Ex Fiera, nasce il Beaubourg alla milanese

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Ex Fiera, nasce il Beaubourg alla milanese
Corriere della Sera - MILANO sezione: Cronaca di Milano - data: 2008-03-16 num: - pag: 7
categoria: REDAZIONALE
Il piano Un cortile «ambrosiano» al centro del progetto di Libeskind. «Faremo
mostre su Boetti e la Transavanguardia»
Ex Fiera, nasce il Beaubourg alla milanese
Il Comune: Museo d'arte contemporanea entro il 2011. Sgarbi: bello,
sembra un panettone
Rispetto agli zigzaganti ampliamenti del Museo ebraico di Berlino e del Museo di Toronto, che
sono la sua griffe, il Museo d'arte contemporanea di Milano di Daniel Libeskind per CityLife —
che sarà presentato domani — si annuncia come un'architettura più compatta e meno di
percorso: «È un quadrato che ruota per formare un rombo — racconta Vittorio Sgarbi —: una
specie di panettone ». E avrà uno spazio caratterizzato da un elemento fortemente
ambrosiano: una cortile (circolare) interno.
Ma il «panettone» di Libeskind non è come quello di Natale che porta la pace in famiglia! Ogni
architettura, diceva Leon Battista Alberti, ha una madre (sempre certa), che è il progettista
(Libeskind), e ha un padre che è il committente e che, come da tradizione, è più incerto, da
prova del Dna specie se tra i padri ci può essere Sgarbi, che non rifiuta le paternità artistiche.
Lunedì l'assessore non sarà tra coloro che ufficialmente presenteranno il progetto «panettone
» (questione di «etichetta» fanno sapere dal Comune, visto che parla il sindaco). Ma Sgarbi
non dice proprio questo: «Non capisco cosa c'entri la Triennale e perché Rampello gestisca
l'iniziativa. Quel museo viene costruito con oneri di urbanizzazione del Comune, che è l'unico
referente. Io non ho visto carte che ne affidano l'incarico ad altri. L'invito di domani è un po'
improprio: perché c'è un marchio della Triennale in prima pagina? Al massimo Rampello
(presidente della Triennale,
ndr) è un consulente, non il committente».
«Strano», risponde Rampello, «con Sgarbi, il sindaco e l'assessore Masseroli eravamo tutti
d'accordo per questa iniziativa. A monte c'era un accordo tra CityLife e Triennale per realizzare
sulla ex fiera il Museo del design. Poiché questo è andato in Triennale, la Triennale stessa ha
continuato ad occuparsi, all'interno dell'accordo di programma, del museo che sorgerà qui. Ne
seguiamo la gestione strategica, stiamo affiancando il progettista per il concept ».
Di fatto la presentazione del Museo del contemporaneo da costruirsi per i 2011 sull'area
CityLife — dopo le proposte ai gasometri della Bovisa, all'Ansaldo, a Sesto San Giovanni (dove
potrebbe sorgerne un altro a firma di Renzo Piano) e al Padiglione 3 della Fiera — fa eruttare
un po' di lava a lungo riscaldatasi nel sottosuolo metropolitano. Sgarbi e Rampello sono
entrambi grandi comunicatori, legati al mondo dell'arte contemporanea, hanno lavorato in tv
(Mediaset), si occupano di musei, di fondi per i beni culturali, ed entrambi si sentono «padri »
del nuovo museo. Da un lato c'è il progetto di Rampello di una Triennale modello Biennale di
Venezia, ovvero fondazione per l'arte contemporanea su più poli. Dall'altro c'è Sgarbi che i
musei (Palazzo Reale, Arengario, Ansaldo, Contemporaneo...) li vuole gestire come
rappresentante della collettività.
Una polemica, questa, che ha già pronte due nuove tappe. La prima è su cosa mettere dentro
al nuovo museo. Sgarbi annuncia qualche linea: «Penso a Boetti, alla Transavanguardia, ma
poche opere, perché non è che possiamo prendiamo Jeff Koons a 20 milioni di dollari. Penso a
qualche collezione privata a rotazione. Ma penso a questo museo più come contenitore che
come contenuto, un po' Bilbao e un po' Beaubourg. Ci vuole un ristorante che funzioni sino a
mezzanotte». Rampello (d'accordo con il sindaco che molto lo apprezza) intende «pianificare
la gestione nei prossimi mesi».
Poi si profila un ulteriore terreno di confronto tra i due. È sull'idea, avanzata da Rampello, di
realizzare un centro per la fotografia e l'immagine con i fondi statali per i 150 anni dell'Unità
d'Italia. «Intanto vedremo cosa farà il nuovo governo. Secondo me quei soldi andrebbero
impiegati per Brera», già afferma di contro Sgarbi. «Inoltre, se i fondi non sono della
Triennale, è evidente che Rampello non può essere il committente». Ma non è escluso che sia
proprio un nuovo governo a non far deflagrare il rapporto tra i due, dirottandone uno a Roma
come sottosegretario ai Beni culturali.
