COGNOMI ITALIANI
Transcript
COGNOMI ITALIANI
TITOLO: L’Italia dei Cognomi SOTTOTITOLO: L’antroponimia italiana nel quadro mediterraneo AUTORI: A. Addobbati, R. Bizzocchi, G. Salinero (a cura di) ISBN 978-88-6741-001-9 ANNO 2012 prezzo: euro 24,00 formato: 15x21 1 tomo cucito filo refe n.pagine: 600 presenza illustrazioni: NO Collana di appartenenza: Saggi e studi Area di appartenenza: didattica e ricerca tipologia: varia Peso: Descrizione: La raccolta di saggi e ricerche curata da Andrea Addobbati, Roberto Bizzocchi e Gregorio Salinero è uno dei primi risultati di un percorso d'indagine nuovo e promettente in materia di antroponomastica. Al centro delle riflessioni del gruppo di ricercatori è il problema del cognome, o nome di famiglia: quando si è formato? In relazione a quali esigenze? La sua adozione è stata un'acquisizione definitiva, o ci sono state forme di denominazione concorrenti che ne hanno limitato e contrastato l'affermazione? Una serie d'interrogativi su cui sono stati chiamati a cimentarsi specialisti di diverse discipline, dai linguisti, cui tradizionalmente compete il campo dell'onomastica, agli storici e agli antropologi, più portati ad indagare i contesti culturali ed economico sociali, dai giuristi e dagli storici del diritto, attenti agli aspetti istituzionali, ai demografi e agli esperti di statistica e di genetica. Attraverso una serie di puntuali sondaggi condotti su diverse aree del paese, dalle Alpi alla Sicilia, e per mezzo del confronto con le situazioni riscontrabili nel resto dell'Europa latina, l'Italia dei cognomi comincia oggi a riemergere dalle nebbie della storia facendoci intravedere le varie dinamiche sociali che ne hanno determinato la straordinaria complessità. Con i contributi di: A. Addobbati, R. Bizzocchi, G. Salinero, S. Collavini, R. Sánchez Rubio, I. Testón Núñez, C. Marcato, E. Spagnesi, J.de Pina-Cabral, P. Chareille, P. Rossi, S. Nelli, S. Barbero, R.L. Foti, A. Poloni, G. Alfani, J-F. Chauvard, G. Delillle, S. Pisano, F.F. Gallo, I. Puccinelli, L. Peruzzi, C. La Rocca, G. Camerini, M. Luzzati, S. Rivoira, E. Novi Chavarria, B. Vincent, E. Porqueres, M. Lenci. Indice Introduzione A. Addobbati 7 I. Approcci e strumenti I cognomi italiani fra società e istituzioni R. Bizzocchi 15 Recherche de la stabilité et recherches sur l’instabilité anthroponymique moderne G. Salinero 39 I cognomi italiani nel Medioevo: un bilancio storiografico S. Collavini 59 Situación y perspectiva de los estudios de antroponimia en la España Moderna R. Sánchez Rubio, I. Testón Núñez 75 I cognomi italiani: un profilo linguistico C. Marcato 123 I cognomi italiani: un profilo giuridico E. Spagnesi 137 Les noms de famille lusophones: une lecture anthropologique J. de Pina-Cabral 155 Anthroponymie et statistique: quelques outils d’analyse P. Chareille 169 La distribuzione dei cognomi come strumento per l’analisi sociale: l’esempio della docenza universitaria P. Rossi 203 Un progetto di analisi statistica dei dati genealogici relativi a Montecarlo di Lucca in età moderna S. Nelli, P. Rossi, R. Bizzocchi 209 II. Verifiche Precocità dell’affermazione del cognome nel Piemonte medievale S. Barbero 215 Ego Synibaldus. Per una storia della denominazione in Sicilia tra medioevo e età moderna. Corleone (1264-1593) R.L. Foti 231 Denominarsi e distinguersi nella montagna bergamasca. I cognomi di Castione della Presolana dal XIII al XVI secolo A. Poloni 305 Il cognome nei registri parrocchiali pre-tridentini dell’Italia settentrionale e gli effetti del Concilio di Trento G. Alfani 325 Come mai certi individui non hanno cognome? Pratiche di registrazione a Venezia attorno al Concilio di Trento J-F. Chauvard 345 Dal nome al cognome: la metamorfosi dei gruppi di discendenza. L’esempio dell’Italia meridionale G. Delille 365 Il cognome in Sardegna: riflessioni storico-linguistiche S. Pisano 379 “Il costume di esservi famiglie senza cognome”. Il caso dell’Abruzzo teramano nella prima metà dell’800 F.F. Gallo 399 III. Il caso toscano Un case-study: Montecarlo in Valdinievole dal Medioevo all’Ottocento S. Nelli 425 I cognomi nei registri dei battesimi di Pisa (1457-1557) I. Puccinelli 441 I cognomi della montagna pistoiese in età moderna L. Peruzzi 455 Fissazione e trasmissione dei cognomi in una città nuova (Livorno, XVI-XVII secc.) C. La Rocca 465 La memoria dei sacramenti. Un nuovo strumento per l’utilizzo delle registrazioni anagrafico-sacramentali nel campo dell’onomastica familiare G. Camerini 487 IV. Minoranze Per la storia dei cognomi ebraici di formazione italiana M. Luzzati 497 I nomi di famiglia nelle Valli valdesi S. Rivoira 511 I cognomi del popolo rom E. Novi Chavarria 531 L’anthroponymie et les minorités: le cas morisque B. Vincent 547 Les prénoms de famille: identifier en milieu xueta (Majorque) au XVIIe siècle E. Porqueres i Gené 561 Rinominarsi nell’Ottocento e nel Novecento M. Lenci 574 Abstracts 593 Indice dei nomi 617 Introduzione Andrea Addobbati Università di Pisa La presente raccolta di saggi curata da Roberto Bizzocchi, da Gregorio Salinero e da chi scrive è uno dei primi risultati di un percorso d’indagine in linea con le più aggiornate ricerche internazionali in materia d’antroponimia e storia dell’onomastica, sia per l’impianto metodologico interdisciplinare, sia per le questioni sollevate intorno all’oggetto d’indagine, sia per la valutazione dei risultati in un quadro articolato di comparazioni con le altre realtà dell’Europa latina. Al centro delle riflessioni del gruppo di ricerca è il problema specifico del cognome, o nome di famiglia: quando si è formato? E in relazione a quali esigenze? La sua adozione è stata un’acquisizione definitiva, o ci sono state forme di denominazione concorrenti che ne hanno limitato e contrastato l’affermazione? Una serie d’interrogativi su cui si sono cimentati specialisti di diverse discipline, dai linguisti, cui tradizionalmente compete il campo dell’onomastica, agli storici e agli antropologi, più portati ad indagare i contesti economico sociali del fenomeno e tutte le loro implicazioni culturali, ai giuristi e storici del diritto, ai demografi, agli esperti di statistica e di genetica. Tenendo presente gli studi condotti in ambiti linguistici e culturali diversi dal nostro – specie in quello anglosassone, che vanta in proposito una certa tradizione legata per lo più agli interessi genealogici della sua storiografia –, gli autori dei saggi contenuti nel volume hanno innanzi tutto delimitato il campo d’indagine all’area culturale latina, prestando poi speciale attenzione all’antroponimia storica dell’Italia, cui sono state dedicate approfondite indagini documentarie e case studies che rendono quanto mai urgente una profonda revisione di molti assunti teorici fin qui invalsi. Per quanto nuove e interessanti, almeno a giudizio di chi scrive, le ricerche che andiamo presentando non sorgono tuttavia dal nulla, si pongono, infatti, in prosecuzione ideale di un ben consolidato indirizzo di ricerca, il quale, senza poter disporre di una massa di dati e di una letteratura tanto vasta come quella che contraddistingue la tradizione anglosassone, ha tuttavia al suo attivo due puntualizzazioni teoriche significative nella 8 Andrea Addobbati cospicua raccolta di studi coordinata da Monique Bourin alla fine degli anni Ottanta (Genèse médiévale de l’anthroponymie moderne), e nelle più recenti ricerche del gruppo franco-iberico coordinato da Gregorio Salinero (Un juego de engaños, 2010). Entrambi questi contributi, e in particolare il secondo, ripensando i processi di cognominazione alla luce dei fenomeni migratori, hanno messo fortemente in discussione l’idea di una sostanziale stabilità antroponimica nel corso del tempo, che, solitamente tenuta per presupposto, aveva indotto ad esempio i genetisti a identificare nel cognome un marcatore tutto sommato non problematico dell’eredità genetica. La proposta di Roberto Bizzocchi d’indagare in maniera sistematica e interdisciplinare la questione del nome di famiglia data da diversi anni, ma è solo nel 2008 che un primo gruppo di studiosi, in gran parte giovani, ha potuto raccogliere la sfida. Ottenuto un finanziamento dall’Università di Pisa, il gruppo ha potuto iniziare le sue ricerche aggregando diversi altri colleghi italiani. In un secondo tempo, avvertendo la necessità di un confronto con gli studi condotti in altri ambiti nazionali, il gruppo italiano ha avviato un proficuo rapporto di collaborazione con «Mobilité et Anthroponymie», il sopra ricordato gruppo di specialisti coordinato da Salinero e formato da studiosi e ricercatori dell’Università di Extremadura, dell’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, dell’École Française di Roma e infine dell’Università Parigi I - Sorbonne, che ha ritenuto di partecipare al progetto pisano, sia sul piano scientifico, sia condividendone gli oneri. La collaborazione internazionale ha permesso di fare il punto sullo stato della ricerca italiana, e di raffrontarla con i problemi incontrati dai ricercatori che operano in Francia e in Spagna. L’acquisizione più rilevante dal punto di vista della costruzione di un quadro teorico relativo al caso italiano è stata la presa d’atto di una spiccata indeterminatezza del processo di diffusione e fissazione del cognome, se paragonato a quel che avviene nel resto dell’Europa latina, e anche di una profonda frattura, almeno dal punto di vista delle evidenze documentarie, tra l’Italia Settentrionale e quella Centrale. Nel Mezzogiorno, nonostante la ricerca in questo caso non disponga ancora di dati sufficienti, l’avvento del cognome sembra che abbia seguito una periodizzazione più in linea con quella riscontrata al Nord. Le diversità regionali appaiono quindi piuttosto marcate, con una precocità della fissazione ereditaria a Venezia, nelle aree urbane della Lombardia padana e anche in Piemonte dove la generalizzazione dell’uso del cognome pare aver preso le mosse già nel Introduzione 9 XIII secolo, per affermarsi completamente agli inizi del XVII, in un’epoca in cui le popolazioni dell’Italia Centrale (Toscana, Marche, Romagna, Abruzzi) sono invece ben lontane da questo cambiamento antroponimico. Al centro della Penisola, infatti, specie nelle aree rurali, permangono per buona parte dell’Età Moderna, e spesso sono prevalenti, forme d’identificazione alternative, ottenute affiancando al nome di battesimo