Lettering - IIS Falcone

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Lettering - IIS Falcone
Lettering
Genesi, sviluppo e caratteri
a cura di Giorgio Ginelli
Introduzione
Lettering
Nel linguaggio della pubblicità
e della grafica, l’operazione di
scegliere, secondo opportuni
criteri, i caratteri con cui comporre il testo che accompagna
un annuncio pubblicitario, o che
in genere serve di commento
e integrazione a un’immagine,
a un disegno o serie di disegni
(fonte: Enciclopedia Treccani).
Comunicare visivamente le idee è il concetto che possiamo mettere alla base della comunicazione. Il punto di riferimento principale di quest’atto – la stella polare potremmo dire – è
la parola.
Il carattere tipografico è la manifestazione visibile della parola ed essere in grado di organizzarlo, di gestirne le gerarchie, significa sapere comunicare visivamente un progetto dal punto
di vista grafico.
Da queste premesse parte la necessità di definire tutta la catena di scelte che portano alla
composizione di un testo, sia esso divulgativo anziché pubblicitario, e che prende il nome di
lettering.
La scrittura è la somma di molteplici esperienze di comunicazione, che hanno avuto inizio
nell’antichità più remota e di cui possiamo riconoscere almeno tre momenti importanti: le
età dei pittogrammi, degli ideogrammi e della scrittura fonetica.
Pittogrammi: ossia, raffigurazioni naturalistiche di uomini, animali oppure oggetti, sia rappresentati singolarmente che assieme, oppure impegnati in azioni diverse.
Ideogrammi: segni grafici che riproducono l’idea, ossia ancora figure naturalistiche usate a rappresentare non solo il soggetto stesso raffigurato, ma anche la parola che lo designa: ad esempio
i geroglifici egizi, i segni cuneiformi assiro-babilonesi.
Fonogrammi: figure naturalistiche o segni astratti che possono indicare più suoni, oltreché uno
solo; essi si distinguono in policonsonantici, polisillabici, monosillabici e alfabetici (in pratica le
lettere che compongono le parole).
Evoluzione
della scrittura
dall’antichità al I
millennio d.C.
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Non c'è un'origine unica della scrittura, in quanto si è sviluppata indipendentemente in diverse parti del mondo; c’è un diffuso accordo nel considerare i sumeri e gli egizi i primi popoli
capaci di scrivere e questo avvenne a partire dal 3500-3300 a.C. circa. Non abbiamo sicurezza
su quale di questi due popoli l'abbia inventata per primo, anche se pare che sia stata la scrittura
egiziana ad aver subito influenze sumere e non viceversa.
Così come i sumeri, anche gli egizi usavano segni che indicavano oggetti (pittogrammi) ed
altri che rappresentavano suoni (fonogrammi). La scrittura geroglifica era quindi nello stesso
tempo fonetica, figurativa e simbolica.
Tutte queste prime forme di scrittura di cui siamo a conoscenza sintetizzano in un piccolo disegno la parola
che veniva usata per indicare una cosa. Sono proprio
questi simboli che si modificarono col passare dei secoli
fino a diventare una vera e propria lettera, infine più lettere insieme formeranno la parola.
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Le prime scritture
La scrittura cuneiforme è senz’altro il sistema antico più articolato, utilizzato dal III millennio Esempi di alfabeti antichi
a.C. fino agli inizi del II millennio a.C., ma che venne poi adottato da numerose popolazioni
per registrare la propria lingua. Dalla metà del III millennio a.C. in poi è stato infatti utilizzato Sotto dall’alto: geroglifici
per rendere l’accadico in Mesopotamia e l’eblaita in Siria. Anche gli altri sistemi di scrittu- dell’antico Egitto; alfabero
ra in uso nel Vicino Oriente Antico sono basati sul cuneiforme, che è così chiamato perché cuneiforme (ugaritico); alcune
composto da segni che hanno l'aspetto di piccoli cunei; all'inizio non era affatto composta da lettere dell’alfabeto proto-sinaitico
cunei e sulle tavolette d'argilla si incideva la figura degli oggetti da rappresentare e gli eventuali (il valore fonetico di ogni lettera
segni numerici. Questa scrittura, nata per scopi amministrativi, venne arricchita di simboli corrisponde al primo suono del
aventi valore fonetico i quali permettevano di comporre parole che non era possibile rappre- nome sinaitico); alfabeto fenicio.
sentare con una figura, come i nomi propri ed i concetti astratti. La scrittura che si originò era
mista, conteneva cioè pittogrammi e fonogrammi, oltre che segni numerici.
L'origine della scrittura geroglifica fu pressoché contemporanea a quella cuneiforme; non si
sviluppò nella struttura cuneiforme, ma mantenne una rappresentazione pittorica dei simboli, probabilmente perché gli egizi non usavano argilla come supporto per scrivere, ma bensì
papiro, legno e pareti di roccia levigata come quelle dei templi.
