Il Senato Usa sfida Bush
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Il Senato Usa sfida Bush
quotidiano comunista Anno XXXVII n. 76 euro 1,10 Venerdì 30 Marzo 2007 con il libro "é il 77" euro 8,90 in più | con Le Monde Diplomatique euro 1,00 in più | SPED. IN ABB. POST. - 45% ART.2 COMMA 20/BL 662/96 - ROMA ISSN 0025-2158 Francia al voto Televisione Corri sull’acqua Dopo i richiami all’identità nazionale torna il tema della sicurezza. E i sondaggi inondano la politica Il reality show scatena le polemiche, c’è chi lo vuole e chi no. Ma il format pervasivo perde ascolti Una sfida al Polo Nord per Francesco Galanzino, industriale, ambientalista e maratoneta estremo 3 Il salario dimenticato 17 18 Herat, giornalisti afghani del Protection Centere of Journalist in piazza per chiedere la liberazione di Adjmal. Foto Ap Galapagos P rodi vuole vincere le elezioni locali del 27 maggio. Ieri ha fatto annunciare il rimborso (imposto dalla Ue) dell’Iva sulle auto aziendali: un mare di soldi, 5,3 miliardi per tre anni). Mercoledì i suoi hanno imitato Berlusconi, con il taglio dell’Ici sulla prima casa. Tutto bene, salvo che Visco è stato costretto a ingoiare il boccone amaro della rinuncia alla riforma della tassazione delle rendite, decisa con la manovra per il 2007. La rinuncia a modificare e uniformare (al 20% l’aliquota) il regime di tassazione delle rendite finanziarie priva il fisco di risorse stimate - da Padoa Schioppa - in 1,2 miliardi per il 2007 e 2,5 miliardi a regime per gli anni successivi. Poca roba, visto l’entità della manovra correttiva che abbiamo subìto per mettere a posto i conti del 2007. Ma Prodi non se l’è sentita di dare un’altra stangatina ai contribuenti alla vigilia di elezioni: si è adeguato e ha rinunciato. La mancata riforma non è solo questione di minor gettito, di minore risorse disponibili. I dati sulle entrate fiscali nel 2006 e nei primi due mesi del 2007 indicano un fisco che scoppia di salute. Di più. Ieri è arrivata l’ennesima stima sull’evasione fiscale: un imponibile non tassato da 300 miliardi l’anno e un’evasione da 125-130 miliardi. Prima di aumentare di nuovo le tasse ci sarebbe un piatto ben più ricco. Ma la riforma di Visco aveva un fondamento morale, di equità: oggi chi prende due soldi di interessi dalla banca o dalle poste paga il 27% di ritenuta, mentre chi specula - l’esempio migliore sono «i furbetti del quartierino» - e incassa ricche plusvalenze, paga su queste solo il 12,5%. Molto meno di quanto pagano le imprese sugli utili o, sull’aliquota marginale, un lavoratore con 20 mila euro di retribuzione. Quanto al costo del lavoro, una ricerca Eurispes di ieri dice che in Italia è cresciuto, tra il 2000 e il 2005, molto meno della media Ue e che in Europa - secondo Eurostat - i salari nell’industria e nei servizi dell’Italia superano solo quelli di Grecia, Spagna e Portogallo. Ma ieri il commissario Almunia ha invitato l’Italia alla moderazione salariale, pur se la priorità è redistribuire i redditi: attraverso la spesa sociale, i salari e con il fisco. In quest’ottica, rinunciare alla riforma della tassazione delle rendite è una controriforma: una strizzata di occhio ai ceti medi, ma soprattutto medio-alti. E una marcia indietro. Per far ingoiare questo boccone amaro, il governo ha promesso che già da quest’anno ridurrà l’Ici sulla prima casa e introdurrà dei bonus fiscale per gli inquilini in affitto. I due provvedimenti dovrebbero raccogliere ampi consensi, anche elettorali. L’Ici non è amata. Anche perché, facendo riferimento ai valori catastali, penalizza chi vive in abitazioni costruite di recente. Insomma, va bene eliminarla; ottimo detassare gli affitti. Prodi però non può rimangiarsi quello che era scritto nel suo programma. Questo vale per i Dico come per la riforma delle rendite: l’aliquota unica va reintrodotta. Prodi ci ripensi: ammesso che oggi non scatti un «trappolone» sul voto di fiducia sul decreto sulle liberalizzazioni. note da lontano Se tace la sinistra della sinistra Rossana Rossanda a pagina 2 Sinistra PAGINA Karzai «deve parlare con i Taleban», come ha fatto l’Italia: rilasci due detenuti o altrimenti Adjmal Nashbandi, l’interprete di Mastrogiacomo, sarà ucciso. E’ la minaccia di mullah Dadullah, intervistato da Skytg24. Da ieri è a Kabul Rahmatullah Hanefi, il mediatore di Emergency. L’associazione di Gino Strada chiama a manifestare sabato a Roma per la liberazione di Adjmal e di Rahmatullah. A Herat intanto un nostro militare ferito in un attacco. PAGINA 5 l6 Mussi: addio al Pd Il Prc apre il cantiere Il Senato Usa sfida Bush Udc I senatori degli Stati uniti sfidano il veto presidenziale e approvano la legge che finanzia le missioni militari ma impone una data per il ritiro dei marines dall’Iraq. E’ ormai esplicito lo scontro tra il Congresso e la Casa Bianca PAGINA 4 PAGINA l8 Berlusconi e Casini, separati in casa Petruccioli cancella la Rai Norma Rangeri Il presidente della Rai ha fatto bingo, in una mossa sola ha cancellato la Rai. Claudio Petruccioli chiede al Cda del servizio pubblico di sottoscrivere un documento di indirizzo che esorta i direttori dei telegiornali a tenersi alla larga dagli indigesti panini che ogni giorno rifilano a milioni di teleutenti. E, in seconda battuta, invita i direttori di rete a cancellare dai palinsesti i reality show. Avrebbe fatto prima a dire che la Rai non c'è più e bisognerebbe reinventarla. Senza il «panino» non ci sarebbero i telegiornali per come li conosciamo. Senza i reality morirebbero i palinsesti di Rai e Mediaset. E la telenovela di vallettopoli non avrebbe quel formidabile cast di politici e soubrette che la tiene in cartellone. Se dai telegiornali si toglie la filastrocca quotidiana delle dichiarazioni degli esponenti di partitoni e partitini, crolla tutto il castello, svapora la lottizzazione, finisce la storia della triplicazione delle testate. Il Tg1, filogovernativo, il Tg3, filodiessino, il Tg2 filoFini non avrebbero ragione di esistere. E infatti il direttore del Tg1, Gianni Riotta, si tira fuori. Afferma che di «panini» non sa nulla e si mette all'occhiello le interviste al governatore della Banca d'Italia e al Presidente della Repubblica. Non chiamiamoli «panini», ma la teoria di figurine (da Pecoraro Scanio a Paolo Bonaiuti), servite a pranzo e a cena, non sono frutto di nostre allucinazioni. Più schietta la reazione del direttore del Tg3, Antonio Di Bella («sarà un processo lungo, non un cambiamento dall'oggi al domani»). L'informazione in tv è dettata, come le nomine, dagli equilibri politici e la spazio di libertà dal manuale Cencelli della notizia è una dura conquista. Di là da venire. Invece la cancellazione dei reality, in teoria, potrebbe essere tecnicamente una scelta semplice. Se non fosse che sono diventati l'architrave dei palinsesti. SEGUE A PAGINA 17 È ancora impresso. In edicola con il manifesto a 8,90 euro Per ordini diretti: [email protected] www.ilmanifesto.it www.manifestolibri.it il manifesto venerdì 30 marzo 2007 2 DIRETTORI mariuccia ciotta gabriele polo CAPOREDATTORI marco boccitto astrit dakli marina forti il manifesto coop editrice a r.l. REDAZIONE, AMMINISTRAZIONE, 00186 roma, via tomacelli 146 FAX 06 68719573, TEL. 06 687191 E-MAIL REDAZIONE [email protected] E-MAIL AMMINISTRAZIONE [email protected] SITO WEB www.ilmanifesto.it TELEFONO 06 68719.1 TELEFONI INTERNI SEGRETERIA 576, 579 | LETTERE 578 | AMMINISTRAZIONE 690 | ARCHIVIO 310 | POLITICA 530 | MONDO 520 | CULTURE 540 | TALPALIBRI 545 | VISIONI 550 | SOCIETÀ 588 | ECONOMIA 587 L’ Unione festeggia lo scampato pericolo, la Casa della libertà si divide dopo la gaffe colossale del cavaliere, l’Udc si vanta della sua prima sortita, la grande stampa esulta per il delinearsi di una maggioranza variabile che prefigura quella che vorrebbe invariabile. Il solo che non nasconde il malumore è il Capo dello stato che suggeriva sottovoce una bella unità nazionale. Prodi ha sperimentato per la prima volta una maggioranza diversa da quella in cui era nato senza rompere la medesima. La Margherita ha sperimentato che i fili tessuti col centro tengono. I Ds, che perseguono lo stesso disegno magari con una loro propria egemonia, hanno sperimentato che il 75% degli iscritti li segue. Il correntone ha sperimenato che resta più o meno allo stesso punto in un partito che non è più quello di dieci o venti anni fa, salvo il compulsivo votare di Emilia e Toscana ogni proposta del segretario, quale che essa sia. Bertinotti ha sperimentato la contestazione di un po’ di giovani politicamente approssimativi per lungo tempo accarezzati. E’ un percorso a direzione unica nel quale le due coalizioni ancora in campo si stanno accorgendo che uno spostamento al centro, con tagli delle ali di destra e sinistra, si può realizzare meglio per scivolamenti ed erosioni successive che tornando alle urne. Berlusconi è più debole di quando non fosse all’indomani del voto. Ma è più debole anche quel 13% della coalizione vincente che era fuori dall’Ulivo e non sarà rappresentato dal futuro partito democratico. E che finora ha preferito tessere con il presidente del consiglio, Rifondazione per prima, accordi, per così dire, ragionevoli e privati, invece che cercar di diventare una forza del 13%, e non una sommatoria di sigle che non si parlano. Ma non si regge a lungo su una condizione puramente, oltre che stentatamente, numerica - della serie «senza di noi non ce la fanno». Tentano di farcela «senza di noi» tutti, salvo forse Prodi, più per una sua onestà di carattere e per qualche diffidenza sia verso Rutelli sia verso Fassino, che per amore di unità a sinistra. Da martedì dunque la sinistra della sinistra è costretta a parlarsi. E si mandano più o meno vaghi segni di apertura. Il più disponibile a ridiscutere sembra Bertinotti, per quanto la funzione di presidente lavoro politico MILANO via pindemonte, 2 20129 milano TELEFONO 02 77396.1 AMMINISTRAZIONE 210 | REDAZIONE 240 | FAX 02/7739.6261 FIRENZE via maragliano, 31a TELEFONO REDAZIONE 055 363263 FAX 055 354634 NAPOLI vico s. pietro a majella, 6 TELEFONO REDAZIONE 081 4420782 [email protected] iscritto al n.13812 del registro stampa del tribunale di roma autorizzazione a giornale murale registro tribunale di roma n.13812 POLITICA micaela bongi ECONOMIA antonio sciotto SOCIETÀ angelo mastrandrea MONDO roberto zanini CULTURA benedetto vecchi VISIONI arianna di genova ABBONAMENTI POSTALI PER L’ITALIA STAMPA annuo euro 200 semestrale euro 103 i versamenti c/c n.00708016 intestato a “il manifesto” via tomacelli 146, 00186 roma copie arretrate tel. 06/39745482 [email protected] litosud Srl via Carlo Pesenti 130, Roma litosud Srl 20060 Pessano Con Bornago (MI), via aldo moro 4 sts catania DIREZIONE GENERALE 00186 roma via tomacelli 146 | tel. 06 68896911 | fax 06 68308332 | E-MAIL [email protected] | SEDE MILANO: 20129, via pindemonte 2 | tel. 02 76016293 fax 02 76312360 CONCESSIONARIA ESCLUSIVA PUBBLICITÀ poster pubblicità srl | SEDE LEGALE, TARIFFE DELLE INSERZIONI PUBBLICITÀ COMMERCIALE note da lontano 12. Rossana Rossanda Intervenire della Camera glielo consenta, e avendo dovuto dismettere la speranza che attorno a Rifondazione si formasse un coordinamento vero e di qualche spessore, invece che una somma di gruppi e frammenti parlamentari ciascuno forzato a convivere. Non che le altre sigle si siano invece appassionate a darsi una piattaforma comune. Adesso che il ricatto «se cade questa maggioranza arriva Berlusconi» sta venendo meno, nessuno è protetto più dalle impossibilità. Bisogna scoprire le carte. Quali carte? L’Unione si è basata su un programma prolisso che eludeva molti scogli. La necessità di raccogliere tutti i voti in giro pur di metter fuori Berlusconi ha indotto a rilevare i punti comuni e trascurare le discriminanti, invece che affrontarle e cercare un punto alto di mediazione. I punti comuni, o forse il punto comune, era metter fine a una manomissione personale e di gruppo delle leggi e delle leve di decisione, che è stato il collante delcentrodestra, al perseguimento di interessi privati, al disprezzo per la divisione dei poteri. E, buon ultimo, esprimere l’intenzione di rendere meno iniquo, senza altre precisioni, il rapporto fra poteri economici e lavoratori. Nonché una politica estera che esprimesse un rifiuto della guerra, simbolizzato dal ritiro del nostro contingente dall’Iraq. Su questi due ultimi punti, il programma è stato particolarmente reticente, perché assai moderate sono le posizioni della Margherita e della maggioranza dei Ds, ed esitanti i sindacati, eccezion fatta per la Fiom. L’approfondimento è stato nullo. In tema di situazione internazionale, quando si è formata l’Unione, nessuno sembra aver pensato che Bush avrebbe tirato dritto, anzi sarebbe andato a un’escalation della guerra in Medioriente, contro le posizioni del Congresso, e ora anche del Senato. In queste settimane, l’escalation è diventata un rischiatutto. Se un anno fa era in fibrillazione soprattutto l’Iraq, ora è altissima la tensione anche in Afganistan e non si può escludere che Bush punti a un incendio anche in Iran. Negli Usa parlano i democratici, che non sono certo estremisti, lo denuncia Brzesinski, ma l’Unione è muta. E quando D’Alema tenta una mossa, certo non eccessiva, ne è impedito e non solo dal Dipartimento di stato. Più grave, nella perpetua dicussione sui numeri al Senato e le manovre delle parti per tenere in piedi o per battere il governo, non c’è alcuna discussione nel merito. Né al parlamento né, che si sappia, nelle sinistre alla sinistra dell’Ulivo. Il massimo dell’assurdo s’è raggiunto sull’Afghanistan dove quella italiana continua a definirsi missione di pace anche se l’infittirsi degli scontri rende qualsiasi missione di pace sempre meno praticabile. Con il pretesto, non del tutto infondato, di proteggere «i nostri ragazzi» se la loro diventa zona di guer- Carla Casalini Il salario che preoccupa i delegati metalmeccanici Tutta l’attenzione, a parte le cartografie mutevoli nella sinistra, e nel centro-centro, sembra attirata dalla calamita dei «tavoli di concertazione», dove effettivamente i sindacati avranno non pochi problemi a ’trattare’ con gli imprenditori, ma anche con il governo di centro-sinistra, sulle pensioni, i diritti sociali, le condizioni del lavoro. Un governo e una maggioranza che per altro si apprestano a far passare, con l’ennesima fiducia al senato, le «liberalizzazioni» targate Bersani (c’è di mezzo anche la Tav) e hanno di fronte a sé lo scoglio incombente del Disegno di legge Lanzillotta sui «servizi pubblici locali» - ossia sulla loro privatizzazione - sul quale rischiano di infrangersi spezzandosi. In questa selva di appuntamenti speranze e timori, sembra derubricato dalla ribalta degli «eventi», il contratto nazionale dei metalmeccanici che scade a fine giugno ma per il quale i tre sindacati Fim, Fiom, Uilm stanno tentando di mettere insieme una piattaforma comune, su una strada resa impervia anche da molte ragioni di «contesto» politico, in primis le scelte di questo governo, unitamente alla sua debolezza che funziona da ricatto implicito su movimenti e attori sociali. Le segretarie nazionali dei tre sindacati metalmeccanici si rivedranno il 2 aprile per discutere ancora della piattaforma, ed è a loro che si rivolge l’appello di lavoratori e delegati partito da Modena, che ora alle prime firme ne sta aggiungendo altre allargando l’arco di adesioni nella regione: rispondono sia rsu che singoli delegati, moltissimi della Fiom, ma ci sono anche iscritti a Fim e Uilm. Il punto significativo però non è tanto la conta di chi e da dove, bensì piuttosto il merito che suscita la «perplessità e preoccupazione» dei firmatari, perché quel merito tocca pesantemente tutti gli uomini e le donne al lavoro nelle aziende metalmeccaniche: il problema è infatti il salario esiguo, insufficiente, che i sindacati prevedono nella piattaforma. Fim, Fiom, Uilm pare stiano avvicinando le proprie posizioni su questioni cruciali come l’ambiente, ossia la sicurezza sul lavoro. Così come si annuncia una buona piattaforma comune per quanto riguarda il lavoro precario: vincolata e limitata, però, dalle politiche del governo di centrosinistra. Il fatto che non sia stata «cancellata» ma neppure «superata» la legge 30 del governo Berlusconi (detta «legge Biagi» dal centrodestra), riduce infatti la possibilità dell’agire sindacale e ra, sono state affacciate nuove «regole di ingaggio» - in parole povere, combattere - e la necessità di fornire i mezzi relativi. La sommarietà è da tutte le parti: forse che per essere stata avallata l’impresa di Bush dall’Onu e per stare sotto il comando Nato, si è obbligati a seguirla? Com’è che la Francia non la segue, non ha un solo uomo in Afghanistan, e non succede niente di catastrofico? Né il governo né i pacifisti dicono tutta la verità su quello cui ci obbliga o non ci obbliga il far parte della Nato, dentro alla quale l’art. 5 permetterebbe assai più libertà che non si creda. Una politica estera di relativa autonomia si potrebbe avere, e un intervento pubblico simile a quello che regge da solo Gino Strada, sarebbe moralmente urgente quanto il ritiro delle truppe. Che pensa la sinistra della sinistra sul punto in cui siamo? Che dirà, che direbbe alla conferenza di pace, se ci sarà? Lo stesso vale per il conflitto israelopalestinese, dove non si profila un passo avanti rispetto a Condoleezza Rice, che punta manifestamente a riaccendere il conflitto fra Hamas e Al Fatah. E per il voto del Consiglio di sicurezza sull’Iran, stupidissima prova di forza che riunifica un Iran che in atto di dividersi sulle follie di Ahmadinejad? Non è detto che passerebbe, ma un’analisi, una previsione e una proposta di intervento serio la dovremmo avere. Ieri Prodi ha detto che se sulla politica estera la maggioranza co- molto conforta le pratiche padronali. Ma il salario resta punto di divisione tra i sindacati, e punto dolentissimo per i lavoratori: tanto che, nell’appello dei delegati modenesi si giudica del tutto insufficiente anche la proposta più alta, quella della Fiom, che propone un aumento di 130 euro (più 20 di aumento dell’istituto di mancato premio), mentre la Uil si attesta su 122 euro (più 30) e la Fim sui 100 euro. Il problema è però, prima di tutto, come si traducono questi numeri in salario concreto? Se infatti, ad esempio, i 100 o più euro di aumento si riferissero al salario dei lavoratori collocati al V livello (e al momento sul punto non c’è accordo tra i sindacati) questo significa un aumento a scendere lungo i livelli più bassi. Nell’ultimo contratto, ad esempio, l’aumento per chi si trova al III livello fu di soli 86 euro - e i lavoratori lo inghiottirono con amarezza. Non pare si possa ripetere l’esperienza, anche perché nel secondo, terzo e quarto livello si raccoglie quasi il 50 per cento di tutti i metalmeccanici. Ma sul salario c’è anche un’altra richiesta pressante da molti luoghi di lavoro, perché ci siano «aumenti egualitari». Quantità e qualità, dunque. Senza dimenticare l’altra «preoccupazione» che si concentra sulla flessibilità degli orari: «ce n’è già troppa». Ma anche su questo tema incombono sia i desideri degli imprenditori, che l’inclinazione del governo ai «tavoli». CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE PRESIDENTE valentino parlato AMM.DEL. emanuele bevilacqua CONSIGLIERI guglielmo di zenzo| francesco mandarini|lorenzo roffinella|maria giovanna zanali. euro 368 a modulo (mm 50x26), EDIZIONE LOCALE euro 152 a modulo CINEMA EDIZIONE LOCALE euro 105 a modulo, PUBBLICITÀ FINANZIARIA, REDAZIONALE, ASTE, APPALTI euro 307 a modulo LEGALE euro 380 a modulo EDIZIONE LOCALE euro 185 a modulo FINESTRA DI PRIMA PAGINA euro 3.780 formato mm 72 x 89, formato pagina intera mm 325 x 460 POSIZIONE DI RIGORE più 20%, formato DOPPIA PAGINA: mm 670x460. tel. 06 39745482 | fax 06 39762130 certificato n. 5981 del 04-12-2006 DIFFUSIONE, CONTABILITÀ. RIVENDITE, ABBONAMENTI: reds, rete europea distribuzione e servizi, viale bastioni michelangelo 5/a 00192, roma | nosce dei conflitti, «sul sociale è unita». Ma davvero? Precarietà, pensioni e sviluppo sostenibile dipendono strettamente dal movimento dei capitali, protetto fino ad ora dai trattati dell’Unione europea, sui quali sicuramente non c’è accordo nella maggioranza di governo. C’è qualcuno che intende mettere sul tavolo il dossier nella sua interezza, e non solo davanti alla Confindustria ma davanti a noi stessi? Il silenzio della sinistra della sinistra nei vuoti festeggiamenti del cinquantenario europeo è stato impressionante. Siamo di fronte a una crisi sociale neanche tanto strisciante, ma né le regole della Banca centrale né il trattato di Maastricht né il patto di stabilità sono stati esaminati nella loro effettività, nelle loro difficoltà, negli spiragli che si aprono davanti alle turbolenze dell’occupazione. E’ un terreno sul quale il silenzio o le misure parziali e abborracciate hanno finora prevalso, e sulle quali l’«antagonismo» sembra soltanto ridursi agli slogan. Una continua concessione alle manifestazioni ultime e inefficaci di protesta accompagna una sostanziale indifferenza o rassegnazione. Quando sento dire: a me parole come anticapitalismo non interessano, mi vengono in mente i diciottenni italiani del 1939: ma a me la guerra non interessa. Come se fosse un optional. Una piattaforma che contrasti la deriva centrista va formata. Senza questa non prenderà corpo nessuna alternativa. E senza qualche forma di organizzazione non avrà gambe. Non basterà a definire il che cosa e il come l’incontro di stati maggiori, che finora hanno difeso un patriottismo di sigla e si sono separati uno dall’altro. Quanto alla partecipazione di chi è estraneo agli stati maggiori è tutta da inventare. Ma c’è una cogenza delle relazioni internazionali e del rapporto di forze sociali, come sono venuti strutturandosi negli ultimi due decenni, cui non si sfugge. E la cui dimensione non viene intaccata neanche dalla più grande manifestazione di protesta. Occorre un programma e, come si diceva una volta, una strategia. Parola fastidiosa e bellicosa, ma il conflitto è il conflitto. Questa è la mia persuasione. Non è quella di tutti coloro che non sopportavano Berlusconi né di tutti quelli che il partito democratico non incanta. Ci sono due posizioni rilevanti che considerano tiratura prevista 91.000 finita ogni potenzialità di una forma politica, più o meno collettiva e organizzata. La prima è quella di Marco Revelli, che ritiene inutile qualsiasi coordinamento politico in qualche modo organizzato perché, per quante correzioni e distacchi si proponga, deriverebbe dalla tradizione dei partiti del secolo scorso, interamente da rigettare. E non solo per la rigidità del metodo o dell’errore delle scelte concrete compiute: il farsi «corpo politico» dell’espressione diretta dei bisogni, materiali e immateriali, della gente non può che portare a ipostasi burocratico-produttiviste-belliche. E’ anche l’opinione di quella parte dei movimenti, che aveva sperato di trovare qualche cinghia di trasmissione diretta in questo o quel partito, e delusa, li considera tutti ceto politico che mira solo alla propria riproduzione. In verità Revelli punta più alto, non si illude su una spontaneità della società civile come sembra in alcune sue recenti polemiche: punta a quella che una volta ha chiamato una «cristianizzazione» delle relazioni, un lento e profondo rivolgimento delle culture della modernità basate sull’homo faber, da cui sarebbero derivati tutti gli erramenti del ’900. L’altra posizione viene dal pensiero di Antonio Negri e riflette di Marx la persuasione della creatività del capitale che nel crescere forma i suoi soggetti «antagonisti», oggi non più un proletariato reso desueto dalle tecnologie ma, nei suoi punti più avanzati, figure sociali alte, entrate in possesso della tecnica, accanto a moltitudini che portano in sé un bisogno di eversione o sovversione, se non rivoluzione, che ogni rappresentanza falsifica e azzera. Per ambedue le posizioni, la globalizzazione liberista non può essere né elusa né affrontata da una «politica», essa produce da sé e al suo interno i suoi puntuali, interessanti e plurali anticorpi. In questo quadro politico e culturale in mutazione, dove si colloca il manifesto? Assiste o interviene? Nel suo ennesimo e difficile passaggio finanziario e nell’obbligo di riconoscere, ogni narcisismo messo da parte, che non è riuscito a superare in 35 anni la barriera delle 30.000 copie, a un costo impossibile e in un progressivo perdere di peso sulla scena politica, a chi parlare e che cosa proporre è una decisione che il giornale deve prendere. Non fra un paio di anni, ma oggi. [email protected] L’antenna benedetta Caro manifesto, sono rimasta sbalordita scoprendo che oramai sono le compagnie telefoniche a finanziare le comunità religiose. Nella città di Terni, il parroco della chiesa di San Francesco ha deciso di offrire l'altura del suo campanile, nel pieno centro storico della città, alla Telecom per l’installazione di un «ripetitore» per la telefonia mobile. Trovandosi la chiesa nell’immediata prossimità di almeno tre scuole (un liceo, una scuola media e una elementare), insegnanti, genitori e parte della cittadinanza hanno protestato apertamente per le conseguenze, sulla salute dei ragazzi, dell'emissione continua di onde elettromagnetiche - oltre che per un intervento che deturpa un'opera d'arte risalente al Duecento - ma non sono riusciti a ottenere alcun chiarimento se non quello relativo alla cifra che la chiesa riceverà da Telecom per questo servizio: circa 15 mila euro al mese. Nonostante lo scorso 27 febbraio sia stata anche presentata al comune di Terni una petizione contro l'installazione dell'antenna, con apposte parecchie centinaia di firme, la Telecom ha già DIR. AMM. guglielmo di zenzo DIR. TECNICO claudio albertini DIR. RESPONSABILE sandro medici iniziato a montare il marchingegno che presto svetterà sul centro storico della città, oltre che sulle teste di centinaia di ragazzi. La raccolta delle firme sta continuando, nell'intenzione di presentare una nuova petizione, ma a oggi né da parte del comune, né da parte della parrocchia è giunta alcuna risposta. Ancora una volta gli interessi del potere politico e di quello religioso si sovrappongono perfettamente. Ancora una volta a farne le spese sarà la salute dei tanti ragazzi che dovrebbero invece rappresentare il futuro stesso di queste (e spero anche di altre) comunità. Claudia Bartolucci Auguri sui generis Mi chiedevo cosa regalare a un compagno-ingegnere, nonché fratello, nel giorno della discussione della tesi. E il modo migliore per farteli è tramite questo giornale che più volte ci ha fatto discutere sulla politica e sul concetto di democrazia. E anche se credi «che un libro vietato in un vecchio paese significa infinitamente di più di miliardi di parole vomitate dalle nostre università» (Milan Kundera) non posso esimermi dal complimentarmi per questo traguardo raggiunto da un ormai «ingegnere sui generis»! Auguri Karmine! Gianni D'Errico Il pane nero di Carosio Circa il ricordo di Nicolò Carosio, comparso martedì sulla pagina dello sport a firma di chi scrive, il fatto che il Secolo d'Italia («Carosio un compagno che ha sbagliato» di Carlo Gambescia) lo sbatta in prima pagina dopo averlo distorto e stravolto solo per simulare un caso di revisionismo, questo, in sé, non sarebbe affatto sorprendente. E' invece molto sorprendente che un vistoso e anonimo box su Repubblica di ieri («Secolo e manifesto, un derby su Carosio») affermi, fuori dalle virgolette, e dunque, per così dire, di propria farina: «Il quotidiano comunista infatti ha dimenticato di quella volta che il mitico cronista diede del 'negraccio' a un guardialinee etiope ai Mondiali del Messico». Proprio su quell'incredibile episodio concludeva, viceversa, l'articolo del manifesto. Anche a Repubblica dovrebbe essere noto che l'assenza totale di filologia (e cioè di un minimo controllo delle fonti) è la farina con cui si impasta il pane (nero) del revisionismo. Massimo Raffaeli il manifesto venerdì 30 marzo 2007 La Francia verso l’Eliseo Dall’identità nazionale all’arresto dei nonni sans papiers davanti alle scuole François Bayrou In base all’ultimo sondaggio il candidato centrista alle presidenziali è in crescita di 3 punti e si attesta al 20%. Jean-Marie Le Pen invece scende dal 13 al 12% Ségolène Royal La candidata socialista ora viene data al 27%, a un solo punto da Sarkozy. A sinistra il trotzkista Besancenot avrebbe invece il 4,5%. Arlette Laguiller di Lutte ouvriere al 3% Nicolas Sarkozy Secondo le ultime rilevazioni il leader dell’Ump perde consensi a destra e scende al 28%. Tutti i sondaggi continuano comunque a darlo favorito in caso di ballottaggio con Ségolène Voilà, la sicurezza è tornata Anna Maria Merlo Parigi E voilà che, dopo l’identità nazionale, la sicurezza fa irruzione nella campagna elettorale. Due temi portatori di voti a destra e all’estrema destra. Dopo i fatti della gare du Nord, in un comunicato Jean-Marie Le Pen ha predetto ieri agli altri candidati «un risveglio doloroso» al primo e al secondo turno. Il 2007 come il 2002? Sarkozy gioca questa carta, sperando di recuperare voti all’estrema destra. «Noi dovremmo avere i sans papiers, le imprese in deficit, la gente che froda e dire ancora grazie? - ha affermato in un incontro nella regione Nord io ho bisogno della Francia silenziosa, immensamente maggioritaria e che dice: adesso basta». Uno dei suoi portavoce, il deputato Patrick Devedjian, sottolinea con soddisfazione che «la sicurezza torna al centro del dibattito». Ma questa tesi non è del tutto confermata dalla prima parte degli avvenimenti di martedì sera alla gare du Nord e tanto meno dalla mobilitazione dei genitori e degli insegnanti, che oggi pomeriggio organizzano una manifestazione a Parigi di sostegno a Valérie Boukobza, la direttrice della scuola materna della rue Rampal nel XIX arrondissement, che è stata fermata alcune ore venerdì scorso per aver protetto, aprendo le porte della scuola, bambini e genitori dai gas lacrimogeni lanciati dalla polizia di fronte all’istituto in occasione dell’arresto del nonno di uno degli scolari, un sans papiers di origine cinese. Martedì pomeriggio, alla gare du Nord, gli avvenimenti hanno avuto due fasi ben distinte. Dopo che, verso le 16,15 un uomo di 33 anni viene fermato dagli agenti della Ratp senza biglietto del métro e risponde dando un colpo di testa a un agente per scappare, ma viene placcato a terra con violenza, dei passeggeri protestano spontaneamente per il modo con cui è stato fermato (per la legge, viaggiare senza