specificazioni patronimiche, toponomastiche, soprannomi, indicazioni di mestieri e appellativi diversi, che se in alcuni casi possono assolvere la stessa funzione del cognome, e designare il lignaggio d’appartenenza, non sono però ancora divenute delle designazioni stabili e ereditarie. La spiegazione di questo “ritardo” pare che debba essere ricondotta ad un concorso di cause, da una parte alla prassi amministrativa, più omogenea e uniforme al Nord, ma dall’altra alla dialettica infracomunitaria, che assume diversa strutturazione a seconda delle modalità di insediamento sul territorio, del particolare regime della proprietà, delle varie articolazioni economico-sociali, favorendo quelle forme di auto-rappresentazione dell’individuo più appropriate al contesto in cui devono essere spese. D’altra parte, le designazioni alternative non sono di per sé motivo sufficiente per supporre che le regioni che ne sono interessate vadano del tutto esenti da forme cognominali. Si deve invece pensare, nella maggioranza dei casi, al fenomeno della «evanescenza documentaria» del cognome, il quale, lungi dall’essere l’elemento cardine, di uso universale in ogni procedimento d’identificazione – come dimostra eloquentemente la persistente prassi burocratica di indicizzare i repertori di cancelleria al nome di battesimo – è solo uno dei molti elementi connotativi del nome, più utile per alcune funzioni civili, e molto meno per altre. La riconsiderazione del cognome, inteso d’ora in poi come una designazione familiare suscettibile di modificazioni, di connotazioni che lo specificano – e spesso lo soppiantano –, e la cui ereditarietà resta esposta alle vicissitudini storiche della famiglia – come il genotipo alla mutazione di un gene –, ha introdotto, con gli studi di cui si discorre, una nuova visione dei processi di cognominazione. Le stesse apparizioni storicodocumentarie di sistemi cognominali alternativi non possono più essere interpretate come le spie di stadi evolutivi qualitativamente differenti all’interno di un processo tutto sommato unitario e coerente, i cui esiti siano già compiuti, e in maniera irreversibile, verso la fine del Medioevo. Né possono essere spiegate in maniera semplicistica addebitandole alla negligenza e trascuratezza degli ufficiali, ecclesiastici o secolari, preposti all’identificazione; aspetto che pure occorre rilevare e tenere presente, 10 Andrea Addobbati ma che rimanda piuttosto ad un’incertezza di ordine relazionale che chiede di essere spiegata, e non ad una circostanza accidentale e in fondo ininfluente rispetto alla “fatale” omologazione delle procedure. Dalle molte ricerche contenute nel volume, e specie dalle indagini microstoriche che focalizzano l’attenzione su alcune piccole comunità (Montecarlo di Lucca, Castione della Presolana, Corleone, la Montagna Pistoiese ecc.) il nome di famiglia acquista, in una prospettiva diacronica di lungo periodo, le sembianze di un proteo, le cui metamorfosi presentano una casistica tanto varia quanto gli eventi che le suscitano, legati alla vita economica e sociale, alle ripartizioni delle proprietà, alla loro trasmissione ereditaria, alle tipologie d’insediamento, alle migrazioni ecc. Il cognome rimane esposto, in alcune aree più a lungo (Italia Centrale), in altre meno (Italia Settentrionale), a ricorrenti manipolazioni per opera degli attori che se ne avvalgono, ma che più spesso di quanto non si creda, possono anche decidere, pur possedendone uno, di farne a meno, e di non usarlo, preferendogli magari designazioni alternative ritenute più cogenti e pertinenti all’interno di un dato contesto comunitario, come i patronimici, le appartenenze di mestiere, gli appellativi, i soprannomi ecc. La fissazione dell’odierno sistema cognominale non è, allora, il rispecchiamento “fenotipico” del retaggio genetico di famiglie e parentele, né l’esito naturale e spontaneo dell’ovvia esigenza di disambiguazione delle identità sociali, impostosi per di più in un arco di tempo relativamente breve, ma è il frutto invece di un faticoso processo iniziato nel Medioevo e protrattosi per buona parte dell’Età Moderna, nel corso della quale, poi, furono soprattutto le istanze disciplinatrici delle istituzioni, dal censimento delle anime della Controriforma, al governo dei corpi dello stato moderno, ad imprimere finalmente una fissità burocratica all’uso, troppo spesso instabile ed evanescente, delle designazioni familiari. È qui, nella dialettica società-istituzioni, l’altro polo problematico su cui si appuntano le analisi di diversi contributi contenuti nel volume. Le anagrafi sacramentali – gli stati delle anime e i libri di battesimo, matrimonio e sepolture – permettono di riconnettere le oscillazioni semantiche del cognome alle ramificazioni genealogiche e alle modificazioni del contesto economico sociale in cui il lignaggio è storicamente radicato, ma non sono registrazioni che fotografano fedelmente una realtà, e per quanto siano istituzionalmente controllate, risentono in qualche misura della personalità del registrante, il quale può interpretare il suo ruolo in maniera più o meno aderente a quelle che sono le intenzioni dell’istituzione che rappresenta. Questo “soggettivismo” Introduzione 11 amministrativo, di cui nel volume si forniscono numerose riprove, è particolarmente marcato tra i ministri del culto almeno fino al Settecento inoltrato, e se da una parte può far da velo alle consuetudini onomastiche che in qualche modo la Chiesa intende di rappresentare, dall’altra è una buona cartina tornasole della dialettica centro-periferia in ordine al problema delle identificazioni. Il fatto è che il parroco non è un vero funzionario, capace cioè di prendere le distanze dalla società, e di farsi anonimo interprete delle istituzioni; è invece una figura mediatrice situata su un confine: un amministratore periferico della struttura ecclesiale post-tridentina, e nello stesso tempo è l’espressione di una data comunità all’interno dell’istituzione. E questo significa che delle due funzioni riunite in una medesima persona può prevalere al momento delle registrazioni, e a seconda dei casi, ora l’una ora l’altra, mescolando, nello stesso genere di fonti, linguaggi e logiche onomastiche differenti, ora più comunitarie, ora più istituzionali. Questa circostanza, se da una parte deve rendere cauto il ricercatore sul significato da attribuire alle discontinuità onomastiche, che devono perciò essere comprovate da uno spettro ampio di fonti documentarie di diversa natura – ed ecco ancora riemergere l’importanza strategica della microanalisi –, dall’altra è la migliore testimonianza della persistente compresenza di sistemi onomastici concorrenti, e del debole apporto performativo della Chiesa cattolica riguardo alla fissazione dei nomi di famiglia. I provvedimenti anagrafici approvati dal Concilio allo scopo di garantire una più attenta cura delle anime e l’accertamento delle cause impedenti le unioni matrimoniali sono stati fin qui identificati come il principale point tournant antroponimico dell’Età Moderna, per il semplice fatto di aver presupposto come paradigma dell’identità civile e religiosa il sistema “nome di battesimo + nome del casato, o della famiglia”. E non c’è alcun dubbio che nelle istruzioni diramate ai ministri del culto incaricati delle anagrafi sacramentali s’insistesse su questo punto. D’altra parte, una simile periodizzazione non regge del tutto al vaglio della critica. Se le grandezze statistiche ricavabili dagli atti anagrafici sacramentali sembrerebbero confermare l’idea di una generalizzazione del cognome in Italia entro la prima metà del ’600, le ricostruzioni genealogiche, come quella di Nelli per Montecarlo, e le molte attestazioni onomastiche contenute nelle più diverse fonti documentarie, compresi gli atti aventi valore legale, ci mostrano invece un mondo molto meno omogeneo, caratterizzato da una persistente instabilità del cognome e da un’inattesa vitalità delle designazioni alternative. La ricognizione anagrafica 12 Andrea Addobbati promossa dal Concilio, pur importantissima per la canonizzazione del paradigma, parrebbe troppo invischiata nelle logiche comunitarie per svolgere quell’azione così incisiva che normalmente gli è attribuita. Per vincere l’inerzia delle designazioni alternative sarebbe stato necessario un personale burocratico più disciplinato, e anche diversamente motivato, perché d’altra parte è chiaro che gli intendimenti della Chiesa posttridentina, relativamente al controllo anagrafico sulla popolazione, furono molto diversi e molto distanti dalla forte volontà razionalizzatrice delle burocrazie statali dell’800. La politica anagrafica dello stato post-rivoluzionario, a differenza di quella tradizionale ecclesiastica, non concederà, infatti, alcun margine di negoziazione in materia d’identificazione degli individui. Tutto il suo rigore poliziesco sarà ben esemplificato dal formulario a stampa, un ritrovato tanto semplice quanto drastico, capace di ridurre l’arbitrio interpretativo, imprimendo così regolarità a tutta l’azione amministrativa. Alle molte ambiguità onomastiche dell’Antico Regime i nuovi formulari della burocrazia napoleonica non riservarono alcuna casella. I cognomi italiani fra società e istituzioni Roberto Bizzocchi Università di Pisa Introducendo nel 1978 il suo Dizionario dei cognomi italiani, Emidio De Felice sottolineava in modo categorico la natura principalmente linguistica di ogni indagine onomastica1. L’affermazione, in sé difficilmente contestabile, trova riscontro nel fatto che, per esempio, anche nel paese straniero tradizionalmente a noi più vicino sul piano culturale, la Francia, sia stato un eminente linguista a produrre il libro di sintesi cui si fa tuttora riferimento per i cognomi2. E riceve comunque conferma dall’ammirevole qualità e abbondanza del lavoro che i linguisti italiani hanno continuato a fare durante gli ultimi decenni nel campo dell’onomastica, e più particolarmente dell’antroponomastica. Mi limiterò qui a ricordare la realizzazione di due opere monumentali: i due recenti dizionari dei nomi e dei cognomi; la pubblicazione di due agili e preziose sintesi introduttive alla materia, utili anche per le indicazioni bibliografiche che contengono; infine l’esistenza, dal 1995, di una rivista che svolge bene il compito di promuovere nuove ricerche e informare a tappeto su quelle concluse o in corso sia in Italia che all’estero3. 