1° - 2014/15 Don Franco Mosconi Lettura sapienziale del VANGELO

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1° - 2014/15 Don Franco Mosconi Lettura sapienziale del VANGELO
1° - 2014/15
Don Franco Mosconi
Lettura sapienziale
del
VANGELO DI MATTEO
NECESSITÀ DELLA SCRITTURA PER
L’EDIFICAZIONE DELL’ESISTENZA CRISTIANA
IL CUORE NUOVO (MT 5,17-48)
PRIMA PARTE
______________________________________________________
Affi – Villa Elena, 18 ottobre 2014
Don Franco Mosconi
Come sempre iniziamo con la preghiera. Dato che oggi è la festa dell’Evangelista Luca faremo un
canto che richiami anche i Santi.
Padre misericordioso,
noi ti ringraziamo
per averci riuniti alla tua presenza
per mostrarci il tuo amore
e poterci così abbandonare in te.
Fa tacere in noi, in questo momento,
tutte quelle voci che ci portano lontano dalla tua.
E per timore di esserci accostati alla tua Parola,
sentita, senza essere accolta,
ascoltata, senza essere vissuta,
apri per mezzo del tuo Spirito Santo
il nostro cuore alla tua verità
che ci rende liberi.
Nel nome di Cristo Gesù
tuo Figlio e nostro Signore.
Amen.
Benvenuti a tutti.
Ringrazio per la fedeltà. Ormai sono una ventina d’anni che si svolgono questi incontri e diverse
persone, che negli anni scorsi hanno partecipato, ora ci guardano dall’alto, dal Paradiso, e ci spronano a
proseguire nell’ascolto della Parola del Signore; soprattutto a crescere nell’amore per il Signore.
Oggi, nella prima parte, ho sentito il bisogno di iniziare richiamando al senso della verità. Che cos’è
veramente la Lectio divina? Non solo, ma accenno brevemente anche a che cos’è l’esegesi.
È un po’ una piccola lezione per capire come accostarci in sincerità e in verità. Tocco anche alcuni
documenti ufficiali della Chiesa.
E poi proseguiremo con il Vangelo di Matteo riprendendo alcuni testi che avevamo tralasciato,
perché dopo “le Beatitudini”, cap. 5°, abbiamo letto il cap. 6° che era il “Padre nostro”; però nel mezzo ci
sono molti altri versetti, molte altre realtà importanti che recupereremo stamattina.
Mi permetto di chiedere preghiere, e non soltanto per il Sinodo che è importantissimo. Stamattina,
via web, ho visto alcuni titoli, forse un po’ esagerati; uno diceva: “il Papa nella bufera”. Non penso, c’è
sempre lo Spirito Santo. Certo c’è discussione e opinioni diverse tra i vari Cardinali e periti in questo Sinodo.
Mi devo recare nelle prossime settimane in vari luoghi per predicare gli Esercizi, quindi ho davanti
un periodo intenso: spero che la salute regga, ma, soprattutto, chiedo a voi molta preghiera.
Ecco il titolo:
“NECESSITÀ DELLA SCRITTURA
PER L’EDIFICAZIONE DELL’ESISTENZA CRISTIANA”
Oltre che per la conoscenza delle Scritture credo sia utile per la formazione esistenziale del cristiano
la necessità della parola di Dio. Già il buon Paolo a Timoteo dice: «Completo e ben equipaggiato per le
opere buone». La conoscenza della Scrittura è necessaria per l’equipaggiamento, per vivere bene anche le
opere buone; quindi è la Scrittura stessa che afferma la necessità di essere equipaggiati.
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Che la Scrittura sia il libro destinato al popolo cristiano, a tutti i battezzati, non riservato a un
gruppo particolare, è stato più volte ripetuto dai Padri della Chiesa:
Diceva San Cipriano: “Nella Scrittura il Signore parla a tutti quelli che sono nella sua Chiesa”.
Ancora Cipriano: “Il Verbo di Dio venne per tutti e raccolse insieme senza distinzione colti e incolti di ogni
sesso, età, e a tutti diede i precetti di salvezza”.
Agostino: “Ecco, fratelli, nelle vostre mani le Scritture di Dio”.
Che, dunque, l’accesso alle Scritture e la loro fruizione da parte dei credenti siano necessarie è stato
sostenuto con vigore soprattutto dalla “DEI VERBUM” (Vaticano II):
É necessario che i fedeli abbiano largo accesso alla sacra Scrittura. (cap.6,22).
Il santo Concilio esorta tutti i fedeli ad apprendere «la sublime scienza di Gesù Cristo» con la frequente
lettura delle divine Scritture. (cap.6,25).
La motivazione di fondo della necessità delle Scritture è chiara, come diceva il buon Girolamo:
“L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo”.
Leggo soltanto brevemente anche il numero 174 dell’ ”EVANGELII GAUDIUM” che già l’anno scorso
raccomandavo a tutti. Cosa dice?:
Non solamente l’omelia deve alimentarsi della Parola di Dio. Tutta l’evangelizzazione è fondata su di
essa, ascoltata, meditata, vissuta, celebrata e testimoniata.
La Sacra Scrittura è fonte della evangelizzazione. Pertanto, bisogna formarsi continuamente all’ascolto
della Parola. La Chiesa non evangelizza se non si lascia continuamente evangelizzare.
È indispensabile che la Parola di Dio «diventi sempre più il cuore di ogni attività ecclesiale». La Parola di
Dio ascoltata e celebrata, soprattutto nell’Eucaristia, alimenta e rafforza interiormente i cristiani e li
rende capaci di un’autentica testimonianza evangelica nella vita quotidiana.
Lo studio della Sacra Scrittura dev’essere una porta aperta a tutti i credenti. É fondamentale che la Parola
rivelata fecondi radicalmente la catechesi e tutti gli sforzi per trasmettere la fede. L’evangelizzazione
richiede la familiarità con la Parola di Dio e questo esige che le diocesi, le parrocchie e tutte le
aggregazioni cattoliche propongano uno studio serio e perseverante della Bibbia, come pure ne
promuovano la lettura orante personale e comunitaria.
E poi accenna anche alla Lectio divina.
Questa introduzione mi serve per quando toccheremo proprio il senso della Lectio divina,
preceduta brevemente da un accenno all'esegesi.
Allora, se è vero che le Scritture fondano la fede cristiana stessa, la quale nasce dall’ascolto (Lettera
ai Romani: la fede nasce dall’ascolto) e l’ascolto riguarda la parola di Dio; se è vero che le Scritture
strutturano la nostra liturgia; se è vero che nutrono, regolano la predicazione, e che sono anche l’anima
della teologia, occorre riconoscere che il loro utilizzo, per la concreta esistenza cristiana, incontra ancora
numerose difficoltà, ostacoli e resistenze.
Sappiamo bene che anche dopo il rinnovamento conciliare, dopo gli entusiasmi iniziali e il metodo
di riuscite esperienze di pastorale biblica in diverse diocesi, ora, tra l’affermazione della necessità della
Scrittura per l’edificazione dell’esistenza cristiana e la sua concreta attuazione, resta ancora un grande
abisso. Ecco perché propongo una riflessione che cerchi di sfuggire la retorica, ma declini realisticamente
questa necessità della Scrittura.
Accenno cos’è il “Realismo” biblico.
1) - Il “Realismo” biblico
Non la Scrittura è necessaria alla vita cristiana, ma la parola di Dio. C’è un po’ di distinzione: non la
Bibbia, ma Gesù Cristo. E, tuttavia, Gesù lo conosciamo attraverso i Vangeli, e la parola di Dio la riceviamo,
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in particolare, dalle Scritture lette e interpretate nello Spirito Santo. Non c’è atto sacramentale senza la
Parola di Dio.
Credo dunque che la Scrittura sia necessaria al fine di costruire una vita cristiana sana, nutrendola e
sostenendola alla sorgente pura e perenne della vita spirituale (DEI VERBUM 21), cioè la Parola di Dio.
Dalla frequentazione delle Scritture, dalla assimilazione del loro spirito che è lo Spirito stesso di Dio,
nasce una vita cristiana non asservita al devozionalismo, non sedotta dal miracolismo o dall’
apparizionismo, non ridotta al moralismo, ma attenta a discernere la presenza di Dio nella storia e
nell’umano.
Con questo non dico che le devozioni sono un male, assolutamente no; però, quando uno ha colto
nella Parola il senso vero, il contenuto, allora può usare delle pie pratiche. La Lectio divina non è una pia
pratica.
Dobbiamo tuttavia chiederci: quale Scrittura?
2) - Quale Scrittura?
La domanda non è maldestra o inadeguata, ma realistica. Se sono importanti le Scritture nel loro
insieme, certamente lo è il Vecchio Testamento nel suo legame con il Nuovo, poiché la Scrittura tutta
conduce a Cristo.
Ricordate quando Gesù con i discepoli di Emmaus, dice: «e cominciando dai Salmi, Mosè e i
profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» (Lc 24,27).
