Istituto MEME: Analisi di un serial killer

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Istituto MEME: Analisi di un serial killer
UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET
ASSOCIATION INTERNATIONALE SANS BUT LUCRATIF
BRUXELLES – BELGIQUE
THESE FINALE EN
“SCIENCES CRIMINOLOGIQUES”
ANALISI DI UN SERIAL KILLER
Profilo psicologico di Vincenzo Verzeni, il vampiro della bergamasca
TANIA MOSCARITOLI
Matricola n° 1891
Bruxelles, Juillet 2008
ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA
ASSOCIATO
UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES
TANIA MOSCARITOLI – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2007 - 2008
INDICE
Introduzione ………………………………………………………. pag. 5
CAPITOLO 1
I serial killer ……………………………………………………….. pag. 8
1.1 Origine del termine serial killer ……………………………….... pag. 8
1.2 Classificazione dei serial killer in base al modus operandi …….. pag. 8
1.3 Classificazione dell’omicidio seriale in base al movente ….…... pag. 10
1.4 Classificazione dei serial killer in base al grado di mobilità ….... pag.12
1.5 Classificazione dei serial killer sulla base della tipologia
delle vittime ………………………………………………….... pag.13
1.6 Classificazione delle fasi dell’omicidio seriale ……………….. pag. 13
1.7 Tecniche di cattura utilizzate dagli assassini seriali …………... pag. 14
1.8 La donna serial killer ………………………………………….. pag. 15
CAPITOLO 2
Sistema familiare e genesi del comportamento aggressivo ……. pag. 17
2.1 Il sistema familiare degli assassini seriali …………………….. pag. 17
2.2 L’infanzia dei serial killer …………………………………….. pag. 18
2.3 L’adolescenza dei serial killer ……………………………….... pag. 19
2.4 Perché si diventa serial killer? .................................................... pag. 19
2.5 La triade omicida …………………………………………….... pag. 20
2.6 Aspetti genetici del comportamento aggressivo …………….... pag. 21
2.7 Accenni di biochimica dell’aggressività ………………………. pag. 22
CAPITOLO 3
Serial killer e psicopatologia ........................................................... pag. 23
3.1 Serial killer psicotici o serial killer psicopatici? .......................... pag. 23
3.2 Disturbi mentali maggiormente riscontrati nello studio
dei serial killer …………………………………………………. pag. 23
3.3 Disturbi di personalità …………………………………………. pag. 24
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3.4 Psicosi …………………………………………………………. pag. 26
3.5 Parafilie ………………………………………………………... pag. 27
3.6 Disturbi mentali dell’età evolutiva ……………………………. pag. 32
3.7 Disturbi mentali su base organica ………………………........... pag. 33
3.8 Disturbo del controllo degli impulsi ………………………....... pag. 33
3.9 Disturbo dissociativo dell’identità …………………………….. pag. 34
CAPITOLO 4
Vincenzo Verzeni, il vampiro della bergamasca ……………….. pag. 35
4.1 Vincenzo Verzeni ……………………………………………… pag. 35
4.2 I fatti …………………………………………………………… pag. 37
4.3 L’arresto e la condanna ………………………………………... pag. 39
4.4 La reclusione …………………………………………………... pag. 40
4.5 Atto di morte di Vincenzo Verzeni ……………………………. pag. 42
4.6 L’Eco di Bergamo, 3-5 dicembre 1902 ………………………... pag. 44
4.7 L’Eco di Bergamo, 23-24 maggio 1906 ………………………. pag. 45
4.8 L’Eco di Bergamo, 3-4 ottobre 1906 ………………………….. pag. 48
4.9 L’Eco di Bergamo, 3 marzo 1953 ……………………………... pag. 49
4.10 La perizia psichiatrica nel XIX secolo e Vincenzo Verzeni …. pag. 50
CAPITOLO 5
Il processo Verzeni ……………………………………………….. pag. 54
5.1 Il processo a Vincenzo Verzeni, il vampiro della bergamasca ... pag. 54
5.2 Atto d’Accusa …………………………………………………. pag. 55
5.3 Udienza del 26 marzo 1873 …………………………………… pag. 56
5.4 Udienza del 27 marzo 1873 …………………………………… pag. 60
5.5 Udienza dal 29 marzo 1873 …………………………………… pag. 63
5.6 Udienza del 31 marzo 1873 …………………………………… pag. 67
5.7 Udienza del 1 aprile 1873 ……………………………………... pag. 72
5.8 Udienza del 2 aprile 1873 ……………………………………... pag. 74
5.9 Udienza del 3 aprile 1873 ……………………………………... pag. 77
5.10 Udienza del 4 aprile 1873 ……………………………………. pag. 78
5.11Udienza del 5 aprile 1873 …………………………………….. pag. 84
5.12 Udienza del 7 aprile 1873 ……………………………………. pag. 85
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5.13 Sentenza ……………………………………………………… pag. 103
5.14 Perizia eseguita sul Verzeni dal Prof. Lombroso …………...... pag. 112
5.15 Confessione fatta dal Verzeni in carcere al Prof. Lombroso … pag. 120
CAPITOLO 6
Profilo psicologico di Vincenzo Verzeni …………………..……. pag. 122
6.1 L’offender profiling ………………………………………..….. pag. 122
6.2 Il profilo psicologico: il modello dell’FBI …………………..… pag. 123
6.3 Modus operandi e signature ………………………………..….. pag. 125
6.4 L’infanzia e l’adolescenza di Vincenzo Verzeni …………..….. pag. 126
6.5 Rapporti con le fidanzate …………………………………..….. pag. 127
6.6 Giudizi sullo stato mentale del Verzeni ……………………..… pag. 128
6.7 Anamnesi familiare ……………………………………..……... pag. 128
6.8 Comportamento del Verzeni al processo …………………….... pag. 129
6.9 Comportamento del Verzeni in carcere ……………………..… pag. 129
6.10 Profilo psicologico di Vincenzo Verzeni …………………..… pag. 130
6.11 Conclusioni ………………………………………………..…. pag. 133
Bibliografia ………………………………………………..……… pag. 134
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INTRODUZIONE
Nell’immaginario comune vige la convinzione che quello relativo ai serial killer sia un
fenomeno appartenente alla società contemporanea, eppure non è così: esso ha radici
antichissime, che probabilmente si perdono nella notte dei tempi. Gli assassini seriali
sono sempre esistiti, sebbene bisogna riconoscere che lo stile di vita frenetico della
società moderna favorisce il prolificare del fenomeno dell’assassinio seriale.
In Francia, il maresciallo Gilles de Rais, dal 1432 al 1440, uccise circa ottocento
bambini usandoli come vittime sacrificali a causa del suo interesse per la magia nera;
seviziava le vittime e le faceva decapitare assistendo alla loro agonia; questo caso, segna
l'inizio, in epoca moderna, dell'omicidio seriale di natura sessuale e delirante; all'inizio
del XVI secolo, la contessa ungherese Elisabeth Bathory, anch’essa dedita alla magia
nera, venne condannata per aver ucciso circa seicentocinquanta giovani donne, allo
scopo di fare il bagno nel loro sangue, nella delirante convinzione di riuscire, tramite
questa orribile pratica, a conservare la giovinezza eterna. Quando una delle potenziali
vittime riuscì a fuggire, ella fu scoperta e condannata alla segregazione a vita nella sua
stanza di Csejthe, la cui porta fu murata nel marzo 1611, lasciando solo una piccola
fessura per la consegna quotidiana del cibo. La contessa Bathory fu trovata morta il 14
agosto 1614, senza che mai nessuno sapesse in cosa consistevano i riti di magia nera
che ella praticava; ella portò infatti il suo terribile segreto nella tomba.
La prima serial killer italiana della quale si hanno notizie, fu invece Teofania Adamo,
nata in Sicilia nel 1653, la quale avvelenò circa 600 persone, fra le quali due papi.
E’ poi relativo al periodo dell’Impero Austro-Ungarico il caso di Antonio Boggia,
soprannominato “Il mostro di Milano”, il quale dal 1849 al 1859 si rese autore di
quattro omicidi. Egli uccideva le sue vittime al fine di svaligiare le loro case e trarre
profitto dalla vendita dei mobili.
Come afferma il famoso psichiatra americano Simon nel suo best-seller “I buoni lo
sognano, i cattivi lo fanno”, in ognuno di noi è presente un lato oscuro sede di passioni
primitive che vengono normalmente frenate dalle norme sociali profondamente radicate
nel super-io dalla maggior parte degli individui, e dal senso di colpa. Esseri umani
normali e criminali hanno le medesime emozioni: la normalità sta nel contenerle.
Secondo Simon, tutti siamo dei potenziali criminali, soprattutto nel caso in cui entrino
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in gioco i nostri interessi personali oppure se ci accorgiamo che possiamo trovare
vantaggio personale in una determinata situazione.
Solitamente, nelle storie di vita degli assassini seriali si riscontrano una serie di traumi
di natura fisica e/o psichica avvenuti nell’infanzia. Fra i traumi fisici più frequenti si
ravvisano soprattutto lesioni alla regione cerebrale, le quali provocano danni di diversa
entità alle zone del cervello che regolano il comportamento sessuale e l’aggressività .
Emblematico, ai giorni nostri, è il caso di Gianfranco Stevanin, detto “ Il mostro di
Terrazzo”, che a seguito di un grave incidente motociclistico riportò una lesione
bilaterale dei lobi frontali ( denominata sindrome del lobo frontale ), danno neurologico
che lo condusse a manifestare cambiamenti sia nella sfera comportamentale che in
quella sessuale.
Alcune delle domande che il criminologo si trova più spesso a porsi nell’ambito della
sua professione sono senza dubbio le seguenti: “Cosa può spingere un individuo a gli
atti più aberranti ed i delitti più efferati? E’ in grado tale individuo di avere coscienza di
ciò che sta facendo e del male che infligge al prossimo? Una volta innescata la
terrificante serie omicidiaria, tale individuo può fermarsi o no? Qual’è il lato oscuro che
tali individui celano in loro stessi? Che origini ha tale violenza inaudita?”.
Da almeno un secolo e mezzo, gli studiosi della materia, a partire dagli antropologi
criminali fino ad arrivare ai moderni criminologi, si sono posti queste domande
trovandosi di fronte ai raccapriccianti delitti commessi dagli assassini seriali e
numerosi sono gli studiosi della mente umana che hanno tentato di dare risposte a questi
quesiti.
Nella presente dissertazione intendo analizzare a fondo il fenomeno dell’assassinio
seriale, ponendo particolare attenzione al caso di Vincenzo Verzeni, serial killer che
operò nella campagna bergamasca nella seconda parte del 1800.
Da diversi anni ormai mi interesso di criminal profiling e, leggendo alcuni testi a
carattere criminologico, mi sono talvolta imbattuta nella figura di Vincenzo Verzeni,
uno dei più efferati serial killer sessuali vissuti in Italia. Ciò che mi ha particolarmente
colpito è il fatto che, nonostante si tratti del primo serial killer sessuale italiano la cui
personalità è stata oggetto di studi approfonditi, gli siano state dedicate solo poche
pagine su alcuni dei libri che trattano di serial killer italiani e su qualche sito internet;
inoltre, ciò che ha attirato maggiormente la mia attenzione è l’aver letto notizie
notevolmente discordanti fra loro su questo personaggio. Su alcuni testi e siti internet,
egli è indicato autore di più di 20 assassinii, su altri si afferma che egli si sia tolto la vita
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tramite impiccagione nel manicomio milanese della Senavra, notizie che ho poi scoperto
essere infondate nel corso della mia ricerca.
Spinta dalla curiosità ho quindi deciso di intraprendere una ricerca su questo assassino
seriale, ben conscia delle difficoltà relative al reperimento del materiale atto a
ricostruirne le vicende, dato che i fatti oggetto dell’indagine si sono svolti in un piccolo
paese del bergamasco, Bottanuco, in un periodo compreso fra il 1867 ed il 1871.
Nel primo capitolo della presente dissertazione, viene analizzato a fondo il fenomeno
dell’assassinio seriale e vengono elencate le diverse classificazioni operate sulla base
del modus operandi, del movente, del grado di mobilità degli assassini seriali, della
tipologia di vittime da loro prescelte, ponendo particolare attenzione anche alle fasi di
cui si compone l’omicidio seriale ed alle tecniche di cattura utilizzate dai serial killer.
L’ultimo paragrafo è poi dedicato, per via delle peculiarità che la contraddistinguono,
alla donna serial killer.
Nel secondo capitolo espongo un’analisi dell’esegesi del comportamento aggressivo
degli assassini seriali, della loro infanzia ed adolescenza, senza tralasciare l’influsso che
la genetica ha sul comportamento aggressivo.
Nel terzo capitolo vengono analizzati nel dettaglio i disturbi mentali dai quali sono
maggiormente affetti i serial killer studiati fino ad oggi.
Il quarto capitolo è dedicato alla figura di Vincenzo Verzeni, del quale vengono fornite
sia informazioni biografiche, che informazioni relative ai fatti che lo hanno visto
trasformarsi da solitario e mansueto contadino a spietato serial killer.
Nel quinto capitolo viene trattato approfonditamente il processo Verzeni utilizzando i
resoconti delle udienze processuali riportati su uno dei più autorevoli quotidiani diffusi
nel bergamasco all’epoca dei fatti: “La Provincia Gazzetta di Bergamo”.
Nel sesto capitolo intendo stilare il profilo psicologico del Verzeni sulla base delle
informazioni estrapolate dagli atti processuali e delle numerose testimonianze assunte
durante il dibattimento.
Nella presente dissertazione ho quindi cercato di non soffermarmi unicamente sulla
figura del Verzeni, ma ho analizzato il fenomeno dell’assassinio seriale a tutto tondo,
poiché sono profondamente convinta che il fenomeno dei serial killer vada studiato in
tutti i suoi aspetti a partire dalle sue “radici” e debba essere letto in una prospettiva
multifattoriale, la quale analizzi a fondo due diversi aspetti fondamentali quali
criminogenesi e criminodinamica, senza tuttavia prescindere dallo studio accurato della
personalità del criminale.
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CAPITOLO 1
I SERIAL KILLER
1.1 Origine del termine serial killer
Il termine serial killer è stato utilizzato per la prima volta alla fine degli anni ’70 dall’
FBI, e più precisamente dal National Center for the Analysis of Violent Crime (Ncavc),
per indicare un soggetto che uccide in serie, ossia un soggetto che uccide più persone,
almeno tre, con un periodo di raffreddamento emotivo tra gli omicidi la cui durata può
variare da alcuni giorni ad anni.
La definizione attualmente più usata, è stata invece pubblicata nel 1988 dal National
Institute of Justice. Essa definisce gli assassinii seriali “ Una serie di due o più omicidi
commessi come eventi separati, solitamente, ma non sempre, da un criminale solo. I
crimini possono verificarsi in un periodo che va da alcune ore ad anni. Il più delle volte
il movente è psicologico, e il comportamento del criminale e le prove concrete osservate
sulla scena dei crimini, riflettono connotazioni di tipo sadico e sessuale”.
Nel corso degli anni sono state operate numerose classificazioni dei serial killer, che
analizzerò nel dettaglio nei capitoli seguenti.
1.2 Classificazione dei serial killer in base al modus operandi
A seconda del modus operandi, ovvero delle modalità utilizzate dall’assassino seriali
per porre in essere l’azione omicidaria, i serial killer vengono suddivisi in due categorie.
1) Serial killer organizzato
Il soggetto autore di questo tipo di crimine possiede un quoziente intellettivo (Qi)
medio alto e pianifica attentamente l’evento criminale.
Sono soliti appropriarsi di souvenir, ovvero oggetti appartenuti alla vittima o presenti
sulla scena del crimine, per alimentare la propria fantasia con il ricordo dell’omicidio
nei giorni successivi al delitto. Le vittime prescelte sono solitamente sconosciute e di
sesso femminile, e rispecchiano una tipologia stereotipata che l’autore degli omicidi
ritiene desiderabile. Spesso le vittime hanno caratteristiche simili, come l’appartenenza
alla stessa razza, status sociale, oppure caratteristiche fisiche particolari che il serial
killer ritiene desiderabili.
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Il soggetto organizzato è, all’apparenza, un individuo socialmente adeguato e sovente
cercherà di instaurare un rapporto con la vittima prima dell’aggressione vera e propria.
I soggetti organizzati scelgono attentamente tutto quello che può essere utile loro per
porre in essere il piano criminale, dagli strumenti di costrizione , a quelli di tortura,
all’arma del delitto, facendo molta attenzione a non lasciare tracce di sé sulla scena del
delitto.
Poiché l’elaborazione fantastica è altamente coinvolta in questi delitti, la scena del
crimine è in alcuni casi eroticizzata e pianificata dall’autore attraverso un suo modello
presente nelle sue fantasie; spesso i serial killer di tipo organizzato occultano i cadaveri
e cercano di depistare le indagini, talvolta prendendo parte all’attività investigativa e
fornendo falsi indizi e testimonianze.
2) Serial killer disorganizzato
A differenza dei serial killer organizzati, questi soggetti sono socialmente inadeguati ed
affetti da gravi patologie psichiche (psicotici/schizofrenici); vivono soli o con un
familiare, conducono un’esistenza ritirata ed ai limiti della societa ed abitano o lavorano
non distante dai luoghi in cui commettono i delitti.
I soggetti disorganizzati hanno generalmente un basso quoziente intellettivo, sono
mediamente più giovani di quelli organizzati e spesso ultimogeniti. Quasi sempre
provengono da famiglie economicamente disagiate e conflittuali, e loro stessi risultano
spesso disoccupati.
Generalmente, gli omicidi dei quali si rendono artefici sono estremamente impulsivi,
frutto di raptus improvvisi ed incontrollabili e vengono generalmente posti in essere
nell’area geografica limitrofa all’abitazione dell’assassino.
La scena criminis appare caotica, e si verificano spesso fenomeni di overkilling (i quali
consistono nell’infliggere alla vittima un numero di ferite superiore a quello necessario
per provocarne le morte), mutilazioni a scopo antropofagico ed atti di necrofilia
consumati post-mortem. Alcuni serial killer disorganizzati possono essere sessualmente
incompetenti e spesso non hanno mai avuto esperienze sessuali.
Quando l’autore del crimine è un serial killer disorganizzato, atti di sadismo estremo,
mutilazioni sessuali, necrofilia ed atti sessuali post mortem sono frequenti. Talvolta,
dopo aver mutilato il cadavere, può appropriarsi di alcune parti di esso (con le quali
intrattenersi in un secondo momento in rituali antropofagici), o può conservarle come
feticcio; si tratta spesso di soggetti affetti da gravi patologie mentali.
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Secondo la distinzione organizzato/disorganizzato presente nel Crime Classification
Manual dell’FBI, oltre a queste due categorie se ne riscontra una terza denominata
mixed, quando la scena del crimine riflette sia aspetti di crimini organizzati che
disorganizzati.
Sovente infatti, gli investigatori si sono trovati ad analizzare scene del crimine che
apparentemente sembrano di tipo disorganizzate, ma che poi si rivelano frutto di una
precisa intenzionalità e pianificazione dell’evento criminoso.
Anche secondo De Pasquali (2001), esiste l’ omicidio seriale a pianificazione parziale.
In questo caso il comportamento del soggetto durante un delitto è generalmente di tipo
organizzato, ma in un altro omicidio è di tipo disorganizzato. E’ stato stimato in base
all’analisi degli omicidi seriali posti in essere sul territorio nazionale, che in Italia, il
70% dei serial killer è di tipo “organizzato”, il 20% di tipo “disorganizzato” e il 10% “a
pianificazione parziale”.
1.3 Classificazione dell’omicidio seriale in base al movente
L'F.B.I. opera la seguente classificazione dell'omicidio seriale in base al movente:
1. omicidio seriale per guadagno personale: questa tipologia di assassino seriale,
commette delitti con lo scopo principale di entrare in possesso di una somma di denaro
derivante da un’eredità o da premi di polizze assicurative stipulate sulla vita delle
vittime.
2. omicidio seriale situazionale. è causato da un impulso improvviso o da uno stato
confusionale in cui si viene a trovare l’omicida in una determinata situazione.
3. omicidio seriale motivato da erotomania, in cui l'assassino vagheggia un amore
idealizzato
4. omicidio seriale provocato da un conflitto: esso non è premeditato e si verifica
quando, a seguito di una lite tra due persone, una perde il controllo ed uccide l'altra.
5. omicidio seriale per vendetta simbolica: l'assassino uccide una serie di vittime
contro le quali vuole vendicarsi, poiché pensa di aver subito un torto da parte di esse.
6. omicidio seriale con movente irrazionale. Secondo lo studioso Lunde, si tratta del
classico tipo di omicidio seriale posto in essere dai soggetti schizofrenici paranoici. In
questo caso il movente, apparentemente di tipo irrazionale, è conosciuto solo dalla
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mente dell'assassino.
7. omicidio seriale motivato da estremismo, ovvero dalla fede in una serie di idee
basate su un particolare sistema politico, religioso e sociale.
8. omicidio seriale per eutanasia: in questo tipo di omicidio seriale è coinvolto
soprattutto personale sanitario.
9. omicidio seriale per il controllo del potere: l’omicidio permette al soggetto di
appagare il suo bisogno di onnipotenza. Questa tipologia di omicidio seriale si divide in
tre sottocategorie:
a) omicidio seriale per essere al centro dell'attenzione: l'assassino seriale mette in
pericolo le sue vittime e, in seguito, tenta, inutilmente, di salvarle allo scopo di
assumere un atteggiamento da eroe.
b) omicidio seriale sadico: il piacere principale per l’assassino non sta nell’omicidio in
sé, ma nell'infliggere alle vittime dolore.
c) omicidio seriale "missionario": questo tipo di serial killer sente di dover compiere
una missione, al fine di eliminare un certo gruppo di persone. Questo genere di serial
killer, agisce spesso sotto la spinta di personali convinzioni di tipo paranoide.
10. omicidio seriale sessuale. In questa tipologia di omicidio, il movente sessuale sta
alla base dell’azione omicidiaria stessa. Il genere di atto sessuale e il suo significato
simbolico variano a seconda della personalità dell’assassino, che talvolta lascia una
“firma” caratteristica o sul corpo delle vittime o sulla scena del delitto.
In questa categoria, si possono distinguere due sottogruppi:
a) omicidio seriale sessuale sadico: in questo caso, l'assassino ottiene la gratificazione
sessuale infliggendo grandi sofferenze alle vittime per mezzo di torture di vario genere.
b) omicidio seriale sessuale necrofilo: l'assassino uccide le vittime nel modo più veloce
possibile e, generalmente, con una metodica non lesiva dei tessuti corporei. A distanza
di alcuni giorni dall'omicidio, l'assassino può decidere di sezionare il cadavere per
conservarne alcune parti le quali fungono da trofei, o con le quali intrattenersi in un
rituale antropofagico.
11. omicidio seriale a movente misto: si tratta in questo caso di una tipologia di
omicidio seriale in cui il movente varia da un delitto all'altro. Allo stesso modo, varia
anche la tipologia delle vittime prescelte.
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Tentare di comprendere i veri motivi che spingono gli assassini seriali a compiere gli
omicidi è un’impresa ardua, se non addirittura velleitaria.
Le motivazioni che spingono i serial killer ad uccidere sono quasi sempre
incomprensibili, sono di tipo intrinseco, e si possono rintracciare nel loro mondo
psichico, spesso pervaso da traumi che affondano radici in una triste infanzia, costellata
di soprusi ed umiliazioni.
Holmes e De Burger (1988) individuano 4 diversi tipi di serial killer in base alle
motivazioni che sottostanno alla spinta omicidiaria:
a) il Visionary serial killer ( allucinato ) , agisce guidato da comandi superiori (voci,
visioni). La maggior parte di questi serial killer è affetta gravi patologie mentali,da
configurarsi in un quadro di schizofrenia di tipo paranoide oppure di disturbo
allucinatorio paranoide.
b) il Mission serial killer (missionario), crede fermamente nella liberazione del mondo
da tutti gli esseri che egli ritiene inferiori e indesiderabili (anziani, vagabondi, prostitute,
preti, ebrei ecc), spesso spinto da deliri di tipo paranoide, che fanno loro credere di
dover compiere una missione nella società, al fine di ripulirla dagli individui che,
secondo il suo pensiero, l’hanno condotta alla corruzione.
c) l’Hedonistic serial killer (edonista), uccide per il particolare piacere che prova nel
commettere il delitto, compiendo il quale prova una sorta di “orgasmo emotivo”.
All’interno di questa categoria si collocano i Lust serial killer, nei quali il piacere
ricavato dall’uccisione è di tipo puramente sessuale, in quanto solo uccidendo riescono
a raggiungere l’orgasmo; appartengono a questa tipologia anche i Thrill serial killer
( assassini in cerca del brivido ), in cerca di forti emozioni non necessariamente
appartenenti alla sfera sessuale; ed i comfort killer (assassini per tornaconto personale).
d) il Power – Control serial killer (dominatori), i quali esprimono il loro desiderio di
onnipotenza nell’esercitare il totale controllo sulla vittima, sia di vita che di morte.
Questo tipo di serial killer è caratterizzato da personalità fragile e bassa autostima.
1.4 Classificazione dei serial killer in base al grado di mobilità.
Lo studioso Hickey (1986), ha elaborato una teoria denominata Teoria della
Territorialità.
Secondo tale teoria, si possono distinguere tre diverse tipologie di serial killer.
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a) il Serial Killer Viaggiatore (o Travelling Killer); egli è un vero e proprio assassino
itinerante, in quanto si sposta attraverso vari luoghi, anche compiendo migliaia di
chilometri tra un omicidio e l’altro.
b) il Serial Killer Locale (o Local Killer), compie i suoi delitti solo all’interno della
zona di appartenenza (città, provincia ecc.).
c) il Sedentario (o Home Stable Killer), non commette i delitti al di fuori del proprio
quartiere, o comunque non distante dal luogo in cui abita o lavora.
1.5 Classificazione dei serial killer in base alla tipologia delle vittime.
Altro tipo di classificazione dei serial killer viene operata in base alle vittime prescelte:
a) serial killer che uccide le donne;
b) serial killer che uccide gli uomini;
c) serial killer che uccide i bambini;
d) serial killer che uccide gli anziani;
e) serial killer che uccide le famiglie;
f) serial killer che uccide indistintamente uomini e donne.
Ruben De Luca (2001), introduce una classificazione in base al numero degli assassini e
quindi suddivide gli assassini seriali in quattro categorie:
1) il serial killer individuale;
2) i serial killer che uccidono in coppia;
3) i serial killer che uccidono in gruppo (Team Killer);
4) i serial killer a numero variabile, ovvero che compiono alcuni omicidi da soli, altri in
coppia, ed altri in gruppo.
1.6 Classificazione delle fasi dell’omicidio seriale
Norris (1988) propone un’articolata classificazione delle fasi dell’omicidio seriale, che
consiste nelle seguenti fasi:
a) la fase Aurorale, durante la quale l’assassino sviluppa fantasie compulsive circa
l’omicidio. In questa fase, che può perdurare per mesi o anni, si verifica
un’estraniazione dalla realtà quotidiana. L’assassino vive il crimine nella sua mente e si
eccita al pensiero di commetterlo. Lo stimolo ad uccidere trasformerà poi la fantasia in
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realtà; spesso, queste fantasie hanno origine nella fanciullezza e vengono covate nella
mente dell’individuo per lunghi anni.
b) La fase di Puntamento, nella quale avviene l’identificazione della vittima, che spesso
viene osservata nelle sue attività quotidiane in modo da stabilire il momento migliore
per colpire;
c) La fase della Seduzione, in cui l’assassino riesce a conquistare la fiducia della vittima
e si prepara a spingerla in trappola.
d) La fase della Cattura, che avviene con rapidità e decisione, di solito in un luogo
isolato.
e) La fase Omicidiaria, è la fase di massima eccitazione, del trionfo, dell’affermazione
assoluta di sé.
f) La fase Totemica, è quella immediatamente seguente all’omicidio; in questa fase cala
l’eccitazione poiché l’omicidio è ormai avvenuto. Nella fase Totemica vengono spesso
compiuti atti quali feticismo, necrofilia e antropofagia; per prolungare l’intensità del
momento dell’omicidio l’assassino può conservare oggetti o parti del corpo della
vittima, avere un rapporto sessuale col cadavere o mangiarne le carni. La rabbia in molti
casi continua ad essere agita sulla vittima attraverso ferite inferte post-mortem (si
possono cioè verificare in questa fase fenomeni di overkilling).
g) La fase Depressiva, durante la quale l’assassino vive sentimenti depressivi,
sentendosi svuotato di ogni emozione. Inizia qui la ricerca di una nuova vittima.
1.7 Tecniche di cattura utilizzate dagli assassini seriali
Sono quattro tecniche utilizzate dall'assassino seriale per catturare le sue vittime:
1) tecnica dello squalo; l'assassino si aggira, generalmente alla guida di un veicolo, in
cerca della vittima ideale. Trovata la vittima che corrisponde ai suoi criteri, la cattura e
la uccide, o nello stesso luogo, oppure in un posto isolato, non conducendola però mai
nella zona nella quale vive o presso al sua abitazione;
2) tecnica dell'aquila; dopo aver individuato e catturato la vittima, la porta a casa sua e,
prima di ucciderla, la sevizia e tortura crudelmente. Spesso, fotografa la vittima; tali
fotografie hanno per lui un valore feticistico;
3) tecnica del ragno; l'assassino attira la vittima sul proprio terreno con uno
stratagemma ed in seguito la uccide comodamente;
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4) tecnica del camaleonte; l'assassino seriale che utilizza questo tipo di tecnica, va a
caccia della vittima confondendosi all'interno dell'ambiente della stessa.
1.8 La donna serial killer
Nell’immaginario collettivo vi è la tendenza a considerare il fenomeno dell’omicidio
seriale come appartenente quasi unicamente alla popolazione di sesso maschile, ma
dopo approfonditi studi l’FBI ha collocato la percentuale di donne serial killer fra il 5 ed
il 10%.
Molte donne serial killer sono state vittime di abusi e violenze sessuali in età infantile, e
sovente sono cresciute in famiglie disgregate o multiproblematiche, sviluppando come
conseguenza una sessualità precoce ed una personalità aggressiva e violenta,
accompagnate da sentimenti di profondo odio e rivalsa nei confronti del prossimo.
La donna serial killer è stata definita più fredda e calcolatrice dei serial killer di sesso
maschile e spesso, proprio per via delle particolari modalità con le quali vengono posti
in essere gli atti criminosi, servono almeno 8 anni perché venga scoperta la lunga serie
di omicidi della quale sì è resa artefice. Infatti, è importante notare che le donne serial
killer utilizzano, al fine di compiere l’azione omicidiaria, la tecnica del ragno, attirando
le vittime nella loro abitazione, e si servono in quasi la metà dei casi veleni, come
l’arsenico, la stricnina ed il clorato di potassio.
Ella a volte agisce in coppia con un partner sadico e con personalità dominante; ciò
avviene nel caso in cui l’assassina seriale abbia una personalità dipendente e succube.
Holmes & Holmes hanno proposto la seguente classificazione delle serial killer
individuali:
a) Visionary serial murderess (assassine mentalmente disturbate), le quali uccidono
spinte da voci imperative e persecutorie o in preda a deliri;
b) Comfort murderess (assassine per profitto), le quali uccidono per guadagno
economico;
c) Hedonistic female serial killer (predatrici sessuali), le quali agiscono sotto la spinta di
fantasie sadiche sessuali. Questa tipologia di serial killer femminili è molto rara;
d) Power seeker female serial killer, le quali uccidono per la sensazione di onnipotenza
che dà loro l’avere il potere di vita e di morte su un individuo;
e) Disciple murderess, che uccide per comando del leader del gruppo al quale è affiliata.
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Hickey (1986), ha proposto una suddivisione delle donne serial killer in due categorie
ovvero gli Angeli della Morte (appartengono a questa categoria le infermiere che
provocano la morte dei ricoverati attraverso iniezioni letali per via dell’onnipotenza che
dà loro l’esercitare il potere di vita e di morte su un altro individuo) e le Vedove Nere (le
quali uccidono marito o altri parenti al fine di impossessarsi dei loro beni).
Quando tuttavia le vittime sono i bambini ed in special modo i figli, le cause vanno
rinvenute in due comportamenti di tipo patologico: la Sindrome di Munchausen per
procura ed il Complesso di Medea.
Le donne affette da Sindrome di Munchausen per procura inventano o procurano
sintomi e/o disturbi fittizi nei propri figli, a volte somministrando sostanze dannose, per
poi sottoporli ad esami o interventi chirurgici, giungendo fino a danneggiarli e, nei casi
più gravi, ad ucciderli.
Per ciò che concerne invece le donne affette dal Complesso di Medea, esse scaricano sui
figli la loro aggressività repressa, giungendo ad ucciderli in un delirio di onnipotenza, al
fine di colpire in questo modo il coniuge colpevole di averle tradite.
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CAPITOLO 2
SISTEMA FAMILIARE E GENESI DEL
COMPORTAMENTO AGGRESSIVO
2.1 Il sistema familiare degli assassini seriali
Dall’analisi delle storie di vita dei serial killer catturati fino ad oggi, emerge che la
stragrande maggioranza di essi è stata a sua volta vittima di sevizie durante l'infanzia o,
comunque, proviene da una famiglia che può essere definita multiproblematica, nella
quale i genitori sono stati troppo violenti o poco presenti, privi delle capacità di gestire
il loro ruolo e nella quale i figli subiscono continue vessazioni, vittime innocenti di
continue umiliazioni e di violenze fisiche e psicologiche.
La madre viene, spesso, avvertita come invadente, ossessiva, prevaricatrice, oppure
fredda e distante. Nel 45% dei casi il rapporto madre-figlio è definito freddo o
inconsistente dal futuro serial killer.
E’ stato infatti dimostrato che, la mancata formazione o la frantumazione di un legame
di attaccamento fra madre e bambino, può rendere il futuro adulto incapace di provare
empatia o rimorso, caratteristiche queste, riscontrate in tutti i serial killer.
Alcuni autori evidenziano il fatto che, il motivo principale per cui numerosi serial killer
uccidono ferocemente le donne, origina da un profondo odio per la figura materna.
Il padre, a sua volta, si presenta periferico, poco attivo nello svolgere bene il proprio
ruolo, sia nel sottosistema coniugale che in quello genitoriale; egli spesso non è mai
stato parte della vita del figlio, e la madre, immatura, non si è evoluta in un ruolo
genitoriale. Tuttavia, esistono casi documentati in cui entrambi i genitori sono presenti,
ma incompetenti sia dal punto di vista genitoriale che educativo.
A volte, è la frantumazione del legame familiare a far nascere nei bambini futuri serial
killer quei sentimenti di profonda solitudine ed inadeguatezza, che caratterizzeranno
tutta la loro vita futura. Appartenenti a questa categoria si rivelano talvolta i casi di
adozione, nei quali i piccoli vengono strappati alla loro famiglia d’origine, nelle quali
erano silenti vittime di percosse, abusi sessuali o alcoolismo dei genitori ed affidati a
nuove famiglie nelle quali la spirale di violenze e soprusi purtroppo continua.
Questi poveri bambini, finiscono per apprendere che la violenza e la prevaricazione
sono l’unico modo per rapportarsi alla vita ed ai loro consimili, crescendo carichi di
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disprezzo e di odio per il prossimo. Crescendo, le fantasie sadiche e di rivalsa iniziano a
farsi spazio nella loro mente in modo sempre più marcato, e troveranno la massima
espressione una volta che saranno diventati adulti.
2.2 L’infanzia dei serial killer
Nel tentativo di spiegare da dove origini la personalità perversa dei serial killer, sono
stati posti in essere numerosi sudi sulla loro infanzia.
Infatti, è proprio durante l’infanzia che si pongono le basi necessarie alla strutturazione
della personalità degli individui, ed è dimostrato che, se in questo delicato periodo una
“base sicura” viene a mancare, il bambino potrà crescere con una visione sbagliata del
mondo circostante e degli individui che vi appartengono, ai quali si potrà rapportare con
un atteggiamento di profondo risentimento ed ostilità.