1 E. De Felice, Dizionario dei cognomi italiani, Milano, Mondadori, 1978, p. 9. Lo stesso De Felice pubblicò due anni più tardi un’importante ricerca, contenente molte notevoli, anche se non sempre condivisibili, valutazioni di carattere storico: I cognomi italiani. Rilevamenti quantitativi dagli elenchi telefonici: informazioni socio-economiche e culturali, onomastiche e linguistiche, Bologna, il Mulino e Torino, Seat, 1980. 2 Mi riferisco al libro di A. Dauzat, Traité d’anthroponymie française. Les noms de famille en France, Paris, Payot, 19492, che mostra comunque una buona attenzione ai contesti storici e alla natura storica delle fonti usate dai linguisti. 3 I dizionari: A. Rossebastiano, E. Papa, I nomi di persona in Italia: dizionario storico ed etimologico, 2 voll., Torino, Utet, 2005; E. Caffarelli, C. Marcato, I cognomi d’Italia: dizionario storico ed etimologico, 2 voll., Torino, Utet, 2008. Le sintesi: G. Raimondi, L. Revelli, E. Papa, L’antroponomastica: elementi di metodo, Torino, Libreria Stampatori, 2005; C. Marcato, Nomi di persona, nomi di luogo. Introduzione all’onomastica italiana, Bologna, il Mulino, 2009. La rivista, che ovviamente è aperta ai contributi dei non linguisti, è “Rivista Italiana di Onomastica” (RIOn). 16 Roberto Bizzocchi Con tutto questo, è chiaro – e i colleghi linguisti sono i primi a saperlo – che l’antroponimia presenta anche un aspetto storico di fondamentale rilievo; e ciò non solo per il carattere storico della maggior parte delle fonti che permettono di studiarla, ma anche perché la storia della denominazione è una componente significativa della storia in generale. Qui non posso entrare nel merito della decisiva svolta impressa già verso metà Settecento agli studi antroponomastici italiani da due memorabili dissertazioni di Ludovico Antonio Muratori, rispettivamente sui nomi e soprannomi la prima, sui cognomi la seconda, le quali richiederebbero, anche per alcune loro feconde incongruenze, un approfondito discorso a sé4. Per partire da tempi a noi più vicini, occorre tener presente che il rapporto fra identità e nome è stato ed è uno dei grandi temi dell’antropologia e dell’antropologia storica, fin dalle pagine famose di Lévi-Strauss nel Pensiero selvaggio sul processo di denominazione come parte di un sistema di categorizzazione sociale5. La bibliografia storica sui nomi (termine che, per chiarezza, d’ora in avanti userò solo in senso generico, distinguendo al caso fra prenomi, cognomi, soprannomi) è ormai imponente. Senza presumere nemmeno di toccarne tutte le tendenze principali, accennerò ora rapidamente ad alcuni orientamenti di fondo, che costituiscono il quadro col quale abbiamo confrontato i lavori del gruppo di ricerca di cui presentiamo qui i primi risultati. Gli sviluppi dell’impostazione socio-antropologica e antropologicoculturale del tema sono numerosi e di grande interesse. Oltre che la questione basilare del rapporto fra nome e identità, essi riguardano fra l’altro il nesso con le strutture sociali comunitarie, coi cicli di sviluppo familiare e coi diversi sistemi di trasmissione dei patrimoni6; le implicazioni affettive, religiose, politiche e mediatiche della scelta del prenome7; le vicende delicate, spesso dolorose, dei cambiamenti di nome 4 L.A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevi, tomo III, Milano, Tipografia della Società Palatina, 1740, dissertazioni 41 e 42. 5 Per un aggiornamento, vedi T. Russo, Sistemi antroponimici e identità personale: appunti sulla semantica dei nomi propri di persona, “Rivista Italiana di Onomastica”, VIII (2002-1), pp. 29-57. 6 I sistemi di denominazione nelle società europee e i cicli di sviluppo familiare = “L’Uomo”, VII (1983), 1-2; Name and social structure. Examples from Southeast Europe, ed. by P.H. Stahl, Columbia University Press, 1998; Name und Gesellschaft. Soziale und historische Aspekte der Namengebung und Namenentwicklung, hrsg. von J. Eichhoff, W. Seibicke und M. Wolffsohn, Mannheim, Leipzig, Wien, Zürich, Dudenverlag, 2001. 7 Le prénom. Mode et histoire, Recueil de contributions préparé par J. Dupâquier, A. I cognomi italiani fra società e istituzioni 17 imposti e variamente subiti e accettati da gruppi e persone appartenenti alle minoranze, e per contro le novità introdotte nella disciplina dei cognomi in seguito alla promulgazione recente di leggi liberali nei paesi occidentali8; la duttile disponibilità del soprannome nel sopperire alle funzioni di definizione e indicazione perse col processo di inevitabile desemantizzazione di nomi e cognomi9. Non mancano neppure ambiziosi tentativi di sintesi10. Un asse portante della ricerca onomastica è stato ovviamente quello del legame con la storia della famiglia. Il legame concerne anche la casistica della scelta dei prenomi: segnalo, fra tante altre che lo dimostrano, una ricerca dedicata all’isola di Procida, notevole per la sensibilità con cui mette in rilievo l’elemento femminile in un gioco di denominazioni in cui la stessa devozione per i santi più venerati si combina e si accorda con la fedeltà ai tradizionali prenomi familiari11. Quanto agli studi sui cognomi, il comprensibile dominio esercitatovi dall’orizzonte della storia della famiglia è stato così forte ed esclusivo da arrivare a produrre una quasi totale sovrapposizione delle due aree. Come esempio limite, ma rappresentativo, si può indicare quello della storiografia britannica sul tema, la quale, nell’ottica di una solida e attendibile pratica di storia locale, può arrivare a proporre la storia dei cognomi come via maestra per la ricostruzione genealogica e araldica delle origini12. Rispetto a una tale linea di ricerca, e più in generale alla tendenza all’identificazione fra nome e famiglia, che è anche spesso presupposizione Bideau, M-E. Ducreux, Paris, Editions de l’EHESS, 1984; E. De Felice, Nomi e cultura. Riflessi della cultura italiana dell’Ottocento e del Novecento, Venezia, Marsilio, 1987; S. Pivato, Il nome e la storia. Onomastica e religioni politiche nell’Italia contemporanea, Bologna, il Mulino, 1999. 8 N. Lapierre, Changer de nom (1995), Paris, Gallimard, 2006; Le Nom dans les sociétés occidentales contemporaines, dirigé par A. Fine et F-R. Ouellette, Toulouse, Presses Universitaires du Mirail, 2005; V. Feschet, La transmission du nom de famille en Europe occidentale (fin XXe-début XXIe siècles), in “L’Homme”, CLXIX (2004), pp. 61-88. 9 I. Putzu, Il soprannome. Per uno studio multidisciplinare della denominazione, Cagliari, CUEC, 2000. 10 M. Mitterauer, Antenati e santi. L’imposizione del nome nella storia europea (1993), trad. it. Torino, Einaudi, 2001; S. Wilson, The means of naming. A social and cultural history of personal naming in western Europe, London and New York, Routledge, 1998. 11 G. Palumbo, L’esile traccia del nome. Storie di donne, storie di famiglie in un’isola del Napoletano fra età moderna e contemporanea, Napoli, Liguori, 2001. 12 D. Hey, Family names and family history (2000), London, Hambledon Continuum, 2007. 18 Roberto Bizzocchi della stabilità del nome (specialmente del cognome), va accolta senza dubbio con favore l’innovazione, vivacemente consapevole di esserlo, rappresentata dal lavoro di un agguerrito gruppo di studiosi, soprattutto franco-spagnoli, ora concretizzata in una cospicua e ricca raccolta di saggi riuniti e commentati da Gregorio Salinero, Isabel Testón Núñez e Bernard Vincent13. L’esperienza di ricerca sull’emigrazione dall’Europa al Nuovo Mondo, sulla deportazione dei moriscos, sulle schiavitù mediterranee, e su altre forme ancora di mobilità di popolazioni nel corso dell’età moderna, che è quella cruciale per la formazione dei cognomi, hanno indotto questi studiosi a mettere in discussione la validità di un modello lineare di origine e fissazione del nome di famiglia e a rivendicare con forza l’irriducibilità di un’identità personale a una coppia onomastica stabile composta di prenome e cognome. L’orizzonte prevalentemente atlantico o almeno mediterraneo del gruppo in questione è stato evidentemente decisivo nell’ispirare ai colleghi franco-spagnoli un’attenzione particolare al tema dell’instabilità e del cambiamento; ma è pur vero che l’elemento della mobilità e delle migrazioni è importante anche nelle storie della maggior parte delle comunità urbane e anche rurali d’Italia e d’Europa. A noi, come gruppo coalizzatosi in prima battuta nel corso del 2008 fra vari Dipartimenti dell’Università di Pisa, è parso subito chiaro che sarebbe stato utile confrontare il nostro lavoro con quello dei colleghi di cui ho appena scritto. Per questa ragione, e per la prontezza con cui essi hanno raccolto il nostro invito (così come noi abbiamo fatto discutendo con loro in occasione del seminario, tenuto nello stesso 2008 a Madrid, che fu all’origine del loro volume), la presente silloge di studi accoglie anche i loro preziosi contributi, che non si limitano ad offrire uno sfondo più ampio alle nostre ricerche italiane, ma suggeriscono con queste ultime un dialogo serrato, che andrà di certo approfondito ma appare già ben impostato. Gregorio Salinero ha sintetizzato per noi con chiarezza ed efficacia le linee direttive del loro progetto. João de Pina-Cabral e Enric Porqueres ci hanno aiutato a mantenerci in contatto con la complessità delle implicazioni antropologiche della nostra problematica storiografica. Bernard Vincent ha mostrato un istruttivo caso concreto di resistenze, modificazioni e recuperi di prenomi e cognomi arabi di moriscos incalzati dalla pressione onomastica cristiana spagnola. Rocío Sánchez Rubio e Un juego de engaños. Movilidad, nombres y apellidos en los siglos XV a XVIII, Estudios reunidos y presentados por G. Salinero e I. Testón Núñez, Madrid, Casa de Velázquez, 2010 (introduzione e conclusioni a pp. 9-26, 313-319). 