Nel Medio Oriente, sono state trovate testimonianze diffuse di tentativi di scrittura più semplice di quelle cuneiforme e geroglifica. Nel XIV secolo a.C., a Ugarit, una città sulla costa
siriana settentrionale, venne sviluppato un tipo di alfabeto cuneiforme che venne usata fino al
1180 a.C., data della distruzione della città, al quale è stato dato il nome di scrittura ugaritica.
Sia la scrittura cuneiforme che la geroglifica (riservate ad una casta di specialisti, gli scribi),
erano però formate da molte centinaia di simboli; erano scritture complesse da imparare e
quindi difficili anche da usare. Dato il numero limitato di segni, una scrittura alfabetica sarebbe stata invece molto semplice e poteva essere facilmente imparata ed usata da tutti.
A differenza delle scritture cuneiformi che dovevano essere incise su tavolette d'argilla, le lettere dell'alfabeto proto-sinaitico (ma sarà così anche successivamente per quelle dell'alfabeto fenicio) potevano essere scritte con inchiostro su papiri, cocci e legno. Questa scrittura
alfabetica si adattava dunque molto bene alle necessità di un popolo come quello dei fenici,
mettendo a loro disposizione una scrittura semplice da imparare e rapida da usare.
Questa scrittura basata su un sistema composto da soli 22 segni – chiamata dagli archeologi
proto-sinaitica perché le sue prime testimonianze sono state trovate nella penisola del Sinai
in miniere di rame e turchese – venne impiegata dal II secolo a.C. per secoli da gente di basso
rango per tracciare brevi iscrizioni. Piano piano questa scrittura, conosciuta anche come proto-cananea, si diffuse e venne poi usata correntemente dai fenici; la loro scrittura non prendeva nota delle vocali, come per esempio in quella attualmente utilizzata da arabi ed ebrei.
Secondo la tradizione storiografica, il primo alfabeto fonetico di cui abbiamo riscontri certi,
risale appunto ai fenici, un civilissimo popolo di commercianti e navigatori insediato sulla
fascia costiera mediterranea, corrispondente agli attuali stati di Israele, del Libano e della Siria.
I fenici si ispirarono ai disegni utilizzati in Mesopotamia dai sumeri e da quelli della scrittura
fonetica impiegata dagli egizi per creare, tra il XIII e il XI secolo a.C., una nuova scrittura più
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Esempi di alfabeti antichi
dall’alto: alfabeto greco
(cretese); alfabeto etrusco;
evoluzione dell’alfabeto latino (V e
il VI sec. a.C.).
semplificata, composta da ventidue segni. I disegni rappresentavano immagini stilizzate di
oggetti di uso quotidiano facilmente riconoscibili. Per leggere questa scrittura era sufficiente
pronunciare il suono iniziale di ogni pittogramma riprodotto (sistema “acrofonico”).
In virtù della sua grande semplicità, questa scrittura poté essere imparata da chiunque senza
anni di scuola come per imparare le complesse scritture cuneiforme e geroglifica. I segni usati
da questa scrittura furono chiamati “lettere”. L'insieme delle lettere fu chiamato “alfabeto” e le
scritture che usano segni di questo tipo (acrofonici) vennero definite alfabetiche.
Tra i primi popoli a recepire l'alfabeto fenicio vi furono i greci; greci e fenici erano infatti geograficamente vicini e commerciavano attivamente fra di loro, oltre che con le altre popolazioni del Mediterraneo. I greci riconoscevano apertamente la derivazione fenicia del loro
alfabeto e chiamavano i suoi segni Phoinikeia Grammata (lettere fenicie). Anche se le prime
testimonianze della scrittura fenicia risalgono al XII e all' XI secolo a.C., la sua trasmissione ai
greci sembra risalire all'VIII secolo a.C. Nel 900 a.C. i greci vengono dunque a conoscenza
dell’alfabeto fenicio; ne perfezionano le forme dei caratteri e introducono le vocali per tradurre con precisione l’articolazione degli idiomi parlati presso di loro.
A loro volta gli etruschi adattarono l'alfabeto greco alla propria lingua, compiendo numerose
modifiche anche nella forma dei segni. Le prime testimonianze di brevi scritture nella penisola italiana risalgono anch'esse all'VIII secolo, ma soltanto verso il 700 a.C. le iscrizioni etrusche
si fecero numerose. Successivamente, l'alfabeto etrusco passò ai latini che lo modificarono a
loro volta, anche se è tutt’ora materia di discussione se l’alfabeto latino derivi da quello greco
occidentale, dall'etrusco; più probabilmente da entrambi.
I più antichi documenti in alfabeto latino risalgono al VII-VI secolo a.C.; la scrittura era bustrofedica (nelle quali la direzione cambia da riga a riga) e sinistrorsa; solo in epoche successive si affermò la grafia destrorsa. I popoli latini coltivarono la scrittura epigrafica come un’arte,
fino ad elaborare quei dettagli non essenziali che chiamiamo “grazie”. Questi segni vennero
originati dal seguire con lo scalpello la traccia lasciata col pennello sul marmo.