Per ciò che riguarda le attività ludiche “Il gioco dei bambini che diventano serial killer
sessuali non ha nulla di gioioso, e segue schemi ripetitivi caratterizzati da un’ostilità
aggressiva. Non tengono in alcun conto gli altri bambini. Appiccano incendi, rubano,
distruggono beni, e sono crudeli con gli animali oltre che nei confronti degli altri
bambini[…]”. 1
Fattore predisponente alla violenza può essere uno stile educativo freddo, rigido,
oppressivo, ovvero quella che è stata da alcuni autori definita pedagogia nera (anche
definita genitorialità negativa) la quale finisce per provocare in alcuni casi nel bambino
un senso di solitudine e di isolamento.
Sovente, nei futuri serial killer le fantasie di morte iniziano nella prima infanzia e
diventano via via più vivide con il passare degli anni fino a dover essere messe in atto
per appagare irrefrenabili fantasie di onnipotenza; i delitti commessi dai serial killer
vengono infatti compiuti secondo una logica interiore conosciuta solo dall’assassino, la
quale affonda le radici in vissuti di inadeguatezza e solitudine, che spesso originano
nella prima infanzia.
Per i motivi sopra elencati, le motivazioni che portano alcuni individui a trasformarsi
nei cosiddetti mostri sono da ricercarsi nella fanciullezza e nell’adolescenza degli
individui.
1
R. I. Simon, I buoni lo sognano, i cattivi lo fanno, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1997, p.347.
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2.3 L’adolescenza dei serial killer
Nel passato di molti serial killer si riscontrano spesso gravi traumi vissuti in età infantile
o adolescenziale; non di rado, l’adolescenza di questi individui è caratterizzata da
comportamenti violenti nei confronti di animali, piromania e disturbi della condotta e
del controllo degli impulsi.
Molti studiosi ritengono che le cause dei delitti seriali debbano essere ricercate in uno o
più di questi fattori: biologico, psicologico e sociale, ed abbiano perciò una origine di
tipo multifattoriale e non ristretta unicamente a traumatici vissuti infantili o
adolescenziali.
La triade famiglia-individuo-ambiente può portare dunque all’instaurarsi di quadri
psicopatologici, nei quali sentimenti di rabbia, ostilità o di vergogna provati nel delicato
periodo adolescenziale si riversano nei confronti di altre persone.
Sebbene non vi sia un rapporto causa-effetto, i vissuti traumatici possono dunque
contribuire alla strutturazione di una personalità particolarmente fragile, incapace di
tollerare la frustrazione, la quale può portare l’individuo a riversare verso l’esterno
comportamenti sadici e/o aggressivi.
2.4 Perché si diventa serial killer?
In via generale i serial killer, specie quelli di tipo organizzato, sono persone
apparentemente miti, insospettabili, la cui identità si sdoppia in una vita pubblica, celata
sotto le sembianze di una convenzionale normalità, ed in una vita segreta e ricca di
fantasie di morte.
Dal punto di vista psicoanalitico, i meccanismi di difesa psicologici interessati da questa
dinamica sono rappresentati dalla rimozione e dalla proiezione.
Altro meccanismo di difesa è quello dell’identificazione con l’aggressore, il quale si
può instaurare nel caso che il bambino sia stato allevato in un ambiente in cui aveva
assunto il ruolo di vittima passiva o masochista.
Inoltre, l’abuso sessuale o le esperienze sessuali devianti da bambini sono da
considerarsi come esperienze traumatiche di entità tale che spesso si trovano nelle storie
di vita di molti serial killer.
Dal punto di vista psicoanalitico, il gesto criminale viene spiegato ponendo attenzione
alle tre istanze psichiche interne all’individuo descritte da Sigmund Freud, ovvero al
conflitto tra Io, Es e Super-Io. Un Super-Io ipertrofico, ovvero eccessivamente rigido,
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oltre a condurre l’individuo ad un eccessivo controllo degli impulsi può dare origine,
nei momenti di maggiore stress, all’emergere di contenuti inconsci e di acting-out ad
essi associati.
Le condotte di tipo parafilico del futuro serial killer si possono sviluppare anche a causa
di un'educazione troppo repressiva nella quale i genitori inculcano nella mente del
bambino o dell’adolescente repulsione per tutto ciò che ha che fare con la sfera sessuale;
per questa ragione, l’attività sessuale di molti serial killer è relegata alla sfera fantastica
ed autoerotica (pornografia e masturbazione compulsiva).
Generalmente l’avvio alla serie omicidaria viene causato da un evento stressante, che fa
riaffiorare nella mente del serial killer antiche ferite che spesso affondano profonde
radici nei traumi vissuti in età infantile.
2.5 La triade omicida
Nell’analisi delle storie di vita degli assassini seriali, sono stati riscontrati tre
comportamenti definiti come fortemente predisponenti allo sviluppo dell’aggressività
omicida. Essi sono:
- enuresi notturna (bed-wetting): fenomeno comune durante l’infanzia, diventa
allarmante quando si verifica in età adolescenziale o adulta, poiché indice di profondi
traumi di origine emotiva; l’FBI stima che circa il 60% dei serial killer americani ne
erano ancora affetti al momento della cattura. Inoltre, l’enuresi notturna di origine
psicologica non solo evidenzia la presenza di turbe di tipo emotivo, ma è anche indice di
uno scarso controllo degli impulsi;
- piromania (fire starting): l’appiccare incendi denota un profondo sentimento
distruttivo, oltre ad essere sintomatico di un’eccessiva stimolazione della sessualità e
dell’aggressività;
- maltrattamento di animali (animal torture): da lungo tempo è riconosciuta l’esistenza
di una relazione tra crudeltà verso gli animali nell’infanzia e nell’adolescenza e crudeltà
verso le persone nell’età adulta. Decapitazione, mutilazione della coda o degli arti,
scuoiamento. Diversi studiosi sono inclini a sostenere che questi atti rappresentino una
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sorta di “prove generali” di quello che da adulti faranno ai malcapitati che incontreranno
nel corso della loro carriera criminale.
Friederich (1992) ha rilevato che i bambini che hanno subito abusi sessuali agiscono atti
di crudeltà verso gli animali più frequentemente dei bambini che non hanno subito abusi
sessuali.
2.6 Aspetti genetici del comportamento aggressivo.
Alla fine del XIX secolo, Cesare Lombroso propose una teoria secondo la quale alcune
caratteristiche fenotipiche, come fronte inclinata, mento sporgente, braccia di lunghezza
superiore al normale, rispecchiavano il fenotipo del criminale.
Successivamente fu formulata l'ipotesi dell’esistenza del “gene criminale” che individui
di sesso maschile con corredo cromosomico XYY, anziché il normale XY, avessero una
predisposizione genetica alla criminalità. Le cellule dell'organismo umano sono
normalmente fornite di 46 cromosomi, due dei quali sono i cromosomi X e Y che
determinano il sesso di una persona: la femmina ha un corredo genetico XX e il
maschio XY; in casi rari, un maschio può presentare un cromosoma Y in sovrappiù.
Questa teoria, è stata in seguito confutata per lasciare spazio alla convinzione che i
comportamenti aggressivi sono influenzati da fattori genetici ed ambientali che
interagiscono tra loro.
La teoria del gene criminale
Nella specie umana il genoma delle cellule somatiche è costituito da 23 coppie di
cromosomi (corredo diploide), metà di derivazione materna e metà di derivazione
paterna.
Le prime 22 coppie costituite da cromosomi uguali, detti autosomi, determinano lo
sviluppo generale dell’organismo; la ventitreesima coppia, costituita da due cromosomi
diseguali, x ed y, determina il differenziamento sessuale: la coppia xx, il sesso
femminile, la coppia xy il sesso maschile.
Esistono diverse anomalie dei cromosomi sessuali, che vanno dalla presenza di un solo
cromosoma sessuale (chiamata sindrome di Turner: femmine sterili di bassa statura con
formula cromosomica XO), alla presenza di tre cromosomi (come la trisomia XXY,
sindrome di Klinefelter, maschi sterili eunucoidi).
Nel 1961 Hauschka scopriva il primo soggetto maschile con trisomia XYY, anomalia
studiata nel 1965 dalla genetista inglese Jacobs, durante uno studio in un manicomio
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criminale scozzese, nel quale appurò che su 342 individui di sesso maschile esaminati,
16 (circa il 5%) erano cariologicamente anormali, e di questi uno era XXYY con 48
cromosomi , due XXY e ben nove XYY; di questi nove, sette si trovavano nel reparto
subnormali mentali che ospitava 196 uomini.
La statura media di questi soggetti portatori della trisomia XYY era superiore alla
media, 186 cm contro 170 cm degli altri soggetti esaminati e geneticamente XY.
Si dimostrò che l’incidenza della trisomia XYY da una frequenza massima dello 0,5 –
1,0 per mille nella popolazione normale maschile saliva al 20‰
ed addirittura a
percentuali maggiori (50 e più per mille), se si esaminavano pericolosi criminali maschi,
ricoverati per delitti gravi e sessuali, e dimostrano un minor controllo dell’ emotività;
talora presentano deficit mentali che riducono i loro freni inibitori.
Franchini e Introna (1972) sostengono che l’anomalia cromosomica è causa del
disturbo mentale e questo è causa della condotta criminale e che l’anomalia XYY
compare fra i cri m inali precoci e di alta statura con frequenza da 12 a 20 volte
maggiore rispetto alla frequenza tra i maschi normali (circa 1 su mille). Questi studi
hanno fatto ritenere che l’aneuploidia
XYY
costituisse la prova scientifica
dell’esistenza del delinquente nato lombrosiano.
2.7 Accenni di biochimica dell’aggressività
Al giorno d’oggi è stato scientificamente provato che il comportamento aggressivo è
influenzato da alcuni neurotrasmettitori cerebrali, ovvero da quelle sostanze chimiche
deputate all’interscambio fra le cellule nervose.
La ricerca scientifica ha provato che l’esistenza di una relazione inversa fra serotonina e
comportamento impulsivo/aggressivo, ovvero minore è l’attività dei sistemi
serotoninergici, maggiore è la probabilità che l’individuo manifesti un comportamento
aggressivo.
Per ciò che concerne invece un altro neurotrasmettitore cerebrale, la dopamina, è stato
dimostrato su animali da laboratorio che alte concentrazioni di essa causano come
conseguenza diretta un aumento dell’aggressività.
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CAPITOLO 3
SERIAL KILLER E PSICOPATOLOGIA
3.1 Serial killer psicotici o serial killer psicopatici?
Secondo Lunde (1976), Dietz ( 1986) e Rapaport (1988), in base alle motivazioni
psicopatologiche, i serial killer possono essere suddivisi in:
- serial killer psicotici, affetti da schizofrenia, oppure da psicosi paranoide delirante, i
quali compiono omicidi perché guidati da voci imperative che obbligano ad uccidere;
- serial killer psicopatici, affetti da disturbi della personalità, i quali sovente uccidono
per il senso di onnipotenza che deriva dal poter disporre della vita di un'altra persona.
Lunde considera gli individui che commettono più di un omicidio quasi sempre malati
mentali, rispetto a chi compie un omicidio singolo. Egli divide gli assassini seriali in
due categorie:
- schizofrenici paranoici, caratterizzati da un comportamento aggressivo e sospettoso,
da allucinazioni (spesso di tipo uditivo) e da deliri di grandezza e/o di persecuzione;
- sadici sessuali, che uccidono, torturano e/o mutilano le vittime per raggiungere
l'eccitazione e il piacere sessuale.
Non di rado i serial killer, accompagnano la loro attività omicida con mutilazioni di
parti genitali, lesioni e torture, feticismo, pedofilia, necrofilia e antropofagia.
Simon fa invece risalire l’impulso omicidiario degli assassini seriali alla fase maniacale
dalla psicosi maniaco depressiva, considerandoli quindi affetti da disturbo bipolare.
3.2 Disturbi mentali maggiormente riscontrati nello studio dei serial killer
I disturbi mentali dai quali sono maggiormente affetti i serial killer sono da considerarsi
i seguenti:
- disturbi di personalità;
- psicosi;
- parafilie;
- disturbi mentali dell’età evolutiva;
- disturbi mentali su base organica;
- disturbo dissociativo dell’identità;
- disturbo del controllo degli impulsi;
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In questa sede mi limiterò a trattare quelli che sono i disturbi maggiormente riscontrati
nello studio degli assassini seriali. Essi verranno analizzati nel dettaglio nei paragrafi
seguenti.
3.3 Disturbi di personalità
Analizzerò ora quelli che sono i disturbi di personalità più spesso riscontrati nello studio
dei serial killer.
Il DSM-IV-TER divide i disturbi di personalità in tre grandi gruppi sulla base delle
analogie descrittive: il gruppo A include i Disturbi di personalità paranoide, Schizoide e
Schizotipico; gli individui appartenenti a questo gruppo appaiono spesso strani ed
eccentrici. Appartengono al gruppo B i Disturbi di personalità Antisociale, Borderline,
Istrionico e Narcisistico; caratteristiche di questi individui sono l’emotività e
l’imprevedibilità.
Al gruppo C appartengono i Disturbi di Personalità Evitante, Dipendente e OssessivoCompulsivo. Gli individui affetti da disturbi di personalità appartenenti a questo gruppo
sono spesso ansiosi e paurosi.
Caratteristica fondamentale di tutti i disturbi di personalità è la presenza un modello
costante di esperienza interiore e di comportamento che devia marcatamente rispetto
alle aspettative della cultura dell’individuo, e si manifesta in almeno due delle seguenti
aree: cognitività, affettività, funzionamento interpersonale o controllo degli impulsi.
Essi esordiscono nell’adolescenza o nella prima età adulta.
- Disturbo Antisociale di Personalità
Il disturbo di personalità più comune negli omicidi seriali è, senza ombra di dubbio il
Disturbo Antisociale di Personalità, un tempo denominato Psicopatia.
Caratteristica essenziale di questo disturbo è un quadro di inosservanza delle norme
sociali e violazione dei diritti degli altri; gli individui affetti da questo disturbo, che si
manifesta nella fanciullezza o adolescenza e continua nell’età adulta, non riescono a
conformarsi alle norme sociali, non rispettano i diritti ed i sentimenti degli altri,
mancando totalmente della capacità empatica, sono disonesti e manipolativi, sono
incapaci di pianificare il futuro a causa della loro impulsività. Questi individui tendono
ad essere irritabili ed aggressivi e mostrano scarso rimorso per le conseguenze delle
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proprie azioni. Senso di grandiosità ed autostima ipertrofica li accompagnano in ogni
loro azione.
Negli assassini seriali, il disturbo antisociale di personalità è sovente accompagnato dal
Disturbo Narcisistico di Personalità.
Kernberg (1975) definisce la personalità antisociale un "sottogruppo della personalità
narcisistica", ipotizzando l’esistenza di una sindrome da narcisismo maligno, la quale
farebbe insorgere nel soggetto un senso smisurato di onnipotenza accompagnato da
assenza di senso morale e di empatia verso gli altri esseri umani; questi individui
rientrano nella categoria dei serial killer psicopatici.
- Disturbo Borderline di Personalità
Negli assassini seriali è stata riscontrata una marcata incidenza del Disturbo Borderline
di Personalità. Esso è caratterizzato da una modalità pervasiva di instabilità delle
relazioni
interpersonali
(caratterizzate
dall’alternanza
tra
gli
estremi
di
iperidealizzazione e svalutazione), dell’autostima e dell’umore, e da una marcata
impulsività, da riscontrarsi in comportamenti dannosi quali abuso di sostanze, guida
spericolata, abbuffate, autolesionismo, attività sessuale promiscua.
Gli individui affetti da questo disturbo provano intensi sentimenti di abbandono, per
evitare il quale sono disposti a compiere sforzi disperati, reale o immaginario che esso
sia. Presentano una marcata instabilità dell’immagine di sé e della percezione di sé ed
una spiccata instabilità affettiva, dovuta ad una marcata reattività dell’umore.
Minacciano gesti suicidiari, talvolta passando all’atto. Hanno una grande difficoltà
controllare la rabbia e sovente si trovano coinvolti in scontri fisici.
- Disturbo Narcisistico di Personalità
Caratteristica essenziale del disturbo narcisistico di personalità è un quadro pervasivo di
grandiosità, necessità di ammirazione e mancanza di empatia che inizia nella prima età
adulta. Spesso assorbiti da fantasie di successo, di potere o di amore ideale, gli individui
affetti da disturbo narcisistico di personalità si credono persone speciali e si aspettano
che gli altri li riconoscano come tali; tuttavia, la loro autostima è molto fragile. Si
aspettano di venire ammirati e glorificati e, quando questo non avviene, si sentono
sconcertati e divengono furiosi.
Questi individui sono spesso invidiosi degli altri e mancano di empatia.
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Per la giurisprudenza moderna, i disturbi di personalità non alterano la capacità di
intendere e di volere, né attenuano la responsabilità per ciò che si è commesso. La
maggior parte dei serial-killer, infatti, agiscono con il solo fine di assecondare i loro
impulsi primari e perversi con assoluta lucidità e premeditazione.
Nel far ciò, non perdono assolutamente il contatto con la realtà ed elaborano
esattamente ciò che stanno facendo, talvolta costruendo la scena del crimine con
assoluta freddezza.
A parte che nella la psicosi schizofrenica, nella quale l’atto criminoso viene compiuto
sotto una spinta improvvisa ed irrefrenabile e nel disturbo da personalità multipla, nella
maggior parte dei casi, i serial-killer vengono ritenuti perfettamente in grado di
intendere e di volere, e per questo motivo essi vengono di prassi affidati al sistema
carcerario.
Raramente, solo in caso di grave quadro psicopatologico, si decide il loro internamento
in Ospedale Psichiatrico Giudiziario; essi vengono considerati non imputabili per vizio
di mente e pertanto sottoposti a misura di sicurezza.
Pochi serial killer vengono internati in Ospedale Psichiatrico Giudiziario; ricordiamo, a
titolo di esempio, due serial killer appartenenti alla realtà italiana: Gaspare Zinnanti e
Roberto Succo.
3.4 Psicosi
Per ciò che concerne la Schizofrenia e gli altri disturbi di tipo psicotico, si può
affermare che la maggior parte dei serial killer di tipo disorganizzato ne è affetta.
Secondo la classificazione del DSM-V-TER, sono da ritenersi sintomi caratteristici
della schizofrenia deliri, allucinazioni, eloquio disorganizzato, comportamento
grossolanamente disorganizzato o catatonico, appiattimento dell’affettività, alogia,
abulia.
Il contenuto dei deliri può includere una grande varietà di temi: deliri di persecuzione
(la persona è convinta di essere seguita, spiata, tormentata o ingannata); deliri di
riferimento (l’individuo è convinto che commenti di persone, passi di libri e giornali o
altri spunti provenienti dall’ambiente esterno, siano specificamente rivolti a sé stesso) ;
deliri somatici; deliri religiosi o di grandiosità.
Le allucinazioni possono manifestarsi per mezzo di qualsiasi modalità sensoriale, ma
quelle di tipo uditivo sono le più comuni e caratteristiche della schizofrenia; esse
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vengono sperimentate come voci che vengono percepite come distinte dai pensieri
propri del soggetto, e sovente sono di tipo minaccioso o imperativo, ovvero ordinano al
soggetto ciò che deve fare.
Secondo De Pasquali (1991), l’omicidio compiuto dagli schizofrenici si può inscrivere
in due classi:
omicidio da impulso, in cui il soggetto che se ne è reso autore non sa dare spiegazioni
dell’atto (che è quindi di tipo egodistonico);
omicidio reattivo all’esperienza delirante o allucinatoria, il quale viene messo in atto
poiché ordinato da voci imperative che sollecitano il soggetto ad uccidere indicandogli
la futura vittima come un persecutore.
Caratteristica fondamentale del Disturbo Delirante secondo il DSM-IV-TER è la
presenza di uno o più deliri non bizzarri che persistono per un periodo di almeno un
mese. I deliri possono essere di tipo erotomanico, di grandezza, di gelosia, di
persecuzione, somatico o misto.
Esistono casi di serial killer affetti da disturbo delirante che hanno ucciso per eliminare
persone che identificavano come persecutorie.
Per ciò che invece riguarda il Disturbo Psicotico Condiviso (Folie a dèux), la sua
manifestazione essenziale consiste in un delirio che si sviluppa in un soggetto coinvolto
in una relazione molto stretta con un’altra persona, definita in psichiatria “induttore” o
caso primario, la quale presenta già un delirio psicotico in atto. Tale delirio è simile nel
contenuto a quello della persona che funge da induttore, e che è anche dominante nella
relazione.
Casi di omicidio in coppia nei quali sono stati riconosciuti gli autori come affetti da
questo disturbo sono stati riscontrati in ogni parte del mondo.
3.5 Parafilie
Le parafilie, secondo il DSM IV-TER, sono caratterizzate da fantasie, impulsi sessuali o
comportamenti ricorrenti e intensamente eccitanti sessualmente, che in generale
riguardano:
1. oggetti inanimati;
2. la sofferenza o l’umiliazione di se stessi o del partner;
3. bambini o altre persone non consenzienti.
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Essi devono manifestarsi per un periodo di almeno sei mesi (criterio A). Per alcuni
soggetti, fantasie o stimoli parafiliaci sono indispensabili per l’eccitazione sessuale e
sono sempre inclusi nell’attività sessuale. In altri casi, le preferenze parafiliache si
manifestano solo episodicamente.
Fanno parte delle parafilie: pedofilia, voyeurismo, esibizionismo, frotteurismo, sadismo
sessuale, masochismo sessuale, feticismo di travestimento, parafilia non altrimenti
specificata.
Fondamentalmente l'assassino seriale si divide in sadico e necrofilo. Il sadico è colui
che per eccitarsi sessualmente, ha bisogno di sottoporre l'altro al suo completo e
indiscusso controllo anche attraverso l'uso della violenza. Obiettivo primario del sadico
è quello di procurarsi piacere sessuale sottoponendo la vittima alle più atroci torture.
Il necrofilo, al contrario, si potrebbe definire un “contemplatore di corpi senza vita”:
non odia le sue vittime, ma le ama e giunge nei casi più gravi ad avere rapporti sessuali
con i cadaveri compiendo talvolta rituali antropofagici al fine simbolico di introiettare
gli oggetti d’amore.
I lust killer, uccidono le donne, al fine di eliminare la parte di sé che non riescono ad
accettare, motivo per cui distruggere i simboli della femminilità significa per loro
annientare quella parte di sé che non si riesce ad accettare.
In altri casi, invece, l'impulso omicidiario può derivare da impotenza sessuale o,
viceversa, da ipereccitazione di tipo sessuale.
Il sadismo sessuale è un disturbo psichico ad andamento cronico a causa del quale il
soggetto trae piacere sessuale dal dolore inflitto ad altri individui. Il termine sadismo
deriva dal tristemente famoso marchese De Sade, di cui si conoscono le gesta come
scrittore e come autore di certi “giochi” crudeli compiuti con prostitute, il quale finì in
un ricovero di alienati per questi suoi macabri comportamenti.
Già da bambino l’individuo che possiede tendenze sadiche sembra provare piacere
nell’infliggere dolore ad altri esseri viventi. Una volta divenuto serial killer, ciò che lo
gratifica di più è il prolungare il più a lungo possibile sofferenza, ritardando il momento
del decesso della vittima a proprio piacimento. La modalità con la quale uccide le sue
vittime è solitamente quella dello strangolamento e l’azione può essere accompagnata
da vera e propria eccitazione sessuale. Per i soggetti sadici, intrattenersi in attività
sessuali con il cadavere della vittima assume una doppia funzione: dispregiativa nei
confronti della vittima e di autoaffermazione della propria virilità e potenza sessuale. E’
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proprio la lunga agonia della vittima a destare eccitazione; comportamenti sadici
possono includere l’imprigionamento della vittima, il bendarla, il fustigarla, percuoterla,
torturarla fino ad ucciderla. L’età d’esordio è variabile ma, di solito, le fantasie sessuali
di questo tipo sono presenti nelle mente del futuro serial killer fin dalla fanciullezza.
Inoltre, la gravità degli atti cresce con il passare del tempo: il sadismo è quindi una
parafilia ad andamento cronico.
Caratteristiche principali si questa parafilia secondo il DSM-IV-TER, sono le seguenti:
1. durante un periodo di almeno 6 mesi, sono presenti fantasie, impulsi sessuali, o
comportamenti ricorrenti, e intensamente eccitanti sessualmente, che comportano azioni
in cui la sofferenza psicologica o fisica della vittima è sessualmente eccitante per il
soggetto;
2. le fantasie, gli impulsi sessuali o i comportamenti causano disagio clinicamente
significativo o compromissione dell’area sociale, lavorativa o di altre importanti aree di
funzionamento.
I serial killer sadici preferiscono uccidere le loro vittime mediante strangolamento,
poiché in tal modo possono prolungare il momento reale del decesso, aumentando e
diminuendo la forza della stretta; l'azione è accompagnata da una vera e propria
eccitazione sessuale che può culminare nell'orgasmo. Secondo Gabbard, “Le persone
che hanno bisogno di fantasie o azioni sadiche per raggiungere la gratificazione sessuale
stanno cercando di capovolgere scenari infantili nei quali sono stati vittime di abuso
fisico o sessuale. Infliggendo ad altri quello che accadde a loro quando erano bambini
ottengono nello stesso tempo vendetta e un senso di padronanza sulle esperienze
infantili di abuso […]” 2. Manifestazioni del comportamento sadico possono ritenersi
anche lo zoosadismo (ovvero il comportamento sadico verso gli animali) ed il
depezzamento ( che consiste nel fare a pezzi il corpo della vittima dopo l’uccisione). I
serial killer sadici si suddividono in:
1) serial killer impotenti sessuali i quali, non riuscendo ad avere un rapporto sessuale
appagante con una donna , sfogano su di essa la loro aggressività latente. Il tipo di
omicidio posto in essere da questi serial killer è da intendersi come un fallimentare
tentativo di avere un rapporto sessuale con la vittima. Questo genere di serial killer
2
G.O. Gabbard, Psichiatria psicodinamica, Raffaello Cortina Editore, III ed., Milano, 2002, p.317.
29
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generalmente uccide mediante l’utilizzo di armi da punta e da taglio, che rappresenta
simbolicamente un sostituto del pene. Spesso, il serial killer impotente sessuale asporta
parti del corpo della vittima al fine di conservarli come feticcio, rivivendo alla loro vista
il loro macabro trionfo sulla vittima.
2) Serial killer sadici stupratori, i quali presentano come tratto caratteristico un
sessualità di tipo compulsivo. Questi individui non uccidono sempre le loro vittime, ma
qualora questo avvenga, lo fanno tramite strangolamento. Per mezzo di questa pratica,
riescono infatti a ritardare o ad accelerare il momento della morte della povera vittima a
loro piacimento, percependo in tal modo una sensazione di onnipotenza.
Il feticismo è una parafilia ad andamento cronico caratterizzata dalla presenza, per un
periodo di almeno 6 mesi, di fantasie, impulsi sessuali o comportamenti ricorrenti
sessualmente eccitanti, i quali comportano l’uso di oggetti inanimati (per esempio
biancheria intima femminile, scarpe femminili, ecc…).
Solitamente il feticcio è necessario all’eccitazione sessuale,ed in sua assenza possono
manifestarsi, nella persona affetta da questo disturbo, disfunzioni dell’erezione.
Secondo Glen O. Gabbard “Per raggiungere l’eccitamento sessuale, i feticisti hanno
bisogno di usare un oggetto inanimato, spesso un articolo di biancheria intima
femminile, o una scarpa, oppure una parte non genitale del corpo. Freud originariamente
spiegò il feticismo come una gemmazione dell’angoscia di castrazione. L’oggetto scelto
come feticcio rappresenta il “pene femminile”, uno spostamento che aiuta il feticista a
superare l’angoscia di castrazione”3.
Si parla di parzialismo, quando vi è una fissazione su una parte del corpo, ad esempio
gli organi genitali ed i seni, che possono venire asportati dal corpo, e spesso anche
conservati dal serial killer al fine di distruggere i simboli della femminilità, che spesso
appaiono ai suoi occhi come terrifici, in un gesto estremo atto simbolicamente ad
affermare la propria virilità.
Nei serial killer il feticismo si presenta generalmente nella fase definita da Norris come
“totemica”, nella quale l’ omicida deve rivivere l’ eccitazione del delitto attraverso il
feticcio.
Talvolta, l’assassino seriale raccoglie dei trofei. Essi si differenziano dai feticci in
quanto, mentre il feticcio ha una funzione simbolica che aiuta il soggetto a riportare alla
3
G.O. Gabbard, Psichiatria psicodinamica, op. cit. p.318.
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memoria l’azione omicidiaria, i trofei rivestono una funzione afrodisiaca, trattandosi di
una parte del corpo della vittima.
Le parafilie non altrimenti specificate: sono classificate come parafilie non altrimenti
specificate tutte quelle parafilie che non soddisfano i criteri per alcuna categoria
specifica, e si suddividono in:
- perversioni dell’atto, che comprendono condotte a valenza sessuale le quali
sostituiscono il coito con pratiche di altro tipo (coprofilia, urofilia, clismafilia,
scatologia telefonica);
- perversioni dell’oggetto, ovvero pratiche a connotazione sessuale nelle quali si verifica
la sostituzione dell’oggetto finale. Esse comprendono necrofilia, cannibalismo,
vampirismo e zoofilia.
Quelle maggiormente riscontrate nei serial killer fino ad oggi catturati sono senza
dubbio le perversioni dell’oggetto.
La necrofilia consiste nell’attrazione sessuale nei confronti dei cadaveri; coloro che
sono affetti da questa parafilia, cercano di mantenere intatto il cadavere, e pertanto
uccidono per lo più per mezzo di strangolamento o avvelenamento: secondo il punto di
vista psicoanalitico, la sessualità di questi individui si è arrestata allo stadio descritto da
Freud come pre-fallico.Talvolta i necrofili si limitano alla contemplazione dei corpi
delle vittime accompagnadola ad attività autoerotica, altre volte mettono in atto un
cannibalismo definito amoroso, tramite il quale il serial killer introietta simbolicamente
l’oggetto amato: l’identità altrui viene annientata con l’introiezione di parti del corpo
della vittima. Il serial killer necrofilo non attua sempre il coito con il cadavere; egli è
infatti un contemplatore, e può cercare di mantenere intatto il cadavere per ammirarlo,
spesso tornando per alcuni giorni sul luogo del delitto.
Il cannibalismo: l’interpretazione psicoanalitica considera il cannibalismo una
regressione allo stadio orale dello sviluppo ed una fissazione dello sviluppo sessuale a
questo stadio.
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Un serial killer che commette atti di cannibalismo, avverte la necessità di ricreare quella
sequenza, tipica di quando è neonato, di collegare ancora il cibo al piacere, anche di tipo
sessuale.
Cannibalismo e vampirismo possono convivere nello stesso individuo. Ricordo a tal
proposito il caso del Vampiro di Parigi e di Vincenzo Verzeni, lo strangolatore di
donne anche denominato il vampiro della bergamasca, oggetto della mia trattazione.
Il vampirismo, viene definito come un “periodico e compulsivo bisogno di bere sangue
umano al fine di provare stimolo sessuale fino a giungere all’orgasmo”.
In questi individui, la componente sadica è molto forte, poiché traggono dal dolore e dal
sangue delle vittime la loro più grande eccitazione.
Non di rado, il vampirismo si sovrappone ad un altro grave disturbo psicopatologico,
l’antropofagia, ovvero il desiderio di ingerire la carne di individui morti, caratteristiche
che troviamo entrambe in Vincenzo Verzeni, del quale tratterò approfonditamente nei
prossimi capitoli.
3.6 Disturbi mentali dell’età evolutiva
Fra i disturbi mentali solitamente diagnosticati per la prima volta nell’infanzia, nella
fanciullezza o nell’adolescenza, i più significativi ai fini della mia trattazione, poiché
più spesso riscontrati nei serial killer, sono senza dubbio il Ritardo Mentale ed il
Disturbo della Condotta.
- Ritardo Mentale: caratteristica fondamentale del ritardo mentale secondo il DSM-IVTER è un funzionamento intellettivo generale significativamente al di sotto della media,
accompagnato da compromissione del funzionamento adattivo in almeno due delle
seguenti aree: comunicazione, cura della persona, vita in famiglia, capacità sociali/
interpersonali, uso delle risorse di comunità, autodeterminazione, capacità di
funzionamento scolastico, lavoro, tempo libero, salute, sicurezza. L’esordio si ha prima
dei 18 anni, ed il quoziente intellettivo (QI) è compromesso.
Fattori predisponenti del ritardo mentale sono, in percentuale: ereditarietà (5%),
alterazioni precoci dello sviluppo embrionale (30%), problemi durante la gravidanza e
nel periodo perinatale (10%), condizioni mediche generali acquisite durante l’infanzia o
la fanciullezza (5%), influenze ambientali ed altri disturbi mentali (15-20%).
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- Disturbo della condotta
Caratteristica fondamentale del disturbo della condotta, è una modalità di
comportamento ripetitiva e persistente di violazione dei diritti altrui e delle regole
sociali appropriate per l’età. Questi soggetti possono mettere in atto i seguenti
comportamenti: aggressioni a persone o animali, distruzione della proprietà, frode o
furto, gravi violazioni delle regole, fughe da casa. L’età di esordio del disturbo della
condotta è da collocarsi nella fanciullezza o nell’adolescenza, ed esso può evolvere fino
a sfociare nel disturbo antisociale di personalità.
3.7 Disturbi mentali su base organica
Alcune condizioni patologiche organiche, che interessano il Sistema Nervoso Centrale,
possono essere alla base di alcune sindromi psichiatriche. Quelle maggiormente
correlate al comportamento omicidiario in seriale sono la Sindrome del lobo frontale (la
quale può causare disturbi del comportamento con l’accentuazione delle tendenze
istintuali, perdita della capacità critica, apatia ed indifferenza), i Disturbi correlati a
sostanze, l’Aids (che può causare degenerazione delle cellule nervose) e le Psicosi
organiche.
3.8 Disturbi del controllo degli impulsi
Caratteristica fondamentale di questo tipo di disturbi è l’incapacità di resistere ad un
impulso, a un desiderio impellente o alla tentazione di compiere un’azione dannosa per
sé o per gli altri, motivo per cui l’individuo che ne è affetto prova gratificazione nel
momento in cui mette in pratica l’azione stessa.
I Disturbi del controllo degli impulsi comprendono: Disturbo Esplosivo Intermittente,
Cleptomania, Piromania, Gioco d’Azzardo Patologico, Tricotillomania, Disturbo del
Controllo degli Impulsi non Altrimenti Specificato.
Fra questi, quelli maggiormente riscontrati nei serial killer studiati sono certamente il
disturbo esplosivo intermittente e la piromania.
Caratteristica fondamentale del Disturbo Esplosivo Intermittente è il verificarsi di
saltuari episodi di incapacità a resistere ad impulsi aggressivi, che possono causare
aggressioni fisiche o distruzioni di proprietà; il grado di aggressività di questi individui
è spropositato rispetto a qualsiasi provocazione esterna. Il comportamento esplosivo è
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preceduto da una sensazione di tensione seguito da una sensazione di sollievo, che può
originare rimorso o imbarazzo nell’autore.
Caratteristica primaria della Piromania è la presenza di episodi multipli di
appiccamento deliberato ed intenzionale di incendi.
I soggetti affetti da piromania avvertono tensione o eccitazione emotiva prima di
appiccare il fuoco, provando piacere o sollievo dopo aver messo in pratica l’azione
incendiaria. Questi soggetti sono affascinati ed incuriositi dal fuoco e sono spesso
osservatori abituali di incendi.
3.9 Disturbo dissociativo dell’identità
Il Disturbo Dissociativo dell’Identità (un tempo definito Disturbo da Personalità
Multipla) possiede come caratteristica distintiva la presenza di due o più distinte identità
o stati di personalità le quali, in modo ricorrente ed improvviso, prendono il controllo
del comportamento del soggetto e si riscontra in quei serial-killer i quali attribuiscono
l'azione omicidiaria ad un'altra personalità con la quale condividono il corpo,
ritenendosi pertanto innocenti. Caratteristica distintiva del disturbo dissociativo
dell’identità è l’incapacità di ricordare notizie personali importanti; ognuno degli stati di
personalità può essere vissuto come se possedesse una storia personale ed un’identità
distinte. Solitamente, vi è la presenza di un’identità primaria che porta il nome del
soggetto, di solito passivo e con tendenze depressive, mentre le identità alternative
assumono un ruolo dirigenziale ed hanno una forte tendenza alla distruttività.