13 I cognomi italiani fra società e istituzioni 19 Isabel Testón Núñez si sono impegnate in un’ampia ed esaustiva sintesi di studi sull’antroponimia spagnola d’età moderna che costituisce e costituirà un utilissimo termine di paragone per la ricerca italiana. Rispetto alla varietà e pluralità di tali stimoli, il nostro progetto italiano presenta un suo ben definito centro d’interesse, che credo valga la pena mantenere attraverso le maturazioni e i raffinamenti che – spero di poter affermare – lo hanno migliorato in corso d’opera. Provo a definire tale centro col seguente interrogativo: come e quando si afferma e che cosa significa il cognome per una persona e per una famiglia, all’interno di una (o appunto, in caso di mobilità, di più di una) comunità, e inoltre in rapporto alle interazioni con le ramificazioni delle burocrazie ecclesiastiche e civili. Anche nella sola prospettiva della storia dello Stato moderno – una prospettiva tutt’altro che trascurabile, e del resto tutt’altro che trascurata nella pratica storiografica italiana – il tema appare così importante da domandarsi perché finora sia stato relativamente poco studiato. Oggi gli Stati dispongono di mezzi tecnici raffinati per riconoscere e controllare gli individui: una disponibilità di cui si può anche cercare di rintracciare i più rudimentali precedenti indietro nel tempo fino addirittura agli ultimi secoli del Medioevo14. Ma per molto tempo anche un mezzo aleatorio quale quello onomastico è stato chiamato a svolgere un ruolo identificativo, e precisamente poliziesco, centrale. Basti sapere che ancora Jeremy Bentham pensava di impostare la ricognizione individuale necessaria alla prevenzione dei crimini sulla base di una sorta di minuziosamente personalizzato panopticon onomastico, così che – come scriveva – “in a whole nation, every individual should have a proper name, which should belong to him alone”15. Naturalmente non c’è solo questo. La storia dei cognomi è interessante prima di tutto a livello locale come una traccia e un aspetto delle configurazioni dei rapporti fra le persone e le famiglie. Al di là del V. Groebner, Storia dell’identità personale e della sua certificazione. Scheda segnaletica, documento di identità e controllo nell’Europa moderna (2004), Bellinzona, Casagrande, 2008. Due esempi notevoli di trattazione delle importanti implicazioni politicheideologiche del tema in epoche più recenti: V. Denis, Une histoire de l’identité. France, 1715-1815, Seyssel, Champ Vallon, 2008; P. Piazza, Histoire de la carte nationale d’identité, Paris, Odile Jacob, 2004. 15 J. Bentham, Works, published under the superintendence of his executor John Bowring, vol. I, Edinburgh, William Tait, 1938, p. 557. Un’approfondita analisi della vicenda francese in A. Lefebvre-Teillard, Le nom. Droit et histoire, Presses Universitaires de France, 1990. 14 20 Roberto Bizzocchi dato più ovvio – e per altro forse da non enfatizzare – della difficoltà di disambiguazione dopo il fenomeno medievale di riduzione dello stock dei prenomi, l’uso di un cognome, o soprannome, o secondo nome poteva anche assumere la funzione di segmentare e distinguere linee di discendenza delimitate all’interno di una parentela più estesa. Non occorre poi insistere sul valore culturale e simbolico dell’autoriconoscimento sotto uno stesso nome da parte dei membri di un casato nobiliare e dei contitolari di una giurisdizione territoriale o di un titolo feudale. In Italia, o almeno in gran parte d’Italia, l’azione politica e amministrativa dei Comuni ha certo avuto un’influenza importante nella dinamica di formazione dei cognomi; ma, come già avvertiva il primo grande studio in materia, dedicato alla Bologna del Duecento, quella dinamica non era alimentata solo dall’intraprendenza amministrativa della burocrazia pubblica e dalla funzione documentaria dei notai16. Per quanto riguarda la storia italiana del basso Medio Evo, fino, appunto, grosso modo all’età comunale e alla vigilia della costituzione dei premoderni Stati territoriali, o regionali che dir si voglia, le nostre conoscenze onomastiche sono in realtà maggiori – benché tutt’altro che esaurienti – di quel che non siano per i secoli fra Quattro e Settecento. Lo dobbiamo essenzialmente al fatto che l’Italia è rientrata ampiamente come oggetto d’indagine di una monumentale e più che meritoria iniziativa condotta a livello europeo a partire dalla fine degli anni Ottanta sotto la guida della storica francese Monique Bourin: la Genèse médiévale de l’anthroponymie moderne. Non mi diffondo a descriverla, per due motivi. Il primo è che un altro dei nostri colleghi stranieri non specialisti di storia italiana aggiuntisi al nostro gruppo, Pascal Chareille, il quale è anche uno dei protagonisti di quell’iniziativa, ne parla in apertura del saggio che ci ha offerto per questo volume, dove mostra poi un’esemplificazione interessante delle potenzialità della statistica nello studio dell’antroponimia: fra l’altro – vi ho accennato appena qui sopra – proponendo la revisione dell’idea tradizionale sulla diminuzione del numero dei prenomi come principale causa scatenante della diffusione dei cognomi nell’Europa medievale (il suo riferimento documentario è qui al cartulario dell’abbazia di Cluny fra 802 e 1026). Il secondo è che sempre in questo volume possiamo pubblicare un saggio di Simone Collavini che comprende una sintesi limpida e un acuto ripensamento complessivo dei A. Gaudenzi, Sulla storia del cognome a Bologna nel secolo XIII, in “Bullettino dell’Istituto Storico Italiano”, XIX (1898), pp. 1-163. 16 I cognomi italiani fra società e istituzioni 21 notevolissimi risultati raggiunti nei quattro volumi italiani prodotti dal gruppo coordinato da Monique Bourin. Ci ritornerò fra poco. Molto meno esplorata è rimasta finora l’epoca moderna, la quale tuttavia, pur sulla base della gestazione e dell’elaborazione medievali del patrimonio e degli usi onomastici, presenta non minori motivi d’interesse, a cominciare dalla decisiva questione del coinvolgimento delle masse popolari nel processo di formazione e soprattutto fissazione – che non è la stessa cosa – del cognome. Prima di entrare, al proposito, nel merito delle problematiche definite, degli aspetti del tema affrontati, e dei risultati ottenuti e da ottenere, è opportuno spiegare le coordinate pratico-economiche e procedurali entro le quali è stato possibile pensare e realizzare il nostro lavoro: coordinate che ne hanno fortemente influenzato – occorre davvero insistervi nel presentarlo? – le linee di percorso e gli esiti. L’occasione per concretizzare un progetto che avevamo già in mente e già in parte discusso, fra storici e cultori di altre discipline, ci si è presentata grazie a un finanziamento biennale per la ricerca erogato nel 2008 dall’Università di Pisa nell’ambito di un’iniziativa promossa dall’allora rettore Marco Pasquali con l’obiettivo particolare di sostenere la ricerca dei giovani impegnati in rapporti di lavoro non strutturati con l’Università, e di incoraggiare la collaborazione fra Dipartimenti diversi e anche aree scientifiche non contigue. L’occasione non era affatto pretestuosa, perché il progetto che stavamo maturando corrispondeva già naturalmente alle due caratteristiche salienti previste dal bando. In primo luogo, esso non era neppure concepibile senza il contributo d’intelligenza, entusiasmo e disponibilità di colleghi giovani, sia quelli componenti l’originario manipolo pisano, sia gli altri che lo hanno poi arricchito, ai quali tutti va riconosciuto il merito principale del successo nel completamento dell’impresa. Secondariamente, il progetto coinvolgeva già, oltre ai colleghi storici Andrea Addobbati, che vi ha svolto un ruolo intellettuale, prima ancora che organizzativo, a dir poco trainante, e Michele Luzzati, che ha messo a disposizione la sua consolidata esperienza poi riversata qui nel volume in un saggio di sintesi sui cognomi ebraici, anche, ovviamente, colleghi linguisti, quali Maria Giovanna Arcamone, decana degli studi onomastici italiani, e Franco Fanciullo, insostituibile per la sua competenza dialettologica, nonché lo storico del diritto Enrico Spagnesi, accreditato specialista – fra l’altro – proprio del tema della disciplina giuridica del nome. Al pari di Luzzati, per questo volume Spagnesi ha utilmente ripreso e sintetizzato per noi 22 Roberto Bizzocchi i suoi precedenti studi in materia; mentre la mediazione dei colleghi Arcamone e Fanciullo ci ha permesso di ottenere sia una collaborazione simile sul piano linguistico da parte di Carla Marcato, sia un saggio nuovo di ricerca da parte di uno dei giovani del gruppo, Simone Pisano, il quale non si è limitato a ricostruire con sicurezza le varie componenti del patrimonio lessicale dei cognomi della Sardegna, ma è stato anche attento a segnalare le peculiarità socioantroponimiche dell’isola, specie nell’uso dei soprannomi e nella perdurante competizione fra linee di trasmissione patronimica e matronimica. Due parole in più richiede la spiegazione della collaborazione fornitaci dall’unico scienziato facente parte del nostro gruppo – parte integrante e irrinunciabile, fin dall’inizio – il fisico, esperto di statistica e da tempo anche storico a pieno titolo Paolo Rossi, il quale ci ha introdotto in una dimensione per noi nuova. Da qualche decennio i genetisti hanno individuato nel cognome patronimico un marcatore del grado di consanguineità in molti gruppi umani, in quanto esso si trasmette da una generazione all’altra come il cromosoma y. Più in particolare, con la consanguineità è stato messo in rapporto matematico, attraverso calcoli tecnicamente sofisticati, il dato dell’isonimia matrimoniale, cioè della percentuale dei matrimoni fra coniugi portanti lo stesso cognome. Il vantaggio che la ricerca genetica può trarre dall’utilizzo di banche dati facilmente disponibili (almeno per le epoche più recenti e per quella attuale) rispetto ai tempi e agli oneri di campagne di prelievi in laboratorio appare evidente17. Con Rossi abbiamo discusso a lungo e approfonditamente due questioni. Da una parte, c’è da affrontare la possibile incidenza di fattori in senso lato storici (omonimia, adulterio, pratiche di registrazione e Il libro di riferimento in materia resta quello di G.W. Lasker, Surnames and genetics structure, Cambridge UP, 1985. Una ricca bibliografia aggiornata al 2003, con cospicua presenza dell’area italiana, in S. Colantonio, G.W. Lasker, B.A. Kaplan, V. Fuster, Use of surname models in human population biology: a review of recent developments, in “Human Biology”, LXXV (2003), 6, pp. 785-807. Nel sito di Paolo Rossi presso la Facoltà di Scienze (di cui è ora Preside) dell’Università di Pisa, sono disponibili, fra l’altro, alcuni saggi e dispense pensati appositamente per rendere abbordabili agli storici i risultati di questo ramo della ricerca genetistica. Aggiungo qui che è di recentissima pubblicazione un libro che fa appello alle tecniche della genetica per corroborare una tendenza specificamente britannica, cui ho già fatto cenno, a usare i cognomi come disvelatori di ceppi e zone d’origine: G. Redmonds, T. King, and D. Hey, Surnames, DNA, and Family History, Oxford UP, 2011. 