Tuttavia per la vita cristiana di noi che forse non abbiamo particolari competenze bibliche o
esegetiche, occorre suggerire soprattutto il primato dei Vangeli.
Come ricorda il Concilio:
A nessuno sfugge che tra tutte le Scritture, anche quelle del Nuovo Testamento, i Vangeli meritatamente
eccellono, in quanto sono la principale testimonianza relativa alla vita e alla dottrina del Verbo
incarnato, nostro Salvatore (DEI VERBUM 18).
Quindi i Vangeli donano la conoscenza di Gesù e plasmano il discernimento di ciò che è conforme al
suo volere. Per cui: come riconoscere nella storia e nel quotidiano ciò che è evangelico e ciò che non lo è, se
non mediante una frequentazione assidua dei Vangeli fino ad assimilarne lo spirito? Non a caso i Padri del
deserto imparavano i testi a memoria, perché poi durante il giorno li ruminavano.
Il “come” le Scritture?
3) - “Come” le Scritture?
L’ascesi che le Scritture chiedono al cristiano è quella dell’ascolto.
Leggere le Scritture significa attivare la capacità di ascolto; scavare uno spazio in sé per accogliere
il messaggio, la Presenza, che ci vengono da esse. Così la lettura biblica diventa un esercizio di dialogo,
forma essenziale di preghiera.
Un approccio esistenziale alle Scritture, in particolare ai Vangeli, richiede poi che esse siano accolte
come uno specchio. Molti Padri della Chiesa parlano delle Scritture come uno specchio. Dice San Basilio:
“Impara dalla Scrittura, la Scrittura sia lo specchio del tuo volto”.
E l’idea dello specchio non significa certo che nella Bibbia vediamo solo noi stessi, ma che vediamo
come siamo e come potremmo diventare. Quindi l’idea patristica della Bibbia come specchio è finalizzata a
una “lettura trasformativa delle Scritture”.
Gregorio Magno nel commento a Giobbe sottolinea molto questo “specchio”: “La Parola di Dio è
come uno specchio della nostra vita”.
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Quindi una lettura personale o comunitaria, mentre la leggiamo, essa ci legge; mentre
interpretiamo il testo, il testo interpreta noi; mentre esaminiamo il testo, scopriamo che il testo ci riguarda;
e scopriamo che la nostra esistenza esistenziale diventa criterio per una migliore intelligenza della Scrittura,
che parla della vita e alla vita.
Ricordiamo la famosa espressione di Gregorio Magno che dice: “La parola cresce con colui che la
legge”. Più approfondisci, più si dilata in te la capacità di conoscenza.
4) - Che cosa nelle Scritture?
Certo il centro delle Scritture è Cristo, ed è di Cristo che danno testimonianza i Vangeli. E credo che
per porre le basi di un’esistenza cristiana sia essenziale cercare, discernere, mettere a fuoco questa pratica
della ricerca dell’umanità di Gesù attestata dai Vangeli, per assumerla come bussola per il proprio vivere.
L’umanità di Gesù rivela Dio e educa la nostra umanità. Il passaggio da operare dalla lettura dei
Vangeli è: “da Dio nell’uomo Gesù Cristo a Dio nella nostra umanità”.
Una fede che mettesse al suo centro l’ascolto delle Scritture e massimamente i Vangeli aiuterebbe
la conversione della vita cristiana, conducendola a porre al suo centro proprio l’umano. Deve diventare
un’arte del vivere. Non dice forse la lettera a Tito (Tt 2,12) che «Cristo è venuto per insegnarci a vivere in
questo mondo?» (lo leggiamo a Natale).
Se la Bibbia è una riserva di senso, questo senso trova la sua concentrazione più eloquente per
l’esistenza del cristiano nella umanità di Gesù di Nazareth.
Ascoltare i Vangeli porta a scoprire che non tanto il religioso, nemmeno il sacro, e nemmeno lo
straordinario, ma l’umano è ciò che narra Dio; e che la presenza di Dio è testimoniata da condotte, gesti,
parole, relazioni umane, da persone umanizzate, che hanno come forme e guida nel loro vivere lo stesso
Gesù Cristo. Ciò che Gesù ha di straordinario non si situa sul piano religioso, ma sul piano umano.
Quindi la lettura, sia personale sia di gruppo del Vangelo, potrà dunque assumere questa domanda
di fondo:
* come Gesù vive l’umano? (mai dimenticare che Gesù è Figlio di Dio e figlio dell’uomo: è nato da
Maria!);
* come declina la sua umanità?
* quale umanità mostra in ogni episodio che i Vangeli trasmettono di lui?
Possiamo specificare. Faccio alcuni esempi:
⋅ Che umanità abita colui che osa scacciare dal tempio i venditori degli animali per i sacrifici e rovesciare i
tavoli dei cambiavalute?
⋅ Che pratica di umanità esercita l’uomo che rimprovera i suoi discepoli che allontanano i bambini e che
lui abbraccia con tenerezza?
⋅ Che umanità manifesta l’uomo che accoglie pubblicani e peccatori e mangia con loro; che si lascia
avvicinare scandalosamente da una prostituta durante un banchetto in casa di un fariseo e riesce a
vedere l’amore là dove tutti i commensali vedono il peccato?
⋅ Che uomo è colui che pronuncia parole potenti, come quelle che abbiamo sentito nelle Beatitudini? (che
sono uno squarcio sulla vita interiore di Gesù: il vero “beato” è lui, il mite, il misericordioso, il povero).
⋅ Che pratica di umanità vive colui che non esita a entrare in conflitto con le autorità religiose, quando si
tratta di difendere il primato della volontà di Dio e il diritto dei poveri?
⋅ Che uomo è colui che non esita a rivolgere parole dure ai propri discepoli vedendo la loro poca
coscienza, questa loro incapacità di ascolto, quando dice: “Siete duri, non capite ancora!” ?
⋅ Che forza abita nell’uomo di cui si arriva a dire: «Mai un uomo ha parlato così» (Gv 7,46)?
⋅ Che umanità abita l’uomo che incontra tanti malati nel corpo e nella psiche, mostrando capacità di consofferenza con loro e curandoli con dispendio di tempo e di energie?
⋅ Che umanità abita colui che non esita a criticare ferocemente pratiche e tradizioni religiose e anche
norme sacrali che non hanno più senso?
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⋅
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Che uomo è colui che sa leggere e interpretare con libertà la Torah circa la lapidazione dell’adultera; che
osa controbattere scribi e farisei esperti della legge e uomini autorevoli sul piano religioso, anche a volte
con parole tipo: “Guai a voi ipocriti!”?
Che uomo è chi sa mostrare una libertà così profonda, anche dalle adulazioni o dai timori riverenziali,
magari propri di tanti nostri ecclesiastici di oggi?
Potremmo continuare. Questo è solo uno squarcio su questa grande umanità di Gesù; sempre operando
il dialogo tra l’umanità di Gesù attestata nei Vangeli e la nostra propria umanità; tra la vita di Gesù,
testimoniata e trasmessa dai Vangeli, e la nostra vita di oggi.
Ecco perché il Vangelo appare anche e soprattutto una scuola di umanità. La sensazione è che nella
Chiesa si sia ancora molto distanti dal percepire questa conversione radicale, che esige questa presa sul
serio della pratica della umanità di Gesù come cuore dell’esistenza cristiana.
É la parola di Dio che riplasma l’umanità del credente a immagine della umanità di Dio narrata da Gesù
di Nazareth: «Chi vede me, vede il Padre».
Ecco, dovrà sparire la paura di Dio; vediamola questa umanità di Dio attraverso l’umanità di Gesù!
Quindi se la narrazione evangelica è l’offerta di una visione del mondo, è anche l’offerta di una pratica di
umanità; cioè è l’indicazione di una via da percorrere per diventare più umani.
Gesù è colui che nella sua umanità ha narrato Dio e che, in questo centro e cuore del Vangelo, lo
continua a narrare anche oggi a noi, che siamo qui a leggere la sua Parola.
5) - Per chi e per che fine le Scritture?
C’è un altro aspetto: quale esistenza cristiana si vuole costruire, quale immagine del cristiano adulto noi
abbiamo? La semplicità e la radicalità della testimonianza evangelica possono operare una destrutturazione
dell’immagine del credente adulto di oggi, che spesso viene identificato anche in un laico impegnato nelle
attività ecclesiali.
C’è un testo del ’90 del Card. Ratzinger (non era ancora Papa) di una sua conferenza, che dice:
“É diffusa oggi, qua e là, anche in ambienti ecclesiastici elevati, l’idea che una persona sia tanto più
cristiana, quanto più è impegnata in attività ecclesiali. Si spinge a una specie di terapia ecclesiastica
dell’attività, del darsi da fare; a ciascuno si cerca di assegnare un comitato, o almeno qualche impegno
all’interno della Chiesa. In qualche modo, così si pensa, ci deve essere sempre un’attività ecclesiale, si deve
parlare della Chiesa o si deve fare qualcosa per essa o in essa. Può capitare che qualcuno eserciti
ininterrottamente attività associazionistiche ecclesiali e tuttavia non sia affatto un cristiano. Può capitare
invece che qualcun altro viva solo semplicemente della Parola e del Sacramento e pratichi l’amore che
proviene dalla fede, senza essere mai comparso in comitati ecclesiastici, senza aver fatto parte di Sinodi, e
tuttavia è un vero cristiano”.