Va ricordato però, che tale disturbo è rarissimo, e difficilissimo da diagnosticare.
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CAPITOLO 4
VINCENZO VERZENI, IL VAMPIRO DELLA
BERGAMASCA
4.1 Vincenzo Verzeni
Appartengono al XIX secolo i due casi di serial killer che hanno segnato l’epoca
moderna: quello di Jack "lo Squartatore" (verificatosi nel 1888 nel malfamato quartiere
londinese di Whitechapel a Londra) e dell'italiano Vincenzo Verzeni, sottoposto da
Cesare Lombroso a perizia psichiatrica in qualità di consulente della difesa in clamoroso
processo sovente ricordato negli annali della giurisprudenza di fine ‘800.
Il caso Verzeni fu a lungo trattato da Lombroso in diversi suoi scritti; egli nel celebre
saggio Delitti di Libidine, viene dal celebre alienisti annoverato fra i rei di libidine per
via delle peculiarità dei reati da lui commessi, tutti a movente di tipo sessuale. Così
scriveva Cesare Lombroso riguardo ai rei-nati di libidine: “Venendo ai rei di libidine,
molti di questi sono congeniti. […] La prova più sicura si deduce dalla esposizione del
fatto, dall’esame del cranio deforme, microcefalo e della faccia, con mascelle enormi,
con orecchie ad ansa e colla fisionomia cretinosa […], oppure con un aspetto
esageratamente femmineo, da modo con cui avvenne il reato, dalle inutili sevizie che lo
accompagnano spesso, e spesso lo sostituiscono. Ricordiamo i tristi casi di Verzeni, di
Grassi, di Philippe, di Gille de Rais, di Sade […]. Vi possono essere degli omicidi che si
sostituiscono allo stupro, che ne provocano nell’autore gli stessi compiacimenti,
evidentemente per causa morbosa atavistica che fa riprodurre in mezzo alla civiltà
europea le tendenze delle tribù selvagge”4.
Cesare Lombroso scrisse del Verzeni anche nel saggio L’amore nei pazzi; in
quest’opera scrisse riguardo al Verzeni: “Passiamo a quelle forme che oramai la scienza
scancella dal crimine, in cui l’amore non si gode che brancicando il cadavere, e
spingendosi fino alla ferocia cannibalesca – le necrofilomanie. Verzeni, figlio e
congiunto a pellagrosi e cretini, con cranio assimetrico, atrofico a destra, con enorme
mandibola ed eurignatismo, con perdita di fosfeni a destra, strangolò due donne e
cinque ne assaltò e quasi lasciò per morte, per il piacere venereo che provava nello
stringere loro il collo, come nell’infanzia si era abituato coi polli, e poi nello spaccare i
4
C. Lombroso, Delitti di Libidine, seconda ed., estratto dall’Archivio di Psichiatria, Scienze Penali ed
Antropologia Criminale, Fratelli Bocca editori, Torino, 1886, pp. 35-38.
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cadaveri delle vittime, nel mordere gli arti, succiarne il sangue, e sviscerarle
esportandone le carni per gustarle più tardi arrostite” 5.
Vincenzo Verzeni è stato il primo serial killer italiano la cui personalità è stata oggetto
di studi scientifici da parte di esimi psichiatri del tempo.
Venne abilmente descritto da un giornalista dell’epoca il quale scrisse della vicenda sul
quotidiano “La Gazzetta Provincia di Bergamo” all’epoca del processo come un
“giovinotto con capelli biondi, con fini mustacchi dello stesso colore, con lineamenti
regolari, d’aspetto florido, fisionomia che quasi potrebbe dirsi simpatica, se non avesse
un’espressione alquanto cupa ed uno sguardo semilosco”.
Ritratto di Vincenzo Verzeni
Nato a Bottanuco (BG) il giorno 11 Aprile 1849 da una famiglia contadina ma agiata,
Vincenzo Verzeni trascorse la sua gioventù in modo apparentemente tranquillo,
frequentando assiduamente le funzioni religiose presso la Chiesa parrocchiale e
dedicandosi al lavoro nei campi di proprietà della famiglia.
Dall’aspetto docile, spesso solitario, amava passeggiare in completa solitudine nelle
campagne circostanti il suo paese natale.
Tuttavia, fu nel 1867, che iniziò la spirale di violenza e di morte che avrebbe
trasformato Vincenzo Verzeni da tranquillo e solitario contadino in un uno dei più
sadici e spietati serial killer appartenenti alla realtà italiana.
5
C. Lombroso, L’amore nei pazzi, in Archivio di Psichiatria, Scienze Penali ed Antropologia Criminale
per servire allo studio dell’uomo delinquente, Ermanno Loescher editore, Torino, 1881, pp. 11-12.
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4.2 I fatti
I fatti oggetto della seguente narrazione ebbero inizio una mattina del 1867 a Bottanuco,
piccolo paesino di agricoltori situato nella provincia bergamasca.
1867 - Una fanciulla di circa 12 anni, Marianna Verzeni, giaceva a letto poiché malata,
quando ad un tratto si sentì afferrare fortemente per il collo da qualcuno. La stanza era
immersa nel buio, ed invano la piccola tentò di riconoscere il suo aggressore; quasi
paralizzata dalla paura, tentò di dare un pugno nello stomaco allo sconosciuto, nel
tentativo di liberarsi dalla presa, ma la forza dell’uomo era tale che alla fanciulla,
terrorizzata, non restò che gridare più forte che potesse nella speranza che qualcuno la
strappasse alla morte. Improvvisamente, il misterioso aggressore mollò la presa e se ne
andò.
La zia della ragazza, Teresa Innocenti, accorse poco dopo vedendo Vincenzo Verzeni,
cugino della fanciulla, scendere dalla scala che conduceva alla camera da letto della
piccola Marianna. Il ragazzo, allora diciottenne, la rassicurò dicendo di essere accorso
alle grida della cugina per vedere cosa stesse accadendo.
Stampa che raffigura Vincenzo Verzeni mentre tenta di strangolare la cugina Marianna.
Dicembre 1869 - Alle quattro del mattino di un freddo giorno di Dicembre, Barbara
Bravi, una giovane contadina di circa 25 anni, percorrendo la strada che da Cerro
conduceva alla Chiesa parrocchiale di Bottanuco, venne avvicinata da uno sconosciuto
che, ad un tratto, con un gesto rapido ed inatteso, la afferrò per il collo.
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In un primo momento la ragazza non diede peso alla cosa, pensando che si trattasse
dello scherzo di qualche conoscente, ma dopo qualche istante, sentendo che l’uomo non
mollava la presa ed anzi aumentava la potenza della stretta fino quasi a soffocarla, iniziò
a gridare; solo allora l’uomo fuggì. L’oscurità non permise alla giovane di riconoscere il
misterioso aggressore.
Dicembre 1869 - La stessa mattina di dicembre 1869, la liquorista 35enne Margherita
Esposito uscì di casa assai presto per recarsi alle Missioni. Era ancora buio, e la strada
che la donna usava percorrere, la stessa sulla quale era stata aggredita poco prima
Barbara Bravi, era totalmente deserta. La donna stava recitando un Pater Noster quando,
nell’oscurità, fu avvicinata da un uomo che la afferrò forte al collo. Aveva una tempra
forte Margherita Esposito: afferrò l’uomo per la camicia e lo ferì al labbro inferiore nel
disperato tentativo di difendersi.
L’uomo, che secondo la testimonianza della Esposito durante l’aggressione emetteva un
grugnito quasi animalesco, fuggì senza tentare di strappare i coralli che la donna aveva
al collo, e non fece altro gesto che quello di cercare di strangolarla. Non si trattava
dunque di un tentativo di rapina.
Inverno 1869 - Nello stesso inverno del 1869 alle 7 del mattino, Angela Previtali,
all’epoca dodicenne, mentre camminava per i campi per recarsi a scuola, fu avvicinata
da un giovane che riconobbe subito come Vincenzo Verzeni. Egli la afferrò per i polsi,
tentando di trascinarla in direzione di un luogo isolato.
La bambina iniziò a piangere ed a gridare forte; solo allora il Verzeni la lasciò andare.
8 dicembre 1870 - Era mattino presto, e Giovanna Motta, una fanciulla di 14 anni,
percorreva la strada che conduceva da Bottanuco a Suisio, suo paese natale. Nonostante
la giovane età, già da tempo Giovanna aveva lasciato il pese natale e la casa dei genitori
per andare a lavorare come domestica a Bottanuco, presso la casa dei Ravasio.
Purtroppo, la piccola Giovanna non potè mai più riabbracciare i propri familiari, poiché
non fece mai più ritorno a Suisio. Qualcosa di mostruoso accadde su quella strada, e la
fanciulla fu barbaramente uccisa.
I suoi organi interni vennero ritrovati il giorno stesso da un contadino che li rinvenne in
una fessura ai piedi di un albero di gelso, ma non se ne curò poiché pensò
appartenessero a qualche animale e fossero stati posti in quel luogo da qualche
cacciatore come richiamo per le volpi. Il suo corpo nudo, lacero, privo delle viscere e
mancante di un polpaccio, venne ritrovato tre giorni dopo; su di un sasso, situato ½
metro sopra la testa della morta e leggermente a sinistra del cadavere, erano disposti
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alcuni spilloni appartenenti alla Motta, di quelli che le contadine usavano per
acconciarsi i capelli. Essi erano disposti in fascetto, tutti con il capocchio da una parte e
la punta dall’altra, rivolte verso la testa della giovane.
Aprile 1871 – era circa mezzogiorno della seconda festa di Pasqua e Maria Galli,
contadina di Bottanuco, mentre camminava per i campi si imbatté in un uomo che,
avvicinatola, senza profferire parola, le strappò il fazzoletto dalla testa ed alla richiesta
della donna di renderglielo, se ne andò portandolo con lui.
26 agosto 1871 - Era mezzogiorno e la diciottenne Maria Previtali si trovava a
percorrere la strada che da Bottanuco conduceva a Suisio, quando un uomo la fermò
chiedendole chi ella fosse.
La ragazza rispose con una bugia, ovvero di appartenere alla famiglia Crippa di Suisio;
a questa risposta, l’uomo le si avventò addosso, la trascinò in un campo e le sollevò le
vesti fino alla cintura; le afferrò la gola e le puntò un ginocchio sul petto per soffocarla.
Alle sue grida, in un primo momento l’uomo sembrò demordere dai suoi propositi
criminali e si allontanò di qualche passo. Ma dopo pochi attimi, tornò indietro, afferrò la
donna che nel frattempo si era alzata in piedi per scappare e la riafferrò per il collo con
ambedue le mani. Alle grida della ragazza, si guardò intorno e la lasciò andare,
rimanendo sul posto mentre la giovane si dava alla fuga mettendosi in salvo.
27 agosto 1871 – Una robusta donna di campagna, Elisabetta Pagnoncelli, uscì di casa
al mattino presto per portare alcuni pulcini in un terreno denominato Fondo Campazzo.
Fu ritrovata nuda in un campo comunale presso la Strada Comunale per Madone, con
evidenti segni di strangolamento e scempiata per mezzo di un falcetto.
Nel dorso della donna, erano conficcati tre spilloni disposti a formare un triangolo, di
cui l’ago crenato figurava il vertice verso la testa; questo elemento portò subito gli
investigatori ad attribuire l’omicidio alla stessa mano che quasi nove mesi prima aveva
fatto scempio della povera Giovannina Motta.
4.3 L’arresto e la condanna
Per l’omicidio della Motta, in un primo momento i sospetti caddero su un muratore di
Suisio, Abramo Esposito, il quale fu arrestato, ma scagionato dopo due mesi di carcere
grazie ad una sentenza del Tribunale di Bergamo, nella quale si affermava che non
poteva essere stato lui l’artefice dell’orribile delitto. A quel punto, le indagini iniziarono
a brancolare nel buio, e dell’assassino non si ebbe più traccia.
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Passarono lunghi mesi, fino a che, due giorni dopo dell’assassinio di Elisabetta
Pagnoncelli, il 29 agosto 1872, fu arrestato Luigi Comerio, contadino di Suisio, paese
poco distante da Bottanuco, colpevole di aver più volte tentato approcci con la
Pagnoncelli, noncurante del fatto che ella fosse sposata e con prole; il Comerio fu in
seguito scagionato poichè in possesso di un alibi per il giorno dell’omicidio trovandosi
in compagnia dei familiari presso la propria abitazione.
A seguito di una serie di testimonianze ed indizi che convergevano sulla figura del
Verzeni, egli fu tratto in arresto il 10 gennaio 1872 e tradotto il giorno seguente presso
le Carceri Giudiziarie di Sant’Agata di Bergamo.
Egli dovette rispondere di tre capi d’imputazione, ovvero:
-
del crimine di tentato omicidio volontario per aver tentato nel 1867 di
strangolare la cugina Marianna;
-
del crimine di omicidio volontario per avere ucciso, il giorno 8 dicembre
1870, Giovanna Motta;
-
del crimine di omicidio volontario per avere, il 27 agosto 1871, tolto la vita ad
Elisabetta Pagnoncelli.
Dopo un clamoroso processo che ebbe luogo dal 26 marzo al 9 aprile del 1873, la Corte
d’Assise di Bergamo emise la Sentenza con la quale Vincenzo Verzeni venne dichiarato
colpevole dell’aggressione alla cugina Marianna Verzeni e degli omicidi di Giovanna
Motta e di Elisabetta Pagnoncelli.
4.4 La reclusione
Subito dopo l’arresto, Vincenzo Verzeni fu condotto presso il carcere di Sant’Agata di
Bergamo, dove scontò i primi mesi di reclusione; processato e riconosciuto colpevole,
scampò alla condanna a morte poiché un giurato non era totalmente convinto della sua
colpevolezza, e fu condannato alla pena dei lavori forzati a vita, alla perdita dei diritti
civili e politici, nonché al pagamento delle spese processuali ed al risarcimento delle
famiglie delle persone uccise.
In seguito, la Corte d’Appello di Brescia, con Sentenza del 20 Gennaio 1890, ordinò la
commutazione della pena dei lavori forzati a vita in quella della reclusione per 30 anni,
con l’aggiunta della vigilanza speciale da parte dell’autorità di P.G. per tre anni.
A causa del suo fragile equilibrio psicologico, il Verzeni il 13 aprile 1872, venne
trasferito nel Manicomio Giudiziario della Senavra a Milano, dove il 23 luglio 1874,
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tentò il suicidio tramite impiccagione. Salvato, venne trasferito dalla Senavra di Milano
al carcere di Civitavecchia, luogo in cui rimase fino alla scarcerazione.
Scontata la lunga pena, il Verzeni fu sottoposto all’obbligo di domicilio coatto con un
provvedimento eccezionale, il quale si prefiggeva di tutelare e ridare serenità alla
popolazione di Bottanuco e dei paesi circostanti, enormemente preoccupata per l’uscita
dell’uomo dal Carcere di Civitavecchia.
Insegna affissa all’ingresso dell’ex manicomio milanese della Senavra
Facciata dell’ex manicomio della Senavra
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Una volta scarcerato, il Verzeni tornò a vivere nel suo paese natale, dove si spense per
morte naturale alle ore 15,35 del trentuno dicembre del 1918; la data del decesso è
attestata dall’Atto di Morte n. 87, custodito presso gli uffici dell’Anagrafe del Comune
di Bottanuco.
4.5 Atto di morte di Vincenzo Verzeni
L’anno millenovecentodiciotto, addì trentuno di dicembre a ore pomeridiane tre e
minuti trentacinque, nella Casa comunale.
Avanti di me Bulla Giacomo Segretario Delegato con atto del Sindaco in data cinque
Marzo milleottocentosettantasei debitamente approvato Ufficiale dello Stato Civile del
Comune di Bottanuco, sono comparsi Verzeni Giuseppe fu Giovanni, di anni
quarantasei, possidente, domiciliato in Bottanuco, e Paganelli Giuseppe di Michele, di
anni quarantuno, pastaio, domiciliato in Bottanuco, i quali mi ha dichiarato che a ore
pomeridiane due e minuti dieci di oggi, nella casa posta in Via San Giorgio al numero
sessanta, è morto Verzeni Vincenzo, di anni sessantanove, contadino, residente in
Bottanuco, nato in Bottanuco dal fu Giacomo, domiciliato in vita in Bottanuco, celibe.
A quest’atto sono stati presenti quali testimoni Pagnoncelli Giovanni fu Antonio, di anni
quarantadue, e Suardi Antonio fu Vittore di anni cinquantadue, possidente, ambi
residenti in questo Comune. Letto il presente atto a tutti gl’intervenuti, si sono essi
meco sottoscritti.
Verzeni Giuseppe, dichiarante.
Paganelli Giuseppe, dichiarante.
Pagnoncelli Giovanni, teste.
Suardi Antonio, teste.
Giacomo Bulla, Ufficiale delegato
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Copia dell’atto di morte n. 87 custodito presso l’Anagrafe del Comune di
Bottanuco
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4.6 L’Eco di Bergamo, 3-4 dicembre 1902
Per l’uscita di Verzeni dall’ergastolo
«Da Bergamo si scrivono le seguenti notizie ad un giornale di Milano, notizie che da
assunte informazioni ci risultano vere.
La popolazione di Bottanuco è terrorizzata al pensiero che Vincenzo Verzeni, lo
squartatore di donne, ha quasi ormai finita la espiazione della pena, che dall’ergastolo,
per effetto dell’attuazione del nuovo codice penale, fu convertita in 30 anni di
reclusione.
Il lugubre ricordo delle gesta sanguinose del Verzeni è ancora vivo in Bottanuco e nei
paesi circostanti, dove si ricordano tutt’oggi con senso di venerazione le povere donne
fatte a pezzi in aperta campagna dallo squartatore per libidine di sangue.
A Bottanuco i fedeli hanno fatto in questi giorni delle novene perché al loro paese fosse
risparmiata tanta iattura. L’autorità politica delle nostra provincia, pure impressionata, si
interessò ad esso e provvide saviamente convocando d’urgenza la Commissione
apposita, che assegnò il Verzeni a domicilio coatto per la durata di cinque anni.
Questo provvedimento eccezionale ha ridonato la tranquillità a quelle popolazioni, Il
Verzeni passerà quindi dal reclusorio di Civitavecchia alla sede che gli verrà assegnata
per scontarvi i cinque anni di domicilio.
Il Verzeni, che è nato nel 1849, conta pertanto 52 anni ed è ancora abbastanza in salute
ad onta delle sofferenze del carcere.
A domicilio coatto – La commissione per l’assegnamento a domicilio coatto, ha deciso
di relegare per tre anni in una colonia, oltre il Verzeni, di cui parliamo più sopra, anche
il pregiudicato Cesare Gironi, un vero specialista di truffe e di furti.
Questo individuo doveva uscire dal carcere ieri stesso; ma poi vi fu trattenuto, in seguito
alla deliberazione sovraccennata».
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4.7 L’eco di Bergamo, 23-24 maggio 1906
Vincenzo Verzeni e le morbose pubblicazioni di un giornale
Una riga, non più, abbiamo pubblicato, giorni or sono, quando ci giunse la notizia dello
scarceramento del disgraziato squartatore di donne, Vincenzo Verzeni, di Bottanuco.
Più tardi, la passata settimana, fummo informati anche dell’arrivo dell’ex-galeotto a
Bottanuco, ma, per un riguardo speciale e a Bottanuco ed anche – perché non dirlo? – ad
un infelice, che se ha commesso delitti atroci, ne ha pur scontata la pena, non abbiamo
creduto di doverne far cenno.
Così, invece, non la pensò altro giornale cittadino, che credette di poter pubblicare in
proposito lunghe relazioni.
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Ora, in risposta appunto a dette pubblicazioni riceviamo da Bottanuco la seguente
lettera-protesta, che, corrispondente pienamente la giudizio nostro, pubblichiamo:
« Una penosa impressione hanno qui prodotto certi giornali della Provincia, i quali,
credendo forse troppo poca cosa per loro la semplice notizia del ritorno di Vincenzo
Verzeni a Bottanuco, hanno voluto ripeterci una tristissima pagina della storia della
malvagità umana e, soddisfatti di brancolare nel fango, non si sono curati di pensare alle
tristi conseguenze che dai loro scritti potevano derivare.
Purtroppo, si dubitava che in questa occasione certa gente non avrebbe avuta nessuna
misericordia per un infelice, nessun riguardo per una intera comunità, nessun rispetto
alla pietosa memoria di due povere vittime, al dolore rinnovellato dei loro parenti.
Noi, indignati, protestiamo energicamente contro questi scritti inconsulti e spudorati, e
ci consola che anche fuori di qui, certi giornali, che vorrebbero essere gli educatori del
popolo, siano stati in questi giorni severamente giudicati.
Per la verità, e perché il pubblico ha diritto di non essere ingannato, si sappia che non è
affatto vero ciò che il Giornale ha stampato, cioè che Vincenzo Verzeni sia ritornato a
Bottanuco per la via di Trezzo; che i connotati riferiti dal corrispondente del Giornale
non sono esatti, perché non è vero che l’ex-galeotto si enormemente ingrassato; che è
immaginaria la petizione dei capi di famiglia di Bottanuco passata per tramite del
Municipio alla superiore Autorità, perché il Verzeni non potesse ritornare a Bottanuco;
infine che qui da nessuno non si conosce la domanda fatta dall’amministrazione
carceraria al Comune di Bottanuco, perché, nel caso si dovesse trattenere il Verzeni,
fosse provveduto al pagamento annuale di una certa somma per il mantenimento.
Riguardo, poi, a certi consigli dati dal Giornale all’autorità comunale di Bottanuco,
speriamo che essa non ne terrà conto, e saprà egualmente tutelare la incolumità
pubblica, senza venir meno a quegli umanitari riguardi verso un individuo che, scontata
la sua pena, deve essere lasciato in oblio.
Concludendo, dobbiamo ripetere che a Bottanuco l’articolo del Giornale, non solo ha
fatto pessima impressione, ma viene riguardato come un’offesa assai grave a tutti».
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4.8 L’Eco di Bergamo 3-4 ottobre 1906
Contro certi drammi
«La patria assicura, che è imminente una circolare del Ministero dell’Interno ai prefetti,
con cui si richiama l’autorità di pubblica sicurezza alla stretta e scrupolosa osservanza
della disposizioni per le quali è vietato riprodurre sulla scena fatti di indole politica e
morale che possano turbare l’ordine pubblico.
Questo provvedimento pare motivato dalla circostanza che per la prossima stagione
teatrale è annunziata la rappresentazione di un dramma dal titolo L’assassinio del conte
Bonmartini.
Benissimo fatto.
Al proposito però si osserva, che altri drammi occuparono già lo pubbliche scene ed
ebbero, purtroppo, clamorosi successi, perché sfruttarono l’emozione pubblica, che
erano nell’aria e nei ricordi recenti.
La regina Draga, ad esempio, dopo di essere stata assassinata a Belgrado, fu fatta
rivivere nel teatro, anche delle marionette.
Giuseppe Musolino ha avuto l’uguale disgrazia. Fu tirato fuori dalla cella, fu rimesso a
posto, nei boschi con un trombone, con dei pugnali, con dell’olio negli occhi
febbrilmente accesi. Il passatore Vincenzo Verzeni, la Saraceni, o altri o altre corsero
l’identica sorte. Anche il famoso Olivo, dopo aver fatto a brani la moglie, aveva ideato
di farla rinascere sul teatro, in una azione tragica, magari verseggiata. Qualcuno gli
impedì il successo, che sarebbe stato, finanziariamente, enorme.
Del resto meglio tardi che mai. Il teatro dovrebbe sempre essere scuola di moralità e non
folle sfruttatrice di ogni più morboso e malsano sentimento, vivaio, troppo spesso di
corrotti e di delinquenti ».
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4.9 L’Eco di bergamo, 3 marzo 1953
L’Eco di Bergamo di 50 anni fa (martedì 3-3-1903)
«Il famoso strangolatore di donne, Vincenzo Verzeni di Bottanuco, è stato liberato dal
reclusorio di Civitavecchia ove era stato condannato all’ergastolo. Avuta mutata la pena
in trent’anni di reclusione, ne è uscito all’età di 54 anni.
A tale annunzio la popolazione di Bottanuco si è spaventata e reclama che le autorità
vietino al mostruoso assassino di rientrare nel paese».
Come si evince dall’articolo, la popolazione di Bottanuco, anche dopo trent’anni dai
tristi avvenimenti che la videro teatro di morte, era spaventata per l’uscita del Verzeni
dal Carcere, poiché si temeva che potesse riprendere la spirale di morte da egli innescata
ben trentadue anni prima.
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Nonostante fossero passati così tanti anni, era ancora vivo il ricordo dei tristi fatti di
sangue dei quali il Verzeni si era reso artefice.
4.10 La perizia psichiatrica nel XIX secolo ed il processo Verzeni
Il dibattito sulla questione della non imputabilità per vizio di mente (e quindi della non
responsabilità) è sorto solo a cavallo fra il ‘700 e l’800.
In Italia, fautori del nuovo orientamento della scienza penale, furono Lombroso (il quale
attraverso i suoi studi di antropologia criminale identificò alcune particolari anomalie
somatiche e costituzionali, che affermò essere alla base del comportamento criminale),
Enrico Ferri ( 1856-1929) e Raffaele Garofalo (1852- 1934).
Nel XIX secolo la scuola francese di Esquirol, allievo di Pinel, introdusse nella dottrina
forense la nozione di monomania come causa che escludeva la punibilità e si introdusse
il concetto di follia morale, malattia dell’anima curabile con l’istituzionalizzazione.
Per ciò che riguarda la nostra penisola, l’articolo 34 del codice del Granducato di
Toscana del 1853, definiva non imputabili le violazioni della legge penale quando chi le
commise non ebbe coscienza dei suoi atti e libertà d'elezione.
In quel periodo storico, la giurisprudenza dell’Unità d’Italia si mostrava disposta ad
escludere l'imputabilità solo se l'accusato "fuori di senno" o "soverchiato da forza"
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avesse agito "senza il concorso della sua volontà", mentre dichiarava punibile chi avesse
operato denotando almeno "un grado di malizia".
Il codice penale Zanardelli del 1889, all'art. 46, definisce non punibile il soggetto
trovatosi in tale stato di infermità di mente da togliergli la coscienza o la libertà dei
propri atti.
Nello stesso periodo storico, sulla scia di queste teorie innovative, vennero pubblicati
numerosi saggi in tema di perizia psichiatrico/forense.
Nelle prime annate di "Rivista penale", si trovano numerose perizie psichiatriche a
firma dei più rinomati clinici dell'epoca.
Nel 1884 viene pubblicata la Guida pratica delle perizie di Antonio Raffaele, sebbene il
manuale più famoso sull’argomento sia La perizia psichiatrico-legale di Cesare
Lombroso, pubblicata nel 1905.
Il 21 aprile 1902 la Cassazione pronunciò la seguente Sentenza: "Il magistrato di merito
può dedurre altrimenti che dal responso dei pratici della materia il suo convincimento
sullo stato mentale dell'imputato, e non solo può venire a un giudizio diverso da quello
esposto da essi, essendo perito dei periti, ma a fortiori è competente anche ad escludere
la concludenza della prova all'uopo invocata" (Cassazione, 1902).
Si instaurò il principio riconosciuto anche dal nostro vigente Codice Penale che
considera il giudice “peritus peritorum”, ovvero perito dei periti.
L’ interesse per la moderna scienza giurisprudenziale, portò anche alla pubblicazione di
numerose riviste sul tema. Nel 1871 fu fondato da una società di avvocati la Rivista dei
Dibattimenti Celebri, celeberrimo quindicinale dell’epoca il quale aveva come obiettivo
primario la divulgazione dei processi famosi dell’epoca.
Proprio per via del clamore che suscitò il processo Verzeni, furono pubblicati alcuni
saggi sull’argomento, sebbene le osservazioni più importanti su questo personaggio
siano senza dubbio quelle scritte da Cesare Lombroso nella sue opere.
Nel 1873 fu poi pubblicata la raccolta completa dei resoconti del dibattimento della
Corte d’Assise di Bergamo, edita dalla Tipografia di Pietro Cattaneo (Bergamo).
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Copertina della raccolta completa dei resoconti del dibattimento Verzeni
E’ invece del 1889 il saggio di 13 pagine “ Vincenzo Verzeni strangolatore di donne”
del quale purtroppo non si conosce l’autore, edito dalla Tipografia Salani di Firenze.
Copertina dell’opuscolo, di autore ignoto, Vincenzo Verzeni strangolatore di donne
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In epoca più recente, persino il celebre scrittore Leonardo Sciascia ha dedicato un
capitolo alle vicende che videro coinvolto il Verzeni nel suo libro “Il mare colore del
vino”, dal titolo “Processo per violenza”.
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CAPITOLO 5
IL PROCESSO VERZENI
5.1 Il processo Verzeni
Il processo a Vincenzo Verzeni ha avuto luogo presso la Corte d’Assise di Bergamo in
un periodo compreso fra il 26 Marzo ed il 9 Aprile 1873.
A questo importante dibattimento presero parte alcune delle più illustri personalità nel
campo della psichiatria dell’epoca, fra le quali spiccano personaggi celeberrimi, quali
Cesare Lombroso (perito della difesa che indirizzerà la sua perizia verso la semiinfermità mentale dell’imputato), e Luigi Fornasini.
La modalità con la quale Vincenzo Verzeni pose in essere i suoi delitti suscitò talmente
tanto interesse che molti medici, direttori di manicomi e di ospedali, giuristi e magistrati
e persino le Facoltà mediche delle Università di Parigi, Montpellier e Tubinga, chiesero
di poter ricevere una copia dei resoconti del dibattimento, al fine di poter meglio
analizzare la vicenda.
Nei paragrafi seguenti verranno riportati i passi più importanti del processo Verzeni, al
fine di facilitare al lettore la comprensione della vicenda, utili a delineare il profilo
criminale ed il profilo psicologico di questo controverso personaggio, che verranno
trattati nell’ultimo capitolo.
Data l’impossibilità di reperire gli originali dei fascicoli processuali, ho utilizzato,
reputandola la fonte più attendibile il quotidiano “La Provincia Gazzetta di Bergamo”,
di notevole diffusione nel bergamasco all’epoca dei fatti, il quale si è occupato delle
vicende giudiziarie del Verzeni per tutta la durata del processo.
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5.2 Atto d’Accusa
Letto all’udienza della Corte d’Assise di Bergamo il giorno 26 marzo 1873, nella causa
contro Verzeni Vincenzo, d’anni 22, contadino di Bottanuco, accusato del crimine di
omicidio volontario contro la fanciulla Giovanna Motta, del crimine di assassinio
contro la Pagnoncelli Elisabetta e di tentato omicidio volontario contro la giovinetta
Marianna Verzeni.
E’ ACCUSATO
1. Del crimine di tentato omicidio volontario, per avere nelle ore pomeridiane di un
giorno di un giorno festivo del 1868 o d’altro anno prossimo precedente o successivo,
volontariamente tentato di togliere la vita alla propria cugina Marianna Verzeni, nella di
lei casa d’abitazione in Comune di Bottanuco, stringendola fortemente al collo per
soffocarla e sospendendo la esecuzione del manifestato proposito per circostanze
indipendenti dalla sua volontà, e con l’aggravante di aver agito senz’altra causa che per
impulso di brutale malvagità, reato previsto dagli articoli 96, 98, 522 e 533 n. 2 del
Codice Penale.
2. Del crimine di omicidio volontario, per avere la mattina dell’8 dicembre 1870,
nell’aperta campagna in Comune di Bottanuco, volontariamente tolta la vita alla
fanciulla Giovanna Motta mediante colpi di strumento tagliente, e fors’anche mediante
soffocazione, colla circostanza aggravante d’aver commesso tale omicidio senz’altra
causa che per impulso di brutale malvagità, reato previsto dagli articoli 522 e 533 n. 2
del Codice Penale.
3. Del crimine di assassinio, per avere la mattina del 27 agosto 1871, nell’aperta
campagna in Comune di Bottanuco, tolse volontariamente la vita ad Elisabetta
Pagnoncelli, maritata Frigeni, strozzandola con corda, e commettendo reato di omicidio
colle circostanze aggravanti della premeditazione , e di aver agito senz’altra causa che
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per impulso di brutale malvagità, reato previsto dai combinati articoli: 522, 526, 528,
531, 533 n. 2 Codice Penale».
5.3 Udienza del 26 marzo 1873
“La Provincia Gazzetta di Bergamo” 27 marzo 1873
«P.M. - Cav. Quintavalle, Proc. del Re
Difesa – Ondei avv. Gonsildo.
Siede sul banco degli imputati Vincenzo Verzeni di Bottanuco. E´ un giovanotto con
capelli biondi, con due fini mustacchi dello stesso colore, con lineamenti regolari,
d’aspetto florido, di fisionomia che quasi potrebbe dirsi simpatica, se non avesse
un’espressione alquanto cupa, ed uno sguardo semilosco.
E´ vestito da contadino agiato. Non dà alcun segno di commozione. Designati i signori
Giurati in mezzo ad una affollatissima udienza si passa alla lettura della sentenza di
rinvio e dell’atto d’accusa (che pubblichiamo per esteso più innanzi) ascoltato con
profonda attenzione. Finita la lettura dell’atto d’accusa e la dichiarazione del presidente
all’accusato sui tre capi d’accusa di cui è imputato, il P.M. comunica i documenti
giustificativi dell’assenza dei due periti della difesa i signori Biffi e Verga. A questo
punto l’avv. Ondei chiede gli sia conceduta una mezz’ora di tempo affine di riflettere
sulla scelta surroganti ai due precitati periti assenti, rimettendosi nel caso possa
decidersi a dimandare necessariamente un rinvio. La mezz’ora richiesta è accordata
anche a titolo di riposo».
«Sono introdotti i periti per l’appello. Per l’accusa sono i sig. Alberghetti dott. Federico
– Fornasini cav. dott. Luigi – Galli cav. Dott. Michelengelo – Perolio dott. Carlo –
Previtali dott. Gerolamo – cav. Tarchini Bonfanti, (tutti comparsi).
Per la difesa: il sig. Biffi cav. Dott. Serafino (mancante) – Terzi dott. Francesco
(comparso) – Verga cav. dott. Antonio (mancante). […]
Interrogatorio dell’accusato
[…]
« Pres. Come avete udito siete oggetto di tre capi d’accusa - le altre cinque imputazioni
hanno un carattere per così dire accessorio; su esse non siete chiamato a rispondere;
furono dedotte dal P.M. per chiarire meglio i fatti principali. Il primo di questi consiste
anche cronologicamente in un Tentato omicidio volontario su Maria Verzeni vostra
cugina nel vespro di un giorno di festa, anno imprecisato 1868. Cosa ne dite?
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Acc. Non ne so nulla.
Pres. La conoscete?
Acc. Sì, è vicina di casa, la due abitazioni tanto a pianterreno che superiormente sono
attigue, ma separate, per cui non sono costretto a passare per quella di mia cugina,
quando abbia ad entrare nella mia.
[…]
Pres. Vi ricordate dunque di questo fatto, d’una festa all’ora di vespro, di aver udito
gridare…?
Acc. Io stava in casa mia sdraiato su tre sedie, quando udii gridare mia cugina, corsi a
vedere che fosse e la vidi piangente ed ignuda, mi pare, (ilarità) accovacciata sull’uscio
della sua camera in cima alla scala. La chiesi che avesse da piangere, ed ella mi rispose
che un omiciattolo della figura ed apparenza del proprio padre avea voluto strangolarla.
Io discesi allora e mi portai di nuovo a sedere sotto il portico della mia casa su un sasso.
Nel tragitto non vidi né incontrai persona. […]
Pres. Sempre in ordine cronologico: conoscete Barbara Bravi, Maritata Arzuffi?
Acc. No.
