambina sono nell’ambito di questa fantasia. Poi interviene il matrimonio civile perché, altrimenti, dovrebbe partire subito. Ottiene l’esenzione, perché deve badare alla moglie e alla bambina.
I problemi di Silvia non li conosciamo, però, in questo contesto
fantasmatico, è chiaro che ci saranno. Un’analisi dei problemi di Silvia
incomincia dalle cose che stiamo dicendo. Quanto dura il matrimonio?
S. B. La convivenza è incominciata nel ’70, il matrimonio avviene nel
’73 e la separazione nel ’78.
A. V. E Lei quando incomincia a lavorare?
S. B. Nel ’72 mi laureo.
A. V. Quindi, era già avanti con l’università quando si porta questa
ragazza a Padova.
S. B. Lo stavo dicendo: c’è una certa storia, incominciata al primo
anno di università, nel ’67.
A. V. Nel ’67 è incominciata, nel ’69 Sara è rimasta incinta, nel ’70 è
nata Silvia. E Lei se l’era portata a Padova già prima che nascesse Silvia?
S. B. Quando era incinta.
A. V. Quindi, rientra nella responsabilità. Lei l’ha portata a Padova
nell’ambito di quella responsabilità. Poi, nel ’78, si conclude il matrimonio, la bambina ha ormai otto anni. Ha avuto problemi, fino a otto anni?
S. B. Non me n’ero accorto.
A. V. Dal ’78 in poi, dove sta la bambina?
40
IL SECONDO RINASCIMENTO
S. B. Con la mamma, nella casa che avevo preso in affitto a Padova.
A. V. Ah, ecco, sempre nella responsabilità Lei lascia l’ex-moglie e la
bambina nella casa e continua a pagare l’affitto. L’ex-moglie va a
lavorare e la figlia, intanto, va a scuola. Fino a otto anni, non ci sono
problemi. Incominciano dopo, in maniera manifesta.
S. B. Non subito. I veri problemi sono incominciati nell’88.
A. V. A diciotto anni. C’erano anche prima, evidentemente; nel
periodo dell’adolescenza si sono costituiti, cristallizzati e si sono manifestati a diciotto anni. Tra gli otto e i diciotto, la madre che cosa fa? Lavora
e si mette con un altro uomo?
S. B. Sì, ha varie storie.
A. V. Insomma, non si mette con nessuno. E Silvia ha sentore di queste
storie?
S. B. Indubbiamente.
A. V. Lei va a trovare la bambina periodicamente.
S. B. Due volte alla settimana.
A. V. Il secondo matrimonio quando avviene?
S. B. Nel ’90.
A. V. Dodici anni dopo, quando la figliola ormai ha vent’anni e
problemi manifesti. La seconda moglie la sceglie con lo stesso criterio?
S. B.No!
A. V. Siamo sicuri? Lei ha risposto subito no. Verifichiamo. La sceglie
nell’ambito del mestiere dove si trova?
S. B.Sì.
A. V. E non sceglie una collega dottoressa. Lei, anestesista rianimatore,
non sceglie una anestesista rianimatrice, ma sceglie una persona che, lì,
coadiuva. In quale reparto si trova questa fidanzata, che poi diviene sua
moglie?
S. B. Nello stesso reparto dove lavoro io.
A. V. Non come collega, ma, in qualche modo, “subalterna”.
S. B.Sì.
A. V. Infermiera?
S. B. Strumentista di sala operatoria.
A. V. Fornisce gli strumenti che occorrono sia per l’anestesia sia per
la rianimazione.
S. B. Sopra tutto per l’atto chirurgico.
A. V. Lei si occupa dell’atto chirurgico?
S. B. Sì.
A. V. Quindi, Lei si occupa anche del parto cesareo, o solo delle
41
IL SECONDO RINASCIMENTO
anestesie e della rianimazione?
S. B. Faccio l’anestesia anche nel taglio cesareo.
A. V. Io non so niente prima di questa nostra conversazione (Lei mi
aveva detto soltanto che sua moglie era infermiera), se lo so lo dimentico
e è soltanto adesso che lo apprendo, in questa conversazione. Ciascuna
conversazione non si fonda sulla precedente.
Diciamo che questa infermiera strumentista non coadiuva Lei, ma
coadiuva un altro medico, non è subalterna a Lei ma all’altro medico.
S. B. L’istituzione ospedaliera è come l’esercito, una massa artificiale.
A. V. C’è una gerarchia; più che di una massa artificiale, bisognerebbe
parlare di una comunità convenzionale. La formulazione di Gustave Le
Bon non è precisa: quelle che lui porta come esempio sono folle conformiste, folle convenzionali. L’esercito alla maniera di Machiavelli, invece, è un dispositivo artificiale, nel senso di dispositivo intellettuale.
Lei è troppo dispiaciuto che stiamo indagando in questo modo?
S. B.No.
A. V. È stata fidanzata per lungo tempo la seconda moglie?
S. B. Beh, in effetti, c’è stata una ripetizione rispetto al primo caso.
A. V. Una convivenza.
S. B. C’è stata una convivenza e poi il matrimonio. E la convivenza è
incominciata quando ho interrotto l’analisi che stavo conducendo con il
dottor F. S., nell’86.
A. V. In questo caso, però, la convivenza non era determinata dal fatto
che lei fosse incinta.
S. B. È un altro scenario.
A. V. Questa volta, Lei è stato bene attento perché non rimanesse
incinta. Nel secondo matrimonio, non ci sono bambini?
S. B. Uno dei motivi per cui c’è stata questa convivenza prematrimoniale è che mia moglie non può avere figli.
A. V. Ecco! Lei era garantito, questa volta. Finalmente! L’incidente
non poteva proprio esserci! Quindi, c’è il paragone con il primo caso, ma
c’è una precauzione, questa volta, radicale, riuscita. Perché Lei sapeva
che non poteva avere figli! “Va bene, vado tranquillo”, deve avere
pensato.
E così poi è stato, no? Oppure ha avuto altri figli?
S. B. Ha avuto un aborto.
A. V. Questi medici! Dicono che non può avere figli e invece, proprio
in quel caso, ha avuto un aborto. Ha avuto un aborto perché non ha
potuto proseguire la gravidanza: quindi, c’è stata un’espulsione.
