d`annunzio - la sera fiesolana

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d`annunzio - la sera fiesolana
La sera fiesolana, da Alcyone
La sera fiesolana è stata composta nell’estate del 1899, costituendo la prima
tessera della complessa struttura di Alcyone, la principale raccolta poetica
dannunziana che sarà pubblicata nel 1903.
L’itinerario del poeta (sia nella Sera che in tutta la raccolta) è al tempo stesso
fisico, lirico e “spirituale”: la sua poesia rievoca, con gusto letterario ed
arcaizzante, l’esperienza di San Francesco d’Assisi (che diventa anche
motivo per la scelta del genere della lauda) e il mondo dello Stilnovismo
trecentesco.
Lo stile del componimento si modella sul Cantico delle Creature, da cui si
riprende il motivo “Laudato si’, mi’ Signore”.
Metro
Tre strofe di quattordici versi con metri differenti (endecasillabi,
novenari, settenari, quinari, ma anche versi di dodici e tredici sillabe che, nella
scelta di D’Annunzio di ispirarsi alla prosodia greca, possono essere equiparati
a degli endecasillabi).
Dopo ogni strofa si trova una lauda in tre versi alla sera.
Il componimento è fitto di rime liberamente distribuite nel testo.
Le rime della lauda sono riprese negli ultimi versi della strofa
precedente.
La raffinata struttura metrica è poi movimentata da complessi giochi fonici e
ritmici (tra cui si individuano molte allitterazioni ed enjambements).
Ci sono anche allitterazioni ai vv.1-2 (Fresche…sera…sien…fruscio…fan…
foglie).
La ripetizione della preposizione "su" seguita dall’articolo, nella sequenza
descrittiva dei vv.22/30, ha lo scopo di riprodurre il ticchettio leggero
delle gocce di pioggia sulle piante.
Numerose assonanze e consonanze.
Fresche le mie parole ne la sera
ti sien come il fruscìo che fan le foglie
del gelso ne la man di chi le coglie
silenzioso e ancor s’attarda a l’opra lenta
su l’alta scala che s’annera
contro il fusto che s’inargenta
con le sue rame spoglie
mentre la Luna è prossima a le soglie
cerule e par che innanzi a sé distenda un velo
ove il nostro sogno si giace
e par che la campagna già si senta
da lei sommersa nel notturno gelo
e da lei beva la sperata pace
senza vederla.
Laudata sii pel tuo viso di perla,
o Sera, e pe’ tuoi grandi umidi occhi ove si tace
l’acqua del cielo!
Dolci le mie parole ne la sera
ti sien come la pioggia che bruiva
tepida e fuggitiva,
commiato lacrimoso de la primavera,
su i gelsi e su gli olmi e su le viti
e su i pini dai novelli rosei diti
che giocano con l’aura che si perde,
e su ’l grano che non è biondo ancóra
e non è verde,
e su ’l fieno che già patì la falce
e trascolora,
e su gli olivi, su i fratelli olivi
che fan di santità pallidi i clivi
e sorridenti.
Laudata sii per le tue vesti aulenti,
o Sera, e pel cinto che ti cinge come il salce
il fien che odora!
Io ti dirò verso quali reami
d’amor ci chiami il fiume, le cui fonti
eterne a l’ombra de gli antichi rami
parlano nel mistero sacro dei monti;
e ti dirò per qual segreto
le colline su i limpidi orizzonti
s’incùrvino come labbra che un divieto
chiuda, e perché la volontà di dire
le faccia belle
oltre ogni uman desire
e nel silenzio lor sempre novelle
consolatrici, sì che pare
che ogni sera l’anima le possa amare
d’amor più forte.
Laudata sii per la tua pura morte,
o Sera, e per l’attesa che in te fa palpitare
le prime stelle!