Pres. La mattina verso le 4 ½ del dicembre 1869 sulla strada tra Cerro e Bottanuco essa
fu avvicinata da un individuo, che l’afferrò tenacemente con ambe le mani e a piena
forza come per strozzarla; essa fu tuttavia in tempo a emettere grida d’aiuto e di dolore,
per cui l’individuo fuggì… Ne sapete nulla?
Acc. Nulla.
Pres. In quel turno di tempo, dicembre 1869, se non mi sbaglio, vi erano le
Missioni…E’ vero? Vi ricordate di esservi andato mai…alla mattina…per tempo?... e in
caso affermativo sareste passato per quella stessa strada tra Cerro e Bottanuco?
Acc. Le Missioni, è vero, c’erano. Quanto all’esserci andato (religiosamente
meravigliato e quasi offeso dalla dimanda) vuole che non ci vada?... La mia strada
tuttavia era diversa, in quel giorno non passai per di là.
Pres. In quella stessa strada, un’ora dopo circa accadde consimile scena della
precedente sulla persona di margherita Esposito maritata Scala. Essa pure fu sorpresa da
un individuo, che per di più, dopo averla come al solito afferrata pel collo, le piantò un
ginocchio nel petto, quasi a schiacciarla, Ma l’assalita nella disperazione ghermì
ferocemente pel labbro inferiore lo sconosciuto, si che questi fu costretto fuggire.
Conoscete questa donna? Sapete nulla del fatto?
Acc. Nulla, non conosco la donna in quiistione».
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«[…] Pres. Omicidio di Giovanna Motta (l’attenzione si fa più viva e profonda) serva o
figlia d’amore di Ravasio, la conoscete?
Acc. Sì di vista… la vedeva perché vicina di casa, e perché lavorava anch’essa vicina al
mio campo. (Una tinta sfuggevole di rossore invade le guance dell’imputato. È
evidentemente agitato)
Pres. Non foste mai tentato di libidine per essa?
Acc. No… Che vuole per una ragazzina ?»
Interrogato se fosse a conoscenza degli spostamenti soliti della Motta per andare a
trovare i parenti a Suisio, risponde di no.
[…]
« Pres. Quanto tempo prima della disgrazia la vedeste la Motta?
Acc. In ottobre, nel campo a vangare.
Pres. Avete udito qualcosa pel conto suo?
Acc. Sì, lo sa anche lei... (Ilarità)
Pres. Sì ma vorrei sentirlo anche da voi?
Acc. Era tutta sconciata, deformata (sassinada) non si poteva nemmeno riconoscere per
cristiana, non era vestita, era nuda...
Pres. Nuda?...
Acc. Sì, nuda, aveva indosso niente...
Pres. Era intiero il corpo?
Acc. No... spaccato a mezzo - imesat éa - davanti e posteriormente...».
Verzeni afferma di aver visto questa scena il giorno del ritrovamento del corpo, dopo la
prima messa.
[…] «Pres. Quando vedeste il corpo della Motta sotto il tabiotto era coperto?
Acc. Era coperto ma era nuda… lei…
Pres. Non vedeste nulla in terra ai piedi del cadavere?
Acc. Dei sassi ad uso sedile.
Pres. E vicino al cadavere degli spilli?
Acc. Lo udii dire ma non li vidi; si diceva che erano su un sasso vicino al cadavere.
Pres. In mucchio, o disposti a simmetria?
Acc. Non so, perché lo udii solo a dire.
Pres. Conoscete Maria Galli maritata Colleoni di Solza (distante circa tre miglia dal
luogo del misfatto).
Acc. No.
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Pres. Udiste nulla di essa?
Acc. Che gli avean rapito un fazzoletto… non so in quel tempo, se prima o dopo il fatto
della Motta.
Pres. Sapeste in qual modo avvenne questo rapimento di fazzoletto?
Acc. No… si diceva che fu sulla strada da Solza a Suisio. In quel giorno io non passai di
là».
[…]
Pres. Conoscete Maria Previtali?
Acc. Sì signore, è mia parente, germana; tuttavia non ho relazione con essa. Sentii da
altri nella bottega dello speziale di Bottanuco che era stata gettata a terra il giorno 26 nel
fondo Gerone di mia proprietà. Era presente alla narrazione anche Giovanni bravi. Il
fatto deve esser successo verso sera. Quanto agli autori indiziati non udii che fosse
incolpato un Crippa di Suisio; io per mio conto non sapeva neanche che ci fosse; né
meno caddero sospetti per quanto io mi sappi sul L. Comerio (?). Del resto io stava a
casa mia io, quindi lontano anche dalla possibilità di saperne tante. Il fatto credo
avvenne un ora o due dopo mezzogiorno.
[…].
Pres. Veniamo all’ultimo fatto: Voi che faceste il giorno dopo (27), pure festivo come il
precedente?
Acc. Che dice?...
Pres. (ripete)
Acc. Mi levai la mattina presto per la prima messa, mi confessai dal Martina, fui
comunicato (ilarità ironica nel pubblico) dal parroco, poi andai a messa seconda di Don
Bortolo, e poi alla terza (…) dal curato detto curadù; ciò fatto ritornai ed andai pei
campi […]. Alle 10 fui a casa, desinai ed andai in Chiesa; e dopo ancora di ritorno a
casa . Girovagai alcun poco tra la gente per conoscere del fatto atroce ch’era successo, si diceva da gente che usciva di chiesa - nel campo Zamnin.
Pres. Ma voi lo nominaste questo luogo, ci foste…
Acc. No, ci passai vicino… Il Bravi era sul sentiero presso il campo. Dissi altra volta
d’aver veduto qualcosa di strano accadere in quello, ma non è vero; riflettendo meglio,
trovai che è falsità quanto deposi.
Pres. Ma voi incolpaste alcuno…
Acc. Sì, due, Sala Antonio e Suardi Giuseppe; dell’uno dissi che avea preso la vittima
pei piedi, dell’altro pel collo; che il Sala vedutomi m’ingiunse di partire,
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minacciandomi, e anche lusingandomi con promesse di danaro, perché essi volevano
punire quella donna che aveva fatto loro del male. Il Suardi mirava a strozzarla e non
parlava; solo mi guatò di sbieco. Tutto è falsità; dissi questo instigato dai compagni di
carcere, che asseverano andar sempre puniti gli innocenti, come loro, e assolti i veri
colpevoli. Chiamato in confronto dei due da me calunniati, sostenni il mio asserto.
Essi presero e persistettero a darmi del matto, dell’assassino, del falso, dell’infame. Tale
accusa tuttavia non mi fu imbeccata, positivamente da nessuno; del resto non volea far
loro alcun male... (ilarità rumorosa), buttai fuori dei nomi... così... per salvar me. Dissi
che era stato suggerito dal guardiano, ma non era vero».
5.4 Udienza del 27 marzo 1873
“La Provincia Gazzetta di Bergamo” 28 marzo 1873
Prosegue l’interrogatorio del Verzeni.
Pres. Vi domando di nuovo se il giorno che fu uccisa la Pagnoncelli avete veduto il
Bravi. Mi diceste di averlo veduto la sera di quel giorno presso lo speziale. Pare che non
ricordiate bene.
Acc. Ho viso il Bravi dallo speziale, e abbiamo parlato del fatto successo il giorno di s.
Alessandro sulla strada di Suisio.
Pres. Risulterebbe invece che avete visto il Bravi la domenica, e con lui avete parlato
del fatto della Pagnoncelli dicendogli: se te ciamat diga miga che te me vist in del cap.
Acc. È vero, gli ho detto così.
Pres. Perché avete detto tali parole al Bravi?
Acc. Così innocentemente, come si farebbe.
[…]
Pres. Non vedeste mai la Pagnoncelli a portare i pulcini nel campo?
Acc. Mai; non ho visto sempre che i suoi di casa e non altri, Non sapeva nemmeno che
ella andasse in quei campi.
Pres. Diceste al Giudice Istruttore, che sapevate essere la povera Pagnoncelli solita a
portare i pulcini in quel campo. Pensate bene…
Acc. Non mi viene in mente.
Pres. Non la vedeste mai portare i pulcini in altro campo?
Acc. Non l’ho veduta. Non me lo ricordo.
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Pres. Diceste ieri, che il cappello, da voi comperato a Vario, aveva la fodera stretta, che
l’avete levata,e bruciata lungo la strada, e poi sostituita con un’altra tolta ad un cappello
di vostro padre. Ricordate il colore di quella fodera?
Acc. No.
( Gli si mostra la fodera del suo cappello, che fu trovata vicino al luogo dove fu uccisa
la Pagnoncelli, e dichiara di non conoscerla. Dice anzi che la fodera da lui bruciata
era di color diverso sicuramente ).
Pres. Quando foste arrestato il vostro cappello aveva la fodera?
Acc. Non l’aveva.
( Gli si fa vedere un pezzo di corda, che fu trovata presso il cadavere della Pagnoncelli,
e dichiara di non averla mai avuta sotto gli occhi; così pure non riconosce altro pezzo
di corda trovata in casa sua ).
Pres. Coi vostri compagni di carcere non avete mai parlato dei fatti di Bottanuco?
Acc. No, mai.
Pres. Non avete mai detto, che vi è una maniera di abbrancare le donne e tenerle quiete
per forza?
Acc. No.
Pres. Avete mai avuto amanti al vostro paese?
Acc. Sì; una; la Carolina Marchesi, e la voleva sposare, ma poi l’ho lasciata dopo averle
parlato per un poco, perché i miei di casa non volevano che mi maritassi, e non
volevano altre donne in famiglia.
Pres. Lasciaste la Carolina Marchesi prima o dopo che morì la Pagnoncelli?
Acc. Molto prima.
Pres. Non avete avuto altra amante?
Acc. Si una certa Tasca di Suisio, voleva sposare anche quella, e credo che mi volesse
bene.
Pres. Quando fu uccisa la Pagnoncelli facevate l’amore colla Tasca?
Acc. Si: le parlava, ed anzi le aveva promesso che quella Domenica sarei andato a
trovarla, ma non sono andato, che la festa dopo».
[…]
Pres. Che vita facevate voi d’ordinario?
Acc. Lavorava i campi, attendeva al bestiame, e poi stava a casa mia dove si va sempre a
letto presto.
Pres. Eravate solito a sentire molte messe, e a frequentare le funzioni?
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Acc. Sempre: tutte le feste sentiva due e anche tre messe. Alle funzioni non mancava
mai.
Pres. Foste a scuola da piccolo?
Acc. Ci sono andato quattro anni, ma non ho imparato niente per colpa del maestro, che
non insegnava niente. - Non sono mai stato ammalato: da piccino ebbi ammalata una
gamba, ma sono guarito. Mia madre diceva che era stato un ristagno di sangue.
D’ordinario non soffriva mai nulla i miei parenti sono sani, ma mia madre soffre le
convulsioni, e qualche volta cade in terra come morta.
Dietro domanda del P. Ministero si fanno all’imputato altre interrogazioni diverse, alle
quali egli categoricamente risponde, e con piena lucidità di idee.
Conferma specialmente di non aver mai avuto relazioni illecite con donne, e di non aver
mai fatto quelle cose.
Pres. Perché fate vita solitaria, e passeggiate per i campi? È questo il vostro carattere?
Acc. Perché io non amo la compagnia, e mi piace star lontano dai rumori, e dalle
chiacchiere. E poi mio padre mi raccomandava sempre di star lontano da tutti, di
attendere ai fatti miei, e di andar a casa presto.
Sopra domande dei medici cav. Tarchini-Bonfanti, Terzi, Fornasini, e uno dei sig.
Giurati, si fanno parecchie e minuziose interrogazioni al Verzeni sullo stato della sua
salute, ed egli risponde che soffre degli intercorrenti dolori alla testa, che d’ordinario
non gli impediscono di lavorare, e che passano sempre senza soccorso di medico né di
medicine.
[…]
Il dott. Girolamo Previtali […] ripete che le ferite della sventurata fanciulla devono
essere state fatte tutte a corpo vivo ed ancora palpitante; che lo strumento feritore deve
essere stato di ampie e robuste dimensioni, molto affilato ed adoperato con grande
forza; che per consumare quella carneficina deve essere occorso all’assassino un tempo
non minore di tre quarti d’ora, che oltre alle ferite vaste da punta e da taglio si
verificarono sulla parte interna delle cosce delle piccole altre ferite da ritenersi fatte da
unghie, e che da ciò si ebbe a desumere che siasi tentato da due mani e con violenza di
divaricare quelle cosce; quindi il sospetto di tentato stupro violento. Fatto esaminare al
dott. Previtali un piccolo falcetto rinvenuto indosso al Verzeni quando fu arrestato,
dichiara che quello strumento, a suo avviso, non poteva produrre le ferite riscontrate sul
corpo della Motta; ritiene invece, che potessero essere prodotte da un grosso falcetto, e
da un coltellaccio ( corlass ) che gli vengono presentati, e che furono perquisiti in casa
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del Verzeni. Interpellato subito dopo sulle stesse circostanze di fatto il dott.
Michelangelo Galli […] si trova in pieno accordo con quanto ha detto il dott. Previtali,
insistendo specialmente sulla probabilità che le graffiature sulle cosce e sulle spalle
della Motta fossero il risultato d’una lotta contro un brutale attentatori libidine».
Viene inoltre sollevata dalla difesa, la questione del numero dei periti, inferiore per
quest’ultima, pertanto chiese che le venisse accordato di far intervenire in dibattimento
il prof. Lombroso dell’Università di Pavia, il cav. Vigna, direttore del Manicomio di san
Servilio di Venezia, ed il cav. Griffini di Milano».
5.5 Udienza del 29 marzo 1873
“La Provincia Gazzetta di Bergamo” 29-31 marzo 1873
«L’udienza è aperta alle 9 e 20. Sono comparsi i nuovi periti Signori Dr. Lombroso e
Griffini.
[…] Ondei avv. Non avrebbero i sig. Periti alcun dato da aggiungere sulla causa della
morte della Motta; nulla per credere che sia avvenuta per soffocazione?
Dr. Previtali. Nessuno; non la escludiamo tuttavia, essendo stati nell’impossibilità di
rilevare in proposito stante che visitammo il cadavere due o tre giorni dopo avvenuta la
morte, e per lo stato del cadavere.
Dr. Galli. Unico dato, puramente d’induzione affatto razionale sarebbe la terra in bocca,
ma giova tuttavia osservare , che la vittima poteva aver aria per le narici. Non possiamo
quindi asserire se sia avvenuta la soffocazione, tanto più ripeto anch’io che la visita
avvenne dopo alcuni giorni dalla morte.
[…]
Dr. Terzi, perito. Osserva che i vestiti sono non molto laceri, non lordi di sangue, il che
fa credere che furono tolti dopo la morte della Motta. Infatti si ebbe la stessa tante e si
grandi ferite, delle quali una sola sarebbe bastata ad inondare di sangue tutte le vesti;
vista d’altronde la tendenze dell’assassino a strangolare le sue assalite, e di più la terra
in bocca alla ragazza, crediamo che la morte sia avvenuta per asfissia.
[…]
Pubb. Minist. Chiede se sieno rinvenute tracce spermatiche
Dr. Previtali e Dr. Galli. No, osserviamo tuttavia che potrebbero essere state asportate
dal lento lavacro della neve liquefatta.
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Dr. Terzi. Io dopo tutto rimango sempre nella pristina opinione che la morte sia
avvenuta per asfissia, che in seguito poi gli impulsi morbosi dell’assassino lo abbiano
trascinato alle stragi susseguenti.
[…]
Si mostrano all’accusato gli abiti della Pagnoncelli: sono contadineschi e comuni, di
dimensioni grandi, corrispondenti alla figura dell’estinta.
Pres. Li conoscete?
Acc. Non li conosco.
Si dà lettura delle perizia medica redatta dai sig. dott. Alberghetti e Previtali.
[…]
Dr. Previtali. Sul cadavere della Pagnoncelli, io rinvenni lesioni e ferite molteplici: le
une lacero-contuse, le altre da taglio. Le prime offrono tali caratteri da doverle
dichiarare inferte a corpo vivo; le seconde, quelle da taglio, offrono specialità opposte,
da doverle ritenere inferte con ogni probabilità a corpo morto. Causa della morte credo
lo strozzamento per mezzo di corda; ciò a motivo d’una solcatura con ecchimosi attorno
al collo. Siccome poi traccia di soleatura osservai al disotto d’una mammella , così
opino che la corda sia stata gettata addosso all’infelice, venendole da tergo. La
sovrabbondanza forse del laccio stesso, e il modo ampio con cui fu lanciato, e la
voluminosità più che comune delle mammelle, spiegherebbero abbastanza, come nella
periferia stringente sia stata prima giunta compresa anche una delle mammelle suddette,
d’onde la solcatura notata.
In seguito, l’assalitore avrebbe tirata la corda, e ridottale alla gola, strangolata ala
Pagnoncelli. Tutto questo sempre nel caso delle pure induzioni. Le contusioni al dorso
riterrei provenute dall’essere stata la donna trascinata sul terreno. (E’ presentata al
perito una cordicella in parte sfilata, della lunghezza di circa un metro).
Mi pare corrisponda alla negativa dei solchi, sia per quanto riguarda alla forma, sia alla
dimensione.
Dr. Alborghetti. Le mie impressioni principali sarebbero: credo che quella donna sia
vittima di una soffocazione per opera di persona che proditoriamente, a tergo, le abbia
gettata una corda; che questa abbia incappato in una delle voluminose mammelle delle
donna stessa, la quale come si era di forme oltre il comune, e per di più nutrice, allora,
di un suo neonato; che dapprima la corda abbia naturalmente esercitata pressione sulla
mammella, da essa abbracciata; indi salita, per trazione dell’assassino, fin sotto al
mento, al collo della Pagnoncelli, questa sia rimasta strozzata. Che in seguito sia stata la
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Pagnoncelli trascinata lungo il terreno, onde le abrasioni non profonde sul dorso e sulle
natiche. Credo poi doppiamente probabile che la morte sia avvenuta nel modo anzidetto
in quantochè, la Pagnoncelli come è noto, è già richiamai, essendo di forme piuttosto
colossali, mal sarebbe stata assalita di fronte, e che non lo sia stato infatti, lo proverebbe
la nessuna offesa sulla faccia anteriore del suo corpo, meno appunto le solcature
accennate. Osserva, solo sul davanti del collo alcune graffiature e impressioni di unghie
attorno alla solcatura: impressioni che hanno il convesso in alto, ciò che dimostrerebbe
com’esse sieno state prodotte dalla paziente, nella disperazione di salvarsi la vita col
togliersi il laccio. Un terzo non avrebbe potuto imprimere le proprie unghie in quella
guisa. Altra mia opinione, è che è stata svestita prima che tagliata, perché le ferite si
dimostra, furono inferte a corpo morto. Quanto a tracce di deflorazione, fu impossibile
fare alcuna conclusione; era donna che avea avuto più figli; le sue parti erano dilatate, e
vestigia di seme non mi venne fatto assolutamente di rinvenire.
[…] Si esaminano due falcetti, l’uno grande, l’altro mediocre, piuttosto piccolo, e un
coltellaccio ( corlass ) arrugginito, nerastro, e non affilato.
Dr. Previtali. Confermo quanto ho scritto rapporto ai medesimi, credo improbabile si
sia usato il corlasso, specialmente avuto riguardo alla ferita del ventre, in cui
insinuandosi gradatamente, fa supporre più probabile assai l’uso del falcetto.
Il Dr. Alborghetti, che era stato allontanato della sala durante le risposte del Dr.
Previtali, è richiamato.
Dr. Alborghetti. Escludo addirittura il coltellaccio (corlass), ancorché fosse stato più
affilato, ciò massimamente per la natura della ferita al ventre – opino pel falcetto, e
verosimilmente pel più piccolo – le ferite al ventre sono due, o piuttosto l’una di esse
non è più che un disegno; pare che l’autore abbia voluto prima indicarsi una traccia, un
tramite; l’altra è vera ferita, e siccome presenta nel suo corso, dei ritagli, delle riprese,
delle rimissioni, son portato a credere come dissi che si tratti del minore dei due falcetti.
Ondei avv. Qui nel rapporto medico del dott. Garzaroli è detto che le cosce sono lussate
(?) e l’una posta in un verso l’altra nell’altro, vorrei sapere…
Dr. Previtali. Forse ci sarà un’espressione non esatta, avrà voluto dire che le cosce eran
divaricate; e siccome il cadavere era spaccato potean essere spostate anche senza essere
lussate.
[…] A richiesta del P.M. si legge il rapporto del sindaco di Bottanuco, il quale dice che
il Verzeni è di carattere taciturno, e solitario, che fu esentato dal servizio militare per un
difetto alla gamba destra; che frequentò la scuola del comune, ma non imparò né a
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leggere né a scrivere; che del resto non era ritenuto in paese un cattivo soggetto, e che
nessuno, subito dopo gli atroci fatti, sospettò mai che egli potesse esserne l’autore».
[…] Si legge la fedina criminale del Tribunale, che dichiara il Verzeni non mai imputato
di alcuna colpa.
[…] Si legge l’ordinanza del tribunale, con cui si dà incarico a due medici periti dott.
Previtali Girolamo, e dott. Federico Alborghetti di assumere in osservazione diligente, e
continuata il Verzeni in carcere, onde emettere poi un giudizio sul suo stato di mente. I
due medici suddetti, che hanno tenuto sotto osservazione per oltre due mesi nelle carceri
di S. Agata il Verzeni, lo hanno visitato ed interrogato parecchie volte, e di più hanno
interpellato anche due dei suoi compagni di camera, espongono nel lungo rapporto, di
cui il cancelliere dà lettura, i risultati delle loro osservazioni sulla costituzione fisica, e
sulle manifestazioni morali dell’imputato, e danno termine alla relazione con le seguenti
conclusioni: che il Verzeni, sia nel fisico che nel morale non presenta alcuna
alterazione, per cui si abbia ad arguire che egli possa essere perturbato nella mente, o si
abbia a ritenere pazzo, sempre però inteso un tale giudizio limitatamente al tempo ed
alla sfera ristretta delle loro osservazioni.
[…]
È data lettura dell’ampia e ragionata relazione dei sig. medici periti di Brescia, i quali
facendo plauso alle osservazioni ed alle conclusioni dei medici Previtali ed Alborghetti,
e discutendo specialmente sullo stato di mente del Verzeni in rapporto agli atti criminosi
che sono a lui imputati, finiscono anch’essi col dichiarare che non lo ritengono affetto
né da pazzia in genere, né da alcuna determinata specie di monomania, e che quindi lo
giudicano imputabile e responsabile di tutte quelle azioni delittuose che risultassero a
suo carico».
«[…] Prof. Lombroso. Bramerei sapere positivamente se i signori medici periti, che
hanno studiato il Verzeni nelle carceri di Bergamo, non abbiano mai osservato se sulla
di lui camicia apparissero traccie evidenti di macchie seminali antiche o recenti.
Dr. Alborghetti. Questa osservazione è stata praticata un paio di volte, e non diede un
risultato affermativo.
Prof. Lombroso. Desidererei anche di sapere, se durante la investigazione peritale non
siano state mai praticate ispezioni al fondo dell’occhio del Verzeni col mezzo
dell’oftalmoscopio, e delle ispezioni cranioscopiche col mezzo del craniometro o d’altro
strumento.
Il Dr. Terzi si associa al prof. Lombroso nel muovere siffatta interrogazione.
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Dr. Alborghetti. Ispezioni speciali e dirette sulla retina dell’occhio del Verzeni noi non
le abbiamo mai eseguite non tanto perché ci fosse impossibile di provvederci di un
oftalmoscopio, quanto perché riconoscendoci ben lontani dal possedere cognizioni
profonde nella scienza oculistica, ci pareva di fare cosa inutile impiegandoci in simili
indagini. In quanto all’esame cranioscopico noi ci siamo limitati ad una esame
superficiale e generico della testa del Verzeni, osservando se vi si riscontrasse qualche
spiccata irregolarità di architettura, o qualche punto sensibilmente viziato, cose, che se
ci fossero cadute sott’occhi, ci avrebbero poi spinto a più esatte e minute indagini.
Prof. Lombroso. Io sono d’avviso che un esame accurato del fondo dell’occhio
dell’imputato sia una cosa indispensabile, perché la retina è quasi una finestra per cui si
guata entro il cervello, ed è là che si ponno osservare delle alterazioni importanti per
giudicare dello stato dei centri nervosi. Credo anche indispensabile, che ci si conceda di
eseguire alcune misure ed investigazioni sul cranio dell’imputato, e chiederei a tal uopo
che fosse ordinata una rasatura ai capelli del Verzeni
Dr. Terzi. Mi unisco al prof. Lombroso nel domandare tutte queste cose».
[…]
5.6 Udienza del 31 marzo 1873
La Provincia Gazzetta di Bergamo, 31 marzo- 1 aprile 1873
[…] «Sono introdotti per l’appello n.30 testimoni: i chiamati sono tutti comparsi.
Ammonizione generale del sig. Presidente.
Si fanno ritirare di nuovo per essere poi chiamati a uno per uno; è rimasta per essere
interrogata singolarmente la teste Verzeni Marianna di Luigi, d’anni 19, nubile,
contadina, germana dell’imputato. Presta giuramento.
Pres. Ti ha fatto qualcosa Verzeni Vincenzo?
Test. Era in letto in tempo di vespro, era sola in casa, era ammalata da 7 o 8 giorni,
cominciava a star meglio. Mi sentii mancare il fiato, diedi fuori un pugno, ma non
conobbi a chi, non dissi nulla io, né lo sconosciuto. Dormiva, mi abbracciò colle mani al
collo, la camera era scura perché chiuse le imposte, scura completamente. Gli diedi un
pugno nello stomaco, mi pare; non capii se fosse uomo o donna, e dopo mi voltò il
cuscino sugli occhi, non vidi se sia uscita la persona. Restai come morta perché era stata
stretta fortemente; aveva il sangue negli occhi, e le impressioni delle mani; gridava
senza chiamare; discesi in camicia; la mia camera è in cima d’una scala; discesia
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tentone perché non ci vedeva, non saprei dire se abbia trovato qualcuno; sentii che c’era
la Teresa Sala Innocenti sotto il portico; essa veniva a vedere cosa ci fosse da gridare; le
contai la storia; elle disse che forse eran vermi; io non vidi il Verzeni a causa del sangue
che mi inondava gli occhi; la Teresa Sala non mi ha detto che avesse visto il Verzeni; lo
ha visto, ma non me lo ha detto».
«[…] Entra la teste Teresa Innocenti, di Bottanuco, moglie di Sala Vittore, abitante nel
Cascinone, d’anni 56, con figli 5, contadina. Dichiara di essere cugina di Vincenzo
Verzeni, e zia di Mariannina Verzeni. Presta giuramento.
Pres. Siete già stata esaminata dal giudice. Ora raccontatemi il fatto che sapete.
Teste. Era il tempo del colera, faceva molto caldo. Era festa, non sono andata alla chiesa
perché sono la reggitrice della mia famiglia, e aveva da fare. Non sapevo se la
Mariannina fosse a casa, sapeva però che essa era ammalata del colera. Andavo nella
mia stalla. Tutto ad un tratto sento un grande gridamento, e corro a vedere che cosa
c’era. Arrivata al piede della scala della Marianna ho trovato il Vincenzo Verzeni, che
veniva giù, e gli ho domandato che cosa era successo. Egli mi disse, sono corso anch’io
a vedere, che cosa ha da gridare la Marianna […]».
Viene infine interrogato Sala Vittore, marito della Innocenti, il quale conferma la
versione della moglie.
«[…] Pres. Ma voi in conclusione non avete allora sospettato nulla di male sul conto del
Verzeni?
Teste. Ma niente, perché non c’era il motivo, era un ragazzo che lavorava come una
bestia, e non aveva mai dato uno spino nei piedi a chicchessia. Nemmeno a giurarlo
nessuno in paese avrebbe creduto mai che fosse capace di fare quei miracoli, che si sono
sentiti poi.
Pres. Spiegatevi più chiaro ancora?
A queste parole il teste con voce alta e sonora, e con mimica eloquente, che desta una
vivissima attenzione nell’uditorio, racconta per filo e per segno che il ragazzo Vincenzo
Verzeni non ha fatto in sua vita che lavorare, e non aveva mai il becco di un quattrino, e
qualche volta invece di pane toccava delle legnate; che la famiglia del Verzeni la quale
ha pur del ben di Dio e molto, è avara, sudicia, spilorcia all’eccesso; per risparmiare
danari e comperare del terreno farebbe ogni sorta di sacrifici e mangerebbe della terra
invece della polenta; che in quella famiglia ci è il padre e quattro suoi fratelli nubili e
vecchi, tutti avvocati, cioè tutti borbottoni, consulenti, sparagnoni, sempre in pensiero a
discutere di interessi, e che si fanno i conti addosso gli uni agli altri dal mattino alla
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sera, e vorrebbero vendere anche la pelle delle pulci (ilarità); che del resto sono gente
che tutti hanno in testa fior di cervello, e sono fini anche troppo! Che nessuno ha
sofferto mai di quelle malattie che fanno girare la mente e godono di ottima salute; che
anche i nonni e le nonne da lui conosciuti ebbero sempre la testa a casa, e tutti morirono
in età assai inoltrata».
È chiamato il teste dott. fisico Antonio Garzaroli all’epoca dei fatti medico condotto di
Bottanuco, il quale visitò Marianna Verzeni dopo l’aggressione.
«Teste. Ricordo che un lunedì dopo pranzo venne da me la Verzeni madre colla figlia
Marianna. La madre narrò che nella stanza di sua figlia il giorno prima entrò un
individuo, che mentre dormiva tentò di strozzarla. Intanto la Marianna piangeva.
Osservai che aveva gli occhi gonfi, injettati di sangue, e ciò solo fissò la mia attenzione.
Infatti non le prescrissi altro che un rimedio astringente per curare il male agli occhi. Le
dissi ripetutamente di stare in guardia e scoprire chi fosse il mariuolo per rivelare la
cosa al Sindaco e farne rapporto.
[…]
«Pres. Esponga ora sul conto del Verzeni, e della sua famiglia tutte le circostanze, che
sono a sua cognizione, e che le paiono degne di rilievo.
Teste. Non posso che dire delle malattie da me curate in quelle famiglia. Ho curato uno
zio Luigi per idropisia, dalla quale l’ho guarito. Ho carato un altro zio affetto da piaga
varicosa, e poi da una polmonia. Ho guarito un fratello maggiore del Vincenzo affetto
da oftalmia egiziaca. Ho curato il padre del Verzeni per un mese, perché era malato di
ipocondriaci. Non fui chiamato mai per la madre, né seppi mai che fosse ammalata. E’
una famiglia in complesso sana, molto agiata, che si nutre discretamente bene, e che non
presenta in nessun individuo delle labi(lità).
Il Vincenzo Verzeni mi parve sempre di un carattere truce, e chiuso, e d’aspetto sinistro
anche indipendentemente dal suo strabismo, che è leggiero.
[…] Il presidente fa leggere un brano della perizia medica eseguita sulla Motta, e che fu
dettata dal Dr. Garzaroli. Il teste espone alcuni chiarimenti sullo stato in cui si trovò
quel cadavere; aggiunge però che lo vide di notte, e che tante erano le ferite e le
mutilazioni da rendere impossibile una descrizione esatta […]
Dr. Alborghetti: Desidero chiarire una circostanza accennata nell’autopsia del cadavere
della Motta: la bocca di quel cadavere era semplicemente imbrattata sulle labbra di terra
o di fango, oppure nell’interno del cavo orale si è trovata tanta quantità di terra da far
credere, che forzatamente e da una mano estranea siasi voluto tappare quella cavità?
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Dr. Garzaroli. Posso affermare che quella terra era in tanta quantità da far supporre, che
si volle espressamente turare la bocca alla Motta.
[…] E’ introdotto il teste Dr. Gambirasio Antonio di Suisio, medico condotto in Suisio,
Bottanuco, Meldolago e Solza. Presta giuramento.
Teste. Conosco Verzeni Vincenzo, non ne sono parente, né con esso ho interessi.
Assunsi la condotta di questi paesi il primo di aprile 1871, non conosco l’accusato per
mio cliente, curai altri della sua famiglia, suo fratello affetto da oftalmia, e un suo zio
che avea affezione di petto. Seppi di sua madre che per una caduta si contuse
leggermente la testa. […] Quanto agli altri membri della famiglia, non seppi mai di
stranezze e malattie; hanno tutti apparenze favorevoli, non li credo pellagrosi; tuttavia
non osservai troppo. E’ famiglia agiata ma avara, si dice. Non so come si trattino.
Quanto al giovane Vincenzo non so niente. In paese, sulla sua condotta e vita, si dice
che è solitario e girovago.
[…] Prof. Lombroso. Il Verzeni Vincenzo non ha mai accusato diarree, e nella famiglia
lo stato mentale è normale, e nessuno ha gozzo, è epilettico, rachitico? Non si sa che si
sia mangiata della polenta guasta; non si sa di battiture che s’infliggessero ai ragazzi; né
ha udito in paese di qualche superstizione, sortilegio, circa gli spilli infitti nelle spalle ai
cadaveri, per guarire dall’impotenza?
Dr. Gambirasio. Quanto a diarree dell’accusato non so. Quanto allo stato mentale,
specialmente il fratello militare è molto sveglio ed intelligente. Non so nulla di gozzi, di
epilessie. Quanto al rachitismo, mi pare ne sia un po’ affetto un fratello o due del
Vincenzo. Non so di polenta guasta né di battiture ai ragazzi, né di superstizioni di spilli
infitti nelle spalle ai cadaveri. Quanto alla sezione della Pagnoncelli non intervenni
come perito.
[…] Entra in sala Bravi Barbara, d’anni 29, contadina, abitante alla frazione di Cerro di
Bottanuco, maritata, con figliuoli.
Pres. Conoscete Vincenzo Verzeni?
Teste. No signore.
Pres. Raccontate che cosa vi è successo quando si facevano le Missioni a Bottanuco.
Teste. Erano le 4 ore del mattino del dicembre 1869. Faceva ancor buio. Mi trovava
sulla strada da Cerro alla chiesa parrocchiale. Ho incontrato un uomo, col quale ho fatto
alcuni passi insieme senza parlare. Egli mi si avvicinò, e mi toccò quattro o cinque volte
col gomito; poi tutto ad un tratto mi afferrò colle mani per il collo sopra il fazzoletto.
Sulle prime non mi sono spaventata più che tanto, perché credevo che fosse uno
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scherzo di qualche conoscente. Ma poi sentendo che continuava a stringere e forte, ho
avuto una gran paura. Non posso dire se fosse giovane o vecchio, non ho ravvisato
nemmeno gli abiti, e solo mi pare d’avergli veduto luccicare dei bottoni sul petto.
Ritengo che fosse alto due o tre dita più di me, e che portasse un cappello come usano
gli altri contadini.
[…] Pres. Avete sentito che lo stesso tiro sia toccato ad altra donna?
Teste. Sì; è toccato a Margherita Esposito moglie di Sala su quella strada qualche
momento dopo. Così mi ha detto lei; ma essa pure ha conosciuto nessuno. Arrivata in
chiesa vicino a me mi disse: Sono tutta spaurita. Vien qua le risposi: ci faremo
compagnia.
[…] Pres. Quando quel tale vi strinse forte alla gola che cosa avete fatto voi?
Teste. Mi sono messa a gridare, ed allora quel tale senza proferire parola si diede alla
fuga e scomparve.
E’ introdotta la teste Margherita Esposito, 39 anni, di Cerro, maritata, liquorista; non
conosce Verzeni Vincenzo, non ne è parente, né ha interessi con lui. Presta giuramento.
Teste. Io andava alle Missioni tutte le mattine assai presto, di notte, sola, solenta; ci
vorrà una mezz’ora di strada, c’è una cascina sola alla metà circa, ma non so bene.
Andava recitando un pater, quando al Caù un uomo mi abbrancò strettamente al collo;
io gli gridai: non ho paura; lui non rispose e mi chiuse, ciusò le mani; io alla mia volta
lo abbrancai per la camicia, mi scappò: alle spalle mi scappò: l’abbrancai pel labbro
inferiore, poi mi ritrassi, è lui fuggì. Durante la lotta egli faceva una specie di grugnito;
mi toccò solo al collo; non toccò i coralli che avea ed ho tuttora al collo; non so che
volesse fare.