42
IL SECONDO RINASCIMENTO
Guarda caso, Lei è andato a scegliere proprio una signora che non
poteva avere figli e, se per caso ne avesse avuti, non avrebbe potuto
portare a termine la gravidanza. È come se Lei avesse scelto la persona
adatta per riprodurre il caso materno, tanti anni dopo: una riproduzione
in laboratorio.
C. F. D. A. Apparentemente, era per evitare...
A. V. Sì, apparentemente per evitare, ma di fatto no! Una storia, nata
per fare l’economia del caso materno e l’economia del caso della prima
moglie, invece, riproduce tutte le caratteristiche sia del caso della prima
moglie sia del caso materno.
Come primo round, va bene così, no? So che adesso verrebbe il più
bello! Intendo dire che dovremmo rifare l’itinerario, compiere indagini
su quanto è accaduto prima che Lei andasse a Padova, negli anni
precedenti all’iscrizione all’università, per capire come mai Lei sente la
perdita, perché avverte che non è una ragazza della comunità che La
interessa, e come poi Lei fa queste scelte, determinate proprio da ciò che deve
evitare, quindi dalle antitesi.
Adesso, abbiamo toccato alcuni termini della fabula. Non abbiamo
nessuna pretesa, tanto meno quella di avere esaurito la questione.
Sembra strano, Lei dice: io volevo esporre il caso di Silvia e invece il caso
non l’abbiamo esposto.
Supponiamo, che i vari attanti sociali, assistenti sociali, educatori
sociali (come accade in Svizzera, per esempio) si occupino del caso di
Silvia. Subito vogliono vedere quali siano le manifestazioni, le reazioni,
che non vengono considerate come elementi linguistici, elementi intellettuali, ma come comportamenti, difficoltà che Silvia non vuole affrontare. Oppure, sono prese come passioni. “Strano questo giovane, ha la
passione del bosco!”. Indaghiamo, invece, com’è sorta quest’idea, come
si è costituita, in quale contesto. Non è genealogia, è assenza di genealogia.
Trascrizione di Alessandro Atti, a cura di Cristina Frua De Angeli.
43
IL SECONDO RINASCIMENTO
I ragazzi e le ragazze del ’97
ARMANDO
VERDIGLIONE
Dalla conferenza di sabato, 15 marzo 1997
Marta e Maria
A. V. Leggiamo dal Vangelo secondo Luca, 10, 38: “E mentre erano in
cammino, entrò in un villaggio, e una donna, di nome Marta, lo ospitò.
Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi del
Signore, ascoltava la sua parola [ekùen tòn lògon autù: ascoltava ciò che
egli diceva o il suo discorso; qui traduce con ‘la parola’]. E Marta era tutta
presa dai molti servizi, e intervenne dicendo: ‘Signore, non t’importa che
mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi venga
in aiuto’. E il Signore, rispondendo, le disse: ‘Marta, Marta, [merimnàs kài
thorubáze perì pollà] tu ti preoccupi e ti affanni per molte cose, ma una sola
cosa è necessaria. Maria ha scelto la parte buona che non le sarà tolta’”.
Interessante questo brano! È vero che Marta avrebbe potuto predisporre la casa prima. Voi dite che non lo sapeva, ma bisogna sempre
attendere l’ospite! Non lo sapeva, e proprio per questo avrebbe dovuto
preparare la casa. Marta ospita Gesù, però, al suo arrivo, si mette a
pulire, a ordinare la casa. Per fortuna, ha questa sorella! Gesù dice:
“Maria ha scelto la parte buona”. Non sapeva, Marta, che nel villaggio
sarebbe arrivato Gesù. Egli arriva e lei lo ospita. Ma non è pronta, allora
si mette a fare tante cose per preparare la casa, quindi, l’incontro viene
in qualche modo evitato. Non avviene così per sua sorella Maria. Allora,
Marta si rivolge a Gesù: che venga anche lei a fare quello che sto facendo!
E Gesù risponde che egli non può togliere lo statuto in cui si trova Maria,
ma che Maria non toglie nulla a Marta, ascoltando.
44
IL SECONDO RINASCIMENTO
La lampada
Ecco un altro brano molto interessante, in Luca, 8, 16: “Nessuno
accende una lampada e la copre con un vaso o la pone sotto il letto, bensì
la colloca sul candelabro affinché quelli che entrano vedano la luce”. La
lampada ricorre spesso nel Vecchio e nel Nuovo Testamento, come
figura del due. La lampada o la fiamma (non è la luce). Nella fiaba di
Aladino, invece, la lampada viene intesa come lampada che infiamma la
società, la politica, l’economia, la finanza, come genealogia sociale,
politica, economica, finanziaria, istituzionale, come la buona filiazione.
Qui, nel Vangelo, la lampada compare in un’altra accezione: è la lampada che non può stare sotto il letto, sotto il moggio, non va coperta da un
vaso, non va tenuta nascosta, ma sta a indicare il due da cui le cose
procedono. La lampada non è la luce, ma la luce stessa procede dalla
lampada.
“Poiché non c’è nulla di nascosto che non debba manifestarsi [où gar
èstin kruptòn ò ù faneròn ghenésetai], né di segreto [oudé apòkryfon] che non
debba essere conosciuto e venire alla luce [kai eis faneròn élthe; qui traduce
“venire alla luce”, ma insomma non è venire alla luce].
Proseguiamo: “State dunque attenti a come ascoltate [blépete oùn pòs
akùete]; perché a chi ha [os an gar éche] sarà dato, ma a chi non ha sarà tolto
anche quel che pensa di avere [o dokéi echein]”.
Chi ha? Qui, il non vale sia come funzione di zero sia come funzione
di uno.
Il non vale come non dell’avere (funzione di zero, funzione di padre,
funzione di nome): da qui, il debito. Non c’è soggetto del non avere,
quindi non c’è soggetto della miseria, non c’è miseria. Soltanto chi crede
di avere (o di non avere) è nella miseria.
Il non vale anche come non dell’essere (funzione di uno, funzione di
figlio, funzione di significante). Chi crede di essere (o di non essere), chi
si fa soggetto dell’essere (o del non essere) abita la povertà, è soggetto
alla povertà o soggetto della povertà.
Per miseria intendiamo assenza del debito e della legge della parola e per
povertà intendiamo assenza del credito e dell’etica della parola.
“A chi ha sarà dato”: la riuscita dipende certamente dal calcolo, ma
non dal calcolo delle probabilità! La riuscita dipende dal calcolo dell’improbabile, del non ontologicamente necessario. Infatti, ciò che importa
del calcolo è l’errore di calcolo. Da questo a come si formino pietre nei
reni e altre miscellanee, lascio a voi l’elaborazione, ma di sicuro è da qui
che essa deve trarre le mosse.