É una espressione di Ratzinger!
Sembra dire: ci sono due tipi di impostazioni divergenti e solo nel secondo caso la Scrittura è colta nella
sua vitale importanza per la formazione alla fede.
Il fine a cui mira la conoscenza delle Scritture è di creare la competenza del cristiano, cioè la sua capacità
di vivere il Vangelo nell’oggi, di fare dell’esistenza cristiana l’arte di vivere la fede con libertà, responsabilità
e creatività, attuando un discernimento alla luce del Vangelo. Ma è anche di convertire la vita cristiana a
quella essenzialità e semplicità verso cui mi pare la stia guidando con dolce risolutezza Papa Francesco in
questi primi anni.
6) - La Lectio divina
Prima di parlare direttamente di cosa è la Lectio, vorrei accennare soltanto all’esegesi biblica cattolica,
perché è importante e perché c’è un legame tra l’esegesi e la Lectio divina.
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In questi ultimi decenni assistiamo nell’area cattolica ad una crescita promettente proprio del livello
della esegesi biblica, che si fa sempre più scientifica, e poi c’è l’applicazione proprio della Lectio divina. (Per
dire le cose che anch’io cerco di dirvi quando commento un testo, sono precedute dall’esegesi, anche se la
mia non è tanto una esegesi,ma è una lettura sapienziale. Non posso mettere da parte l’esegesi).
Lo sviluppo documentato, sia dell’esegesi sia della Lectio divina, in questi decenni, è avvenuto come un
cammino parallelo, anche indipendente. Ma c’è un’interazione tra di loro. L’esegesi, intesa come
spiegazione della Parola di Dio, è esistita da sempre nella Chiesa con le sue positività e i suoi rischi.
Per esempio, prendiamo la seconda lettera di Pietro (attribuita a lui, ma non è di Pietro): si vede che
Pietro faceva fatica a capire Paolo e che trovava dure le sue lettere. Bene, nella seconda lettera di Pietro c’è
un’allusione interessante proprio riferita alle lettere di Paolo, già qualificate come Scrittura.
Se voi andate a vedere, 2Pt 3,15-16: «La parola di Dio che ci raggiunge tramite Paolo deve essere
compresa e spiegata adeguatamente e accuratamente, anche nei suoi punti difficili a capirsi». Questo è
scritto nella lettera di Pietro parlando degli scritti di Paolo: «…anche nei suoi punti difficili a capirsi».
Così anche le altre Scritture richiedono una comprensione e una spiegazione adeguata.
Questa attenzione a una comprensione e spiegazione adeguata è presente e si sviluppa in modo
impressionante nei tempi successivi. Ci sono le primissime spiegazioni esegetiche dei Padri, come tutta la
patristica greco-latina, nel Medio Evo e anche nei tempi moderni. Pensiamo a uomini come Origene,
Giovanni Crisostomo, Agostino, Tommaso d’Aquino, per trovare esposizioni e spiegazioni suggestive di
molti testi biblici.
Ma non è questa quella che noi chiamiamo una esegesi scientifica, perché non avevano gli strumenti
adeguati; grandissimi uomini di fede, leggevano le Scritture e le spiegavano, ma per molti di loro non
c’erano gli strumenti che abbiamo noi oggi.
Esegesi scientifica: questa denominazione si impone in tutta la sua portata a cominciare dal 1943 (è un
po’ di storia). É l’approccio alla Parola di Dio inculcata addirittura da Pio XII nella sua grande Enciclica DIVINO
AFFLANTE SPIRITU, datata 1943. Ecco, l’Enciclica rappresenta un salto qualitativo rispetto anche ai documenti
ecclesiastici precedenti: svela come accostarci alla Parola di Dio.
Il discorso di Pio XII si fa particolarmente incoraggiante, sia per quanto riguarda l’attività faticosa e
impegnativa degli addetti alle esegesi, sia per quanto riguarda l’accoglienza da parte del popolo di Dio dei
risultati da loro proposti. Come riconosce esplicitamente Benedetto XVI: “Quell’Enciclica fu davvero una
pietra miliare per l’esegesi cattolica”.
Quindi la pratica dell’esegesi scientifica, inculcata dalla DIVINO AFFLANTE SPIRITU di Pio XII, cominciò ben
presto a entrare nella prassi ecclesiale.
La DEI VERBUM, nel 1965, assorbe la crescita promossa da Pio XII. Rivolgendosi esplicitamente agli esegeti
cattolici, la DEI VERBUM chiede loro che studino e spieghino, con gli opportuni sussidi, le divine letture.
La DIVINO AFFLANTE SPIRITU, proprio nell’intento di far sviluppare gli studi biblici, aveva indicato i campi di
questi studi a partire dalla critica testuale. Cioè, c’è un testo? Noi andiamo a vedere e leggiamo
criticamente quel brano nel contesto storico in cui è scritto, nel suo linguaggio, anche dal punto di vista
archeologico, storico, linguistico.
Si trattava di iniziare. Ora, dice, si tratta di continuare il Santo Concilio incoraggia i figli della Chiesa che
coltivano le scelte bibliche, affinché continuino fino in fondo il lavoro faticosamente intrapreso.
Un altro passo importante di questa esegesi scientifica è il documento della Pontificia Commissione
Biblica dal titolo: L’INTERPRETAZIONE DELLA BIBBIA NELLA CHIESA -e qui siamo nel 1993-; documento noto, che
acquisendo quanto maturato nei due grandi documenti precedenti: DIVINO AFFLANTE SPIRITU di Pio XII e DEI
VERBUM, e tenendo conto della loro applicazione che stava già sviluppandosi nella Chiesa e delle nuove
acquisizioni che si stavano verificando nel campo degli studi letterari, indica i vari modi che pure
incrociandosi assieme, vanno a finire nella Lectio divina.
Ecco perché la Lectio divina presuppone tutto questo discorso.
E si arriva al punto di partenza che è il metodo storico critico; metodo che usiamo adesso.
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Un testo indubbiamente è ispirato, non si mette in discussione l’ispirazione, però anche chi è ispirato è
condizionato. Quante volte diciamo: “Mah, questo Paolo a volte è un po’ maschilista”. Certo, è condizionato
dalla cultura, dalla mentalità, dalla sua formazione! Allora quando si legge un testo, anche di Paolo, va letto
con questo metodo storico critico, ma cogliendo qual è il vero messaggio che sta dietro.
Gli esegeti sono d’accordo sull’esigenza di iniziare l’approccio a qualunque testo biblico con questo
metodo storico critico, che è ormai diventato una base irrinunciabile.
L’ultimo grande documento Magisteriale in materia è la VERBUM DOMINI del 2010. Quando il Papa venne
a Verona nel 2006 l’aveva appena annunciato. Poi nel 2008 ci fu il Sinodo sulla Parola di Dio, e nel 2010 uscì
l’Esortazione Apostolica postsinodale VERBUM DOMINI. BENEDETTO XVI non parla specificamente di esegesi,
perché il suo intento è prevalentemente pastorale.
Emerge così questo quadro complesso suggestivo che la Chiesa, da Pio XII ai nostri giorni, propone come
esegesi scientifica. Solo attraverso questo tipo di esegesi è possibile raggiungere l’ideale affascinante
indicato dalla DIVINO AFFLANTE SPIRITU. Cioè, l’esegeta dovrebbe riuscire a far percepire anche le sfumature di
un testo, che in quanto ispirato e ispirante, sta in contatto permanente con Dio.
Scusate questa excursus, ma mi sembrava opportuno almeno accennare a tutto il lavoro che ci sta dietro.
Adesso arriviamo alla “Lectio divina” vera e propria.
La Parola di Dio in forma umana raggiunge l’uomo a cui è destinata, con modalità e finalità diverse che
possono riguardare sia la sua accoglienza della Parola sia l’utilizzo che ne viene fatto.
Uno potrebbe leggere la Scrittura in modo puramente intellettuale, con l’accoglienza dello studioso;
pensate, invece, a come l’accoglie un’artista; pensate a Michelangelo, a Caravaggio …ai loro quadri a sfondo
biblico, come la Parola di Dio ha parlato e poi a come loro la esprimono nel quadro pittorico, nella scultura.
Pensate a Bach, un brano di musica, una poesia …c’è un ampio modo di accostarci alla Scrittura.
In questa ampia rosa di possibilità, qui non c’è ancora la Lectio divina. Allora come la possiamo
identificare? Un primo passo in questa direzione è una lectio, una lettura che viene fatta del testo. C’è come
un valore di fondo, l’idea di un contenuto, di un messaggio, che viene percepito e proposto per l’ascolto.