bi- glietto è un’infrazione, non un crimine, prevede una multa, non l’arresto). I poliziotti accorrono. Qualcuno comincia a urlare: «Liberatelo». Poi la situazione degenera e qui ha inizio la seconda fase dell’avvenimento, del tutto diversa dalla prima. Fino alle 23,30, scontri tra qualche centinaio di giovani e le forze dell’ordine, sempre più numerose, Dopo gli scontri alla gare du Nord, protagonisti i viaggiatori esasperati per i modi violenti della polizia, un altro tema caro alla destra riaccende i toni della campagna elettorale «Immaginiamo la Francia del futuro», recita lo striscione che campeggia sullo schieramento di poliziotti nelle strade di Parigi Caso Hoekelet Senza biglietto, non «irregolare» Il viaggiatore senza biglietto all’origine dei disordini di martedì alla gare du Nord di Parigi non sarebbe un «irregolare» con precedenti penali. A smentire le dichiarazioni del ministro dell’interno François Baroin è l’avvocato di Angelo Hoekelet, il congolese di 32 anni comparso ieri in tribunale per rispondere dell’accusa di «minacce e violenze contro un pubblico ufficiale». Secondo il legale l’uomo avrebbe ritirato il 5 aprile un permesso di soggiorno che gli era già stato accordato. Sarebbe regolarmente entrato in Francia per effetto di un ricongiungimento familiare. L’avvocato ha ottenuto dalla corte un rinvio al 2 maggio. gas lacrimogeni, insulti a Sarkozy. Un gruppetto, armato di barre di ferro trovate sul posto, attacca un negozio Foot Locker e lo svaligia. Tredici persone, di cui cinque minorenni, sono state fermate. Nove agenti sono stati feriti leggermente. Così racconta i fatti un testimone: «Io passo alla gare du Nord tutte le sere e martedì non erano dei giovani che hanno provocato questi avvenimenti. C’erano degli anziani, dei giovani, dei quarantenni, dei ben vestiti, dei bianchi, dei neri. Del resto, l’uomo fermato, con una violenza assolutamente condannabile, aveva 33 anni. La gente si è opposta alla sua polizia credendo di avere a che fare con un arresto abusivo. Mi è stato detto che un ragazzino era stato picchiato dai poliziotti. Questo fatto ha luogo dopo i rastrellamenti di fronte alle scuole che hanno molto colpito la popolazione. C’era folla, i poliziotti erano dappertutto, minacciosi, e quando hanno cominciato a disperderci, i più duri e i casseurs sono rimasti. Io sono andato via, non ho visto la fine. Ma era una manifestazione sponta- Nel paese campione dei sondaggi Gli istituti demoscopici ormai «fanno la notizia» con i dati quotidiani sui candidati. Sono ricchi e potenti, legati al grande capitale. Ma la loro attendibilità è messa sempre più in questione A. M. M. Parigi Sarkozy perde tre punti, Royal e Bayrou ne guadagnano tre ciascuno. È l’ultimo sondaggio, che conferma il testa-a-testa tra il candidato dell’Ump e la rivale socialista. La Francia è il paese campione dei sondaggi: se ne fanno in media tre al giorno (quelli politici rappresentano solo il 15% del fatturato, ma servono da vetrina per gli istituti demoscopici). E’ un mercato da circa 800 milioni di euro l’anno – ma nel 2002 Jacques Chirac e Lionel Jospin avevano speso 580mila e 630mila euro (cifre da raddoppiare aggiungendo gli investimenti ufficiali di Eliseo e Matignon per sondare l’opinione pubblica). Sarkozy, candidato dell’Ump, da ministro degli interni (cioè fino a lunedì scorso) ha commissionato a un istituto – l’Ifop, che è di proprietà di Laurence Parisot, presidentessa del Medef, la Confindustria francese –600.000 euro di sondaggi qualitativi. Come ad ogni elezione, i sondaggi sono nel mirino. Ieri, questo argomento è stato investito dal centrista François Bayrou. Un suo collaboratore, Hervé Morin, parla di «cifre distorte, truccate». Per Morin, «attraverso i sondaggi si cerca di creare l’avvenimento, di essere in prima pagina». La Commissione statale ad hoc invita alla «prudenza» nelle interpretazioni, dopo aver apertamente criticato due sondaggi che non hanno rispettato le norme convenute (è stata testata l’ipotesi di un ballottaggio Bayrou-Sarkozy e Bayrou-Royal – con Bayrou vincente nei due casi – ma nessun sondaggio permette di dire che Bayrou sarà presente al secondo turno). L’alchimia dei sondaggi resta un segreto di fabbricazione: ma qualcosa sta filtrando, e non è rassicurante. Per esempio, pare che il 30-50% dei francesi interrogati (su una base media di mille persone) rifiuti di rispondere. Inoltre, i sondaggi vengono realizzati solo via telefono fisso: ma ormai un terzo dei francesi – i più giovani, i più poveri – hanno solo il cellulare e quindi sono esclusi d’ufficio. Infine, c’è la «ponderazione» dei risultati. Per esempio, Jean-Marie Le Pen è sempre molto basso nei sondaggi. Ma gli istituti lo «raddrizzano» sulla base di un coefficiente ricavato dal «ricordo del voto» in precedenti elezioni e dai risultati reali in quelle stesse elezioni. Così, calcola Le Canard Enchainé rispetto a un sondaggio Ipsos del 16 marzo, mentre 38 persone su 1193 hanno risposto di voler votare Le Pen, alla fine il termometro ha dato il candidato del Fn al 16,6%: la cifra grezza è stata moltiplicata per un coefficiente pari a 3,278, che ha gonfiato i 38 lepenisti a 125. Il Canard cita il famoso demografo Alfred Sauvy: «In ogni statistica, l’inesattezza del numero è compensata dalla precisione dei decimali». Gli istituti si difendono: «Cosa significherebbe la pubblicazione di dati grezzi, che sappiamo fallaci?» – scrivono Roland Cayrol e Stéphane Rozès dell’istituto Csa. «Far credere che Le Pen otterrebbe meno voti del suo livello reale? Far credere che un altro candidato ne otterrebbe di più? No: questa richiesta mira, a screditare i sondatori, lasciando credere che manipolano i dati. Al contrario, noi rivendichiamo pienamente questo lavoro di natura scientifica sui dati». I principali istituti che operano in Francia sono in mano a grossi capitali: oltre a Ifop della presidente del Medef, Sofres è filiale del numero due mondiale del settore (Tns, inglese); Ipsos è il numero sei mondiale, con finanzieri del calibro di Pinault; Csa è di Lagardère, amico di Sarkozy e padrone di Havas, di una tv e di free press, Bva ha nel capitale Rothschild; solo Lh2 è un’impresa di medie dimensioni. nea, non una rivolta. Tutto ciò è una buona illustrazione della Francia di Sarkozy, dove si montano gli uni contro gli altri. Un bel clima di odio, irrispettoso, che questo governo di piromani ha ampiamente contribuito a generare. Una Francia dove dei tranquilli viaggiatori si oppongono alla propria polizia, dove la minima scintilla può accendere un’insurrezione». Certo, non tutti i commenti sui siti dei giornali sono su questo tono :molti rivelano sentimenti di esaperazione contro «i giovani» delle banlieues. Ma la reazione di fronte alla scuola e quella dei normali viaggiatori della gare du Nord che percorrevano i corridioi che portano a varie linee del métro e alla Rer (Rete express urbana) segnalano una frattura tra una parte sempre più consistente della popolazione e la propria polizia. La stessa indignazione che ha avuto luogo di fronte alla scuola di rue Rampal e che esprime il Resf (Rete educazione senza frontiere), un’associazioine che aiuta le famiglie sans paiers dei bambini scolarizzati in Francia. «Abbiamo rispetto per la legge commenta una mamma - ma ci sono momenti in cui bisogna saper disobbedire alla regola». Per «umanità», semplicemente, per «solidarietà», in nome di un «atto cittadino». In tutte le scuole materne e elementari di Parigi, direttori e insegnanti hanno firmato un comunicato di solidarietà con la direttrice della rue Rampal. Le associazioni confermano «un clima molto reattivo», come afferma Jean-Pierre Dubois, presidente della Lega dei diritti dell’uomo. «La gente non ne può più di uno stato dello spirito centrato sul kärcher e sulla feccia», aggiunge. «C’è una presa di coscienza che non si può fare qualunque cosa, come i mini-rastrellamenti di sans papiers che si moltiplicano», dice Pierre Cordelier, portavoce del Resf. «Della gente che finora non si era mai preoccupata della sorte dei sans papiers si dice: come è possiobile che una cosa del genere succeda in Francia?», afferma. Persino i sindacati dei poliziotti sono preoccupati per la sfiducia che ormai regna tra la popolazione, specie la più povera, e le forze dell’ordine. Alcuni criticano velatamente la politica seguita finora dall’ormai ex ministro degli interni, Nicolas Sarkozy. Ma il suo giovane successore, François Baroin, mercoledì si è recato alla gare du Nord per affermare che continuerà sulle linea del suo predecessore. Il problema è che i politici che si oppongono a Sarkozy hanno reagito solo alla seconda parte degli avvenimenti della gare du Nord, senza dire una parola sulle prese di posizione dei cittadini, sulla protesta che cresce contro la repressione. «Ci battiamo - dice un insegnante ma abbiamo paura di non venire ascoltati». Certo, Ségolène Royal ha commentato: «Evidentemente i viaggiatori devono pagare il biglietto, ma che un semplice controllo possa degenerare in uno scontro così violento è la prova che qualcosa proprio non va». Visto che questo «non è la Repubblica», Royal propone «una Repubblica dell’ordine giusto», dove «la polizia», come «i cittadini» siano rispettati. Stesso tono da parte di Bayrou. «Tutto questo per un biglietto di metro… siamo a questo punto - ha detto - perché da tempo la polizia è stata trasformata unicamente in una forza di repressione». Per Bayrou, «non può continuare così. Ne usciremo restituendo alla polizia un ruolo di prevenzione e di accompagnamento e spiegando ai giovani, in particolare in banlieue, che questi incidenti si traducono sistematicamente contro di loro». Ma nessun candidato antiSarkozy ha ritenuto opportuno approfittare dell’occasione per riprendere alla base i valori del vivere assieme, al di là dei richiami al rispetto dell’ordine con meno violenza da parte delle autorità. Eppure, dicono in molti, sarebbe stato un richiamo più producente all’«identità francese» di quello del tricolore e della Marsigliese, che tanto ha fatto discutere negli ultimi giorni. il manifesto venerdì 30 marzo 2007 4 internazionale Ma. Fo. Appello dalla prigionia: «Ritiratevi da Baghdad» La crisi internazionale aperta dalla detenzione di 15 soldati britannici da parte dell’Iran non sembra risolversi in tempi brevi - mentre nel Golfo Persico aumentano i movimenti militari. Il governo britannico ha chiesto al Consiglio di sicurezza dell’Onu di approvare una dichiarazione che «deplori» la cattura e detenzione dei suoi soldati, e il Consiglio ha cominciato ieri sera a discuterne - anche se ci sono obiezioni al testo sottoposto da Londra. Intanto però la mossa ha provocato la reazione iraniana. Tehran non ha rilasciato ieri l’unica donna del gruppo preso prigioniero una settimana fa nello Shatt-el Arab; la decisione, ha detto un comandante militare all’agenzia semiufficiale Mehr, è stata «sospesa» e «il comportamento di quelli che stanno a Londra è la causa». In serata Tehran ha però offerto a Londra accesso ai detenuti. L’ipotesi di rilasciare Faye Turney, marinaio, 26 anni, era stata annunciata mercoledì. L’immagine della giovane donna, foulard ne- L’Iran diffonde una lettera attribuita alla soldatessa prigioniera. Mentre il Consiglio di sicurezza discute la crisi, e gli Usa intensificano le manovre militari Manifestanti anti-britannici ieri a Tehran foto Ap ro sui capelli biondi, mentre «confessa» in tv che il suo gruppo ha violato le acque iraniane ha suscitato indignazione in patria. L’Iran ora rilancia: ieri sera l’ambasciata iraniana a Londra ha diffuso una lettera - la seconda - attribuita a Faye Turney e indirizzata al parlamento britannico: «E’ tempo che cominciamo a ritirare le nostre forze dall’Iraq e che li lasciamo determinare il loro futuro», fa appello. Tehran chiede che i britannici ammettano di aver illegalmente sconfinato in acque ira- niane, cosa che Londra nega. Nessuno concederà mai un’ammissione, mentre si moltiplica la propaganda: il video, la lettera, gli studenti filoregime mandati ieri a manifestare all’ambasciata britannica a Tehran, con slogans truculenti («morte alle spie»). Al Consiglio di sicurezza Onu ieri Russia, Cina, Indonesia, Qatar e altri hanno obiettato che non c’è modo di stabilire in modo indipendente dove si trovassero le imbarcazioni britanniche quando sono state intercettate. Il punto è che nelle acque del Golfo si sta giocando una partita molto dura. «Con la scusa di controllare le navi che entrano in Iraq, [i britannici] vogliono rendere normale amministrazione violare la sovranità di altri paesi», ha dichiarato ieri Ali Larijani, capo del Consiglio di sicurezza nazionale iraniano: «Ma devono sapere che il costo sarà alto». Sullo sfondo c’è un’impennata della tensione militare nel Golfo. Ieri la Russia ha lan- Dopo i deputati, anche i senatori approvano il finanziamento delle guerre, ma con una scadenza Il senato sfida Bush: via dall’Iraq Il presidente giura che metterà il veto sulla legge che fissa una data per il ritiro, e Congresso raccoglie il guanto. Grazie al «pork» Roberto Zanini S e la minaccia del presidente americano Bush di mettere il veto sulla data di ritiro delle truppe era una sfida, ebbene il senato americano l’ha raccolta e rilanciata con pari intensità. Con un voto largamente partigiano e una maggioranza risicata ma significativa, i senatori degli Stati uniti hanno votato 51 a 47 la legge che finanzia le campagne militari americane secondo le richieste del presidente, ma impone una data di scadenza per il ritiro dei marines da Baghdad. Da ieri la Casa bianca e il parlamento sono ufficialmente in rotta di collisione. Il pacchetto approvato ieri dal senato prevede che gli Stati uniti spendano 122 miliardi di dollari in una serie di provvedimenti mili- tari in cui le guerre in Iraq e in Afghanistan fanno naturalmente la parte del leone, e il ritiro delle truppe entro marzo del 2008. Un analogo provvedimento approvato alla camera parla di settembre del 2008: le due leggi andranno armonizzate prima di sottoporle alla firma del presidente e al suo «inevitabile» veto. Sono addirittura più soldi di quanti ne avesse effettivamente chiesti Bush al momento di lanciare la sfida al parlamento e chiedere il rifinanziamento delle guerre da qui all’eternità. E il motivo di questa abbondanza di dollari c’è. Nello slang politico di Washington di chiama pork barrell, il barilotto della carne di maiale. Si tratta di provvedimenti economici che dovrebbero essere in qualche modo collegati alla guerra, ma che in realtà sono stati infilati su richiesta di questo o quel senatore in cambio del suo voto favorevole, un po’ come accade per la finanziaria italiana intorno alla mezzanotte dell’ultimo giorno utile per il voto. Nel feroce pacchetto bellico approvato dal senato, quindi, si trovano anche gustose curiosità come 24 milioni di dollari di finanziamenti ai coltivatori di barbabietola da zucchero (evidente traccia di un senatore della sugar belt americana, gli stati zuccherieri del sud), 12 milioni di dollari per servizi forestali (un altro senatore il cui collegio è evidentemente tappezzato di boschi), 3,5 milioni di dollari per «visite guidate del Campidoglio», 2 milioni di dollari per un programma di eccellenza universitaria nel Vermont, 22,8 milioni di dollari per finanziare ricerche geotermiche eccetera. La crescente opposizione alla campagna d’Iraq e un po’ di pork hanno quindi determinato l’approvazione della legge che finanzia la guerra e le impone una data di scadenza, e il fuoco di fila tra Casa bianca e Congresso è cominciato. Se portato alle estreme conse- Bush insieme alla speaker democratica della Camera, Nancy Pelosi ap Scandalo procuratori, ora Gonzales traballa Franco Pantarelli New York «Alberto Gonzales avrà molto da spiegare», si dicevano l’un l’altro i membri della commissione Giustizia del Senato, ieri, dopo la deposizione del suo ex capo dello staff Kyle Sampson, che aveva praticamente sbugiardato il suo ex capo sul ruolo da lui svolto nella cacciata dei procuratori federali per scarsa lealtà verso George Bush. Gonzales infatti andrà a testimoniare davanti alla commissione il 17 aprile e tutti pregustano il suo arrampicarsi sugli specchi per conciliare il suo pubblico «non ne sapevo nulla» di due settimane fa con il «Gonzales e Miers (l’ex consigliera legale di Bush, ndr) sono stati coinvolti per due anni nelle discussioni su quali procuratori licenziare» spiattellato ieri da Sampson. Poi però, viste le esplicite parole dell’ex collaboratore di Gonzales, un dubbio ha cominciato a sorgere: riuscirà il ministro della Giustizia a restare al suo posto fino al 17 aprile? La domanda era legittima perché la possibilità che a Gonzales venga «consigliato» di dimettersi prima di quella data per evitare che gli schizzi del fango in cui sarà costretto a rotolarsi possano arrivare fino alla Casa bianca è considerata tutt’altro che remota. Ieri, poco prima che la deposizione di Sampson cominciasse, proprio il ministero della Giustizia ha diffuso una dichiarazione pubblica per «correggere se stesso». Quando abbiamo detto che Karl Rove non ha avuto alcuni ruolo nel licenziamento dei procuratori, ci siamo sbagliati, diceva in sostanza la dichiarazione, firmata da Richard Hertling, uno dei tanti «facenti funzioni» che in questi giorni guidano il ministero della Giustizia. Ma siccome il fatto che avevano mentito era ormai diventato evidente grazie al materiale raccolto dalla commissione del Senato, con quella dichiarazione il ministero ha tentato di neutralizzare in extremis - riuscendoci - almeno alcune delle pallottole che i senatori erano pronti a sparare proprio durante la deposizione di Sampson sul fatto che la Casa bianca aveva volutamente nascosto la verità per salvare il «cervello di Bush». Allo stesso modo, si speculava ieri, le eventuali dimissioni di Gonzales prima della sua deposizione del 17 aprile potrebbero servire a evitare di sottoporlo a una figura talmente barbi- guenze - difficile prevedere se accadrà: negli ultimi anni, spesso è bastato pronunciare le parole «sicurezza nazionale» per far liquefare qualsiasi opposizione parlamentare ai piani bellici dell’amministrazione Bush - il conflitto vedrà un vincitore e un vinto. Ed è il presidente, non il Congresso che dallo scorso gennaio è controllato dai democratici, ad avere in questo momento le carte peggiori. Il voto al senato è arrivato proprio mentre Bush stava arringando uno scelto manipolo di parla- mentari repubblicani, invitandoli a opporsi con ogni mezzo all’inserimento di date di ritiro nelle leggi finanziarie. Il presidente non si è fatto sfuggire l’occasione e, circondato da un pugno di fedelissimi, si è offerto alle telecamere: «Siamo compatti nell’affermare con forza - ha detto - che quando le nostre truppe sono impegnate in combattimento devono ricevere tutti i fondi necessari. Abbiamo i nostri comandanti militari impegnati sul campo in difficili decisioni, e non devono avere le mani legate». «Io non so se ci sia mai stato - ha replicato il presidente del senato Harry Reid, un democratico del Nevada - se ci sia mai stato un presidente che abbia così gravemente danneggiato le nostre truppe». Somiglia a quel letale gioco reso celebre da Hollywood in cui due giovani guidano la propria automobile verso un precipizio, e vince chi salta giù dall’auto per ultimo. In Gioventù bruciata finisce malissimo. Se Congresso o Casa bianca non modificano le proprie posizioni, l’uno togliendo la data del ritiro o l’altra accettando tale data, la legge non passerà e i finanziamenti all’esercito in guerra verranno a mancare. «I soldi che ci sono bastano fino a metà di aprile», ha avvertito il Pentagono. Manca davvero poco. E se - evento poco probabile - l’armata resta al verde, sia Bush che il parlamento non vogliono portarne la colpa. Ministro sulla graticola Il suo ex capo dello staff depone contro il titolare della giustizia Usa: ha partecipato alle discussioni sui giudici «scomodi» da licenziare. Sempre più difficile la posizione dell’uomo di Bush alla vigilia della deposizione del 17 aprile ciato un monito agli Stati uniti: «Il Golfo persico è in uno stato di agitazione tale che ogni azione (...) militare rischia di aggravare ancora di più la situazione», ha detto il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov. Si riferiva alle esercitazioni condotte dagli Usa e concluse proprio ieri: le più ampie manovre nel Golfo dal 2003. Il Pentagono ieri ha notato che le esercitazioni sono state decise due settimane fa e intensificate in seguito all’aumentata tensione tra l’Iran e le nazioni occidentali. Da febbraio ormai gli Usa hanno rafforzato la propria presenza con una seconda portaerei (ieri il comando della Marina militare Usa annunciando che la Nimitz salperà per il Golfo, dove darà il cambio alla Eisenhower). Pochi giorni fa l’agenzia Ria-Novosti citava un «alto ufficiale dei servizi segreti militari» russi secondo cui le esercitazioni americane preludono alla «preparazione per operazioni di terra e aeree contro l’Iran». notizie Somalia Giornata di guerra: scempio sui corpi dei soldati etiopici A Mogadiscio, teatro ieri di una nuova giornata di guerra, la rabbia è esplosa contro i soldati etiopici. La battaglia infuriata nella capitale avrebbe fatto almeno 13 morti con la conseguenza di far saltare il fragile cessate-il-fuoco concordato sabato e frutto dei negoziati tra il principale clan di Mogadiscio, gli Hawaiye, e il governo di transizione. La rabbia della popolazione ha infierito sui corpi di due soldati etiopici, caduti insieme con altri 5 nei combattimenti, allo stesso modo in cui la violenza fu inflitta la scorsa settimana su due soldati somali morti. Un congresso di riconciliazione nazionale è in programma a Mogadiscio dal 16 aprile al 16 giugno. Ma dopo la violenza delle ultime settimanela situazione appare compromessa. Medioriente Peres sul Piano: «Trattiamo ma alle nostre condizioni» Sul piano di pace saudita in discussione al vertice in corso a Riad, il vice premier israeliano Shimon Peres ha anticipato ieri quella che sarà la posizione di Israele, affermando che non si può imporre allo stato ebraico di accettare il piano saudita così come è stato formulato. «Non c'è che un solo modo - ha detto - per superare le differenze: il negoziato. Non ci si può dire: dovete accettare ciò che vi proponiamo così com’è». Cuba Castro contro il biofuel Usa «3 miliardi rischiano la fame» Nel primo articolo pubblicato da quando, il 27 luglio scorso, si è sottoposto a una complicata operazione all’intestino, il leader cubano Fidel Castro ha attaccato l’uso dei carburanti derivati dai cereali, molto sponsorizzati dal presidente americano George Bush. E’ una «idea sinistra» e «una tragedia», scrive Castro, che potrebbe significare la «Condanna a morte prematura per fame e sete per oltre tre miliardi di persone nel mondo». Questo è il titolo dell’editoriale pubblicato ieri da Granma, l’organo di stampa ufficiale del Pc cubano, che il lider maxiimo dice di aver scritto come «commento» alla recente riunione avuta da Bush con le grandi industrie automobilistiche americane. Zimbabwe na da coinvolgere un ben pezzo di Casa bianca. Sampson, comunque, non è stato «il John Dean di Bush» come molti avevano previsto-sperato pensando all’uomo di Richard Nixon che durante lo sviluppo dello scandalo Watergate mollò il suo capo e raccontò tutto ciò che sapeva. La ragione per cui si è offerto di testimoniare, ha spiegato Sampson, è che questa faccenda è stata «personalmente devastante per me e la mia famiglia» e a questo punto vuole mettersela alle spalle. Non fino al punto, però, da fargli perdere il suo senso di lealtà nei confronti di Bush. Quando per esempio si è discusso dei «motivi» per cui gli otto procuratori sono stati licenziati lui si è imbarcato in una involutissima discussione. Ai senatori che sostenevano che i licenziamenti sono stati decisi per ragioni politiche contrabbandate con valutazioni professionali, lui ha replicato che «la distinzione fra le due cose è largamente artificiale». Le colpe dei licenziati non erano state «politiche» ma erano state di «non portare avanti le priorità del presidente e del ministro della Giustizia». Qual è la differenza?, gli ha chiesto incuriosito un senatore. Sampson ci ha pensato su e poi ha prodotto un fantastico «In un certo senso ciò che è accaduto potrebbe anche essere descritto da qualcuno come un fatto politico». Questa storia, come si sa, ha fatto arrabbiare anche alcuni repubblicani che credono ancora nell’idea che le istituzioni debbano funzionare. «Il ministero della Giustizia è stato ridotto a uno stato di completa confusione», ha tuonato per esempio Arlen Specter, che prima del cambio di maggioranza era il presidente della commissione Giustizia. «Tutti i procuratori ora sono inquieti, non sanno che fare e si chiedono chi sarà fra loro il prossimo a cadere». Che poi è la stessa accusa che alcuni di loro, non tanto inquieti, hanno rivolto allo stesso Gonzales l’altro ieri, durante una riunione che doveva restare segreta ma il cui contenuto è finito sul New York Times. Qualcuno ha chiesto un commento alla portavoce di Gonzales, Tasia Scolinos, e lei ha risposto stizzita: «Era una riunione riservata, non un’iniziativa di relazioni pubbliche». «Basta con le sanzioni», appello dal vertice Sadc I leader di 14 paesi africani, al termine del vertice straordinario della Sadc (Comunità per lo sviluppo dell'Africa meridionale) svoltosi ieri a Dar es Salaam, Tanzania, hanno lanciato un appello perché vengano tolte tutte le sanzioni contro lo Zimbabwe. Nel comunicato finale si esprime anche solidarietà col popolo e il governo del paese. I leader Sadc si rivolgono anche a Londra affinché «onori i suoi impegni» e fornisca aiuti ad Harare per attuare la riforma agraria. Il vertice straordinario aveva lo scopo di determinare una posizione comune nella crisi politica dello Zimbabwe, dove è in corso un drammatico braccio di ferro tra il regime di Mugabe e l'opposizione. Ma sempre ieri il governo tedesco ha chiesto l’inasprimento delle sanzioni Ue. il manifesto venerdì 30 marzo 2007 internazionale 5 Emergency Rahmat e Adjmal, sabato manifestazione a Roma Il mullah Dadullah nelle immagini trasmesse ieri da Sky Tg24 Foto ap Il comandante dei taliban sfida il presidente Karzai: liberi due dei nostri, o ammazzeremo l’interprete di Mastrogiacomo. Militari italiani attaccati a sud di Herat: soldato ferito a un braccio Fausto Della Porta I l presidente afghano Karzai deve trattare con i taliban la liberazione di Adjmal, altrimenti uccideremo l’interprete di Daniele Mastrogiacomo catturato assieme al giornalista di Repubblica e tuttora prigioniero degli studenti coranici. È questo il messaggio lanciato ieri dal mullah Dadullah, il comandante militare della guerriglia islamista intervistato da Sky Tg24, che ha specificato che la richiesta al governo di Kabul per ottenere il rilascio di Adjmal è Dadullah: trattate o uccidiamo Adjmal sempre la stessa: la scarcerazione di due taliban che l’esecutivo afghano si sarebbe in un primo tempo impegnato a rilasciare, venendo poi meno alla parola data. Il comandante militare sta diventando più popolare della guida spirituale, il super ricercato mullah Omar, dopo aver ottenuto un successo personale nella gestione del sequestro del reporter occidentale, cerca di capitalizzarne i risultati in termini di propaganda interna. Anzitutto, con l’intervista concessa alla tv italiana, prova a mettere fine a giorni d’incertezza sulla sorte di Adjmal. «L’autista del giornalista Daniele è in mano nostra. Non è un uomo qualunque, suo zio è responsabile governativo nel distretto di Bagram, lui stesso ha lavorato in una base militare americana. Ma il presidente Karzai dovrebbe avere a cuore la sua sorte, come ha avuto a cuore la sorte di Mastrogiacomo. Lo dimostri, tratti con noi. L’Italia è il paese guida per la «giustizia» e le carceri in Afghanistan. E per «sgravare» gli Usa, nel nuovo penitenziario di Pol-i-Charkhi saranno trasferiti molti detenuti di Guantanamo e di Bagram. Che cosa succede nelle prigioni afghane? Manlio Dinucci e Tommaso Di Francesco I l ministro della difesa afghano, Abdul Rahim Wardak, ha appena inaugurato il nuovo blocco di massima sicurezza del carcere di Pol-i-Charkhi, nei pressi di Kabul. «Non manderemo più nessuno a Guantanamo; - ha annunciato - d’ora in poi, chiunque sarà arrestato per terrorismo finirà a Pol-i-Charkhi». «Guantanamo è qui, dunque. - ha scritto Francesco Battistini, inviato del Corriere della Sera il 26 marzo - Appena fuori Kabul, direzione est. Un cassone di cemento armato, telecamere, microspie e sensori laser: 324 celle, 172 guardie addestrate dalle forze speciali Usa, filo spinato e mura insormontabili». Alla realizzazione della Guantanamo afghana ha contribuito in modo decisivo l’Italia. Nella ripartizione dei compiti per garantire la «sicurezza interna» dell’Afghanistan sono stati infatti individuati cinque «pilastri prioritari» _ nell’illustrazione della cooperazione italiana è un tempio greco con le colonne portanti specifiche per ognun paese -, la cui costruzione è stata posta sotto la leadership di altrettante «nazioni guida»: l’esercito è stato affidato agli Usa, la polizia alla Germania, l’anti-narcotici alla Gran Bretagna, il disarmo delle milizie parallele al Giappone, la giustizia all’Italia. E’ stato a tal fine costituito nel 2003, sotto il governo Berlusconi, «l’Ufficio italiano giustizia» che, diretto dall’ambasciatore Jolanda Brunetti Goetz, si occupa del «ripristino di un’efficace amministrazione giudiziaria» in Afghanistan. In tale quadro rientra la «costruzione Altrimenti verrà dimostrato quello che io penso. Karzai è solo un burattino nelle mani di Bush, della Gran Bretagna e dell’ambasciata italiana». Poi lancia una sfida alle truppe, britannici e americani anzitutto, che stanno dando la caccia ai suoi uomini nel sud e nell’est del paese: «Con me ci sono uomini di diverse nazionalità e uomini di al Qaeda. Venite qui a cercarli e non colpite innocenti in altre zone», minaccia Dadullah, prima di aggiungere che tuttavia «per ogni arrestato di al Qaeda ce ne sono dieci taliban». Ma la giornata di ieri è stata contrassegnata anche dall’ennesimo attacco contro le truppe italiane. Secondo quanto riferito dal ministero della difesa, una pattuglia di militari era impegnata «in normale attività di ricognizione» nei pressi di Shindad, circa 70 chilometri a sud di Herat, nell’Afghanistan occidentale, quando è stata attaccata da «elementi ostili» a colpi di arma Ha raccolto oltre 90mila adesioni in soli tre giorni l'appello lanciato da Emergency. Oltre a migliaia