45
IL SECONDO RINASCIMENTO
La lampada c’è anche in Marco, 4, 21. Leggiamo la traduzione: “E
diceva loro: ‘Si porta forse la lampada per metterla sotto il moggio, o
sotto il letto? O non piuttosto per metterla sul candelabro? Non c’è nulla
di segreto che non venga messo in luce [ìna élthe eis fanerón]. Chi ha
orecchie da intendere intenda” [ei tis echei òta akuéin akùeto: più che ‘da
intendere’, qui è ‘per ascoltare’]. Ascoltare non è intendere; certamente,
l’ascolto precede l’intendimento e la luce è quando le cose s’intendono.
Possiamo dire “chi ha orecchie per ascoltare e intendere ascolti e
intenda”.
Il vino nuovo
C’è un altro brano curioso e è quello, sempre in Marco, 2, 18, intorno
al digiuno — potremmo dire intorno all’anoressia intellettuale. Leggiamo: “Ora i discepoli di Giovanni e i Farisei facevano un digiuno. E
vennero e gli dissero: ‘Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei
Farisei digiunano e i tuoi discepoli non digiunano?’. E Gesù disse loro:
‘Forse che possono digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con
loro? Finché hanno lo sposo con sé, non possono digiunare. [Bellissimo!]
Verranno giorni quando sarà tolto loro lo sposo, e allora digiuneranno
in quel giorno. Nessuno cuce una toppa di panno grezzo su un vestito
vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo fa strappo sul vecchio e lo squarcio
diventa peggiore [kaì cheiron schìsma ghìnetai: qui, schìsma è tradotto con
‘squarcio’]. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino
spezza gli otri e si perdono e il vino e gli otri; ma a vino nuovo, otri
nuovi!’”. Questo dice Gesù: perché andare a convertire i parrucconi?
ALESSANDRO ATTI C’è il rischio di ucciderli!
A. V. Sì, “altrimenti il vino spezza gli otri e si perdono e il vino e gli
otri; ma a vino nuovo, otri nuovi!”. Taglia corto, ma insomma... Voi dite
che non è semplice trovare otri nuovi? Se il vino è nuovo, si trovano
senza dubbio!
È importantissimo questo brano intorno al nutrimento intellettuale.
Non c’è più pettegolezzo
ROBERTO BANFI Vorrei che riprendesse una cosa che ha detto
tempo fa: o c’è il pettegolezzo o c’è l’essenziale.
A. V. Il pettegolezzo non esiste, resta l’essenziale. Il pettegolezzo è
metalinguaggio, ma non c’è metalinguaggio. Il pettegolezzo è il discorso
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IL SECONDO RINASCIMENTO
occidentale come metalinguaggio, che ha preteso il dominio della terra.
Con “pettegolezzo” intendiamo il senso, il sapere e la verità come
causa e, quindi, il sapere sull’Altro — il sapere politico, sessuale, sociale,
finanziario. Oppure, il pettegolezzo è la verità da tribunale, la verità
costituzionale o istituzionale, la verità come causa? Ci sono gli officianti
e i detentori di questo pettegolezzo, che è il discorso come causa, il logo.
Ma, nonostante l’epoca sembri riproporlo come morte bianca, come
proliferazione zoologica cosmica (anche nelle forme dell’arte e della
cultura), non c’è più pettegolezzo. L’epoca non è un’alternativa alla
parola o al tempo.
R. B. Il motivo per cui il pettegolezzo e l’essenziale non si oppongono
è lo stesso per cui non si oppongono apertura e chiusura?
A. V. Non c’è più chiusura, ma c’è conclusione. La conclusione è dove
le cose si scrivono e dove questa scrittura trova compimento. Ma si tratta della
scrittura delle cose che si fanno — la scrittura della politica, la scrittura
della battaglia.
R. B. Quindi, apertura e chiusura non sono ossimoro?
A. V. No, certo. Di conseguenza, non c’è più prigione — è assurda
questa idea di prigione propria al discorso occidentale!
A. A. Povertà è assenza di credito e assenza di etica, ha detto prima.
L’assenza di credito può essere intesa come povertà anche nell’accezione corrente, mentre l’assenza di debito non è certo nell’accezione comune.
A. V. Anche l’assenza di debito non è nell’accezione comune.
A. A. Dire “credito” è la stessa cosa che dire “ammissione”?
A. V. È il caso di distinguere fra ammissione e credito.
Iltransfert
MARIELLA BORRACCINO In alcuni testi, Freud parla del transfert
come di un potente mezzo di trasformazione e, allo stesso tempo, di una
fonte di resistenza nell’analisi. Nell’esperienza originaria, non c’è trasformazione se c’è la gnosi, se c’è una rappresentazione del due. Forse,
occorre prendere il fantasma per la sua punta.
A. V. La paura va presa per la punta, dicevamo. In un certo senso,
anche il fantasma. Ma “prendere” il fantasma non è possibile. È vero, lo
psicanalista non può stare al di sotto del fantasma, non può essere
inferiore al fantasma, ma questo non significa che debba aderire al
fantasma o entrare nel fantasma o eseguire il fantasma o fondarsi sul
fantasma o farlo proprio! E neppure che debba contrastare, delimitare,
47
IL SECONDO RINASCIMENTO
contenere entro certi confini il fantasma con un altro fantasma! Insomma, non c’è la cura del fantasma. Se mai, c’è l’analisi del fantasma
materno, nel senso che il fantasma non è più materno. Questo “non è più”
indica che mai lo è stato e mai lo era.
Nel dialogo, è assente il sembiante, è assente il distacco, l’assoluto e,
quindi, il fantasma materno, in qualche modo, predomina. Nel De
Trinitate, tutte le “eresie” riguardano il fantasma materno. E se voi
leggete i testi di quasi tutti i Concili della chiesa, per quanto attiene alla
Trinità, ma non solo, trovate che riguardano proprio l’inesistenza del
fantasma materno. Nelle eresie, viene formulata una gamma notevole di
varianti del fantasma materno. In breve, la fede non può essere scelta.
Veniamo al transfert. È un argomento dominante, schiacciante, sovrastante, imperioso nel caso in cui la psicanalisi si svolga fra psicanalista
e paziente e, quindi, nel caso del dialogo. Dicendo psicoterapia, intendiamo il dialogo, che è in funzione del monologo.