In questa linea si arriva anche al significato di un messaggio che una persona singola percepisce e che poi,
per una accoglienza in profondità, rivolge a se stesso.
Queste precisazioni minuziose basate sull’analisi dei valori possibili dei termini, illustreranno le
applicazioni concrete del termine che poi vedremo adesso.
Accanto ad una prima lettura (chiamiamola pure lectio) c’è una precisazione: noi diciamo “Lectio divina”,
c’è un aggettivo. La lectio, specificamente umana, è qualificata con un termine che a prima lettura non è in
grado di sostenere: è detta “divina”, cioè appartiene alla divinità, addirittura propria della divinità.
Che cosa si dice? Come si spiega?
La risposta non è semplice e ci spinge a un approfondimento: “divina”, in un contesto cristiano, ci dice che
l’azione di leggere indicata dalla lectio supera il livello umano.
Quando noi leggiamo nella liturgia un brano, sia dell’Antico Testamento, o di una lettera di Paolo, noi
diciamo: “Parola di Dio”; e un brano dei Vangeli diciamo: “Parola del Signore”.
Quindi scatta una tensione tra i due termini: “Lectio” e “divina”. Come si risolve?
La prima possibilità che ci si presenta è che l’aggettivo “divina” si riferisca al contenuto che viene
percepito, che viene presentato, cioè alla Parola di Dio.
Ed è un riferimento accettabile proprio come “Parola di Dio” il messaggio percepito, presentato, che può
essere detto “divino” in quanto appartiene a Dio e alla Sua trascendenza (quando dico: “faccio la Lectio” o
“leggo un testo biblico”, è qualcosa di Dio che mi entra dentro, che mi entra nel cuore). Ma è ancora un
riferimento parziale che non spiega fino in fondo. Per indicare solo questo aspetto si poteva dire anche
“Lectio Verbi Divini”, “Lectio della Parola di Dio”, tutto sarebbe chiaro.
Emerge, invece, qui una possibilità più profonda: non solo il contenuto percepito e annunciato
appartiene alla trascendenza della divinità, ma vi entra anche la percezione e l’annuncio di questa Parola.
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Vorrei dire, c’è un contatto al vivo con la trascendenza; potremmo dire c’è una forza (quando dico che la
Parola di Dio ha una carica intrinseca; in latino si dice una “vis divina”); c’è una forza divina, che è presente
nella Parola, e si estende alla percezione-lettura che la riguarda.
La Parola è veramente portatrice di trascendenza. Il contatto con Dio, che la rende Parola ispirata, non
è come un certificato esterno di autenticità, ma entra dentro la Parola e vi rimane aderente in
permanenza.
Quindi la Parola “si fa” e rimane così ispirata e ispirante con un dinamismo tutto proprio. Quando Maria
dice nell’Annunciazione: «Avvenga di me secondo la tua parola» … “Avvenga” … Certo lei ha detto sì, e
questa parola Avviene: c’è un energia divina dentro la Parola.
Sto spiegando perché la lectio è “divina”: c’è qualcosa di divino in quel testo, che avviene dentro di me.
Quando spiego l’Annunciazione, cosa dico? Maria ha concepito l’inconcepibile e anche noi concepiamo
l’inconcepibile nella misura in cui assimiliamo la Parola. Però, bisogna anche un po’ morire, svuotarsi di noi
stessi per fare spazio a Lui: allora concepiamo anche noi l’Inconcepibile.
Si realizza tramite la Parola di Dio una specie di osmosi, tra la trascendenza di Dio e l’immanenza
nostra, del livello umano.
Questa in fondo è la “Lectio divina”, che non è un leggere un testo a caso e basta, ma bisogna capire ciò
che avviene, bisogna veramente accostarsi alla Parola di Dio con una grande umiltà e una grande fede.
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Come si è sviluppata nell’esperienza cristiana questa Lectio divina?
Qual è il senso e la pratica di questo tipo di accoglienza della Parola nella Chiesa di oggi?
Uno sguardo sommario del percorso che la Lectio divina ha avuto nella storia è illuminante per
comprendere la sua funzione oggi.
Il documento che ho citato prima della Pontificia Commissione Biblica “L’INTERPRETAZIONE DELLA BIBBIA
NELLA CHIESA”, ci ricorda che la Lectio divina è presente nella Chiesa fin dal terzo secolo: attestata come
pratica quotidiana collettiva e individuale. Quest’ultimo aspetto si sviluppa particolarmente nell’ambiente
monastico.
Vengono precisate gradatamente le fasi secondo le quali la Lectio divina si può svolgere, indicate
separatamente. Poi, naturalmente, quando uno ormai le ha familiarizzate, non sta più a fare le distinzioni.
Ci sono alcune azioni per lo svolgimento. I Padri, specialmente Guido il Certosino, l’hanno chiamata
“Scala Paradisi”, “Scala del Paradiso”:
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prima c’è il raccoglimento (del raccoglimento parla il grande Teofane il Recluso);
poi si passa alla lettura del testo biblico (Origene);
quindi c’è una condivisione (Isidoro di Siviglia).
Le fasi della Lectio verranno unite insieme dal Certosino Guido II che fu nono priore della Grande
Certosa, fondata da San Bruno a Grenoble nel 1085. Si sa poco di San Bruno, neanche la nascita; è stato
priore nel 1164 a Grenoble ove si dimise nel 1180 per dedicarsi ad una vita ritirata. In una lettera ai suoi
confratelli Certosini, nota anche col titolo di “Scala Paradisi”, gli scalini erano quattro:
la Lectio (la lettura)
la meditatio,
la oratio,
la contemplatio.
Si ebbero col passare degli anni varie aggiunte complementari. Il quadro più ampio, la scala più lunga, ne
comprende addirittura sette: c’è la statio.
Cos’è la statio? Prima Teofane il Recluso parlava di raccoglimento. In certi monasteri, anticamente, ma
forse anche adesso, i monaci prima di ogni atto liturgico sono lì in piedi nel chiostro, in silenzio. Prima di
incominciare, prima di entrare nel Coro, fanno dieci, quindici minuti in silenzio: è la statio, una specie di
raccoglimento, un liberare un po’ la mente dalle distrazioni della giornata.
9
Quindi la “Scala Paradisi” a volte è più lunga perché comprende: la statio (questo momento di silenzio),
poi c’è
la lectio,
la meditazione,
la preghiera,
la contemplazione.
Poi hanno aggiunto:
la collatio.
Che cos’è? É una condivisione nella Comunità!
Ma a questo punto si arriva dopo aver macinato, meditato e pregato sopra il testo; allora sì che c’è
veramente una condivisione arricchente per tutti.
Il Card. Martini aveva aggiunto la actio.
E il mio ex Superiore Generale Padre Calati parlava di evangelisation. Ma a questo punto però!
Pio XII, oltre che occuparsi dell’esegesi scientifica, raccomandò insistentemente anche la pratica collettiva e
individuale della Lectio divina. La raccomandazione è stata accolta e, sull’impulso dei documenti della
Chiesa quali la DEI VERBUM (Vaticano II) e VERBUM DOMINI (Benedetto XVI), si assiste oggi a uno sviluppo
crescente, sempre più diffuso: è davvero una fioritura di primavera nella Chiesa di oggi.
Ma vediamo ancora concretamente.
Normalmente sono ripresi i quattro punti fondamentali indicati da Guido II; è un’esperienza viva, ma è in
movimento, perché una schematizzazione troppo rigida finirebbe per limitare o mortificare il dinamismo
della Parola divina stessa.
Quindi, perché la Lectio divina possa decollare, si richiede prima del suo inizio, nella persona che la
vuole praticare, quella famosa “statio”, uno stacco dalle occupazioni precedenti. Ci vuole la statio, questo
quarto d’ora, dieci minuti, potremmo dire di silenzio, di raccoglimento; il raccoglimento necessario indicato
da Teofane il Recluso, che è la posizione adeguata per iniziare a salire la “Scala Paradisi”. Prima di
cominciare questa “Scala del Paradiso” fare uno spazio di silenzio è una premessa irrinunciabile per entrare
nel vivo della Lectio divina.
Allora la Lectio cos’è?
1.
“la lettura”, il primo dei quattro gradini indicati da Guido II, consiste in un primo rapporto diretto
col testo-parola e la persona o le persone.
Guido II come definisce la Lectio? In questi termini (sono sue parole che riferisco): “La lettura è lo
studio attento della Scrittura, fatta con uno spirito tutto teso a comprenderla”.
É una lettura che mentre si fa, si incomincia a capire cosa c’è dentro; è una lettura attenta
(qualcuno qui va in cerca di parallelismi, va in cerca di un testo, di cosa vuol dire nel suo significato
più profondo).
Quindi il testo ispirato e ispirante passa dallo stato di giacenza, dove si trova, e incomincia a
interpellare direttamente il lettore, l’ascoltatore; per il quale non è più lettera morta la lettura.
2.
Segue la meditazione, “la meditatio”.