di cittadini «comuni», hanno risposto personaggi del mondo della cultura, dello spettacolo e dell'informazione. Tutti insieme si ritroveranno domani a Roma, in piazza Navona (ore 14.30), per chiedere la liberazione di Rahmatullah Hanefi e Adjmal Nashkbandi. Tra i firmatari dell'appello ci sono Davide Riondino, Vauro Senesi, Ascanio Celestini, Dario Fo, Franca Rame, Beppe Grillo, Jacopo Fo, Furio Colombo, Antonio Tabucchi, Sandro Portelli,Antonio Cipriani ed altri ancora, insieme alla presidente di Emergency Teresa Sarti. Sono molte, poi, le amministrazioni locali, prefetture, associazioniche in queste ore drammatiche si stanno mobilitando. A loro Emergency chiede di partecipare anche in questa occasione, la prima a carattere nazionale. «Siamo convinti che tanti di coloro a cui sta a cuore la pace e che credono che la via della solidarietà sia l'unica percorribile - si legge nella conclusione delll’appello - vorranno partecipare, portando così• il proprio importante contributo alla definitiva conclusione di questa drammatica vicenda». Per firmare l'appello: www.emergency.it. da fuoco. Un incursore della Marina del Comsubin, uno dei reparti speciali delle forze armate, è rimasto ferito a un braccio in maniera non grave, tanto che non si è resa necessaria la sua evacuazione d’urgenza. Resta il fatto che - come sottolineato negli ultimi giorni da documenti dell’intelligence e analisi dei militari - i soldati italiani a Herat e Kabul, aree un tempo considerate «tranquille» sono nel mirino di taliban e della coalizione di studenti coranici, signori della guerra e jihadisti che mirano a indebolire sempre più il già debole potere esercitato dal governo centrale grazie al sostegno delle migliaia di soldati inquadrati nel contingente multinazionale dell’Isaf, a guida Nato. L’ultima azione di guerra contro i militari italiani si era verificata domenica scorsa, quando una bomba artigianale (Ied) era esplosa al passaggio di un convoglio nella provincia di Farah - sempre nell’area dell’Af- ghanistan occidentale assegnata dalla Nato al controllo dei soldati italiani - senza provocare feriti. Nella stessa provincia, il 20 marzo, una pattuglia di forze speciali italiane era stata presa di mira da colpi di armi automatiche. In precedenza, un altro attentato contro gli italiani si era verificato l’8 marzo scorso, nei pressi della capitale Kabul: una pattuglia era stata presa di mira a colpi di lanciarazzi Rpg, ma nessuno era rimasto ferito. In quell’occasione i soldati erano a bordo di un blindato. I soldati italiani di stanza in Afghanistan sono oltre duemila, tra Kabul e la parte occidentale del Paese. Proprio nell’ovest, un settore in cui la missione della Nato Isaf è affidata al comando del generale italiano Antonio Satta, negli ultimi mesi c’è stata una recrudescenza di attacchi contro le forze di sicurezza afghane e i militari della Coalizione. La Guantanamo afghana è italiana o riabilitazione di infrastrutture: tribunali, uffici, prigioni». Dopo una iniziale concentrazione delle attività nella capitale, Kabul, «l’attenzione dei progetti italiani va ora gradualmente espandendosi alle province ed ai distretti». Rientra in tale quadro la costruzione di altre carceri. Ufficialmente per migliorare le condizioni di vita dei detenuti. Tale impegno è stato confermato, con esemplare spirito bipartisan, dal governo Prodi. Lo scorso 6 febbraio, alla commissione III della Camera, il sottosegretario per gli affari esteri Gianni Vernetti, dopo aver assicurato che il governo cerca di potenziare e migliorare il «programma giustizia» con il coordinamento della nostra ambasciata a Kabul, ha sottolineato: «Abbiamo fornito un contributo concreto non soltanto in termini di uffici del ministero, ma anche di tribunali, procure e carceri; a questo si aggiunga la formazione di 2.000 operatori della giustizia: giudici, procuratori, avvocati, operatori penitenziari». Resta da vedere quanto questi «operatori di giustizia» operino per la giustizia. E quale sistema di giustizia possa essere costruito da chi, dopo aver occupato il paese, gli detta le norme di diritto che esso deve seguire, compresi «il nuovo codice di procedura penale, il codice minorile, le iniziative per la qualità della vita nel sistema penitenziario del paese». Una cosa però è certa: la costruzione di nuove carceri, finanziata dall’Italia, serve. Soprattutto agli Stati uniti. Come ha confermato sei mesi fa il segretario generale delle Nazioni unite l’11 settembre 2006, nel centro di detenzione di massima sicurezza di Pol-i-Charkhi dovrebbero essere trasferiti gli afghani detenuti a Guantanamo (Cuba), il cui numero è stimato in circa 70, e parte di quelli detenuti nella base aerea di Bagram in Afghanistan, il cui numero è stimato in circa 800. Formalmente quindi essi passeranno, con il beneplacito dell’Onu, «dalla custodia militare degli Stati uniti a quella delle autorità afghane». Come sottolinea Battistini, «la nuova Guantanamo afghana servirà per l’ opinione pubblica mondiale: se ci sarà qualche abuso, ora la colpa sarà di Kabul». Di fronte all’indignazione suscitata nel mondo dalle torture praticate dai militari statunitensi ai prigionieri di Guantanamo, Bagram, Abu Ghraib e altri centri di detenzione, Washington cerca, nei casi in cui è possibile, di consegnare formalmente i prigionieri alle «autorità» nazionali. Così, quando verranno alla luce altre prove di torture, saranno queste a risponderne. Allo stesso tempo i prigionieri continueranno ad essere in mani statunitensi: lo conferma il fatto che le guardie afghane del centro di detenzione di massima sicurezza di Pol-iCharkhi sono state scelte e addestrate da forze speciali Usa, esperte in tecniche di tortura. Ai prigionieri trasferiti da Guantanamo, Bagram e altri centri di detenzione statunitensi, si aggiungeranno quelli che saranno catturati nell’operazione Achille della Nato/ Isaf e in altre future operazioni militari. C’è quindi bisogno di nuove carceri, dove imprigionare e interrogare chiunque, talebano o no, resista all’occupazione o debba comunque essere interrogato sotto tortura per estorcergli informazioni o fargli confessare crimini non commessi. A Pol-i-Charkhi, riferisce sempre Francesco Battistini, potrebbe essere finito anche Rahmatullah Hanefi, il mediatore di Emergency arrestato dai servizi afghani dopo la liberazione del giornalista Mastrogiacomo e che, come riporta Teresa Strada, è già stato torturato con scosse elettriche e anche, secondo la testimonianza di un agente ferito in un attentato raccolta dall’inviato di PeaceReporter Enrico Piovesana «pestato ben bene». Tutto questo sotto la copertura del «programma giustizia», finanziato e realizzato dal governo italiano per «rispondere adeguatamente alla diffusa domanda di giustizia in Afghanistan nel rispetto degli standard internazionali sui diritti umani». Afghanistan Il mediatore è in cella a Kabul Enrico Piovesana * Lashkargah I eri mattina Lashkargah si è svegliata sotto assedio. La polizia afgana, armata fino ai denti, bloccava tutte le strade: vietato circolare in tutta la città. In cielo volavano bassi gli elicotteri da combattimento «Apache» e i grandi quelli da trasporto «Chinook», a doppia elica, facevano avanti e indietro dalla base Nato britannica, sfiorando le cime degli alberi. Tutto questo, a causa della visita a sorpresa del presidente afgano Hamid Karzai. Una visita sgradita. La gente è irritata, nessuno può muoversi, andare a lavorare, andare al bazar. «Karzai è arrivato per dimostrare che il governo centrale esercita la sua autorità fin qui», dice Noor Agha. «Ma guardate: viene lui e la gente deve sparire, la città si deve svuotare! Quando il potere ha paura del popolo, quel potere non esiste». Ma in cielo non volano solo elicotteri per pattugliare le strade. Più in alto, appena visibili, i jet militari statunitensi e britannici rombano tra le nuvole senza sosta. «Vanno a bombardare», dice Asadullah, dipendente locale di Emergency. «Sulle montagne di Sangin, Musa Qala, Naw Zad: da quelle parti le bombe cadono ogni giorno». Rahmat è a Kabul. Dopo il nervosismo e la tensione di questa mattinata, verso l’ora di pranzo è giunta da Kabul la conferma della notizia che circolava qui a Lashkargah fin da ieri: Rahmatullah Hanefi è stato trasferito da qui a Kabul. Il manager dell’ospedale di Emergency a Lashkargah, prelevato dai servizi segreti afgani lo Speranza scorso 20 marzo e L’ambasciatore da allora sparito nel italiano Sequi vuole limbo del National visitare in carcere Security Departl’uomo che ha ment, è stato trafavorito sportato ieri pomela liberazione riggio da qui alla cadi Mastrogiacomo pitale a bordo di un e che i servizi afghani convoglio di mezzi hanno arrestato dell’Nsd. In questo momento si trova detenuto all’interno dell’Investigation Department, una delle tre prigioni governative di Kabul, al cui interno si trova un ambulatorio gestito da Emergency. Allo staff dell’organizzazione, però, non è stato consentito di vedere Rahmat. L’ambasciatore Ettore Sequi vuole vederlo. A Kabul si lavora febbrilmente per far sì che Rahmat possa ricevere in carcere una visita ufficiale del diplomatico italiano in Afghanistan, insieme a un rappresentante dello staff di Emergency. Un incontro che l’organizzazione richiede a gran voce da dieci giorni, e che è fortemente voluto dallo stesso ambasciatore: «Speriamo di riuscire a fargli visita nelle prossime ore», ha dichiarato Sequi, contattato per telefono. «Vogliamo verificare di persona come sta lui e come stanno le cose rispetto al suo fermo. Speriamo che torni libero al più presto perché qui in Afghanistan Emergency è una realtà estremamente importante, come il governo italiano ben sa». Ettore Sequi sta lavorando anche per Adjmal Nashkbandi, l’interprete afgano di cui si sono perse le tracce dal giorno della liberazione di Mastrogiacomo. «La vita per noi non ha nazionalità - sottolinea Sequi -. Fin dal primo momento il governo italiano si è battuto per la liberazione di tre ostaggi e non solo per riavere Daniele». Per rispondere alle polemiche dei giornalisti afgani, che nei giorni scorsi hanno accusato il governo afgano e quello italiano di avere usato due pesi e due misure nella gestione di questa crisi degli ostaggi, ha anche organizzato un incontro con la stampa locale, nel grigio salotto in cemento armato dell’ambasciata di Kabul. «Il nostro obiettivo è solo uno», ha ribadito Sequi: «che il giovane interprete Adjmal e il capo dello staff di Emergency Rahmatullah vengano liberati». PeaceReporter il manifesto 6 &società venerdì 30 marzo 2007 politica Dai Ds al Pd La mozione Mussi andrà al congresso, ma poi lascerà per «aprire un nuovo processo politico» La sinistra lo farà: «Via dopo Firenze» La sezione Balduina di Roma dove la mozione Mussi ha battuto quella di Fassino Foto Alberto Critofari/ A3 Andrea Fabozzi Roma P robabilmente non è la notte insonne consumata tra le ultime mediazioni e nemmeno la lunga assemblea di sei ore dedicata a vincere le residue resistenze: se i dirigenti della sinistra Ds appaiono stravolti è perché sanno di aver fatto dopo aver tanto annunciato un passo senza ritorno. La scissione nei Ds ci sarà, anche se hanno ragione a rifiutare il termine: la Quercia andrà a morire e dalle sue ceneri non nascerà soltanto il Pd. Ma anche, subito, un «movimento politico autonomo organizzato» con gruppi parlamentari alla camera e al senato. In futuro, si immagina, un partito nell’unione con Rifondazione o con la sua parte maggioritaria e nel «dialogo» con vecchie nuovi socialisti. E se il partito ancora non si vede c’è però ben piantato un paletto non facile aggirare: «La nuova forza unitaria e di governo - sostiene la sinistra Ds - sarà collocata nel Pse». Il senso della rottura di ieri dei delegati e dirigenti della mozione Mussi - firmata dal ministro dell’università e da Cesare Salvi, Fulvia Bandoli e Valdo Spini - non sta nell’estremo richiamo a Piero Fassino: «Fermatevi, non sciogliete i Ds». La risposta del segretario del partito è un no scontato. Sta invece nel fatto che la prospettiva futura è ormai indicata con chiarezza, e non è certo quella di fare la sinistra del Pd. Ma invece quella di «aprire un processo politico nuovo a sinistra», «raccogliere forze per crearne una più grande». Progetto vagheggiato da almeno vent’anni, ma possibile «ora che tutta la sinistra, senza eccezioni, condivide la stessa responsabilità di governo». Potrebbe sembrare in contraddizione con questa scelta di rottura il fatto che i rappresentanti della mozione «A sinistra per il socialismo europeo» abbiano deciso comunque di andare al congresso nazionale dei Ds a metà aprile a Firenze. Un congresso considerato sostanzialmente di scioglimento. Ma - anche oltre le intenzioni dello stesso Mussi e soprattutto contro la volontà di Salvi - si tratta di una scelta di mediazione: nella corrente specie nelle regioni rosse Emilia e Toscana il coraggio della rottura netta ancora non c’è tutto. Una decisione dovrebbe essere definitiva: non si accetteranno incari- La sinistra della Quercia si prepara al grande passo con l’incognita delle amministrative di maggio. Da subito un «soggetto politico autonomo organizzato». Angius resta alla finestra contando sul fallimento del Pd, ma non esclude un futuro insieme. Purché nel Pse chi direttivi nel partito. E un attimo dopo l’avvio della fase costituente del Pd ognuno andrà per la sua strada. L’appuntamento dunque è segnato, ma non immediato. Al congresso Mussi terrà «la relazione della vita», spiegherà le ragioni della sinistra anche se Fassino ha in mente di schieragli contro proprio il leader del Pse Martin Schultz per farsi dare la benedizione al Pd. Se la presenza del socialista tedesco è sicura, meno sicuro è quello che dirà. Anche perché Fassino per stemperare le tensioni con la Margherita ormai parla sempre più spesso di Internazionale socialista - rassemblement per tutti i gusti con 161 aderenti - e sempre meno di Pse. Dopo il congresso ci saranno le amministrative a fine maggio e anche lì per molti diessini di sinistra sarà difficile lasciare, specie nelle città dove la corrente è debole. O all’Aquila dove la sinistra ha dalla sua il candidato sindaco dell’Unione. Senza alcuna intenzione di fermarsi, Fassino chiede a Mussi come ad Angius di «provare il budino» prima di rifiutarlo: entrare nel Pd acconciandosi a fare la sinistra. Non esclude il segretario di indurre qualcuno in tentazione e deve anche subire il pressing dei dalemiani che vogliono almeno provare ad evitare la rottura. O a trattenere un po’ di compagni. Dall’altra parte la mozione Angius dopo il buon risultato nei con- gressi di sezione (9%, la sinistra ha il 15,5% il che può far dire a Mussi che un iscritto su quattro è contrario al Pd) ha in mente una diversa strategia. Con cortesia il portavoce della terza mozione Alberto Nigra apprezza l’appello di Fassino, ma sottolinea come il segretario «elude le nostre richieste». Al congresso i delegati della terza mozione non necessariamente rifiuteranno gli incarichi direttivi. Proveranno a far approvare un ordine del giorno per tenere il partito nel Pse. Poi staranno alla finestra, tre mesi o poco più. Un tempo nel quale i destini del Pd dovrebbero compiersi nei lavori della costituente con l’approvazione del manifesto: Fassino infatti vuole accelerare il debutto al 2008. Prima diceva: ci vuole il Pd per sostenere Prodi. Adesso ammette: se non facciamo il Pd cade Prodi. Ma tutto è ancora possibile: ci sono le amministrative, soprattutto c’è Rutelli tentato da Casini. Ma se il partito democratico dovesse nascere, allora anche gli uomini di Angius guarderebbero volentieri al «movimento politico autonomo organizzato» di Mussi. Purché resti ben saldo quel paletto, un vero problema per Rifondazione: «Bisogna restare dentro il Pse». Pci-Pds-Ds-Pd Fassino, questione di sigle Interpellato (sull’Unità e sul Riformista) con qualche vibrazione emotiva dal fondatore del Partito democratico della sinistra sul senso e i destini del Partito democratico, il segretario dei Democratici di sinistra (non) risponde (sul Riformista) abbassando il livello delle vibrazioni. Occhetto chiedeva che fine hanno fatto «il sogno» della svolta, la fantasia della sinistra sommersa, lo spirito della «carovana», le speranze del primo Ulivo, Fassino risponde spiattellando dati (del congresso), date (del cammino fatto dall’89 a oggi), programmi (del nacituro partito: riformista, del lavoro, dello sviluppo, per i giovani (di talento), della cittadinanza, della democrazia, della pace come valore fondante (cioè della guerra come pratica costante?)). E passi: è Fassino. Ma la gaffe di chiamare Ds il partito nato dalla svolta, quella se la poteva risparmiare. Era il Pds e Occhetto ne era il segretario, un po’ di rispetto. Poi cadde la P del partito, ora torna la P e cade la s di sinistra. Tutto qui. (I.D.) Appalta Ue, lo scandalo si allarga Si aggrava la posizione dei tre italiani fermati, che da ieri devono rispondere anche di riciclaggio. E intanto si scopre il caso della sede della commisione in Albania Alberto D'Argenzio Bruxelles Passano i giorni e si fa sempre più delicata la posizione dei tre italiani fermati martedì mattina nello scandalo di euro-corruzione legata agli affitti ed agli appalti per la sicurezza delle delegazioni della Commissione europea all'estero. Ieri i tre, oltre alle accuse di truffa, corruzione attiva e passiva, falso in atto pubblico ed associazione a delinquere, si sono visti affibbiare pure quella di riciclaggio di denaro sporco, ma gli investigatori non escludono che possano essere contestati altri reati. Già oggi i giudici della camera di Consiglio dovranno invece decidere se confermare o meno la custodia cautelare per il 39enne assistente parlamentare Sergio Tricarico, per il funzionario della Commissione Giancarlo Ciotti di 46 anni e per l'imprenditore 60enne Angelo Troiano. Intanto ieri sono emersi anche altri elementi delle indagini, dopo il caso della mazzetta di 600 mila euro richiesta ad un imprenditore finlandese per aggiudicarsi la costruzione della sede della Commissione di Nuova Delhi. I nuovi fatti avvengono in Albania e vedono protagonista Ciotti, un capo settore della Dg Relazioni estere (in pratica il ministero degli esteri della Commissione), incaricato fin dal 2002 di seguire la pratica relativa alla nuova sede di Tirana. Secondo quanto riporta un'agenzia, l'indagato avrebbe scelto, contro il parere del personale della stessa delegazione, un edificio in periferia e che doveva ancora essere costruito, ossia un progetto. «Ciotti - racconta una fonte - fece un contratto di affitto preliminare sulla base del quale la ditta prescelta ottenne un finanziamento da una banca e avviò così la costruzione dello stabile». In pratica una trattativa diretta. A «vincere» l'appalto è la Europa building shpk, una società con sede a Tirana e controllata in tandem da un imprenditore locale e da un italiano residente in provincia di Potenza. Potenza è anche la città da cui viene l'assistente parlamentare Sergio Tricarico e che ospita la procura incaricata di seguire il filone italiano dell'inchiesta. Torniamo in Albania: l'edificio seleziona- to da Ciotti alla periferia di Tirana, venne costruito fra il 2004 e il 2005 e quindi occupato per quattro piani dalla locale delegazione della Commissione europea, mentre il quinto viene adibito a residenza del capo delegazione. Alla fine di questa trafila l'erario comunitario si trova a pagare un affitto che varia tra i 40 ed i 50 mila euro al mese, una somma tre volte più alta di quella che stanziava prima per una sede che stava pure nel centro della capitale albanese. Al di là della presunta frode, i fatti fanno a pugni con quanto sostengono i portavoce della Commissione. Gli uomini di Barroso continuano a sottolineare la bontà dei controlli, inaspriti con la riforma Kinnock del 2000, e a ripetere che un «capo settore (come Ciotti, ndr) non ha il potere di firma», ossia che non può concludere da solo contratti a nome dell'esecutivo comunitario. Facendo uno più uno risulta che o i controlli non erano così buoni o che qualcun altro a livelli superiori era d'accordo con l'indagato. Parla infine Gianni Rivera, l'ex pallone d'oro ed ex uomo della Margherita è infatti venuto a Bruxelles per un attestato di stima verso il suo assistente: «Sono stupefatto - ha detto -, Tricarico è una persona affidabile mi è stato consigliato da molte persone conosciute». La rottura più difficile: annunciata però impossibile Corsi e ricorsi, ma i protagonisti sono sempre gli stessi E Salvi disse: bene, ho aspettato per 7 anni Roma E alla fine Salvi disse: «Finalmente! Dovevamo farlo sette anni fa». Sette anni fa, l’anno del primo congresso dei Ds a Torino, quello di Veltroni e I Care, Cesare Salvi era ministro del lavoro. Lo era diventato con D’Alema a palazzo Chigi, una nomina che aveva il sapore della sfida. ’A Jospe’, facce vede’: circolava questa battuta dalemiana, il primo ministro voleva mettere alla prova le posizioni sempre più di sinistra di Salvi. Posizioni vicine alla linea socialista del primo ministro francese Lionel Jospin, allora profeta delle 35 ore. Sette anni fa Salvi fu il protagonista di una clamorosa rottura con il segretario del partito Veltroni pochi mesi dopo averne votato la mozione al congresso di Torino. E’ in quei giorni che si colloca l’opzione per la sinistra di quello che è oggi uno dei leader della mozione Mussi. Accadde subito dopo la sconfitta alle regionali, quella che portò D’Alema a dimettersi da primo ministro, e l’affondamento del referendum elettorale sul quale i Ds avevano puntato. I protagonisti sono gli stessi di oggi. E certamente Salvi ci avrà ripensato, uscendo ieri pomeriggio dalla riunione della mozione Mussi e pronunciando quel «dovevamo farlo sette anni fa». Nel 2000, analizzando quelle sconfitte, l’allora ministro del lavoro passò direttamente dalla maggioranza veltroniana alla sinistra della sinistra, di quelli che da allora in avanti sono diventati i suoi compagni di schieramento interno. La minoranza diessina raggiunse cifre molto raramente toccate poi, oltre il 25% del partito, organizzò un convegno separatista, chiese a gran voce la convocazione della platea congressuale per una svolta politica certo non soddisfatta dall’appoggio al nuovo inquilino di palazzo Chigi: Giuliano Amato. I protagonisti sono gli stessi, Gavino Angius all’epoca era un custode della linea veltroniana al punto che dopo le dichiarazioni più impertinenti di Salvi gli intimò di dimettersi da ministro. Oggi Angius condivide con Salvi, sia pure da diversa mozione, molte critiche al partito democratico. Anche allora o forse molto più allora la sinistra della Quercia marciava divisa: non fu facilissimo il rapporto tra Salvi e la componente storica della sinistra interna, gli ex comunisti democratici di Tortorella, qualche problema di movimento negli spazi stretti ci fu anche con gli ultimi arrivati, i comunisti unitari di Crucianelli. Tanto che Salvi fondò una corrente tutta sua, Socialismo 2000 - sette anni fa appunto - tenuta in vita e separata dal resto della sinistra del partito fino all’ultimo congresso nel 2005. Salvi, dunque, voleva rompere sin da allora. Anche se non colse l’invito di Angius a «fare come Lafontaine», il ministro del cancelliere tedesco Schroeder che su posizioni di sinistra lasciò governo e Spd. Anzi, Salvi ricucì. Merito di D’Alema: i protagonisti sono sempre gli stessi. Come oggi il ministro degli esteri si è assunto il ruolo di frenare Fassino per cercare di trattenere la sinistra della Quercia, allora e con maggior fortuna si impegnò a sedurre le minoranze. Sette anni fa, prima che il 2000 finisse, Salvi decise così di votare per D’Alema presidente dei Ds. A. Fab. venerdì 30 marzo Daniele Sepe und rote jazz fraktion Maiolati Spontini (An) - Teatro ore 21,30 Ginevra Di Marco Firenze - Pinocchio Jazz Club ore 21,30 venerdì 30 marzo 2007 il manifesto &società politica 7 «Giovani e maschi» Il partito ai raggi X Il Prc: «Cantiere a sinistra» Matteo Bartocci Inviato a Carrara «F inalmente è finito il Pci». Pietro Folena, che nel partito di Berlinguer prima e con i dirigenti del correntone poi ha vissuto gran parte della sua esperienza politica primo di approdare nella Sinistra europea, lo dice con il massimo del rispetto ma con una punta di sollievo. Perché per la prima volta dalla crisi dell'89 la sinistra politica in Italia è di nuovo in mare aperto e senza un porto sicuro alle spalle. Nella conferenza programmatica di Rifondazione comunista a Carrara, arrivano forti gli echi dell'annuncio di scissione della sinistra diessina riunita a Roma in una drammatica riunione a porte chiuse. Ed è ormai evidente a tutti che il quadro politico che rischia di arrivare alle elezioni europee del 2009 sarà completamente diverso dall'attuale tanto a sinistra quanto a destra e forse perfino al centro. Può sembrare curioso ma non troppo che all'appuntamento con la «storia» Rifondazione ci arrivi con una conferenza di programma che in apparenza è l'appuntamento più identitario che esista e invece segnala, quantomeno, un primo giro di boa verso il futuro, un evento programmato da tempo e costretto a misurarsi con una fase diversa da quella preventivata. Le affermazioni di Mussi e compagni non lasciano indifferenti i dirigenti e i quadri di Rifondazione riuniti alla fiera di Carrara ma l'impressione è che ormai non si discuta più del se esiste una sinistra (plurale quanto si vuole ma una) quanto piuttosto del come farla esistere. Per la prima volta si parla, almeno qui a Carrara, di sinistra senza aggettivi. «Il dibattito interno ai Ds ci interessa ma non vogliamo interferire - dice a fine giornata il segretario di Rifondazione Franco Gior- La ricetta di Ciccio Ferrara: «Pronti a forme di democrazia diretta. Negli ultimi anni il partito è diventato troppo burocratico ed autoreferenziale» Carrara Rifondazione arriva sulle spiaggie della Versilia, vicino a Carrara, sull'onda della sua prima esperienza di governo, con un ex segretario che da presidente della camera non interviene sui lavori del partito ma continua a dire la sua sulle prime pagine dei giornali e dopo le fratture del «caso Turigliatto» che hanno quasi monopolizzato le centinaia di conferenze di programma locali culminate nella Pochi reduci molte new entry Seppure il nome il simbolo e le semplificazioni lo facciano pensare, il Prc non è affatto un partito di reduci del Pci. Il 55% degli iscritti non ha avuto altra tessera che quella di Rifondazione. I giovani sono parecchi e il vero boom è stato dopo le manifestazioni del 2001 a Genova: un quarto degli iscritti ha preso la tessera nel 2002. Schema a tre alla conferenza di organizzazione: il partito rimane, lavora alla Sinistra europea e già guarda al dialogo con gli ex del correntone. Bertinotti: «Partiamo dalla cultura politica che ci unisce». Giordano: «Mantenere l’autonomia» Ma le donne restano fuori Le donne sono il 26,1% degli iscritti, che tra l’altro non sono giovanissimi visto che solo il 17,5% dei quadri ha meno di 30 anni. Più si sale nei livelli «gerarchici» e meno le donne sono rappresentate: le segretarie di circolo sono il 15% e tra loro il 46,2% ha da 45 a 64 anni. Ci sono parecchi giovani, molto più al Sud che al Nord (22,5% contro 12,4%), e forse è un segno di quanto il partito della Rifondazione comunista sia riuscito a crescere grazie alla vitalità dei movimenti meridionali, dall’esperienza pugliese alla Campania, a Scanzano. Un militante di Rifondazione durante la campagna per le primarie del 2005. Foto A3 dano - ognuno mantiene la propria autonomia organizzativa, noi proponiamo la Sinistra europea. La prospettiva della rifondazione comunista fa parte della nostra identità ma l'elemento dirimente qui è la critica del capitalismo e la convinzione che un altro mondo è possibile». Fausto Bertinotti, in una breve visita quasi da semplice ascoltatore alla conferenza del suo partito, non cita la Sinistra europea di cui pure è presidente ma insiste invece sul concetto di «cantiere»: «E' fondamentale che le sinistre italiane dovunque siano collocate ricomincino a discutere a partire dalla cultura politica, da un'idea di dove vogliamo andare e da dove ricominciamo a porre il problema della trasformazione della società». A proposito di identità, Maurizio Zipponi, dirigente Fiom oggi in segreteria è netto: «Basta per favore con quelli che sanno già come va a finire, se camminiamo verso una sinistra e basta, senza aggettivi, allora ascoltiamo tutto ma guardiamo anche dove mettiamo i piedi». La prima giornata della conferenza fila via senza particolare emozione della platea, in modo piuttosto burocratico. Rifondazione mantiene per ora un campo a cerchi concentrici: Prc, Sinistra europea, sinistra plurale. Forse domani qualcuno di questi soggetti sarà di troppo o sarà molto diverso da quello attuale. Ma ormai il dado è tratto: «Siamo partiti - spiega Gennaro Migliore, capogruppo del partito alla camera - chi co- me noi si è fatto carico dell'incontro con i movimenti non può che insistere sulle relazioni con tutte le forze della società. Ma del Prc c'è bisogno». Sul carattere socialista della sinistra che verrà si sbilancia un po' di più invece Pietro Folena: «Penso a un nuovo socialismo, non certo al tardocraxismo ma al socialismo delle origini, quello del 1892 che diede vita al partito socialista dei lavoratori». Perciò l'ex diessino propone alla sinistra della Quercia una rotta dal basso, un confronto sul documento stilato tra gli altri da Aldo Tortorella: «Forse può essere una base comune». Per capirlo sarà decisiva l'estate, dopo i congressi di Ds e Margherita e nelle tante, infinite, feste di partito. Attentissimi al lavoro La metà dei quadri (il 48%) è iscrittà anche a un sindacato (quasi tutti nella Cgil ma non manca un 2% nella Cisl o Uil e il 6% in sindacati di base). Più alta l'iscrizione ad associazioni come l'Arci o l'Anpi: il 55,5%. Tra le aree di impegno politico prevale il lavoro (48%), seguito dall'ambiente (37,2%), dalla cultura (30,8%, di gran lunga la prima per gli under 29) e infine i diritti civili e l'antifascismo (entrambi al 21%). Terapia d’urto per Rifondazione comunista quattro giorni iniziata ieri e che si concluderà domenica con l'intervento di Franco Giordano. Subito sotto un congresso, la conferenza di programma è solo la terza nella storia del Prc. Un appuntamento programmato da tempo ma che gioco forza ha assunto un carattere ben diverso con i «cantieri» aperti a sinistra da Mussi e Bertinotti. «Con il progetto del Partito democratico - dice dal palco il responsabile organizzazione Ciccio Ferrara nella relazione