Ma gli antichi Romani non si limitavano a scrivere messaggi indistruttibili, e avevano perciò
bisogno anche di supporti leggeri e di materiali riutilizzabili per scrivere lettere, per studiare,
per il commercio e per varie altre attività di uso pratico.
A questo scopo erano largamente usati il papiro e le tavolette di legno ricoperte di cera. Fu
grazie questi materiali che l'alfabeto latino, inizialmente costituito dalle sole maiuscole, sviluppò anche una scrittura corsiva, con legature tra le lettere.
Pergamena,
VIII-IX secolo, scrittura onciale.
La lingua fenicia era semitica e l'alfabeto fenicio rappresentava soltanto consonanti. In una lingua semitica, l'uso delle sole consonanti è quasi sufficiente per interpretare correttamente un testo. Durante la lettura, il contesto aiuta a ridurre le ambiguità ed in
certi casi vengono aggiunti dei piccoli segni per indicare le vocali. Con la lingua greca antica, come in tutte le lingue indoeuropee,
non era invece possibile scrivere usando soltanto le consonanti perché si sarebbe incorsi in una quantità eccessiva di ambiguità.
Anche nella nostra lingua scrivere senza usare le vocali renderebbe il discorso molto impreciso. Per esempio, la parola "vnt" nella
nostra lingua potrebbe indicare tanti termini diversi: venti, vento, vanto, veneto, avanti. Posti di fronte a questo problema, i greci
adattarono alle loro esigenze alcune lettere dell'alfabeto fenicio di suono simile a vocali greche, introducendo quindi nell'alfabeto
e nella scrittura l'uso delle vocali.
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Come tutti i fenomeni che
riguardano l’espressione umana,
anche la scrittura si è evoluta nel
tempo. A partire dai primi, rozzi
segni che ripetevano il modello
offerto dalle lettere dell’alfabeto, si
è lentamente passati attraverso vari
ed elaborati tipi grafici che hanno
portato fino alla grafia attuale (e
cioè, per semplificare, un corsivo
variamente interpretato dai singoli
scriventi).
La diffusione della scrittura quale mezzo per fissare dati e informazioni relativi ai commerci, all’agricoltura e agli eventi storici e
quotidiani impose la necessità del costante approvvigionamento del materiale sul quale scrivere.
Si adottarono presto materiali naturali come il legno, il bambù e l’osso. Fu l’antico Egitto il luogo dove fu prodotto un primo materiale scrittorio, il papiro, ottenuto dalla lavorazione dell’omonima pianta. Il papiro non tardò a scarseggiare, stimolando la ricerca
di nuovi materiali. Il nuovo ritrovato fu la pergamena che, prodotta con il vello degli animali, era destinata a rimanere il principale
materiale scrittorio dell’Europa mediœvale, sino all’introduzione della carta.
La carta è un prodotto della civilizzazione orientale. Le origini della carta iniziano in Cina nell’anno 105 d.C., è stata inventa da
Ts’ai Lun, funzionario dell’imperatore Wu Di. La tecnica di produzione rimase tuttavia gelosamente custodita per 700 anni, sino a
che i musulmani, conquistata Samarcanda, ne strapparono il segreto ad alcuni prigionieri cinesi.
La conoscenza di questa nuova tecnica si diffuse molto velocemente in tutta l’Europa, ove sorsero numerosi mulini di produzione
in prossimità dei più facili punti d’approvvigionamento d’acqua, necessaria per preparare l’impasto. I migliori tipi di carte sono
quelli prodotti con fibre vegetali e un elevato contenuto di cellulosa, oppure con stracci di tessuti naturali come il cotone o il lino.
Le materie prime per la produzione della carta, in Cina erano la corteccia di gelso oppure il bambù; in oriente si ricorreva invece
ai cenci di cotone o di lino, macerati e buttati nell’acqua fino ad ottenere un impasto. La carta prodotta con stracci è resistente e
durevole, mentre la carta moderna ottenuta dalla polpa del legno, si deteriora rapidamente a causa del notevole contenuto d’acidi,
che ne determina l’ingiallimento, l’infragilimento e infine la disintegrazione. Un libro moderno può assumere quest’aspetto dopo
soli 60 anni.
La fabbricazione della carta si può dividere in tre periodi.
1. Il periodo Cinese che risale al 105 d.C
con il setaccio, che lasciava sulla superficie del foglio l’impronta vergata che si
formava.
2. Il periodo Arabo intorno al 700 d.C. dove
il setaccio divenne di metallo.