Nella logica della nominazione, il transfert è l’itinerario secondo la logica
funzionale. Più precisamente, è un aspetto dell’itinerario, che sta nella
sembianza e nel linguaggio, ma non lo esaurisce. L’itinerario, infatti,
oltre che secondo la logica funzionale è anche secondo la logica stigmatica
(o logica dei punti), quindi trova la sua condizione nel sembiante. E è
anche secondo la logica operazionale (o logica dei fantasmi o delle idee) e,
quindi, non si scrive se l’idea (o dio o la fede) non opera alla scrittura.
L’itinerario, poi, è anche secondo la logica dimensionale; se prescindesse
dalle tre dimensioni della parola (cioè, dalla materia, dal linguaggio,
dalla sembianza) diventerebbe viaggio ideale o viatico verso la morte.
Dicevo, venti anni fa, che il transfert ha due facce, il parricidio e la
sessualità. Il parricidio e la sessualità hanno due custodi, l’amore (custode
del parricidio o del labirinto) e l’odio (custode del paradiso). Non è Pietro
il custode del paradiso, ma è l’odio!
Amore e odio sono inconiugabili, intransitivi, senza soggetto. Oggi,
nell’accezione corrente, amore e odio sono divenuti termini soggettivi,
prerogative e appannaggi del soggetto. Nel suo libro Fragments d’un
discours amoureux, Roland Barthes avanzava una gnosi raffinata,
revisionista, per usare il termine di Harold Bloom. Barthes è il più
raffinato degli gnostici strutturalisti, ma nelle sue pagine dilaga il
soggetto. Lui stesso ha raccontato di essere andato, un giorno, da Lacan
e di avergli chiesto se era il caso che facesse l’analisi; Lacan — che, non
dimentichiamo, ha scritto Kant con Sade — gli avrebbe risposto che non
48
IL SECONDO RINASCIMENTO
ne aveva bisogno! Barthes è morto in un incidente stradale, dinanzi al
Collège de France.
Il soggetto è presente in tutta la sua varietà politeista anche nel caso
di Francesco Alberoni, che si è riferito, per il suo libro Innamoramento e
amore, al libro di Roland Barthes, considerandolo da sociologo, anziché
da letterato e da linguista.
Gli psicanalisti, dopo Freud, hanno trattato la resistenza come un
meccanismo di difesa. È una cosa orripilante! La resistenza non c’entra
né con la difesa né con l’offesa. La funzione di resistenza è la funzione di
uno, funzione originaria, nel senso che la parola si staglia sul principio
e l’originario è una virtù del principio.
Per quanto riguarda, invece, la forma transitiva dell’amore, ci sono
varie formule, quali l’amore del padre, l’amore del figlio, l’amore dello
spirito, ma si tratta di fantasmi materni, cioè di fantasmi di dominio sul
padre, sul figlio e sullo spirito, insomma, di fantasmi di padronanza.
Lo stesso vale per la forma transitiva dell’odio. C’è chi ritiene di
controllare il “partner” più con l’odio che con l’amore! È un certo
discorso psicotico; si tratta sempre di un fantasma materno, del fantasma di controllo, di padronanza sul cosiddetto partner, sull’Altro.
È curioso che il brano del Vangelo su Marta e Maria evochi quello
intorno al digiuno. Dice Marta: perché Maria non viene qui a lavorare,
non sta qui a digiunare, come noi che stiamo digiunando? Risponde
Gesù: ma se c’è il banchetto con lo sposo, perché dovrebbe digiunare?
Perché digiunare se è arrivato l’ospite e c’è l’incontro, l’atto di parola!
Maria sta lì e ascolta: non ama né odia. Curiosamente, evoca Caino e
Abele.
ELISABETTA COSTA Quella di Marta sembra una reazione al transfert...
A. V. Sì, una reazione al transfert.
E. C. Marta si è accorta che, lì, c’era transfert.
A. V. Ecco, bisogna che questo sia molto preciso! Il transfert,
anzitutto, non è intersoggettivo. Fra Breuer e Anna O., c’era una
fantasmatica propria al discorso isterico, che prendeva la forma di
transfert fra Anna O. e Breuer. Ma chi intendesse che lì c’era transfert
vero e proprio avrebbe torto, perché il transfert non è fra cifratore e
cifrante! Altrimenti, è come se psicanalista e paziente (o maestro e
allievo) si situassero in una relazione sociale. Non che non ci siano,
maestro e allievo, ma si tratta di un dispositivo, non di una relazione
sociale o di un sistema di genealogia.
49
IL SECONDO RINASCIMENTO
C. F. D. A. Possiamo dire che c’è transfert nel dispositivo?
A. V. Il contrario: nel transfert c’è dispositivo.
Sono cose essenziali, ma non così comuni, non così facili. Eppure sono
semplici, oggi, per noi. Nella vulgata, si parla di transfert verso la persona
dello psicanalista, verso l’io o il superio dello psicanalista. Si parla
d’identificazione con il sintomo, dove il transfert viene scambiato con
l’identificazione, e il buon esito di una psicanalisi starebbe in una forma
d’identificazione con l’io, con il superio o con il sintomo!
L’identificazione è identificazione del sembiante, cioè una proprietà
imprescindibile del sembiante. Gli esperti di comunicazione la maltrattano e, tuttavia, si accorgono che occorre l’identificazione con l’azienda
o con la banca; arrivano a dire che l’identificazione con la banca o con
l’azienda comporta una questione culturale. L’identificazione è la condizione non solo del transfert, ma dell’itinerario — il sembiante è la
condizione del transfert.
Nessuno scrive da solo
C. F. D. A. Penso al transfert che s’instaura scrivendo un libro.
A. V. Certamente, la solitudine è virtù del sembiante e, quindi, anche
condizione della scrittura dell’esperienza. E, tuttavia, ci sono molte cose
perché ci sia scrittura dell’esperienza. Come nessuno fa miracoli da solo,
nemmeno Cristo, così nessuno scrive da solo — è anche vero che
nessuno scrive insieme, perché il dispositivo non è un insieme. Nessuno
scrive da solo. Nessuno può dire “adesso, mi metto a tavolino e scrivo”.
Immediatamente, più che scrittore, diviene imbecille! “Scrivi!”, che
imperativo è? Come se la scrittura venisse prima dell’esperienza, prima
del dispositivo!