introduttiva - intendiamo misurarci a viso aperto in una competizione di lungo. Con la sinistra Ds sottolinea invece - condividiamo molte battaglie comuni nel parlamento e nel paese. Ci sentiamo dentro un dibattito che parte da domande analoghe ed è rivolto verso l'innovazione della cultura politica». Secondo il dirigente del Prc «nessuno rinunci a nulla, non si possono mettere discriminanti, ognuno parte da sé ma la prospettiva deve essere misurarsi in un confronto i cui tempi e modalità vanno condivisi». Sul tappeto è previsto il manifesto che darà contorni più chiari alla Sinistra europea ma l'occasione è troppo ghiotta per mettere più di qualche puntino sulle i. Alla platea di 700 quadri nazionali, un po' distratta e un po' dubbiosa sugli ultimi voti parlamentari, il responsabile organizzazione Ciccio Ferrara propone nientemeno che una «terapia d'urto», che non esclude nemmeno «la sperimentazione di forme partecipative più avanzate, anche di democrazia diretta»: «Burocratismo, autoreferenzialità, verticismo, correntismo esasperato, separatezza istituzionale» sono i mali che attanagliano Rifondazione per Ferrara. Due gli altri interventi dal palco, quello della responsabile dei giovani comunisti Elisabetta Piccolotti e i risultati dell'inchiesta sul partito presentati da Vittorio Rieser. Dall'inchiesta, che inizia sotto due incipit curiosi - il socratico «conosci te stesso» e una citazione dai Simpson, «Ho scoperto che era comunista perché non beveva la birra Duff» - emerge un partito vitale soprattutto al Sud, attivo nel mondo del lavoro e nell'associazionismo, ma molto istituzionale. Non un partito di reduci (il 55% non ha avuto altra tessera che questa), con un quarto degli iscritti arrivati dopo Genova. Resta però un partito maschile (le donne sono il 26,1%) e non giovanissimo (solo il 17,5% dei quadri ha meno di 30 anni). Forti le contraddizioni di genere. Nelle istituzioni è eletta una donna contro quattro uomini. Più si sale nella «gerarchia» e meno donne sono rappresentate. E un questionario su 10 non «riconosce il problema» o «non sa di cosa si parla». A dire che la «vita del partito è escludente per le donne» è il 65,2% delle risposte al femminile contro il 49,4% degli uomini. Proprio questo è il tema al centro della giornata di oggi. M. Ba. il manifesto 8 &società venerdì 30 marzo 2007 politica Berlusconi rompe ma non molla l’Udc Il Cavaliere all’assemblea della Cdl accelera sulla ’Federazione’. Con l’Udc è rottura ma «porte aperte se ritorna». Intanto tutti insieme alle amministrative. Casini: «Io come Craxi? Un onore» Carla Casalini S eparati in casa, conviventi per interesse. La riunione di ieri di quel che resta della Casa delle libertà, è la presa d’atto della rottura con l’Udc ma insieme l’assicurazione dello stesso Berlusconi che «alle amministrative andremo insieme», più una poco credibile riverniciatura della parabola del figliol prodigo: «se ritorneranno, porte aperte». Il partito di Cesa e Casini conferma la condivisione nel voto di maggio. Con qualche avvertenza di ’salvaguardia’. Prima di tutto una giustificazione: «Non conveniva forzare le cose - si schermiscono dall’entourage di Pier Casini - in questo momento siamo già al centro dell’attenzione, tanto basta». La parola ’centro’ a quanto pare è divenuta quasi un tic, la lingua vi si impiglia. Neppure Silvio Berlusconi resiste, la impugna come una clava e la stravolge a sé: «Io c’entro». Nell’Udc, la ’convivenza’ nel voto amministrativo viene impudicamente addossata ai Berlusconi e ai Fini: «Ce lo chiedono»; ma a una nostra domanda precisa vien fuori un’ombra di preoccupazione: «...a meno che non siano tentati da qualche pulsione vessatoria del tipo ’con noi sì, ma vi togliamo un po’ di sindaci...». L’ombra trapela anche nelle dichiarazioni ufficiali del segretario Lorenzo Cesa, «fiducioso» che gli accordi precedenti alla vicenda afghana «terranno».Il problema sembra solo «la dichiarazione di qualche scalmanato», ma se non fosse così «ognuno si organizzaerà». Gli «scalmanati» sono ovviamente nella Lega. E il coordinatore Roberto Calderoli non la manda a dire: «Davvero curioso: uno se ne va da una coalizione votando a Roma assieme al governo, e poi in periferia passa a riscuotere sindaci e assessori. Il voto al senato sull’Afghanistan è molto rilevante, e noi abbiamo posto pesantemente la que- Franco Carlini I taxi, le banche, le assicurazioni, un po' di farmacie, le ricariche dei cellulari, le tariffe autostradali. Il governo ha alle spalle un buon numero di iniziative a favore del cittadino-consumatore. Nulla di rivoluzionario, ma come il ministro Bersani ha ieri ricordato, sono tutti provvedimenti che recuperano un ritardo storico rispetto ad altri paesi dell'Europa. Del tutto impropriamente sono state definite liberalizzazioni, ma solo i provvedimenti sui taxi e sui farmaci da banco possono essere così definiti. Negli altri casi si tratta di nuove regolazioni che vanno a vantaggio del cittadino tagliando margini di profitto che risultavano troppo distanti dai costi. Alcune di queste norme hanno funzionato, altre no. La sconfitta più pesante è avvenuta sui taxi dove di nuove licenze non se ne vedono, prolungamenti dei turni qualcosa, ma incombono nuovi aumenti. L'obbligo alle banche di modulare i tassi a seconda di quelli europei è stato facilmente aggirato da circolari interpretative emesse dall'Abi e subite dal governo. Più significativa la contesa del ministro Di Pietro contro gli aumenti immotivati delle tariffe delle autostrade: per la prima volta è stato detto di no ai rincari, quando le concessionarie non avevano fatto gli investimenti previsti; la vertenza è in corso e finirà con un passo indietro del governo stione». Ma l’Umberto invita ad abbozzare: «Bossi mi ha consigliato di non essere troppo negativo con l’Udc», spiega il capogruppo dei deputati del Carroccio Roberto Maroni, che però rilancia: «Non intendo seguire il consiglio». Silvio Berlusconi ha tentato l’assemblea di tutti i parlamentari della Cdl - mancavano per l’appunto i centristi - per certificare, ieri mattina, la rottura tra Forza Italia An e Lega da un lato e l’Udc dall’altro, o piuttosto per riaggregare le residue membra dolenti della sua Casa. «La Cdl c’è - ha accentuato il Cavaliere - è l’Udc che ha deciso di non farne più parte». Quindi, sia chiaro: il centrodestra «anche senza l’Udc ha la maggioranza nel paese». Ma forse non è poi così sicuro se, «prendendo atto che per ora l’Udc non possiamo considerarla al nostro fianco», il leader della destra, fra il rumoreggiare dei leghisti che partecipavano all’assemblea, ha invitato: Dobbiamo avere pazienza, e auspichiamo sempre che l’Udc torni sui suoi passi». Intanto però Berlusconi accelera verso quella «federazione» delle destre che è stata lasciata attendere «un po’ troppo». Si capisce, anche se le sue parole vi girano attorno, che sono proprio le sue passate ’esitazioni’ ad aver contribuito alla perdita di tempo, il suo aver sperato che il governo Prodi crollasse grazie a una «spallata» o per autocom- notizie Liberalizzazioni Tra Berlusconi e Casini ormai è separazione fatta. Foto Ap bustione. «Finora sono rimasto in silenzio perchè i sondaggi ci dimostravano che questo governo andava così male, mentrew saliva la fiducia nei nostri confronti...». Adesso si riparte in quarta, e «Bossi mi ha autorizzato», e Fini ci sta. Il leader di Alleanza nazionale si sbraccia addirittura, «grazie a Berlusconi per questa riunione», ha esordito ieri mattina all’assemblea dei parlamentari,«che conferma che la Cdl c’è,sa cosa vuole e non ha problemi di leadership». Poi Fini cade in una delle consuete involontarie topiche . «Questa non è una rifondazione ma un rilancio, con la ’federazone’», servono «azioni comuni» e la Cdl «deve essere Taxi, cellulari, banche. Luci e ombre delle liberalizzazioni governative La rivoluzione dei taxi è fallita, le banche aggirano le regole. Ok solo per i farmaci. E sui telefonini fioccano le proteste: le compagnie ritoccano le tariffe o con lunghissime cause in tribunale. C'è poi la questione dei cellulari, che riguarda praticamente tutti gli italiani. Il costo fisso di ricarica è stato abolito dall'inizio di questo mese e che ciò sia avvenuto in un breve lasso di tempo è quasi miracoloso. Tuttavia continuano le proteste delle associazioni dei consumatori e riguardano il fatto che i gestori di telefonia hanno in parte recuperato gli introiti perduti varando nuovi piani tariffari con costi più elevati, per esempio nello «scatto alla risposta». In questo caso tuttavia occorre essere chiari: a meno che si tratti di aziende di stato in paesi di socialismo reale, nessun governo in un sistema a economia mista può obbligare una qualsiasi impresa a vendere prodotti o servizi a un prezzo fissato. Quello che un governo può e che deve fare è agire con decisione contro icartelli (trust) tra imprese che si accordano per non farsi concorrenza tenendo artificiosamente alti i prezzi, in modo da non danneggiarsi artificiosamente. Nel caso delle multe alle assicurazioni proprio di questo si trattava e indagini analoghe delle autorità riguardano i costi dei prelievi con il Bancomat o le commissioni sulle carte di credito. L'altra cosa che governo e autorità devono garantire è il massimo della trasparenza, di modo che, senza trucchi di marketing, i cittadini possano facilmente conoscere quanto costano le prestazioni dei diversi concorrenti e fare la loro scelta consapevolmente. L'obbligo di chiari cartelli che segnalino i prezzi delle benzine va in questa direzione; si parla anche di un portale internet che metta a confronto i diversi servizi bancari; è stato poi proposto un «tabellone» pubblico dedicato alla telefonia cellulare, avendo verificato che le imprese private da sole non provvedevano: va in questa direzione, ma appena un po', l'informazione fornita dal consorzio Patti Chiari dell'Associazione bancaria italiana, ma ha il limite intrinseco di essere controllato dalle banche stesse, le quali possono decidere liberamente se aderire oppure no. Quanto alle aziende telefoniche, non c'è dubbio che i loro portali non brillino per chiarezza e per diversi motivi: per reticenza, perché mescolano in maniera confusa le promozioni con le informazioni di base e perché sembrano fatti da persone che non hanno molta idea di come si dispongano le informazioni sul web. Se un tale luogo pubblico di confronto venisse realizzato, allora il consumatore potrebbe scegliere con maggiore coscienza il suo fornitore e il piano telefonico. Tanto più in una situazione in cui l'alchimia sempre più confusa delle diverse offerte tenderà a essere superata da proposte più secche: negli Stati Uniti la Sprint, per esempio, ha cominciato a offrire abbonamenti «piatti» con numero illimitato di chiamate e libera circolazione dei bit in collegamento alla rete. Per parte sua, poi il governo amico dei consumatori, dovrebbe togliere un po' di accise sulla benzina e sui telefoni, ma se ne guarda bene. L’esecutivo cerca i fondi nel «tesoretto», ma è stop sulle rendite finanziarie. Critiche Rifondazione e «Sbilanciamoci!» Il governo scommette tutto sul taglio dell’Ici Roma La maggioranza e il governo puntano tutto sull’Ici: la nuova carta per recuperare consensi - certamente anche in vista delle elezioni amministrative di maggio - è fare il più possibile campagna sul calo delle tasse, in questo caso su una delle più «odiose»: l’Ici sulla prima casa. Ieri il viceministro dell’Economia Vincenzo Visco ha confermato che nel disegno di legge delega sulla tassazione delle rendite finanziarie è stata introdotta una norma per i futuri sgravi Ici - che «saranno consistenti»dice lo stesso Visco - e, nello stesso tempo, il governo sta pensando a una aliquota unica per gli affitti - un 20% di cedolare secca, scorporata dalle voci del reddito e uguale per tutti - che dovrebbe liberare tanti immobili fino a oggi sfitti e far emergere il tanto nero sul mercato. E, sempre a proposito di nero, ieri sono arrivati i dati del- una lepre che indica la strada...». Ahimé, per ogni lepre c’è un cane che l’insegue, Fini non ci pensa ma l’Udc ribadisce di lavorare contro il «bipolarismo» che la ’Federazione delle libertà’ tenta di rilanciare. «Noi lavoriamo per ricostituire il centro, basta col bipolarismo: e speriamo che la legge elettorale ci aiuti», ribadiscono i centristi. E Casini reagisce alla punzecchiatura di Berlusconi che lo taccia di novello «Craxi» nella pretesa di essere un nuovo «ago della bilancia» della politica italiana, onorandosi del paragone con un uomo che, a parte alcune pecche, lui considera un grande. Felice, Bobo Craxi felicita Casini. la Cgia di Mestre, secondo cui l’imponibile evaso in Italia sarebbe addirittura di 310 miliardi di euro. Le rendite finanziarie, infine, restano solo un titolo del disegno di legge delega, perché per il momento il governo ha rinunciato a riunificarle tutte sotto un’unica aliquota (si pensava al 20%, via di mezzo tra il 12,5 cui sono sottoposte le rendite finanziarie, e il 27% che grava sui conti correnti). Una rinuncia sgradita a Rifondazione comunista, che segnala come il tema sia contenuto nel programma dell’Unione e che dunque espungerlo dal disegno di legge delega sia stato una forzatura: «Il programma dell'Unione - sottolinea il capogruppo del Prc al Senato Russo Spena prevede espressamente l'aliquota unica. Non si adduca, dunque, in futuro la mancanza di risorse per intervenire sui salari, sugli stipendi e sulle pensioni basse e minime». E in effetti la mancanza di risorse sta diventando una scusa buo- na per non dare nulla a nessuno, e la lista dei «pretendenti al tesoretto» (il surplus di gettito disponibile, solo 2,5 miliardi di euro) si allunga, mettendo in elenco adesso anche lo sgravio dell’Ici. Il sottosegretario all’Economia Mario Lettieri conferma infatti che gli sgravi Ici «dovrebbero essere finanziati con i fondi del tesoretto», e aggiunge che «l'orientamento è quello di mettere una franchigia per l'imposta comunale sugli immobili sulla prima casa, rapportata a 100 metri quadri». Nonostante il tema sia giocabile nell’immediato della campagna elettorale, non sembra probabile che si possa godere delle riduzione Ici per quest’anno: «È molto probabile - ha spiegato Lettieri che la riduzione dell'Ici avrà effetti nell'anno fiscale 2008». Alla «manovra del 2008» Lettieri ha anche rimandato il tema del riordino delle aliquote, ma è chiaro che questa diventa poco più di un’opinione e bisogna capire se il puntare i piedi di Rifondazione avrà un qualche effetto immediato, se cioè verrà reinserita nel ddl la tassazione delle rendite. Perché si faccia la riforma della tassazione delle rendite insiste anche l’associazione «Sbilanciamoci!», che sottolinea il carattere di equità del provvedimento: «Milioni di euro di guadagni realizzati con la vendita di azioni dai grossi personaggi della finanza o dai ricchi immobiliaristi sono di fatto quasi detassati, mentre la tassazione è ancora molto alta sui risparmi che gli italiani hanno depositati nelle banche - spiega l’associazione - Crediamo sarebbe giusto finanziare gli sgravi Ici per la prima casa e la detrazione Irpef sugli affitti attraverso l'abolizione di una situazione di palese regressività fiscale. L'armonizzazione si potrebbe fare anche a un livello più alto, al 23%, restando in linea con la tassazione in altri paesi europei e non rischiando quindi fughe di capitale». Fiducia anche al Senato la Idv alza la voce Parlano di scelta «presa a malincuore», di «doppia amarezza». Ma alla fine il ministro dello Sviluppo economico Pierluigi Bersani e quello per i Rapporti con il parlamento Vannino Chiti hanno piazzato la fiducia sulle liberalizzazioni anche al Senato. Si vota questa mattina tra le 12 e le 13 e al momento senza particolari patemi d’animo. Tra i «Sì» infatti ci sono già anche quelli del dissidente Franco Turigliatto e del senatore a vita Giulio Andreotti, oltre a quelli degli altri senatori a vita. L’unico rischio, che sembra però già arginato, è quello lanciato dall’Italia dei valori. Ieri mattina il senatore Giuseppe Caforio ha annunciato se il governo non ritirerà «le autorizzazioni alla costrizione del nuovo impianto di rigassificazione previsto nell’area di Capobianco a Brindisi» si potrebbe «determinare il mancato sostegno all'esecutivo». Giornalisti Farina radiato dall’Ordine Berlusconi: «Solidarietà» Renato Farina, l’ex vice direttore di Libero, è stato radiato dall’ordine professionale dei giornalisti. La decisione è stata presa dal Consiglio nazionale con 68 voti a favore, 5 astenuti, 2 contrari e 4 schede bianche. Silvio Berlusconi ha deciso di esprimergli personalmente la solidarietà sua e di tutto il partito di Forza Italia: «Ha sempre difeso la libertà ci auguriamo che possa continuare la sua professione». Inchiesta a rischio Annullate le perquisizioni sulle toghe lucane Il Tribunale della libertà di Catanzaro ha disposto l'annullamento dei provvedimenti di perquisizione e sequestro eseguiti nei confronti della dottoressa Felicia Genovese, Sostituto Procuratore Antimafia di Potenza, di suo marito Michele Cannizzaro, Direttore Generale dell'Azienda Ospedaliera dello stesso capoluogo lucano e della Dottoressa Iside Granese, Presidente del Tribunale di Matera. Lo ha spiegato ieri mattina il difensore, Giancarlo Pittelli, affermando che «il Tribunale della libertà ha dovuto prendere atto della illegittimità degli atti compiuti dal dottor De Magistris. Si tratta di un episodio di inusitata gravità poiché i provvedimenti sono stati adottati al di fuori dei casi consentiti dalla legge in quanto ad indagini scadute da lungo tempo. Si tratta di un fatto rispetto al quale non ricordo precedenti. L'accaduto è ancor più grave poiché si tratta di un procedimento a carico di magistrati in servizio con ruoli importantissimi». Il pm De Magistris non ha commentato in alcun modo la decisione, anche se la scelta del tribunale del riesame potrebbe aver inferto un colpo pesante all’inchiesta che aveva svelato l’esistenza di un inquietante potentato capace di influire praticamente su tutte le istituzioni lucane. &società Cei, l’imbarazzo di Fassino venerdì 30 marzo 2007 il manifesto politica In piazza a favore dei Dico Foto Emblema Roma «I l documento della Cei contiene molte cose interessanti, ma sul punto dei politici cattolici va al di là del giusto». Aspetta un giorno intero, Piero Fassino, per dire la sua sulla nota della Cei, e quando lo fa cammina sulle uova. Certo il segretario dei Ds non può che dirsi in disaccordo sul diktat dei vescovi ai parlamentari, ma appena pronunciata la frase fatidica già si pente. E si precipita a omaggiare monsignor Bagnasco «è una persona equilibrata, saggia e prudente. Spero che i suoi comportamenti siano equilibrati e prudenti». E’ solo un esempio di quel «silenzio assordante» come lo definisce polemico il socialista Enrico Boselli, dei futuri leader del Partito democratico. PerIl segretario dei Ds dice che ché se Piero Fassila nota «va al di là del giusto». no si limita a una frase, Francesco Ma poi loda il Family day, e Rutelli evita persidifende i ministri che sfileranno no di aprire bocca. E ci vuol poco in piazza il 12 maggio a capire che più che alla sorte delle coppie di fatto, i due pensino Fioroni, ne facciano un’occasioa quella del nascituro partito. ne per guadagnare terreno nel Creatura fragile, ancor più in bisuo partito, ecco che il segretalico quando si toccano i temi rio dei Ds ne approfitta. E quandei diritti e del rapporto con la do Giovanni Minoli (che lo interChiesa di papa Ratzinger. Come vista per «La storia siamo noi») dimostra l’atteggiamento super gli chiede cosa ne pensi, risponprudente, per non dire ipocrita, de tranquillo che «anche un micon cui sia la Margherita che i nistro ha la libertà di manifestaDs guardano al prossimo appunre, si tratta di una posizione pertamento «cattolico», il Family sonale». Del resto, come hanno day. Se Rutelli cerca di evitare già fatto fin troppi diessini in che i teodem, o anche solo il miquesti giorni, anche lui dice di nistro della Pubblica istruzione «guardare a questa manifesta- Firenze zione con molto interesse e rispetto. Infatti non è contro il governo, nè contro la sinistra». Fermandosi giusto un passo prima dell’adesione televisiva , visto che si chiede perplesso «se è opportuno che Fassino, Berlusconi o Casini siano in piazza. Se il tema è la famiglia , è più importante questo del politico che sfila». Chissà se monsignor Bagnasco apprezzerà tanta attenzione. La nota della Cei sulle coppie di fatto, come è stato già scritto, è frutto di un compromesso. Forse non così «sofferto» come pensa il senatore ulivista Giorgio Tonini, ma evidente anche nelle reazioni del giorno dopo. Così dai microfoni di Radio vaticana Giuseppe Anfossi, presidente della commissione Cei Il Comune: «Nozze vietate a coppia gay» Respinta dal comune di Firenze la richiesta di una coppia gay, presentata nei giorni scorsi, di poter affiggere le pubblicazioni di matrimonio. Lo hanno reso noto i due richiedenti, Francesco Piomboni e Matteo Pegoraro, rispettivamente presidente e segretario del «Giglio Rosa», la sezione di Firenze dell'Arcigay. I due, che stanno insieme da un anno e mezzo, hanno assicurato che proseguiranno la loro battaglia e presenteranno ricorso presso il Tribunale di Firenze. 9 notizie Roma per la famiglia, ieri mattina già cercava di ridimensionare la dura reprimenda ai parlamentari cattolici.«Non vogliamo fare pressioni indebite su di loro» giurava, definendo «pastorale» e «tecnica» la nota di mercoledì. I vescovi si sono «preoccupati di parlare alle persona con stile evangelico». Ma quando si arriva al dunque, alla parte che lui definisce per l’appunto tecnica, monsignor Anfossi non si è limitato a ribadire che «il legislatore che si sente parte della chiesa non può votare» per i Dico. Ne ha approfittato per attaccare le «pressioni ideologiche che vengono da lobby vere e proprie, a cominciare da quella che è legata al mondo dell’omosessualità». Potente e a quanto pare davvero pericolosa, visto che, spiega il vescovo, «il nostro modo di intervenire (sui Dico, ndr) difende una parte di popolazioneda ingerenze che sono violente e non democratiche». Una frase che giustamente fa saltare i nervi a Franco Grillini. «Magari fosse vero il presunto potere della lobby omosessuale - ironizza il deputato diessino, presidente dell’Arcigay - La verità è che, dopo la nota della Cei, è del tutto evidente che il Family day avrà una connotazione discriminatoria e omofobica». Niente a che vedere quindi con la paciosa «attenzione» di Piero Fassino, tanto che Grillini aggiunge che «chiuque il 12 maggio parteciperà a quella manifestazione avrà chiaroche chi propone un unico modello famigliare vuole escludere da diritti e tutele una parte rilevante, se non la maggioranza della popolazione». G.P. Riaperte le sale operatorie del Policlinico Umberto I Sono state riaperte ieri pomeriggio le sale operatorie del pronto soccorso del Policlinico Umberto I. Dopo la chiusura cautelativa di mercoledì, ieri approfondite verifiche da parte dei servizi di prevenzione della Asl Rm A e del Policlinico Umberto I hanno verificato che sussistono condizioni tali da consentire la riapertura delle camere operatorie. Secondo il direttore generale Ubaldo Montaguti «le sale sono state riaperte per evitare ulteriori disagi a pazienti e staff sanitario». I controlli effettuati dalla Asl Roma A evidenziano come i batteri di legionella siano «scarsamente contagiosi» e gli interventi messi in atto garantiscano la salute dei pazienti ricoverati. Il ministro della Salute Livia Turco esclude la chiusura dell'ospedale ma chiede che siano accelerati i lavori di ristrutturazione per i quali, ieri, la regione Lazio ha stanziato 28 milioni di euro. Un allarme è stato invece lanciato dalla Fials per la quale, senza che venga loro spiegato il motivo, i dipendenti dell’ospedale non possono effettuare la visita medica periodica resa obbligatoria dalla legge 626/94. Sardegna Le servitù militari tornano alla Regione Sono 43 gli immobili militari che verranno dismessi in Sardegna e passeranno direttamente alla Regione. Altri sei sono stati dichiarati «dismissibili con la partecipazione della Regione Sardegna per la rilocalizzazione della funzioni». Tra tutti spicca l'ex arsenale militare di La Maddalena per il quale «le parti si impegnano per la soluzione delle problematiche relative alla ricollocazione del personale civile». Danimarca Testamento biologico, prime prove per una legge E la Germania si divide su tre possibili modelli La commissione Igiene e Sanità del Senato allarga e rende pubblico il confronto sulle «dichiarazioni anticipate di fine vita». Due giorni di convegno Tra i sette e i nove milioni di tedeschi hanno già scritto il proprio testamento biologico. Al Bundestag si comincia a discutere la nuova legge Eleonora Martini Roma Punto primo: le «dichiarazioni anticipate di volontà sui trattamenti sanitari», altrimenti dette «Testamento biologico» «non sono una rivoluzione». «Si inseriscono nella tradizione deontologica medica di astenersi da misure terapeutiche superflue o opzionali» (parole del frate francescano e professore di medicina newyorkese Daniel Sulmasy). Il problema semmai è decidere se debbano essere obbligatorie per ciascun cittadino, come attualizzarle nel corso della vita del paziente, se debbano essere vincolanti per i medici o meno, e quali limiti abbia l’eventuale obiezione di coscienza del personale sanitario, subito invocata ieri dalla teodem Paola Binetti. Punto secondo: mai nominare al riguardo la parola «eutanasia», né tanto meno «suicidio assistito». Il dibattito sulla dolce morte è altro e, come ha detto la ministra Livia Turco, «l’obiezione che il testamento biologico aprirebbe la strada al suo sdoganamento è priva di fondamento». Tradizionalmente, e italicamente, l’eutanasia è pratica considerata immorale. E associata ad una sorta di condanna a morte non consensuale. Punto terzo: la discussione si scalda e i punti di vista divergono non poco su come definire l’accanimento terapeutico e se il termine è adeguato e esaustivo. Sta al malato o ad un suo fiduciario stabilire il limite dell’accanimento terapeutico o ai sanitari? La nutrizione e la respirazione artificiale sono misure ordinarie di assistenza o trattamenti medici che possono essere rifiutati (come sostiene Mina Welby)? Non sarebbe meglio parlare di «mezzi straordinari», locuzione meno restrittiva, secondo il professor Sulmasy? Che nel dibattito pubblico italiano ci fosse la necessità di approfondire e allargare il confronto sulle «differenti implicazioni tecniche ed etiche» che riguardano un tema tanto delicato come le direttive antici- pate di fine vita, si è reso evidente ieri, nella prima giornata del convegno internazionale promosso dalla presidenza del Senato e dalla commissione Igiene e Sanità. A Roma, presso la sala capitolare del convento di Santa Maria sopra Minerva, medici, tecnici ed esperti di bioetica provenienti da vari paesi, hanno discusso di «Testamento biologico: le dichiarazioni anticipate di volontà sui trattamenti sanitari». Due giorni – oggi la parola ai rappresentanti delle principali confessioni religiose sulle questioni etico-morali – fortemente voluti dal presidente della commissione, il senatore e medico Ignazio Marino, come «ulteriore contributo all’ascolto» sui nodi emersi durante i lavori di analisi degli otto ddl depositati e le audizioni di 49 esperti e associazioni iniziate il 27 luglio 2006 e quasi concluse, e prima di dare l’avvio all’iter parlamentare legislativo sul testamento biologico. Una legge, ha sottolineato Marino, «che sia nell’interesse di tutto il paese e di tutti i cittadini». Un metodo, quello dell’ascolto, molto apprezzato dalla ministra Livia Turco che ieri ha aperto i lavori e dal presidente del Senato Franco Marini che non potendo intervenire ha inviato un messaggio. Marini ha richiamato, poi, l’articolo 32 della Costituzione e ha posto l’accento sull’«urgenza della questione» che «pone il legislatore di fronte all’esigenza di trovare in breve tempo delle soluzioni incisive» «che siano in grado di superare i conflitti ideologici esistenti». Livia Turco, invece, che ha parlato di «carattere non assolutamente vincolante» del testamento, «ma allo stesso tempo non meramente orientativo dei desideri del paziente», ha auspicato una legge «di larghe intese». Necessaria in quanto «il valore delle scelte del malato, il diritto all’autodeterminazione, il divieto dell’accanimento terapeutico, sono ormai parte della nostra cultura, ma disciplinati in maniera inadeguata». Turco si è poi soffermata sul concetto di accanimento terapeutico che «esprime l’idea di azioni che non riescono più a conciliare due piani: quello di cura e quello del prendersi cura del malato». A questo proposito ha annunciato un’iniziativa straordinaria per la presa in carico domiciliare e lo stanziamento di 10 milioni di euro per l’acquisto di comunicatori vocali per i malati di sclerosi laterale amiotrofica. Il dibattito continua oggi. La parola, ancora una volta, alle religioni. M. Al. Berlino «Non c'è una soluzione del tutto convincente». Il presidente del Bundestag Norbert Lambert ha riassunto con questa frase il dibattito sul testamento biologico cominciato ieri nel parlamento tedesco. Si stima che tra i sette e i nove milioni di persone in Germania abbiano redatto il proprio testamento biologico, che attualmente vale solo come indicazione terapeutica. Oggi i medici possono scegliere di adeguarsi o meno alla volontà espressa dal paziente. Il che ingenera una serie di ricorsi in giudizio che per i parenti e soprattutto per i pazienti si trasforma in un calvario. A tutto ciò la politica intende ora mettere un punto: «I cittadini vogliono avere la certezza del diritto su tali questioni», ha dichiarato Joachim Stünker, portavoce del partito socialdemocratico. Le differenti posizioni in materia hanno, in Germania, poco a che fare con l'appartenenza partitica: le alternative in campo attraversano i cinque partiti rappresentati nel Bundestag. Sostanzialmente si confrontano tre punti di vista che danno al testamento biologico un peso specifico differente. Da una parte ci sono coloro che, guidati dal vice-capogruppo CduCsu Wolfgang Bosbach, lavorano per una legge che tenga in considerazione la volontà del paziente «solo quando il corso della malattia conduce univocamente alla morte», come specifica la proposta: «Nel dubbio per la vita». La seconda posizione appoggia la proposta di legge di Stünker, Spd, per la quale il testamento biologico deve essere rispettato in ogni caso, «indipendentemente