17 I cognomi italiani fra società e istituzioni 23 trascrizione, e quant’altro) sulla risultanza astratta del rapporto cognome/ gene: un problema che del resto gli stessi genetisti si sono già posti per conto loro, specie nei casi in cui l’alleanza con qualche collega storico o antropologo ha risparmiato al loro buon senso il rischio di essere lasciato a combattere da solo contro l’irriducibilità del mondo alla disciplina della ragione scientifica18. Dall’altra parte, ci siamo soprattutto confrontati sulle potenzialità dell’utilizzo di tecniche statistiche raffinate per valorizzare al massimo le nostre serie di dati storico-onomastici, che di solito ci accontentiamo di raccogliere in tabelle costruite in modo alquanto rudimentale, mentre un loro pieno sfruttamento aprirebbe la via a progressi significativi nel campo della ricerca socio-demografica: per lo studio delle provenienze, dei movimenti migratori, delle differenziazioni interne alle discendenze familiari. Non siamo certo noi ad aver scoperto l’esistenza di questa possibile e auspicabile collaborazione interdisciplinare19. E in effetti una parte consistente della già immensa letteratura genetico-isonimica pare meno aggirarsi intorno a problematiche inerenti alle conseguenze biologicosanitarie della consanguineità o comunque all’attendibilità del dato isonimico in genetica, che rispondere a interrogativi schiettamente sociologici: cosa ci dicono, per esempio, gli elenchi telefonici in merito all’isolamento delle comunità in rapporto alla conformazione territoriale e al ruolo delle vie di comunicazione? O in merito al rapporto fra offerta di manodopera e immigrazione, insediamento e turismo, e così via? C’è la possibilità di un lavoro enorme da svolgere, il cui interesse sarà proporzionale all’inventiva e alla finezza con cui, anche cercando di rimontare il più possibile indietro nel tempo, sapremo porre alle nostre documentazioni le domande storiche meno prevedibili e più intriganti. In questo volume Paolo Rossi è presente con due contributi. In uno interviene con un suo istruttivo calcolo statistico in un dibattito, quello sul nepotismo accademico, troppo spesso sciaguratamente condotto in base a pregiudizi emotivi e ostilità ideologiche. Nell’altro ci ha aiutato ad impostare una ricerca i cui risultati ci proponiamo di pubblicare a parte in un prossimo futuro. Si tratta, per l’appunto, Cito l’esempio più esplicito a mia conoscenza: K.M. Weiss, R. Chakraborty, A.V. Buchanan, R.J. Schwartz, Mutations in names: implications for assessing identity by descent from historical records, in “Human Biology”, LV (1983), 2, pp. 313-322. 19 Ad esempio: Le patronyme. Histoire, anthropologie, société, ouvrage dirigé par G. Brunet, P. Darlu, G. Zei, Paris, Editions CNRS, 2001; P. Darlu, Patronymes et démographie historique, in “Annales de Démographie Historique” (2004), 2, pp. 53-65. 18 24 Roberto Bizzocchi dell’utilizzazione quantitativa, previa informatizzazione, di una raccolta di dati demografico-onomastici che non esito a definire monumentale: oltre 200.000 attestazioni ‘cognominali’ (in senso lato) per la comunità di Montecarlo in Val di Nievole dalla prima metà del Cinquecento al 1900. L’autore, lungo quasi un quarantennio, di questa spettacolare impresa, il montecarlese, funzionario dell’Archivio di Stato di Lucca, Sergio Nelli pubblica al proposito nel volume un saggio su cui tornerò per l’importanza fondamentale di alcune altre questioni che pone e chiarisce. Confidiamo comunque, come spiegato nell’altro intervento, quello a firma Nelli-RossiBizzocchi, che il data-base di Montecarlo, immenso e precoce rispetto a quelli finora usati dai genetisti-isonomi per le epoche prestatistiche, ci consentirà – a parte un’ulteriore, rilevante verifica dell’attendibilità del metodo isonimico – delle acquisizioni molto notevoli di conoscenza in merito al rapporto fra denominazione, famiglia e popolazione nella vita sociale di una comunità lungo e oltre l’intera età moderna. Altri temi e altre questioni si sono affacciati alla nostra attenzione nel corso del lavoro che abbiamo svolto in comune durante il biennio di finanziamento della ricerca; e ciò soprattutto grazie all’interesse che la nostra iniziativa ha sollevato da parte di colleghi i quali, pur non partecipandovi già dalle prime battute, vi hanno però poi contribuito con una generosità d’impegno e un’incisività di risultati per cui meritano la nostra più viva gratitudine: sia quelli che hanno discusso con noi il percorso delle nostre ricerche, aiutandoci a migliorarle, Franco Angiolini, Marina Caffiero, Carlo Alberto Corsini, Biagio Salvemini, Angelo Torre; sia quelli che ci hanno permesso di rendere meno lacunoso e uniforme il pannello delle nostre proposte, e mi riferisco qui in particolare a Elisa Novi Chavarria, la quale per il nostro volume ha ripensato e rinnovato in chiave di rapporti fra amministrazione statale, nomadismo e onomastica il suo precedente e ben noto libro sul popolo rom nel Regno di Napoli durante l’età moderna20. Nell’insieme, la nostra impressione è quella di potere ora proporre una silloge di risultati certo parziali ma notevoli e promettenti, un volume non privo di manchevolezze e squilibri, con molta carne al fuoco e molte zone d’ombra, e tuttavia vivo e valido precisamente perché non lascia le cose come stavano. Il risultato sicuramente più positivo e più importante è che il problema di fondo dal quale eravamo partiti è stato non tanto risolto, E. Novi Chavarria, Sulle tracce degli zingari. Il popolo rom nel Regno di Napoli. Secoli XV-XVIII, Napoli, Guida, 2007. 20 I cognomi italiani fra società e istituzioni 25 quanto radicalmente riformulato, in termini che ora ci appaiono assai più penetranti e comprensivi nei confronti del tema così delicato e umano – quello che ho enunciato qui sopra – dell’identificazione e della denominazione degli uomini e delle donne italiani lungo i secoli centrali della nostra storia. La presenza di un eccesso di semplificazione nella domanda “quando nascono i cognomi?” l’avevamo già assunta come una premessa della nostra indagine. È una domanda, s’intende, sensata, e che del resto suole tallonare da presso l’altra che esprime la curiosità più spontanea ed elementare: “cosa significano questo e quest’altro cognome?”. Le due domande alimentano fra l’altro incessantemente da parte di studiosi amatori un’operosità che riversa in rete una massa imponente di informazioni nell’insieme nient’affatto trascurabili, perché non sono pochi i casi in cui la passione familiare e locale si è tradotta in un lavoro consapevole sulle fonti. Si tratta comunque di domande che la ricerca antroponomastica si poneva ovviamente da sempre come fondamentali; ciò però con esiti assai diversi in ordine alle rispettive ricchezze, precisioni e attendibilità delle risposte. Le tipologie basilari di formazione dei cognomi sono state definite con chiarezza dai linguisti. Capita di trovarle esposte secondo criteri di classificazione e distinzione talora un poco divergenti in alcune sfumature; comunque l’articolazione sostanziale comprende i derivati da patronimici o matronimici (Martini, De Rosa), da etnici o toponimici (Bolognesi, Da Ponte), da soprannomi vari (Rossi, Fumagalli), da mestieri o uffici (Ferrari, Iacono)21. Spiegate le tipologie, a parte le sfumature diverse, un approfondimento d’indagine di grande rilievo storico sarebbe poi quello di capire le ragioni del prevalere – nei tempi, negli spazi, nei modi – dell’una o dell’altra tipologia di formazione. Il problema, già ben presente a De Felice, è stato proposto in modo pertinente ma inevitabilmente un po’ rapido nella sintesi di Michael Mitterauer: i cognomi patronimici sembrano mostrare un forte senso di appartenenza alla stirpe agnatica, quelli da soprannomi rimanderebbero piuttosto alle solidarietà scherzose proprie dello stile di vita di gruppi giovanili maschili di contadini o artigiani, e così via22. Proprio qui nel nostro volume Rita Foti svolge un’analisi puntuale e convincente delle implicazioni storiche dell’esistenza e delle modificazioni Un’articolazione particolarmente sottile e raffinata è quella proposta da De Felice, I cognomi italiani, cit., pp. 229-232. Per una discussione delle varie proposte, Caffarelli, Marcato, I cognomi d’Italia, cit., I, pp. XIII-XV. 22 Mitterauer, Antenati e santi, cit., pp. 380-387. 21 26 Roberto Bizzocchi dei cognomi da toponimi centro-settentrionali nella Corleone bassomedievale. Ogni generalizzazione sarebbe però evidentemente del tutto prematura su questo tema non eludibile, ma affrontabile solo sulla base di un gran numero di ricerche documentarie paragonabili per acribia e penetrazione a quella della Foti stessa. Quanto alla domanda sul periodo di origine – manteniamo ancora per poco questa terminologia ambigua e insufficiente – dei cognomi, le risposte date finora dagli specialisti erano sorprendentemente meno univoche di quanto ci si potrebbe aspettare. Basti per tutti ricordare – spero senza apparire pedantesco – che proprio il patriarca di questi studi in Italia nutriva sulla questione un’opinione, da lui espressa più volte, decisamente sconcertante, e cioè che la formazione, generalizzata, dei cognomi italiani si sia sostanzialmente realizzata “tra l’11° e l’inizio del 14° secolo”23. La tesi più diffusa, e soprattutto più prudentemente esposta, abbassa invece ovviamente la datazione di qualche secolo, facendo riferimento alle conseguenze dell’applicazione dei decreti del Concilio di Trento, che obbligarono i parroci a tenere regolari registri di battesimo e matrimonio, obbligo cui s’aggiunse un mezzo secolo più tardi, nel 1614, quello di registrare i decessi e gli stati delle anime. Di registri pre e posttridentini si trova di fatto solitamente trattare nei contributi dei demografi; e invero anche in un recente e autorevole bilancio linguistico che presenta una messa a punto equilibrata e guardinga24. Collegare, all’ingrosso, il processo di cognomizzazione di massa degli Italiani al periodo successivo al Concilio appare tanto più plausibile in quanto si tratta anche del periodo di potenziamento delle burocrazie degli Stati, che costituirono l’altro grande fattore istituzionale ed esterno di promozione del processo. Tuttavia, già su questo problema basilare della definizione De Felice, I cognomi italiani, cit., p. 200. L’affermazione risulta indirettamente un po’ mitigata e relativizzata da considerazioni collegate proposte in seguito (p. 215), ma ricompare poi in altra sede, ribadita e argomentata: E. De Felice, Le origini, il processo di formazione e la tipologia dei cognomi italiani, in Erlanger FamiliennamenColloquium, hrsg. von R. Schützeichel und A. Wendehorst, Neustadt an der Aisch, Degener, 1985, pp. 93-99 (94). 