PARAFRASI
Le mie parole siano (ti sien) per te [il Poeta si rivolge alla donna amata
accanto a lui], nella sera, fresche (Fresche le mie parole: sinestesia, dato
uditivo per immagini visive) come (similitudine) il rumore che fanno le foglie
del gelso nelle mani dell’uomo che le coglie silenzioso attardandosi in questo
lavoro paziente (ancor s’attarda a l’opra lenta), la lunga scala appoggiata
all’albero appare sempre più scura (s'annera) e il tronco diventa argentato
(s'inargenta) alla luce della luna, con i suoi rami spogli (rame spoglie - l’uso
del femminile è toscano) mentre la Luna (personificata) è giunta quasi al
limite dell’orizzonte azzurro-pallido (le soglie cerule) e sembra che distenda un
velo [il chiarore della luna che sorge è come un velo, cioè un incanto,
qualcosa che. Invita il poeta e la donna all'abbandono del sogno;
l'immagine è impalpabile, indefinibile] dove il nostro sogno (l'illusione
amorosa equivalente alla “favola bella” della Pioggia nel pineto v.29) si
abbandona (giace) e sembra che la campagna si senta da lei (dalla luna)
sommersa nel fresco della notte (nel notturno gelo - richiama Dante, Inferno,
II, v.127) e da lei abbia il refrigerio tanto atteso (sperata pace) senza vederla
(perché non è ancora completamente sorta).
Tu (La Sera) sia lodata (Laudata sii: citazione dal Cantico di frate sole di San
Francesco) per il tuo viso di perla (personificazione: la luna è quasi una
Vergine duecentesca dal “viso di perla“) e per gli occhi umidi (pozzanghere)
dove si raccoglie silenziosa (si tace) l’acqua del cielo.
[La nuova strofa è in parallelo con la prima cambia solo l’apertura: Dolci
anziché Fresche]
Le mie parole ti siano dolci (Dolci le mie parole: sinestesia, gusto-udito)
nella sera come la pioggia che crepita leggera (la pioggia che bruiva cadendo
sul fogliame produce un lieve crepitio, bruiva è un francesismo scelto per la
valenza fonica) tiepida (tepida = perchè quasi estiva) e di breve durata
(fuggitiva), un addio tra le lacrime (commiato lacrimoso, è giugno la
primavera sta finendo) della primavera sui gelsi, sugli olmi e sulle viti e sui
nuovi aghi dei pini (i pini...diti = le gemme dei pini sono comparati a dita
umane) che giocano con la brezza che passa leggera e subito si dilegua (l'aura
che si perde) e sul grano che non è ancora giallo e maturo ma non è neppure
verde e acerbo (non è biondo- non è verde) e sul fieno falciato (patì la falce) e
ingiallisce seccando (trascolora) e sugli olivi, sui fratelli olivi (detti
francescanamente) che rendono i colli (clivi) di un colore pallido (simile al
pallore dei santi) e luminoso (sorridenti).
Lodata sii per i tuoi abiti odorosi (vesti aulenti = per i profumi che
sprigiona la natura), o Sera, e per la cintura che ti cinge (cinto che ti
cinge: allude alla linea dell'orizzonte che circonda il cielo) come
(similitudine) il ramo di salice cinge i fasci di fieno (il salce...fien) tagliato che
odora.
Io ti svelerò verso quali regni d’amore ci chiami l’Arno (il fiume) le cui sorgenti
perenni (eterne) tra piante antiche e ombrose (l’ombra degli antichi rami)
raccontano (parlano: si riferisce al mormorio delle sorgenti) nel mistero
sacro dei monti; e ti dirò per quale misteriosa ragione (per qual segreto) le
colline sullo sfondo del limpido orizzonte disegnano una curva che ricorda la
curva di labbra umane (s'incúrvino come labbra) impedite a parlare (un divieto
chiuda) ma nello stesso tempo animate da un’ansia di parlare (volontà di dire)
e di svelare il loro segreto che le rende belle al di là di ogni umano desiderio
(desire) e per coloro che le osservano, le colline recano un conforto sempre
nuovo (sempre novelle consolatrici), nel loro silenzio, così che sembra che ogni
sera l’anima le possa amare di un amore sempre più intenso.
Tu sia lodata per il tuo dileguarti nella notte che arriva (la tua pura morte), o
Sera, e per l'attesa (della notte) che susciti e che fa accendere in te le prime
stelle.
Note
1 La “lauda” è un genere poetico medievale, di tematica religiosa e carattere
popolare, con accompagnamento musicale; tendenzialmente, la “lauda” aveva
uno sviluppo lirico-narrativo. Uno degli esponenti maggiori di questo genere - e
della poesia religiosa del Medioevo - fu Jacopone da Todi (1233ca. - 1306), di
cui una delle “laude” più note è Donna de Paradiso.