dal tipo e dallo stadio della malattia»: la costituzione non prevede alcun dovere alla vita, dicono tra gli altri la ministra della giustizia socialdemocratica Brigitte Zypries. Un ricorso al giudice tutelare sarebbe previsto solamente in caso di un insanabile dissenso tra medico e paziente. Infine ci sono coloro che, come l'ex-ministra della giustizia socialdemocratica Herta Däubler-Gmelin e Monika Knoche, die Linke, non sono affatto convinti del fatto che una legge possa risolvere i dilemmi che si aprono nei reparti di terapia intensiva. Non molto dissimile la posizione dell'Ärztekammer: l'ordine dei medici tedesco, tendenzialmente, è per il rispetto della volontà del paziente. Ma attraverso il loro presidente, Jörg Dietrich Hoppe, la categoria ha mostrato di non gradire una legislazione in materia. «Chi a 25 anni scrive un testamento biologico, dopo un incidente la potrà pensare diversamente», ha detto Hoppe invitando il legislatore a lasciare che le decisioni vengano prese intorno al letto del malato, con i parenti e i medici. Se qualcosa deve essere regolato, hanno chiesto, deve essere la stesura del testamento, il resto spetta a chi si confronta quotidianamente con questi casi. Anche l'ordine non è però del tutto compatto. La conferenza episcopale tedesca ha ammonito la politica a diffidare di un'interpretazione estensiva della volontà del paziente che cancelli la linea tra il lasciar morire e l'aiutare attivamente a morire. Ma in Germania la voce della chiesa non attraversa così facilmente le pareti del parlamento. Scontri per la Casa della gioventù, italiano in prigione Il Tribunale della libertà di Copenhagen deciderà oggi se scarcerare o meno un giovane italiano di 29 anni, Marco Orefice, arrestato nel capoluogo danese mentre si recava a una manifestazione di solidarietà contro lo sgombero della casa della gioventù. Orefice è accusato da due poliziotti di aver lanciato un sasso contro le forze dell’ordine, fatto che il ragazo nega. Secondo la sua versione, sarebbe stato fermato solo per essere intervenuto contro il fermo di un altro manifestante da parte di un agente. Orefice, originario di Roma, s trova da tempo in Danimarca dove studia e lavora vicino Copenhagen presso un’università internazionale. Quella di oggi è la seconda udienza del Tribunale della Libertà. Durante i tre giorni di scontri che seguirono la chiusura della Casa della gioventù, la polzia danese arrestò 850 persone, 59 delle quali sono ancora in carcere tra cui uno svedese e tre americani. Nel corso di prima udienza, il Tribunale della libertà aveva confermato altre due settimane di prigione per il giovane italiano. I retai contestati vanno da lesione a pubblico uffiale a corteo violento alla trunativa dell’ordine pubblico. Se condannato Orefice rischia l’espulsione per tre anni dalla Danimarca, con la conseguente perdita del lavoro. Sul suo caso è stata presentata un’interrogazione parlamentare, mentre il nostro ministero degli Esteri ha incaricato l’ambasciatore italiano in Danimarca di seguire l’udienza di oggi. il manifesto 10 politica Ogm, soglia più bassa per la bioagricoltura L’Unione europea respinge l’equiparazione tra coltivazioni tradizionali e biologiche AlbertoD’Argenzio Bruxelles Tolleranza zero sull’uso degli Ogm nell’agricoltura biologica, questo è il giudizio emesso ieri dal Parlamento europeo. Con 324 voti contro 282, e 50 astensioni, la plenaria dell’Eurocamera ha infatti approvato un emendamento alla legislazione comunitaria che impone lo 0,1% come soglia massima per la presenza di organismi geneticamente modificati nei prodotti Bio. Il limite è praticamente pari allo zero assoluto, visto che lo 0,1% è il più basso livello rilevabile tecnicamente. Un mese fa nella Commissione agricoltura dello stesso Parlamento europeo era invece passata la posizione, appoggiata dal Partito popolare e da una buona fetta dei liberali e dei verdi, che mirava a imporre per il Bio la medesima soglia di contaminazione prevista per l’agricoltura tradizionale: lo 0,9%. Con il voto di ieri viene quindi eliminata la pericolosa equiparazione tra l’agricoltura tradizionale e quella colture: se viene rilevata una presenza di Ogm superiore allo 0,1% si perde il diritto a marcarsi con il simbolo Bio, passando alla categoria dell’agricoltura tradizionale. Perché la posizioni diventi legge nella Ue, manca ancora la parola, determinante, dei ministri dell’agricoltura. I 27 su questo punto sono al momento divisi. La maggioranza delle capitali la pensa diversamente dal Parlamento, ma Italia, Manifestazione di Greenpeace contro gli Ogm Foto Ap Grecia, Austria ed Ungheria stanno cercanbiologica, un paragone che mido di convincere la Polonia a nava il concetto stesso di biolosposare lo 0,1%, in modo da gico, oltre a addensare nubi, avere i voti sufficienti per creaanche economiche, su un setre una minoranza di blocco tore in cui l’Italia è leader, conche obblighi gli altri Stati memtando su un fatturato che la pobri a mediare verso l’approvane al terzo posto nel mondo e zione di una soglia di contamial primo in Europa. nazione più bassa per il bioloIl Parlamento ha in sostanza gico. Il voto di ieri è quindi deciso ieri di eliminare ogni doppiamente importante vipossibile confusione tra agristo che rafforza la posizione In un carteggio con il Comune, nel ’96 la prefettura di Bologna lanciava l’allarme sull’uso dei vigilantes per servizi di ordine pubblico. Indagati due poliziotti Giusi Marcante Bologna Due poliziotti sono indagati nell'inchiesta della procura di Bologna sulle Pattuglie Cittadine, i vigilanti convenzionati con il Comune che il 2 giugno 2004 sono intervenuti nei tafferugli tra i partecipanti al presidio che aveva contestato la parata militare e le forze dell'ordine. Un terzo poliziotto è in via di identificazione perché indossava il casco. In piazza quella mattina quelli delle Pattuglie entrarono indisturbati nell'area delimitata (un video della polizia scientifica mostra uno di loro che scavalca la transenna e mostra a un agente del- &società venerdì 30 marzo 2007 del gruppo, minoritario, di capitali che si battono contro l’apertura agli Ogm. «Il voto del Parlamento non può che restituirci serenità - afferma un rinfrancato Paolo de Castro, ministro dell’agricoltura – la nostra posizione di tolleranza zero rispetto alla contaminazione da Ogm negli alimenti ottenuti da agricoltura biologica trova così ascolto e soddisfazione. Ora speriamo che questa decisione del Parlamento possa tradursi concretamente in una decisine del Consiglio europeo». I tempi di questa decisione non sono al momento chiari, visto che sempre ieri il Parlamento ha chiesto a larghissima maggioranza di rinegoziare con la Commissione la procedura decisionale da applicare a questa materia. Al momento l’Eurocamera viene solamente consultata, ieri ha chiesto di avere potere di veto sugli Ogm. Vedremo se l’esecutivo comunitario le darà ragione o se la materia rimarrà di competenza degli Stati membri, fino a che non verrà risolta questa questione pro- cedurale, non si affronterà la sostanza. Che il tema sia difficile, lo dimostra il risultato di ieri al Parlamento, che per quanto amplio, è stato assai sofferto. Di fatto si è assistito in aula ad un accerchiamento del partito dello 0,9%, composto da Popolari, liberali e da una parte dei Verdi, da parte di tutte le altre forze politiche, dall’estrema sinistra all’estrema destra. Comunisti, socialisti, eurodestra (che comprende An e la Lega) ed Identità, tradizione e Sovranità, il gruppo di estrema destra che conta su Msi e Front National, si sono uniti votando a favore della soglia dello 0,1%. Gli eurodeputati italiani verdi, liberali e popolari si sono invece divisi praticamente a metà, una parte con la tolleranza zero ed un'altra con la soglia comune dello 0,9%. In pratica un voto bi-partisan che fa felici da destra a sinistra, ma soprattutto Legambiente che molto si è spesa per sensibilizzare gli eurodeputati sui rischi di una relazione troppo stretta tra Ogm e biologico. «Quelle Pattuglie sono fuorilegge» la mobile un falso distintivo di polizia), strattonarono e trascinarono a terra dei manifestanti come testimoniano anche le foto agli atti dell'inchiesta per violenza privata, lesioni aggravate, usurpazione di funzioni pubbliche e possesso di contrassegni di forze di polizia. Omesso rapporto è invece l'ipotesi della pm Morena Plazzi verso il dirigente di un commissariato cittadino che quella mattina era il responsabile della sicurezza pubblica e un sovrintendente delle volanti della Questura. Ieri i due si sono presentati negli uffici della Procura per essere interrogati e hanno risposto alle domande affermando con forza che loro i pattuglianti non li conoscono. Cosa ben diversa dalle affermazioni di uno dei vigi- lanti che è un ingegnere minerario e ha detto al magistrato di conoscere il dirigente del commissariato «da una vita». L'inchiesta sulle pattuglie è partita da quella (poi archiviata) che la procura aveva aperto contro i manifestanti per resistenza. E' della Digos il rapporto dove si evidenzia che i pacifisti avrebbero resistito non a poliziotti ma a privati cittadini con guanti neri e la passione per le manifestazioni della sinistra antagonista alle quali almeno in un'altra occasione, il 21 maggio 2005, alcuni di loro sono stati avvistati. Agli atti di questa inchiesta c'è anche un nuovo documento che chiama in causa il ruolo del Comune di Bologna. Ricostruisce il carteggio tra la Prefettura e Palazzo d'Accursio con richieste di chiarimenti sul ruolo delle Pattuglie che nel febbraio del 1987 si videro revocare proprio dal Prefetto l'autorizzazione alle attività di polizia. Dubbi e perplessità investono il Comune in più occasioni con note che la Prefettura invia su sollecitazione diretta del Viminale e soprattutto sulla scia di una circolare del 1996 dell'allora ministro dell'Interno Giorgio Napolitano che vieta l'attività di sicurezza dell'ordine pubblico per queste associazioni e la affida solo a chi può essere soggetto all'art. 134 del TULPS (le guardie giurate). Il comune ha risposto nel marzo 1998, c'era ancora la giunta Ds, sostituendo nel testo della convenzione con le Pattuglie le parole «sorveglianza e prevenzione» con «presenza vigile e attiva». Le «perplessità» del Viminale sono continuate e sono state segnalate sempre dalla Prefettura anche in occasione del rinnovo del febbraio 1999, pochi mesi prima dell'avvento dell'era Guazzaloca che l'ha mantenuta in essere come altrettanto ha fatto l'amministrazione di Sergio Cofferati aumentando anche il budget da poche settimane. Insomma un rilancio continuo di carte mentre non si fermavano i pattugliamenti che avvenivano non tanto e non solo nei parchi e giardini o davanti alle scuole ma ad esempio in zona universitaria dove venivano effettuati arresti e fermi. Sono le Pattuglie che trasmettono all'Ateneo fior di relazioni sull'attività svolta negli ultimi 15 anni. Tutta questa documentazione è stata acquisita dall'inchiesta della pm Plazzi che ha indagato per abuso d'ufficio anche funzionari comunali per ora ignoti. Verona Il Critical wine delle terre ribelli Paola Bonatelli Verona Il vino è legato alla terra ma sono le lotte sociali a trasformare la terra/il territorio in spazi vivibili dove costruire forme e strumenti di comunanza che possano diventare stili di vita e produzione. Così la quinta edizione di Critical Wine/Terre ribelli, che si apre stasera a Verona al csoa La Chimica - che nel 2003 ne ospitò la prima edizione con la rimpianta presenza di Luigi Veronelli - parla il linguaggio dei comitati vicentini «No Dal Molin» contro l'allargamento della base militare Usa, ma anche quello dei comitati No Tav e No Ponte, dei cittadini di Scanzano, dei veneziani No Mose, fino alla più vicina lotta contro i cementifici che distruggono la provincia veronese. Se nelle passate edizioni - che negli anni hanno prodotto cloni sparsi in molte città italiane, fino a costituire una rete - s'è lavorato molto sull'autocertificazione e sul prezzo-sorgente, due elementi che permettono di seguire il prodotto dall'origine fino alla trasformazione e al passaggio distributivo creando un cirQuinta edizione colo virtuoso anche riguardo alle Comitati contro modalità di relazione sociale, quela base di Vicenza, st'anno saranno le diverse forme NoTav e NoMose di cittadinanza «in agire» sui terriall’edizione che tori le vere protagoniste del Critisi inaugura stasera. cal Wine. Persone, uomini e donDomenica un presidio ne, che non animeranno soltanto di informazione gli stand delle «degustazioni libeal Vinitaly re e guidate dai riot-sommelier» o il mercato autogestito di verdura, frutta, salumi e artigianato ma parteciperanno ai dibattiti e agli workshop previsti: nel pomeriggio di sabato «Aree urbano agricolo relazionali:da non-luoghi a spazi psichicamente vivibili» a cura della rete A/RE/e, coordinamento informale tra cittadini, contadini, artigiani e gruppi sensibili, mentre domenica sarà la volta del Patto Nazionale di Solidarietà e Mutuo Soccorso per «Relazioni e racconti delle lotte popolari dalla Val di Susa alla Sicilia». Così gli «Aperitivi Tellurici» saranno gestiti dal presidio permanente No Dal Molin con «Abbatti Dal Molin coltiva Molinara» e dai coordinamenti popolari NoTav. Non mancherà, come da tradizione, l'occasione per un'iniziativa esterna. Quest'anno la scelta è caduta sul gigantesco ambaradam della 41a edizione del Vinitaly - 86 mila metri quadrati di esposizione e 4300 aziende da oltre 30 Paesi - aperta ieri alla Fiera di Verona dal ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali Paolo De Castro: «Faremo un presidio davanti alla Fiera domenica mattina- annuncia Filippo, uno dei portavoce della Chimica con un gruppo di produttori critici che andranno ad informare gli altri produttori/consumatori sulle nuove direttive europee OCM e PAC, che favoriscono la grande produzione e soffocano i piccoli vignaioli. In secondo luogo parleremo di Vicenza con i produttori dell'area No Dal Molin e di quanto questa servitù militare peserà sulle risorse e sulla valorizzazione di un territorio così importante e a ridosso della città. Inviteremo ovviamente a boicottare Zonin, che incarna sia la grande produzione agroindustriale che il sostegno più bieco alle logiche delle servitù militari e delle speculazioni conseguenti». venerdì 30 marzo 2007 il manifesto &lavoro capitale 11 Solo in Portogallo si paga il lavoro di meno. Surreale Almunia: «Non aumentate gli stipendi» Salari italiani fuori dall’Europa Francesco Piccioni L’ impressione c’era. Ma vedersela confermata così, dalla brutalità dei numeri, condita dal linguaggio asettico della statistica spiegata al popolo, beh... fa una certa impressione. I salari italiani sono i più bassi d’Europa. Punto. Portoghesi a parte, abbiamo toccato il fondo tra i «quindici» che costituiscono l’Europa «vera», quella che serba memoria del «modello sociale europeo». Più indietro ci saranno le new entry, gli affamati dell’Est che giocano tutta la propria competitività su un costo del lavoro ancora più vicino al terzo mondo che non al Vecchio Continente. Noi siamo i penultimi dei «quartieri alti». Il bello (si fa per dire) è che abbiamo perso posizioni anno dopo anno. Tra il 2000 e il 2006 – spiega il rapporto Eurispes, elaborato sui dati ufficiali Eurostat filtrati dall’Ocse – siamo stati sorpassati in tromba dai nostri cugini mediterranei Spagna e Grecia. Solo nel 2004 il salario medio annuo di un lavoratore italiano dipendente dell’industria o dei servizi (con esclusione dunque dei salariati agricoli e dei dipendenti pubblici) era di 15.597 euro, mentre uno spagnolo intascava 26 euro in meno e un greco arrancava a 12.434. L’anno successivo lo spagnolo ci lasciava a 1.000 euro di distanza, il greco a 430. Nel 2006 la situazione è peggiorata ancora, con l’iberico a ve- Foto Gabriella Mercadini leggiare sui 17.412 euro, il greco che ci guarda dall’alto dei suoi 16.720 e l’italiano che si barcamena con 16.242. Il portoghese piange a 13.136, è vero, ma in due anni ha ridotto il distacco da 7.000 euro a soli 3.000. Si può anche dare tutta la colpa al governo Berlusconi, ma la chiave vera è la subordina- zione completa di qualsiasi governo alle pretese di Confindustria, oltre che ai «diktat» provenienti dai diversi organismo sovranazionali (Ue, Fmi, Bamca Mondiale, ecc). Un crollo simile delle retribuzioni nette arriva in conseguenza di una dinamica salariale arretrante, più che «bloccata». Nel quinquen- nio considerato, infatti, il salario medio lordo europeo è cresciuto del 18%, mentre in Italia solo del 13,7. Gli ultraliberisti inglesi hanno addirittura impazzato con un +27,8, mentre i già ricchi svedesi si sono accontentati di un +7,7. Vero è che il costo medio per ora lavorata risulta ancora leggermente più McDonald’s paga poco. Anche in Cina tarla sono le catene di fast food Guangdong, le multinazionali del fast americane la notizia diventa stuzzifood non rispettano i minimi salariali. cante. McDonalnd’s, Kentucky Fried Chichen e Pizza Hut pagano i Lo denuncia un quotidiano locale loro dipendenti solo 4 o 5 yuan l’ora, denuncia un quotidiano locaPersino in Cina, mecca dei bassi salari per le che esibisce come prova i contratti firmale multinazionali, le catene di fast food coti dai lavoratori. Tutti a part time, come nel minciano ad avere qualche problemino. resto del mondo, in gran parte giovani che Nelle zone più ricche e sviluppate si adottafanno i camerieri e gli sguatteri per pagarsi no politiche a sostegno dei salari. All’inizio gli studi. dell’anno la città di Guangzhou, capoluogo China Daily ha ripreso la notizia, segno del Guangdong, ha fissato la paga minima che il governo cinese non intende chiudere oraria a 7,5 yuan, quasi un dollaro. Un cifra un occhio. Sia McDonald’s che Yum Brandecisamente alta per gli standard cinesi e, ds Inc. (la società di Louisville a cui fanno probabilmente, rispettata da pochissime capo le catene del pollo fritto e di Pizza aziende di Guangzhou. Ma se a non rispetHut) sostengono d’osservare scrupolosa- Bmw Fabbrica in India La Bmw ha inaugurato ieri la sua prima fabbrica di auto in India, a Chennai, la quarta città indiana per grandezza. Qui il costruttore tedesco assemblerà la Serie 3 e la Serie 5 - auto di segmento medio-alto e alto per abbattere i pesanti dazi sull’importazione di vetture di lusso. Una strada maestra dal punto finanziario ma che non dovrebbe cambiare le sorti del costruttore bavarese in India, dove resterà un marchio di nicchia in mezzo a un mare di auto di piccola cilindrata, dalla Maruti alla Tata e Mahindra&Mahindra. Più importante è il segnale che la Bmw manda ai suoi rivali storici di casa, la Mercedes, che in India è sbarcata a produrre già dal 1993 e attualmente è il costruttore di lusso numero uno del paese, con circa 2.000 macchine vendute ogni anno in un segmento di mercato infinitesimale, pari allo 0,03%. La scommessa dei costruttori di automobili è sul futuro dell’India, automobilisticamente parlando: se nel 2000 cinque indiani su mille avevano una macchina, nel 2010 le previsioni parlano di undici su mille, con circa 13 milioni di quattroruote sulle strade contro i 5 del 2000. mente le leggi del lavoro cinesi. Il capo dell’ufficio del lavoro del Guangdong annuncia ispezioni nei ristoranti; «se risulterà che le catene di fast food hanno infranto le norme, dovranno risarcire i loro dipendenti». Nella vicenda, per ora, non c’è traccia del (cosiddetto) sindacato cinese. Quello che, spalleggiato dalle autorità statali, ha imposto - unico caso al mondo - la sua presenza nei magazzini Wal Mart. La multinazionale di Bentonville è stata costretta a cedere perchè una grossa fetta delle merci che commercializza è made in China. In Cina McDonald’s ha 790 ristoranti e 50 mila dipendenti. Yum Brands, con 2 mila ristoranti e 100 mila addetti, trae dalla Cina un terzo del profitto operativo globale. La Confindustria: «Non toccare legge 30 e contratti a termine» Sara Farolfi La partita vera si giocherà dopo Pasqua. Quando dalle parole si dovrà passare ai fatti. Seduti al tavolo di concertazione aperto ieri a Palazzo Chigi sui temi del welfare e del mercato del lavoro, i convitati (governo e parti sociali) hanno ribadito le rispettive posizioni. Ma come in ogni partita che si rispetti, ogni mossa ha la sua importanza. Almeno per indicare la piega che il gioco prenderà. Rinviato a data da definirsi il discorso «pensioni», le posizioni restano distanti anche in materia di mercato del lavoro. E questo, sia detto per inciso, nonostante l’atmosfera conviviale che pare si respirasse, tra ammiccamenti di fortuna e provvidenziali omissis. Ieri insomma si è dato un occhio al menù. Aspettando l’ora del pasto, prima di lasciarsi andare ai commenti. Naturalmente la legge 30 non è neppure stata nominata. Ci mancherebbe, al tavolo erano seduti governo, sindacati e Confindustria. Il ministro del Lavoro, Cesare Damiano ha centrato la discussione sulla riforma degli ammortizzatori sociali, e questo ha riscosso il plauso di tutti i presenti. «Vogliamo portare le tutele a livelli europei» ha esordito Damiano. Più in generale l’obiettivo sarebbe quello di «migliorare le tutele per i giovani, le donne e gli over 50, adeguando anche le pensioni più basse». Allo studio ci sarebbe l’innalzamento dell’indennità di disoccu- Via al tavolo Ieri il primo incontro governo-parti sociali sul mercato del lavoro. Fammoni (Cgil): «L’esecutivo s’impegni contro la precarietà» pazione, ma anche i contratti di solidarietà, la Cassa integrazione autofinanziata e il sostegno al reddito per il lavoro discontinuo e temporaneo. Mancava però il tesoriere e i conti senza l’oste, si sa, difficilmente tornano. Cgil, Cisl e Uil, come anche Confindustria, hanno chiesto certezza sulle risorse per varare una riforma che costerebbe, secondo alcune stime, alme- no due miliardi di euro. «Delle risorse necessarie, se ne parlerà al momento opportuno», ha tagliato corto il ministro Damiano. Sulla riforma del mercato del lavoro, Damiano si è tenuto sul generico, limitandosi a ribadire «la necessità di rendere più conveniente il lavoro stabile». Che fare dunque dei contratti a tempo determinato? Maurizio Beretta, direttore generale di Confindustria è più che esplicito: «Siamo contrari a qualsiasi revisione dei contratti a termine, va contrastata l’idea che al di fuori del tempo indeterminato tutto il resto sia prateria». «Questi contratti - ha detto invece Giorgio Santini, segretario confederale Cisl - rappresentano un punto critico quando si procede con continue proroghe». Fulvio Fammoni, segretario confederale Cgil, si dice comunque complessivamente soddisfatto: «Dire che si intende privilegiare il lavoro stabile e contrastare perciò le forme di legge non coerenti è un passo importante - dice - Poi è chiaro che il tutto sarà da declinare in fatti concreti». Insomma, li rivedremo dopo le feste. E forse al governo non basterà il ramoscello d’«ulivo». alto in Italia (21,3) rispetto a Spagna (14,7) e Grecia (13,3); ma è colpa soltanto del «cuneo fiscale», più alto da noi. Insomma: a livello di salario lordo siamo quart’ultimi, sul netto (quello che effettivamente ci viene dato in busta paga) siamo in fondo (col Portogallo ormai in scia). Le cose peggiorano considerando l’evoluzione del tasso di inflazione. Fatto uguale a 100 sia il valore del salario che quello dei prezzi al consumo nell’anno 2000, infatti, risulta che i salari italiani a dicembre 2006 sono pari a 116,7 mentre i prezzi sono saliti a 120. Oltre tre punti in meno (e stiamo parlando dll’inflazione «ufficiale», non di quella «reale»). Fin troppo facile, a questo punto, capire come abbia agito l’«effetto congiunto» tra erosione del potere d’acquisto e contenuta dinamica salariale. In una giornata così, suona decisamente surreale – per non dire provocatoria – l’ennesima sortita del commissario europeo all’economia, Joaquin Almunia, che nel suo Rapporto trimestrale sull’eurozona ha invitato l’Italia a «moderare i salari», che nel nostro paese si sarebbero mossi in modo «particolarmente pronunciato». Diciamola così: se Almunia fosse un rappresentante democraticamente eletto di un paese democratico, questo paese non avrebbe che da ingiungergli di restituire il mandato. Immediatamente. Di «ideologi liberisti» che non guardano neppure le proprie cifre, non si sente davvero il bisogno. Pechino 6 operai morti nel tunnel A Pechino è crollato un tunnel della metropolitana in costruzione per le Olimpiadi del 2008. Sei operai sono stati sepolti dalla macerie. Il padrone ha bloccato l’accesso al cantiere e ha sequestrato i cellulari agli altri lavoratori. Ha cercato di nascondere l’incidente. Una settimana fa aveva fatto altrettanto il propietario di una miniera di carbone nello Shanxi. Dove ieri un’altra esplosione di grisou ha causato 26 morti. Statali Oggi scioperano con le RdB-Cub Si fermano per tutta la giornata di oggi i lavoratori pubblici che aderiscono allo sciopero indetto dalle Rappresentanze di Base (RdBCub). Precari compresi, perché proprio la condizione dei contratti «atipici» è uno dei punti centrali della mobilitazione. Di loro non si riesce neppure a sapere il numero esatto, visto che - oltre ai ministeri centrali - il lavoro precario si è diffuso a macchia d’olio in tutti gli enti locali e nel parastato (a cominciare dalla sanità). Parecchie università - ma è solo uno dei tanti esempi possibili si rifiutano di render note le cifre. Così si va un po’ a spanne: chi dice 400.000, chi ipotizza anche 700.000. La causa è invece unica: il blocco del turn over, che impedisce di procedere alle assunzioni ormai da quasi 15 anni. Una misura estrema che non poteva ovviamente essere applicata davvero. E infatti tutte le amministrazioni (persino la Giustizia e la Difesa) sono ricorse ai contratti atipici per far fronte alle necessità. Ma tutti sembravano più «virtuosi»: le spese per il personale calano da anni, mentre si gonfiano quelle per «beni e servizi» (la voce sotto cui finiscono gli stipendi dei precari). Sotto accusa da parte delle RdB anche il piano di «smantellamento» della pubblica amministrazione, presentato a grandi linee proprio ieri ai sindacati e piaciuto a nessuno. In sintesi si parlerebbe di riduzione del personale, di qualità e quantità dei servizi all’utenza, chiusura di sedi, mobilità, niente assunzioni né stabilizzazione dei precari. Un vero disastro. Allo sciopero le RdB accoppiano una manifestazione nazionale a Roma, con partenza da piazza della Repubblica alle 9,30 e corteo fino a Corso Vittorio, sede del ministero della funzione pubblica. Prima ancora, però, ci saranno dei presidi di protesta davanti al ministero della difesa e a quello dell’economia, in via XX settembre, nonché in piazza Madonna di Loreto, sede dei Servizi educativi del Comune di Roma. Al termine del corteo, infine, i lavoratori del ministero della giustizia raggiungeranno via Arenula per un altro presidio. Una delegazione sarà ricevuta da Gianni Pagliarini, presidente della Commissione lavoro della Camera, per discutere di precarietà. Un’altra sarà invece ricevuta a palazzo Chigi da Enrico Letta i il ministro Nicolais. Fr. Pi il manifesto venerdì 30 marzo 2007 12 editoriale Gli aeroporti sono anche grandi mercati che realizzano fatturati notevoli. Nella foto Eidon, l’interno dell’aeroporto di Fiumicino Un’altra felpa è possibile? Marlowe S e per i fagiolini è scoppiato un pandemonio, chissà cosa succederà adesso, che le Coop hanno lanciato una linea di moda «etica», con connessa sfilata milanese. Felpe, jeans, polo e camicie, tutte prodotto con marchi «equi e solidali», provenienti da paesi le cui produzioni tessili sono note più per l’infimo livello dei costi di produzione (salari) che per lo stile o l’eticità. Invece quella della Coop è «una sfilata etica», protagoniste sette cassiere - non anoressiche, nonostante gli stipendi del commercio non siano proprio da grandi abbuffate - e tre continenti: l’India, per la precisione il villaggio di Madaplathuruth nel Kerala, con un programma di produzione di polo e t-shirt; l’Africa (Cameroun), per il cotone per jeans e felpe; l’Argentina, con un’altra filiera tessile pilota. Dove sta «l’etica»? Nella certificazione sugli standard di lavoro, negli accordi presi con le cooperative e comunità locali, nel divieto di uso di lavoro minorile, nel comprare il cotone a prezzi «maggiorati» rispetto a quelli del mercato mondiale delle materie prime... Basterà? Il precedente progetto, quello dei fagiolini del Burkina Faso, si è attirato critiche nel mondo del Fair Trade (riportate da Liberazione lo scorso sabato). L’ingresso dei colossi della distribuzione (e del profit) in un commercio prima riservato a piccole nicchie di non profit fa rumore. Prima critica: il costo ecologico del trasporto, da continenti lontani a noi. Si può obiettare che vale per tutti, le cattive Chiquita come le buone felpe: la cosa singolare è che la stessa obiezione al Fair Trade era stata fatta qualche mese fa dal liberistissimo Economist. Ma un conto è prendere atto del fatto che sempre più il consumatore italiano guarda , oltre che all’origine e alla composizione dei prodotti, anche al numero dei chilometri che ha fatto per arrivare qui; altro conto è bollare negativamente tutta la merce che viaggia: che facciamo, proibiamo le importazioni? Seconda obiezione, sostanziosa, di chi guarda con sospetto all’ingresso dei colossi nel Fair Trade: il danno ai produttori locali, in particolare nel biologico. Una sorta di «concorrenza tra buoni». Vale per i fagiolini, varrà anche per le camicie indiane e le felpe del Camerun. E’ una questione tanto antica quanto affascinante. Basta rileggersi lo scontro tra Ricardo e Malthus sulle importazioni dall’India: allora, fu Malthus a schierarsi per il protezionismo, a tutela del tessile inglese. Dopo due secoli, siamo ancora lì: siamo capaci solo di importare sfruttamento, o anche di esportare diritti. Magari non in punta di fucile? E’ scontro aperto tra la cordata italiana e l’australiana Macquerie per la conquista della società che gestisce Fiumicino. Il patto di sindacato di Gemina ha messo nell’angolo la famiglia Romiti Virginia De Papi «I l vecchio leone non ruggisce più. Ma per lui il viale del tramonto è cominciato da tempo». Un anziano operatore di Borsa, uno di quelli che negli anni '80 aspettava il verbo di «Cesarone» per vendere o acquistare, descrive così, con crudezza, quello che sta avvenendo in Gemina. Un modo suggestivo per dire che Cesare Romiti è al capolinea, messo nell'angolo da quei salotti finanziari che lo hanno coccolato per decenni. In effetti la sensazione è che il vecchio