Allonsanfàn
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Allonsanfàn
Regia: Paolo Taviani e Vittorio Taviani; sogg. e sceneg.: P. e V. Taviani; f.: Giuseppe Ruzzolini; mus.: Ennio Morricone; mont.: Roberto Perpignani; inter.: Marcello Mastroianni, Laura Betti, Lea Massari, Mimsy Farmer, Stanko Molnar, Bruno Cirino, Claudio Cassinelli; prod.: Giuliani G. De Negri Per "Una Cooperativa Cinematografica". Negli anni della Restaurazione, l'aristocratico lombardo Fulvio Imbriani, ex giacobino ed ex ufficiale di Bonaparte, dopo una lunga prigionia nelle carceri austriache in quanto membro della setta dei Fratelli Sublimi, viene rilasciato. Nella villa di famiglia in cui si rifugia, viene raggiunto dalla sua donna, Charlotte, che insieme agli ex-compagni di lotta riesce a convincerlo a partecipare a una spedizione rivoluzionaria nel Meridione. In realtà, Fulvio considera l'impresa fallimentare e non impedisce a sua sorella Esther di denunciare i congiurati. La trappola però, non scatta e sfuggiti all'arresto i confratelli si ritrovano per dare sepoltura a Charlotte, rimasta uccisa nel conflitto a fuoco con i gendarmi. Fulvio è ancora fra loro, nonostante i ripetuti tentativi di sottrarsi a quello che intuisce essere un fallimento. Arrivato nel sud, Fulvio troverà la morte insieme ai suoi compagni, massacrati dai soldati e dai contadini. (www.italica.rai.it) L'ultimo film di Paolo e Vittorio Taviani, ambientato nell'Italia settentrionale, si svolge all'indomani del Congresso di Vienna, sulle rovine dell'Impero napoleonico. È tempo di restaurazione in Europa, le conquiste della rivoluzione francese si sgretolano, gli antichi privilegi riprendono fiato, l'autorità stringe un pugno ferreo. Tuttavia, le idee sovversive stentano a morire: a tenerle deste sono i rivoluzionari irriducibili, le sette che complottano e affilano le armi nell'ombra, gli esuli, le minoranze ardite. La tentazione più forte, allorché l'orizzonte sembra scomparire in una fitta coltre nebbiosa, è di transigere, di mettersi in disparte, di rivendicare la priorità degli interessi e degli affetti privati. L'uomo civile si dimette, professa un opaco realismo, vuol dimenticarsi ed essere dimenticato, giudica folle chiunque non abbandoni la partita. Così è anche per Fulvio, il protagonista di Allonsanfàn, che uscito di galera si imbatte nei suoi compagni che lo attendono, timorosi che egli si sia lasciato scappare qualche nome e indirizzo sotto le torture degli sbirri. Non più giovane, una volta famoso musicista, di nobili origini, Fulvio è febbricitante, provato nel fisico dalla segregazione, desideroso di tranquillità: dirada ogni sospetto, ma non aspira ad altro che ad allontanarsi dagli amici che continuano a congiurare. Raggiunta la dimora della sorella Esther, (...) in principio finge di essere un frate a conoscenza delle traversie di Fulvio, per capire quali sentimenti si nutrono verso di lui; poi getta il mascheramento ed è salutato come un figlio prodigo. A romper l'armonia è Charlotte, la moglie di Fulvio, una ungherese allergica al conformismo, tutta presa dalla dedizione rivoluzionaria e pronta ad affidare ai Fratelli Sublimi, il gruppo cui anche il marito appartiene, denari e gioielli procurati per consentire una temeraria impresa nel Mezzogiorno. Non se ne farà niente, poiché all'appuntamento con i settari sono stati chiamati da Esther i poliziotti. Charlotte muore raggiunta da un colpo di fucile; altri sono tratti in arresto; i più fortunati sfuggono all'imboscata; Fulvio, che progetta di emigrare in America, risentito per la vile condotta di Esther