24 M. Livi Bacci et L. Del Panta, Identification des individus à partir du XVIIe siècle en Italie, in Noms et prénoms. Aperçu historique sur la dénomination des personnes en divers pays, a cura di L. Henry, Dolhain, Ordina Editions, 1974, pp. 83-98; D. Kremer, Autour de la formation historique des noms de famille italiens, in Da Torino a Pisa. Atti delle giornate di studio di Onomastica, a cura di A. Rossebastiano, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2006, pp. 3-29 (6). 23 I cognomi italiani fra società e istituzioni 27 delle date o dei periodi, le ricerche a campione svolte dal nostro gruppo hanno riservato qualche sorpresa e nel complesso svuotato l’interesse, se non smentito l’attendibilità, di una risposta così generica e uniforme. Benché il punto abbia suscitato fra noi dibattiti accesi e nette contrapposizioni, credo sia innegabile che l’Italia settentrionale, meglio: alcune zone di essa, abbiano mostrato una forte precocità – per ora accontentiamoci di questo termine – nella formazione dei cognomi. Era già ben nota al proposito la specifica e spiccata primazia di Venezia, dove le più antiche tracce del fenomeno risalgono ad assai prima del Mille: un dato il cui estremo rilievo, proprio in rapporto alle peculiarità della storia politica e sociale della città, non era sfuggito a Muratori ed è stato più recentemente approfondito in un saggio classico del linguista Gianfranco Folena25. Nell’ambito dell’Italia settentrionale l’insieme dei lavori del nostro gruppo mette ora in evidenza più di altre la posizione del Piemonte. Il saggio di Guido Alfani documenta che nei registri parrocchiali tenuti a Ivrea, Finale Ligure e Mirandola negli ultimi decenni del Quattrocento la presenza del cognome si attesta fra l’80 e addirittura il 100%, anche nelle zone rurali; qui gli effetti del Concilio di Trento sembrano limitarsi a perfezionare un sistema già stabilito. Ancora più impressionanti sono i dati raccolti da Alessandro Barbero in diverse località del Piemonte, perché nel suo caso le percentuali molto alte, fra 46 e 89, di cognomi trascritti nelle liste di giuramenti e negli elenchi di affittuari che ha collazionato in numero consistente ed esaminato con cura riguardano le campagne piemontesi addirittura nel corso del Duecento; un fatto che ribadisce e anticipa ulteriormente i risultati di un sondaggio che era già stato compiuto in precedenza su di una comunità particolare26. Una tale ‘precocità’ piemontese viene confermata per una via indiretta e notevole dall’attenta analisi che Sara Rivoira ha dedicato ai registri degli affittuari delle terre dei signori di Luserna nella prima metà del Trecento. La zona corrisponde all’area di diffusione ereticale di quelli che per l’epoca possono ancora essere definiti come “valdismi” al plurale, prima dell’identificazione forte tra fede valdese e Valli valdesi realizzata con l’accordo sulla libertà religiosa stipulato a Cavour nel 1561. È proprio perché a metà Trecento il processo di formazione dei cognomi G. Folena, Gli antichi nomi di persona e la storia civile di Venezia (1971), in Id., Culture e lingue nel Veneto medievale, Padova, Editoriale Programma, 1990, pp. 175-209. 26 A. Rossebastiano, Nome, cognome e soprannome nel Piemonte rurale, in “Studi Piemontesi”, XXXIII (2004), pp. 29-47. 25 28 Roberto Bizzocchi era già assai avanzato, che possiamo escludere che l’elemento religioso, più nettamente definito solo due secoli dopo, vi abbia svolto un ruolo significativo accanto alle consuete ragioni patronimiche, toponimiche e simili. Un valdese poteva (specie fino alla fine del ghetto nel 1848) e può sentire di avere un cognome che lo indica come tale; ma tecnicamente si tratta non di un relativamente tardo cognome valdese quanto di un precedente cognome tipico delle Valli valdesi. Di fronte a tali emergenze nel Nord d’Italia sta l’evidenza palmare di una ben diversa tempistica nel resto del paese: nel Mezzogiorno, forse con l’eccezione di Napoli, ma specialmente nell’Italia centrale e in Toscana. Questo fatto, segnalato per casi singoli, Roma compresa, e generalmente rilevato da tempo con sicurezza durante i lavori del gruppo medievistico coordinato da Monique Bourin27, ha ricevuto da parte nostra un’ampia conferma. Il lettore ne troverà le prove in molti dei saggi del volume; ma quello che va particolarmente citato al riguardo è il contributo che Iva Puccinelli ha elaborato sulla base di una fonte coerente e completa (e parzialmente consultabile in rete), i libri dei battesimi di Pisa a partire dal 1457. Il dato sulla presenza dei cognomi nel primo secolo di esistenza dei libri (1457-1557), appena superiore al 23%, non può non mettere in risalto un netto divario rispetto a quelli dei battesimi circa contemporanei studiati da Alfani. Continuando ancora per un momento ad astrarre i dati numerici dal loro contesto storico e documentario, credo si debba riconoscere che nonostante le nostre e le precedenti ricerche restino lontanissime dall’aver raccolto informazioni sufficienti ad autorizzare generalizzazioni, le indicazioni tanto divergenti sul Nord e il Centro o Centro-Sud d’Italia segnalino comunque l’esistenza di due modelli di denominazione distinti, di cui occorre indagare le logiche fuori da ogni pregiudizio sulla maggiore funzionalità o modernità di quello che suona più prettamente cognominale per il nostro orecchio. Se nei villaggi del Piemonte duecentesco le persone si distinguevano grazie a coppie onomastiche quali Giovanni Valino, oppure Otto Cavazza (cito da Barbero), sembra difficile immaginare che in quelli della Toscana di tre secoli più tardi fosse sufficiente F. Menant, L’Italie centro-septentrionale, e J-M. Martin, L’Italie méridionale, in L’anthroponymie document de l’histoire sociale des mondes méditerranéens médiévaux, a cura di M. Bourin, J-M. Martin et F. Menant, Roma, Ecole Française, 1996, pp. 19-28 e 29-39. Per Roma c’è il dato del 20% di cognomi nel censimento appena precedente il Sacco del 1527: G. D’Acunti, Un “censimento” romano del primo Cinquecento, in “Rivista Italiana di Onomastica” (1996), 2, pp. 15-28. 27 I cognomi italiani fra società e istituzioni 29 conoscersi per prenome, specie se questo non era Otto ma Giovanni. Di fatto, uno dei temi più suggestivi della storia onomastica e sociale italiana è quello dell’identificazione, e anche della memoria genealogica profonda, attraverso patronimici o altri indicatori (un esempio solo, qui dalla Puccinelli: Alessandra di Domenico caciaiolo detto il Cecino), in condizione di assenza o di instabilità del cognome. Al riguardo disponiamo da tempo di analisi precise del caso illustre della nobiltà di Amalfi e di quello, non meno istruttivo, del ceto mercantile di Pisa28. Ora le penetranti riflessioni di Simone Collavini in questo volume offrono una seria proposta d’impostazione generale della questione, collegando la prevalenza del modello cognominale o dell’altro a una vicenda cruciale della storia medievale italiana, cioè lo scarto cronologico nell’assestamento delle signorie territoriali al Nord e al Centro. Nel corso del secolo XI, quando cominciò a svilupparsi con forza il fenomeno della doppia denominazione, le aristocrazie rurali settentrionali detenevano già saldamente il controllo delle rispettive località, da cui poterono così assumere il nome/cognome, estendendolo poi come pratica diffusa verso l’insieme delle popolazioni. Al contrario, poiché l’affermazione dei poteri signorili nell’Italia centrale e in Toscana era più lenta, qui non si realizzò l’appuntamento fra terra e nome, e il modello non cognominale perdurò assai più a lungo. Va ripetuto, come suggerisce anche Barbero in riferimento ai sistemi tradizionali di gestione della terra in Piemonte, che confrontando i due modelli onomastici non ha alcun senso parlare di modernità o arcaismo: entrambi svolgevano la loro funzione. Aggiungo che si può scommettere che Giovanni Valino non fosse affatto più facilmente riconoscibile di Alessandra di Domenico caciaiolo detto il Cecino. Ho definito quella di Collavini una proposta; credo che sia uno dei risultati rilevanti che il lavoro del nostro gruppo può rivendicare, avanzandolo come un’ipotesi forte sulla quale concentrare ulteriori e massicci sforzi di ricerca, in particolare in merito all’incidenza statistica dei cognomi toponimici nel Nord e nel Centro Italia a partire dal Medioevo. Un’indicazione comunque fondamentale resta quella delle conseguenze del rapporto contingente fra contesto sociale e denominazione. E a tale proposito, se la presa d’atto del carattere storico-sociale del nome può 28 M. Del Treppo, La nobiltà dalla memoria lunga, in Id.-A. Leone, Amalfi medioevale, Napoli, Giannini, 1977, pp. 89-119; M. Luzzati, Memoria genealogica in assenza di cognome nella Pisa del Quattrocento, in Le modèle familial européen. Normes, déviances, contrôle du pouvoir, Roma, Ecole Française, 1986, pp. 87-100. 