Ripeto le parole di Guido II. Secondo lui consiste in “una operazione della intelligenza”.
In fondo anche il cervello è un dono del Signore, così pure l’intelligenza, che si concentra con l’aiuto
della ragione nell’investigare le verità nascoste.
Quindi il testo della Parola viene accolto e incamerato in tutta la sua portata; cioè, parla alla nostra
intelligenza, parla alla nostra sensibilità: ci fa gioire, ci fa tremare, ci schiude prospettive di bellezza
inesprimibile, ci scuote, ci sprona, ci spaventa, ci consola.
Deve essere assimilato in tutta la sua ricchezza fin nei minimi dettagli.
Ecco cos’è la meditatio: è un’operazione dell’intelligenza, che con l’aiuto della ragione cerca di
investigare le verità nascoste.
10
3.
Ed è a questo punto che la nostra Lectio umana è pronta a diventare divina.
Questo accade nel terzo gradino, quello della “oratio” (la preghiera), e Guido II la definisce in questi
termini molto densi: “La preghiera è il volgere con fervore il proprio cuore a Dio, per evitare il male
e per venire al bene”.
Cioè, la preghiera che sgorga a questo punto è tutta particolare: non si tratta di una richiesta, ma di
una dilatazione del cuore.
Come dice il Salmo 118: «Corro per la via dei tuoi comandamenti, perché hai dilatato il mio
cuore» (Sal 118,32).
C’è una dilatazione del cuore realizzata nella direzione di Dio che suscita in noi un fervore intenso,
un massimo di amore.
Io, quando si parla di questo, dico: “in questo momento chiudo tutti i libri, faccio silenzio, e ciò che
ho percepito diventa una preghiera; posso chiedere al Signore che plasmi la mente e il cuore di
quello che Lui mi ha fatto capire”.
In questo senso è una “Lectio divina”, cioè qualcosa di Dio che veramente ti penetra dentro, ti
trasforma, ti cambia.
Questo fervore amoroso ci mette in contatto con Lui, ce lo fa comprendere, perché Dio si capisce
anche col cuore.
Questo contatto a caldo con Dio ci permetterà di accogliere e interiorizzare devotamente le Sue
parole ispiranti, sature di trascendenza, che abbiamo ascoltato e capito attraverso gli altri passaggi.
Quindi tali parole ci doneranno qualcosa del Padre, del Figlio e dello Spirito; ci cambieranno la vita
liberandoci dai nostri elementi di male e lanciandoci verso il bene, verso l’attuazione in positivo di
quel sogno che ha il nostro Padre Celeste su ciascuno di noi.
Quando uno dice: “Mah, cosa vorrà il Signore da me?”. Se uno prosegue su questa strada,
certamente capisce un po’ alla volta cosa il Signore vuole da lui. Se si é fedeli alla Lectio, si sfonda
una porta aperta.
Siamo davvero nel cuore della “Lectio divina”, e a questo punto comprendiamo la profondità
sconvolgente di questa denominazione.
4.
Il quarto scalino, “la contemplatio”. Viene esposto da Guido II, da questo grande Certosino, in
questi termini: “É un innalzamento dell’anima che si eleva al di sopra di sé stessa verso Dio,
portando le gioie dell’eterna dolcezza”.
Io direi:
* É l’approfondimento della tua vita interiore. La tua vita interiore acquista spessore attraverso
questo esercizio.
* L’accoglienza della Parola produce nel cristiano, che la pratica abitualmente, un certo
innalzamento del suo livello interiore.
* Il suo rapporto di reciprocità con Dio cresce di intensità.
* Aumenta l’amore che permette di percepire una certa affinità stupefacente, e che cresce con Dio
che è amore.
* Pur rimanendo ancora nella dimensione della fede, il cristiano si sente più vicino a Dio, e la
reciprocità con Lui in questo amore crescente, potrà portare talvolta il cristiano a una sensazione
dolcissima di bene, quasi un anticipo della gioia eterna.
* L’amore crescente verso Dio, infatti, avvicina Dio a noi, ce lo fa percepire, direi, come il nostro
vicino di casa.
Come scrive San Giovanni: «Se qualcuno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà
e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23).
É la sintesi, se volete, della “Lectio divina” : Dio diventa il nostro vicino di casa.
Ma c’è un’altra dimensione contemplativa che tende a realizzarsi a questo punto: la Parola che è stata
ascoltata, compresa, collocata nella reciprocità con Dio nella preghiera, è divenuta nella persona. Come in
Maria: «Avvenga di me…» … è divenuta nella persona, sono emerse nuove applicazioni al vissuto che
tendono a cambiare la vita.
Certo che tutto questo comunica una gioia ineffabile, indicibile!
11
Questo schema geniale proposto da Guido II costituisce come uno schema di base permanente per lo
sviluppo della “Lectio divina”. Avevo la necessità di farvi questa proposta prima di riprendere i nostri
discorsi. Quello che abbiamo capito non lo so, però l’importante è aver capito che è una cosa splendida,
una cosa veramente “divina”.
Lo schema presentato non vuole essere uno schema rigido, a sistema chiuso. Spesso in questa “Scala
Paradisi” è stato posto un altro scalino; prima parlavo della “collatio”.
“La collatio” serve per rispondere a un bisogno di confronto e di condivisione, poiché, dopo che tu hai
fatto tutto questo cammino, senti il bisogno di condividere.
Il Card. Martini si sofferma insieme ad altri dettagli sull’esigenza della “actio”, “l’azione”, che il cristiano
sente l’obbligo di praticare dopo l’esperienza della “Lectio divina”.
Quando hai dentro qualcosa che ti ha trasformato, non lo puoi tenere per te stesso. L’evangelizzazione
nasce da qui, non è un impulso che nasce dall’esterno; l’evangelizzazione nasce quando tu hai dentro
questo calore, questo fuoco; allora è un esigenza che senti dentro di te, non c’è bisogno che qualcuno te lo
dica.
Quindi si può constatare con gioia come la “Lectio divina” si stia oggi diffondendo. Un po’ quello che
facciamo anche noi qui, con molto umiltà da quasi vent’anni. Anche nei nostri Monasteri in qualche modo
essa ha sempre un po’ regnato. Ed è in crescita come lo è anche l’esegesi scientifica.
Per quanto riguarda l’esegesi l’Esortazione Postsinodale VERBUM DOMINI insiste sul rapporto tra la
famosa esegesi scientifica, e la Lectio divina, che è la Parola orante.
Papa Benedetto, pur essendo d’accordo sul metodo storico critico, aveva la preoccupazione che ci si
fermasse lì e non si arrivasse veramente alla Lectio, a questa lettura orante.
Ci sia veramente un rapporto tra “esegesi scientifica” e “Lectio divina”: è un rapporto di reciprocità
necessario per non fallire anche sui contenuti.
∗ ∗ ∗
IL CUORE NUOVO
(MT 5,17-32)
Iniziamo leggendo una parte del Salmo 119 (o 118), il salmo della Legge:
[1]
Beato l'uomo di integra condotta,
che cammina nella legge del Signore.
[2]
Beato chi è fedele ai suoi insegnamenti
e lo cerca con tutto il cuore.
[3]
Non commette ingiustizie,
cammina per le sue vie.
[4]
Tu hai dato i tuoi precetti
perché siano osservati fedelmente.
[5]
Siano diritte le mie vie,
nel custodire i tuoi decreti.
[6]
Allora non dovrò arrossire
se avrò obbedito ai tuoi comandi.
[7]
Ti loderò con cuore sincero
quando avrò appreso le tue giuste sentenze.
[8]
Voglio osservare i tuoi decreti:
non abbandonarmi mai.
Abbiamo pregato con questo Salmo che riguarda la Parola di Dio e la sua Legge, perché adesso
cerchiamo di vedere quella parte del discorso della Montagna che abbiamo tralasciato l’anno scorso. Infatti,
dopo il cap. 5 di Matteo, vv.1-12, dove c’erano “le Beatitudini”, siamo passati subito al cap. 6,9-11
12
approfondendo il “Padre nostro”. Ma, allo stesso cap. 5, dopo aver meditato sulle Beatitudini, abbiamo
commentato anche il testo del «Sale della terra e luce del mondo». Ecco, ora vediamo come questo sale,
questa sapienza, questa luce, la si può vivere in rapporto con gli altri.
Qui incontriamo una serie di antitesi (le vedremo al completo in seguito), fermandoci ora sulle prime tre
dove Gesù propone la nuova Legge.
Non a caso ho messo “IL CUORE NUOVO”: infatti Gesù non ci dà una nuova Legge, ma ci dà un cuore
nuovo. Nel Battesimo c’è un cuore nuovo, quindi Gesù non propone una nuova Legge «Io non sono venuto
per abolire, ma per compiere».
Pertanto il cristianesimo si presenta, in questa affermazione di Matteo, come “il compimento della
Legge giudaica”. Ma vedremo cosa intende per “compimento”.