Maometto si trova con l’angelo e l’angelo gli dice: scrivi! Però, scrivi
quello che io ti detto (o quello che stai leggendo). È differente, è come
dire: trascrivi. C’è un libro importante sull’inizio del Corano, uscito in
Francia. Ci sono tanti problemi nelle repubbliche islamiche, ma questo
non significa che il Corano non sia un libro interessante.
SAVERIO BELLUMAT L’associazione e la scrittura...
A. V. L’associazione e l’a-sociazione. Ho indicato il termine associazione
come virtù del sembiante. Un’altra virtù è il distacco. Tuttavia, sono
teoremi: l’assoluto e il distacco non rientrano nella logica stigmatica, ma
nella logica operazionale. Teorema: non c’è più attaccamento, c’è distacco. Non c’è più soluzione, ma l’assoluto. Anche dire “c’è l’assoluto” non
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IL SECONDO RINASCIMENTO
va da sé. Nessun associazionismo è possibile se l’associazione, come
l’identificazione, è propria al sembiante. Possiamo dire, in maniera
molto ridondante: identificazione con l’associazione. È un’estrema ridondanza, perché no. L’associazione non ha nulla di concreto. Non è né
concreta né discreta.
ENRICA FERRI Abbiamo tenuto un’equipe a Losanna, nove giorni fa,
a proposito della fantasmatica del transfert...
A. V. A proposito del transfert come fantasmatica materna.
E. F. … e del fantasma materno in ciascun discorso. In quale momento
il fantasma materno può dirsi sufficientemente analizzato perché ci sia
un effetto nella conversazione? Apparentemente, ciascuna volta che
s’incomincia una conversazione, ci si trova alle prese con diversi fantasmi materni.
A. V. Alle prese, ma non si è presi, non si è invischiati.
E. F. Nella pratica a Losanna, occorre creare differenti dispositivi.
A. V. Anzitutto, la tripartizione. Un dispositivo essenziale, senza cui
non ce ne sono altri. Senza tripartizione non c’è dispositivo, ecco tutto.
Questo lo diciamo anche rispetto all’essenziale dell’esperienza: non
c’è dispositivo intellettuale senza la tripartizione. Ci possono essere
tanta buona volontà, tanti bei tentativi, tante ottime intenzioni, ci può
essere la ricerca di tenersi vicini alla teoria, di non scostarsi dalla diritta
via — e, tuttavia, anche a cercare la diritta via senza dispositivo si
deraglia e ci si smarrisce!
Ci sono cose essenziali, che sono state colpite durante la reazione
all’affaire della parola: la tripartizione, il dispositivo intellettuale, l’assemblea, l’impresa. L’inizio di Processo alla parola è molto chiaro in
proposito.
La lettura dell’affaire è assolutamente essenziale al messaggio nei
prossimi mesi e nei prossimi anni, come Elisabetta Grimaldi ha notato
nella sua testimonianza nella città di Mestre.
Dalla conferenza di sabato, 29 marzo 1997, vigilia di Pasqua
“La mia dottrina non è mia, ma di Colui che mi ha mandato”
A. V. Leggiamo dal De Trinitate, libro secondo, 2, 4: “Sunt ergo
quaedam in sanctis Libris, ut dicere coeperam, ita posita ut ambiguum
sit quonam referenda sint, utrum ad illud quod propter assumptam
creaturam minor est Filius, an ad illud quod quamvis aequalis tamen
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IL SECONDO RINASCIMENTO
quia de Patre sit indicatur”. L’edizione di Città Nuova traduce: “Vi sono
dunque nei Libri santi alcune espressioni, [ma sant’Agostino dice “ergo
quaedam in sanctis Libris”: vi sono certe cose nei Libri santi], come
avevo iniziato a dire, che non si sa in che senso vadano interpretate: [ita
posita ut ambiguum sit quonam referenda sint non vuole dire “in che senso
vadano interpretate”, ma “che rimane ambiguo a che cosa si debbano
riferire”] se in riferimento all’inferiorità del Figlio conseguente all’unione con la creatura [propter assumptam creaturam andrebbe tradotto “per
la creatura assunta”] o in riferimento, nonostante l’uguaglianza, [an ad
illud quod quamvis aequalis, tamen quia de Patre sit indicatur] alla sua origine
dal Padre”. Noi diremmo “procedente dal padre”, sant’Agostino dice
“indicato dal Padre”; qui traduce, erroneamente, “alla sua origine dal
Padre”.
Che cosa dice, sant’Agostino? Che il figlio è minore, ma solo in quanto
creatura, non in quanto procedente dal padre. Come procedente dal
padre, il figlio non è né minore né maggiore, né inferiore né superiore.
Più e meno non si applicano al figlio.
Proseguiamo: “E mi sembra che, se ci si trova davanti a un testo
talmente ambiguo da non potere essere spiegato e chiarito, esso possa
venire interpretato senza pericolo in base alla duplice regola di cui si è
parlato. È il caso di questa affermazione: La mia dottrina non è mia, ma di
Colui che mi ha mandato [Mea doctrina non est mea, sed eius qui me misit]”.
Questo brano è interessantissimo, non dico preanalitico, ma addirittura analitico! Nulla di personale nella dottrina, cioè nell’insegnamento.
L’insegnamento del figlio, nella sembianza, si esercita nel teatro. E, nel
linguaggio, con l’arte della differenza del significante da se stesso. Se
così possiamo dire, l’arte della differenza del significante è un’arte certa,
è l’unica arte di cui si possa dire che è certa. Allo stesso modo, è l’unica
arte che possa dirsi fraterna — per ridondanza.
Mea doctrina non est mea, sed eius qui me misit. Nulla di soggettivo o di
personale. Insiste tanto sant’Agostino su questo: che non c’è causa sui,
Dio non è causa sui, il Figlio non è causa sui.
Autonomia del figlio
Autonomia del figlio? È la morte del figlio. Il discorso ossessivo è una
fantasmatica materna intorno alla morte del figlio, quindi, intorno
all’infanticidio. Esso si esercita come fantasmatica fino alla spettacolarità
del suicidio possibile e mai realizzato.
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IL SECONDO RINASCIMENTO
Negli anni settanta, avevo qualche caso in cui la fantasmatica del
discorso ossessivo sembrava accentuata, con differenti rappresentazioni di allestimenti, di preparativi del suicidio. Come psicanalista, andavo
tranquillo, perché non si sarebbe mai realizzato.