e propenso a staccarsi dai compagni, pianta la casa natale scosso da improvviso disgusto morale. Sepolta Charlotte e ripreso in consegna il figlio, accarezza ancora il proposito di imbarcarsi e di varcare l'Oceano ma non riesce a togliersi di dosso Lionello, Allonsanfàn, Tito e gli altri insieme con i quali ha diviso pene, sacrifici e speranze. Fulvio non è più un rivoluzionario che ha abdicato: è un sabotatore della causa. Uccide Lionello, circuisce la sua ragazza, non consegna i soldi per l'acquisto dei fucili, non compra il fabbisogno occorrente per la spedizione. Si ritrova ugualmente a bordo di un vascello che trasporta il gruppo di rivoluzionari sul luogo dello sbarco, stordito dalle droghe e incapace di sincerità. Mentre, indossate le camicie rosse, i suoi amici si apprestano a muovere incontro alle popolazioni contadine, Fulvio si precipita nella chiesa di un paese e denuncia a un prete i piani dei Fratelli Sublimi. Il sacerdote avvisa la polizia e si appella ai fedeli. Un accordo intercorre tra Fulvio e il prete: che i soldati non abbiano a sorprenderlo con la divisa dei rivoluzionari e nessuno lo toccherà. I contadini, aizzati contro «gli stranieri», travolgono i Fratelli Sublimi e li massacrano. Solo Allonsanfàn è stato risparmiato e ha rincorso Fulvio che, buttata la camicia rossa, sta appartandosi. In un delirio provocatogli dalle ferite, Allonsanfàn gli riferisce che il popolo si è unito ai liberatori. In lontananza si ode uno scampanio e per un attimo Fulvio, che dapprima non ha prestato credito ad Allonsanfàn, si convince che le cose sono andate contrariamente alle sue previsioni. Persuaso che la rivoluzione abbia vinto, si getta sulle spalle la camicia rossa: compare una pattuglia nemica e una fucilata lo abbatte sul terreno. Non diversamente dai film che lo hanno preceduto (Sotto il segno dello Scorpione, San Michele aveva un gallo) Allonsanfàn è un apologo metaforico in cui il contesto storico va inteso in senso lato, in quanto affacciarsi di circostanze riproducibili in epoche diverse. I Taviani amano le generalizzazioni e, alieni come sono dal naturalismo e dagli allettamenti del realismo classico, tendono all'astrazione. I costumi, la cornice architettonica, i rimandi temporali non ingannino: più che del passato, è anche del presente che si parla, mantenendo ogni riferimento in una allusività intessuta di accenni polisensici. L'intreccio, contrariamente ad altri film dei Taviani, vi ha maggior respiro a detrimento della sintesi espositiva, ma non della sfaccettatura dell'analisi, e l'interpretazione è concertata fuor di ogni possibile caduta di tono e di registro. Dopo tante prove deludenti, Allonsanfàn ci riconcilia con un Mastroianni che cesella sfumature ed è molto compreso del suo ruolo, attorniato da una cerchia di attori e di attrici lodevoli (...). Un film eccezionale, nello smorto panorama della nostra cinematografia, che nasce all'insegna della indipendenza produttiva e fa dell'intelligenza critica la sua bandiera. (Mino Argentieri, 13 settembre 1974) «Non ci si ribella sprofondando all'indietro», dice Lionello, uno dei «Fratelli Sublimi» a Fulvio: in questa battuta è il succo del film. E i Taviani in proposito chiarificano che «due anime nascono da una stessa disperazione, da una stessa impazienza per proiettarsi in due direzioni opposte con pari violenza: una è la direzione della regressione, della perdita di se stessi e del mondo; l'altra è quella del desiderio, del bisogno di vivere col mondo, rincorrendo un futuro magari ancor troppo futuro». ( Achille Valdata, «La Stampa», 5 settembre 1974)