3. Il periodo moderno intorno al XIX secolo con l’invenzione della macchina continua.
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Sviluppo della grafia
Al termine grafia (dal gr. graphé,
scrittura) corrispondono, in realtà, due accezioni diverse: la
prima si riferisce al ductus, cioè
alle peculiarità dei caratteri della
scrittura (tipologia, collegamenti
tra le lettere, orientamento, ecc.),
la seconda alle modalità di trascrizione delle parole, cioè alle
scelte ortografiche. La locuzione
grafia italiana indica il modo di
trascrivere la lingua italiana.
Dal Medioevo al Rinascimento:
esempi di scrittura in differenti
grafie.
Da sinistra: minuscola carolina,
onciale e umanistica.
L'alfabeto latino venne diffuso in tutti i territori dell’impero romano e la capitale romana è
la più antica scrittura maiuscola latina usata, scolpita nella pietra sui monumenti. Solo nel III
secolo a.C. viene scritta con il calamo, divenendo quindi meno dura e più uniforme. Le opere
di Virgilio che si conservano in Vaticano sono un esempio di questa scrittura: le parole sono
state scritte senza spaziatura, e in certi casi sono state separate tramite un punto.
Dal I fino al V secolo d.C. per le forme elementari dell’alfabeto romano, si creò la monumentale e larga capitale quadrata, la quale viene scritta con una penna larga, tenuta in mano in
modo quasi verticale. In questo modo, i tratti verticali delle lettere disegnate sono più spessi, mentre quelli orizzontali sono più sottili. Nello stesso tempo apparve la capitale rustica,
scritta con il calamo più inclinato; le lettere sono più strette, con grazie molto pronunciate e
con aste orizzontali leggermente rotonde e più spesse.
Apparvero dopo il V secolo d.C. una minuscola corsiva e una minuscola detta onciale (così
denominata perché le lettere sono alte un’oncia) per i libri e le scritture di lusso; si differenzia
dalla capitale per la rotondità di alcune sue lettere, dove pure gli allineamenti superiori e inferiori sono molto marcati.
La scrittura semionciale viene introdotta tra il IV e il V secolo d.C. e può essere considerata
la più antica scrittura minuscola. È di piccole dimensioni (mezza oncia) nella quale si riscontrano elementi di lettere “maiuscole” e lettere “minuscole”.
Dopo il crollo dell’impero romano, le scritture romane furono comunque ancora impiegate
in tutta l’Europa occidentale. Le principali scritture nazionali sono la merovingica in Francia
(dal VI all’VIII secolo d.C.), la gotica occidentale in Spagna (dall’VIII al IX secolo d.C.),
la lombarda-beneventana nell’italia meridionale (dall’XI al XII secolo d.C.). Già durante il
periodo dei Merovingi, però, i tratti divennero pressoché illeggibili.
La merovingica venne così calligraficamente trasformata in una scrittura minuscola vera e
propria, che si distinse per la sua semplicità e la sua chiarezza: è la minuscola carolina (leggermente inclinata con allineamenti superiori e inferiori). Per i titoli, venivano usate le lettere
della capitale romana e dell’onciale. La carolingia fu la scrittura libraria più diffusa in europa, la
cui influenza si ritrova nel Rinascimento nella scrittura detta umanistica e che, a grandi linee,
è la scrittura di oggi.
Dalla capitale romana alla carolingia minuscola
Capitale romana: utilizzata per gli atti ufficiali e le iscrizioni su pietra.
Onciale: venne utilizzato per i libri e le scritture di lusso.
Semi-onciale o mezzo-onciale: assunse delle forme minuscole.
Scrittura corsiva: utilizzata per le note che accompagnavano i manoscritti.
Minuscolo merovingio: scrittura corsiva deformata, diventa praticamente illeggibile.
Capitale carolina e Minuscola carolina: molto netta e regolare la prima, dalle forme più rotonde
la seconda, si basa sul mezzo-onciale e sull’onciale.
La scrittura carolina regna sull'Occidente fino all’XI secolo. Si evolve verso forme più angolate per dare vita in Inghilterra alla scrittura gotica, che si diffonderà in tutta l'Europa del Nord.
Alla fine del XIV secolo, i primi umanisti fiorentini, giudicavano illeggibili i gotici, ripresero
la carolina e crearono l'umanistica.
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Il 1455 è la data a cui si fa risalire l’invenzione della stampa a caratteri mobili; a quell’anno
risale infatti il primo documento scritto che ne certifica l’esistenza. Si tratta di una sentenza di
tribunale con la quale Johan Gutenberg, allora un semplice stampatore tedesco, viene invitato
a cedere tutta la sua attrezzatura tipografica ad un creditore che ne aveva finanziato l’attività.
Prima di allora la stampa era già impiegata da secoli, ma il procedimento era totalmente di- Caratteri da stampa
verso: il testo di un’intera pagina, completo di illustrazioni, veniva inciso su un’unica tavola di
legno (xilografia) e il massimo della tiratura era di 200 copie.