[…] E’ introdotto il teste Pozzi Battista, di Bottanuco, celibe, non parente dell’accusato,
né avente con lui interessi.
Pres. C’erano le Missioni nel ’69 là a Bottanuco? Incontraste questo Verzeni un
giorno?...
Teste. Lo incontrai l’ultimo giorno delle Missioni, non so se fosse domenica o giorno di
lavoro; mi pare che fosse un lunedì; l’ho però detto un’altra volta; trovai il Verzeni lì
presso alla Cascina verso il paese; io andava verso il Cerro; lui veniva da un viottolo di
campi […] Mi pare poi che il Verzeni avesse una piccola scalfittura alla ganascia, io la
credei di spino, riportata nel lavorare tra le siepi.
[…] Viene introdotta la teste Angelina Previtali, d’anni 15, di Bottanuco, attendente la
casa, avvenente giovinetta.
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Pres. Dove stai di casa? Che ti è successo? Racconta ciò che sai.
Teste. Sto al Cascinone Previtali presso Bottanuco colla mia famiglia. Una volta
d’inverno, saranno tre anni, alle 7 del mattino andando a scuola, quando giunsi al luogo,
dove fu uccisa la Giovanna Motta, ho incontrato il Verzeni Vincenzo, che è qui
presente. Mi prese forte per le mani, e voleva tirarmi fuori per i campi, dicendomi
andiamo andiamo in su. Tentava di trascinarmi verso quella tabbia, dove un anno dopo
fu uccisa la Motta. Io mi diedi a piangere e gridare forte, ed allora egli mi lasciò andare,
però per qualche tempo mi tenne dietro.
Per alcuni giorni non ho detto nulla a nessuno, perché credeva che non fosse niente di
male. Poi l’ho confidato alla Giovannina Motta, la quale mi disse di non fidarmi del
Verzeni, e di non andar a scuola a quell’ora. Dopo sentito il fatto della povera Motta
pensai che avesse voluto ammazzare anche me.
Pres. Verzeni, che cosa dite?
Acc. E’ vero niente affatto, non le ho parlato mai a quella ragazza lì, io.
[…] Entra la madre della Mariannina Verzeni. […] Interrogata sullo stato di salute dei
genitori del Vincenzo Verzeni, risponde che erano sani, e principalmente la madre. A
questo punto il Vincenzo Verzeni sorge ad interrompere la teste, ed a rettificare una
frase, nel senso di far credere che sua madre soffriva spesso le convulsioni (mormorio
nell’uditorio).
5.7 Udienza del 1 aprile 1873
“La Provincia Gazzetta di Bergamo” 2 aprile 1873
L’udienza inizia coll’interrogatorio di Ravasio, l’uomo presso la cui casa abitava
Giovanna
Motta.
L’interrogatorio
verte
sugli
spostamenti
della
Motta,
sull’abbigliamento della stessa e sul ritrovamento del suo cadavere.
« Pres. Si sapeva che la Motta dovesse portarsi il giorno dell’Immacolata a Suisio?
Teste. Sì, lo sapeva tutta la famiglia e probabilmente anche i vicini. Quel giorno, che la
poverina rimase uccisa, ella si partì di casa di buon’ora, e tutti credemmo che fosse coi
suoi parenti.
[…] Pres. non avete osservato presso al cadavere degli spilli sopra un sasso?
Teste. Sì, c’erano i suoi spilli, ed i suoi coralli disposti in ordine ed in fila gli uni dopo
gli altri sopra un sasso di fianco al cadavere, e vicino alla testa.
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[…] Si domandano dai periti, dall’avv. Ondei, dal P. Ministero molti e minuti dettagli
intorno agli spilli della Motta. Risulta per deposizione e dimostrazione del Ravasio, che
quegli spilli non erano disposti simmetricamente sul sasso: avevano bensì tutti il
capocchio da una parte e la punta dall’altra, ma erano in fascetto, e due o tre soli sopra
dieci distavano alquanto dagli altri. Particolarità costantemente asserita dal teste è che
gli spilli si trovavano su un sasso dietro la testa del cadavere, alla distanza di ½ metro, e
un po’ a sinistra; le loro punte rivolte verso la testa medesima.
[…] È introdotto un perito lavandaio allo scopo di esaminare se le vesti della Motta
sieno state lavate o puramente bagnate (i vestiti della Motta sono stati trovati lontani dal
cadavere), ed in tal caso se per l’acqua piovana, per la neve o altro. Quanto alle vesti
propriamente dette, il perito conclude, solo in via di probabilità, che sono stati
semplicemente bagnati, ma non lavati, per due motivi principali: primo, se fossero stati
lavati non darebbero polvere come invece danno questi, a meno che siano stati trascinati
per terra, o da molto tempo siano stati abbandonati in un luogo mal riparato (gli si
notifica che da due anni e tre mesi sono nelle mani dell’Autorità, e allora pare si
modifichi alquanto nella sua conclusione nel senso che possa essere anche infondata);
secondo, se fossero stati lavati non sarebbero così duri.
Quanto alla veste avrebbe un terzo motivo per credere che non sia stata lavata, cioè la
fodera – lembo, che è sporca di terra, la quale sarebbe stata asportata da una lavatura.
Ma l’attenzione generale e l’esame del perito si concentra principalmente sulla camicia,
quella stessa che secondo i due ultimi testi, Ravasio Gian Battista e Lecchi Maria sua
moglie, avrebbe avuto delle impronte di mani imbrattate di sangue.
Ondei avv.: Io vi faccio un’ipotesi per chiarirvi la mia idea, supponete che questa
camicia sia stata indossata stamattina netta di bucato, che la cavi la sera, che sia lavata
per bene, ma poi trascinata per terra… potrebbe presentare l’aspetto che ha adesso?
Perito lavandaio. Sì, parrebbe possibile, ma però allora sarebbe più molle; credo
piuttosto che sia stata soltanto bagnata… Del resto quanto a sangue non ne vedo.
[…]
Entra il teste Marra Battista, di anni 60, domiciliato in Bottanuco, contadino.
Pres. Il giovedì dell’8 dicembre 1870 che cosa è successo a te? Te lo ricordi?
Teste. Andai nel mio campo a prendere delle verze, mi portai contro una pianta di gelso,
che aveva un buco al piede, e mentre battevo contro quel tronco uno zoccolo per pulirlo
dalla fanghiglia, mi accorsi che dal quel buco sporgevano in fuori delle interiora, che io
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credetti di qualche bestia, e collocati là da qualche cacciatore come invito alla volpe.
Allora non pensai altro, e ritornai a casa.
Viene Giacomo Previtali, di anni 27, maritato e questo in seguito alle interrogazioni
fattegli dal sig. Presidente narra come il martedì 13 dicembre 1870 entrato in una
capanna di un campo trovò sotto il volto di quella, ed involto nella paglia, un pezzo di
carne. Conosceva poco la Motta. Sapeva che in quella capanna era stato trovato prima
un ritratto del Papa.
Entra Albani Luigi, di anni 52, di Bottanuco. Interpellato risponde che trovandosi nel
suo campo dell’Olmetto, e dopo esserci stato tutto il giorno a lavorare, mentre andava a
casa passò vicino ad un mucchio di canne di grano turco, e là vide i vestiti della povera
Motta, che i RR. Carabinieri avevano inutilmente cercati nello stesso campo. Riconosce
gli abiti della Motta, che gli vengono posti innanzi. Dichiara che egli non sa, se prima di
quel giorno quei vestiti fossero nella stessa località. Ricorda che dal mucchio di canne
sporgeva una manica della veste,e che erano molto umidi tutti quei panni […]».
5.8 Udienza del 2 aprile 1873
“La Provincia Gazzetta di Bergamo” 3 aprile 1873
Il presidente acconsente a che siano citati il padre, la madre, gli zii paterni e i fratelli del
Verzeni. Compare il Dott. Quaglino per l’esame oftalmoscopico.
«[…] E’ chiamata in udienza la teste Maria Galli di Bottanuco, contadina, maritata.
Pres. La seconda festa di Pasqua del 1871 un anno dopo la morte della Motta, che
incontro avete fatto?
Teste. Andava circa il mezzogiorno alla Chiesa. Ho incontrato quello là (accenna il
Verzeni ). Egli mi passò innanzi senza dirmi niente, poi dopo pochi passi tornò indietro,
e mi portò via il fazzoletto dalla testa. Dapprima ho creduto che facesse uno scherzo, ma
poi quando gli ho detto: datemi il mio fazzoletto, egli mi rispose che non voleva più
darmelo; quando io volli insistere, egli andò via portando seco il fazzoletto.
Pres. Che cosa dite Verzeni? E’ vero quanto dice questa Donna?
Acc. Dico che quella donna lì è matta, e che io non ho mai rubato fazzoletti a nessuno.
[…] Viene il teste Carlo Valvassori, d’anni 28, di Bottanuco, ammogliato, contadino.
Anche questo teste conferma di aver sentito parlare del fazzoletto rubato alla Galli.
[…] Da quel luogo in cui il Verzeni disse di aver rinvenuto il fazzoletto, ero passato
anch’io un minuto prima, e non vidi il fazzoletto.»
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A questa affermazione, Verzeni ribadì di aver trovato il fazzoletto su di un sasso.
«[…] Entra la teste Previtali Maria, fu Pietro, d’anni 20, domiciliata a Cerro, nubile.
Dichiara di essere seconda cugina del Verzeni.
Pres. Contami per lungo e per largo tutto ciò che è successo a te il giorno 26 agosto
1870, un giorno prima della morte della Pagnoncelli.
Teste. (Parla in italiano ed abbastanza bene). Io andava da Bottanuco a Suisio sulla
strada maestra. Era circa il mezzogiorno. Arrivata ad un certo punto ho sentito venirmi
dietro una pedata frettolosa e leggera, e poi i vidi al fianco Vincenzo Verzeni, il quale
mi domandò chi fossi e dove andassi. Io gli risposi una bugia, cioè che ero dei Crippa di
Suisio. Allora egli mi afferrò rapidamente attraverso al persona, e mentre io gridava ad
altissima voce Madonna santissima liberatemi, egli mi trascinò alcuni passi dentro un
campo di melicone, mi afferrò per una gamba e mi cacciò in terra in modo che io rimasi
tutta nuda fino alla cintura. Siccome io poi continuava a gridare, egli mi prese con una
mano per la gola, e mi puntò un ginocchio sul petto per soffocarmi.
Pres. E poi, che cosa è successo?
Teste. Io continuai a gridare con voce soffocata e mi vidi morta. Ma tutto ad un tratto il
Verzeni mi lascia libera, corre sulla strada e sta lì un momento a vedere; poi ritorna
verso di me e mi afferra stretta per ambedue le mani. Noto che in quel frattempo io era
balzata in piedi, ma non aveva la forza di allontanarmi, tanto era lo spavento mio. Solo
potei gridare ancora: Vergine Santissima aiutatemi per carità. Allora il Verzeni dopo un
momento che si guardò ancora attorno, mi lasciò andare. Io mi allontanai, ed egli rimase
là.
Pres. Non vi siete accorta, che egli prima o dopo abbia fatto a voi qualche carezza, vi
abbia dato dei baci, vi abbia per lo meno toccato il ventre o le coscie?
Teste. Non signore. Non mi ha detto nessuna parola amorevole, né ha fatto altro che
cercare di strozzarmi e chiudermi la bocca.
Lombroso. Che cera aveva il Verzeni quando vi ghermiva? Aveva la faccia rossa, gli
occhi stralunati, le mani convulse?
Teste. No; era pallido come adesso, era tranquillo, e non mi accorsi che tremasse.
Pres. Vi siete accorta che quando tentava di strozzarvi mentre eravate in terra egli
avesse i calzoni slacciati, e volesse abbandonarsi a qualche atto di libidine contro di
voi?
Teste. No. Aveva i calzoni abbottonati e non fece nessun atto libidinoso verso di me».
Naturalmente, anche riguardo a questo episodio, il Verzeni negò tutto.
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Dopo aver esaminato alcuni testi in merito al secondo omicidio, si sospende l’udienza
dalle ore 11.40 alle 14.00, per consentire al Prof. Qualglino di esaminare l’accusato.
«[…] Pres. Ha la parola il sig. Prof. Quaglino per riferire il risultato delle indagini e
delle investigazioni da lui fatte or ora sugli occhi dell’imputato Verzeni.
Il prof. Quaglino, con una mirabile chiarezza e precisione di linguaggio, espone l’esame
da lui istituito sull’imputato, e finisce concludendo che il Verzeni è affetto da uno
strabismo lieve ad ambedue gli occhi, che è affetto da un mediocre grado di miopia; che
del resto tutte le parti, delle quali l’occhio suo è costituito, si riscontrano in istato
normale; che la retina non presenta alcuna alterazione, meno alcune lievi anomalie in
alcuni punti della retina dell’occhio sinistro, anomalie ch’egli nettamente descrive, e che
noi omettiamo per la impossibilità di conservare la esattezza della dicitura scientifica.
Pres. Se alcuno dei signori periti desidera interpellare il sig. Prof. Quaglino, ha la
parola.
Il Prof. Griffini, il Prof. Lombroso, il Dott. Cav. Tarchini – Bonfanti chiedono parecchie
dilucidazioni al Prof. Quaglino, dilucidazioni, delle quali essi prendono nota e che sono
limitate al campo puramente scientifico, e speciale della oftalmoscopia.
Dr. Alborghetti. Prego il sig. Prof. Quaglino a voler dire se egli crede, che le anomalie
riscontrate in alcuni punti della retina dell’occhio sinistro del Verzeni si possano
ritenere cause o conseguenze di una sensibile alterazione dei centri nervosi.
Prof. Quaglino. Non lo credo.
Dr. Alborghetti. Mi permetto di chiedere un altro giudizio. Crede ella che le alterazioni
da lei descritte e riscontrate nella retina sinistra del Verzeni non si trovino negli
individui pazzi, e che possano essere comuni anche ad individui di mente affatto sana?
Prof. Quaglino: Io non dubito di asserire positivamente che tali alterazioni non hanno
punto a che fare colle malattie del cervello».
Viene poi chiamato a testimoniare il parroco del paese, che smentisce l’alibi del
Verzeni.
«[…] Compare Marchesi Carolina, d’anni 23, di Bottanuco, nubile, contadina.
[…] Prof. Lombroso. Che discorsi ti faceva? Non ti ha mai raccontato delle scene tristi,
delle scene di sangue?
Teste. Non ha mai parlato di cose brutte.
Prof. Lombroso. Di che cosa di parlava d’ordinario?
Teste: si parlava di cose di campagna, e di altre cose indifferenti, l’ho sempre trovato
dello stesso umore, e non ho mai conosciuto che fosse di cattivi sentimenti. Non l’ho
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mai udito lagnarsi né inveire contro chicchessia. Non mi fece mai regali: solo una volta
mi donò un cartoccio di dolci. Non mi sono mai trovata sola con lui: egli veniva a
discorrermi sempre alla festa e quando andava alla fontana a prendere l’acqua. Insomma
escludo di aver osservato alcuna stranezza nel Verzeni”.
Pres. Il giorno in cui fu uccisa la Motta, cioè il giorno dell’Immacolata, fu a trovarti?
Teste. Non mi ricordo, mi pare che quel giorno fossi a Suisio.
Entra Angela Tasca, di anni 23, di Suisio, contadina nubile.
Pres. Hai fatto l’amore con Vincenzo Verzeni?
Teste. Sì, ed ho incominciato il dì dell’Assunta dell’anno 1871, cioè 12 giorni prima
dell’uccisione della povera Elisabetta Pagnoncelli.
Pres. E’ stato lui il primo a parlarti d’amore?
Teste. Sì, mi ha mandato lui a chiamare da un cugino nella bottega di Piazza Amata. Mi
disse che aveva intenzione di sposarmi: io gli ho risposto né sì né no, e che volevo
riflettere.
Pres. Avete fatto accordo di trovarvi la domenica dopo?
Teste. Sì, ma quella festa non è venuto e fu quella domenica appunto in cui fu uccisa la
Pagnoncelli.
Pres. l’hai veduto ancora dopo quella domenica, che non venne all’appuntamento?
Teste. Sì; la domenica dopo. Io gli faceva un poco il broncio. Mi domandò che cosa
avessi di parlar poco? E mi disse: è forse perché hanno ammazzato quella donna? Può
essere stato tanto uno di Suisio quanto uno di Bottanuco […]».
5.9 Udienza del 3 aprile 1873
“La Provincia Gazzetta di Bergamo” 4 aprile 1873
[…] Viene interrogato Frigeni Giò. Antonio vedovo dell’ uccisa, seguito da numerosi
testi presenti al ritrovamento della salma della Pagnoncelli.
Un contadino, Suardi Giuseppe, descrisse su richiesta del Presidente, la disposizione
degli spilloni sul corpo della morta.
[…] Pres. Osservaste qualche cosa di strano sul corpo della morta?
Teste. Sì. Vidi che aveva infitti nella schiena degli spilli (gogi). Gli spilli erano infissi a
questo modo. ( fa la prova sul dorso del cav Tarchini- Bonfanti, che a maggior lume
volle prestarsi, e risulta che gli spilloni erano inzeccati nelle carni della Pagnoncelli,
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disposti a triangolo, di cui l’ago crenato figurava il vertice in alto verso la testa, ed erano
collocati proprio in mezzo alla schiena. Così almeno li descrisse il teste).
Pres. Vedendo quegli spilli che cosa avete pensato voi e gli altri?
Teste. Io rimasi meravigliato a pensarvi sopra; ma né io, né alcun altro del paese, ah mai
saputo spiegare perché l’assassino abbia fatto quello scherzo.
Prof. Lombroso. In Bottanuco vi è forse qualcheduno che crede, che a mettere degli
spilli sui corpi dei morti ne venga qualche influenza sui vivi?
Teste. Non ho mai sentito dire tal cosa.
[…] E’ introdotta la teste Previtali Anna Maria, già amorosa dell’accusato; d’anni 19,
nata a Grignano, ora a Dalmine. Fu per 9 anni al Cascinone Previtali.
Pres. Quanto tempo faceste all’amore col Verzeni?
Teste. Una festa o due (ilarità); non ricordo bene in che tempo, se prima o dopo la
Carolina Marchesi che fu altra delle sue amanti. Ha cominciato lui; mi disse se volea
sposarlo; io gli risposi che era troppo giovane ma che avrei domandato al tàta. Ma
infatti io ne chiesi invece a mia madre dicendole però nello stesso tempo che per ora
non ne avea idea. Al Verzeni gli dispiacque assai questo rifiuto, perché io gli piaceva.
Non ha mai osato farmi nè carezze né baci, non tentò mai di condurmi sola pei campi,
non mi ha mai presa per la mani, né osservai in lui alcuna alterazione mai di colorito e
di lineamenti. Credo avergli fatto l’amore dopo il fatto della Pagnoncelli; e se gli parlai
fu nel mio campo, ma c’era con me anche l’Angela Previtali. Quando lo incontrai altre
volte non mi disse più nulla.
[…]
5.10 Udienza del 4 aprile 1873
“La Provincia Gazzetta di Bergamo” 5 aprile 1873
« […] Entra il teste Ravasio Luigi maestro comunale di Bottanuco da 35 anni.
Pres. Mi potrebbe dare sul conto del Vincenzo Verzeni qualche informazione? Narri
tutto quello che sa di lui incominciando dalla infanzia.
Teste. Incominciò a venire a scuola dai 6 anni. Mancava qualche volta d’inverno, e di
primavera incominciò a mancare anche di più. Insomma, la scuola la frequentava assai
poco. Venne a scuola 4 anni. Non imparò un fico; non sono mai stato capace di farlo
leggere perché mancava molto, ed era anche un poco corto; però se avesse voluto
ritengo che avrebbe potuto imparare come gli altri.
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Pres. Ricorda il contegno ed il carattere di quel ragazzo?
Teste. Si divertiva, giocava come gli altri. Non ho mai osservato che avesse qualche
cosa di strano o di eccezionale. Si diportava come tutti gli atri ragazzi. Non mi sono mai
accorto che non avesse la testa a casa. L’ho sempre ritenuto un ragazzo non cattivo.
Quando lo castigava diventava rosso ma non reagiva mai.
Dr. Griffini. Che genere di castighi dava d’ordinario il sig. maestro?
Teste. Le sardelle in diversa dose secondo la natura delle mancanze. Qualche volta
spingevo la dose fino a 12 colpi; ma col Verzeni non ho mai dovuto arrivare fino a
quella cifra.
Pres. Come trattavano i genitori il Verzeni?
Teste. Era voce comune che i genitori gli dessero poco da mangiare, e che anche lo
battessero spesso. Ma io non so niente di positivo. In quanto alla famiglia si sa che sono
molto avari, e non pensano che a far quattrini.
Pres. Sa, od ha udito dire, che i Verzeni fossero tocchi nel cervello?
Teste. Tutt’altro che matti! Hanno il fior di cervello, e non hanno altra sete che di
risparmiare, e metter via danari. In questo sono tutti gente fina. Almeno è tale la
pubblica opinione.
Pres. Ha osservato che il Vincenzo Verzeni avesse qualche difetto fisico?
Teste. Era ben disposto e ben nutrito, e robusto come gli altri ragazzi. Egli però aveva
gli occhi leggermente loschi, e zoppicava alquanto da una parte, perché i suoi di casa lo
costringevano a darsi attorno a raccogliere il letame per le strade portando colla sinistra
una cesta pesante, e coll’altra il badile.
Entra il teste Locatelli Giuseppe, d’anni 52, possidente, assessore f.f. di sindaco di
Bottanuco quando è assente il sindaco.
Pres. Come vecchio del paese, e versato negli affari pubblici di esso, favorisca darmi
dei ragguagli sulla famiglia dei Verzeni, e sul Vincenzo Verzeni.
Teste. Conosco tutti i Verzeni, ed ho conosciuto anche il loro nonno. Non ho mai capito,
né ho mai sentito che alcuno di essi abbia sofferto nel cervello, anche quando domandai
informazioni d’ufficio. Così devo dire del Vincenzo Verzeni, e prima dei fatti ebbi
sempre buona opinione di lui come giovane quieto, tranquillo, ed assai laborioso.
Pres. non sa che si distinguesse per abitudini strane?
Teste. Non mi consta nemmeno che avesse delle abitudini strane e singolari, né che
fosse di carattere cupo e solitario.
Pres. La famiglia in quali condizioni versa?
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Teste. La famiglia è ben provvista, ma per quello che si sente, si trattano male in casa
per via della estrema avarizia. Del resto notizie positive su questo io non le ho, perché
non ebbi ad occuparmene
Pres. Sa che il Vincenzo avesse istinti fieri e feroci?
Teste. Non penso che fosse d’animo crudo. Anzi i suoi di casa dicevano che non poteva
vedere a tirare il collo ad una gallina. (si ride)
Pres. Sa che sia stato impedito al Verzeni di prender moglie?
Teste. Si dice che è sistema dei Verzeni di non lasciar prender moglie che ad uno solo
della famiglia, ciò si suppone per avarizia.
[…] Pres. Come si spiega in paese, che un giovane, il quale si dimostrò sempre quieto,
e docile, abbia potuto commettere i delitti orribili di cui è accusato?
Teste. Si pensa che ciò abbia fatto per passione brutale verso le donne. Così almeno
dicono.
Pres. E non si suppone che possa essere un pazzo?
Teste. Nessuno ha mai detto che possa essere un matto, ed anch’io sono dello stesso
parere, perché non ne ha mai dato indizio».
Entra il teste Spada Giacomo, già Assessore municipale di Bottanuco, possidente e
pizzicagnolo.
Pres. Favorisca dirmi schiettamente tutto ciò che sa intorno alla famiglia dei Verzeni.
Teste. Conosco tutti i Verzeni presenti, ed ho conosciuto non solo i nonni, ma anche il
bisnonno, perché io sono vecchio, Non ho mai veduto, né ho mi sentito che uno solo
avesse dato segno di giramenti di testa. Son tutte persone di mente sana.
Pres. E riguardo al Vincenzo Verzeni?
Teste. In quanto al Vincenzo Verzeni non ho idee molto positive intorno a lui, perché
non gli badava quasi mai. Non mi sono però accorto mai che fosse un giovane strambo,
né cattivo, né di abitudini strane. Mi pare d’aver udito dire da altri, che fosse un poco
solitario, e che invece di frequentare le funzioni di Chiesa preferisse di gironzare per le
campagne. Ma erano voci.
[…] Dr. Tarchini. Oltre il bisnonno del Verzeni ha conosciuto anche la bisavola?
Teste. Sì, ma anche quella era sana di mente. Come ho dettolo non ho mai avuto il più
piccolo dubbio, che nella famiglia dei Verzeni vi siano stati dei pazzi.
Entra Pasinetti Giovanni, possidente, ed Assessore municipale di Bottanuco.
Pres. Ha conosciuto la famiglia dei Verzeni? Sa come stiano di testa?
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Teste. Ho conosciuto e conosco tutti i Verzeni incominciando dal padre del padre; e dal
padre della madre, cioè dai nonni. Non ne ho mai conosciuto nessuno di mente debole,
proprio nessuno. Sono gente sana, che ha sempre lavorato, e tenuto occhio alle proprie
faccende. Riguardo al Vincenzo Verzeni, io, trattandosi di un ragazzo, lo conosceva
poco, e quasi di sola vista. Non è però a mia cognizione, che fosse un cattivo soggetto, o
che avesse abitudini così strane da parer tocco nel cervello. Mi sembra d’aver sentito
che aveva un carattere taciturno, che parlava e trattava con pochi, che invece di
frequentare la Chiesa batteva spesso la campagna.
[…] Entra il teste Mancini Paolo, contadino, di Bottanuco. E’ un giovinotto già amico
del Verzeni.
Pres. Conoscete voi Vincenzo Verzeni? Era vostro compagno?
Teste. Sì, lo conosco. Andavo spesso a giocare con lui ai paletti. Ricordo, che qualche
volta noi andavamo alle funzioni, ed egli non veniva.
Pres. Era di carattere bisbetico, litigioso? Aveva un po’ del matto?
Teste. Non fece mai lite con nessuno. Non mi sono mai accorto che fosse basso di
cervello.
Pres. Sapete che facesse all’amore con qualche giovinotta?
Teste. So che aveva due o tre morose, ma non l’ho mai veduto fare degli scherzi
vergognosi.
Pres. L’udiste mai lagnarsi, perché non gli si concedesse di prendere moglie?
Teste. Ha detto anche a me, che i suoi di casa gli impedivano di prender moglie, e di ciò
si lagnava. So che i suoi zii lo battevano, e lo lasciavano qualche volta con cibo scarso,
me senza denari. Erano cose che mi diceva lui.
Pres. Andavate alla scuola insieme? Imparava?
Teste. Frequentai la scuola insieme; ma egli fu sempre un asnotto, perché non stava mai
attento, e non aveva volontà di imparare.
Pres. E alla chiesa era assiduo? Sentiva messe? E’ vero che la festa delle Reliquie è
stato tutto il giorno in chiesa?
Teste. In chiesa andava, ma non troppo. Non è possibile, che sentisse molte messe. Il
giorno delle festa delle Reliquie non l’ho mai visto in chiesa, e se ci fosse stato mi pare
che l’avrei veduto, mentre invece non mi diede mai nell’occhio.
[…]
Entra il teste Ravasio Gio. Antonio, d’anni 69, contadino, di Bottanuco.
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Pres. Nella vostra qualità di vicino di casa dei Verzeni da 26 anni, che cosa mi sapete
dire di quella gente?
Teste. Conosco tutta quella famiglia, ed ho conosciuto anche i vecchi. Hanno del ben di
Dio, ma si mantengono male, perché sono molto stretti di mano. Sono avaracci.
Il Vincenzo Verzeni lavorava di lena egli e tutti i suoi. Non ne perdono un’oncia mai. In
quanto a cervello sono sani tutti, come lo erano anche i vecchi. Non ho mai sentito che
il Vincenzo fosse bastonato in casa. Credo che ami star solo, e che parli poco.
[…] Si chiama il teste Manzini Gio., d’anni 63, contadino, di Bottanuco.
Pres. Eravate vicino di casa dei Verzeni voi? Conoscete bene quella gente?
Teste. Sicuro che li conosco, e mi ricordo anche dei vecchi, cioè del bisavolo e della
bisavola dal lato di padre. Era tutta gente sana, e che ha sempre lavorato. Nessuno che
io sappia ha mai patito al cervello. Mi pare però che un cugino dei Verzeni perdette un
poco la testa dieci o dodici anni fa, ma solamente per tre o quattro giorni, e dopo un
salasso guarì perfettamente.
Pres. Come si chiamava questo tale?
Teste. Verzeni Giuseppe, ma è figlio di un altro rauno.
(In sostanza, anche questo teste in riguardo alla famiglia ad alla persona del Vincenzo
conferma tutto quanto hanno detto i testi precedenti. Solo non gli pare ammissibile che i
suoi di casa battessero il Vincenzo, ed anzi crede che a lui volessero più bene che agli
altri, perché lavorava come un bue).
[…] E’ sospesa l’udienza verso l’una e mezzo.
E’ riaperta l’udienza alle 2 e minuti.
E’ introdotto il teste Polli Davide, canestraio, condannato a 8 anni di reclusione per
ferimento con susseguita morte. Si trovò per tre mesi in carcere col Vincenzo Verzeni.
Narra in diffuso le seguenti particolarità sul contegno e sulle parole dello stesso, durante
la convivenza: «Pei primi giorni che fu in gabbia mangiò poco, accusò dolori di testa
specialmente al fronte, come ci avesse una palla di piombo, sospirava ed era pensieroso.
[…] Mi raccontò di cosa era stato imputato; ( qui il teste ripete il fatto calunnioso
sostenuto per tanto tempo dal Verzeni Vincenzo contro i due Suardi e Sala ) gli altri
hanno fatto il male ed io debbo fare la penitenza, soggiungeva.
[…] Oltre de fatto ch’ei vide, mi diceva lui, compiersi dal Suardi e dal Sala, era
imputato d’alcuni altri, circa l’aver prese donne pel collo…che so io… Che gli
piacessero le donne è un fatto; quando ne sentiva la voce s’arrampicava fin su alto sulle
inferriate per tentar di vederle, cose del resto che facevano anche altri. Del resto mi
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diceva: figurati s’io avea bisogno di strangolarle, quando in paese n’aveva fin che
voleva. Se lo lasciavan fuori ancora un quindici giorni poi, n’avea da sposare una di
Suisio. Quanto al passarsela un pochettino anche da solo, si sa bene, siam tutti di pelle,
carne e ossa.
Del rimanente, vita allegra sa, si giocava tra noi, si scherzava, alla lotta, col fazzoletto
ch’ei mi gettava al collo, e a dir vero con bravura, come gli ammazzacani…(ilarità).
A questo giuoco si provò 3 o 4 volte in tutto, se mi ricordo, in tre mesi; me lo buttava (il
fazzoletto) per davanti, ma io mi liberava subito. Simili giuochi però faceva assai più
col Fumagalli che è più giovane di me. Ah! Mi scordava una cosa. Sì è vero, mi disse
che per ridurre all’impotenza una donna non c’è miglior mezzo che pigliarla pel collo.
[…] Acc. Non è vero che io abbia detto che per ridurre all’impotenza le donne giovi
pigliarle pel collo; e nemmeno dissi che ne abbia trattate. Quanto al fazzoletto ch’io
gettava loro al collo, mi davano la pariglia, lo gettarono anche loro a me.
[…] E’ introdotto il teste Fumagalli Giuseppe condannato a 6 anni di relegazione per
stupro violento.
[…] Teste. Racconta il fatto che gli avrebbe raccontato il Verzeni nei 2, 3 mesi che fu in
carcere con lui, circa una sua cugina che egli udì gridare da una loggia, dal letto in cui
giaceva ammalata ecc. ecc. fatto di cui sarebbe imputato lui; poi un altro fatto (la
calunnia contro Sala e Suardi ).
[…] E’ introdotto il teste Giuseppe Comi, giovine, condannato per furto; si trovò col
Verzeni in carcere, quando era (Comi) sotto processo. Risponde affatto spontaneamente
ch’ei non vide mai sospirare il Verzeni, che dormiva tranquillamente, che non fu mai
ammalato, per quanto egli sappia, che lo trovò sempre insomma un uomo comune,
come tutti gli altri.
[…] E’ introdotto il teste Maroni Giuseppe, Capo-guardiano delle carceri giudiziarie.
Teste. Io entrai il 19 gennaio 1872. Il Verzeni era in carcere da 8 giorni. La sua condotta
era non troppo buona; fu punito due o tre volte; l’una per essere salito alla finestra,
l’altra per aver apostrofato villanamente il guardiano; lo trovai sempre presente a sè
stesso, regolare di sonno e di appetito. Era contentissimo quando riceveva soccorsi dalla
famiglia, che erano ben misera cosa: pane, pezzi di polenta, qualche volta un franco,
due. Un giorno spartì a mezzo una coperta, forse usando all’uopo un cucchiaio; cosa
non strana, perché i carcerati utilizzano ogni piccola cosa. Diede meta della coperta a un
giovane, sperando forse che questi mal sapendo difendersi, fosse incolpato della
birichinata; ma fu poi se non confesso, convinto reo da due testimoni oculari; fu per
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questo condannato a tre lire ; al presente ne ha pagate due. Io credo che questo della
coperta divisa a mezzo, sia più che altro un atto di dispetto, da selvaggio. Era sempre
solito salire alla finestra, specialmente se avvertiva voci di donne. Mi ricordo un altro
fatterello. Un giorno il Verzeni passando per un corridoio reduce da un colloquio col
sig. Avv. Botta, disse credendo forse non essere udito: Mi vogliono far passare per
matto, oppure : mi fanno passare per matto; non si potè capir bene quale di queste due
frasi. Sovvienmi anche che Fumagalli un giorno mi disse: Quel Verzeni deve essere
proprio un gran birichino, perché mi disse che ne ha fatte tante al suo paese… Quando
era chiamato per andare dal Giudice, diveniva pallido anzi tremante, non potea nemmen
più camminare quasi; dopo però era tutt’altro viso; calmo come per lo innanzi. Fu solo
dopo una visita del sig. Alborghetti che lo vide stranamente alterato: bestemmiava,
imprecava; non so che avesse, si vedeva perso (nel costituto annientato).
Acc. Io ci andai sempre eguale a me stesso all’esame; che importa a me… Se mi alterai
dopo la visita dell’Alborghetti si fu perché mi parlò di cose ch’io non avea mai sentito
nominare.
5.11 Udienza del 5 aprile 1873
“La Provincia Gazzetta di Bergamo” 7 aprile 1873
« […] Entra Villani Giovanni, già sotto-capo delle carceri di S. Agata, ora a Livorno.
Pres. Si ricorda questo Verzeni Vincenzo?
Teste. Rammento ad un dipresso che era al n.5, poi al 29, poi al n. 6. Mi parve un
giovane in cervello, tranquillo e sano come gli altri tutti. Ricordo che quando lo si
chiamava fuori di cella per un colloquio, diventava pallido come la morte, e qualche
volta tremava tutto in modo da camminare a stento. Di notte, ma non sempre,
borbottava e sospirava.
«[…] Entra Lorenzini Giuseppe, di Palanza, guardiano delle carceri di S. Agata da un
anno.
Pres. Conobbe il detenuto Verzeni?
Teste. Io era in servizio da pochi mesi a S. Agata quando entrò il Verzeni. Non posso
dire molto sul conto suo, perché il mio servizio non è che notturno; non osservai però
nulla di strano in lui. Solo mi ha colpito sempre il suo sguardo, che mi sembra di bestia
feroce. Non sospettai mai che fosse pazzo. Di notte lo osservai sempre tranquillo».
[…] Entra il guardiano delle carceri giudiziarie, Turla Francesco.
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[…] Pres. Sapete che qualche giorno prima del dibattimento abbia detto qualche cosa ad
altro detenuto fuori del suo camerotto?
Teste. Il giorno 12 mi sovviene che mentre io lo aveva da pochi minuti ricondotto nelle
sua cella, egli credendo che non vi fosse nessuno, e volendo forse parlare col detenuto
della cella in faccia, l’ho udito dire a voce bassa contro lo spiraglio della porta: Ohe,
vogliono fami passare per matto ( I veul tram per matt ).