C’è un’assoluta irrealizzabilità del suicidio nel discorso ossessivo.
Per esprimerci in maniera molto cruda e diretta, non è così in altri
discorsi.
Il discorso isterico sta al di qua dell’infanticidio. Non c’è, in esso,
nessuna spettacolarità del suicidio recitato come cerimoniale sociale.
Considerate il caso di Dora, dove c’è qualcosa dell’ordine dell’incidente
proprio al discorso isterico: non c’entra nulla con il suicidio. Ne avevamo
discusso, a suo tempo.
Certo, l’incidente è un’altra cosa. Anche nel discorso ossessivo,
l’incidente è un fantasma materno, quindi è un fantasma di morte. Il
fantasma materno è un fantasma di morte in ciascun discorso, quindi un
fantasma di padronanza su di sé o sull’Altro.
Nel caso del discorso isterico, c’è un fantasma di morte rispetto al
padre. Ma si tratta del tu o si tratta del padre? Dello specchio o del nome?
Ecco, questo fantasma viene presentato, dal discorso isterico, come
amore del padre. Non c’è amore del padre, come non c’è amore del figlio
e non c’è amore dell’Altro. C’è un fantasma di morte rispetto al padre,
c’è un fantasma di morte rispetto al figlio. Per adesso, provvisoriamente,
possiamo riprendere, appena lontanamente, i termini della questione,
che non sono facili. Abbiamo elaborato, in lungo e in largo, la questione
del “suicidio”.
Occorre considerare quale sia il fantasma rispetto al figlio. Nel
discorso ossessivo, è il figlio morto. Nel discorso isterico, è il figlio aborto
— anche nell’accezione in cui non è neppure nato, addirittura, neppure
concepito, eppure, c’è già questo fantasma di aborto. Mentre nel discorso paranoico è il fantasma del figlio mostro. Anomalo, deforme, mongoloide, storpiato. Malato? È troppo lieve. Malato può essere il figlio intero,
ma, qui, è sicuramente deforme, mostro o mostruoso, che non è la stessa
cosa di malato. Nel discorso schizofrenico, è il figlio pazzo. Lo abbiamo
scritto nella Peste, dove avevamo condotto un’elaborazione molto precisa. Figlio morto nel discorso ossessivo; figlio aborto nel discorso
isterico; figlio mostro nel discorso paranoico; figlio pazzo nel discorso
schizofrenico. Si tratta sempre di un fantasma di morte.
Allora, la “decisione” del suicidio in quale di questi discorsi interviene? Ne avevamo discusso varie volte.
53
IL SECONDO RINASCIMENTO
Il discorso schizofrenico ha il fantasma di abitare il tempo, quindi si
tratta del fantasma di morte dell’Altro, perché sia abitato il tempo. C’è
un certo funambolismo, nel discorso schizofrenico, che fa dei due
sentieri due parallele. Oggi, in Italia, gli psichiatri se la cavano con la
depressione e scambiano qualsiasi fantasma di morte con la depressione
— anche il discorso schizofrenico. È un problema, perché è impossibile
instaurare un dispositivo clinico se il discorso schizofrenico viene scambiato per depressione!
Noi siamo arrivati al punto di cogliere i “vantaggi” di ciascun
discorso e cioè di verificare quali siano le acquisizioni proprie a ciascun
discorso. Quando il discorso come causa si dissipa (il fantasma resta, ma
non è più materno), c’è un “vantaggio”, c’è un’acquisizione. Il discorso
in questione ha insistito su un aspetto, nella fattispecie sul padre come
nome, sul figlio come significante e sull’Altro.
Per quanto attiene al discorso paranoico, abbiamo fatto un decalogo
addirittura, nell’autunno del ’95, pubblicato nella rivista “Il secondo
rinascimento”. Lacan, in qualche modo, privilegiava la paranoia; lui
stesso introduceva un certo artificio, che ha chiamato “paranoia diretta”.
Il discorso schizofrenico ha il fantasma di morte dell’Altro e, certamente, del figlio pazzo. L’Altro è morto, il figlio è pazzo. È il discorso in cui
pare possibile la decisione del suicidio.
Per suicidio, intendiamo questo: una decisione di suicidio. Non sotto
forma di incidente, anche se la quasi totalità degli incidenti sono suicidi
in un altro senso.
Il dolore estremo
Quando una persona può dire: questo è il dolore più grande che abbia
mai avuto, se lo sta semplicemente rappresentando. Il dolore estremo è
un’altra cosa, è quando non sono in grado di dire che è il dolore più
grande. Io non so chi di voi si sia trovato dinanzi al dolore estremo,
perché è tanto diffusa la coscienza del dolore e, addirittura, la coscienza
della sofferenza, che il dolore è rappresentato, cancellato. Ma chi si è
trovato dinanzi al dolore estremo, non se lo rappresenta più: qualsiasi
cosa accada, non se lo rappresenta più. La prova se ci sia stato il dolore
estremo è questa, che chi si è trovato dinanzi al dolore estremo non se lo
rappresenta più! E non si compatisce.
Il papà, chiunque sia, va assolutamente stimato — il papà e la
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IL SECONDO RINASCIMENTO
mamma. Occorre trarre i termini del mito, del nome, della legge.
Certamente, il papà si distingue dal padre, tuttavia non va per nulla
svalutato, non deve esserci nessun discorso materno di svalutazione del
papà.
Ma proseguiamo con sant’Agostino: Mea doctrina non est mea, sed eius
qui me misit. Altro che l’autonomia del figlio! Il figlio non è autonomo,
cioè non è senza l’Altro e non è senza il padre.
E ancora: “Infatti [la dottrina non è mia ma...] la si può intendere in
riferimento alla forma di servo, come si è spiegato nel libro primo, e in
riferimento alla forma di Dio, nella quale è uguale al Padre, ma procedendo dal Padre”. Quindi, il figlio procede dal padre.
“Perché, secondo la forma di Dio, come il Figlio e la vita divina non
sono due cose diverse, ma il Figlio è la vita stessa, così non sono due cose
diverse il Figlio e la sua dottrina ma il Figlio è la stessa dottrina”. Il figlio
come dottrina. Doctrina, insegnamento, insegnamento del figlio: è un
aspetto dell’insegnamento.
Lacan diceva: io non sono lacaniano, io sono freudiano. La questione
di essere lacaniani riguarda voi, non me!