Pierluigi Panza
Corriere della Sera - MILANO sezione: Cronaca di Milano - data: 2008-03-16 num: - pag: 6
categoria: REDAZIONALE
Arte, ricerca e design «Investire nella cultura
per far ripartire Milano»
Rampello, Triennale: basta indifferenza, la città torni laboratorio di idee
Dalla Bovisa ai Navigli ai palazzi di corso Venezia: no alla burocrazia, arte e cultura
devono tornare a sedurre i milanesi
«Anzitutto dobbiamo metterci d'accordo su cosa intendiamo per cultura». Perché se si vuole
cominciare da qui, e intraprendere un viaggio nella città delle arti con il presidente della
Triennale Davide Rampello, «bisogna fare chiarezza». E allora cultura è «attenzione verso
tutte le forme dell'essere». È «dare una visione "altra" del mondo». E «sensibilizzare la gente
in questa direzione». Questione non da poco. Perché Milano «è tutta una contraddizione».
Massimo di energia, innovazione, inventiva. Accanto, distrazione, indifferenza, interessi privati.
Benvenuti nella città del 2008, dove nascono musei nuovi, dove il cartellone teatrale è tra i più
ricchi d'Europa, dove si respira la sfida dell'Expo e i visitatori tipici delle mostre sono gli over
60, dove «non esistono più cantori» e «ci si chiude in nocive posizioni di rendita». Rampello la
racconta così, con le sue bellezze e le storture. Lanciando proposte e indicando gli obiettivi
«da raggiungere insieme a chiunque abbia l'energia e la voglia di fare cultura ». Qualche
nome? «Il sociologo Aldo Bonomi, la regista Andrée Ruth Shammah, Giulio Ballio e tutti i
rettori di questa fantastica città universitaria, don Virginio Colmegna e la sua straordinaria
energia, il designer Michele De Lucchi e la sua tensione spirituale, Italo Rota e la sua fantasia,
la raffinatezza di Pierluigi Cerri, la forza di Francesco Micheli». Qualcuno con cui credere, «cum
credere,
da qui nasce il temine concreto. E se ci contaminiamo diventiamo sempre di più e allora Milano
si può riscoprire ». Divulgare, sensibilizzare, amare. Rampello insiste su questi temi. «Chi
genera diffonde. La generosità è uno dei primi talenti. E invece a Milano vedo tanta
disattenzione ». Nessun fraintendimento, però: «Fare cultura non è una catechesi generale,
ma una sfida a toccare il maggior numero di anime. Io ci credo e vado avanti».
Nel suo studio al terzo piano della Triennale, Rampello programma eventi, risponde ad
amministratori, lancia proposte — «voglio una gigantografia, altrimenti il pubblico non
capisce» — studia gli ultimi dettagli del museo di Arte contemporanea. «È faticoso lavorare
con tutti. Ma una città deve avere idee originali, anzi originarie, dettate dalla sensibilità» e
libere da intoppi burocratici «che sono il peggiore dei mali».
La cultura del fare nella metropoli che più ha sviluppato questo concetto, che ha fatto del
lavoro e del pragmatismo un tratto distintivo. Sembra quasi un paradosso, ma Rampello
insiste con l'accostare questa idea alle arti: «L'azione deve essere costante e non deve essere
toccata dall'indifferenza generale. C'è tutta una fascia di persone che aspetta di essere
sedotta dalla bellezza, c'è una città che vuole essere riscoperta e ricantata ».
Nuovi cantori per una nuova metropoli. Fatta di extracomunitari, di uomini d'affari che
arrivano da ogni parte del mondo, di storie non più legate a vecchie cartoline. «Milano si sta
rigenerando, nel senso delle nuove generazioni, e noi dobbiamo riconoscerla, senza
dimenticare le sue origini». Del resto — Rampello gioca ancora con le parole — «la memoria,
mnemosine,
è la madre delle arti ». Quindi il sogno: «Adunare attorno al Teatro dell'arte un gruppo di
autori teatrali che lavorino su storie della città, che la declinino». Perché «ora c'è ben poco».
Milano e i luoghi della cultura. Rampello ne indica qualcuno, tracciando un piccolo itinerario
d'autore. Quello «istituzionale» con il Castello, il Cenacolo, il museo della Scienza e della
tecnologia, il Poldi Pezzoli. Quello architettonico: Palazzo Moretti in corso Italia, corso Venezia e
via Statuto «che sono un dizionario dell'architettura». Poi i Navigli: «Che bello uscire da Milano
accompagnati dalle vie d'acqua, non ci si sente mai soli». E infine il posto del cuore: la Bovisa.
«Non c'è niente di più bello che osservare il tramonto scendere tra il gasometro e la stazione
di Villapizzone ».
Dichiarazione d'amore di un veneto che Milano se la sente «come un abito». Perché «qui si fa
design, pubblicità, editoria, moda, finanza, ricerca. Quale città così piccola può vantare una
così profonda densità di progettualità? ». E anche i brianzoli «con i nanetti in giardino»,
insomma anche loro, «hanno la tenacia di reinventare la vita e allora questo è un terreno
fertile per le arti che sono il modo più libero dell'uomo di disegnare se stesso. Ecco perché
sono fondamentali».
Annachiara Sacchi