Pres. Udite Verzeni che cosa narra questo guardiano?
Acc. Io non ho detto quelle parole. Non ho parlato con nessuno io.
Dr. Alborghetti. In qual giorno il Verzeni ha tagliato la coperta di lana, per cui fu
castigato?
Pres. Fa esaminare i documenti, e risulta che fu il 19 marzo.
Dr. Alborghetti. Dunque il taglio della coperta è successo sette giorni dopo che il
Verzeni fu udito dire che lo volevano far passare per matto.
[…] Dietro domanda della difesa e consenso del P.M. e dell’accusato, si decide per la
tonsura al capo del medesimo, allo scopo di indagini craniometriche […]».
5.12 Udienza del 7 aprile 1873
“La Provincia Gazzetta di Bergamo” del giorno 8-9 aprile 1873
«Giudizio sullo stato mentale di Vincenzo Verzeni, esposto dal dott. Manzini
Onorato dalla fiducia dei distinti miei colleghi medici che convennero dopo mature
discussioni in un conforme parere sullo stato di mente e sulla responsabilità
dell’imputato Vincenzo Verzeni, vengo ad esporre le seguenti considerazioni quale
risultato fisico mentale sul detenuto e dell’esito del dibattimento al quale abbiamo
assistito. Dopo attenta e scrupolosa osservazione di sei mesi, ora assieme e talvolta
separatamente, trovansi in caso di rispondere ai quesiti a loro proposti; e partendo
innanzi tutto dall’esame somatico o materiale in base al principio fondamentale, che per
meglio conoscere e giudicare dell’uomo morale importa indagare e conoscere l’uomo
fisico; noi nelle molteplici molte visite ci siamo accertati che tranne due lievi screzi che
non ponno avere importanza e non meritano calcolo nell’oggetto delle nostre indagini,
cioè un certo grado di strabismo all’occhio sinistro, il quale ad onta della regolarità e
simmetria dei lineamenti del di lui volto, e della di lui testa, imprime alla di lui
fisionomia un’espressione forse meno accettevole; ed una incurvatura leggiera
all’indentro della gamba destra postuma ad osteite od affezione flemmunosa patita
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nell’età infantile e che gli valse poi l’esenzione del militare servizio, e che partecipa al
di lui incedere un affatto leggier grado di claudicazione; del resto, il Verzeni, nato da
parenti abbastanza sani, ha pur esso sortito una costituzione sana e robusta, un
temperamento
sanguigno
linfatico,
scevro
da
labe
o
discrasia
che
men
vantaggiosamente influir potesse sul fisiologico e armonico funzionare dei suoi visceri
ed organi; ha tinta rosea, muscolatura ben sviluppata e forte, nutrizione vantaggiosa ad
onta della dieta non lauta del carcere, sensibilità normale, mobilità spigliata, aitante
della persona, mangia di gusto, digerisce a meraviglia, dorme talvolta anche di giorno,
non si risente nei mutamenti atmosferici, né accusa quel malessere fisico morale così
comune a chi è sotto disagi cerebro nervosi; e soltanto prova qualche molestia in quella
gamba la quale come si disse gli restava incurvata dopo una malattia, e questa patita
sino ndall’infanzia; non miosi, non midriasi, non disuguaglianza di pupille che sono
sensibili alla luce.
Esame psicologico
Nei nostri frequenti, lunghi e confidenziali colloqui coll’accusato Vincenzo Verzeni,
egli di buon grado si diffonde con piano ed ordinato linguaggio sulle faccende rurali,
accennando con pratiche cognizioni, i vari modi di agricoltura nel suo paese, i raccolti
ed i prezzi, ed in particolar modo un suo traffico individuale, e guadagno di quattro o
cinque franchi al mese che trae dall’allevamento dei colombi. Versa tutto il suo animo
in parole del più sentito affetto per i suoi parenti e per il padre, sebbene, da lui tenuto
assai ristretto e lontano dalle sollazzevoli compagnie dei suoi coetanei, e sovratutto poi
assevera provare una sviscerata tenerezza per i suoi nipotini, pei quali, se fosse occorso,
ei diceva, si sarebbe levato il pane di bocca. Su di che per ora noi non dobbiamo
omettere d’osservare che mentre gli alienisti sanno per prova quanto sia vero e giusto il
precetto lasciato da Esquirol che il carattere speciale dell’alienazione della mente, più
che da altro ci vien dato ed offerto dal disordine delle affezioni morali, dall’alienazione
dei sentimenti di benevolenza e fiducia che prima d’impazzire si hanno per la famiglia e
per gli amici e per gli amici, e sono poi i primi a risvegliarsi al ritorno della salute
mentale, in pari tempo dobbiamo nel caso del Verzeni Vincenzo, che mostra così vivo e
fisiologico lo spirito, il sentimento di famiglia, trarre un argomento che milita se non
altro e previene in favore d’uno stato d’incolumità della di lui mente. Ma continuando
nelle nostre indagini psicologiche, nel Verzeni Vincenzo cercammo nei nostri
intrattenimenti che libere e naturali si svolgessero le sue idee ed a nudo si svelasse il
meccanismo dei suoi affetti e pensieri: ed il Verzeni non è avaro di sue parole, egli narra
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d’essere bensì accorso in una festa all’ora dei vespri alle grida della di lui cugina
Verzeni, ma essersi arrestato al vederla ignuda seduta alla sommità della scala, ed
accusa di malevolenza la donna che asseriva d’averlo veduto uscire dalla stanza della
cugina stessa, né aver sovra essa esercitato ostilità né lesione alcuna. Col nome di false
e bugiarde chiama la Barbara Bravi, la Margherita Esposito, le due Previtali e la Galli;
falso l’aver egli ad una di esse involato con violenza un fazzoletto, ma averlo egli
comperato ad una fiera, ed una di lei parente averne fatto l’orlo con reffe rosso ed essere
per lui una falsa combinazione l’identicità dei due fazzoletti; sostiene egli riportate
graffiature al volto per atti aggressivi contro persona alcuna, e non doversi credere alle
asserzioni di quelle donne che per la statura e la giacchetta di pelucco lo designano e
credono riscontrare in lui l’uomo che tentava strangolarle, perché l’abito di pelucco è
assai in uso nel suo paese, e portato da molti altri e ad ogni tratto protestandosi onesto e
veritiero, e di non altro a questo mondo compiacersi ed occuparsi che del lavoro dei
campi, e pratiche religiose, pare si sforzi di impegnare e pretendere la fede di chi lo
ascolta; fede che non gli dobbiamo prestare dopo le mille ed una bugia da lui dette nel
dibattimento, e le atroci calunnie da lui ordite con malizia architettate contro il Suardi, il
Sala e il Comerio. Sul fiero scempio fatto della infelice Giovanna Motta nell’8 dicembre
1870 confessa d’essere accorso con altri per vederne il cadavere squarciato, ma non
essersi accorto di spilli in alcuna parte infissi, perché coperto da lenzuola, né tampoco
averne osservati di distesi sopra una pietra, ma solo ciò avere inteso da altre persone, ed
esserne partito così profondamente rattristato, che giunto a casa nell’ora in cui
s’apprestava la cena, non sentissi quasi più in caso di portarsi il cibo alla bocca. Narra
d’aver unicamente sulle parole intese da un farmacista, indiziato il Comerio come
autore dell’assassinio operato sulla Pagnoncelli, perché da questi istesso di un tentativo
del Comerio, di strangolamento sopra una certa Crippa, e non poter egli essersi
equivocato tra questa colla Previtali ch’egli assevera di non aver in nessuna ora
incontrata e tanto meno assalita. Alle interrogazioni fatte al Verzeni colle quali lo si
invitava a spiegare come i testi tutti a gara s’accordassero ad offrire indizi per i quali lo
presumevano e lo ritenevano autore dell’assassinio prima, della Motta, durante il quale
anzi due ragazze ch’erano sulla via che poco dista dal tabiotto ove fu rinvenuta morta,
asseriscono d’aver sentito delle grida, ed in quel luogo traveduto un uomo che dal
vestito e dalla statura giudicavano poi identico al Verzeni; all’invito di spiegare perché
avesse pregato il Bravi a non palesare di averlo incontrato mentre usciva dal campo che
era in direzione e vicinanza al sito ove poco prima era stata interfetta la Pagnoncelli; e
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ad altre stringenti ed argute domande colle quali prendere d’assalto e penetrare nel di lui
organismo mentale, e scoprirne l’imbarazzo o la menzogna, il Verzeni si contorce, si
imbizzisce, e con la lingua procace e torvo cipiglio esce senza punto smarrirsi a dire che
la di lui famiglia è fatta segno siccome laboriosa, economa ed agiata all’invidia di molti
in paese che non seppero con le loro industrie e fatiche porsi ad una medesima
condizione. Nel volgere i nostri discorsi su vari oggetti, si dovette divagare pur anche
sul lubrico sentiero della Venere solitaria, alla quale egli afferma di non aver mai
sacrificato se non che rare volte e per l’altrui esempio in carcere, e non aver mai
conosciuto congressi carnali con donne; su di che mentre noi abbiamo per una parte
conosciuta la più grande di lui famigliarietà con un linguaggio senza pudore e la di lui
conoscenza con atti i più osceni, e vedere in tale occasione che lo stato dei suoi genitali
non depone per la castità e continenza che egli pretende d’aver mantenute, abbiamo in
pari tempo tentato fra i molti discorsi ogni psicologica strategia per entrare nel
misterioso labirinto del di lui dinamismo psichico o mentale e scernere possibilmente
l’insano e brutale movente che il condusse a tentare i tanti assassinii presso che tutti allo
stesso modo e perpetrarne due, uno dei quali massime con istrazio così efferato e brutale
da sgradarne un Caruso od un La Gala, o da far sospettare l’opera d’un uomo fors’anche
che ha perduto la ragione. Ma il Verzeni con un’abilità non comune nel suo ceto, nella
sua età, nella sua condizione, resta tetragono, e schermendosi alle nostre esplorazioni,
lascia trapelare la noia e l’ira col frequente sbadiglio e col frequente sputare, fenomeno
che non troppo di rado si osserva agli interrogatori che si tengono coi delinquenti di
professione.
Noi pure restammo allibiti al primo intender tanti e si enormi misfatti ed alla singolare
mostruosità con cui vennero tentati e perpetrati, ad ancor più perplessi a crederne capace
un uomo nell’età dei più dolci sentimenti e delle più soavi illusioni, quando non fosse
ludibrio della più umiliante delle infermità che talvolta degrada l’uomo al di sotto di un
bruto, la pazzia; ma siccome fisicamente studiato il Verzeni non offre alcuna alterazione
da cui possa necessariamente derivare un’influenza qualunque coercitiva sulla sua vita
morale, come a modo d’esempio sarebbero l’alcolismo, i vizii cardiaci, l’incipiente
rammollimento cerebrale, o siasi altra affezione del sistema nervoso; siccome egli non
ha presentato disposizione gentilizia o per ereditarietà alla pazzia, né risulta aver detto
parola durante i tentativi, né aver fatto motto od atto prima né dopo di questi, né dei due
assassinii, che avessero mostrata l’impronta o s’interpretassero da alcuno mai come
infetti o contrassegnati da screziature o vizio mentale, siccome la di lui intelligenza ci è
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apparsa normalmente capace di apprezzare e dirigere le sue azioni, e che egli abbia la
conoscenza del bene e del male, da uscire spontaneamente a dirci essere meritevoli di
capestro o d’essere bruciato quegli che commettesse un misfatto simile a quello
perpetrato sulla Pagnoncelli e la Motta e che avrebbe preferito restar anche nel carcere
innocente piuttosto che andarne a casa con la taccia o il sospetto di essere capace di
tanta nefandità; in vista che studiato nelle varie fasi della sua esistenza fino ad oggi, si
deduce aver mai sempre egli dimostrato quella coordinata figliazione d’idee e di fatti,
che si fonda sulla solidarietà delle facoltà psicologiche dell’uomo, e che è la prova
precipua della mente sana. Ed in base alle nostre indagini che ci portavano ad escludere
radicalmente la presenza di qualsiasi sensoriale allucinazione, di qualsiasi delirio anche
speciale; che interrogati e fatti interrogare alcuni dei suoi custodi e dei suoi condetenuti,
nessuno significò mai a suo carico la più lieve alienazione dello spirito, né la più lieve
stranezza; noi coll’aver cercato di esplorare, anatomizzare possibilmente il labirinto
dell’intelligenza del Verzeni, per riuscire a fare come si suol dire la docimazia dello
stato del di lui animo anche nel momento della perpetrazione dei più fra i molti misfatti
che gli sono attribuiti, crediamo di poter escludere, giova di dirlo anticipatamente, la
pazzia. Pure affine di poter trasfondere le nostre convinzioni anche nella coscienza del
Giudice, riporteremo gli argomenti che possono essere validi a raggiungere il nostro
scopo.
Dalla psichiatria, o medicina mentale, infatti tutti i medici sanno come la pazzia e le sue
forme vadano accompagnate da un corredo di sintomi costanti e caratteristici,
corrispondenti all’essenza clinica patologica della forma stessa; di questi sintomi alcuni
si svolgono nel campo fisico o somatico, ed altri sul campo morale, riferendosi ai primi
le condizioni generali delle varie funzioni viscerali, lo stato della sensibilità organica, la
presenza delle illusioni, allucinazioni sensoriali e ganglionari, ed ai secondi sul campo
morale e psichico, rappresentati esclusivamente dal delirio vago e dal turbamento
determinato di alcune idee, e qui la sintomatologia presume la psicologia. Ferrus aveva
già detto non potersi dare pazzia senza disordine intellettuale, e noi pure crediamo che a
poterla dare sussistente in un individuo, bisogna che le sue facoltà deliberative trovansi
fuorviate o paralizzate dalla confusione delle idee, o dal delirio del loro concetto. Ogni
processo di malattia mentale d’altronde, per non dire dell’influenza ereditaria che le più
spesse volte è uno dei suoi fattori primitivi, trovasi preceduta da certi turbamenti
graduati e speciali, che ne formano, come nelle altre malattie, i prodromi, che poi in
seguito sono accompagnati da quella serie più o meno palese di fenomeni legati e
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dipendenti fra loro che costituiscono il nesso clinico, e che si riassume nei sintomi più
sopra indicati. Or bene, nessuna delle anzidette considerazioni s’attaglia al Verzeni, il
quale, controllato coll’occhio diagnostico dei Periti in tutte le fasi della sua vita, ed in
particolar modo prima, durante ed immediatamente dopo i misfatti che gli sono
attribuiti, non ha offerto alcun segno di quella entità patologica che scema o toglie la
coscienza o la conoscenza di un atto e la libera volontà di eseguirlo e che passa nella
scienza sotto il nome di pazzia. Esclusa la pazzia, ne dovrebbero restare eliminate anche
le altre variazioni patologiche mentali di comprese nella terminologia del codice ed
esibiteci nei quesiti da sciogliere, cioè la imbecillità, o quella marcata povertà dalla
nascita delle facoltà mentali, nonché il morboso furore e la forza irresistibile, perché
non sono che varietà o forme della pazzia stessa. Tuttavia, siccome la scienza ha
tracciato le più salienti divisioni nelle forme delle alterazioni mentali, e col progresso
degli studi e delle osservazioni, il quadro di esse prese proporzioni maggiori, per cui
Esquirol descrisse la mania ragionante, Pinel la mania senza delirio, Mandon la mania
istantanea, temporanea, istintiva, Bilot quel disordine mentale a cui dava il nome di
vertigine morale; noi benché non sapremmo a quale delle anzidette forme potesse
riferirsi la presunta alienazione mentale del Vincenzo Verzeni, al momento o dopo i fatti
pei quali è incriminato, noi egualmente in omaggio alla giustizia ed alla umanità
cercheremo in alcuni eccidi ed omicidi perpetrati da pazzi, che somigliano nella
materialità dell’atto a quello del Verzeni, di vedere e scernere in pari tempo e fare il
confronto colla moralità di questi atti, e la moralità o la mentalità colla quale la mano
del Verzeni dirigeva l’attuazione di quelli pei quali esso è sostenuto in carcere. “In
Salisburgo nel 1869 al 28 luglio disparve un fanciullo nel distretto di Mettersib; il
cadavere del fanciullo, che non aveva che quattro anni, fu scoperto l’undici del
settembre successivo in un prato. La testa era separata dal tronco e trovavasi ad un cento
passi di distanza. Come autore di questo omicidio designavasi tosto un giovinetto di
nome Pietro di anni nove, già conosciuto per atti di crudeltà: questo sotto interrogatorio
finì a confessare di aver ucciso il fanciullo per sbramarsi la voglia che aveva di
uccidere. Raccontò egli freddamente che dopo aver denudato la vittima, la colpì al petto
con una pistola finché non lo vide estinto; qualche giorno dopo tornò presso il cadavere
per pascersi della vista della propria vittima, e concepì l’idea di troncarle il capo, ma
non vi riuscì; quattro settimane dopo tornò presso il cadavere che era ad un alto grado di
putrefazione, il che però non impedì (a quel mostro) di separarne il capo, di conficcarlo
su di un bastone, e di lanciarlo lontano. Interrogato poi dal giudice se non provava
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pentimento del fatto diede in uno scroscio di risa” (Ann. Med. Psicolhogie 1869 nov.).
Ora quanta differenza tra il Verzeni che nega a fronte di tante testimonianze i crimini
attribuitigli perché ne prevede la pena, perché ne ha la coscienza col giudicar degno di
morte chi li avesse commessi, e mostra o finge mostrarne raccapriccio, ed il suddetto
monomaniaco omicida che confessa, e freddamente descrive il fatto, personificando la
negazione o mancanza di riflessione sul castigo che gliene poteva derivare, e la
negazione della coscienza e del senso morale col dare in uno scroscio di risa?
Il celebre professore di medicina legale, Platner, nell’appendice psichiatrica 1863 narra
il caso di un imbecille di anni 18 che dopo aver sodomizzato un giovinetto della sua età
gli toglieva i genitali e gli conficcava un ramo verde fino all’esofago. Se questo caso
somiglia in qualche modo nelle materiali lesioni a quello del Verzeni differenzia però
affatto per l’elemento psichico o mentale sotto il quale quei del Verzeni vennero
commessi; il mandato d’irresponsabilità ad atti di tal natura, tra i di cui misteriosi
moventi volendo pur presupporre nel Verzeni anche un’esagerazione nell’istinto carnale
o genetico, non può venire che da uno stato morboso gravato nelle sue varie attinenze
causali fenomenali enosiologiche. In quanto alle cause fisiche che potessero destare nel
Verzeni Vincenzo quella forma di pazzia che dicesi afrodisio-mania, laido-mania,
satiriasi, priapismo, che consiste in un esaltamento delle funzioni e degli organi genitali
con irresistibile propensione all’atto venereo, e colla facoltà di esercitarlo con lena
instancabile, affezione accompagnata da mania, da furore se viene contrariata, nel
Verzeni non ne abbiamo, come sarebbero certe morbosità ai genitali od alle parti vicine,
le quali tramandano impressioni al cervello, che il cervello poi per un magistero reflesso
risospinge alle parti sotto forma di stimolo venereo, quali sarebbero certe fioriture
esantematiche allo scroto, la presenza degli ascaridi all’intorno o dentro i genitali stessi,
le affezioni verminose del retto, una malattia della vescica, un vizio emorroidario, la
vita sedentaria, l’uso di sostanze afrodisiache. Di cause morali parimenti non ne
abbiamo, come la lettura di libri osceni, la vista di pitture lascive, né una vita claustrale
o reclusa. I casi di satiriasi inoltre si avverano quasi sempre negli imbecilli, idioti,
dementi, nei quali sotto l’annullamento o debolezza delle facoltà intellettuali, gli istinti
animali come schiavi scatenati imperversano e tengono la signoria dello spirito. Ma il
Verzeni è tutt’altro che imbecille, idiota o demente.
Questi degradati, dopo essersi col furore bestiale del mandrillo sbramati sopra una
donna e talvolta anche sopra un fanciullo, arrivano nel loro accecamento ad infierire
sulle carni oggetto della loro libidine. Certo che l’istinto genesiaco cui natura affidò
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l’ufficio nobilissimo di conservare la specie, cui diede apposta in servigio tutto un
magistero di organi e di funzioni meravigliose, è così profondamente radicato nella
parte materiale di noi, così mescolato di arcane dilettanze del senso e dello spirito, così
agile e presto a sorgere, così impetuoso e oltre potente all’atto, che è ben facile giunga
anco a sottomettere la ragione: ma solo l’intervento di forze morbose potranno sottrarre
alla responsabilità coloro che caduti in servitù dell’istinto animalesco recarono oltraggio
al pudore e fecero sanguinosa violenza.
Quindi tutti quei pervertimenti o trascorsi dell’appetito venereo, i quali non portano
quale che sia l’impronta morbosa per quanto strani e mostruosi non dovranno mai
prosciogliere dalla debita responsabilità. Dall’esposto pertanto sinora resterebbe ad
evidenza provato che il Verzeni non era prima, né durante, né dopo gli atti criminosi a
lui attribuiti affetto da pazzia. I. Perché non ha dato di questa malattia quei segni fisici
coi quali essa si accompagna, né quei segni morali che dal più al meno anche dagli
estranei alla scienza mentale si scorgono, cioè col fare o dire cosa che comunemente nel
contegno sociale le persone di mente sana non fanno, né dicono, né col tralasciare di
dire o fare cose che comunemente le persone sane d’intelletto fanno o dicono. II. Perché
le pazzie non essendo, secondo i psichiatri un fatto patologico che nasca e guarisca ad
un tratto od in poche ore, non è possibile che in lui esistesse la pazzia nell’atto di
perpetrare il male senza che vi fosse prima o vi si mostrasse anche dopo. III. Non era
pazzo al momento del suo delinquere perché aveva coscienza dei suoi iniqui
intendimenti collo scegliere luoghi ed ore in cui difficilmente poteva essere sorpreso;
avea conoscenza e libertà degli atti perché si dava alla fuga quand’era per strangolare la
Verzeni vedendo il pericolo di essere colto in fragrante, perché sospendeva le violenze e
l’attentato contro la Previtali correndo dal campo ove l’avea trascinata per soffocarla,
sulla strada ad origliare e spiare se venisse gente. IV. Non era pazzo durante l’atto
perché trovando nella Galli una resistenza che forse non si aspettava desisteva dall’atto
atroce, ciò che difficilmente fa un pazzo e meno un furioso.
Insomma trovando in lui all’atto della perpetrazione di varii tra i molti delitti che gli
sono imputati la conoscenza e la libertà dell’atto, ed essendo tutti stereotipati ad un
medesimo stampo per epoche vicini gli uni agli altri, è giuocoforza condursi ad
ammettere che anche alle volte i suoi misfatti li abbia commessi fra il mistero, non fosse
tuttavia per nulla a ritenersi pazzo; perché avvennero o di poco prima, o poco dopo
quelli nei quali abbiamo veduti doversi escludere la pazzia e il morboso furore, sotto del
quale ancor meno sarebbe stato in caso di prendere tutte le precauzioni ed avere il
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contegno da malizioso. Sarebbe inutile spendere altre parole ad escludere la di lui pazzia
dopo i fatti che gli sono attribuiti, a tal uopo bastando i documenti e le testimonianze.
Così pure non essendo punto ora imbecille, è giuocoforza conchiudere non lo sia mai
stato, perché la imbecillità, ovvero la marcata povertà mentale ci accompagna dalla
nascita fino alla morte; e con questa restano esclusi quegli accessi di morboso furore ai
quali il Verzeni potesse esser stato soggetto come avviene tra gli imbecilli, idioti e
dementi. Ma eccoci oramai davanti all’ultimo quesito, cioè se il Verzeni possa aver
ucciso o tentato uccidere per una forza irresistibile.
Nel caso nostro la forza irresistibile non può attagliarsi che alla monomania omicida la
quale conduce irresistibilmente a delinquere per allucinazioni visive, come p. es.
l’ammalata di Esquirol che l’avea preso per il collo credendo di vedere in lui un amante
dal quale era stata tradita; o per allucinazione acustica cioè col sentire una voce che non
esiste se non che nello sconcertato ritmo della mente dell’ammalato, alla quale voce egli
irresistibilmente ubbidisce, come quegli che ad imitazione di Abramo in forza di una
voce che non esisteva che nel suo cervello andava a sagrificare il proprio figlio; come
tutti quegli allucinati che credono alle voci insultanti che esistono che esistono nella
loro immaginazione e per questo poi si spingono ad insultare, battere, ferire le persone
da cui le credono provenire; o quegli altri che per allucinazioni ganglionari attribuendo
ad opera malefica di terzi ciò che essi provano di male nel loro corpo, reagiscono ed
anche uccidono i supposti autori dei loro malanni, o per fissazione o allucinazione
intellettiva erroneamente credendo di essere presi di mira uccidono per liberarsi da
immaginari nemici, oppure uccidono amici, figli, e persone care per sottrarle a malanni,
o a futuri ed eterni castighi.
Ma a nessuno che ha conosciuto e praticato il Verzeni fu dato accorgersi che egli patisse
di simili di tali allucinazioni o monomanie, e molto meno ai periti; d’altronde queste
monomanie non sono mai isolate né improvvise, traggono sempre in patimento il resto
delle facoltà per l’inscindibile loro consolidarietà ed una volta nata la monomania non
guarisce quasi mai, o dura per lo meno assai tempo, insomma la monomania non è ch
una forma della pazzia della quale il Verzeni non è punto affetto. Né potrebbero
invocare a di lui vantaggio quei temporari disagi nervosi, che sono postumi al
sonnambulismo, ché per sua confessione e per le nostre indagini non si può accampare,
oppure all’ubriachezza alla quale egli assicura di non essersi mai abbandonato, che una
sol volta da ragazzo. Ma noi tra le varie divisioni delle varie monomanie abbiamo
accennato alla monomania istintiva, temporaria, istantanea impulsiva, o monomania
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senza delirio senza la quale un uomo apparentemente sano di mente è portato per un
impulso cieco, indefinibile, irresistibile, ad atti immorali. Non v’ha infatti medico di
manicomio che di quando in quando non si incontri con qualche pazzo il quale dopo un
certo tempo di calma e della più apparente ragionevolezza, tutto ad un tratto si mette ad
infuriare, battere i vicini; che interrogato dopo l’accesso non si senta rispondere alcune
volte che ciò fu spinto a fare per solo bisogno di sangue e di distruzione, e non v’ha
medico di manicomio, che non abbia talvolta di questi infelici sentito pregare essi stessi
di venir legati quando provano i prodromi dell’accesso.
Ma fin qui nulla vi ha che possa accordarsi col presunto stato di monomania omicida del
Verzeni; della quale forma di pazzia racconta alcuni esempi l’Esquirol. Narra di un
signore che a caso recatosi nel palazzo di giustizia e nella sala Pass Perdau, tutto ad un
tratto prese per il collo un avvocato in modo di strangolarlo. Arrestato e condotto al
manicomio si risovveniva del fatto ma non delle circostanze, egli non solo non
conosceva l’avvocato ma non l’aveva neanche mai veduto. Ma qual differenza non
passa tra il caso di monomania omicida di quel signore, che in mezzo alla folla si
scaglia sull’avvocato a lui sconosciuto, che non ricorda i particolari, e la supposta o
presunta del Verzeni che sceglie ore opportune, sta in agguato, conserva la memoria dei
fatti, narra le circostanze tutte perché non si toccano i punti che lo andrebbero a
compromettere? Quel signore aveva poi sofferto quattro mesi prima di una grave
malattia cerebrale, e Verzeni al contrario fu sempre sano.
Il celebre professore di medicina legale e medico del manicomio di Siena Dr. Livi, narra
come un tipo di monomania istintiva, omicida, impulsiva, istantanea, temporaria,
transitoria, o mania senza delirio, un giudizio medico psicologico sopra un uomo
accusato di tre strangolamenti con fune in epoche diverse sopra fanciulli che però non
potevano avere fortunatamente pieno effetto, ed anche questi senza passione, senza
allucinazioni, e senza illusioni dei sensi, senza causa, indipendentemente dalla sua
volontà; ma dalla diagnosi risultava che questo uomo era figlio di un mezzo scemo,
d’una madre morta d’apoplessia e che egli soffriva ogni due o tre mesi d’accessi
epilettici; molti testi deposero non essere alle volte molto bene in cervello, ed egli
confessando negli interrogatori i misfatti ne incolpava il vino e la tentazione del
diavolo, espressione spesso usata dai pazzi o dai mezzo scemi, che scambiano l’impulso
morboso per una tentazione diabolica. Se i delitti nel surriferito caso per la forma
materiale somigliano a quei del Verzeni, ne sono però tanto distanti nella moralità
dell’atto, come la malattia di chi li perpetrava e distante dalla salute fisico mentale del
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Verzeni in modo che sarebbe ozioso il volerne maggiormente parlare. Nei casi di
monomania omicida senza delirio ed istintiva l’Esquirol narra che chi ne subiva gli
effetti, non si ricordava degli atti omicidi commessi; difatti se la monomania omicida
senza delirio dipende secondo lo stesso Esquirol da una sospensione delle facoltà
cerebrali, la memoria che è la più importante tra esse verrebbe a mancare, o per lo meno
a grandemente offuscarsi; ma il Verzeni dalle precauzioni prese prima, durante e dopo i
fatti, vediamo che non mancava di memoria, come nel sospendere i tentativi contro la
Bravi, la Previtali, la Verzeni. La monomania omicida, che sorge istantaneamente per la
sospensione delle funzioni mentali, finisce, dice Esquirol, anche istantaneamente, ma sta
sempre però il fatto che come malattia deve avere i precedenti i quali poi per i più
passando inosservato portano a dare meno esattamente a questa forma di pazzia il nome
di istantanea od improvvisa. Il Verzeni non ha dato indizio alcuno prima, e poi non ha
agito per un solo istante, e poi se non aveva tempo di partire di casa, andare sul luogo ed
aspettare le vittime, è segno che non è un’insorgenza momentanea di un impulso
morboso ma di libera volontà. “Non credete, dice Aubanel, non credete a queste pazzie
che scoppiano improvvisamente dietro una viva impressione morale o per altra causa; il
più spesso sono romanzi che si credono in buona fede, ma veri romanzi, perché
passavano inavvertite le necessarie antecedenze; in venti anni di pratica speciale ho
cercato indarno il contrario” (***). Va senza dirlo che se il Verzeni avesse avuto
prodromi anche inosservati, avrebbe di necessità dovuto avere altri segni di pazzia dopo
i fatti, ciò da nessuno fu constatato né sospettato. Concludiamo adunque che il Verzeni
non avendo a noi né ad altri, almeno come risulta dai documenti, né per labe ereditaria,
né per segni psichici, né per segni fisici mostrato la pazzia, né nessun altra forma di
questa infermità compresa nei quesiti datici a sciogliere, né nessun altro vizio o
patimento mentale che comunque avesse influito a rendere minore o togliere la
conoscenza degli atti che perpetrava o la libertà d’astenersene, ne resta a lui la
responsabilità. Concludiamo inoltre col dire che l’efferatezza ed il modo strano con il
quale aggavigliava e sbranava le vittime non è un enigma psicologico. La monomania
omicida, la monomania incendiaria, l’eroismo istintivo l’ebbrezza l’influenza che culle
facoltà intellettuali esercitano alcune sostanze, porgono ragione di osservare con Morel
che non vi ha atto depravato commesso da alienati, compreso la violazione dei cadaveri,
che sia stato commesso anche da uomini in piena ragione; che fra la passione, e
l’irresistibilità della pazzia esiste un enorme differenza: che la follia non è una
conseguenza necessaria della depravazione, che non bisogna senza un maturo esame
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(come crediamo di aver fatto) gettare sull’onta e sul delitto il manto protettore del
delirio e dell’impunità. Volevasi da alcuni per rispetto alla dignità umana cancellare
dalle scelleragini l’antropofagia, ritenendola una mostruosità medico-legale, ma hanno
dovuto sovvenirsi dei briganti dell’ex Re di Roma e dell’ex Re di Napoli che bevevano
il sangue, e mangiavano le orecchie dei soldati italiani e degli accattati; di quei buoni e
pacifici industrianti che navigavano sull’Aunis nel 1864 uccisi e divorati dai pirati arabi.
Avanti ai fatti ogni dignità deve inchinarsi e confessare che le azioni più turpi,
vituperose, detestabili le depravazioni più abominevoli e mostruose degli istinti e dei
sentimenti, e tra queste l’antropofagia, la violazione dei cadaveri e le bestialità non
implicano necessariamente la perdita della ragione e possano effettuarsi con tutta la
freddezza del calcolo, con tutta l’energia non pervertita da un disordine frenopatico, ma
soltanto moralmente corrotto, e quindi colla piena responsabilità delle conseguenze.
Dalla somma e confronto dei caratteri differenziali dell’omicidio morboso e da quello
dei delinquenti, risulta che i misfatti attribuiti al Verzeni rassomigliano ed hanno
l’impronta di questi ultimi, e sarebbe un argomento netto e non una prova il dire che il
Verzeni era pazzo perché non si conosce il motivo pel quale egli assassinava e tentava
assassinare. Il conte di Chalois, fratello del duca di Borbone di Condei, che uccideva gli
uomini senza collera, senza occasione di vendetta, e senza utilità, e tirava contro i
conciatetti per aver solo il godimento di vederli cadere, non era pazzo, come non lo
erano Claudio, Tiberio, Eliogabalo e Caligola, che furono mostri col volto umano, ma
che pur talvolta governavano grandi nazioni. In quanto all’analogia ed identità
materiale, il caso del Verzeni può ravvicinarsi tanto a quello di alcuni pazzi come ad
uno dei più strani e dei più truci di un delinquente. Ma questa manifestazione di
analogia materiale non prova nel caso nostro, né esprime la follia, per le stesse ragioni
che le singolari eccentricità di certi individui, le stranezze e gli errori così comuni agli
uomini illustri, le conseguenze di una falsa educazione, i molteplici inganni dei sensi,
gli atti violenti e pericolosi di un affetto smodato, gli abominevoli frutti di una moralità
corrotta, la abituali dissolutezze, gli esaltamenti, il peccato, l’originalità, il vizio,
l’illusione, la passione, il fanatismo, il delitto, che nelle loro manifestazioni
psicologiche, per una speciosa identità colla pazzia vengono talvolta nel linguaggio
volgare mistificati e confusi colla pazzia stessa, alla stregua ed avanti alla clinica
mentale queste speciose identità psicologiche colla pazzia, non possono essere sinonimi,
né confondersi giammai e ciò perché non sono accompagnati da quel doloroso ed
umiliante corredo di fenomeni psichici e fisici, coi quali nelle sue immutabili leggi e nel
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suo corso va accompagnata la vera follia. Si osservi per ultimo che la scelta delle
vittime fatta dal Verzeni non è fra quelle che potevano opporsi al suo scopo; per lo
meno le riduceva prima impotenti. Come tutti i delinquenti, il Verzeni caduto nelle mani
della giustizia usa un razionale sistema di difesa per farsi credere innocente; né si lascia
a tal uopo intimorire dalle idee di calunniare altrui; come tutti i colpevoli finalmente, il
Verzeni trema all’atto di subire un esame. Non è pazzo, ma solo una personificazione di
uno di quei mostri col volto umano come lui che per fortuna si riscontrano rari negli
annali della giustizia punitrice, che per la sola volontà cosiddetta cannibalica, senza
motivo, per il solo sensus voluptatis, insito al delitto, senza del quale non vi sarebbero
delitti di malvagia brutalità, s’imbrattano in mille guisa nel sangue dei propri simili.
Dopo tutte queste considerazioni colle quali esclusero la pazzia ed ogni sua forma dal
Verzeni e lo giudicano responsabile, credono però di sottoporre alla saggezza delle
nobili
intelligenze
che
dovranno
sentenziare
alcune
osservazioni
per
quell’apprezzamento di cui le crederanno meritevoli.