Agli inizi dell’epoca della stampa, l’intenzione degli stampatori era quella di imitare i libri prodotti a mano dai calligrafi dell’epoca a un costo più contenuto. Siccome i calligrafi dei paesi
settentrionali e quelli dei paesi meridionali d’Europa utilizzavano due scritture diverse tra
loro, per riflesso questa diversità si riscontrava anche nei prodotti stampati dell’epoca.
Gutenberg creava da sé le sue lettere. Lo stile del carattere impiegato principalmente per i suoi
libri era una copia perfetta della scrittura adottata dai calligrafi a lui contemporanei, la gotica
textura: un tipo di carattere che ha continuato ad essere usato in Germania fino alla seconda
metà del XIX secolo. Dopo di lui molti si dedicarono al disegno di caratteri e in breve le fonderie ne produrrono dunque in gran numero, tutti con un proprio nome, contrassegnati da
specifiche caratteristiche.
Mentre in Germania permaneva lo stile gotico, e la stampa si limitava a imitare la scrittura amaGutenberg per primo ebbe l’inuense, in Italia i tipografi, che erano anche disegnatori e incisori di caratteri, a contatto con un
dea innovativa di usare caratteri
clima culturale completamente diverso, produssero un approccio differente e nuove soluzioni
mobili, che potevano essere utistilistiche. Nel XV secolo, infatti, in Italia, sotto l’influsso dell’Umanesimo, si era diffuso lo stulizzati più volte per stampare testi
dio dell’antichità classica. Fu naturale perciò che anche i tipografi prendessero a modello l’arte
diversi. In effetti i caratteri mobili
romana e le scritture ritenute classiche. A ricordo di ciò, ancora oggi si suole chiamare “roman”
erano già stati inventati in Cina
un carattere non corsivo, con le maiuscole simili, nell’inclinazione, alle antiche lettere della
ma la scrittura cinese, composta
Colonna Traiana. Il ritorno alle forme romane nelle maiuscole derivanti dai caratteri lapidari
da diverse migliaia di caratteri
romani, fu il preludio anche all’imitazione delle scritture umanistiche dette “Incunabuli” per il
diversi, non si rivelò particolarminuscolo dagli stampatori di Venezia che gli disegnavano e incidevano con il bulino.
mente adatta a questa tecnica.
Si formò così il primo alfabeto tipico, il quale – dopo il perfezionamento acquisito, dovuto ai
La vera “invenzione” di Gutenprototipografi dell’epoca – trovò in Venezia l’ambiente ideale per la sua diffusione nel mondo.
berg fu passare dal legno alle
E ciò fu dovuto alle forme dei caratteri creati da numerosi artigiani, a cominciare dai fratelli
fusioni in metallo per la realizzaDa Spira, per contare con Griffo, Paganini, Ratdolt, per finire a Nicholas Jenson, tipografo
zione dei caratteri, usando una
francese, che creò nel 1470 a Venezia il migliore carattere tipografico dell’epoca e che ispirerà
lega composta da piombo, antialtri creatori di caratteri attraverso i secoli, come per esempio Claude Garamond.
monio e stagno che raffreddava
L’introduzione del carattere Veneziano fu facilitata anche dal fatto che gli studiosi umanivelocemente e resisteva bene alla
stici – principali destinatari dei libri stampati in quell’epoca – conoscessero già la scrittura
pressione esercitata dal torchio.
carolingia. Il carattere veneziano diventò così la scrittura del Rinascimento e dell’Umanesimo
in Italia e per la prima volta si usarono maiuscole e minuscole insieme; le minuscole derivate
dalla carolingia, mentre le maiuscole dalla capitale romana.
I caratteri da stampa odierni hanno quindi le loro origini nel veneziano, e non nei caratteri gotici utilizzati da Gutenberg, Fust, Schöffer e gli altri pionieri della tecnica tipografica di stampa
a caratteri mobili.
Il carattere più utilizzato e armonioso di questa famiglia è, senza dubbio, il Garamond, che
lo stampatore francese Claude Garamond (1480–1561) disegnò “copiando” i caratteri sia
dell’incisore di punzoni bolognese Francesco Griffo per il “De Aetna” di Pietro Bembo
(1495), sia il carattere ideato del francese Nicholas Jenson per la pubblicazione della “Praeparatio Evangelica” di Eusebio di Cesarea (1470).
L’importanza di Claude Garamond è comunque legata a diversi fattori: anzitutto fu il primo
artista a dedicarsi unicamente all’incisione e alla fusione dei caratteri, laddove gli stampatori si
erano fino a quel momento occupati di ogni genere di attività connessa alla stampa; fu inoltre
il primo a disegnare il maiuscolo corsivo e ad utilizzare il corsivo insieme al tondo, come si fa
attualmente, e non in alternativa come aveva fatto il Manuzio fino a quel momento.
Il carattere disegnato da Garamond esercitò la sua influenza sulla tipografia europea fino alla Uno specimen del carattere
fine del 1700 e tuttora viene riproposto dai produttori di font digitali. Il suo corsivo è comun- veneziano tondo di Nicholas
Jenson (1470).
que dichiara derivazione aldina, ideato da Francesco Griffo.