1)
- “Non sono venuto a sciogliere, ma a compiere”
La Legge e il suo compimento
[17]
Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a
dare pieno compimento. [18]In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non
passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. [19]Chi dunque
trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà
considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato
grande nel regno dei cieli.
[20]
Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete
nel regno dei cieli.
Sono versetti che ci servono da introduzione. In seguito ci sono diverse antitesi: una sul «Non uccidere,
ma io vi dico», l’altra sul «Non commettere adulterio, ma io vi dico».
Le prime affermazioni di Gesù fanno un po’ problema, perché troviamo altre affermazioni nei Vangeli
che vanno in differenti direzioni.
Gesù ci ha liberati dalla Legge (es. «Il sabato è per l’uomo», ma c’è anche la Legge che è per l’uomo.
Vediamo che Gesù viene presentato in Matteo come “Colui che compie tutta la Legge”. Altrove è
presentato come “Un mangione e un beone amico dei pubblicani e prostitute”. Morirà in croce come
bestemmiatore: “Ha bestemmiato!”, come trasgressore sommo della Legge. Tutte e due le cose sono vere.
Chi ha letto Paolo avrà anche sentito spesse volte ripetere che «Cristo ci ha liberati dalla Legge» (Lettera ai
Galati nella liturgia quotidiana).
Quindi teniamo presente che dove ci sono delle contraddizioni, non è che bisogna porre un testo contro
l’altro, ma vedere in che ottica un testo dice una cosa.
Qui ci troviamo con il Vangelo di Matteo, che è rivolto ai cristiani che vengono dal giudaismo. In questo
senso l’esegesi ci dice “guarda che un conto è Matteo e un conto è Luca”. Sono tre Sinottici, dicono le
stesse cose, più o meno, però c’è un linguaggio diverso, sottolineature diverse: Matteo scrive il suo Vangelo
per delle comunità che vengono dal mondo ebraico, Luca scrive il suo Vangelo per delle comunità che
vengono dal mondo ellenistico, dal mondo greco. Quindi ci sono marcature diverse. Ecco, l’esegesi ti
insegna questo e soprattutto lo tiene presente come metro di misura.
Il Vangelo di Matteo è rivolto ai cristiani che vengono dal giudaismo e vuol mostrare come in Gesù si
compie la Legge Mosaica e la profezia : Gesù è il compimento della promessa. É un tema molto interessante
anche per noi, perché effettivamente Gesù è comprensibile solo come compimento delle promesse a
Israele.
Sapete che anche adesso ci sono a Gerusalemme degli Ebrei cosiddetti Ebrei messianici. Sono parecchi,
forse oggi raggiungono quasi i ventimila. Sono e rimangono ebrei, però hanno accettato Gesù come “il
Messia”. Non hanno niente a che fare con la Chiesa, però hanno buoni rapporti col Vaticano. Sono
chiamati: Ebrei messianici.
13
Quindi Gesù è comprensibile solo come compimento delle promesse a Israele.
Circa il discorso della Legge, chi ha letto Paolo ha già sentito come Gesù ci libera dalla schiavitù della
Legge, nel senso che di per sé la Legge è buona, è il cammino per la vita (per gli Ebrei la Torah è per la vita,
è custode della vita), ma la Legge non dà la vita. Se è giusta, la Legge punisce chi sbaglia, dice dov’è l’errore,
e siccome tutti sbagliamo, la Legge non fa che evidenziare i nostri errori. In questo senso la Legge non salva
nessuno, ma ci condanna tutti.
Quindi siamo tutti sotto la condanna e la schiavitù della Legge, e Gesù è venuto a liberarci con la sua
morte in croce da questa condanna, da questa schiavitù.
Questo è il primo senso della liberazione dalla schiavitù della Legge.
Un secondo aspetto della Legge, interessante, lo leggiamo in Galati 3,1, dove Paolo dice che la legge è data
per le trasgressioni. Cosa vuol dire? Vuol dire che l’uomo è peccatore, cerca a volte di trasgredire data
l’ignoranza che ha di Dio. Forse esercita il male anche senza saperlo e invece di raggiungere il fine, fallisce il
bersaglio e sbaglia. Però c’è l’ignoranza in tutto questo.
A che cosa serve allora la Legge? Serve per far capire dove si può peccare, dove si può sbagliare
(secondo Paolo).
Se uno non sapesse che ci sono degli ordini, se non conoscesse la Legge, non saprebbe neanche come
fare a inventare le trasgressioni. Cioè la voglia di trasgressione c’è e la Legge serve per far capire dove c’è la
trasgressione.
Questa è una definizione della Legge secondo Paolo, dove dice “serve per le trasgressioni”, e lo dice
anche in modo polemico, non perché la Legge serva per questo, infatti serve per altro. Però, siccome noi
siamo trasgressivi, conoscerla stuzzica al peccato e fa uscire poi dal peccato. E questa è una funzione
positiva della Legge: il male c’è; il male viene a suppurazione mediante la Legge.
Questo è tutto un discorso sulla Legge che diamo anche per acquisito, e tanti altri ancora, basta leggere
la lettera ai Romani e ai Galati.
Matteo ha un'altra ottica: la Legge è come parola di Dio che indica la Sua volontà in vista della vita, ma
nessuno l’ha mai compiuta fino in fondo: Gesù è il primo che la compie. Gesù è il compimento della Legge;
quello che lui fa e dice è semplicemente quel cammino che Dio propone ad ogni uomo in Gesù, e Gesù è il
dono che Dio ci fa per poter vivere da uomini nuovi.
Quindi la figura di Gesù ci aiuta a stare nella storia da persone nuove, da uomini nuovi come Lui, da
uomini che sanno finalmente vivere la Legge. E per Legge ormai si intende qualcosa di preciso, non un
insieme di tutte le minuzie, ma la Legge intesa come amore di Dio e amore del prossimo. Infatti quando lo
interrogheranno, Gesù dirà: «L’amore di Dio e l’amore del prossimo». Chi ama compie tutta la Legge.
Quindi è vero anche che Gesù compie tutta la Legge, e insieme è Colui che ci libera dalla Legge.
Ora, il modo in cui Gesù interpreta la Legge, si esprime nelle antitesi che vedremo.
[17]
Non pensate che sono venuto ad abolire, non sono venuto ad abolire ma per sciogliere, per
riempire.
Detto molto semplicemente: Gesù, il Messia, sarà colui che compie la Legge; è il primo uomo che vive la
Parola di Dio, addirittura è la Parola di Dio fatta carne. Quindi Gesù si presenta come il compimento
perfetto della Legge.
Tenete presente che questo è molto importante per degli Ebrei (ecco perché questo Vangelo è rivolto a
degli Ebrei), perché la Legge è la Parola di Dio, è la volontà di Dio - che l’uomo non ha mai compiuto -.
Finalmente il Messia è colui che la compie, e la compirà anche a modo suo, e dona all’uomo un cuore
nuovo perché possa compierla.
In un'altra ottica, invece, si metterà Paolo rivolgendosi ai pagani: quando parlerà ai pagani, egli userà un
altro linguaggio. Ma è interessante sempre vedere l’ottica nella quale uno si mette per capire le sue
affermazioni.
14
[18]
In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà dalla Legge neppure uno
iota, senza che tutto sia avvenuto.
Come vedete in questo versetto si afferma che il valore della Legge è perenne: tutta deve essere
compiuta, e in Gesù tutto si compie.
E la grandezza dell’uomo dipende dalla sua osservanza o meno della Parola di Dio.
[19]
Chi la osserverà e insegnerà a fare altrettanto sarà grande. Chi invece non la osserverà sarà
minimo nel regno dei cieli.
Quindi la volontà di Dio viene a essere la misura della realizzazione dell’uomo, come è giusto.
E poi c’è questa affermazione che sembra contraddire un pochino la precedente quando Gesù dice: “Vedete
gli scribi e i farisei? Sono quelli che conoscono bene la Legge e la osservano perfettamente: è gente
veramente perfetta dal punto di vista della Legge” :
[20]
Ora, se la vostra giustizia non supera la loro, non entrerete nel regno dei cieli.
Ma allora di che giustizia parla Gesù? Se le persone più giuste, le persone più perfette (tipo i farisei), non
hanno una giustizia sufficiente per entrare nel regno dei cieli, di quale giustizia sta parlando?
Porto un esempio per chiarire: ci sono delle norme, delle Leggi che riguardano, in un certo senso, in che
modo i genitori debbono curare i figli. Normalmente penso che nessun padre e nessuna madre vada a
leggere certe norme del codice penale per sapere ciò che è lecito fare o non fare per un figlio: è l’amore che
li porta a far star bene i propri figli. Se per caso uno non ha l’amore e non usa la ragione, allora farà anche
male e dovrà guardare anche i codici.
Cosa voglio dire? Uno potrebbe conoscere bene tutti i codici e osservali, e non amare.
Allora, per giustizia si intende qualcos’altro in Gesù. Si intende un cuore nuovo. Non l’osservanza di un
codice, ma la capacità di amare che fa vivere correttamente e quindi al di là di ogni legalismo.