È un fatto che il Vincenzo Verzeni era per sé d’indole solitario, è un fatto che persino in
alcuna delle poche volte in cui egli avrebbe potuto gustare i trastulli della sollazzevole
compagnia dei suoi coetanei, il padre di lui con rude e crudo impero lo strappava
condannandolo ad un sistema d’isolamento coatto. È un fatto che il Vincenzo Verzeni fu
contrariato ed impedito di trovare nell’unione e fra le braccia di una moglie quella
condizione e stato di vita, che è il più naturale all’uomo e che forma l’obbiettivo, un
bisogno fisico morale, sovratutto poi nei giovani e robusti figli del lavoro, e che crea
come si suol dire alcune ore di paradiso in terra, a chi come il Vincenzo Verzeni è
costretto a bagnarla col quotidiano sudore della propria fronte; è un fatto che in generale
i giovani che si trovano nel modo del Verzeni sotto mali trattamenti e sotto privazioni
da parte di quelli da cui avrebbero diritto di aspettarsi il maggior bene assumono un
carattere riottoso, misantropo, vendicativo e disposto talvolta a riversare ad usura su
altri quanto man mano vien fatto loro. Per ultimo si fa presente l’opinione espressa in
alcuni trattati di antropologia o sulla natura fisico-morale dell’uomo per la quale essi
dicono che anche nella problematica ipotesi che i principi della moralità siano innati
nell’uomo, occorre però che siano risvegliati e mantenuti da un’attenta e continuata
educazione (che in gran parte convien dire, è mancata al Verzeni) senza della quale
l’uomo tende a ritornare, essi dicono, a quegli istinti primitivi ed animaleschi, sotto il
quale il senso morale ha minor forza ad opporsi al male».
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«Terminata la esposizione del giudizio peritale, i periti dichiararono di convenire in
massima col loro egregio collega, salvo a ciascuno il diritto di spiegarsi su alcune
divergenze speciali.
[…] Prof. Lombroso. L’atto si deve pure guardare dallo psichiatro legale; se così non
s’avesse a fare, il re Carlo felice che rubava i cucchiai d’argento non sarebbe pazzo. Gli
atti sono effetti delle funzioni dell’organismo.
Quanto ai casi concreti che qui abbiamo sott’occhio, è a notarsi che l’atto creativo è
accompagnato non rare volte da istinti sanguinari di distruzione.
Tra i popoli selvaggi ed istintivi, questo fenomeno accessorio, è spiccatissimo;
sappiamo che tra alcuni di essi si usa dall’amante aspettare in agguato la femmina, e
renderla impotente con un colpo di clava alla testa. Tra i riti stessi nuziali di alcuni
popoli civili è conservato pro forma e quasi riprodotto alcuni di questi caratteri speciosi
di violenza. In Toscana s’usa ancora rapire la sposa.
Questa inesplicabile confusione di due atti opposti nell’uomo, la creazione e la
distruzione, questo inferocire nel sangue, è caratteristica ancor più viva nei solitari, e nei
continenti. I più atroci fatti li troviamo appunto tra una classe di gente che meno ha
l’opportunità dell’atto sessuale: tra i sacerdoti, i militari, gli studenti, i mandriani
segregati dalla società.
[…] Quanto alla famiglia del Verzeni Vincenzo abbiamo cretinesimo negli zii. Non
intendo dire per questo che fossero cretini; il loro contegno e discorrere ce lo
impediscono. Cretino, parlando genericamente, non è solo il piccolo di statura,
l’apatico, il macrocefalo che abita l’Aosta. Oltre il cretino nel vero e proprio senso della
parola abbiamo il cretinoso , che partecipa del primo e nello stesso tempo dell’uomo
sano e normale.
Quanto agli atti in sé del Verzeni, io li distinguerei in due fasi: fino al cominciare
dell’atto avremmo l’eccitante soltanto; nella prosecuzione, il furore bestiale. Che non
sia sempre indiscutibilmente in sesto quest’uomo l’abbiamo dal fatto che sovente ei
trascese a delinquere in circostanze poco opportune all’amore sessuale, sia pel tempo,
avendo noi osservato che tre si cinque de’ suoi atti egli commise in dicembre, sia per le
vittime sue che non eran sempre tali, da suscitare istinti carnali, o ragazzine impuberi la
più parte, o donne oltre i trent’anni.
Quell’asportazione poi del polpaccio d’una gamba della Motta, per poi gettarlo sull’alto
di un tabbiotto distante una buona cinquantina di metri, il non aver distrutto, tagliuzzato
quel ritratto denunciatore, tutto dinota una orribile confusione di idee nella povera
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mente dell’omicida; confusione della quale è altro fenomeno per me, il mistero degli
spilli.
Quanto a diagnosi anatomica il Verzeni presenta tutti i caratteri dell’uomo bergamasco
sano; tutto al più il suo capo sarebbe alquanto più allungato del normale. Non si può a
meno di notare tuttavia che se la gobba frontale sinistra è rilevata, la destra per contro è
depressa e avvallata, e come atrofica; sicchè ponendo come tutti or possono vedere in
questa sala, le due mani sul fronte del Verzeni, quella che corrisponde al lato destro
dello stesso resta sensibilmente più bassa rispetto all’altra.
Poi, sempre sulla destra troviamo una cresta ossea che partendo dalla parte meridiana
del sopraciglio, va a confondersi con la linea arcuata del temporale; particolarità
riscontratissima nei selvaggi. Altra anomalia abbastanza notevole è la teromasia
dell’arteria temporale, come si riscontra nei bevitori di mestiere, che hanno però varcata
l’età dei 30 anni; qui il Verzeni non è bevitore, e non ha che 24 anni. Più la mancanza di
fosfeni è appunto all’occhio destro, e lo strabismo pure è prevalente da questo lato. Così
il padiglione dell’orecchio destro è più piccolo di quello sinistro.
Senza dare troppo valore a questa anomalie, io mi accorgo essere più forse dei miei
colleghi portato a credere in parte degno di compassione quest’uomo che a tutti sembra
degno solo di ribrezzo. Io credo che non sempre il Verzeni fosse nel pieno dominio
della sua volontà.
P.M. Dunque, secondo lei, in parte è piena, in parte è mitigata la responsabilità. Fino a
qual punto l’una cosa, e fino a qual punto l’altra?
Lombroso. Noi medici siamo in imbarazzo a precisare certe cose. Non posso rispondere
che in via indiretta, perché si tratta di un fenomeno, come si suol dire, psicologico.
Responsabile pienamente in principio dell’atto, meno responsabile nel delirio dell’atto.
P. M. Ma supposta prima la strangolazione e poi lo stupro, come si spiegherebbe la
faccenda della responsabilità?
Prof. Lombroso. A questo non saprei categoricamente rispondere. Il fatto è che noi tutta
la storia non la sappiamo; i testimoni ce lo dipingono curvo sulla vittima, arrossato in
viso, udito il rumore egli si alza solo a mezzo sulla persona; tutto fa supporre ch’ei
consumasse in quell’istante il sacrificio venereo.
Per esporre intiero il mio concetto io non accetto dal codice l’idea di malvagia brutalità.
Quando non esistesse altro motivo impellante nell’autore d’un delitto, io crederei che
quella frase equivalga a pazzia.
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[…] Dr. Tarchini Bonfanti. Aderisco al relatore sig. Mancini quanto alla responsabilità
– che ammetto intiera nel Verzeni. […] Un’altra obbiezione si è quella di non avere
disperse le traccie del delitto, d’averle portate per così dire di qua e di là, come
nell’omicidio della Motta. Invero noi ignoriamo quali fossero le idee del Verzeni in
proposito. Avea egli l’intenzione di fare sparire coteste traccie, e non ne ebbe poi
l’ardire, pauroso d’essere scoperto, caduto d’animo per la sforzata libidine, pel
commesso misfatto? Stimò egli che solo sparpagliando le traccie avrebbe confuso la
cose in modo che la giustizia non valesse poi a raccapezzare le verità? In questa seconda
ipotesi egli avrebbe in parte raggiunto lo scopo; tanto è ciò vero che appunto anche per
ciò noi siamo qui a pensare , ad indagare, a discutere.
[…] In quanto alla brutale malvagità , osservo che siccome noi siamo qui a servire la
legge e non ad eluderla, dobbiamo ammettere questa brutale malvagità senza discuterla.
Ma osservo altresì che si tratta d’un concetto morale, mentre noi siamo chiamati a
pronunciare sullo stato mentale. Abbiamo dichiarato che il Verzeni non è, né fu mai
pazzo. Se il rappresentante del P.M. crede che i fatti addebitati al Verzeni e commessi
senza alterazione mentale costituiscono un fatto di brutale malvagità quale lo vuole la
legge, ciò si sottrae alle nostre investigazioni, e credo che non sta a noi il pronunciarci
in tale proposito.
[…]
Terminata l’esposizione del giudizio peritale, i periti dichiararono di convenire in
massima col loro collega, salvo a ciascuno il diritto di spiegarsi su alcune divergenze
speciali. Il primo ad intervenire è il dott. Griffini il quale afferma di riconoscere come
movente degli atti del Verzeni la libidine. Della sua opinione è convinto da alcuni fatti:
l’aver diretto i suoi attentati unicamente a femmine; l’opinione manifestata in carcere
che il mezzo migliore di possedere una donna è quello di ridurla alla impotenza
mediante lo strangolamento, lo stato degli organi genitali dell’imputato alle prime visite
dei periti
Alborghetti e Previtali. La contenzione forzata che egli ha dovuto subire; la cognizione
che frequenti sono gli atti e i delitti consimili consumati collo strangolamento; la
reticenza mostrata dalle vittime dell’imputato, le quali probabilmente non hanno
palesato le violenze subite e mosso querela alla giustizia per non confessare il proprio
disonore, benché incolpevole. Nel suo intervento il dott. Griffini cita inoltre casi simili
in cui la più efferata barbarie si associa a questi orrendi atti di mostruosa parvenza.
Come circostanze mitiganti ammette però l’età giovanile, lo svegliarsi prepotente
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dell’istinto genetico, il matrimonio vietato dai genitori, il temperamento bilioso,
nervoso, e l’educazione mal riuscita, quantunque affatto consona a quella che suole
impartirsi nei nostri paesi. Poi è la volta del prof. Lombroso che dichiara: “L’atto si
deve pure guardare dallo psichiatro legale; se così non s’avesse a fare il re Carlo Felice
che rubava i cucchiai d’argento non sarebbe pazzo.
Gli atti sono effetti delle funzioni dell’organismo. Quanto ai casi concreti che qui
abbiamo sott’occhio, è a notarsi che l’atto creativo è accompagnato non rare volte da
istinti sanguinari di distruzione. Tra i popoli selvaggi ed istintivi, questo fenomeno
accessorio è spiccatissimo; sappiamo che tra alcuni di essi si usa che l’amante aspetti in
agguato la femmina e che la renda impotente con un colpo di clava alla testa. Tra i riti
nuziali stessi di alcuni popoli civili è conservato pro forma e quasi riprodotto alcuni di
questi caratteri speciosi di violenza. In Toscana s’usa ancora rapire la sposa. Questa
inesplicabile confusione di due atti opposti nell’uomo, la creazione e la distruzione,
questo inferocire nel sangue, è caratteristica ancor più viva nei solitari, e nei continenti.
I più atroci fatti li troviamo appunto tra una classe di gente che meno ha l’opportunità di
un atto sessuale: tra i sacerdoti, i militari, gli studenti, i mandriani segregati dalla
società. Sappiamo di Bertrand che tagliava e mangiava le carni delle sue vittime; di un
prete e di un frate che consumavano atti consimili. Una specie di furore viene da
esagerata continenza, con ebbrezza di sperma, per così dire, che in alcuni è causa di
delitti, in altri di luminose virtù dell’intelletto. Ci si narra di un abate, che sotto l’impero
di una castità eroica, divenne pittore e musico, mentre prima non lo era affatto; a cui
tutte le donne apparivano cinte di un’aureola luminosa… tutti fenomeni che
scomparvero alla prima eiaculazione spermatica.
Quanto alla famiglia del Verzeni abbiamo cretinismo negli zii. Non intendo dire per
questo che fossero cretini; il loro discorrere ce lo impediscono. Cretino, parlando
genericamente, non è solo il piccolo di statura, l’apatico, il macrocefalo che abita
l’Aosta. Oltre il cretino, nel vero e puro senso della parola abbiamo il cretinoso, che
partecipa del primo e nello stesso tempo dell’uomo sano e normale. Quanto agli atti in
sé del Verzeni, io li distinguerei in due fasi: fino al cominciare del fatto avremo
l’eccitante soltanto; nella prosecuzione, il furore bestiale. Che non sia sempre
indiscutibilmente in sesto quest’uomo l’abbiamo dal fatto che sovente ei trascese a
delinquere in circostanze poco opportune all’amore sessuale, sia nel tempo avendo,
avendo noi osservato che tre su cinque dei suoi atti egli commise in dicembre, sia per le
vittime sue che non erano sempre tali da suscitare istinti carnali, o ragazzine impuberi la
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più parte, o donne oltre i trent’anni. Quell’asportazione poi del polpaccio di una gamba
della Motta, per gettarlo poi sull’alto di un tetto distante una buona cinquantina di metri,
il non aver distrutto e tagliuzzato quel ritratto denunciatore, tutto denota un’orribile
confusione di idee nella povera mente dell’omicida; confusione della quale è altro
fenomeno per me il mistero degli spilli. Quanto a diagnosi anatomica il Verzeni
presenta tutti i caratteri dell’uomo bergamasco sano; tutto al più il suo capo sarebbe
alquanto più allungato del normale. Non si può fare a meno di notare tuttavia che se la
gobba frontale sinistra è rilevata, la destra per contro è depressa e avvallata, e come
atrofica; sicché ponendo come tutti or possono vedere in questa sala, le due mani sul
fronte del Verzeni, quella che corrisponde al lato destro dello stesso resta sensibilmente
più bassa rispetto all’altra. Poi sempre sulla destra troviamo una cresta ossea che
partendo dalla parte meridiana del sopracciglio, va a confondersi con la linea arcuata de
temporale; particolarità riscontrata nei selvaggi. Altra anomalia abbastanza notevole è la
teromasia dell’arteria temporale, come si riscontra nei bevitori di mestiere, che hanno
però varcata l’età dei 30 anni: qui il Verzeni non è bevitore, e non ha che 24 anni. Più la
mancanza di fosfeni è appunto all’occhio destro, e lo strabismo pure è prevalente da
questo lato. Così il padiglione dell’orecchio destro è più piccolo di quello del sinistro.
Senza dare troppo valore a queste anomalie, io mi accorgo essere forse più dei miei
colleghi portato a credere degno di compassione quest’uomo che a tutti sembra degno
solo di ribrezzo. Io credo che non sempre il Verzeni fosse nel pieno dominio della sua
volontà.”
L’intervento del prof. Lombroso del P.M. che chiede: “dunque, secondo lei, in parte è
piena, in parte è mitigata la responsabilità. Fino a che punto l’una cosa, e fino a qual
punto l’altra?” Prof. Lombroso: “Noi medici siamo in imbarazzo a precisare certe cose.
Non posso rispondere che in via indiretta, perché si tratta di un fenomeno, come si suol
dire, psicologico. Responsabile pienamente in principio dell’atto, meno responsabile nel
delirio dell’atto.” Nelle ultime battute del processo la difesa cerca inutilmente di
accreditare al Verzeni una forma di pellagra, e sebbene parte dei periti, fra i quali il
Lombroso, sembra avvalorare la tesi della difesa, non viene addebitata al Verzeni alcuna
forma di pellagra. I periti sono licenziati.
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5.12 Sentenza
In nome di sua maestà Vittorio Emanuele II per grazia di Dio e per volontà della
Nazione
Re d’Italia
La Corte D’assise del Circolo di Bergamo ha pronunziato la seguente SENTENZA
Nella Causa del Pubblico Ministero
Contro
Verzeni Vincenzo di Giacomo e di Dogoni Giuseppa, nato in Bottanuco nell’undici
Aprile 1849, celibe, contadino, domiciliato in Bottanuco, detenuto dall’undici Gennaio
1872
Accusato
I° del crimine di tentato omicidio volontario per avere nelle ore pomeridiane di un
giorno festivo del 1868 o di altro anno prossimo lo precedente o successivo
volontariamente tentato di togliere la vita alla propria cugina Marianna Verzeni nella di
lei casa di abitazione in Comune di Bottanuco stringendola fortemente al collo per
soffocarla e sospendendo la esecuzione del manifestato proposito per circostanze
indipendenti dalla di lui volontà con la circostanza aggravante di avere agito senza altra
causa, che per impulso di brutale malvagità- reato previsto dagli articoli 96 – 98 – 522 e
533 N.2 Codice Penale
II° Del crimine di omicidio volontario per avere la mattina del giorno 8 dicembre 1870
nella aperta campagna in Comune di Bottanuco volontariamente tolta la vita alla
fanciulla Giovanna Motta mediante colpi di istrumento tagliente o forse anche mediante
soffocazione, con la circostanza aggravante d’avere commesso tale omicidio senz’altra
causa che per impulso di brutale malvagità – Reato previsto dagli articoli 522 e 533 N°
2 del Codice Penale
III° Del crimine di assassinio per avere la mattina del 27 agosto 1871 nelle aperta
campagna in Comune di Bottanuco tolta volontariamente la vita ad Elisabetta
Pagnoncelli, maritata Frigeni, strozzandola con corda e commettendo tale omicidio con
le circostanze aggravanti della premeditazione , e di aver agito senz’altra causa , che
per impulso di brutale malvagità, reato previsto dai combinati articoli 522 – 526 – 528 –
531 e 533 N° 2 del Codice Penale.
Udite le requisitorie del Pubblico Ministero tanto nel merito che nei rapporti della pena
Udite le arringhe dei signori avvocati con difensori Giovanni Battista Botta e Gonsildo
Ondei i quali coll’accusato Vincenzo Verzeni ebbero ultimi la parola
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Atteso che pel Verdetto di Giurati l’accusato Verzeni Vincenzo fu ritenuto colpevole
I° Di tentato omicidio volontario per avere nelle ore pomeridiane di un giorno festivo
del 1868 o di altro anno prossimo o precedente o successivo volontariamente tentato di
togliere la vita alla propria cugina Marianna Verzeni nella di lei casa di abitazione in
Comune di Bottanuco stringendola fortemente al collo per soffocarla e sospendendo la
esecuzione del manifestato proposito per circostanze indipendenti dalla di lui volontà.
II° di omicidio volontario per avere la mattina del giorno 8 dicembre 1870 nella aperta
campagna in Comune di Bottanuco volontariamente tolta la vita alla fanciulla Giovanna
Motta mediante colpi di istrumento tagliente o forse anche mediante soffocazione.
III° di assassinio per avere la mattina del 27 agosto 1871 nelle aperta campagna in
Comune di Bottanuco tolta volontariamente la vita ad Elisabetta Pagnoncelli, maritata
Frigeni, strozzandola con corda colla circostanza qualificativa della premeditazione, e
cioè col disegno formato prima dell’azione di ucciderla quando l’avesse trovata od
incontrata.
Attesochè il Verdetto stesso rimase accertato, che l’accusato Verzeni abbia commesso
tutti e tre i fatti dei quali fu ritenuto colpevole colla circostanza aggravante di avere
agito senz’altra causa che per impulso di brutale malvagità.
Atteso che per lo stesso verdetto risultano ammesse a favore dell’accusato le circostanze
attenuanti.
Atteso che dalla fede di nascita di cui fu data lettura all’udienza il Verzeni Vincenzo
risulta nato l’undici aprile 1849 – per cui aveva compiuto il suo diciottesimo anno ma
non il 21° all’epoca dell’attentato omicidio ed aveva invece già compiuto anche il 21°
anno di età all’epoca degli altri due fatti di omicidio e di assassinio.
Veduti ed applicati gli articoli 96 – 98 – 522 – 533 N2 – 526 – 528 – 531 – 107 – 20 –
23 – 72 – 74 – 82 – 684 Codice Penale – 568 – 606 – 607 – 613 – 616 Codice di
Procedura Penale
LA CORTE CONDANNA
Vincenzo Verzeni alla pena dei lavori forzati a vita, alla perdita dei diritti civili e politici
e di quelli specificati dall’articolo 3° del Reale Decreto 30 Novembre 1865 N. 2606, al
pagamento delle spese processuali e dall’ indennità verso chi di ragione .
Manda stamparsi, affliggersi e pubblicarsi la presente sentenza nei modi e luoghi di cui
all’articolo 23 Codice Penale.
Dichiara confiscati i falcetti, la mannaja ed il pezzo di corda sequestrati, i primi
all’accusato e la corda sul luogo del misfatto.
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Manda restituirsi a Giovanni Antonio Frigeni ed agli eredi della Giovanna Motta gli
oggetti sequestrati e riconosciuti di rispettiva ragione delle interfette ; a Maria Galli in
Colleoni il fazzoletto rosso sequestrato all’accusato, ed al’’accusato stesso o a chi per
esso tutti gli altri oggetti in giudiziale custodia.
Bergamo, 9 Aprile 1873
Il presidente Dona’
I giudici Scopoli e Manusardi
Il cancelliere Craudi, Vice Canc. Agg.
Pronunciata dal Signor Presidente in udienza pubblica ai sensi degli articoli 318 – 322
Codice Procedura Penale, presenti le parti.
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5.14 Perizia eseguita sul Verzeni dal prof. Lombroso
Il Verzeni che a prima vista dai suoi atti dovrebbe giudicarsi un feroce monomaniaco,
offre alle indagini antropologiche molti dei caratteri dell’uomo sano di Bergamo. Ha 22
anni alto m.166, pesa 68300 gr., più della media dei Lombardi della stessa statura. Ha
fina e rosea la cute, scarsa ma non deficiente la barba; biondo-scuri, abbondanti e
finissimi i capelli (i pazzi invece ne scarseggiano). Il cranio presenta una capacità
maggiore della media tolta da cento soldati ventenni di Bergamo, cioè 1577.
I dati craniometrici sono i seguenti:
Circonferenza 561 mm.
Curva longitudinale 360 mm.
“ biauriculare 315 mm.
Fronte larga 130 mm.
“ alta 62 mm.
Semicurva anteriore 316 mm.
“ posteriore 251 mm.
Linea facciale 180 mm.
Diametro longitudinale 192 mm.
“ trasversale 151 mm.
“ frontale 116 mm.
“ frontomenton. 191 mm.
L’angolo facciale è di 80
L’indice cefalico 780 differisce di soli 9 mm. dalla media di 100 bergamaschi, d’anni
20.
Tre sole anomalie si rinvengono in questo cranio: la gobba frontale a sinistra è ben
sviluppata, mentre è appena accennata a destra; e a destra pure si scorge una cresta
ossea, che dal mezzo del sopracciglio sale verso l’alto della fronte e si unisce alla linea
arcuata del temporale qui molto più pronunciato che non a sinistra. Tutto il frontale
destro è molto più basso e più piccolo del sinistro. Le orecchie partecipano di questa
anomalia più lunga (36) e larga (35) la sinistra della destra (35-32) e mancanti ambedue
della metà inferiore dell’elice; di più nella tempia destra si nota leggera ateromasia
dell’arteria. Robustissima la muscolatura della nuca e rilevate le creste occipitali;
enormi gli zigomi (140); e la mascella
inferiore sviluppata in modo singolare, i canini superiori molto appuntiti; poco lungo il
naso (50); lunghe e robuste le braccia (83); le gambe invece più corte, misurando 93
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dalla cresta alla pianta dei piedi, e più accorciato il destro del sinistro; la pianta del
piede lunga 28 e larga 11 cent., larghe ed allungate le mani (lunghe 200 e larghe 170);
pene ben sviluppato e foggiato a becco di flauto; prepuzio leggermente arrossato e
libero da frenulo, il che prova l’uso e anche l’abuso dell’organo. La forza muscolare
risultò al dinamometro scarsa (solo 105 a destra, 80 a sinistra); la sensibilità al dolore
esplorata con una macchina elettrica, in cui la distanza di due rocchetti ne dava in
millimetri la misura, risultò squisita alla fronte (29), alla lingua (31), al mento (41); solo
manchevole nel dorso delle mani.
L’oftalmoscopia eseguita dal prof. Quaglino diede i seguenti risultati: leggero strabismo
alternante divergente, che pare dovuto a una insufficienza dei muscoli retti interni, come
si nota nei miopi, specialmente quando fissano oggetti vicinissimi qualche tempo; infatti
gli occhi sono ambedue miopi, in grado però leggero. I raggi diottrici e le pupille sono
normali e trasparenti. L’acutezza visiva è pressoché normale, e così la estensione
periferica del orecchie e dell’occhio, nella vita intrauterina, ed è attualmente anche mal
nutrito, come conferma l’ateromasia dei vasi temporali e l’ultimo esame oftalmoscopici;
- ma queste anomalie possono avere solo un limitato valore, perché compensate dal
largo sviluppo del capo e dell’altro lobo frontale, maggiore che non negli altri contadini
della stessa età; tanto più che anche i diametri cranici sono quasi fisiologici. Lo stesso
dicasi dell’eredità: esso ha veramente due zii cretinosi, uno zio, specialmente, il Battista,
ha un angolo facciale, di 72, il cranio a pan di zucchero, schiacciato ai lati e alla fronte e
piccolissimo di volume (52 circonferenza), ha enormi zigomi, mancante di barba e di un
testicolo, e atrofico l’altro. Ma la madre e la nonna non offrono malattie di rilievo, e
nessuna ne offrono gli avi e i bisavoli paterni e materni. Il padre solo ha alcune leggiere
traccie di pellagra, la quale non giunse che per pochi giorni e nel 1871 a produrre una
lieve tinta di delirio o anzi meglio d’ipocondriasi. I matti non fan soldi, diceva molto
bene un testimone a proposito di questa famiglia. Si aggiunga, al più, un cugino che patì
d’iperemia cerebrale ed un altro recidivo nei furti. Consta, però, che tanto i genitori
quanto il reo mangiarono per avarizia nel 1866 polenta di maiz marcito. D’ingegno
l’accusato ne mostra più che non il comune dei delinquenti, benché risulta che non
approfittasse alla scuola: e difatti, benché solitario e taciturno, nessuno ha mai affibbiato
a lui né ai suoi, quegli epiteti di matto e di strambo, che con tanta facilità il mondo
affibbia a chiunque paia inclinato alla pazzia, né ha sofferto mai, che si sappia, in modo
sicuro, di cefalee e di vertigini; pare solo, di leggiere diarree, in estate. Tace e parla a
proposito, inventa menzogne da uomo provetto, sta fermo solo nel diniego di quelle
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parti d’accusa in cui gli pare essere più compromesso, accusa l’alibi, attribuisce altrui le
proprie colpe; combina i misfatti con arte così infernale che passano mesi ed anni prima
di scoprirne l’autore; studia lo strumento e il metodo più adatto per colpire ciascuna
vittima, la corda per la Pagnoncelli, la terra per la Motta.
E gli affetti pure sembra non abbia alterati pei suoi. Si caverebbe, dice egli, il pane di
bocca pei suoi nipotini; rispetta il padre e gli zii fino a lasciarsene battere senza reagire:
Rotta una relazione amorosa ne riannoda subito un’altra; è taciturno, è vero, con quei
del villaggio, ma nelle carceri, cogli omicidi e stupratori pari suoi, s’apre, dice egli
stesso, rompendo l’usata prudenza, come a fratelli, perché realmente trova in quelli per
la prima volta un eco alla sua tempra. Ora i matti non sono espansivi né fuori, né dentro
del manicomio. Benché pochi assai siano i dati che parlino per un’alterazione mentale,
pure io sarei costretto ad ammetterla se non trovassi una ragione dei feroci e strani
delitti di cui si rese colpevole.
Ma lo sviluppo del processo e le indagini finissime dell’Alborghetti e Previtali, l’esame
delle parti genitali, le testimonianze del capoguardia e dei condetenuti, il denudamento
delle due vittime e, orribile a dirsi, il ripulimento, dopo la morte, di una di quelle,
l’accusa che egli mosse altrui di avere stuprato la C... e in cui sfogava addossando altrui,
il bisogno di parlare del proprio delitto, che stimola tutti i delinquenti, dimostrano assai
bene quale fosse il movente. Si hanno le prove che esso si masturba, che è inclinato alle
donne al punto di farsi punire in prigione per solo vederle, e che confessa aver avuto
rapporti sessuali precoci perfino con bambine.
Ora a Bottanuco, e più nella famiglia Verzeni, oltre al cretinismo e la pellagra, domina
sovrana la bigotteria e l’avarizia. La morale vi si fa consistere nelle pratiche religiose e
nell’astinenza giovanile. Una copula non legittima v’è considerata come un delitto
grande al pari della strangolazione, tanto che la madre rabbrividiva quando le
chiedevamo se il figlio avesse polluzioni involontarie; e le ragazze dal Verzeni
assoggettate ai, chiamiamoli pure, tentativi, ne tacquero, perché trovavano più
necessario il nasconderli che impedirli e il vendicarli. Si aggiunga la sordida avarizia
della famiglia che non gli lasciava tempo né denaro per soddisfare gli istinti lascivi e gli
vietava il matrimonio, ed irritava coll’assoluto impedimento una precoce e prepotente
libidine. Quest’uomo a cui era stata insegnata la sola morale del frequentare la chiesa e
di lavorare, messo al bivio tra il comprimere un violento prepotente appetito ed il
commettere un crimine, scelse questa via senza d’altro preoccuparsi che di tenerlo
celato. Dallo stupro fu condotto allo strangolamento, anche, pel bisogno, doppiamente
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forte, in quel paese di tener nascosti i rapporti sessuali, ma più ancora pel pervertimento
delle facoltà genitali e insieme affettive, a cui certo contribuiva quel attossicamento
cretinoso e pellagroso che si riscontrava nei suoi parenti, e che lasciava impronte nel
suo lobo frontale destro, e che rompeva l’equilibrio delle facoltà affettive. Vi
contribuiva, poi certo, una influenza che è stata osservata da molti medicolegali, vale a
dire la facilità di associarsi la libidine del sangue a quella di Venere, massime nei troppo
o troppo poco continenti. Mantegazza sentì confessarsi da un amico che si trovò ad
uccidere parecchi polli, che dopo la prima uccisione provava una barbara gioia a palpare
avidamente le viscere calde e fumanti, e che di mezzo a quel furore era stato assalito da
un eccesso di libidine. Questo fatto ha una grande importanza, perché fa prevedere che
l’istinto dell’assassino e la facoltà generare, devono avere nel cervello un rapporto
anatomico o fisiologico. La storia, d’altronde, ci mostra come fra gli orrori del
saccheggio, la crudeltà si associ sempre alla più sfrenata libidine, e come dal sangue
delle vittime sorgano fumi che acciecano la mente, cambiando l’uomo in un bruto, che
fa paura e ribrezzo. (Fisiologia del piacere, pag. 394-395, quinta edizione).
Il primo e più grande descrittore della natura, Lucrezio, aveva osservato come anche nei
casi ordinari di copula può sorprendersi un germe di ferocia contro la donna, che ci
spinge a ferire quanto si oppone al nostro soddisfacimento (1)65.
Questa ferocia si nota, certo, negli animali all’epoca degli amori, dove il rivale più forte
uccide o colpisce il più debole, e resta padrone del campo. Qualche cosa di simile
avveniva all’epoca preistorica anche nell’uomo, sia per domare le renitenze della donna,
a cui il matrimonio era una nuova forma di schiavitù, sia per vincere i rivali in amore;
una traccia ne restò nelle feste dei selvaggi. Sappiamo che in molte tribù dell’Australia
si usa dall’amante aspettare in agguato la sposa dietro le siepi, colpirla con un colpo di
clava, e così tramortita trasportarla nella casa nuziale. Di questi usi una traccia restò nei
riti nuziali di molti popoli anche da noi; è certo poi che una tracciane restò nell’orribile
festa del Jagraate nelle Indie e nei baccanali Romani, ove chi, anche maschio, resisteva
allo stupro, era tagliato in pezzi così piccoli da non potersi rinvenire il cadavere. (Tito
Livio, XXXIX cap. VIII) Ora gli istinti primitivi, scancellati dalla civiltà, possono
ripullulare anche in un solo individuo, quando in lui è deficiente il senso morale per
l’ambiente in cui vive, ed è pervertito il senso carnale per l’eccessiva continenza. I casi
o isolati o epidemici, di bestialità e di carnalità, sfogate sui cadaveri umani, casi
accompagnati da atti sanguinari, si sono notati, diceva il Lunier, sempre in militari e
sacerdoti; p.e. il prete Mingrat che a 27 anni uccise due ragazze, e le tagliò a pezzi per
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nasconderle nei boschi; e quell’altro frate che violò una donna creduta cadavere, mentre
poi era viva e divenne madre. Soldato era il Bertrand, di cui è nota l’orribile storia. È
noto come i soldati nei saccheggi associno stupri a delitti di sangue. Era pastore e
isolato nelle rupi, e da lungo tempo continente quel feroce Legier, che tutto ad un tratto
si sente spinto a strappare le viscere ad un bambino che passava pel bosco, stuprarlo,
beverne il sangue.
Soldato (caso oss. da Tarchini Bonfanti) quel feroce, che dopo stuprate tre donne,
strappò loro il perineo colle dita e facendo una cloaca della vagina e del retto. Tardieu
narra di una donna sessantenne a cui il bestial stupratore, inviperito della resistenza,
strappò colle mani cacciate in vagina porzioni di visceri che si rinvennero nella strada.
Qualche volta questa associazione delle libidine e ferocia si manifesta per una specie di
vera pazzia. Mainardi descrive il caso (era però semi-imbecille) di quel Grassi, che
accesosi una notte di una povera cugina, e questa resistendo alle sue voglie, le cacciò
più volte un coltello nel ventre, e con quello successivamente subito dopo uccise il
padre suo e lo zio che tentavano fermarlo; ricoperti indi i caldi cadaveri, si diede in
braccio alla moglie di un bifolco che era sua ganza; ma non calmato nel furore omicida,
colpiva il proprio padre e perfino dei buoi nella stalla.
E Philippe che godeva, indi strangolava le meretrici per derubarle, un giorno ebbe ad
esprimersi: “Io le donne le amo, solo mi piace dopo godute di strangolarle”. Gille de
Rays, già maresciallo di Francia, uccide per soddisfare infame libidine più di 800
giovani - associando alla libidine una tinta strana di religione. Il Sade godeva fare
spogliare nude le meretrici, batterle a sangue e medicarne le piaghe, e delle libidini
miste a ferocia s’era fatto una specie d’ideale, avrebbe voluto farne un apostolato.
Brierre de Boismont narra di un capitano che obbligava l’amante ad appiccicarsi
sanguisughe alle pudende ogni volta che voleva procedere ai replicanti concubiti finché
questa cadde in profonda anemia e fu condotta al manicomio. E così accadde al
marchese Sade che facea legare da’ suoi una meretrice e dopo fattile molti tagli pel
corpo e per le pudende e sventratala indi si apprestava a violarla.
Questa specie di furore sanguinario che associa alla libidine del casto o del pazzo,
insieme alla atrofia di una porzione del cervello e all’influenza ereditaria indiretta,
spiegherebbe alcuni fatti che restano inesplicabili.
1° Come questa ferocia sanguinaria si sia sviluppata in lui dopo la pubertà e tutta ad un
tratto, essendo quasi provato come prima fosse di carattere docile e avesse mostrato
ribrezzo all’uccisione degli animali domestici, tanto da uscir di casa quando si eseguiva.
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2° Come sparpagliasse i brani dei cadaveri, e specialmente il polpaccio della Motta, e
come non si curasse di distruggere il ritratto di Pio IX, in modo contrario al suo
interesse, e ponesse quei tre aghi tanto misteriosi sull’ultima vittima, probabilmente
senza saper che si facesse.
3° Come compisse gli atti feroci così complicati, in così breve tempo (non più di ¾
d’ora).
4° Come gli atti si ripetessero su molti individui, a brevi intervalli ed in alcune epoche,
e precisamente nei mesi più freddi e più caldi dell’anno. (Dicembre 1869-70 e Agosto
1871)
5° Come scegliesse a vittime sempre donne è vero, ma disparate, e alle volte ributtanti,
dall’impubere e gracilissima cugina che tuttora convalescente del colera doveva essere
ancora più deforme, alla troppa matura acquavitaia, conciossiaché quella libidine furiosa
dei continenti non guardi che al sesso senza badare all’età e alla bellezza.