leone non sia più quello di una volta, che il suo potere sia ormai ridotto al lumicino e che quello di Gemina potrebbe essere l'ultimo atto del manager che per oltre trent'anni ha tenuto banco nella comunità degli affari. La verità, al di là della battaglia azionaria che si potrebbe scatenare in Gemina per il controllo degli aeroporti di Roma, è che Cesare Romiti ha smesso di contare ormai da qualche anno, nel momento in cui gli è stato tolto di mano il gioiello di via Solferino, il Corriere della Sera, di cui è stato presidente per anni. Da quel momento è iniziata per lui la fine. Perchè nel mercato della finanza e della politica non aveva più nulla Aeroporti di Roma: l’addio del leone da mettere sul piatto della bilancia. Martedì scorso il patto di sindacato di Gemina ha di fatto sfiduciato la famiglia Romiti, escludendo Piergiorgio e Cesare dalla lista che andrà a comporre il consiglio d'amministrazione di Adr, l'asset più importante e più di valore di Gemina. La colpa apparente di Cesare Romiti è di essersi schierato con gli australiani di Macquarie, il gruppo che controlla il 44,7% di Adr, ma gli azionisti di maggioranza di Adr (51%), raggruppati in Leonardo, la società presieduta da Paolo Nicoletti su nomina della maggioranza, gli rimproverano un vecchio vizio, di non voler cacciare una lira per gli investimenti di Adr. Il paradosso della storia vuole che i «giudici» di Romiti siano quegli stessi gruppi che negli anni lo avevano appoggiato. Gli azionisti di Leonardo infatti sono Benetton, Clessidra, Capitalia, Mediobanca, Generali, Fonsai, ovvero tutto il gotha della finanza che una volta era nella galassia di piazzetta Cuccia. Ora Romiti è sul fronte opposto, per una volta è contro i salotti buoni e questo forse gli costerà l'ultima poltrona che conta. «Io licenziato? Assolutamente no», giura Cesarone in una fugace battuta ai giornalisti ma dalle parole che seguono si capisce che l'ultima spiaggia di Cesare Romiti non sono più i suoi vecchi amici di Mediobanca o di Capitalia ma gli australiani. «Vedrete che ce la faranno», aggiunge con un filo di speranza. Ma come spiega un personaggio che segue da una posizione cruciale la vicenda Gemina, la partita che si sta giocando non è soltanto finanziaria ma è anche di natura industriale e attiene in particolare allo sviluppo degli Aeroporti di Roma. Sul tavolo della trattativa c'è un piano industriale che prevede ingenti investimenti, oltre ai quattrini da sborsare per pagare la quota degli australiani. I soci di Leonardo hanno offerto a Macquerie tra i 900 milioni e 1,1 miliardi di euro ma il colosso australiano per il momento resiste ed è pronto a ingaggiare una battaglia. I quotidiani nei giorni scorsi annunciavano l'inizio della procedura d'asta che si prevede in questi casi ma in Gemina specificano che non siamo ancora all'asta vera e propria, la speranza è che le frenetiche trattative in corso tra i due schieramenti portino a una ricomposizione in funzione di un accordo sul piano industriale che dovrebbe portare a un rilancio degli Aeroporti di Roma. Se l'accordo, molto difficile a questo punto, non si trovasse scatterebbe la ridda dell'asta con esiti alquanto incerti sui futuri equilibri di Adr e dunque di Gemina, visto che gli Aeroporti di Roma sono davvero una delle partecipazioni strategiche della finanziaria di via Turati. In tutta questa vicenda rimangono oscure le vere intenzioni degli australiani: mentre pare evidente che Cesare Romiti si illudeva di restare della partita senza un grande sforzo finanziario, gli australiani qualora volessero passare al comando, dovrebbbero mettere parecchi quattrini nel rilancio degli aeroporti di Roma. La cosiddetta «asta» che si aprirà avrà una tempistica inevitabilmente flessibile. Il meccanismo di offerte e possibili rilanci, potrebbe fermarsi alla prima proposta - si ipotizza una forchetta di prezzo a 900-1.100 milioni di euro per il 45% di Adr in mano agli australiani - consentendo a Macquarie di cedere la loro partecipazione realizzando una considerevole plusvalenza e imponendo di conseguenza ai soci Gemina di metter mano al portafoglio in modo impegnativo. Ma il meccanismo di asta può sortire anche l'effetto opposto, vale a dire che può indurre Macquarie a formulare un rilancio sulla quota di Leonardo (controllata al 100% da Gemina) che potrebbe risultare irrinunciabile per i soci della finanziaria milanese, anche alla luce delle ingenti risorse a cui può attingere il gruppo australiano. affari automobilistici affari finanziaria affari di soldi Agli italiani piace anche low cost Londra batte New York I paperoni tedeschi Il fenomeno del low cost - una moda nel mondo dei viaggi e della moda - sbarca ora nell’auto. Una ricerca italiana sostiene che un italiano su cinque è pronto a comprare una macchina a basso costo; un’altra prevede che nel 2012 saranno ben 18 milioni le auto di questo tipo vendute nel mondo (oggi si vendono ogni 12 mesi circa 50 milioni di quattro ruote). La ricerca italiana della TNS Infratest, commissionata dalla Renault-Dacia (Dacia è il marchio romeno che produce la Logan, auto a basso prezzo ma grande e accessoriata come una berlina media), fornisce alcuni dati interessanti. Su un campione di 1.000 persone di diversa estrazione socio-culturale e provenienza geografica, il 35% indica il prezzo quale primo criterio di scelta per l’acquisto di un’automobile, seguito a pari merito da sicurezza e con- Dal punto di vista produttivo e dei saldi della bilancia commerciale, la Gran Bretagna è una vera frana: il suo deficit è il peggiore d’Europa, visto che ha sfiorato i 130 miliardi di euro. Ma sul fronte finanziario Londra sta riacquistando il dominio che aveva caratterizzato gli anni ’20 e ’30: nel 2006 ha superato New York. Secondo uno studio presentato martedì dalla Napier Scott Excutive Search un contributo decisivi alla conquista del primo posto l’hanno fornito gli hedge fund, ma anche il balzo del 54% delle acquisizioni realizzate nel Vecchio Continente che lo scorso anno hanno movimentato 1.700 miliardi di dollari, la stessa cifra realizzata negli Usa. Il boom della finanza ha contribuito a aumentare l'occupazione nel settore. Ma ancora di più sono Oltre 13 milioni di euro. A tanto ammonta lo stipendio percepito nel 2006 da Josef Ackermann, a.d. di Deutsche Bank. Si tratta del compenso più alto tra i top manager delle trenta società quotate al Dax di Francoforte: 1,2 milioni di euro in più rispetto a quanto dichiarato nel 2005 dallo stesso Ackermann, e circa 5 rispetto a Wolfgang Reitzle (7,37), a.d. del gruppo energetico Linde, arrivato secondo nella speciale classifica. In Germania, le imprese presenti nel listino azionario principale sono obbligate per legge a rendere pubblici i compensi dei consiglieri d'amministrazione. E ogni anno, non mancano le polemiche. In un paese che fatica a uscire da una delle peggiori crisi occupazionali del secondo dopoguerra, i milioni portati a casa da pochi privilegiati sono come un pugno nello stomaco. Le imprese, però, fanno utili. E questo è quanto basta. Solo 1,2 milioni della retribuzione di Ackermann, sono fissi. Tutto il resto dipende dall'andamento di sumi. Un intervistato su cinque è pronto per un acquisto di macchina low cost; il 60% degli interpellati ha già comprato beni e servizi low cost, il 50% considera corretto l’associazione del concetto del basso prezzo a un’auto, il 22% degli interpellati che considera positivamente il fenomeno low cost nel suo complesso sono giovani. L’altra ricerca è del’istituto di ricerca Roland Berger e associa la crescita degli acquisti di auto a basso costo a due motivi: l’espansione dei mercati interni indiano e cinese e la diminuzione del potere di acquisto di molti automobilisti europei. La Dacia Logan, con cui il gruppo Renault ha aperto la strada a tutti gli altri costruttori, è venduta oggi in versione berlina e station wagon. L’indiana Tata sta progettando un modello da poco più di 2000 euro, la Fiat e gli altri inseguono. (f. p.) cresciute le retribuzione dei manager delle grandi multinazionali del credito e della finanza. La Napier Scott (che non casualmente è una società che si occupa di ricerche di personale) ci fa sapere che lo scorso anno le retribuzioni degli operatori finanziari di Londra sono cresciute del 22%, mentre a New York si sono dovuti accontentare di un «modesto» 15%. Tradotto in soldoni, il compenso medio di un manager di vertice del settore creditizio nel 2006 è stato di 208 mila euro. Pochi? Decisamente no: gli stesi manager in media si sono messi in tasca oltre 2,3 milioni di euro di premi di produttività, di gratifiche varie per gli obiettivi raggiunti, oltre il 20% in più dei colleghi statunitensi. mercato dell'istituto di credito. Tagliare posti di lavoro, in questo senso, può essere molto redditizio. Ma non è solo il contestato a.d. di Deutsche Bank a poter contare su compensi meravigliosi. A sfogliare la graduatoria, si incontra Michael Diekmann, a.d. del colosso assicurativo Allianz, che si è portato a casa nel 2006 5,3 milioni di euro. E ancora: Dieter Zetsche - il manager a cui è stato affidato il compito di risollevare dalla crisi la DaimlerChrysler che ha ricevuto 5,1 milioni. Nulla se si considera quanto ha guadagnato Wendelin Wiedeking, l'a.d. della casa automobilistica Porsche. Il dato non è noto, perché la Porsche non è quotata al Dax e non c'è quindi alcun obbligo di trasparenza sugli stipendi. Gli addetti ai lavori, però, non hanno dubbi: è più ricco di Ackermann, se si considera che i sei consiglieri d'amministrazione della società hanno incassato complessivamente nell'ultimo anno oltre 45 milioni di euro. (ma.bo.) il manifesto venerdì 30 marzo 2007 il capitale 13 Commerci: negli squilibri europei spicca l'eccezione tedesca Nel 2006 due terzi dei 27 paesi dell'Ue hanno presentato una bilancia commerciale in passivo e quasi tutti in peggioramento rispetto al 2005. Fa eccezione la Germania, le cui esportazioni sono cresciute in valore nell'ultimo anno di oltre il 13% portando a un miglioramento dell'attivo. L'export tedesco nel 2006 ha superato 885 miliardi di euro, più o meno la somma dell'export di Francia, Italia e Spagna. In questi paesi, il tasso di crescita delle esportazioni si è mantenuto sotto il 10% e non è riuscito a bilanciare il deficit energetico. Italia e Spagna sono in particolare fra i paesi dove il disavanzo commerciale si è più aggravato: in Spagna è ormai livelli imbarazzanti (-88 miliardi di euro, il quadruplo di quello italiano). Lo squilibrio maggiore nell'area Ue è tuttavia quello del Regno unito, la piazza finanziaria d'Europa, dove il passivo sfiora adesso i 130 miliardi (erano un centinaio nel 2005). Nonostante la Germania, nel 2006 il disavanzo complessivo extra-Ue dei paesi dell'Unione ha così sfiorato i 200 miliardi di L’Italia va. Ma non corre euro. Cina e Russia sono, insieme a Norvegia e Corea, i paesi verso i quali il deficit Ue è peggiorato di più, mentre il sostegno dell'economia Usa ha garantito una crescita solo marginale dell'attivo (+ 2 miliardi): Cina e Russia sono attualmente i mercati di sbocco più dinamici per le merci europee, con tassi di crescita superiori al 20%. Anche per l'insieme dei 13 paesi della zona euro i conti con l'estero sono andati in rosso, a -9 miliardi dai +14,8 del 2005: oltre alle due grandi potenze orientali, a trainare le esportazioni dell'area sono le economie dell'est europeo, e in particolare Repubblica ceca e Polonia. (er.ge.) il libro «Imagine» di una fabbrica Antonio Peduzzi Ernesto Geppi L a Confindustria è fiduciosa nella ripresa: anzi, siccome in via Dell’Astronomia sono moderati, è «moderatamente» fiduciosa. La parola ripresa, riferita all'economia italiana, ricorre ben otto volte nell'ultimo supplemento alle Note economiche del suo Centro studi, anche se quasi mai vi appare da sola. E' spesso accompagnata dall'aggettivo «moderata» o da un esplicito «da consolidare» o dalla cauta precisazione che la rpresa ha luogo «dopo il calo del 2005»: ciò avviene quando si parla in generale dell'attività economica e della crescita del Pil ma anche quando si descrivono i dati sul clima di fiducia delle imprese. La ripresa diventa invece «forte» quando viene commentato il contributo degli investimenti lordi delle imprese, mentre è ripresa senza mezzi termini quella attribuita ai consumi e alla produzione industriale. Insomma, le imprese investono, anche se non sono ancora sicurissime del futuro. L’aria di ripresa fa ringalluzzire gli industriali, e appena se ne presenta l’occasione cercano di fare i primi della classe, o almeno ci provano: nell’ultimo rapporto «L’Italia vista dall’Europa», presentato martedì a Bruxelles, passa così la lettura secondo la quale «le imprese stanno reagendo, ma il sistema paese è in ritardo». Uno dei corollari di questo quadro è che, siccome il prodotto interno lordo ha accelerato (da quasi zero nel 2005 a +1,9% nel 2006) è aumentata anche la produttività del lavoro nei comparti industriali (+1,2%), e ciò ha comportato - lo segnala proprio Confindustria - il rallentamento del costo del lavoro per unità di prodotto, dal +2,9% al +1,3%, che ora viaggia più lento dell'inflazione: bene, vuol dire che c'è in giro anche un tesoretto delle imprese pronto per essere utilizzato per congrui rinnovi contrattuali, per investire sul lavoro e per portare le retribuzioni un po' più vicino agli standard dei principali partner dell'eu- ro. Ma sta andando davvero tutto bene, ancorché moderatamente? Per esempio, i consumi sono davvero in ripresa? In effetti, qualche dubbio viene. I consumi hanno rappresentato per tutto il 2006 una delle componenti più deboli del pil insieme alle spese della pubblica amministrazione: il loro ritmo di crescita è continuato a oscillare attorno all'1%, esattamente sugli stessi valori registrati per buona parte del 2005 quando i consumi erano però la parte più dinamica (si fa per dire) di un pil praticamente tramortito, con investimenti sotto zero. Nell'ultimo trimestre del 2006, quello che ha segnato il recente grande balzo congiunturale del pil che ha dato la stura alle voci sulla ripresa, la crescita dei consumi delle famiglie è stata la metà di quella degli investimenti, oltre un punto al di sotto di quella del prodotto lordo. E il 2007 non sembra aprirsi sotto migliori auspici. A gennaio le vendite al dettaglio, che identificano una parte rilevante della spesa per consumi, hanno segnato una crescita zero rispetto allo stesso mese dell'anno precedente, confermando l'andamento piuttosto sonnacchioso dell'ultimo trimestre del 2006. Tenuto conto degli effetti stagionali, l'Istat stima a gennaio una riduzione congiunturale dello 0,4% nel valore delle vendite che depurata dell'incremento dei prezzi verosimilmente si aggrava in termini di volume. Questo andamento è più marcato con riferimento alle spese per prodotti alimentari, e riguarda non solo la piccola ma anche la grande distribuzione (eccetto ipermercati e discount). L'andamento peggiore delle vendite al dettaglio si manifesta nelle regioni del sud, dove la crescita è negativa e dove il ritmo di crescita è stato per quasi tutto il 2006 più lento rispetto al resto del territorio. Proprio dal sud vengono le note più dolenti per un mercato del lavoro che, al di là dell'aumento dell'occupazione, non dà molti altri segni di solidità. Non solo si tratta di una crescita fondata sui tempi determinati, sui part time, sulla regolarizzazione dei lavora- C Un reparto Fiat dello stabilimento di Mirafiori. Foto Emblema Dopo quattro anni di stagnazione, dall’economia italia arrivano segnali di ripresa. Le imprese hanno ricominciato a investire e fanno profitti a scapito dei salari: il costo del lavoro per unità di prodotto crece meno dell’inflazione tori stranieri, ma è una crescita concentrata quasi solo nelle regioni del nord e che esclude di fatto quelle del meridione. Pessimi segnali, non proprio tipici dei periodi di ripresa, provengono dalle regioni del meridione (ma in parte anche da quelle del centro), dove cresce la porzione della popolazione (specialmente quella femminile) che rinuncia anche solo a cercare un lavoro, testimonianza di un mercato del lavoro informale e sottoposto agli arbitri più vari. Ad essere in ripresa, probabilmente, sono per il momento proprio le imprese. La produzione industriale per esempio nell'ultimo anno ha cambiato passo, e il 2006 è stato chiuso con una crescita annuale dell'1,8%, dopo il disastro- so -1,7% del 2005. Il 2007, di cui è disponibile al momento solo il dato di gennaio, si è aperto in maniera però in parte contraddittoria dal momento che, tenuto conto degli effetti stagionali e del numero di giorni lavorativi, gli indicatori della produzione e del fatturato hanno mostrato risultati nel complesso deludenti. A spingere di più, anche all'inizio del 2007, sono i comparti più pesanti della manifattura, e in particolare quelli metalmeccanici (specialmente la meccanica e la siderurgia) e quelli della filiera chimica. Si tratta di settori per lo più dedicati alla produzione di beni di investimento e orientati all'export. Da 21 mesi il fatturato dell'industria è infatti tirato soprattutto dalla domanda estera. Quest'ultima ha segnato nell'ultimo anno un aumento della componente extra-Ue e una ricomposizione dei principali mercati di sbocco. I dati di febbraio, diffusi nei giorni scorsi dall'Istat, evidenziano infatti una ulteriore riduzione della quota del nostro export extra-Ue assorbita dagli Stati uniti, che negli ultimi tre mesi è scesa di circa tre punti rispetto al 2005 con una diminuzione in termini di valore quasi del 5% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Che siano questi i primi effetti dell'atteso rallentamento Usa, del progressivo indebolimento del dollaro e del prevedibile riassorbimento del loro pesante deficit commerciale? L'incognita è pesante, visto che gli Usa rappresentano ancora quasi un quinto delle nostre esportazioni extraUe e una componente fondamentale per limitare il passivo commerciale. Nel frattempo cresce l'importanza dei nostri fornitori di energia (Russia e area Opec), che negli ultimi tre mesi hanno colmato buona parte del vuoto dei minori acquisti degli Usa. Le origini del tesoretto: virtù e ombre dei conti pubblici Roberto Romano - Cristina Tajani La trimestrale di cassa ha delineato uno scenario macroeconomico e della finanza pubblica in netto progresso. Evidenzia la forte crescita del Pil per il 2006 pari all'1,9% rispetto alle iniziali proiezioni pari all'1,4%, unitamente ad un significativo incremento delle entrate fiscali (strutturali) che il governo stima in 8-10 mld di euro (0,7% del Pil), oltre ad una situazione dei conti pubblici particolarmente positiva. Queste proiezioni sono al netto delle entrate possibili legate all'adeguamento della tassazione della rendita, pari a 1,2 miliardi. Tassazione delle rendite che - notizia di mercoledì - è saltata e rinviata a non si sa quando. Comunque sia il quadro generale appare favorevole e permetterebbe politiche pubbliche adeguate per far fronte a problemi non più rinviabili, per esempio l'adeguamento delle spesa sociale per dare delle risposte alle famiglie. In prima approssimazione il governo sembra sottovalutare gli effetti della manovra finanziaria per il 2007, l'effetto trascinamento legato alla crescita economica e la conseguente crescita delle entrate fiscali. Il quadro «macro» è solo in apparenza po- sitivo. Indubbiamente la crescita del Pil, in ragione della crescita del commercio internazionale e della domanda estera, è più alta di quella preventivata, ma conferma la distanza rispetto all'Ue a 12. Se osservassimo l'Italia dall'Europa, più che di crescita economica dovremmo parlare di una mancata crescita del Pil pari a quasi un punto percentuale di Pil. L'Ue cresce nel 2006 del 2,8%, mentre l'Italia dell'1,9%. Sostanzialmente la crescita dell'Italia rimane più bassa di quella europea, nonostante una crescita degli investimenti fissi lordi che ormai supera la media europea anche in rapporto al Pil (Eurostat 2007), cioè 19,5% per Ue e 20,6% per l'Italia. I conti pubblici ed in particolare gli aggregati finanziari che interessano l'Ecofin sono molto favorevoli. L'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche cresce di 6 miliardi di euro (a 64,7 miliardi) rispetto al 2005, ma tale risultato è l'esito (cercato) delle misure straordinarie. Diversamente l'indebitamento sarebbe pari al 2,4%, perfettamente in linea con i parametri di Maastricht, che diventa il 2,3% nel 2007 a legisla- zione vigente. Sostanzialmente un risultato di gran lunga migliore di quello preventivato che era pari al 3,6%. In qualche misura si può sostenere che la manovra delineata dal governo eccede di un punto percentuale di Pil rispetto alle sue stesse indicazioni. L'avanzo primario come il debito complessivo mostrano segni di netto miglioramento. L'avanzo primario per il 2007, a legislazione vigente, sale al 2,6% del Pil rispetto allo 0,2% del 2006, mentre per il debito c'è una crescita imputabile interamente alle misure straordinarie non ripetibili nel corso del 2007, comunque molto più bassa rispetto le previsioni delineate nella Relazione Previsionale e Programmatica (RPP). Infatti, il debito era previsto al 107,6% del Pil, mentre il risultato finale colloca il debito al 106,8%. Ma sono le entrate fiscali «addizionali» a sorprendere nella relazione trimestrale. Rispetto al 2005 sono state registrate nel 2006 maggiori entrate tributarie per quasi 36 mld di euro, cioè un incremento del 9,9%. Per il 2007 sono previste maggiori entrate pari a quasi 17 mld (finalizzate a ridurre l'in- debitamento). Le entrate Ire (la vecchia Irpef) sono state più alte di quasi 9 mld di euro; l'Ires (autoliquidazione Ires e Ire-Irpeg-) di quasi 7 mld di euro; le imposte indirette (Iva, imposta di registro ed altre) hanno avuto una crescita del 6,9% rispetto al 2005, cioè 12,3 mld di euro. Le entrate «una tantum» contabilizzate nella trimestrale di cassa (pagina 47) sono pari a quasi 6 mld di euro. Sostanzialmente il governo potrebbe disporre di quasi 13 mld per il 2007 da utilizzare per far fronte ai problemi del Paese, oppure 10 mld come calcola «prudenzialmente» il governo. Una dote importante che potrebbe essere utilizzata per rispondere ai tanti problemi del Paesi e a dare una risposta parziale alla polarizzazione del reddito. La riduzione del prelievo a carico delle imprese dovrebbe essere coerente con il riordino della tassazione della rendita finanziaria, ma le entrate aggiuntive e non previste potrebbero essere una risposta alla domanda di adeguamento dello stato sociale italiano. Le principali sofferenze sono legate alla disoccupazione, al sostegno alla famiglia, all'abitazione e alla esclusione sociale. on «Mirror, un modello di lavoro nell'economia della conoscenza», Sergio Galbiati, Giuseppe Giaccardi e Marina Perego avevano provato a mettere in forma il dominio cerebrale ad Avezzano, in un'area italiana in cui Micron, multinazionale delle memorie flash e dei sensori d'immagine, opera da un decennio. Oggi con «Imagine» i tre autori propongono lo studio del capitale umano nel mercato internazionale dei semiconduttori visto dall'Italia. Nella prima fase hanno dispiegato la rete del nous poietikós, in questa seconda si sono impegnati nel compito di modellizzare la sussunzione delle forze di lavoro nel dominio cerebrale. Gli analisti di solito distinguono tra sussunzione formale e sussunzione materiale. Ma nessuna sussunzione materiale è possibile se ad assumere qualcosa in posizione subalterna non c'è una forma dominante. In senso stretto, qui è in discussione l'essere di quelle che i cervelli Micron chiamano «persone» e «risorse» perché dovrebbero pur sapere che essere non è un predicato reale, ma è l'esser-posto della cosa, come notava Kant. Parliamo di risorse che sono pur sempre poste come cose, a dispetto del fatto che il management le chiami, civettando, persone. Lo scopo di Galbiati & C. è esaminare come le persone che lavorano in un'impresa ad alta tecnologia diventino risorse eccellenti e come «il territorio» possa essere luogo educativo e di progetto, promotore di nuovo sviluppo. In verità le «persone» configurate come «risorse» sono l'approdo estenuato della servitù su cui si erge la signoria che trascina in trionfo prede di guerra. Una guerra è stata perduta, perché gli excombattenti entrino nella configurazione rappresentante delle persone-risorse. Configurazione rappresentante è l'espressione giusta per indicare il grado raggiunto dalla servitù mentale sotto il dominio cerebrale dell'azienda: l'operare dell'uno è l'operare dell'altro, il pensare dell'uno è il pensare dell'altro. Heidegger ha chiamato il moderno l'epoca dell'immagine del mondo, dove «immagine è la configurazione della produzione rappresentante». Tutto questo per delineare in stile non troppo barbarico le modalità di impatto tra il cervello di Micron e quello che il management usano chiamare territorio. «Imagine» documenta il caso di studio sul capitale umano di Micron Technology Italia, il confronto con gli stakeholder esterni, i risultati pratici ottenuti dall'impresa «con l'approccio maieutico allo sviluppo» le proposte di lavoro rispetto a esigenze strategiche riconosciute come indispensabili per «crescere insieme con un territorio che vuole crescere». Il livello di organicismo dell'approccio richiede nel lettore resistenza alla ferocia. Il fatto che Micron qualifichi il proprio atteggiamento come approccio maieutico allo sviluppo dovrebbe suscitare indignazione. La circostanza per cui l'azione di Micron sarebbe «un'azione di frontiera», di «ecologia culturale», configura una sovranità informale che è possibile unicamente al prezzo di aver depotenziato le sovranità vere. Se un'azienda prende il potere, è sempre perché la politica ha accettato la disfatta. S. Galbiati, G. Giaccardi, M. Perego: Imagine. Laterza ed., 2007 il manifesto venerdì 30 marzo 2007 14 La massima originalità, la massima sintesi, il massimo dinamismo e la massima portata. Ecco che cos'è la pubblicità Filippo Tommaso Marinetti Come testimonia la querelle nata a San Paolo del Brasile in seguito alla decisione di vietare i cartelloni, è tempo di studiare nuove strategie per una promozione «sostenibile» dei consumi Una piccola storia dei percorsi seguiti dalla pubblicità nella sua progressiva colonizzazione degli spazi urbani. Dai testi solo verbali di fine XV secolo, ai poster concepiti per essere colti al volo dai tram e dalle auto stati scambiati per pacchi bomba. Il paradossale risultato di operazioni come queste è che hanno stimolato nei potenziali consumatori reazioni difensive più potenti, che a loro volta inducono la realizzazione di nuove pubblicità ancora più aggressive. Abbandonato a se stesso, insomma, il mercato non solo non si autoregola, ma si trasforma in una spirale viziosa che continua ad avvitarsi su se stessa. E sebbene nell’epoca di Internet e dell’onnipotenza mediatica che mette fortemente in discussione l’importanza delle «piazze» e dei centri cittadini, sia forse lecito aspettarsi in tempi non troppo lontani, se non la scomparsa, per lo meno un forte ridimensionamento della funzione del manifesto tradizionale, così come avevamo imparato a conoscerlo dall’Ottocento in poi, questo non significa che gli spazi pubblicitari verranno presto cancellati dai luoghi pubblici urbani. Anzi, forse proprio perché si sta avvicinando una fase di declino, non si può escludere che la pubblicità si faccia, se possibile, ancora più aggressiva di quanto sia stata finora. Vanni Codeluppi N ella prima fase della sua vita, l’affissione dei manifesti pubblicitari non doveva rispettare regole precise. A partire dalla fine dell’Ottocento, le città furono così progressivamente invase da cartelloni sempre più grandi, tanto che in Parigi, capitale del XIX secolo Walter Benjamin annotava con un certo divertimento come a qualcuno potesse addirittura capitare di svegliarsi la mattina e di trovare la propria finestra coperta da un manifesto. Oggi, invece, le norme esistono, ma spesso non vengono rispettate, o si rivelano inadeguate e arretrate rispetto alla rapida evoluzione del mercato. Lo spazio urbano si presenta perciò sempre più inquinato da un eccesso di stimoli sensoriali, legati soprattutto alla crescente intensità del traffico automobilistico, ma anche all’insolente invadenza dei messaggi pubblicitari. Come una sorta di velo che copre lentamente ma inesorabilmente edifici e spazi urbani, i manifesti danno vita a una fastidiosa «cacofonia» visiva. Il segnale di un problema Ha fatto notizia, nei mesi scorsi, la decisione del consiglio comunale di San Paolo del Brasile, una città di venti milioni di abitanti, di eliminare i cartelloni pubblicitari dalle strade a partire dal primo gennaio 2007. Come era prevedibile, questa misura ha suscitato proteste e cause legali per la difesa degli interessi economici che ne venivano disturbati, con il risultato che oggi la pubblicità nei luoghi pubblici della megalopoli brasiliana non è scomparsa, sebbene sia meno invasiva di prima. Il tentativo di San Paolo, e l’eco che ne è derivata in tutto il mondo, rappresentano comunque un segnale che il problema esiste, e che è necessario trovare soluzioni adeguate. In Italia, in particolare, la presenza dei grandi pannelli pubblicitari assume una particolare rilevanza perché si trova a coesistere con gli importanti segni delle città storiche, spesso occultandoli. Non a caso, il comune di Roma ha da tempo avviato una serie di interventi in questa direzione, sia lottando contro le numerose affissioni abusive (soltanto nel 2006 è stato eliminato più di un milione di manifesti), sia vietando i pannelli più grandi, sia infine allestendo in alcune aree cittadine speciali rivestimenti a raggiera che dovrebbero impedire le affissioni «non controllate». Città come palcoscenico Solo pochi giorni fa anche il ministero dei beni culturali, all’interno di una serie di provvedimenti che dovrebbero essere rivolti alla riqualificazione delle periferie, ha citato il ruolo spesso negativo che la pubblicità gioca nella definizione dei panorami urbani. Del resto, persino alcuni pubblicitari si sono posti il problema di una armonica collocazione dei materiali promozionali all’interno del contesto storico e architettonico italiano: ancora a Roma, infatti, la Agat (Associazione Grandi Affissioni Temporanee) ha organizzato nei primi giorni di marzo una mostra fotografica a Palazzo Venezia, Pubblicittà, con l’obiettivo di promuovere intorno a questo tema una riflessione pubblica. Il problema però è complesso e merita di essere affrontato tenendo conto anche delle sue