30 Roberto Bizzocchi apparire un’ovvietà, non altrettanto può dirsi di una considerazione ulteriore, ispirata dall’inizio di un’indagine adeguata al riguardo, quale quella impostata da Collavini: l’origine dei cognomi, nei modi diversi dettati dalle rispettive condizioni dei luoghi, non è stata, nei tempi, un fenomeno puntuale, una nascita più o meno precoce ma sempre avvenuta una volta per tutte, bensì un processo di formazione prolungato e complicato, di cui sarebbe sbagliato postulare la linearità e l’irreversibilità. Se al momento di stendere il progetto del nostro gruppo già pensavamo che la domanda “quando nascono i cognomi?” fosse insufficiente, i risultati pur parziali delle nostre ricerche ci aiutano ora a capire meglio in che senso lo era. Il calcolo delle percentuali di cognomi definibili come tali in questa o quella situazione, in questo o quell’anno, è un’operazione imprescindibile; essa però assume spessore attraverso un’analisi socialmente contestualizzata, e dunque inevitabilmente concentrata su comunità campione, della stabilità dei cognomi nel susseguirsi delle generazioni, e della loro interazione con altre forme concorrenti di identificazione. A tale proposito la microstoria di Castione della Presolana nella montagna bergamasca, ricostruita qui da Alma Poloni lungo tre secoli dal Due al Cinquecento, comporta un passo avanti decisivo. La sua indagine mostra nel modo più convincente che la prima fase di apparizione dei cognomi, corrispondente, fra fine Due e inizio Trecento, alla formazione di proprietà contadine su quelle che erano le terre del vescovo, non chiuse per sempre la partita. Lo studio delle varie tipologie documentarie disponibili toglie ogni dubbio sul fatto che gli abitanti continuarono a ricorrere anche ad altri elementi onomastici oltre che ai cognomi. Molti di questi del resto sparirono con la crisi demografica di fine Trecento; e la spettacolare ripresa dei cognomi, attestata negli estimi fra Quattro e Cinquecento come effetto di un radicale ribaltamento di equilibri economico-demografici in favore delle contrade alpestri rispetto al capoluogo, non impedì che nel 1544, in misura maggiore che in precedenza, capifamiglia che ‘avevano un cognome’ venissero invece identificati nell’estimo in base alla residenza che distingueva il loro focolare domestico dall’insieme di una discendenza genealogica più vasta29. Segnalo qui che nell’ambito del nostro gruppo ha preso avvio, ad opera di Andrea Addobbati, una ricerca sui rapporti fra struttura sociale e forme di denominazione nella parrocchia di Urgnano, grosso borgo agricolo alle porte di Bergamo. La ricerca, basata sul confronto fra libri parrocchiali e atti notarili, riprenderà in altro contesto 29 I cognomi italiani fra società e istituzioni 31 Suggestioni simili provengono dall’altra microstoria – cui ho già fatto cenno – tracciata da Sergio Nelli per Montecarlo di Lucca. Anche in questo caso la prima ondata di denominazioni chiaramente cognominali rispetto alle precedenti abitudini patronimiche, realizzatasi lungo tutto il corso del Cinquecento, si collegò a un fenomeno rilevante nella vita della comunità, la bonifica della foresta con la conseguente moltiplicazione di insediamenti agricoli fuori le mura, nei quali appunto cominciò a profilarsi l’uso di cognomi trasmessi da una generazione all’altra. Elemento spiccato di forza nell’analisi di Nelli è poi la ricostruzione di tutte le genealogie dei Montecarlesi fra il basso Medioevo e il secolo XIX: una prestazione che gli permette di evidenziare con straordinaria concretezza il grado di corrispondenza – alto, ma tutt’altro che totale – fra famiglia e cognome, e la pluralità delle dinamiche di creazione e variazione onomastica in rapporto con le segmentazioni patrimoniali e residenziali dei rami familiari. Proprio l’orizzonte dominante di continuità e durata che marca, anche moralmente, una ricerca di una vita quale è questa di Sergio dà, per contrasto, risalto tanto maggiore alle emergenze folgoranti, ma non rare, della reversibilità dei fenomeni, della invitta molteplicità e oscillazione delle pratiche. E ciò, ancora ben dentro il burocratico Settecento, da cui Sergio ci trasmette con viva partecipazione la voce dei suoi antichi compaesani. 1776: “Mi chiamo Francesco del fu Domenico Incrocci, ma mi chiamano anche Ceccottino per aver presa moglie una dei Ceccottini”. 1751: “Io ho nome Sebastiano, mio padre si chiamava Giovanni di Antonio, che non ho casato alcuno”. Quello dell’instabilità e riformulazione delle definizioni cognominali è un dato che le nostre ricerche possono mostrare anche per il Mezzogiorno e la Sicilia. La sintesi di lungo periodo di Gérard Delille, componendo armoniosamente esempi relativi a Manduria, Amalfi e Procida, dà esatto conto di ogni aspetto della reciproca adattabilità fra modulazione dei gruppi di discendenza e creatività onomastica, senza dimenticare il ruolo avuto in materia dal soprannome. La lenta e contrastata storia della normalizzazione del cognome contempla, e poi lascia comunque sopravvivere dopo il suo (relativo) completamento pratiche d’uso più libere, in cui i soprannomi ereditari sono un elemento essenziale per l’identificazione di quelli che l’antropologia sociale analizza come i problemi d’interdipendenza fra riconfigurazione periodica degli assetti proprietari e variabilità nell’identificazione delle famiglie esaminati da Alma Poloni per la Montagna Bergamasca. 32 Roberto Bizzocchi segmenti di parentela30. Quanto all’altro approfondimento microstorico, il già citato saggio di Rita Foti su Corleone fra metà Duecento e fine Cinquecento entra con estrema precisione nel meccanismo di incessante elaborazione e rielaborazione dei cognomi quali ‘composti mobili’, variamente assemblati negli atti notarili basso medievali, nei registri parrocchiali lungo tutto il Cinquecento e nel censimento di persone e beni del 1593. Solo quest’ultimo documento comincia a proporre una standardizzazione della coppia prenome/cognome, che comunque irrompe come una forzatura brusca rispetto alla disponibilità fin lì mostrata da notai e parroci a rincorrere le vicissitudini onomastiche dei Corleonesi, originari e immigrati ‘lombardi’. Insomma, rivedendo il senso e riformulando gli obiettivi della nostra domanda sull’origine del cognome, siamo arrivati a mettere in discussione il valore assoluto del termine stesso. Il confronto tra l’esito contemporaneo e attuale del processo e l’evidenza della persistente relatività dell’adozione e dell’uso del cognome fra Medioevo ed età moderna – in ogni parte d’Italia, a prescindere dalle priorità nell’inizio dei processi – ci ha chiarito un punto chiave, che va sottolineato con forza: la storia della formazione del cognome non è districabile da quella della sua registrazione da parte dei rappresentanti delle burocrazie statali ed ecclesiastiche attive nel paese, i cui lasciti documentari furono al tempo stesso attestati e attori di un’opera di cognomizzazione di cui noi possiamo studiare a fondo le carte archivistiche ma solo indovinare le pratiche reali. Su questo aspetto, altri saggi compresi nel volume portano acquisizioni molto importanti. Circa la questione nodale degli effetti dei decreti tridentini, l’analisi del caso di Venezia proposta da Jean-François Chauvard mette bene in risalto le linee di tendenza e di contrasto in una situazione in movimento. Mentre appare chiaro che sul lungo termine l’obbligo di tenere registri onomasticamente ordinati indusse i parroci a concentrarsi essi per primi sulla presenza o meno del dato formale del cognome, fino a lasciare spazi e puntini dove mancava, è pur vero che anche dopo la conclusione del Concilio essi adottarono varie tipologie Il riferimento di base è ovviamente al classico studio dello stesso G. Delille, Famiglia e proprietà nel Regno di Napoli, XV-XIX secolo (1985), trad. it. Torino, Einaudi, 1988. Due ricerche puntuali su questo uso dei soprannomi per l’area meridionale: B. Palumbo, Antroponimia, identità e parentela in un paese del Sannio (1992), in Id., Identità nel tempo. Saggi di antropologia della parentela, Lecce, Argo, 1997, pp. 21-74; M. Le Chêne, Usage et transmission des surnoms dans un village albanais d’Italie du Sud, in “L’Homme”, XLIV (2004), pp. 153-172. 30 I cognomi italiani fra società e istituzioni 33 alternative o aggiuntive di riconoscimento dei loro parrocchiani: persone che magari ‘avevano un cognome’, cioè avrebbero potuto essere registrate secondo la semplice coppia prenome/cognome, ma che il prete, forse per maggiore aderenza a un’esperienza quotidiana condivisa, preferiva identificare corredando il prenome di indicazioni locali, professionali, o anche più marcatamente personali. La suggestiva indagine di Chiara La Rocca su Livorno sfrutta con successo l’occasione di mettere a confronto due logiche e procedure amministrative diverse alle prese con il medesimo caso di una storia dotata di un punto di partenza ben definito. Nel primo decennio del Seicento, nei registri granducali di ammissione in città degli immigrati attirativi dalle leggi “Livornine” del 1591 e 1593, oltre il 70% di quei personaggi – improbabilmente annoverabili fra i più inquadrati dell’epoca – risultava provvisto di un cognome31. Nei successivi registri parrocchiali dal 1611, che La Rocca mostra con certezza riguardare in misura molto maggiore i numerosi nuovi venuti che i pochi Livornesi originari, l’attestazione del cognome si dimezzava al 35%. Non occorre insistere sull’evidente differenza dei contesti e dei comportamenti, degli interroganti e degli interrogati. Ma c’è dell’altro. Nei registri ecclesiastici il numero complessivo dei cognomi cominciò invece ad aumentare sensibilmente dal 1630, cioè all’indomani dell’erezione della pieve di Livorno in prepositura, con conseguente riorganizzazione dell’istituto; tuttavia, se si cerca di ritrovare il singolo cognome da una generazione all’altra attraverso i decenni, il più delle volte si rimane delusi: i cognomi sembrano svanire, e ciò in una proporzione difficilmente spiegabile con la sola mobilità demografica, senza che si debba far nuovamente appello alle infinite dinamiche dell’interazione fra interroganti e interrogati. Un ulteriore, umanissimo aspetto della questione burocratica è al centro della precisa e pertinente analisi che Luigi Peruzzi ha dedicato a varie località della Montagna Pistoiese nel Cinque e Seicento. Anche qui, grosso modo, sul lungo termine, non c’è dubbio che la tendenza alla cognomizzazione si faccia strada, e ormai con nettezza alle soglie del Settecento. Ma intanto, che significava avere o non avere un cognome per gli abitanti di quei villaggi e nei libri delle loro amministrazioni? A Popiglio nell’estimo del 1545 figurano dotati di cognome 5 intestatari su Per questa parte della sua ricerca Chiara La Rocca ha ripreso i dati contenuti nella tesi di laurea triennale di Eugenio Carini, Immigrazione, identità, cognome. Livorno fra Cinque e Seicento, Università di Pisa, a.a 2010-2011. 