2 Nell’antichità classica l’antifona (termine che nel latino tardo antiphōna, -ae
indica un suono che giunge in risposta di un altro) identifica un canto eseguito
a due voci; successivamente, nella liturgia cristiana, la voce è venuta a
identificare il canto preposto ad un salmo, per sottolinearne in maniera più
efficace il contenuto e il messaggio.
Verso 1 Fresche le mie parole: la sinestesia, unendo due sfere sensoriali
differenti (il tatto e l’udito) indica da subito come la poesia dannunziana di
Alcyone voglia sintetizzare l’esperienza di fusione con la Natura e
l’immersione totalizzante in un paesaggio sia fisico che letterario.
Versi 1 e 2 fresche le mie parole ne la sera ti sien come il fruscìo che fa
le foglie: evidente nei primi due versi della poesia l’attenzione di D’Annunzio
per la dimensione fonico-onomatopeica del suo testo (il nesso - fr - serve
appunto a riprodurre il rumore scricchiolante delle foglie del gelso,
mentre la sibiliante - s - replica il suono quasi impercettibile del vento tra i
rami).
Verso 3 chi le coglie silenzioso: si tratta di uno dei frequenti
enjambements della Sera fiesolana che, più che spezzare il ritmo del
discorso poetico, lo fanno distendere sulla misura ampia dei versi, come se
quello del poeta fosse un unico ed ininterrotto canto di lode alla meraviglia
del creato.
Verso 7 rame: toscanismo (che si sposa bene con l’ambientazione del canto)
per indicare, al femminile, i “rami” della pianta.
Versi 8-9 soglie cerule: si noti in questi versi (vv. 5-9) l’attenzione ai
colori, le ombre e le sfumature della scena e del momento della giornata:
stanno scendendo le tenebre, così che la prima luce lunare fa argentare i
tronchi dei gelsi (che di per sé sono già chiari) mentre l’orizzonte è ancora
illuminato dall’ultima luce del giorno, e trascolora verso l’azzurrino.
Verso 13 beva la sperata pace: nella metafora si paragona il calare della
notte, invocata dal poeta come condizione prediletta per il “sogno” (v. 10)
suo e dell’amata, con la soddisfazione della campagna di dissetarsi dopo
una calda giornata.
Verso 15 Laudata sii pel tuo viso di perla, o Sera: nell’apostrofe alla Sera
(che ritorna nelle antifone ai vv. 33-34 e 49-51), si può notare, oltre alla
personificazione e al recupero del modello francescano del Cantico delle
creature, anche una citazione dantesca, dalla canzone Donne ch’avete
intelletto d’amore (v. 47: "Color di pelle ha quasi [...]") testo fondamentale
della Vita nova e dello Stilnovismo.
Verso 21 La pioggia, che cade per poco tempo e quasi piacevole nel suo
tepore, è paragonata a una forma di commiato della Primavera, che
lacrima per l’addio imminente; in più si noti la similitudine tra le parole
del poeta che vuole siano fresche e la freschezza della pioggia
L’umanizzazione della Natura, già iniziata con la “Luna” (v. 8) nella prima
stanza, prosegue qui estendendosi alle stagioni e al paesaggio descritto nei
versi successivi.
Verso 23 È qui presente una tipica tecnica dello stile dannunziano:
l’elenco protratto di termini in polisindeto, spesso attinti da vocabolari
(anche settoriali o specialistici), per mostrare la ricchezza delle risorse della
propria poesia e la sua capacità di nobilitare con il verso ogni aspetto della
realtà. Il fine non è quello della rappresentazione realistica, ma quello
dell’evocazione di immagini da legare tra loro in maniera analogica.
Questo procedimento tornerà sia nella Pioggia nel pineto che in romanzi come
Il piacere o Il fuoco.
Verso 24 pini dai novelli rosei diti: altra personificazione di un elemento
naturale, le cui dita sono rosate poiché i germogli di colore chiaro.