6° Come sviluppasse nell’esecuzione degli omicidi una forza muscolare (frattura di
radio della Motta) la quale non si riscontra punto collo dinamometro.
7° La precocia speciale nelle esagerate tendenze sessuali si può spiegare per la pellagra
e cretinesimo dei parenti; che da questi stesso provengono appunto le due tendenze
opposte ora alla anafrodisia, ora all’erotismo.
Io concludo, quindi, ad una diminuzione di responsabilità pel Verzeni per quanto
concerne, almeno, l’ultima parte dell’atto. Che vi sia stato qualcosa di morboso nella
insolita ferocia in questo atto si ammette e si spiega colle anomalie croniche e
coll’eredità, ma che l’ebbrezza spermatica e la influenza pellagrosa e cretinosa abbiano
potuto completamente renderlo inconscio di sé prima e dopo quell’atto troppo bene lo
confutano la nessuna fama di bizzarro o di matto, la capacità cranica, la ricchezza di
capelli, le poche alterazioni della sensibilità al dolore, l’affettività ben conservata, la
calma e l’astuzia con cui subito dopo l’atto comincia a preparare un alibi, la perspicacia
nelle negative, ecc.
Questa perizia era stata già pronunziata e la sentenza da vari giorni emanata; sentenza
che, per un solo voto, non fu di morte, quando io potei intrattenermi parecchie ore, collo
sciagurato, e coglierne l’intera rivelazione del movente dei suoi misfatti. “Io ho disse,
veramente uccise quelle donne e tentato di strangolare quelle altre - perché provava in
quell’atto un immenso piacere in quantiche appena metteva loro le mani sul collo mi
si…il... e ne sentiva un gran gusto (un vero piacere venereo); - la prima (la piccola
cugina Verzeni) non la strozzai del tutto perché il piacere lo gustai quasi subito appena
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toccatele il collo; per la stessa ragione restarono salve le cinque altre assaltate; invece le
due M. e P. restarono soffocate perché il piacere tardando a manifestarsi io le stringeva
sempre più ed esse morirono. Io godeva anche a fiutare le sole vesti (pedagn) femminili.
- Il piacere che provavo nello stringere il collo alle donne era più intenso che non provi
ora colla masturbazione - né per questo rapporto io badava se fossero vecchie o giovani,
o brutte, purché fossero femmine mi bastava - la Motta la spaccai non colla falcetta ma
con un rasoio (??), con cui il giorno prima mi ero sbarbato, provai nelle spaccarla un
gran piacere; le graffiature che si trovarono sulle coscie non erano prodotte colle unghie
ma coi denti, perché io, dopo strozzata, la morsi (piar) - e ne succhiai il sangue ch’era
salato, con che godei moltissimo. - Esportai il polpaccio della Motta dopo averlo
succhiato per poter continuare a gustarlo a casa e arrostirmelo, perciò me lo misi in
tasca dentro il fazzoletto - ma poi, temendo che la madre me lo trovasse, lo nascosi
entro la paglia del Tabiotto onde venire a riprendervelo. Le spadine ad aghi di capo
disposti a cerchio sulle pietre le disposi io, estraendoli dal capo della morta, il che mi
dava pure un gran diletto; - le vesti, le viscere le esportai perché godeva nel fiutarle e
palparle. La forza che mi veniva in quei momenti d’immenso piacere, era così grande,
che io sarei stato capace di sollevare una casa – e nessuno avrebbe potuto resistermi. Anche la Pagnoncelli io non la strozzai colla corda (??) ma colle mani; colla corda io
non feci che strascinare su e giù per la melica il cadavere con gran piacere. - Al
confessor del mio paese io raccontai il primo caso (di tentativi colla cugina) egli me ne
redarguì e proibì di ripetere altri tentativi - io non raccontai più gli altri fatti al prete
perché avrei temuto che lui denunciasse; gli raccontai, invece, di furti d’erbe e frutta, di
cui molte volte mi resi colpevole - nol dissi alla madre, ma questa finì per accorgersene
dopo che osservò che ad ogni omicidio e tentativo la mia camicia era intrisa di sperma.
Io non l’accennai all’Assise né lo dissi all’avvocato difensore perché vedendo tutto il
popolo così acceso contro di me, credevo che lo avrei irritato ancor più contro di me, si
che avrebbe finito per ammazzarmi - l’ho detto ad un solo condetenuto (assassino D...) e
questi mi consigliò di tacere. - Agnoletti lei lo dico perché capisco che mi vuol bene.
- Matto non lo sono, ma quando ero a casa mia, taceva sempre; però in quei momenti
dello strozzamento io non vedea più niente - perciò non capisco perché mettessi i tre
aghi alla Pagnoncelli nella schiena, né io mi accorsi delle due donne che dissero avermi
intravveduto chino sopra la Motta, - dopo eseguiti quei fatti io provava un gran
soddisfazione, mi sentiva più bene. Non ho rimorsi. Fino un certo punto, e me lo disse il
confessore delle carceri, è però meglio che io sia in carcere e ci resti, perché se fossi
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fuori tanto era quel piacere che io non potrei fare a meno di procurarmene, e uccider
altre donne.
- Io non ho mai pensato a toccare o indagare le parti sessuali, o analoghe, ma solo mi
limitava a stringerle al collo - ed a succiarne il sangue; ignora ancora come viene
conformata la donna; - durante o dopo lo strozzamento però io mi stringeva attorno a
tutto il corpo senza badare ad una più che ad un’altra loro parte.”
Qui mi studiai ad indagare per qual modo avesse trasceso a tali atroci libidini; - egli mi
disse che nessuno ebbe ad accennargliene o ad introdurvelo; che però da 12 anni in su
(all’iniziarsi della pubertà) avvertì che mentre strangolava i polli provava un gran
piacere, sicché molte volte ne faceva degli strazi, dando poi ad intendere ai suoi che la
faina era penetrata nel pollaio e li aveva uccisi; colle due amanti non provò il piacere
che provò colle vittime, né mai pensò di saltar loro al collo, si contentava di vederle senza stringer loro la mano. Per ora non mi dilungherò in queste straordinarie
rilevazioni. Sulla veracità loro completa nasce un dubbio per l’asserzione del rasoio che
difficilmente poté produrre i guasti che si videro nella Motta spaccata per metà anche
nella colonna vertebrale - ma ci aggiungono fede, almeno ad una parte di esse il fatto
che egli rivelandosi per la prima volta antropofoco, non poteva, certo, migliorare la sua
situazione davanti alla legge; più, nel confessore del suo paese, nel condetenuto D..., nel
fatto dei polli uccisi nascono gli amminicoli per verificare le sue asserzioni; vi aggiunge
credibilità l’analogia coi fenomeni asserti dal Legier e dal Bertrand, i quali avevano,
veramente preferenza pei visceri e pel sangue delle loro vittime - analogie che ignora il
Verzeni e che se anche conoscesse non potrebbe credere potessero giovare. Quello che
vi è di straordinario in questo caso, e che giustifica fino ad un certo punto, la tendenza
ed anche la perizia mia è la perfetta lucidità di mente dell’accusato, la sua tenacia a
nascondere anche al confessore il delitto fin dopo emanata la sentenza; la coscienza,
quindi della sua gravità - ma nello stesso tempo -l’irresistibilità dell’atto. - Se il
racconto una volta che fosse accertato, non riuscirebbe a cancellare del tutto la sua
responsabilità, certo gioverebbe a diminuirla notevolmente, e non solo dopo l’atto, ma
anche prima di esso, perché rientrerebbe in quei cinque o sei casi che si possiedono
nella scienza di necrofilomania o pazzia per amori mostruosi o sanguinari - e sarebbe un
esempio di più della necessità dei manicomi criminali in cui collocare questi esseri, in
cui non esiste più quasi una linea di confine fra il delitto e la pazzia.
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5.15 Confessione fatta dal Verzeni in carcere al prof. Lombroso
Al processo il Verzeni negò sempre di essere l’autore degli atroci delitti a lui attribuiti, e
fu solo in carcere, dopo la condanna, che ammise le sue responsabilità rilasciando una
confessione a Cesare Lombroso.
[…]“ Sì…, sì…, è vero, sono io l’autore di tutti i delitti pei quali sono stato condannato,
sono io, che ho uccise tutte quelle donne , e se non l’ho confessato nella sala d’udienza,
al cospetto del Presidente e dei Giudici, è stato soltanto perché aveva troppa paura di
essere sbranato dal popolo, che già mi guardava rumoreggiando e fremendo.
Io era di carattere taciturno e nessuno mi ha mai visto abbandonarmi a quelle scappate
tanto facili alla gioventù. I miei istinti sensuali si svilupparono in modo più brutale. Io
ottengo la maggiore soddisfazione del senso, non già usando carnalmente con le donne,
ma fiutandone le vesti e stringendo loro il collo con le mani.
La prima mia vittima, la Giovannina Motta, fu da me costretta a svestirsi; ed a mano a
mano ne fiutavo le vesti, mentre le deponeva; dopo le recinsi il collo con le mani, la
strinsi adagio adagio dapprima, raddoppiai quindi le forze, finchè l’ebbi soffocata. Però
non la derubai punto; brancicai avidamente il suo ignudo cadavere, poi coi denti la
morsi alle coscie, producendo quei segni, che lì per lì, avevano giudicate morsicature,
ed essendo coi denti riuscito a fare una piccola ferita, ed avendo gustato il sangue caldo,
ne provai tale piacere che tornai a ripetere i morsi e il succhiamento in altri luoghi. Indi
presi il rasoio e la tagliai a pezzi, e non ancor sazio di sangue, afferrai il polpaccio e mi
posi a succhiarlo e a lacerarlo coi denti, come farebbe un assetato ad una fetta di
cocomero.
In questa ebbrezza, ho provato il diletto maggiore che possa mai dirsi, anzi aveva
pensato di portare a casa quel polpaccio per succhiarmelo ancora un’altra volta e
rinnovare l’ebbrezza; ma il timore di essere scoperto mi distolse dal farlo. Però lo
nascosi in una capanna sotto la paglia nella speranza di poterlo ritrovare il giorno dopo,
cosa che non avvenne, perché la giustizia scoprì tutte le membra della fanciulla.
Delle altre vittime ho fatto quasi sempre lo stesso!”6.
6
Libro anonimo, Vincenzo Verzeni strangolatore di donne, Tipografia Salani, Firenze, 1889.
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Stampa raffigurante Lombroso che raccoglie la confessione del Verzeni in carcere.
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CAPITOLO 6
PROFILO PSICOLOGICO DI VINCENZO VERZENI
6.1 L’offender profiling
Con il termine“offender profiling” si intende il “processo di inferenza delle
caratteristiche di personalità e socio demografiche di un autore di un reato”.
Per l’agente dell’FBI John Douglas, l’offender profiling consiste nell’identificazione
delle caratteristiche di comportamento e personalità dell’offender, basata sull’analisi
delle peculiarità del crimine da egli commesso.
Assunto fondamentale del Criminal Profiling per John Douglas è che “Il
comportamento sulla scena del crimine riflette la personalità”.
John Douglas
Fondamentale, per la stesura di un profilo criminale, è l’analisi minuziosa della scena
del crimine, e dei seguenti dati:
a) elementi riguardanti la scena del crimine: dati spaziali e temporali dell’evento, zona
in cui è stato rinvenuto il corpo della vittima (città, periferia, zona residenziale, o
agricola), luogo di rinvenimento (abitazione, parco, strada isolata, albergo);
b) informazioni che riguardano la vittima (analisi vittimologica): dati anagrafici, stile di
vita connotati fisici della vittima ed origine etnica, descrizione del cadavere e degli
indumenti appartenenti alla vittima, mezzi di costrizione (corde, manette, catene,
ecc…), eventuali violenze sessuali subire ante o post mortem, causa del decesso,
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eventuali mutilazioni del corpo o asportazione degli organi sessuali, eventuali segni di
overkilling sulla vittima;
c) caratteristiche delle lesioni e loro localizzazione;
d) mezzi lesivi utilizzati (che tipo di arma è stata utilizzata, dove è stata rinvenuta, ecc.);
e) descrizione dei reperti (analisi chimica, biologica, balistica, merceologica, ecc…);
f )caratteristiche dei veicoli eventualmente coinvolti nell’evento.
Dall’analisi dettagliata di tutti questi elementi è quindi possibile risalire alle
caratteristiche dell’offender.
Un elemento fondamentale del profiling è il cosiddetto case linkage, ovvero il
procedimento attraverso il quale possiamo stabilire legami tra delitti che mostrano le
stesse caratteristiche, anche se commessi a distanza di tempo gli uni dagli altri e se le
scene del crimine sono collocate a notevole distanza spaziale le une dalle altre.
6.2 Il profilo psicologico: il modello dell’FBI
Il profilo psicologico può essere definito come “l’analisi delle principali caratteristiche
comportamentali e di personalità di un individuo, ottenibili dall’analisi dei crimini che
il soggetto stesso ha commesso”. Le tracce presenti sulla scena del crimine riflettono
infatti la personalità dell’assassino, che sovente agisce secondo una logica interiore
spesso inconscia e profondamente radicata nella sua personalità.
R.M. Holmes (1996) propone l’utilizzo di un profilo di tipo “socio-psicologico”, il
quale non considera unicamente le caratteristiche personologiche del reo, ma include
anche altri dati, quali informazioni sociodemografiche come età, razza, sesso,
occupazione, istruzione e simili.
Il procedimento usato dal Federal Boureau of Investigation (FBI) per tracciare il
“profilo psicologico”dell’aggressore consiste in sei fasi:
1) Fase degli input : in questa fase vengono raccolte tutte le informazioni legate alla
scena del crimine. Successivamente si effettua un’analisi vittimologica, catalogando
ogni tipo di informazione relativa alla persona offesa/uccisa (occupazione, status
sociale, abitudini di vita, amicizie, eventuali relazioni in corso). L’ultimo passo di
questa fase consiste nella raccolta delle informazioni scaturite dall’analisi medico-legale
e dalla visione del materiale fotografico.
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2) Fase del decision making: consiste nella organizzazione e nella classificazione dei
dati raccolti nella fase precedente.
Nella fase del decision making si cerca di dare una spiegazione razionale al movente,
ossia all’intento primario di colui che ha posto in essere l’azione delittuosa. In seguito si
valutano il potenziale grado di escalation del comportamento violento del criminale,
ponendo particolare attenzione anche ai luoghi in cui si sono consumate le aggressioni,
al fine di valutare il grado di mobilità del criminale.
3) Fase di valutazione globale dell’evento delittuoso: in questa fase viene delineato il
tipo di personalità del criminale (soggetto organizzato/disorganizzato) e viene operata
una ricostruzione della dinamica del delitto; si valuta anche la possibile esistenza di
procedure di staging (depistaggio) da parte dell’aggressore. Viene inoltre operata una
classificazione dell’evento delittuoso sulla base del Crime Classification Manual
(C.C.M.), il sistema standardizzato di classificazione e valutazione messo a punto
dall’FBI.
4) Fase di stesura del profilo criminale: qui vengono elencate le caratteristiche sociodemografiche, fisiche e comportamentali, nonché le possibili abitudini di vita ed
occupazione del sospetto.
5) Fase dell’investigazione: basandosi sul profilo stilato, la polizia orienta l’indagine
investigativa.
6) Fase della cattura: quest’ultima fase consiste nell’individuazione e nella cattura
dell’autore del reato. Si passa poi al confronto del profilo stilato con le caratteristiche
reali del reo, al fine di correggere, perfezionare e valutare ulteriori elementi
investigativi.
Nei crimini seriali è di fondamentale importanza stilare anche un profilo geografico, al
fine di delimitare un’area geografica quale probabile luogo di residenza del serial killer,
il profilo geografico appare di fondamentale importanza anche nel case linkage, ovvero
nell’attività di collegamento fra crimini reputati opera dello stesso offender.
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6.3 Modus operandi e signature
Dall’analisi della scena del delitto si possono ricavare una moltitudine di indizi
riguardanti la personalità del reo.
Di estrema importanza è senza dubbio l’analisi dei due seguenti aspetti:
1) il modus operandi (MO), ovvero la modalità attraverso la quale il serial killer mette
in atto l’azione criminale; esso non è stabile nel tempo, ma può affinarsi con la
reiterazione del crimine. Può altresì involgere a causa del peggioramento delle
condizioni mentali del serial killer ed all’eventuale consumo da parte dello stesso di
droghe ed alcool. L’individuazione e l’analisi del modus operandi rivestono importanza
fondamentale nel collegamento fra casi di omicidi eseguiti con modalità analoghe,
denominato case linkage.
2) la firma, rappresentata dai comportamenti gratuiti, non funzionali al compimento
dell’atto delittuoso. Essa, a differenza del modus operandi, che tende a restare uguale e
raramente ad evolversi, rimane la stessa in tutta la serie omicidaria ed è carica di
significati simbolici molto utili al fine di trarre indizi sulla personalità dell’omicida e di
collegare delitti diversi alla mano omicida di un unico individuo ( case linkage ).
Essa rappresenta l’espressione di un bisogno psicologico del criminale e, proprio nella
firma spesso si rinvengono elementi utili a delineare le caratteristiche psicologiche
dell’omicida.
Sovente, è molto difficile distinguere la firma dal modus operandi, a causa della sottile
differenza che li separa.
Lo studioso Brent Turvey, distingue tra:
-
signature behaviors, ovvero quelle azioni compiute da un criminale che non si
rendono necessarie alla realizzazione della condotta criminosa;
-
signature aspects, ovvero i bisogni di tipo emozionale o psicologico che
l’assassino soddisfa attraverso la commissione dell’azione criminosa.
È molto importante poter valutare il comportamento ritualistico dell'autore del crimine
sulla scena del delitto; il comportamento ritualistico discende comunque dall’ apparente
irrazionalità del pensiero dell'autore, il quale tuttavia possedendo una propria logica
interiore tenderà ad essere ripetuto.
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6.4 Infanzia ed adolescenza di Vincenzo Verzeni
Poniamo ora attenzione su quello che è riconosciuto come il periodo più delicato nella
formazione della personalità di ogni individuo: l’infanzia.
Dalle testimonianze fornite nel corso del processo, è emerso da più testi, fra i quali
Ravasio Luigi, suo maestro di scuola, che pur avendo frequentato la scuola per quattro
anni, Vincenzo Verzeni non imparò mai a leggere né a scrivere. Il ragazzo si recava a
scuola molto poco, più in inverno che in primavera, ed a detta del maestro era “un poco
corto”; fanciullo docile e timido, ai castighi il piccolo Verzeni arrossiva in viso, ma non
reagiva mai.
Sempre dal Ravasio apprendiamo che il piccolo Vincenzo veniva picchiato spesso dal
padre. Era credenza diffusa che i genitori gli dessero poco da mangiare e si pensava che
zoppicasse perché i suoi lo costringevano ad andare a raccogliere il letame per le strade
portando con la sinistra una cesta pesante e con la destra il badile.
Dalla stessa fonte si apprende che la famiglia era avara all’eccesso e che per risparmiare
al fine di comprare altri terreni era disposta a compiere ogni genere di sacrifici.
Foto che ritrae Vincenzo Verzeni fanciullo
Nel Rapporto stilato dal Sindaco di Bottanuco, letto all’udienza del 29 Marzo 1873, si
viene a conoscenza del fatto che il giovane Verzeni era stato esentato dal servizio
militare a causa del difetto alla gamba destra.
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Al processo, l’assessore Locatelli Giuseppe affermò che i genitori del Verzeni dicevano
che il Verzeni da bambino era così sensibile da non poter vedere tirare il collo ad una
gallina. Affermò inoltre che era il sistema dei Verzeni non lasciare prendere moglie che
ad uno solo della famiglia per avarizia.
Nonostante lavorasse sodo nei poderi della sua famiglia, il padre non dava al Verzeni
che qualche spicciolo, motivo per cui egli si dedicava all’allevamento dei colombi,
attività con la quale guadagnava quattro o cinque soldi al mese.
Mancini Paolo, amico del Verzeni, affermò che il giovane Vincenzo a volte non andava
a messa; riferì inoltre di aver saputo dal Verzeni che i suoi non lo facevano sposare e
che gli zii a volte lo picchiavano, lasciandolo anche senza cibo e senza soldi.
6.5 Rapporti con le fidanzate
In sede processuale, il Verzeni affermò di non aver mai intrattenuto relazioni illecite con
le donne e di non aver mai fatto quelle cose, ovvero di non aver mai avuto relazioni
carnali con le fidanzate.
Al processo vennero interrogate quattro donne che intrattennero brevi relazioni
sentimentali con il Verzeni. Esse sono, in ordine cronologico:
-
Carolina Marchesi, 23 anni, nubile, contadina di Bottanuco. Il Verzeni voleva
sposarla, ma la lasciò poiché i suoi familiari non volevano che il giovane si
sposasse e che entrassero altre donne in famiglia. La giovane disse di non aver
mai riscontrato comportamenti violenti da parte dell’ex fidanzato e di non
avere mai notato delle stranezze nella di lui persona. La giovane non ricorda
se il giorno in cui fu uccisa la Motta lui andò a trovarla o meno.
-
Angela Tasca, 23 anni, di Suisio, contadina, nubile. Essa fu fidanzata del
Verzeni dal giorno dell’Assunta del 1871, cioè 12 giorni prima dell’assassinio
di Elisabetta Pagnoncelli. Il Verzeni le disse di volerla sposare. Il giorno in cui
la Pagnoncelli fu uccisa, lui mancò all’appuntamento dato alla giovane,
recandosi a trovarla solo la domenica dopo. La Tasca esclude nel Verzeni ogni
dimostrazione di carattere strano o perverso.
-
Teresa Tasca, di Suisio: il Verzeni le disse di volerla sposare. Ciò accadde
contemporaneamente all’ omicidio della Pagnoncelli.
-
Anna Maria Previstali, di anni 19: fu fidanzata del Verzeni e lui le chiese di
sposarla dopo l’omicidio della Pagnoncelli. Al rifiuto della ragazza, il
Verzeni, offeso, non le rivolse più la parola.
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6.6 Giudizi sullo stato mentale del Verzeni
In sede processuale, Vincenzo Verzeni affermò di soffrire di intercorrenti dolori di testa,
i quali tuttavia passavano senza che assumesse alcun farmaco; ciò è confermato dalla
testimonianza del suo ex compagno di cella, Polli Davide, il quale trascorse con lui tre
mesi di reclusione.
I Dott. Girolamo Previtali e Federico Alborghetti non riscontrarono nel Verzeni alcun
tipo di anomalia, né nel fisico né nel morale.
I medici periti convocati dal Procuratore Generale Ferrari, i dott. Manzini Giovanni
Battista, Fornasini Luigi e Perolio Carlo, non lo ritennero pazzo né affetto da alcuna
forma di monomania, e per questo motivo si pronunciarono circa l’imputabilità.
Secondo il Dott. Manzini, direttore del Manicomio di Brescia, che lo osservò per un
periodo di sei mesi al fine di stilarne un giudizio sullo stato mentale, a parte lo
strabismo ed un’incurvatura leggera all’indietro della gamba destra, postuma ad osteite
o ad affezione flemmunosa patita in età infantile, il Verzeni era di costituzione sana e
robusta.
Il Verzeni non venne pertanto ritenuto affetto da disturbi che ne pregiudicassero la
capacità di intendere e volere, poiché non dimostrava alcuna disposizione ereditaria alla
pazzia.
6.7 Anamnesi familiare
Dai resoconti del dibattimento si evince che, la famiglia di Vincenzo Verzeni era
composta dai genitori e da quattro fratelli nubili e tutti più vecchi di lui ed avvocati.
Nessuno fu mai affetto da alcuna malattia e tutti all’epoca dei fatti godevano di buona
salute; nonni e nonne morirono di morte naturale ed in età assai inoltrata.
Tuttavia il Verzeni al processo affermò che la madre soffriva spesso le convulsioni e
che talvolta “[…] cadeva a terra come morta”.
La versione del Verzeni circa lo stato di salute della propria madre, non venne tuttavia
confermata dalla zia, madre di Marianna Verzeni, la quale affermò che i genitori
dell’uomo erano ambedue sani, e principalmente la madre.
Lombroso riscontrò tracce di cretinismo in due dei suoi zii.
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6.8 Comportamento del Verzeni al processo
Vincenzo Verzeni in sede processuale negò sempre di essere l’autore dei fatti dei quali
era imputato. Con assoluta freddezza e distacco emotivo, talvolta lasciando trasparire
sul suo volto un’espressione di ilarità, rispose alle domande a lui rivolte dal P.M.,
cercando di fornire un’ impressione il più positiva possibile della propria persona,
dichiarandosi profondamente religioso ed osservante delle leggi. Si descrisse come u
grande lavoratore, ed asserì di dedicare tutte le festività alla partecipazione alle funzioni
religiose , talvolta seguendone persino tre in un’unica giornata.
Cercò altresì di apparire un figlio devoto, sostenendo di amare profondamente il padre,
sebbene sia emerso da numerose testimonianze che il genitore lo picchiasse spesso,
lasciandolo senza cibo e soldi, vietandogli persino di prendere moglie.
6.9 Comportamento del Verzeni in carcere
Vi sono prove evidenti che il Verzeni in carcere tentò di simulare disturbi mentali, nel
disperato tentativo di ottenere la non imputabilità, probabilmente consigliato dai propri
avvocati difensori; persino un guardiano delle Carceri Giudiziarie, Turla Francesco, lo
udì sussurrare al detenuto della cella di fronte “Vogliono farmi passare per matto”.
Un altro compagno di cella al processo affermò che il Verzeni per tre o quattro volte gli
aveva gettato il fazzoletto al collo dimostrando in ciò una certa bravura, di quella che
solo gli accalappiacani mostrano di possedere quando tentano di catturare i randagi. Il
Verzeni gli confessò addirittura che, per ridurre all’impotenza una donna, non esisteva
miglior mezzo che “prenderla per il collo”.
Inoltre, secondo la testimonianza del detenuto Polli Davide, il Verzeni subiva molto il
fascino femminile, e quando in carcere sentiva la voce di qualche donna, si arrampicava
sulle inferriate delle finestre pur di vederla passeggiare, incurante delle conseguenze che
ne sarebbero scaturite.
Il capo guardiano delle carceri giudiziarie Maroni Giuseppe, interrogato circa il
comportamento del Verzeni, al processo menzionò che in carcere un giorno il Verzeni
spartì a metà una coperta, dandone l’altra metà ad un altro detenuto con il proposito che
incolpassero quest’ultimo del fatto.
A detta di tutti i testimoni, in carcere il Verzeni non soffriva di particolari problemi di
salute, né di disturbi del sonno né dell’appetito, tuttavia quando veniva chiamato per
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andare dal giudice diventava ad un tratto pallido e tremante. Dopo i colloqui, tornava in
cella calmo e sereno come prima.
6.10 Profilo psicologico di Vincenzo Verzeni
Il Verzeni iniziò la propria carriera criminale alla giovanissima età di 18 anni: egli si
rese artefice di cinque aggressioni e due omicidi in un periodo di 4 anni, dal 1867 al
1871.
Da bambino il Verzeni non sopportava assistere a nessuna manifestazione di violenza,
rifiutandosi persino di vedere tirare il collo ad una gallina.
Tuttavia, con l’inizio della pubertà, e precisamente a partire dai 12 anni, qualcosa si
incrinò nella sua personalità: ad un tratto, avvertì che mentre strangolava i polli provava
un immenso piacere, sicchè a volte entrava nel pollaio ne uccideva una gran quantità,
dando ad intendere ai genitori che una faina fosse artefice della strage.
In adolescenza, iniziò anche a commettere diversi furti di verdure e frutta ed a dedicarsi
alla pratica della masturbazione compulsiva: il Verzeni si stava gradatamente avviando
verso il baratro che lo avrebbe condotto a diventare un sanguinario serial killer.
Analizzerò ora nel dettaglio gli elementi utili a delineare le principali caratteristiche di
personalità del Verzeni, a partire dal comportamento da egli tenuto sulla scena del
crimine.
Per ciò che riguarda il modus operandi, analizzando le aggressioni poste in essere dal
Verzeni, molte di esse furono messe in atto prevalentemente al mattino presto ed in
giorni festivi, quando cioè le compaesane uscivano presto di casa per recarsi alle
funzioni religiose; la scelta dei giorni di festa potrebbe essere stata compiuta dal
Verzeni perché in questo modo, probabilmente, avrebbe potuto giustificare la propria
assenza dalla casa dei genitori o dal lavoro nei campi, con la scusa di frequentare le
funzioni religiose presso la Chiesa parrocchiale.
Egli usava seguire le vittime, coglierle di sorpresa e abbrancarle per il collo.
Comportamenti quali l’asportazione delle viscere, le morsicature sulle cosce, nonché la
presenza sulla scena criminis di alcuni spilloni di quelli che le contadine dell’epoca
usavano per agghindarsi i capelli, possono invece classificarsi come aspetti della
signature (ovvero della firma).
Sulla base degli elementi emersi in sede processuale e di quelli presenti sulla scena del
crimine, a mio avviso, Vincenzo Verzeni può essere inserito nella categoria dei serial
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killer sadici sessuali, in quanto, sebbene affermi di non aver mai abusato carnalmente
delle sue vittime, lo scopo delle aggressioni si è rivelato esclusivamente di tipo sessuale.
Egli, infatti, come riportato anche nella sua confessione fatta al dr. Lombroso, aggrediva
le donne per via del piacere che gli provocava lo stringere loro forte il collo; solo in
questo modo, egli riusciva a raggiungere il massimo piacere sessuale.
Le prime aggressioni non sfociarono in omicidi solo perché il Verzeni raggiunse
l’orgasmo molto presto, e non fu quindi necessario ucciderle per raggiungere il proprio
scopo libidinoso.
A mio parere, Vincenzo Verzeni può essere inserito nella categoria dei serial killer
sadici sessuali, per tre motivazioni principali:
1) la scelta della modalità dello strangolamento, mezzo omicidiario tramite il quale il
serial killer può rallentare o accelerare il momento della morte della vittima,
sperimentando una sensazione di onnipotenza;
2) la presenza dei fenomeni di overkilling riscontrati sulle vittime, con ferite inferte a
corpo vivo ed ancora palpitante, come riscontrato dalle perizie mediche consegnate in
sede processuale;
3) l’utilizzo di un falcetto e di un rasoio per uccidere le vittime. L’uso di un arma da
taglio per compiere gli omicidi fa presupporre una forte componente sadica.
Generalmente, l'uso delle armi da punta e da taglio da parte degli omicidi seriali ha un
significato di sostituzione o rafforzamento della funzione del pene. Alcuni serial killer,
infatti, sono completamente impotenti, motivo per cui l'arma sostituisce in toto le
funzioni dell'organo sessuale e viene usata per la penetrazione simbolica del corpo;
diversi assassini seriali si accaniscono particolarmente sui seni e intorno alla regione
vaginale, nel tentativo inconscio di distruggere i simboli della femminilità, dai quali
sono spaventati.
Oltre al sadismo sessuale, il Verzeni era anche affetto dalle seguenti parafilie:
- feticismo, in quanto egli stesso confessò al prof. Lombroso di aver provato un grande
godimento nel fiutare le vesti delle donne uccise dopo averle fatte spogliare;
- vampirismo, poiché usava mordere le cosce delle vittime e squartarle al fine di
dissetarsi con il loro sangue;
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- antropofagia, elemento riscontrabile dall’asportazione del polpaccio della giovane
Giovanna Motta al fine di arrostirlo in un secondo momento, proposito non portato a
compimento per il precoce ritrovamento dello stesso all’interno del tabiotto.
Il Verzeni non aveva una tipologia di precisa di vittime: esse, infatti, considerando tutte
le vittime di aggressioni ed omicidi, erano di età anagrafica alquanto diversa fra loro
(dai 12 anni ai 35) e fisicamente molto diverse.
Due di loro, Marianna Verzeni e Maria Previtali, erano addirittura sue cugine, ed altre
erano sposate, cosa più che scandalosa per una religiosissima Italia post-unitaria, ma
egli non se ne curò affatto.
Punto chiave della vicenda, che a mio parere potrebbe aiutarci a comprendere meglio il
Verzeni, dovrebbe essere considerato questo brano tratto dalla confessione fatta a
Cesare Lombroso:
“[…] Matto non lo sono, ma quando ero a casa mia, taceva sempre; però in quei
momenti dello strozzamento io non vedea più niente - perciò non capisco perché
mettessi i tre aghi alla Pagnoncelli nella schiena, né io mi accorsi delle due donne che
dissero avermi intravveduto chino sopra la Motta, - dopo eseguiti quei fatti io provava
un gran soddisfazione, mi sentiva più bene. Non ho rimorsi. Fino un certo punto, e me
lo disse il confessore delle carceri, è però meglio che io sia in carcere e ci resti, perché
se fossi fuori tanto era quel piacere che io non potrei fare a meno di procurarmene, e
uccider altre donne”.
Tutti gli elementi fino ad ora considerati, mi hanno condotto ad inserire il Verzeni nella
tipologia definita mixed: egli infatti possiede caratteristiche sia del serial killer di tipo
organizzato, che di tipo disorganizzato.
Concordo quindi con il giudizio espresso dal Lombroso in sede di perizia, ovvero che il
Verzeni non fosse sempre nel dominio della sua volontà, ovvero che esso fosse
responsabile nel principio dell’atto, meno responsabile nel delirio dell’atto.
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6.11 Conclusioni
Tramite la stesura della presente dissertazione ho inteso fornire al lettore una
panoramica dell’omicidio seriale, prendendo come punto di riferimento Vincenzo
Verzeni, primo serial killer italiano del quale si abbiano notizie esaustive.
La mia scelta è ricaduta su questo personaggio poiché egli racchiude nella propria
personalità gran parte delle caratteristiche che contraddistinguono gli assassini seriali:
sadismo, feticismo, cannibalismo, vampirismo.
Vincenzo Verzeni è stato uno dei più efferati serial killer italiani, e bisogna perciò
ammettere che, trovare tutte queste caratteristiche in un serial killer ottocentesco è un
evento che ha dell’eccezionale, specialmente nella nostra penisola, nella quale
fortunatamente il fenomeno dell’omicidio seriale è assai poco diffuso.
Tramite il mio elaborato, ho inoltre operato una ricostruzione storica delle vicende del
Verzeni, sul quale talvolta sono state scritte delle notizie non corrispondenti alla realtà.
Analizzando le gesta del Verzeni, e la sua storia di vita, ho cercato di comprendere cosa
possa accadere nella mente di un individuo per portarlo a compiere gesta tanto efferate:
penso che, alla luce degli studi attuali, non sia ancora possibile dare una risposta certa a
questo interrogativo.
E’ vero che i traumi e le deprivazione affettive subite durante l’infanzia possono portare
terribili conseguenze nello sviluppo morale degli individui, ma è altrettanto vero che
pochissimi di coloro che sono stati vittime di violenze ed abusi durante l’infanzia
diventano poi serial killer.
Per questo motivo, mi sento di concordare con lo psichiatra americano Simon, il quale
afferma nel suo best seller “I buoni lo sognano, i cattivi lo fanno”:“[…] Nessuno è
totalmente buono o totalmente cattivo. In ciascuno di noi i due lati si combinano in
proporzioni diverse. Una situazione imprevista può dare all’uno o all’altro l’occasione
di prevalere. […] Pochi uomini buoni hanno fantasie sadiche intense, compulsive ed
elaborate come quelle di uomini cattivi come i serial killer sessuali, ma tutti abbiamo in
noi un po’ di quell’odio, di quell’aggressività e di quel sadismo. Chiunque può
diventare violento, o addirittura essere pronto ad uccidere, in determinate situazioni”.
A mio parere, la risposta andrebbe ricercata nel lato oscuro che alberga in ognuno di
noi, in quel luogo sede di pulsioni primitive che non tutti gli individui riescono a
dominare, e che talvolta può prendere il sopravvento trasformando taluni in spietate
macchine di morte.
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Tondi M., Classificazioni in ambito di serial killer. Motivazioni e dinamiche
comportamentali, in www.aipgitalia.org/Tesinemaste4.htm
Siti Internet consultati
www.criminologia.org
www.crimine.it
www.criminiseriali.it
www.latelanera.com
www.serialkiller.it
www.omicidiseriali.it
www.thrillermagazine.it
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