Praticamente l’ottica nella quale Gesù si mette nel discorso della Montagna è quella del cuore nuovo,
del cuore del figlio. Chi è figlio, è chiaro che vive i rapporti fraterni con gli altri, ma non per via di una legge
bensì per via dell’amore, perciò in forza dell’amore osserva la Legge. Infatti chi ama, non uccide, non ruba,
non mente, almeno fino a quando ama.
Quindi l’amore viene a essere il compimento di tutta la Legge in questo senso. La Legge indica dove si
sbaglia, ma non dà la vita; la Legge dice dove si rischia di morire. L’amore, invece, dà la vita e chi ama ha la
vita e quindi compie la Legge.
É l’ottica nella quale si mette Matteo ed è interessante anche perché aveva da confrontarsi con una
comunità che diceva “Signore, Signore”, ma non faceva la volontà di Dio. «Non chi dice Signore, Signore»
dirà Matteo.
No, se Dio è realmente il tuo Dio, il tuo Signore, e tu sei figlio del Padre, vivi da figlio, vivi da fratello.
Allora, si tratta della Legge non in senso legalistico, ma della legge interiore dell’amore. É il dono dello
Spirito Santo questa Legge. Ecco come un cristiano ha il cuore nuovo : attraverso la pienezza del dono
dello Spirito battesimale.
Gesù vuole andare alla radice del male.
Riprendendo le parole di quando Gesù dice che la giustizia del discepolo deve superare quella degli
scribi e farisei, si intende non in termini quantitativi di osservanza, ma piuttosto in termini qualitativi. Cioè,
è un altro tipo di giustizia, è quella che deriva dal cuore nuovo, da questo principio vitale e dinamico nuovo;
è una giustizia altra rispetto a questa.
2)
- “Avete inteso che fu detto …ma ora io vi dico”
Collera e riconciliazione
[21]
Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto a
giudizio. [22]Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio.
15
Chi poi dice al fratello: «Stupido», dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: «Pazzo», sarà
destinato al fuoco della Geenna.
Quindi il comandamento di non uccidere, di non assassinare è chiaro: ci vieta il male; Gesù aggiunge una
cosa dicendo: Ma io vi dico… Più che un “Ma” avversativo, potremmo dire: “Ora, io vi dico un’altra cosa”.
Gesù non vuole contrapporsi…“Ma io vi dico”; il “Ma” di Gesù non è per rinnegare il comandamento, bensì
è per dire qualcos’altro di più radicale, di più profondo: “Ma ora io vi dico che non basta non uccidere, ci
vuole qualcos’altro”.
Perché uno uccide? Gesù va alla radice del male, e la radice del male può essere l’ira. É l’ira il principio
dell’omicidio; l’ira è un movimento contro, contro ciò che io sento; quindi già l’ira, secondo Gesù, è
omicidio, è contro l’altro. E non solo l’ira, ma anche dire «Stupido», che è disprezzo - tra l’altro, per
uccidere bisogna anche sempre disprezzare -.
In politica gli avversari devono sempre essere stupidi, cattivi, in malafede; diversamente non sono
avversari da eliminare. Anche per fare le guerre, il nemico deve essere non uomo, perché, se uomo, tu non
puoi uccidere tuo fratello. Il disprezzo è alla base di ogni annientamento: prima lo annienti come persona,
ne fai una maschera, uccidi in lui la dignità di figlio di Dio; poi, una volta che lo disprezzi, il resto segue.
Anche il dire «Stupido» è degno di giudizio, il dire «Pazzo» … pazzo in senso religioso voleva dire
“empio”. L’avversario è sempre una personificazione del male; è demonizzato.
Sul comandamento “Non uccidere” non basta dire: io non uccido e sono a posto (quante volte anche
come confessori l’abbiamo sentito …non ho ammazzato nessuno quindi sono a posto). Ma quali sono i tuoi
sentimenti verso l’altro?
Ecco come Gesù va alla radice. Il problema è guarire il nostro cuore, perché l’altro ritorni tuo fratello. E
qui Gesù lo ripete varie volte e dice: “… al fratello”.
Quindi non è che Gesù si accontenti della Legge “Non uccidere” - che è giusto: onestamente non si può
uccidere - ma Gesù va alla radice, va al cuore. Gesù vuole che noi vinciamo tutti quei sentimenti negativi di
ira e di disprezzo verso l’altro, che stanno alla base di tutto il negativo, e che poi rischiano di esprimersi
nelle varie relazioni che abbiamo con gli altri.
“In questo senso è stato scritto questo - ed è giusto che sia stato scritto - però, adesso, Io vi dico un’altra
cosa, andiamo alla radice: Se tu sei il figlio amato dal Padre e l’altro è tuo fratello, il sentimento non deve
essere di ira, ma di amore; non deve essere di disprezzo, ma di stima; non deve essere di condanna, ma
sempre di assoluzione”.
Come vedete questa è la nuova Legge, questo è il cuore nuovo. Che non è neanche una Legge, perché non è
perseguibile chi prova un sentimento. Però, io conosco i sentimenti che provo e a volte so che sono
riprovevoli come l’omicidio; so che posso uccidere uno anche dentro di me quando gli tolgo la stima,
quando non lo considero, quando lo cancello. E negandolo come fratello, negando la mia fraternità, è già
uccidere.
Questo vuol dire Gesù con “Ora io vi dico”, perché siamo tutti figli, cioè fratelli.
Ricordate quando abbiamo pregato e abbiamo spiegato il “Padre nostro”? Perché diciamo “nostro”?
Perché siamo fratelli tra di noi e lui è Padre di tutti e vuole bene a tutti, vuole bene anche a quella persona
che io disprezzo. Quindi c’è una fraternità che viene rotta attraverso questi sentimenti.
[23]
Se dunque presenti la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di
te, [24]lascia lì il tuo dono davanti all'altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad
offrire il tuo dono.
Guardate che sono cose radicali anche queste: “Se tu stai andando all’altare e ti ricordi che tuo fratello
ha qualcosa contro di te”, e non dice “Se hai tu qualcosa contro il tuo fratello, non devi andare all’altare”,
ma “Se tuo fratello ha qualcosa contro di te”. Se tuo fratello ha qualcosa contro di te, ci sarà qualche
motivo: non ti considera fratello e tu non sei fratello se non vai verso di lui. Non puoi andare verso il Padre
finché l’altro non è fratello, quindi devi andare prima verso di lui.
16
É una cosa molto seria e molto grossa, anche se non è facile.
Il “compimento della Legge” qui è tutt’altro che un insieme di norme sottili, di disquisizioni: è realmente un
cuore che sente verso l’altro gli stessi sentimenti che ha Dio, gli stessi sentimenti che ha il Signore Gesù
che ha dato la vita, che ha consegnato se stesso alla morte per noi, per renderci tutti fratelli.
Ecco la responsabilità grossa che ci sta dietro.
É questo stesso sentimento che mi permette di accedere al Padre, cioè lo Spirito Santo. É l’amore per il
Padre, che ama tutti i suoi figli; è per tutti i molti fratelli.
Prendendo alla lettera in modo davvero serio, - non si dovrebbe celebrare l’Eucarestia! - perché
qualcosa qualcuno l’avrà sempre contro di me.
Allora cosa faccio, devo scappare via? Forse bisogna giocare un po’ d’anticipo: cerchiamo di avere un
cuore riconciliato, cerchiamo fattivamente di creare riconciliazione. Giocare d’anticipo anche nell’accostarci
all’altare, all’ascolto della Parola, all’Eucarestia; giocare un po’ nello spezzare il pane, comunicare al calice,
come un anticipare quello che sarà una celebrazione poi di una fraternità piena.
Perché non è detto che poi il fratello si riconcili con me, però io prima devo andare. Cioè, se io neanche
tento di riconciliarmi con il fratello, forse è meglio che non vada nemmeno all’Eucaristia. Devo tentare di
riconciliarmi, devo avere questa disponibilità, allora poi posso andare dal Padre. Ma se non ho questa
disponibilità, davvero io non sono con il Padre in quel momento.
Ci sarà sempre qualcuno che ce l’ha un po’ su, magari per un motivo suo, io però chiedo al Padre lo
spirito di riconciliarmi. Se poi l’altro si riconcilia o meno, quello è anche un affare della sua libertà,
certamente non dipende tutto da me.
I versetti che seguono introducono una specie di dinamismo, per cui quello che non è ancora, potrà
avvenire. Cosa dicono?:
[25]
Mettiti presto d'accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l'avversario non
ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. [26]In verità ti dico: non
uscirai di là finché non avrai pagato fino all'ultimo spicciolo!
“Mentre sei per via …” Siamo un po’ tutti per via, per presentarci davanti al Signore. Finché viviamo,
siamo tutti per via; la nostra vita è un cammino e alla fine ci presenteremo davanti al Signore. E in questo
cammino c’è sempre uno che mi contraddice (l’avversario), c’è sempre qualcuno che forse non mi perdona,
come io non vado d’accordo con tutti.