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Vari tipi di Garamond prodotti da
differenti fonderie che variavano
leggermente o grossolanamente
il disegno per aggirare le
problematiche legate al copyright.
Il Garamond, del quale esistono
numerose e differenti forme
presenti sul mercato (alcune delle
quali che nulla hanno a che fare con
il disegno originale) è usatissimo
nella composizione dei testi dei
libri, nelle pubblicità, ecc.;
i più fedeli ai punzoni originali
sono: “Adobe Garamond” e
“Garamond Simoncini”, mentre
la versione “ITC Garamond” è
completamente distante dalle
forme che dovrebbe rappresentare.
Le caratteristiche principali del carattere Garamond sono: maiuscole evidenti e importanti
rispetto alle minuscole, occhielli piccoli nelle lettere “a” ed “e”, scarso spessore delle aste verticali. Altre caratteristiche nel disegno delle lettere sono la presenza dell’asse verticale inclinata
nettamente, da 30° fino a 45° all’indietro; il contrasto tra i pieni ed i filetti è debole; le grazie
hanno una forma arrotondata con la base concava; le differenze di spessore tra le aste verticali
e le aste oblique sono più accentuate e, anche nelle lettere tonde; i rapporti di sottile e largo
sono più accentuati.
Tra la fine del1400 e la prima metà del 1500, una serie di motivi politici ed economici favorirono i contatti tra l’Italia e la Francia e il Rinascimento ebbe un’enorme influenza sulla
cultura francese dell’epoca. Sotto il regno di Luigi XIV (1638-1715) la Francia divenne poi la
maggiore potenza politica d’Europa. La tipografia ebbe nuovi impulsi per volere espresso del
Re Sole, attraverso l’istituzione dell’Imprimerie royale, e continuò a rifulgere in tutta Europa
fino alla fine del 1700 (periodo Rococò).
In quel periodo, Pierre Simon Fournier e Firmin Didot sistematizzarono le misurazioni dei
caratteri che rimasero in uso in Europa fino all'avvento del computer. Ancora oggi i caratteri
vengono misurati in punti (Pica) e la grandezza di un carattere misurata in questo modo, viene
Il corsivo
La lettera corsiva disegnata dal Griffo, chiamata aldina o cancelleresca, ebbe un tale successo da essere da
subito imitata da altri stampatori.
Il carattere corsivo viene detto italic (italico) dai distributori internazionali di font con riferimento al
carattere di Griffo.
L’utilizzo di questi caratteri prevedevano, anche nel
testo corsivo l’utilizzo delle maiuscole tonde fino
alla metà del XVI secolo (nelle versioni ridisegnate
per la tipografia moderna e la digitalizzazione non
viene rispettata questa regola stilistica utilizzando
come maiuscolo un “falso corsivo” storico).
Due esempi di corsivi del Vicentino di Ludovico
Arrighi (1524 -1526) e il corsivo del carattere
disegnato da Claude Garamond nel 1540.
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chiamata “corpo”. I blocchetti di metallo usati per la stampa ai tempi di Didot dovevano possedere una forma regolare e ben precisa, per fare in modo che si incastrassero perfettamente
gli uni con gli altri e si stabilì così un’unità di misura universale in modo che ogni variazione
avvenisse secondo multipli o sottomultipli di tale misura (spazi tra le lettere, altezza, larghezza
delle lettere, etc.).
Tra la seconda metà del 1500 e la fine del1600 i Paesi Bassi furono anch’essi all’avanguardia
nel progresso della tipografia. Gli olandesi, pur rifacendosi alle linee definite da Garamond e
da Griffo, seppero reinterpretarle in maniera magistrale elevando il livello tecnico e la praticità
degli stampati. L’età d’oro dell’editoria olandese coincide in gran parte con le fortune della
casa editrice della famiglia Elzevier. I loro caratteri e i loro libri erano venduti in tutta l’Europa, apprezzati per la loro maneggevolezza dovuta al piccolo formato. I punzoni degli Elzevier
venivano studiati appositamente per mantenere una buona leggibilità anche su un formato di
pagina ridotto, con margini resi minimi dall’esigenza di sfruttare al massimo la pagina.
Verso la fine del Seicento inizia però un periodo difficile per i Paesi Bassi, che si trovarono a
fronteggiare la sempre maggiore rivalità commerciale dell’Inghilterra e le mire espansionistiche della Francia. Questa situazione sociale ebbe ripercussioni anche sui destini della tipografia che trovò un nuovo terreno fertile in Inghilterra, paese arricchitosi in seguito alla sua
espansione coloniale e alla Rivoluzione industriale del XVIII secolo.