31 34 Roberto Bizzocchi 100; in quello del 1569, 5 su 302; in quello del 1576, appena sette anni più tardi, 210 su 240. Un uomo che si sposò a Piteglio nel 1592 come Bastiano di Agnolo di Salvatore, senza portare cognome, era stato battezzato a Popiglio nel 1569 come Bastiano di Agnolo di Salvatore Notari. Più in generale, mentre allora a Piteglio tutti parrebbero privi di cognome, a Popiglio tutti ne risultavano provvisti. Non sappiamo nulla dell’impiegato dell’estimo del 1576, ma il piovano di Popiglio all’epoca, Girolamo Magni, è una nota e studiata figura di colto prete tridentino, evidentemente un uomo che amava tenere la penna in mano32. Anche il contributo di Gianluca Camerini, che ha riferito al nostro gruppo i frutti della sua esperienza di ideatore e organizzatore del progetto culturale e archivistico “La Memoria dei Sacramenti”, torna con competenza su questo aspetto particolare ma non trascurabile della personalità dei parroci, del loro livello d’istruzione, del loro grado d’inserimento nelle comunità. Naturalmente la sottolineatura degli aspetti di relatività e incompiutezza del processo di affermazione dei cognomi non toglie che sia possibile cogliere e seguire con sufficiente chiarezza le tracce di un’evoluzione burocratica in senso stabilizzatore, che ha finito col condizionare la cultura onomastica stessa degli Italiani e consolidare, almeno sul versante delle occorrenze pubbliche e ufficiali delle loro vite, l’affermazione della coppia prenome/cognome; anzi, più esattamente, cognome/prenome. Il fenomeno – come viene più volte accennato in vari saggi del nostro volume, come sa ogni esperto di registri parrocchiali, e come del resto andrebbe indagato con più sistematico impegno – comincia ad apparire evidente durante il Settecento nel sempre maggiore affinamento del lavoro amministrativo dei parroci, i quali ormai non si limitavano a redigere stati d’anime sempre più sistematici e precisi, ma spesso si preoccupavano anche di riordinare, uniformare e fornire di indici tutti i registri, più o meno abborracciati e confusi, lasciati in canonica dai loro predecessori a partire da fine Cinquecento. Vale la pena, per spiegare gli effetti di una tale attitudine, citare un caso singolo ma esemplare. Nei libri battesimali di Savignano di Romagna, oggi Savignano sul Rubicone, nei primi anni del Seicento compaiono ripetutamente le nascite dei figli di uno stesso uomo che ogni volta è chiamato diversamente (e senza cognome, come all’epoca Su di lui vedi A. Prosperi, I benefici delle lettere. La carriera di un prete tridentino, in Il diario del Pievano Girolamo Magni. Vita, devozione e arte sulla montagna pistoiese nel Cinquecento, a cura di F. Falletti, Pisa, Pacini, 1999, pp. 23-42. 32 I cognomi italiani fra società e istituzioni 35 avviene per altro a quasi tutti gli abitanti di questa cospicua comunità di pianura dell’Italia settentrionale, posta sulla via Emilia fra Cesena e Rimini). Mettendo insieme tutte le diverse combinazioni onomastiche di tutti i battesimi, l’uomo risulterebbe essere Marcantonio di Lorenzo (patronimico) della Gentile (matronimico, una vedova?) dell’Albarazzo (podere) da Gatteo (paese vicino a Savignano). Ma il curato che poi nei decenni centrali del Settecento resse la parrocchia per quarant’anni, e risistemò tutti i registri precedenti corredandoli di indici dei nomi, ha interpretato questi dati con una normalizzazione drastica: “Gentili Marcantonio”, contenente anche, come si vede, l’invenzione, non saprei dire quanto duratura, di un cognome33. La tendenza rappresentata dai più zelanti parroci settecenteschi si realizzò infine con la successiva vicenda dell’introduzione dello Stato civile. In periodo francese il Regno d’Italia cercò – come mostra bene un vecchio ma sempre fondamentale studio di Andrea Schiaffino34 – d’impiantare dapprima un sistema autonomo dall’esperienza e dalle risultanze della burocrazia ecclesiastica, per ripiegare poi con maggiore realismo sul ricorso alla collaborazione obbligatoria da parte di quest’ultima. Per quanto parziali, gli effetti dei censimenti napoleonici hanno segnato una svolta storica, e consegnato agli archivi di tanti comuni italiani un patrimonio d’informazione demografica inestimabile. A me personalmente è capitato, in una ricerca conclusa prima dei lavori comuni del nostro gruppo, di poter analizzare proprio il versante onomastico della premura statistica che tanto caratterizzava la polizia amministrativa del Regno d’Italia. In seguito a una segnalazione giunta nel maggio 1812 dal Dipartimento del Musone (capoluogo: Macerata) sulla presenza di numerosi individui e famiglie tuttora privi di cognomi e identificati coi soli patronimici (nella forma, ritenuta ambigua, “Di + prenome”), il governo centrale, insediato a Milano, ordinò subito un’inchiesta al riguardo limitatamente al Musone, poi emanò, l’11 giugno 1813, un decreto generale sull’obbligo di portare un cognome ‘regolare’ (non “Di Benedetto” ma “Benedetti”), cui fece infine seguire una nuova inchiesta estesa a tutto il Regno. La documentazione Savignano sul Rubicone, Archivio della Parrocchia di S. Lucia, Libri di Battesimi, n. 2, cc. 43v, 89r, 133v, 177r. 34 A. Schiaffino, L’organizzazione e il funzionamento dello stato civile nel Regno italico (1806-1814), in “Cahiers internationaux d’histoire économique et sociale”, III (1974), pp. 341-420. 33 36 Roberto Bizzocchi risultante, quasi tutta conservata, di questa singolare vicenda permette di seguire da vicino un episodio decisivo di intervento burocratico sulle pratiche onomastiche correnti, e di constatarne le conseguenze più rilevanti. Ciò che più colpisce è che la pretesa di separare nettamente chi aveva da chi non aveva un cognome tracciò una distinzione alquanto artificiale all’interno di una popolazione il cui tratto saliente era, sotto il profilo onomastico, proprio la difformità e pluralità delle designazioni anche a brevissime distanze di tempo e di luogo35. Imponendo la coppia cognome/prenome sulla quale erano concettualmente e formalmente impostati i suoi schedoni prestampati, la burocrazia napoleonica dettava un modello forte, che alla fin fine risultava però anche assai semplificatore: come s’è già intravisto e accennato per altri casi sopra ricordati, in specie quello di Corleone studiato dalla Foti, l’acquisizione del cognome non comportava tanto l’aggiunta di un elemento di denominazione quanto la radicale decurtazione, almeno in ambito ufficiale, della pletora delle precedenti designazioni concorrenti. L’opzione precisa e forte espressa nel Regno d’Italia, corrispondente in campo onomastico agli indirizzi complessivi del governo napoleonico in materia di stato civile, non rappresentava comunque ancora una posizione scontata. L’esperta e appassionante ricerca che Fausta Gallo ha dedicato nel nostro volume all’Abruzzo teramano nella prima metà dell’Ottocento mette in luce una realtà addirittura opposta. Di fronte alla segnalazione, simile a quella maceratese di vent’anni prima, di case e persone ‘senza cognome’, la burocrazia borbonica della Restaurazione adottò un atteggiamento di deliberata e consapevole astensione da ogni imposizione, che rispetto all’interventismo di stampo francese si giustificava esplicitamente in termini di delega della soluzione del problema ai rimedi insiti nella “natura stessa delle cose”. Il contrasto, così netto su questo punto, non va certo tradotto in generalizzati schematismi grossolani; ma quanto alla storia dei cognomi, può essere la spia di un fenomeno macrolinguistico che merita una sottolineatura: la maggiore presenza, tuttora, di cognomi patronimici (nella forma “Di + prenome”) nel Sud che nel Centro e Nord d’Italia (e in Abruzzo più che nelle Marche) deriverà, come conseguenza particolare e piccola ma interessante, dal fatto che prima della chiusura dei giochi onomastici, con lo stato civile dell’Italia unita, le diverse parti Per maggiori dettagli e approfondimenti vedi R. Bizzocchi, Marchigiani senza cognome. Un’inchiesta nell’Italia napoleonica, in “Quaderni Storici”, XLV (2010), 2, pp. 533-584. 35 I cognomi italiani fra società e istituzioni 37 del paese avevano sperimentato configurazioni diverse dei rispettivi rapporti con le macchine amministrative degli Stati. Lo stato civile unitario appena ricordato, entrato in vigore il 1° gennaio 1866, segna lo spartiacque della storia dei cognomi italiani fra società e istituzioni, e non ha potuto non costituire, dal nostro punto di vista, un orizzonte di riferimento. Siamo ben consapevoli che la storia è continuata, in molte e assai notevoli direzioni. Gli stessi Stati che hanno imposto alle persone di assumere nomi stabili le hanno talora anche costrette a cambiarli, per ragioni politiche, razziali, religiose; è successo anche in Italia, all’indomani della Prima Guerra Mondiale e poi durante il Fascismo. Altre persone hanno desiderato e spesso ottenuto di cambiare nome, più precisamente cognome, anche per ragioni assai meno drammatiche. Altre ancora, i trovatelli, hanno sperimentato a lungo sulla loro pelle la durezza di una discriminazione che nei loro confronti si esercitava già fin dalla identificazione onomastica. Sono tutti temi di grande importanza, e sui quali esistono già bibliografie consistenti: per non ignorarli del tutto, abbiamo fatto ricorso a Marco Lenci, che ci ha aiutato col vivace e interessante saggio di sintesi compreso nel volume. Altro ancora ci sarebbe, vi ho accennato un poco qui sopra. La fissazione del sistema binominale secco prenome/cognome comporta in realtà una riduzione di possibilità e un irrigidimento di scelte, tali da lasciare scoperte funzioni e occorrenze sempre pronte a rinnovarsi; donde la vitalità e il significato dei soprannomi, individuali ed ereditari. Essi sono serviti o servono intanto a distinguere le famiglie e le persone entro comunità dove il numero dei cognomi è limitato, come nel caso celebre di Chioggia; ma anche a identificare segmenti specifici di condivisione di proprietà materiali e simboliche all’interno di parentele allargate; e ancora – come soprannomi individuali – a riconoscere, aggregare ed eventualmente gerarchizzare i membri di un gruppo, di una classe, di un reparto, di una squadra. Una cosa per volta. Speriamo che quella su cui ci siamo soprattutto concentrati durante questo biennio di lavoro comune, e che cerchiamo qui di proporre al meglio ai lettori, trovi da parte loro un interesse pari a quello che ci ha animato e ispiri un riscontro di reazioni, critiche e suggerimenti utili a riprendere le nostre ricerche con nuove questioni e ulteriori domande.