origini storiche. Il manifesto pubblicitario ha sem- Mimmo Rotella, «Live», 2001 décollage Pubblicità senza progresso sul volto delle metropoli pre avuto bisogno dello spazio urbano come palcoscenico in cui potersi esprimere. Se questo era vero già per le prime forme elementari di propaganda, comparse nelle città alla fine del quindicesimo secolo (ai tempi in cui gli avvisi ufficiali erano ancora composti soltanto di testi verbali), il fenomeno è diventato soprattutto evidente nell’Ottocento, quando il progressivo sviluppo dell’industrializzazione e un intenso processo di urbanizzazione che riguardava grandi masse di persone provenienti dal mondo rurale hanno trasformato le piazze e le strade di maggiore transito dei centri cittadini nel luogo fondamentale di espressione della comunicazione pubblicitaria. È nato così il poster, che ha incominciato a utilizzare le immagini e ha invaso le città con formati sempre più giganteschi. E il passante ha dovuto abituarsi alla lettura di questi «quadri stradali» nuovi e sorprendenti, manifesti espressamente progettati per inserirsi con decisione entro la scena urbana. Contemporaneamente, il crescente utilizzo di nuovi mezzi di trasporto veloci, come il tram o l’automobile, ha imposto agli individui di imparare a vedere in tempi sempre più rapidi i manifesti pubblicitari. E a loro volta i mezzi pubblici sono diventati strumenti per l’esposizione di «manifesti» in movimento, svolgendo una funzione analoga a quella che era stata un tempo dei cosiddetti «uomini sandwich», le persone cioè che giravano per le strade portando sul davanti e sul retro del corpo dei cartelloni pubblicitari. Già a partire dall’Ottocento, in- somma, la pubblicità non si è limitata a aumentare le proprie dimensioni, ma ha progressivamente moltiplicato i luoghi della sua presenza. A quell’epoca qualche voce si era levata per protestare contro questa infiltrazione sempre più capillare, ma si trattava di reazioni ancora isolate: in quanto simbolo del progresso economico e sociale in corso, la pubblicità non poteva che essere pienamente accettata, nono- stante gli sconvolgimenti che portava nella vita urbana. Nel corso del Novecento, il processo di occupazione di tutti gli spazi urbani e sociali da parte della pubblicità ha continuato a svilupparsi, tanto che oggi il nostro orizzonte appare ormai saturo. Accanto ai luoghi (almeno all’apparenza) più consoni alla diffusione dei messaggi promozionali – lo schermo televisivo, innanzi tutto, ma anche, e Dall’Art Nouveau al boom economico Una mostra di manifesti al Castello di Rivoli Si intitola «Pubblicità. Passioni e sentimenti» la mostra che, curata da Cristiano Buffa e allestita fino al 29 aprile al Castello di Rivoli, si articola intorno alla ricchissima raccolta di manifesti che Dino Villani, uno dei più attivi pubblicitari italiani fra gli anni Trenta e gli anni Sessanta, collezionò durante la sua attività e donò poi alla Rai-Sipra. Di questa collezione, attualmente conservata presso il presso il Dipartimento Pubblicità e Comunicazione dello stesso Castello di Rivoli, l’esposizione presenta circa centotrenta manifesti che mettono in evidenza alcuni dei temi più importanti della comunicazione murale in Italia prima dell'avvento della televisione, dall'invenzione del tempo libero, alla propaganda del regime, dalle passioni politiche all'affermazione della società dei consumi. Disposte in sequenza cronologica e secondo raggruppamenti tematici che rispecchiano gli interessi professionali di Villani, le opere – firmate dai protagonisti della comunicazione pubblicitaria del Novecento, da Sepo a Marcello Dudovich, da Gino Boccasile a Erberto Carboni, da Nico Edel a Armando Testa – compongono, più che un percorso storico, una lettura «dall’interno» dell’evolversi della pubblicità in Italia partendo dai primi decenni del Novecento, quando il manifesto esprime il valore di una marca attraverso la ricostruzione di un ambiente, fino agli anni Sessanta, che vedono imporsi la nuova «seduzione del prodotto». ora soprattutto, gli schermi grandi e piccoli legati ai nuovi media, dal computer al telefonino – la pubblicità tende giorno dopo giorno a espandersi occupando molti luoghi sociali dove in precedenza non era presente: dalla superficie esterna delle impalcature degli edifici in ristrutturazione, alla superficie (interna ed esterna) dei taxi, dei treni e degli aerei, fino addirittura ai gusci delle uova e alla fronte delle persone disponibili a cedere in affitto un pezzo del loro corpo. Perfino il luogo privato per eccellenza, la toilette, ha subito l’assalto inesorabile della pubblicità: proprio di recente la campagna promozionale del film Borat ha trovato nei bagni dei locali pubblici un inedito campo di azione. Di fronte a una presenza tanto eccessiva e ingombrante, appare naturale che le reazioni di rifiuto e di protesta siano diventate più forti. Ma i risultati almeno finora hanno portato il contrario degli effetti voluti. Proprio nel costante tentativo di inseguire i consumatori, ormai scaltriti e insofferenti nei confronti dei «consigli per gli acquisti», le imprese non solo cercano di occupare spazi sempre maggiori, ma investono tutte le loro energie allo scopo di trovare modi efficaci e originali per farsi notare: è nato così il cosiddetto «guerrilla marketing», che cerca di colpire il target nei contesti e nei momenti in cui meno se l’aspetta. Ne è un esempio recente la campagna promozionale di una nuova serie televisiva americana, per la quale sono stati collocati nella metropolitana e nelle strade di Boston piccoli pupazzi luminosi che sono I «fiori» di Marinetti In passato i sostenitori della presenza della pubblicità nelle città affermavano con baldanza che essa contribuisce a rendere lo spazio urbano più bello, colorato e allegro. Celebre in questo senso è la lettera che Filippo Tommaso Marinetti scrisse nel 1927 a Mussolini per difendere le insegne luminose di Piazza Duomo a Milano, che alcuni volevano eliminare in nome della salvaguardia dell’estetica della piazza. Secondo Marinetti, infatti, gli avvisi luminosi andavano salvaguardati perché erano «i fiori eccitanti, i frutti succosi e i putti danzanti della nuova estetica futurista del ferro veloce e dell’audace cemento armato» ed erano «belli d’una nuovissima ma sicura bellezza». Pochi sono oggi i fautori del ruolo «estetizzante» della pubblicità, anche se è innegabile che esistano luoghi urbani importanti la cui identità si è formata soprattutto grazie alle immagini, ai colori e alle luci dei neon e dei grandi cartelli che li «adornano»: piazze celebri come Times Square a New York e Piccadilly Circus a Londra, quartieri come Ginza a Tokyo, intere città come Las Vegas non sarebbero neanche immaginabili senza la pubblicità. Ma questo ragionamento non si può applicare indiscriminatamente, e tanto meno in presenza degli edifici importanti dell’architettura storica. La necessità di difendersi Eppure, proprio partendo dal presupposto che attualmente – come dimostrano gli esiti del caso di San Paolo – la pubblicità non si può eliminare da un giorno all’altro perché rappresenta uno strumento indispensabile per lo sviluppo economico (senza tenere conto del fatto che le stesse amministrazioni locali ne hanno bisogno per sostenere le loro sempre più esangui finanze), appare necessario tentare di fare convivere le esigenze della pubblicità con quelle della qualità della vita delle persone. Si tratta, cioè, di difendere i manifesti, ma anche di difendersi dai manifesti, regolando il ruolo sociale della pubblicità e creando nuove forme che, come avviene con il consumo sostenibile, riescano a conciliare esigenze diverse e aprano la strada verso una vera e propria «pubblicità sostenibile». il manifesto venerdì 30 marzo 2007 cultura 15 Ibride variazioni sul fantastico di Antonia Byatt Stefania Consonni R iferendosi ad alcuni incroci discorsivi ed epistemologici che, spesso impercettibilmente, legano la nostra epoca all’Ottocento, Michel Foucault proponeva trent’anni fa una locuzione paradossale: «Noialtri vittoriani». Viene da pensare in questi termini anche a proposito di Antonia S. Byatt, nota al grande pubblico per il mélo vittoriano-postmoderno Possessione, perché è senza dubbio il paradosso a fare da nume tutelare all’ultima sua raccolta di racconti, La cosa nella foresta (Einaudi, trad. di Anna Nadotti e Fausto Galuzzi, euro 12,50). In queste cinque storie, infatti, troviamo l’Eneide e l’Arcimboldo fianco a fianco con i Teletubbies e i piercing all’ombelico, oppure un mostro medievale e gli arnesi di tortura dell’ostetricia sette-ottocentesca fianco a fianco con dolcissime reminescenze infantili dei bombardamenti di Londra e con resoconti di vecchie faccende domestiche come la lucidatura a piombo delle stufe di ghisa. Più sottile il paradosso della relazione che in questi racconti si stabilisce fra realtà e immaginazione, cioè fra una descrizione erudita, a tratti enciclopedica, di dettagli anche microscopici del mondo naturale e quotidiano – ai quali si era già abituato il lettore di Angeli e insetti – e l’ingresso di una dimensione «altra»: oscura, soprannaturale, perturbante. Sono racconti, questi della Byatt, peculiari della sua scrittura, che come già nel Genio nell’occhio dell’usignolo e nel Fiato dei draghi riprende la vena fantastica – quella delle fiabe per adulti – dei fratelli Grimm e di Andersen, ma anche il meraviglioso di Ovidio e Virgilio, le leggende e il folklore nordeuropeo, i racconti dell’arcano e del grottesco di Poe, il gotico pseudosettecentesco di Karen Blixen e non ultimo il macabre sexy e postfemminista di Angela Carter. Non a caso, il titolo originale della raccolta Pietro Perconti T anto è vero che le riviste specializzate sono uno dei principali strumenti per l'avanzamento della ricerca scientifica, tanto è palese che, sfortunatamente, in genere non servono anche la causa della divulgazione del sapere. Sembra che ogni anno vengano pubblicati circa venticinque milioni di saggi scientifici su circa duecentomila testate specializzate: non si fatica a credere che ciascun articolo, spesso dedicato a un minuscolo argomento ritenuto interessante soltanto a poche persone già avvertite, abbia un numero di lettori che può essere contato sulle dita di una mano. Tra le poche riviste a essere in grado di avanzare ipotesi culturali di ampio respiro, «Forme di vita» dedica il suo ultimo numero (edito da DeriveApprodi) a problemi di Logica e antropologia, rivolgendosi a chiunque sia interessato a comprendere cosa ne è della natura umana nel periodo attuale, caratterizzato da trasformazioni tecnologiche e scientifiche particolarmente significative. In un articolo comparso alcuni mesi fa sul domenicale del Sole 24 Ore, Diego Marconi osservava come la filosofia di orientamento analitico, che fino a poco tempo fa contava su Ludwig Wittgenstein come su Nei racconti appena usciti da Einaudi con il titolo «La cosa nella foresta», la scrittrice inglese dà fondo al suo gusto di mischiare l’irrazionale con dettagli presi dal mondo naturale e da quello domestico Ferdinand Hodler, Studio per «Il Giorno», 1898-1899 è The Little Black Book of Stories, dove l’enfasi è sul «nero», inteso come specifico genere letterario, con regole e topoi basati sulla «temporanea sospensione di incredulità» codificata dal primo romanticismo. Genere che la Byatt riprende con espliciti segnali e omaggi, e che mescola però con un’empirica osservazione e catalogazione dell’ordinarietà, della banalità quotidiana, insomma con una vis interpretativa schietta, iperrealisica quasi, dettata da quel sano principio inglese che è il common sense: quello di grandi e rassicuranti narratori come Jane Austen o Dickens, che di gotico si sono occupati, sì, ma solo marginalmente. Prendiamo ad esempio la storia che dà il titolo alla raccolta. Due bambine evacuate da Londra durante la seconda guerra mondiale si avventurano in una foresta, incuranti del fatto che «nelle fiabe, la gente fa dei segni sui tronchi degli alberi, o srotola un filo, o lascia una traccia di sassolini bianchi...per ritrovare la strada», e finiscono perciò con l’imbattersi in una Cosa, una bestia disgustosa e sanguinaria, mezzo ameba e mezzo drago. Una Cosa che tuttavia, allo stesso tempo, la voce narrante descrive con un realismo nitido, anacronistico rispetto all’ambientazione ipnotica e nebbiosa, come un amalgama di «carne putrida e vegetali in decomposizione», un misto di «protesi di materiali fabbricati dall’uomo, pezzi di rete metallica, canovacci sporchi», e (chissà poi perché, ma l’effetto realistico è notevole) «paglietta di ferro con residui di fondopentola, dadi e bulloni arrugginiti». Un po’ come se sotto l’egida (appunto paradossale) di Foucault, ma anche di Borges, l’Enciclopedia – quel luminoso modello epistemologico nato in Francia nel Settecento e basato su un rapporto individualizzante, puntualizzante, catalogante delle parole rispetto alle cose – si divertisse a rimescolare le carte con l’oscurantismo, l’orrore grafico, la violenza icastica del Bestiario medievale, e con le sue Cose spaventose e innominabili. L’ingresso dell’irrazionalità nell’apparentemente familiare si coniuga dunque anche al suo inverso: il ritorno straniante di pungenti dettagli realistici, di nomi scientifici e linguaggi specialistici, di un meticoloso catalogo della normalità che àltera i codici di indeterminatezza – di oscurità – del noir. Prendiamo un’altra storia di metamorfosi fantastica: in «Una donna di pietra» una anziana lessicografa, addolorata per la morte della madre, si trasforma – non senza una specie di felicità – in pietra vulcanica e gemme semipreziose, «pirolusite, ignimbrite, omfacite, uvarovite, glaucofane, scisto, argillite, gneiss, tufo». Ancora, la collezione di curiosità mediche custodita presso l’ospedale in cui è ambientato il racconto «Body Art» – siringhe, flaconi, «seghe e morsetti, forcipi e pinze, stetoscopi, tiralatte e orinatoi», «cervelli e testicoli umani in vasi di formaldeide», scheletri in bottiglia «con contorno di fiori secchi, grappoli d’uva di cera» – diventa, da sinistra Wunderkammer barocca, materiale di lavoro per una artista neoconcettuale che ne trae una moderna raffigurazione della dea Kali. L’invenzione fantastica si amalgama, insomma, in questi racconti al dettaglio pseudoscientifico, secondo la raffinata formula strutturale già presente in romanzi come Possessione, che oltre a diversi piani temporali intreccia circostanze documentarie dell’epoca vittoriana con patenti plagi di Robert Browning e Christina Rossetti, per poi ricomporre fatti e finzione – vittorianesimo e postmoderno, storicismo e sperimentalismo – nella voce onnisciente di una postfazione vecchia maniera. O come in The Biographer’s Tale, inedito in italiano, che attraverso una narrazione a scatole cinesi costruisce en abyme la storia di un biografo, problematizzando la relazione fra la proliferazione di frammenti di «autenticità» e l’invenzione di una forma che, proprio in virtù di una coerenza fittizia, darà a tali frammenti lo statuto di «storia». «Realismo autocosciente» lo ha chiamato Antonia Byatt, con ironia autoreferenziale, rimandando implicitamente all’esempio di quei romanzi capienti ed elaborati che Henry James, snobbando i contemporanei vittoriani, aveva liquidato come «vaghi mostri senza forma». Oltretutto SCOMPARSO ARIODANTE MARIANNI Poeta, pittore e traduttore di Dylan Thomas, di Auden, di W.C. Williams, di Emily Dickinson e dell’intera opera poetica di Yeats, Ariodante Marianni è morto a Roma all’età di ottantacinque anni. Ha scritto centinaia di testi, ma la soggezione verso Giuseppe Ungaretti, che fu suo maestro e di cui fu anche segretario, gli ha impedito a lungo tempo di pubblicarli. Quando si decise a fare uscire le sue poesie era ormai ottuagenario, ma fece in tempo a raccogliere notevoli apprezzamenti critici. Con il nome d’arte di Ario firmò la sua pittura, dando un contributo di rilievo al panorama delle avanguardie italiane, dagli anni ’50 alla metà dei ’70, gli anni fertli di Dorazio, Mulas, Perilli. SULLE TRACCE DI PIERO Luce, prospettiva, geometrie perfette: la pittura «metafisica» di Piero della Francesca è il soggetto di un tour imperdibile, che coinvolgerà tre sedi, a partire da questo week-end: Arezzo, Sansepolcro e Monterchi. La mostra «Piero della Francesca e le corti italiane» (fino al 22 luglio) propone un viaggio sulle tracce dell’artista nei suoi luoghi di origine in un rinascimentale affresco che prevede anche le opere di artisti «vicini» (da Pisanello a Veneziano all’Alberti). I nessi tra logica e antropologia in «Forme di vita» uno tra i propri punti di riferimento, sembra ormai averlo completamente rinnegato. La ragione del distacco da Wittgenstein risiede nell'incompatibilità tra alcune sue idee e il programma di ricerca delle scienze cognitive, divenuto ormai l'orizzonte di riferimento della maggior parte dei filosofi analitici. Per esempio, mentre Wittgenstein riteneva che l'impresa filosofica non dovesse in generale mettere capo all'elaborazione di teorie e tanto meno di teorie compromesse con le scienze naturali, i cognitivisti non fanno che elaborare e vagliare ipotesi teoriche su ogni aspetto della conoscenza naturale e artificiale. Ancora: mentre Wittgenstein riteneva che la soluzione dei problemi filosofi dovesse passare per una valutazione del modo in cui essi vengono formulati linguisticamente, per le scienze cognitive il linguaggio non ha un ruolo così speciale nella conoscenza umana. Anzi, molti cognitivisti ritengono che non si possa comprendere come funziona il linguaggio verbale finchè non si prendono in considerazione i processi cognitivi non linguistici che lo rendono possibile. Preso atto di ciò, il gruppo di filosofi che si riunisce intorno a «Forme L’ultimo numero della rivista edita da Derive e Approdi torna al progetto originario della filosofia analitica, ossia alla proposta di una descrizione materialistica degli aspetti biologici dell’esistenza umana, a partire dai fenomeni del linguaggio di vita», tra cui Massimo De Carolis, Felice Cimatti, Paolo Virno, Stefano Catucci,ha pensato che è venuto il momento di ispirarsi sistematicamente alle intuizioni di Wittgenstein e di rilanciare una sorta di filosofia analitica «delle origini»: una filosofia materialista, anche se di un tipo di materialismo diverso da quello del cognitivismo. Quest'ultimo, infatti, sarebbe affetto da una profonda difficoltà a trattare gli aspetti pubblici della vita umana, come per esempio i fatti di linguaggio e la normatività. La dimensione pubblica in cui sono immersi gli esseri umani ha, dice De Carolis, una forma del tutto differente rispetto a quella delle altre specie animali. Ogni animale vive in una propria nicchia ecologica, in gran parte esclusa ai membri delle altre specie. Negli esseri umani, tuttavia, il rapporto con l'ambiente assume le forme di una «apertura al mondo» in cui gli aspetti sociali e la loro influenza sulla strutturazione della psiche individuale non si lasciano ridurre al metodo naturalistico delle scienze cognitive. Per comprendere la natura umana e la sua «antropologia» occorre dunque prendere in considerazione da quale logica profonda è prodotta la visione ecologica tipica degli esseri umani. E proprio in questa prospettiva la rivista si propone di esaminare il ruolo che diversi operatori logici, come la negazione, svolgono nel produrre il tipo di rappresentazione che contraddistingue il commercio umano con il mondo. Complessivamente siamo davanti a una sorta di «materialismo logico», come sostiene Paolo Virno, ossia una posizione che ricava dalla ba- se logica della metafisica la specificità ecologica della società umana. Secondo gli autori della rivista, la sfida lanciata alle scienze cognitive è segnata da una ragione politica: esse infatti rifletterebbero un atteggiamento di tipo individualistico, anzi un «individualismo programmatico» tipico «dell'assetto economico del mondo moderno». Se le cose stanno in questo modo, allora «forse non è un caso che sia proprio il quotidiano della Confindustria che sia diventato il principale paladino, fra i grandi quotidiani, delle scienze cognitive». È una tesi, tuttavia, un po' forzata. È vero che le scienze cognitive riflettono una certa immagine delle persone umane, fatta di continuità con il resto della natura, rifiuto del dualismo tra anima e corpo ed enfatizzazione degli aspetti interni della vita individuale. Ma l'insieme delle loro assunzioni non implica affatto una particolare visione politica. Non a caso, Noam Chomsky, ossia uno dei teorici più influenti nel panorama delle scienze cognitive, è anche uno degli intellettuali marxisti più attivi nel mondo. Il fatto è che l'immagine della natura umana propagandata dalle scienze cognitive è collocata a un livello tale di astrazione da consentire sia a Chomsky di trarne alimento per le sue idee radicali sia ad altri di coltivare le loro differenti opinioni politiche in modo altrettanto coerente con la loro adesione al cognitivismo. D'altra parte l'individualismo tipico delle scienze cognitive è ormai da parecchi anni avvertito come un limite anche all'interno di quello stesso programma di ricerca, tanto che lo studio degli aspetti sociali della cognizione è oggi di fatto il cuore pulsante del panorama del cognitivismo contemporaneo. Ma, al di là dei singoli passaggi della discussione, la rivista solleva una questione decisiva. Le scienze cognitive non propongono soltanto una serie di evidenze parziali. Al contrario, stanno delineando una nuova immagine della natura umana e dei rapporti sociali, benchè non sia chiaro quanto ciò accada in modo deliberato e consapevole e quanto per inerzia. In ogni caso rivelare al più presto questa nuova immagine, discuterla e apprezzarne le conseguenze sulle nostre vite è essenziale per comprendere che genere di influenza la scienza contemporanea avrà sul nostro futuro. il manifesto venerdì 30 marzo 2007 16 Potete chiamarmi un po' come vi pare, tranne sir. Meglio Lord dei Lord oppure semidio Bono, U2 nell’accettare il cavalierato della regina Elisabetta Esce il 20 aprile «Il mio paese» di Daniele Vicari, viaggio emozionante per una ripresa possibile da sud a nord. Sulle tracce del film di Joris Ivens voluto da Mattei al tempo della strategia del petrolio Foto grande: una scena da un cantiere da «Il mio paese» di Vicari. In alto la scena di Grottole censurata nel film di Joris Ivens Missio e i misteri di una copia Rai Silvana Silvestri Roma U no dei film più importanti di quest’anno sta per essere distribuito nelle sale in maniera del tutto nuova: Il mio paese di Daniele Vicari uscirà con la Vivo Film (che produce con il sostegno dell’associazione centenario Cgil in collaborazione con Rai Cinema) il 20 aprile in sette città contemporaneamente e poi nei circoli del cinema Arci-Ucca, sale d’essai e luoghi di incontro, dove si potrà vedere non solo in pellicola ma anche in digitale, qualche volta accompagnato da concerti. Se si vuole comprendere qualcosa di più del nostro paese, il viaggio che ci fa compiere Vicari è un importante momento di riflessione e di emozione. Il punto di partenza è il documentario che fu commissionato da Enrico Mattei a Joris Ivens, L’Italia non è un paese povero del ’60 (che aveva la Rai come partner televisivo) per mostrare come sarebbe cambiato il paese grazie allo sviluppo petrolifero. Compiva così un viaggio da Marghera a Gela lungo la penisola fino ad arrivare in un sud così povero che il titolo sembrava una contraddizione (scene in ogni caso censurate nella messa in onda). In compenso in quella fine di anni cinquanta si respira un’energia e una tensione verso il futuro che sembra un inno all’attività umana. Quelle torri che illuminavano la notte lungo le vie ferroviarie erano il simbolo del cambiamento da paese agricolo a paese industriale, la trasformazione che il grande documentarista olandese ricercava in ogni parte del mondo. Vicari ripercorre la penisola al contrario, dal sud al nord e ci fa vedere qual è lo stato del nostro paese oggi: disoccupazione, cassa integrazione, fabbriche dismesse, cattedrali nel deserto, riconversioni. Ma anche la forza di riprendere in mano la situazione, cambiare rotta e qualche volta ricominciare la via dell’emigrazione. Infatti momento centrale del film è il pullman che parte dalla Sicilia e arriva in Germania (ce ne sono centinaia), un cammino ripreso da molti italiani verso un posto di lavoro più sicuro. La scena di raccordo è fortemente drammatica ed è raccontata senza bisogno di parole: sulla spiaggia si tro- Una valle dell’Eden da ristrutturare va buttata dal mare un’agendina a pezzi scritta in arabo, qualche scarpa, poi il pullman un viaggio lungo 48 ore dove non c’è tanto da chiacchierare. Nel mediterraneo diventato un tragico cimitero di esuli e migranti non ci sono più sonde a pescare nel fondo, anche noi siamo ridiventati un popolo migrante. Lungo il film veniamo a sapere perchè un saldatore specializzato ha dovuto tornare a fare il pescatore, proprio come uno dei protagonisti del film di Ivens che sarebbe diventato operaio, sentiamo i brividi di una disoccupazione durata troppo a lungo, lo sguardo della madre di cinque figli sulla scena più censurata a suo tempo (Grottole), la miseria del passato, i nuovi imprenditori del vino e dell’olio e gli operai della Fiat di Melfi dove chi è rimasto senza lavoro confessa la sua paura nel futuro, allo stesso modo degli imprenditori. I ricercatori dell’Enea, i tessili di Prato nei loro capannoni deserti, la situazione di Portomarghera, la Montedison dismessa. È un film che si vede d’un fiato ed è la prima volta da tanto tempo che il tema del lavoro è trattato senza farlo diventare commedia a tutti i costi: ci sono tutti i volti, le situazioni, le ambientazioni di un paese che non troviamo di solito nel cinema italiano (non perchè non si voglia farlo, ma perchè non lo si vuole produrre): una materia ben più vitale di ogni fiction addomesticata. «Ho voluto raccontare il mondo del lavoro e come è cambiato, valorizzando solo uno degli elementi raccontati da Ivens. Volevo verificare cosa è accaduto all’ambiente e all’economia. Anche l’emigrazione è cambiata: tra il ’57 e il ’70 ci fu un esodo verso il nord, dal ’90 in poi centomila persone ogni anno lasciano il paese, la differenza è che oggi emigrano quelli che hanno studiato. Ho scelto il tema del lavoro perchè resta uno dei temi universali, come l’amore e l’amicizia. Era il cuore del lavoro di Ivens, per lui il lavoro era il cuore della trasformazione del mondo, rimosso da parte dei nostri intellettuali, della nostra classe dirigente». Il nuovo tipo di distribuzione sia in pellicola che in digitale «Il colore della libertà» di Billie August Al Bellaria Film Festival, la retrospettiva dedicata a D. A. Pennebaker La storia in un santino Cinema Arriva nelle sale italiane Il colore della libertà di Billie August. Il Mandela, raccontato da Joseph Fiennes, nel ruolo del suo guardiano, non boero, del carcere duro di Robben Island (è dunque un militare più umano, come esige lo stereotipo) e poi nelle prigioni via via più normali, fino alla liberazione finale, nonostante la performance misurata e sottilmente critica di chi interpreta il leader dell'Anc, Dennis Haysbert, è ossessionato dalla «sindrome del santino», che è il bianco consapevole, dall'accento scozzese, più che il leader nero in lingua Xhosa. Ma ha al suo attivo più di una ossessione: anche per esempio, lo spiegarci che la Danimarca ha fatto il suo dovere (l'embargo, più dell'Italia), ma che non si stia comunque glorificando, con i soldi di Eurimages, un pericoloso «terrorista comunista». Bensì un nazionalista liberale, simbolo stesso non di un altro Sudafrica, ma dello stesso paese democratico che nel 1948 subì solo una di quelle «parentesi fasciste», come le chiamava Croce, quasi incomprensibile. Che l'Anc L’uscita di scena della pellicola è per il 2019, anno in cui è previsto che il 99% degli schermi mondiali utilizzeranno proiettori digitali. Ci vorranno poi altri 9 anni affinché l'ultimo 1% degli schermi cinematografici adotti il digitale. Un piccolo numero di sale, soprattutto in Europa, sarà più impermeabile al cambiamento, e per marginalità economico commerciale e anche per una scelta extra-razionale, che le spingerà nel corso dei prossimi anni a continuare ad utilizzare una tecnologia considerata da antiquariato. Nel 2006 gli schermi digitali nel mondo hanno raggiunto quota 2.866, con un aumento rispetto all'anno precedente del 383%. A trainare la crescita sono stati gli Stati Uniti con il +1.031%. grazie a AccessIT's Christie/AIX il principale operatore del mercato digitale Usa. Dennis Haysbert in «Goodbye Bafana» sia un partito liberale è ovvio, anche Roosevelt lo era, ma che alla distruzione di quella «parentesi» abbiano partecipato anche sindacati rivoluzionari, il Pac e i comunisti lo si dovrebbero dire per legge, salvo pagare penali. E anche non tacere mai che una liberale purosangue, come Margaret Thatcher, considerasse la Pretoria razzista il Paradiso in terra e il culmine della civiltà occidentale anticomunista, degno di Pinochet. R.S. permetterà una lunga tenitura, le proiezioni possono avvenire ovunque con un identico noleggio. In più nel sito www.ilmiopaese.it ognuno potrà mettere immagini personali sulle proprie esperienze di lavoro e queste immagini diventeranno un nuovo documentario. «È un film che sarebbe piaciuto a Ivens, dice Virgilio Tosi grande maestro di documentaristi al Centro sperimentale (ultima gestione esclusa), che racconta anche la scoperta e il lavoro di Missio, suo allievo di cui parliamo qui accanto. Specialista del cinema scientifico, collaboratore di Zavattini e che di Ivens è stato amico fraterno autore del libro «Joris Ivens Cinema e Utopia», Tosi aggiunge: «L’utopia viene fuori nel finale del film di Ivens, con il cantastorie che canta l’era dell’atomo pacifico. Allora non esisteva ancora la parola ecologia, non c’era un rapporto tra industria e qualità della vita. Questo è un film che potrebbe fare aprire un dibattito sui problemi del nostro paese. Ivens sarebbe contento del tuo lavoro». La fantomatica messa in onda del film di Ivens censurato in Rai è stata raccontata da Stefano Missio, un dei nostri documentaristi più interessanti in Quando l’Italia non era un paese povero del ’97, quando era studente al Centro sperimentale. «Al film di Ivens, dice Missio, avevano lavorato anche i fratelli Taviani, Valentino Orsini e Tinto Brass (in quegli anni una promessa) soprattutto per il suo ruolo di montatore e di aiuto di Ivens. Nel ’60 Brass che lavorava ancora per la