Verso 29 fratelli olivi: in questa personificazione degli ulivi è chiara la
matrice francescana; l’ulivo è simbolo di pace, mentre l’aggettivo richiama il
Cantico delle creature o Cantico di Frate sole, dove si ringrazia Dio per “frate
vento” e “frate focu”.
Versi 30 e 31 che fan di santità pallidi i clivi e sorridenti: in questi versi si
può notare una anastrofe, che spezza l’ordine naturale della frase. Le colline
fiesolane appaiono “sante” perché ricoperte di ulivi, e “pallide” per i riflessi
argentati delle foglie delle piante.
Verso 33 pel cinto: la cintura che stringe la sera è quella dell’orizzonte,
cioè le “soglie cerule” dei vv. 8-9.
Verso 35 Io ti dirò: nell’ultima stanza prima dell’antifona conclusiva, il poetavate svela l’obiettivo del suo stesso canto; questo deve rivelare
(innanzitutto all’amata Ermione) il “mistero sacro” (v. 38) e il
“segreto” (v. 39) che si celano in quei luoghi - le colline fiesolane in
cui scorre l’Arno - così cariche di storia, di suggestioni letterarie e dei
valori eterni dello spirito.
Il recupero delle fonti francescane e stilnovistiche e la loro imitazione
virtuosistica da parte del poeta sono allora lo strumento per riaffermare la
capacità della propria poesia di celebrare la bellezza (come si dirà più
avanti ai vv. 42-44: “perché la volontà di dire | le faccia belle | oltre ogni
umano desire”) e consolare l’animo degli uomini (vv. 45-46: “[...] lor
sempre novelle | consolatrici”).
Commento
La sera fiesolana è il primo testo della raccolta Alcyone a essere composto
(1899) e presenta una sera di giugno, periodo del declino della primavera
e dell’inizio dell’estate.
Il poeta a Fiesole, vicino a Firenze, descrive il sopraggiungere quieto
della sera sulla campagna.
La sera e la natura rivestono il ruolo di protagoniste.
Non solo la sera è personificata in una creatura terrena, ma tutti gli
aspetti della natura evocati sono umanizzati, mentre la presenza
umana viene ridotta al minimo.
La sera è umanizzata e trasfigurata nella donna amata: “Laudata sii pel
tuo viso di perla, | o Sera, e pe’ tuoi grandi umidi occhi ove si tace | l’acqua del
cielo!” (vv-15-17).
Non si tratta di una poesia narrativa, ma sono presenti solo
accostamenti di immagini, di paesaggi e di piante che richiamano i temi
dannunziani dell’estasi amorosa, dell’immedesimazione dell’uomo con
le cose e con la natura, perché come afferma in un’intervista D’Annunzio
stesso “le cose non sono se non i simboli dei nostri sentimenti, ci aiutano a
scoprire il mistero che ciascuno di noi in sé chiude”.
Così la prima strofa si apre con una delle parole-chiave del componimento
“Fresche”, perché ciò che vuole comunicare il poeta è un’idea di
freschezza, di pace e dolcezza, simboleggiate dall’avvento della sera.
Nel lungo periodo della strofa D’Annunzio si rivolge a una donna, una
presenza femminile incorporea e ideale: “Fresche le mie parole ne la sera
| ti sien come il fruscìo che fan le foglie”. Evidente è, inoltre, tramite la figura
retorica della sinestesia, l’accostamento di due termini appartenenti a
due piani sensoriali diversi, “fresche” e “le mie parole”.
Lo stesso accade nella seconda strofa, che si apre con la parola-chiave
“dolci” (collegata nuovamente a “parole”), descrivendo poi nuovamente
un paesaggio di campagna e alberi.
Nella terza strofa invece il poeta evoca immagini fantastiche di paesi
remoti e misteriosi: “Io ti dirò verso quali reami | d’amor ci chiami il fiume,
le cui fonti | eterne a l’ombra de gli antichi rami | parlano nel mistero sacro dei
monti”. Sempre in quest’ultima strofa si trova una personificazione delle
colline fiesolane, che diventano labbra di donna pronte ad aprirsi per
rivelare un segreto.
Questo è il mistero della natura a cui il poeta anela e in cui si
abbandona, anche se manca ancora quel totale assorbimento e comunione
con la natura a cui si assiste nella Pioggia nel pineto.

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