Allora qual è il senso del mio cammino? É mettermi d’accordo con il mio avversario.
Qual è il senso della vita? Il senso della vita è che l’altro da avversario diventi fratello, mentre siamo per via,
mentre siamo su questa terra, mentre siamo in pellegrinaggio perenne fino alla Gerusalemme del cielo. Il
senso della vita è che l’altro, da avversario, diventi veramente fratello.
Se ti metti d’accordo con l’altro, che è avversario e antagonista, e l’altro diventa fratello, allora il fratello
non ti consegna al giudice ma al Padre. Finché è avversario, rischi di essere portato davanti al giudice; se
invece l’altro diventa o tu lo vivi come fratello, sei portato con lui davanti al Padre.
É interessante che non si dica che hai torto o hai ragione. Non importa se io ho torto e lui ha ragione, o
se io ho ragione e lui ha torto: se non vai d’accordo, hai sempre torto, se non ti dai da fare per andare
d’accordo, hai sempre torto, perché il senso della vita è proprio riconciliarsi e andare d’accordo. Se non hai
fatto questo, comunque hai torto, l’altro è avversario, non è ancora fratello: e questo è il grande torto.
L’altro non è fratello, tu non sei figlio di Dio. Dio è Padre di tutti … di tutti!
E questa è la nuova giustizia: è una giustizia dettata unicamente dall’amore, da questo cuore nuovo
che cerca in tutto e dappertutto il perdono e la riconciliazione, che è il principio del rapporto con l’altro.
In questa antitesi Gesù dà al comandamento “Non uccidere”, che vorrebbe dire “Non togliere la vita
all’altro”, un significato molto più profondo, cioè “ama l’altro perché la vita è amare”. Uccidere è
semplicemente manifestazione della morte.
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“Ti dico non uccidere, ma c’è ben altro da fare, c’è tutto ciò che dà la vita. Dato che il male c’è, c’è
l’uccisione (altrimenti non ci sarebbe scritto “Non uccidere”) e la Legge lo denuncia: cosa devi fare per avere
la vita? Devi guarire la radice del male; devi guarire dall’ira, dal disprezzo, dalla condanna; devi riconciliarti
con il fratello. E avrai tutto il cammino della vita”.
Su queste cose dovremmo fermarci chissà per quanto tempo.
Quindi è una messa in guardia, non è una minaccia, è una specie di promessa: fai così e vedrai che poi ti si
apre la strada, un percorso, prospettive, traguardi, per arrivare ad avere sempre l’altro come fratello; e, se
è tuo fratello, vivi veramente la paternità di Dio.
Se poi uno volesse sapere quanto deve pagare fino all’ultimo spicciolo, sapete quanto uno deve pagare?
Ricordate? Leggere nei capitoli seguenti fino al 18, dove si parla del perdono fraterno. Il cap.18 è il capitolo
dei rapporti comunitari, e alla fine c’è la famosa parabola di quello che era debitore di diecimila talenti al
quale viene condonato tutto, poi arriva un suo compagno che ha cento denari di debito (possiamo dire un
miliardo di euro e cento euro) e questo qui non lo perdona, poi il padrone viene a saperlo …
Praticamente noi tutti davanti a Dio siamo debitori di tutto, della vita …di tutto siamo debitori, e non
siamo capaci di perdonare gli spiccioli.
O si mette tutto nella logica del dono e del perdono, e allora si vive. O se si mette tutto nella logica del
debito, allora si uccide e sei ucciso; cioè uccidi te stesso.
Vediamo anche l’altro aspetto.
Adulterio e fedeltà
[27]
Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio. [28]Ma io vi dico: chiunque guarda una donna
per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore.
[29]
Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere
una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna. [30]E se la tua mano
destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue
membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geenna.
[31]
Fu pure detto: «Chi ripudia la propria moglie, le dia l'atto del ripudio». [32]Ma io vi dico: chiunque
ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all'adulterio, e chiunque sposa
una ripudiata, commette adulterio.
Brevemente anche su questa antitesi.
“Non commettere adulterio”… Là c’era il rapporto con l’altro, qui c’è il rapporto di coppia, il primo
rapporto di alterità, dove l’adulterio rende visibile che questa alterità fallisce. Nel rapporto di coppia si
realizza quello stesso rapporto che ciascuno di noi ha con Dio: rapporto di fedeltà, di comunione, di
perdono, di reciprocità. Praticamente si realizza la nostra immagine di Dio nel rapporto di coppia: uno
diventa dono all’altro e ogni differenza diventa accettazione non rivalità, diventa dono, fecondità; si fa
immagine di Dio.
Se la sessualità va intesa come possesso dell’uno sull’altro, siamo a rischio: si possiede l’uno, poi l’altro,
poi l’altro ancora; invece di essere nella logica del dono, si è nella logica del possesso. In questo discorso si
inserisce l’adulterio, che di per sé è il fallimento dell’uomo come immagine di Dio, cioè l’adultero non sa
amare di amore fedele come noi siamo amati di amore fedele.
L’altro giorno durante una celebrazione, dicevo che la fedeltà non è una legge per chi crede; la fedeltà è
un modo per manifestare e testimoniare la fedeltà di Dio.
Però bisogna crederci! Ecco perché mi chiedo, anche nei matrimoni che si celebrano in Chiesa: fino a che
punto c’è questa consapevolezza che il nostro amore è un Sacramento, è una testimonianza dell’amore di
Dio? La nostra fedeltà non è una legge da osservare, noi siamo fedeli l’un l’altro perché vogliamo
testimoniare la fedeltà di Dio!
A questo punto uno si domanda: ma quanti sono i matrimoni validi? C’è alla radice di ogni matrimonio
religioso questa consapevolezza? É radicale questo discorso: finché c’è il possesso, siamo a rischio!
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Gesù, anche qui, va alla radice.
Perché c’è l’adulterio? Per via del cuore, per via dell’occhio. Il problema è anche del cuore, del desiderio.
Quali sono i desideri del tuo cuore? Sono quelli di realizzare davvero un rapporto di alterità, lo stesso
rapporto di Dio, di dono? Il cuore puro vede Dio in tutte le cose e realizza il desiderio di Dio in tutte le cose,
principalmente nel rapporto di coppia. Io penso che una coppia veramente riuscita sia una delle più belle
pagine del Vangelo.
Vedete, non è che Gesù imponga una Legge ancora più dura: va alla radice anche di questo male che è
l’incapacità del rapporto fedele di coppia. E questa incapacità sta nel nostro cuore ed esige anche in questo
una decisione: controllare i desideri, custodire gli occhi. Ecco perché poi è meglio togliersi l’occhio e tagliarsi
la mano piuttosto che andare nella Geenna con due occhi e due mani.
Capisco che uno non deve mutilarsi, però è così importante la fedeltà, la fede … Infatti, ciò che abbiamo
deve servire per realizzare la vita, non per farci del male. Un conto è il possesso e un conto è una reciproca
appartenenza.
Anche qui tutto dipende dal cuore: se il cuore è un cuore padronale si esercita del possesso e allora non
ci siamo; se invece è un cuore animato dall’amore di un Dio che è appartenenza reciproca, che è relazione,
allora si avvera anche questa appartenenza reciproca tra uomo e donna.
Quindi il discorso di fondo non è che in queste antitesi Gesù voglia darci un'altra Legge: ci dà veramente
il cuore nuovo. É soltanto un cuore nuovo, che nasce dal Battesimo, che ci permette di vivere in pienezza la
Torah, la Legge.
Gesù viene a darci un cuore nuovo che è il cuore di figlio. Ci dà lo Spirito nuovo che ci permette di vivere
e di compiere non solo il comandamento formale di “Non uccidere” (questo mai!), ma il comandamento
sostanziale, che è quello dell’amore, della stima, della riconciliazione con l’altro.
Ci dà non solo il comandamento di “Non commettere adulterio”, ma che il matrimonio realizzi davvero la
reciproca appartenenza e la fedeltà, il dono totale e il perdono totale che Dio stesso ha nei nostri confronti.
É questo il dono che viene a farci Gesù anche con i testi letti. Non è da intendere come Legge, altrimenti era
meglio che tutto restasse come prima, invece ci dà il dono di una vita nuova.
Questa è una breve Lectio su questi versetti.
Inoltre: “É stato detto, ma ora io vi dico queste cose” Come credenti, come battezzati, noi abbiamo un
cuore nuovo, e, anche se si sbaglierà sempre, abbiamo la possibilità, abbiamo dentro le risorse per vivere
fino in fondo come Gesù ci ha insegnato.
∗ ∗ ∗
Trasposizione da audio-registrazione non rivista dall’autore
Nota: La trasposizione è alla lettera, gli errori di composizione, le ripetizioni sono dovuti alla differenza tra
la lingua parlata e la lingua scritta.
La punteggiatura è posizionata ad orecchio e a libera interpretazione del testo da parte di chi trascrive.
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