Una fitta rete di canali e strade, insieme ad una impareggiabile flotta navale, contribuirono a
dare impulso alle comunicazioni e agli scambi commerciali. I tipografi inglesi, che si erano
sempre forniti presso fonderie olandesi per l’aprovigionamento dei caratteri, si resero autonomi grazie alla nuova disponibilità dei metalli estratti nelle miniere meccanizzate e alla forte
domanda di materiali stampati utili alla circolazione delle informazioni.
Con la fine del 1700 si assiste alla fine delle preminenze culturali nazionali e all’emergere di
nuove tendenze tipografiche che riguardano l’intera Europa. La passione per l’archeologia e
lo studio delle antichità classiche da una parte, l’Illuminismo dall’altra, determinarono una
fondamentale evoluzione del gusto in un momento di grandi capovolgimenti sociali.
Giambattista Bodoni (1740-1813) in Italia, Pierre e Firmin Didot in Francia, furono interpreti del Neoclassicismo nella tipografia, le cui caratteristiche si delinearono in una maggiore
rigidità del disegno, una accentuazione del contrasto di spessore tra le aste verticali e orizzontali e la decisa ortogonalità delle grazie, molto sottili. Una tecnica dell’incisione maggiormente affinata rese possibile il controllo così elevato degli spessori e delle grazie.
Giambattista Bodoni acquistò grande fama col disegno dei caratteri che portano il suo nome
e fu un grande interprete dello spirito neoclassico nella grafica. Dopo l’apogeo del neoclassicismo, caddero presto in disuso le regole della tipografia bodoniana. L’editoria si rivolse ad un
pubblico sempre più vasto, preoccupandosi di assumere una veste più popolare ed economica, lontana dai canoni neoclassici o anche semplicemente classici. I progressi tecnologici
resero possibile una notevole sperimentazione e i caratteri vennero rielaborati in innumerevoli variazioni anche volutamente bizzarre. Vennero prodotti i caratteri “fantasia”, ricchi di
ornamenti, e i cosidetti “egizi”, che senza nessuna attinenza con l’Egitto, rispondevano ad una
mania di esotismo legata alle recenti campagne archeologiche in quel paese.
Il tentativo di conciliare la produzione di qualità e un design accessibile a molti, dominarono
il dibattito dei primi designer all’inizio del XIX secolo. Il movimento estetico inglese Arts and
Crafts, ad esempio, si prefisse come scopo la ricerca di uno stile autentico e significativo come
reazione alla storicismo eclettico dell'epoca vittoriana e alla produzione meccanica percepita
come “senz'anima”, dovuta alla Rivoluzione Industriale. Ritenendo le macchine responsabili
della dilagante ripetitività e banalità dei manufatti, alcuni dei protagonisti di questo movimento sostennero un ritorno alla produzione artigianale.
William Morris (1834-1896) fu uno dei principali artefici di questo movimento. Era artista,
scrittore, disegnatore dicarta da parati e tessuti, editore, pioniere del movimento eco-socialista
in Gran Bretagna. Nel gennaio del 1891, Morris fondò anche una casa editrice con lo scopo
di applicare i suoi principi estetici anche all’arte della stampa. Egli subì fortemente il fascino
dello stile gotico e vi attinse largamente nell’intento di elevare il tono delle sue produzioni
Nel XVIII secolo William Caslon e John Baskerville elaborarono cataloghi di font che
portarono la gran Bretagna a
primeggiare nell’editoria europea. Essi ripresero la tradizione
che, attraverso gli olandesi, si rifaceva agli incisori francesi e italiani, affinandone ulteriormente
la leggibilità e liberandola del
tutto dalle decorazioni calligrafiche. La qualità dei loro caratteri
è testimoniata dal fatto che sono
tuttora utilizzati.
Giambattista Bodoni, Manuale
tipografico (1818), pagina interna.
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La produzione tipografica della
Kelmscott Press di William Morris,
fu caratterizzata da una accurata
selezione di carta e inchiostri,
dall’armonia generale del carattere
e dall’integrazione globale tra
decorazioni e testo.
Le due pagine del libro aperto erano
considerate come un insieme non
separabile e, per la prima volta,
progettate insieme.
editoriali. Per la sua stamperia disegnò una grande quantità di caratteri, fregi e capilettera ispirati agli incunaboli del 1400 e alle loro illustrazioni xilografiche. In particolare progettò la font
Golden Type sull’esempio dei caratteri umanistici veneziani.
Nello stesso periodo si diffuse per tutta Europa l’Art Nouveau, uno stile fortemente influenzato dall'arte giapponese, ispirato invece ad una miscela di elementi decorativi e di rottura
rispetto alle forme tradizionali. La sua caratteristica era l'assenza di linee e di angoli retti. La
natura, soprattutto quella vegetale, era il modello e la fonte d’ispirazione e le forme più ricorrenti erano quelle del giglio, l'iris e l'orchidea, palme e anche animali venivano stilizzati in
forme grafiche, soprattutto insetti e uccelli (libellule, pavoni, rondini, cigni). Gli artisti non
disdegnarono inoltre il corpo femminile come elemento decorativo, soprattutto con capelli
sciolti in lunghe e morbide onde.