“E come per questo l’espressione: ‘diede la vita al Figlio’, è da
intendere ‘generò il Figlio che è la vita’, così anche quando è detto: ‘diede
al Figlio la dottrina’ è da intendere ‘generò il Figlio che è la dottrina’.
Cosicché l’affermazione: La mia dottrina non è mia, ma di Colui che mi ha
mandato, va intesa come se il Signore avesse detto: ‘Io non sono da me
stesso [non procedo da me stesso] ma da Colui che mi ha mandato’”.
Sant’Agostino è semplicissimo: “Ego non sum a me ipso sed ab illo qui
me misit”! E quanti sono i teopompi, gli psicopompi che si proclamano
come coloro che sono da se stessi!
Qui c’è già la missione del figlio, ma c’è anche l’ammissione. Non c’è
ammissione, quando si dice “io vengo da me, sono da me, procedo da
me”. “Io non procedo da me stesso, ma da Colui che mi ha mandato”. Il
figlio non è causa, non è causa sui! Mi pare un brano difficile, sì, ma
importante. Non c’è soggetto.
Dall’equipe clinica della domenica mattina, essenziale, sorgono molte novità rispetto all’esperienza del ’97. I ragazzi e le ragazze del ’97 sono
il nuovo Movimento freudiano internazionale, sono la nuova Associazione cifrematica internazionale, sono la nuova Fondazione. Noi stiamo
verificando quanti sono e chi sono i ragazzi del ’97!
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IL SECONDO RINASCIMENTO
ELISABETTA COSTA Che cosa intende sant’Agostino con il termine
servus?
A. V. Servus è un termine che abbiamo indagato: da sero, quindi sermo,
sermone, discorso, series, la serie. Sant’Agostino dice “la forma di servo”
e distingue tra Filius come Dio e Filius come uomo. Uomo sarebbe la
forma di servo. Per l’intero volume, egli elabora questo. Lo stesso servus,
tuttavia, se leggiamo con attenzione, non è il figlio morto, il figlio mostro,
il figlio pazzo o il figlio aborto.
Servus come significante, cioè uomo come significante, è nella serie
dei significanti. La serie giunge, in questo caso, alla lettera, ma giunge
anche al servus come cifra. E, qui, abbiamo il termine robot, ovvero
ancora servus. È curioso che, nella lingua slava, robot significhi anche
lavoro (rabòta). In questa accezione, servus è anche la cifra nella sembianza: sarebbe la qualità della serie o delle serie, in particolare, la qualità
della sembianza.
E. C. Nel Manifesto del secondo rinascimento, Lei scrive: “Edipo e Cristo
risultano i due emblemi del secondo rinascimento: Edipo perché l’inconscio esclude il capro espiatorio; e Cristo perché l’atto è sessuale anziché
di servizio”.
A. V. Qui s’intende che l’atto non è di servizio, nel senso che l’atto non
serve. Il protestantesimo e il calvinismo si chiedono continuamente: a
che serve l’atto? Per la filosofia della riforma la verginità non esiste…
Che cosa immaginano quelli che sant’Agostino chiama gli empi? Che
il servus non sia significante, non sia differente da sé, ma che sia un
significante naturale, identico a sé. Il significante identico a sé è, né più
né meno, il fantasma della morte del figlio (o del figlio mostro o del figlio
pazzo o del figlio aborto).
Gli empi non vedranno Dio neppure nel giudizio universale (stiamo
leggendo la visione di Dio secondo sant’Agostino), vedranno un uomo
figlio di papà e mamma. Avranno una visione intimista, che corrisponde
al pettegolezzo. La loro condanna sarà una condanna al pettegolezzo!
Sant’Agostino ha questo modo di procedere: così, le obiezioni, la
trattazione, la discussione, il dibattito, poi sempre, in ciascun paragrafo,
la conclusione.
Charles S. Peirce. L’abduzione dell’Altro è la base del miracolo
Leggo a pagina 37 del libro di Thomas Sebeok Il gioco del fantasticare
(Spirali 1984), il brano intorno a Charles Sanders Peirce e all’abduzione,
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IL SECONDO RINASCIMENTO
per capire quanto l’intervento dello psicanalista e del cifrante sia lontano
dalla morale. (Per inciso, vorrei “vietare”, per dir così, che sia adoperato
il termine “cifrante” in manifesti e depliant da parte di chi non si trova
nemmeno nella tripartizione. Noi siamo ragazzi del ’97 e i ragazzi del ’97
hanno dispositivi nuovi!)
Leggiamo dunque il brano che incomincia così:
Venerdì 20 giugno 1879, Charles S. Peirce s’imbarcò a Boston, sul vapore Bristol della
compagnia Fall River, diretto a New York [...] Al suo arrivo a New York, il mattino
seguente, egli provò una “strana, confusa sensazione” alla testa, che attribuì all’aria
viziata della sua cabina. Si vestì in gran fretta e lasciò la nave. Nella smania di prendere
un po’ d’aria fresca, egli dimenticò il soprabito e un costoso orologio Tiffany ad ancora,
che gli era stato comprato dal governo statunitense per il suo lavoro con il Coast Survey.
Subito accortosi della distrazione, Peirce si precipitò di nuovo sulla nave, ma solo per
trovare che i suoi oggetti erano scomparsi; a questo punto, posto di fronte a quella che
egli avrebbe considerato “una vergogna professionale per tutta la vita” qualora non
fosse stato in grado di restituire l’orologio in perfette condizioni, egli ci racconta che
“dopo aver fatto allineare tutti i camerieri di colore, indipendentemente dal ponte cui
appartenevano [...] andai da un capo all’altro della fila, e parlai per un poco a ognuno,
nella maniera più dégagé possibile: qualunque argomento potesse suscitare l’interesse
del mio interlocutore andava bene, purché questi non s’insospettisse e io potessi
sembrare tanto sciocco da riuscire a scoprire qualche sintomo del furto commesso.
Quando ebbi percorsa tutta la fila mi voltai e mi allontanai da loro, senza però
andarmene via, e dissi a me stesso ‘Neppure il minimo barlume di luce!’ [Ha dietro di
sé la tenebra! Si allontana, si avvicina, si allontana. La tenebra è essenziale, Leonardo dice
che è il nulla]. Ma allora, il mio altro io (dato che i nostri scambi interiori sono sempre
in forma di dialogo) mi disse ‘Ma tu devi semplicemente puntare il dito sulla persona.