Nei manifesti e nelle copertine dei libri si fecero spazio illustrazioni ispirate al mondo della
natura che coinvolgevano anche la parte di testo. I caratteri stessi divennero parte della decorazione, formando un insieme armonico con le immagini.
Il XX secolo fu comunque caratterizzato da vari movimenti artistici apparsi in Europa che
presero il nome di “avanguardie”. Nel giro di poche decadi, in Francia si sviluppò il Cubismo,
in Svizzera il Dadaismo, in Italia il Futurismo, in Russia il Suprematismo e il Costruttivismo,
in Germania l’Astrattismo e il Bauhaus.
Per quanto riguarda la grafica e la tipografia, tutte queste correnti artistiche si contraddistinsero per le linee dinamiche e geometriche, abbandonando completamente ogni realismo e tutti
gli accenni al decorativismo floreale. In generale vi fu un grande uso di caratteri lineari, privi
di grazie e sfrondati di tutti gli elementi che erano ritenuti non essenziali. I disegnatori di font
di questo periodo intendevano allontanarsi da ogni tipo di citazione della grafia manuale per
fare tabula rasa del passato e ripartire da zero.
Storicamente, il carattere senza grazie non era una novità ma una citazione delle scritture lapidarie etrusche e greche, precedenti alla capitale romana a cui invece erano ispirate tutte le font
graziate a partire dal Rinascimento italiano.
La prima lettera tipografica Sans Serif fu disegnata nel 1816 da William Caslon IV (discendente della dinastia Caslon, attiva in fonderia fin dal 1720), ma i tempi non erano ancora
maturi perché potesse incontrare i favori di un vasto pubblico. Fu infatti solo agli inizi del XX
secolo che architetti e grafici iniziarono a chiedere caratteri lineari, proprio per dare un aspetto
essenziale ed universale alle loro composizioni. Quelle font avevano un sapore che sapeva di
nuovo e non di antico, come succedeva invece ai tempi del Caslon.
Dalle Avanguardie ebbe origine una svolta nel gusto che portò un totale rinnovamento
dell’arte tipografica e gettò le basi della tipografia contemporanea.
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I caratteri rispecchiano l’evoluzione sociale ed economica dell’uomo.
Nel 1500 il Griffo, che lavora con Aldo Manunzio, il più importante editore-stampatore del
Rinascimento, crea una nuova serie di caratteri inclinati detti: corsivi o italici. Al nome si accompagna l’indicazione dello stile (tondo-corsivo), della proporzione (largo-stretto) e dello spessore delle aste (chiarissimo-chiaro-neretto-nero-nerissimo).
Oggi i caratteri tipografici sono disponibili in dimensioni e varianti diverse. La dimensione (o
corpo) è espressa in punti (misurazione tipografica che corrisponde all’altezza del carattere).
Il corpo di un carattere si misura dalle ascendenti alle discendenti. Tanto più un carattere ha
ascendenti e discendenti marcate, rispetto all’occhio del carattere stesso, tanto più è antico.
Sono state tentate numerose classificazioni di caratteri e ciò ha generato molta confusione in
quanto i vari produttori possono chiamare gli stessi caratteri (o quantomeno caratteri simili)
con nomi diversi, collocandoli anche in gruppi diversi. Fra tutte le suddivisioni dei caratteri
tentate da molti studiosi, più diffuse o meno, ne emergono alcune più importanti di altre.
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Classificazione
La grazia ha il compito d’ingentilire il carattere, rendendolo
più piacevole ed elegante. Nei
caratteri antichi, Garamond per
esempio, le maiuscole sono molto importanti rispetto alle minuscole. Nei moderni questo rapporto si attenua. La forma della
grazia caratterizza il nome delle
varie famiglie.
François Thibaudeau, tipografo parigino (1860-1925)
concepisce il primo sistema razionale di classificazione dei
caratteri.
La sua classificazione è molto semplificata ed è basata sulla
forma delle grazie dei caratteri. Comprende 4 gruppi.
La classificazione cronologica è di origine anglosassone ed affina la classificazione proposta
da Thibaudeau. I gruppi sono ordinati in base alla nascita dei caratteri che li compongono
quindi risulta semplice da consultare.
È composta da sei gruppi: old style, italic, transitional, modern
face, egyptian, sans serif.
Nel 1954 il francese Massimiliano Vox propone una classificazione molto dettagliata ed estesa, che viene normalizzata dalle
Deutsche Industrie Normen nel 1962 come din 16518 ed è
perciò stata adottata dall’Associazione tipografica internazionale.
La successione dei gruppi è in ordine cronologico, considerando
l’apparizione del prototipo di ogni famiglia e i nomi dei gruppi
sono esattamente definiti nelle quattro lingue principali.
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