Anche se non ne hai alcuna ragione, devi dire chi tu pensi sia il ladro’. Così camminando
feci un piccolo giro (non era passato nemmeno un minuto) e quando mi voltai verso di
loro ogni ombra di dubbio era svanita. Non c’era alcuna autocritica (tutto questo sarebbe
stato fuori luogo) (Peirce 1929: 271).
Peirce indica il ladro. Vengono fatte le indagini. In un primo tempo,
gli investigatori non tengono conto delle indicazioni di Peirce e seguono
una pista sbagliata; finalmente, si convincono e arrivano alla conclusione che il ladro è proprio la persona che Peirce aveva indicato fin
dall’inizio, contro il loro parere. È questa l’abduzione dell’Altro. Peirce
mostra quale sia l’atteggiamento della polizia. La polizia è mossa
dall’ideologia del sospetto: esamina tutti coloro che sono sulla nave e, in
base ai precedenti, alla plausibilità, alla verosimiglianza, stabilisce quale
sia la persona da pedinare. Evidentemente, sbaglia. Però, poiché si tratta
di procedura anglosassone, il presunto colpevole non viene arrestato e
non lo si costringe a provare che è innocente. Peirce, invece, segue
un’altra logica: egli formula un’ipotesi che non è il sospetto. È l’abduzione.
O retroduzione.
57
IL SECONDO RINASCIMENTO
Scrive Peirce: “Nel campo della conoscenza non si può fare il più
piccolo passo al di là del semplice guardare, senza compiere un’abduzione
ogni momento” (Ms. 692).
L’abduzione dell’Altro è la base del miracolo. Questo brano l’ho ripreso
direttamente da Peirce, quando discutevamo, nell’estate del ’79, alla
clinica universitaria leggendo anche Schreber. [Dal 12 luglio 1979, ogni
giovedì, presso la Clinica psichiatrica dell’Università di Milano, in via
Besta 1, si riuniva il Collettivo di studio sul tema Struttura della paranoia.
Lettura del testo di Daniel Paul Schreber. Alcune di quelle conferenze sono
state pubblicate: Dalla parabola alla cifra, in “Vel” 12 (nuova serie 1), 1980;
Quell’autore dei drammi di Shakespeare, in “Clinica”, 1, 1980; Il tempo della
roulette, in “Spirali”, ottobre 1979; La mitologia schreberiana, in occasione
della presentazione del film di Marco Ferreri Chiedo asilo, in “Spirali”,
novembre 1979. Di molte altre esistono gli appunti, che potrebbero
essere utilizzati. Inoltre, troverete molti elementi di quell’elaborazione
nel libro La peste].
Lo psicanalista può essere depresso?
A. V. Ci sono altre domande?
GALA GAIVORONSKAJA La professione di psicanalista ha qualche
effetto sullo stesso psicanalista? Ci sono casi di depressione fra gli
psicanalisti...
A. V. Formuliamo in altro modo: lo psicanalista può diventare
imbecille? Lo psicanalista può diventare idiota? Lo psicanalista può
diventare stupido? Lo psicanalista può diventare alcolista? Lo psicanalista può abbattersi, può rassegnarsi, può lasciarsi andare?
Ecco, sono tutte domande mal poste. Perché stiamo dicendo una serie
di ossimori. Se si lascia andare, non è psicanalista e, quindi, la questione
non si pone. Se si abbatte, non è psicanalista; se si rassegna, non è
psicanalista; se abdica, non è psicanalista.
Ma lo psicanalista non è uno statuto sociale! Non c’è scampo per lo
psicanalista come tale, perché non c’è psicanalisi come tale. Psicanalista,
perché no — abbiamo indicato nel Giardino dell’automa lo psicanalista
accanto al termine cifrante. E non è la stessa cosa. Ho parlato d’intervento dello psicanalista. Quando diciamo che lo psicanalista occupa la
posizione di sembiante, diciamo lo psicanalista come maschera. Posizione impossibile.
La psicanalisi, come esperienza originaria della parola, non può tenersi senza
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IL SECONDO RINASCIMENTO
la tripartizione dell’esperienza stessa e senza la mia conferenza al sabato
pomeriggio alle quattro (che si tiene dal ’73), senza l’assemblea, l’equipe clinica,
i seminari, insomma, senza questo ingresso nel ritmo, nella storia e nella
geografia, in cui la psicanalisi esiste.
Esiste altrove la psicanalisi? No! Quella che viene chiamata psicanalisi non è psicanalisi — nessun interesse per la psicoterapia.
Nella psicoterapia, è possibile che lo psicoterapeuta sia depresso? Ma
se fa psicoterapia è già depresso! Lo psicoterapeuta è depresso per
definizione. È un depresso che accetta il suo stato e che trova un
compromesso sociale, cioè erotico, politico, ideologico con la persona
che si ritrova come paziente.
Consideriamo gli psichiatri che prendono gli psicofarmaci, gli psichiatri che si suicidano. Questo è all’ordine del giorno, della notte, del
mattino, della sera. Ci sono psichiatri che sono molto favorevoli agli
psicofarmaci e loro stessi prendono psicofarmaci.
Poi, c’è un caso straordinario, quello del dottor Marazzini, un’anomalia nella psichiatria lombarda. Negli anni sessanta, è entrato in un atelier
di arte dell’ospedale di Mombello, a Limbiate. Qui, si sono avvicendati
vari direttori, che lo hanno tollerato. “Uno psichiatra interessato all’arte,
alla fotografia, alla produzione artistica?”, devono avere detto. “Uno
psichiatra che s’interessa alla produzione da parte dei malati!”. L’ospedale psichiatrico non è più un reparto dell’ospedale civile se c’è un
interesse alla produzione da parte delle persone ricoverate.
Qui vedete le opere di una di queste persone. Aveva la moglie che gli
distruggeva le opere. Quando andava all’ospedale, il dottor Marazzini
gliele conservava; tornava a casa, e la moglie gliele distruggeva. Marazzini
è un artista, non un teorico, e la sua vita è legata all’atelier. A un certo
punto, si accosta a noi e interviene l’affaire. L’affaire ha implicazioni
anche per lui: uno sconquasso. Ogni tanto, mi telefona. Ho deciso di
pubblicare il suo caso. Il dottor Marazzini è un artista.
Trascrizione, non rivista dall’Autore, di Alessandro Atti.
A cura di Cristina Frua De Angeli.
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