Cinématèque, era assistente al montaggio di Ivens per un documentario su Chagall. Il bambino che vola in una scena infatti si ispira chiaramente a Chagall. Ivens lo vorrà come aiuto nel suo film italiano. Doveva essere un’esercitazione di dieci minuti e io, con la scusa che dovevo fare interviste chiesi due ore di girato però mi preparai molto bene e montai 43 minuti. È stato un materiale prezioso anche perchè personaggi che non ci sono più raccontano i fatti. Andai a Amsterdam a selezionare le lettere di Ivens, ho trovato riscontri molto interessanti. Già mentre stavano montando il film, la Rai il 16 dicembre del ’59, trasmise un documentario prodotto da una società petrolifera dove diceva esattamente il contrario di quello che il film doveva raccontare, cioè che in Italia non c’era petrolio, che era un’assurdità continuare a scavare e a fare delle ricerche. Questo per capire il clima in cui Ivens lavorava. La Rai aveva dato l’Ok, avevano girato tutte le scene, erano al montaggio e contemporaneamente manda in onda questo documentario sullo stesso tema, prodotto da una delle «sette sorelle». Poi Ivens lo mandano in onda d’estate a tarda notte. Ho trovato una lettera di Brass che scrive a Ivens, che è andato in onda molto dopo l’ora di programmazione e il titolo fu cambiato da «Le due città» a «L’albero di Natale» ed essendo in piena estate si può immaginare quanti l’avranno visto, tanto più che ho consultato il Radiocorriere: c’è un box senza nessuna spiegazione. Ho trovato negli archivi Rai nel ’96 la copia che era andata persa: non era stata archiviata come autore perché Ivens aveva chiesto che fosse scritto: estratti di un film di Joris Ivens e poi chi ha fatto la catalogazione non ha messo il nome dell’autore nè il titolo complessivo, ma i titoli dei singoli episodi. Quando ho caricato la pellicola per vederla in moviola, sulle scatole c’era scritto «Potenza, strettamente regionale». S.S. 2019, addio pellicola Documentari di resistenza Elfi Reiter Don’t look back, non guardare indietro, è il titolo del documentario che vede Bob Dylan impegnato nel tour di tre settimane in primavera del 1965 nelle città inglesi: è datato 1967 e la firma è quella di D.A. (Donn Alan) Pennebaker. Nato nel 1925 in Illinois, il cineasta è uno dei pionieri del cinema verità avendo il suo stile rivoluzionato, fin dai primi anni cinquanta, il cinema documentario con l’abbandono della voce off narrante per una costruzione dell’opera a favore dell’osservazione diretta e ininterrotta di persone e fatti. Dont look back si potrà (ri)vedere in più di un’occasione: ai primi di giugno, nell’ambito dell’omaggio dedicato al cinema di Pennebaker (e di Chris Hegedus, sua moglie con cui realizza e produce film dal ’77) al 25˚ BellariaFilmFestival - Anteprima doc (diretto da Fabrizio Grosoli) e in contemporanea al 7˚ Biografilmfestival (diretto da Andrea Romeo) di Bologna (una connessione fortemente voluta dall’assessore alla cultura della regione, Alberto Ronchi, per dare più spazio e spazi alle culture cinematografiche). Il Biografilm si caratterizza attraverso una serie di ritratti, quasi monografie, di musicisti noti; David Bowie, Depeche Mode, John Lennon e Yoko Ono fino all’americana Suzanne Vega, mentre Bellaria ha optato per un cartellone dai lavori più a carattere documentaristico, a partire dal primo corto Daybreak Express: un tour nella metropolitana di New York con le musiche di Duke Ellington girato nel 1953. Poi il celebre Monterey Pop del ’68 (con contributi musicali tra gli altri di Jimi Hendrix, Janis Joplin, Ravi Shankar e gli Who), alcuni documenti sulla danza come Dance Black America e altri titoli ancora. Chissà se si vedrà anche quell’1PM realizzato origi- nariamente con Godard e Richard Leacock sul nascente movimento di resistenza contro la guerra in Vietnam e che, finanziato da una rete tv, avrebbe dovuto chiamarsi 1AM (One American Movie)? Terminate le riprese nel ’71, sia Godard che Leacock avevano abbandonato New York, e Pennebaker ha montato il girato da solo chiamandolo appunto 1PM (One Parallel Movie, ossia One Pennebaker Movie come preferì dire Godard) per non incorrere nelle penali da contratto. Questo per dire che Pennebaker non ha documentato solo musica, ma si è infilato dietro le quinte della campagna elettorale di Bill Clinton nel ’92, il cui risultato The War Room fu nominato all’Oscar come miglior documentario nel ’94, e aveva seguito (con la moglie e Pat Powell) per 18 mesi le lotte al congresso sulla politica energetica durante l’era di Jimmy Carter: 300 minuti di Energy War targati 1978. il manifesto venerdì 30 marzo 2007 visioni 17 Reazione reality, nessuno li vuole tutti li trasmettono Giulia Sbarigia L’ abbattimento dei reality show, annunciato dal presidente della Rai Claudio Petruccioli, nelle intenzioni dovrebbe iniziare già dalla prossima stagione, il dibattito però si è scatenato fin da subito. A Piero Fassino, intervistato da Gianni Minoli per la Storia siamo noi, in onda ieri sera su Raidue, va tutto bene: «Io non ho snobismi: secondo me il servizio pubblico deve offrire tanto La storia siamo noi quanto i reality». Il ministro della pubblica istruzione invece identifica Grande fratello e affini con il tormentone degli ultimi mesi. Per Giuseppe Fioroni, dunque, i reality sarebbero causa e prodotto del «bullismo»: «È ora di finirla con la politica dei bullini - ha detto - e andare verso un auditel di qualità per i nostri ragazzi perché loro stanno poche ore a scuola e molte ore davanti al video». Prima del trash, del cosiddetto bullismo, della volgarità, della realtà che però è confezionata in studio, di Vallettopoli che pesca in quell’humus a piene mani e soprattutto prima della bomba lanciata da Petruccioli va considerata la crisi d’ascolti del «format del nuovo millennio» che qualcuno, alla prima edizione del Grande fratello, aveva salutato come un’inedita fase tutta sperimentale della tv. Il Grande fratello 7 si arrabbatta intorno al 20% di share, l’ultimo reality, Un, due tre stalla, trasmesso da Canale 5, si inabissa al 17%, prima di farlo morire probabilmente tenteranno la carta di cambiargli fascia oraria. Sui palinsesti per il momento la situazione reality è questa, ma poi c’è tutto il riverbero, i pomeriggi pieni di Melita Toniolo e Sonia Gloria Roy, il lelemorismo La «casa» del Grande Fratello L’intenzione del presidente della Rai di cancellare dai palinsesti dell’azienda «Il grande fratello» e affini ha scatenato le polemiche. Il format perde ascolti, ma dal 4 aprile su Raidue parte «La sposa perfetta» imperante, i giornali che non mancano di aggiornarci quotidianamente sul bacio in piscina o le presunte carezze sotto le coperte. Ad aprile, poi, dovrebbe approdare su Raidue un nuovo programma prodotto dalla Magnolia di Giorgio Gori, La sposa perfetta. Protagonisti: mamme chiocce, figli mammoni e aspiranti fidanzate, insomma suocere, pupe e secchioni, già lo chiamano reality-comedy. Da oggi invece parte il venerdì reality su Mtv, serata Wanna be night dalle 21. Tutto materiale americano: si inizia con Dancelife, è prodotto da Jennifer Lopez e segue sei giovani ragazzi che sognano di diventare ballerini affermati, accanto a loro qualche nome dello star system: Nelly Furtado, Mary J Blige, Omarion, The Pussicat Dolls e Ashlee Simpson. Poi c’è Cheyenne, la vita di una giovane teenager in procinto di diventare una rockstar e infine Hogan knows best: Brooke’s story, avventure e peripezie della figlia di Hulk Hogan nel mondo della musica. Per il momento i programmi che sul piccolo schermo vanno forte restano le serie, e non solo quelle curatissime, sfornate per lo più in America, che alimenta- no l’ossessione cofanetto dvd, ma anche prodotti nostrani come Il medico in famiglia. Insomma l’idea (soggetto, sceneggiatura, trattamento, messa in scena...) è premiata, l’idea vuota perde pezzi. E intanto, per sopperire all’illusione di mostrare la vita vera, basta una web-cam e un accesso alla Rete, stampa e siti raccolgono la sfida e l’intrattenimento fai-da-te si completa, al resto ci pensa You Tube. Il problema è che i network producono sempre meno, le case di produzione sempre di più. La multinazionale Endemol Big brother è un format globale, c’è in Spagna come sulla tv satellitare libanese, ogni paese lo declina localmente, sembra che la versione italiana sia una delle peggiori - ora è in vendita, se Mediaset, come sembra, riuscirà a accaparrarsela avrà contenuti e contenitore e la Rai resterà al palo. segue dalla prima Sia perché vanno in onda occupando prime e seconde serate, sia perché i figuranti che vi partecipano sono la materia prima con cui vengono rimpinzate le trasmissioni, tutte: da Porta a Porta a Buona Domenica, da Matrix a La vita in diretta. È la fabbrica dei Format che annulla la creatività degli autori e ingrossa i bilanci di colossi come Endemol, casa madre del Grande Fratello, e dei fratelli minori (la Magnolia di Giorgio Gori con l'Isola dei famosi). La multinazionale dei contenuti una decina d'anni fa trovò in Italia il paese della cuccagna, da conquistare come una grande prateria con gli indiani in fuga. Anche chi, in una prima fase, salutò l'avvento del reality come la rivoluzione della televisione, oggi deve convenire che i prodotti di quella fabbrica sono serviti ad abbassare i costi di produzione e la qualità generale della televisione, uccidendone ogni spirito innovativo e vitale. Oltretutto la malattia ha contagiato la politica in modo clamoroso. Senza i reality non ci sarebbe vallettopoli, mancherebbe la materia prima, il connubio tra vallette e onorevoli, ormai pane quotidiano dell'informazione dei telegiornali e dei talk-show della sera. La pornografia dei sentimenti, il voyeurismo, la pseudo-realtà ha vampirizzato la realtà, operandone una censura violenta. I consiglieri del centrosinistra, Sandro Curzi e Nino Rizzo Nervo, obiettano a Pretruccioli che i reality non sono tutti uguali, che non bisogna confondere il contenitore con il contenuto, lo invitano a non assumere una posizione di rifiuto ideologico, lo avvertono del pericolo di lasciare alla concorrenza il succulento bottino dell'auditel. Ma è proprio il contrario. È l'ideologia del reality la radice del problema, il voler contrabbandare per vita vissuta le sceneggiate secondo copione. Che il gioco della simulazione sia stato scoperto, che anche il più ingenuo tra i telespettatori abbia capito che si tratta di uno show ne è la dimostrazione. A parte il fatto che il genere è in crisi e dopo aver guadagnato picchi di ascolto sta raschiando il barile della media classifica. Quanto alla concorrenza, ci devono spiegare perché il servizio pubblico dovrebbe gareggiare con Mediaset sul suo terreno. Norma Rangeri Big Brother calibro 9 Abruzzese, il format non comunica più DENTRO L’AMERICA DI WISEMAN Per inquadrare il dibattito su ascesa e declino dei reality abbiamo chiesto un parere a Alberto Abruzzese, da sempre antenna sensibile della comunicazione. «La crisi di ascolti rafforza la vecchia posizione, non mia, che aveva manifestato un giudizio radicalmente critico nei confronti della svolta determinata dai reality. Una svolta preparata tra l'altro attraverso una serie di passaggi attivati da uomini di cultura della tv e non dal marketing, perché Guglielmi ha fatto e pilotato determinate cose a Raitre che erano l'abbandono della struttura classica della televisione e la penetrazione nell'esperienza quotidiana. I reality hanno sviluppato un format planetario, una dimensione postnazionale della tv che in qualche modo l'ha spostata sul privato, un universo in cui tutte le categorie relative a una forma di comunicazione di massa che tiene sul sociale, vengono a cadere, e questo privato ha rivelato quello che aveva rivelato la telecamera di Raitre dentro le aule dei processi: un avvicinamento brutale al mondo com'è e non al mondo come viene ideologizzato. Il reality mostrava culture molto miste, mescolate, ’corrotte’, nel senso di confuse, penetrate dalla dimensione dei consumi, dal fascino delle merci, dall'erotismo diffuso, ma anche l'articolazione del discorso, che fosse scritto da sceneggiatori o fosse spontaneo non conta, perché sempre la comunicazione ha la sua componente artificiale, quelle persone in qualche modo dialogavano, pensavano, ragionavano sulla loro esistenza. E il pubblico si è riconosciuto, ha riconosciuto la novità ed è stato appassionato da quel linguaggio. All'inizio era inevitabile affrontare la discussione in cui i componenti della tavola si dividevano tra quelli che sostenevano che il reality fosse spazzatura e quelli che in qualche modo ne erano stati captati e affascinati. Trascurando di ragionare anche sugli elementi tecnici, perché lì c'erano gli ingredienti del successo: il buco della serratura, le dinamiche di gruppo e di potere alla Foucault che si svolgono all'interno di un recinto e dello spazio chiuso. Naturalmente un format si può rinnovare, ma a un certo punto compie un ciclo, si usura e si consuma. E siamo alla fase del consumo. Il reality ha avuto successo anche perché non era solo un programma di tv generalista, ma satellitare e in rete, cioè era un formato che si prestava alla multimedialità. Anche messo alla prova. Quello che è conversazione nella stanza chiusa che poi si offre nello spirito del voyeur come dimensione dello spettacolo, è però la via di ingresso per quel tipo di intrattenimento e di conversazione che passa attraverso la telefonia mobile, le chat e tutta una serie di forme di interazione personale, faccia a faccia, che escono fuori da ogni formato, o comunque hanno interiorizzato alcuni formati e danno la sensazione di essere più liberi e più originali, più rispondenti ai bisogni personali». (a cura di Antonello Catacchio) Ai 40 anni di attività come documentarista di Frederick Wiseman, è dedicata la retrospettiva che si svolgerà dal 12 aprile ogni giovedì e venerdì nell’Aula Magna del Polo di Mediazione interculturale e comunicazione di Sesto San Giovanni (Mi). Opere che scandagliano in fondo i mali della società Usa e quella occidentale, analizzate nella loro interezza, come nel caso del primo film proposto: «Ticut follies» girato nel 1967 nel manicomio criminale di Bridgewater, passando (13) a «Law and Order» (1969) sulla natura ambigua delle forze dell’ordine. «Basic training» (26) girato nel 1971, racconta il periodo di addestramento di un gruppo di reclute nell’esercito americano. MONTECARLO FOLIÈS Tra ironia e dissacrazione, inaugura oggi l’edizione 2007 del Festival Printemps de Montecarlo, con due opere di Kagel: «Exotica» e «Bestiarium». Opere mai eseguite in Italia e in Francia. In particolare «Exotica» - composta dal 1972 è caratterizzata, spiega il compositore argentino: «Dall’allargamento dell’organico strumentale come principio estetico». Tra le novità assolute, figurano 5 prime mondiali di giovani compositori come: Franck Bedrossian, Frédéric Durieux, Michael Levinas,Frédéric Verrières. BEATLES ALLA PARMIGIANA Al conservatorio oggi e alla casa della musica domani, apre la rassegna «1967. Sgt. Pepper’s e dintorni» con un seminario su «40 anni dopo», quella stagione straordinaria del rock che sconvolse il mondo della musica. Fra i relatori: Roberto Agostini, Lelio Camilleri, Marco Capra, Allan Moore. Il 2 e 3 aprile Giorgio Casadei terrà un seminario su «Cover Music. L’arte di arrangiare». Gran finale il 4 con l’Orchestra Spaziale, una band di 15 elementi, in concerto che presenterà «We’re Only in It for the Beatles», con musiche dei Fab Four e di Zappa. REGGIO CALABRIA FILM FEST La terza edizione del Reggio Calabria Film Fest (11-14 aprile), vedrà protagonisti, tra gli altri, Carlo Verdone, Francesca Neri, Carlo Delle Piane, Giovanni Veronesi, Alessandro D'Alatri. La rassegna, dedicata a Leopoldo Trieste e organizzata dalla Minerva Pictures Group, s'intitolerà «Retrospettiva sul cinema italiano». Fra le anteprime, alcune scene di «Lillo e Greg the movie» di Luca Rea; la mostra delle opere di Natino Chirico. Da quest'anno inoltre partirà il concorso «Cortoraro», con giuria presieduta da Mimmo Calopresti e composta da Marco Giusti e Enrico Magrelli. RETTIFICA Nell’articolo uscito ieri di Giampiero Cane dedicato alla mostra su Magnus, il quotidiano l’«Avvenire» è stato erroneamente segnalato come l’«Avvenire d’Italia». il manifesto 18 venerdì 30 marzo 2007 sport Correndo sull’acqua Guglielmo Ragozzino S abato 7 aprile, vigilia di Pasqua, si svolgerà la maratona del Polo Nord. Gli iscritti sono 56 e uno di essi, che correrà con i colori di Greenpeace – o meglio con un berretto dell’associazione ecologista, visto che le condizioni ambientali non consentono altro – ha raccontato ieri in una conferenza stampa da dove arriva e dove conta di andare. «Mi chiamo Francesco Galanzino, ha detto il maratoneta. Non sono un professionista di gare, faccio altro per vivere. Attualmente sono un industriale del compostaggio e in passato sono stato anche vicepresidente dei giovani di Galanzino alla Sahara Race, una delle maratone nei deserti organizzata nel 2006 Confindustria, quando il presidente era Garrone. Avevamo una bella menti le scarpe abituali da corsa. Una maratona al Polo Nord pretesa, allora. Quella Vedremo al palo. per l’italiano Francesco di guardarci intorno, «Sì perché la gara si svolgerà su dioccuparci dell’"alun anello di 8 chilometri e passa, Galanzino, 44 anni, industriale tro". Ma ci hanno buttaintorno al palo che segna il Polo. e testimonial della campagna to fuori, con cortesia, è Non è un gioco di parole. C’è effetovvio. Ho 44 anni, so«Energia e Clima» di Greenpeace tivamente un palo al Polo. Noi gli no perciò molto più gireremo intorno per 5 volte pervecchio dei miei rivali correndo i 42 chilometri canonici. nelle corse. Così prendo in giro i estremo. Per esempio ho stabilito Per tenere il percorso di gara sotto ventenni: quando li lascio indie– anche su consiglio di grandi scacontrollo, temendo i crepacci, gli tro, posso scherzare, ma in amicilatori – che è meglio avere un po’ organizzatori hanno preferito un zia. Ho moglie e figli e gli allenafreddo che sudare. Di qui la scelta circuito a una gara in linea». menti e i giri per il mondo credo sidell’equipaggiamento. Inoltre ho La maratona del Polo completa ano compresi in famiglia. Per messo a punto il contenitore per i una serie di 4 gare in ambienti esempio, per la gara al Polo, mi soliquidi da bere durante la gara. Il estremi e desertici. Le prime tre si no fatto prestare da un amico una recipiente sarà a contatto della pelsono svolte nei deserti del Cile, del cella frigorifera, tenuta a - 30 grale, in modo che il mio stesso caloSahara egiziano, del Gobi cinese. di. Una cella ampia, 20x30 metri. re corporeo gli impedisca di gelaGobi, in mongolo, vuol dire deserMi sono allenato correndo su un re; altrimenti è finita. Non so ancoto. C’era da celebrare l’anno del tapis-roulant e girando con una ra con quali calzature si gareggedeserto indetto dall’Onu... C’era mountain-bike. Ho provato l’atrà: al Polo i cambiamenti metereoda affrontare il vento estremo, il trezzatura e corretto il mio atteglogici sono frequenti. In caso di necaldo estremo. I percorsi erano di giamento in condizioni di freddo ve, si useranno le racchette, altri200 chilometri, da percorrere in sette tappe. In ogni percorso, un «tappone» da 80-100 chilometri. «Io il tappone lo percorrevo in 10 ore, ma i veri eroi erano quelli che ci mettevsano 30 ore, e arrivavano stremati al termine della tappa». Ogni concorrente delle lunghe maratone nel deserto, portava con sé tutto il necessario fino all’arrivo finale, nello zaino: tutto quello che ognuno prevedeva di bere, mangiare; e il letto su cui dormire. Il conto di Galanzino è di avere avuto con sé, nel Gobi, 24 mila calorie, quanto a dire 3 litri di gasolio. E con tre litri di gasolio, nota il maratoneta, un’auto fa, se è molto sobria, 50 o 60 chilometri. Un uomo fa tre o quattro volte tanto. Senza avere mai vinto, Galanzino è primo in classifica e ha anche ricevuto, senza nascondere la grande felicità, l’ambito premio Chatwin, «il favoloso viaggiatore al quale tutti ci ispiravamo, da ragazzi. E anche dopo».Forse non dobbiamo crederlo, ma Greepeace garantisce che la volta del Sahara non ha vinto perché si era fermato per ammirare le piramidi; e in Cile per ammirare il panorama. Cosa significano le imprese di Galanzino, il suo futuro viaggio al Polo, la prossima gara , le gare dell’anno passato? E che cosa ha a che fare la sua storia personale con Greenpeace? La risposta non manca. In primo luogo è una testimonianza, condivisa, dell’avanzata del deserto, o meglio della desertificazione, dell’assottigliarsi dei ghiacci perenni, per l’effetto serra e l’indebolimento per mano umana delle difese naturali. Poi è la prova della possibilità di vivere insieme a una natura difficile, senza mai tentare di distruggerla. Magnini e Phelps, squali d’acquadolce Marco Perisse SuperPippo si è ripetuto: campione del mondo per la seconda volta consecutiva. Regala all'Italia il primo oro di questi mondiali di nuoto e poco importa se deve condividere il titolo ex-aequo col canadese Brent Hayden che chiude i 100 s.l. con lo stesso tempo di 48''43. Filippo Magnini entra nella storia del nuoto bissando il successo di Montreal. In tempi di rivoluzione della disciplina, non è poca cosa: basti pensare che il grande olandese Van den Hoogenband finisce solo sesto in una gara velocissima che ha visto ben cinque atleti in uno spazio di 9 centesimi e tutti i finalisti sotto i 49 secondi. Il mondiale di Melbourne impressiona ogni giorno di più per la straordinaria vitalità e i valori tecnici che sta mettendo in mostra. I bilanci si fanno alla fine: ma già si intravede una generazione di nomi blasonati come quelli di Van den Hoogenband e Hackett, che hanno segnato un'epoca del nuoto maschile, pensionata dall'ondata di nuovi talenti: al terzo posto nei 100 si piazza Eamon Sullivan, speranza di un team australiano che proprio nel mondiale organizzato in casa appare in crisi di turn-over, e al quarto il sorprendente brasiliano Cesar Cielo Filho. E se a SuperPippo sono mancati negli ultimi 5 metri le energie per chiudere con un tempo mondiale e vincere in solitudine, «riconfermarsi a questi livelli - ha commentato il ct Alberto Castagnetti - è incredibile». Un risultato di valore assoluto. «Negli ultimi 5 metri ero stramorto, non avevo più le gambe. Ma sono cam- pione del mondo. Nuotare con questo tempo una finale mondiale - ha detto felice il pesarese - è comunque bellissimo: ho difeso il mio titolo e i colori italiani». Magnini entra nell'olimpo dei grandi e simbolicamente riceve nella cerimonia di premiazione anche il testimone della specialità dallo zar Alexander Popov che gli consegna l'oro dei 100. Il fenomenale Michael Phelps continua la sua caccia al record di Mark Spitz e conquista la finale dei 200 misti dispiegando una straordinaria sicurezza che lo porta a mettersi al collo il quarto oro iridato con un altro record del mondo: 1'54''98. Finora non ha sbagliato un colpo. In ogni finale individuale ha conquistato il titolo fermando il crono sul nuovo primato mondiale. Dietro di lui, l'argento dei misti va all'altro americano Ryan Lochte e il bronzo all'ungherese Laszlo Cseh che stabilisce il nuovo record europeo in 1'56''98. Anche in questa gara un lotto di finalisti velocissimi, sotto i 2', impensabile ai tempi del miglior Rosolino e di Sidney: ovvero appena qualche anno fa. E siccome ormai tecnici, atleti e osservatori dicono unanimi che la vasca della Rod Laver Arena è deprecabile perché non assorbe il moto ondoso e ha pessime corsie, viene da chiedersi cosa sarebbe accaduto alla tabella dei primati se si fossero disputati i campionati in una piscina più veloce. L'impressione è che il nuoto abbia ancora molto da stupire. Speranze azzurre oggi nella rana maschile con Paolo Bossini e Loris Facci, che hanno ottenuto tempi d'eccellenza per la finale dei 200 dove l'uomo del pronostico è il giapponese Kitajima. venerdì 30 marzo 2007 il manifesto televisioni programmi di oggi CIFRE IN CHIARO ATTUALITA’ RAITRE La crisi internazionale e i suoi riflessi sul prezzo del greggio, è l’argomento trattato dalla rubrica del tg3 curato e condotto da Luca Mazzà. Ospite in studio il presidente dell’Adoc, Carlo Pileri. Non solo petrolio, fra i temi del giorno il via libera dell’Unione europea al pagamento delle bollette nei supermercati e della sperimentazione del check box, la cosiddetta scatola nera, sulle auto. Si parlerà anche di aste immobiliari. 12.25 IL GLADIATORE CHE SFIDO’ L’IMPERO DI DOMENICO PAOLELLA ITALIA 1965 (103’) LA7 Peplum con l’atletico Rock Stevens e Massimo Serato. Il senatore Lucio Quintilio organizza con la frode una spedizione in Tracia per impossessarsi di un tesoro. Il suo piano è sventato da Spartaco. Cinque anni dopo «Spartacus» di Kubrick, Paolella lo riprende con esiti molto più modesti. TV7 ATTUALITA’ RAIUNO C’è Fausto Bertinotti e il cardinale Angelo Scola, a confronto sul rapporto tra Stato e Chiesa, l'Islam, l'attualità politica, nel settimanale condotto da Gianni Riotta. Tra gli ospiti anche l'attrice Laura Morante, servizi su Paola Barale e il mondo dello spettacolo nell'epoca di Vallettopoli e un ritratto di Paris Hilton, la ricca e viziatissima ereditiera, su vizi e virtù del jet set internazionale. LEGAMI DI PEDRO ALMODOVAR SP 1990 (101’) SKYCINEMAMAN Appena uscito dall'ospedale psichiatrico Ricky (Antonio Banderas) capita sul set di un film e si innamora della protagonista. Decide di sposare Marina (Victoria Abril), ma lei è un'attrice di film porno e a lui sembra ovvio tenerla sequestrata a casa sua, ben legata. La situazione non preoccupa granché la ragazza. Classico Almodovar... GREY’S ANATOMY SERIE TV ITALIA1 Nel primo episodio, Izzie (Katherine Heigl) prende a cuore il caso di un paziente in attesa di un trapianto di cuore. Nel secondo George (T. R. Knight), si occupa di un’anziana donna - dimessa - ma che non vuole lasciare l’ospedale. Il venerdì ospedaliero prosegue con «Nip/Tuck» (22.55), protagonista Conor (Stark Sands) da uno psichiatra con i due genitori divorziati. ESSI VIVONO DI JOHN CARPENTER USA ’88 (101’) STUDIO UNIVER. Cronenberg parla di oggi fingendo di fare fantascienza. Il titolo «eXistenZ» è il nome di un gioco, duro monito contro i mostri partoriti dalle tecnologie genetiche e contro lo scivolamento progressivo e irreversibile dentro i buchi neri di una realtà virtuale molto «povera di gioco». 21.00 mattino RAI1 RIVOLTANTE SOPORIFERO 7 14.00 6 21.00 7 21.00 8 RAI2 RAI3 La 25a ora (1.25 La7) in contemporanea con l’uscita nelle sale viene trasmesso il documentario di Federico Micali «99 amaranto» di Federico Micali, liberamente tratto dal libro «Tenetevi il miliardo» di Carlo Pallavicino. E’ la biografia, in prima persona, di Cristiano Lucarelli e del suo intenso attaccamento alla maglia del Livorno. RETEQUATTRO CANALE5 18.50 20.00 20.30 21.10 19.10 J.A.G. - Avvocati in divisa “Due città” 20.00 Classici Disney 20.10 Tom & Jerry 20.30 TG2 - 20.30 - TG2 10 minuti 21.05 La stagione dei delitti 2 “Film nero”con Barbara De Rossi, Cristina Moglia.Regia di Donatella Maiorca,Daniele Costantini. 20.00 20.10 20.30 21.05 TG Sport Blob Un posto al sole Mi manda Raitre, conduce Andrea Vianello.Un programma di Stefano Coletta, Sara Veneto,Andrea Vianello. Regia di Fulvio Loru. 23.10 TG3 - TG Regione 23.25 TG3 Primo Piano 19.30 19.52 19.55 20.20 L’antipatico Meteo 4 Sipario del TG4 Walker Texas Ranger “Figlio di Thunder - seconda parte” 21.05 Commissario Cordier “Ore disperate”con Pierre Mondy, Bruno Madinier,Charlotte Valandray,Antonella Lualdi. 23.10 I Bellissimi di Rete 4 18.45 Chi vuol essere milionario, conduce Gerry Scotti.Regia di Giancarlo Giovalli. 20.00 TG5 - Meteo 5 20.31 Striscia la Notizia - La voce del turbolenza, conducono Ezio Greggio e Enzo Iachetti. 21.10 Scherzi a parte, conduce Claudio Amendola,con Cristina Chiabotto e Valeria Marini. 22.50 TG2 23.00 Confronti, conduce Gigi Moncalvo. 23.45 GLOB, l’osceno del villaggio Prima puntata, conduce Enrico Bertolino. 23.15 Scelta d’amore - La storia di Hilary e Victor (Drammatico, 1991) con Julia Roberts. 23.30 Matrix, conduce Enrico Mentana. 1.20 TG5 Notte - Meteo 5 Matteo Alviti «N essun altro paese in Europa ha avuto una riduzione di CO2 così consistente». Eckehart Rotter, portavoce della Lega dell’industria automobilistica tedesca (Vda) ribatte ai critici. «Solo per quel che riguarda il traffico automobilistico, dal 1999 sono state risparmiate 15 milioni di tonnellate di emissioni di CO2», ha detto. In termini percentuali ciò corrisponde a - 9%, come confermano le stime del governo. In realtà la riduzione sarebbe frutto di un ben poco lodevole fenomeno: il «turismo del pieno». Visto che dal 1999 il prezzo del carburante in Germania è appesantito dall’introduzione della tassa sull’ambiente, per risparmiare, molti automobilisti e autotrasportatori tedeschi fanno il pieno negli stati vicini - Austria, Lussemburgo, Polonia, Repubblica Ceca e Svizzera -, dove il costo della benzina è più contenuto, tra i 15 e i 25 centesimi al litro in meno. L’effetto è duplice: da una parte le valutazioni sulle emissioni tedesche sono calcolate al ribasso; dall’altra, di conseguenza, la Germania scarica sui vicini parte della sua quota emissioni, essendo il sistema di calcolo delle emissioni imputabili al traffico su gomma fondato anche sul consumo di carburante. Il ministro degli interni bavarese Gün- ther Beckstein è ben cosciente del problema: «La riduzione di CO2 in Germania sta solo sulla carta», ha detto. Beckstein, oltre che per l’ambiente, è preoccupato per «l’enorme evasione» che il rifornimento all’estero indirettamente comporta. Più di 2 miliardi di euro di ammanco all’anno, stima il governo federale. Secondo l’Automobilclub austriaco Öamtc, citato dal settimanale Der Spiegel, solo in Austria circa il 30% del carburante finirebbe nei serbatoi tedeschi. Ma è molto difficile fare una stima precisa del volume totale di carburante acquistato sul mercato estero. Hartmut Kuhfeld, matematico dell’Istituto tedesco per la ricerca economica (Diw) esperto nel settore del traffico, qualche numero è in grado di darlo. Basandosi sui dati del ministero dei trasporti sul traffico verso gli stati vicini, Kuhfeld stima il volume di carburante «illecitamente importato» in 1,5 miliardi di litri di benzina e 2,4 miliardi di litri di diesel solo per il 2005. Considerati i 31 miliardi di litri di carburante venduti in Germania nello stesso anno, i «turisti del pieno» farebbero risparmiare al paese un buon 11% di carburante, che alleggerisce il calcolo delle emissioni. Il 9% di riduzioni di CO2 valutato, dunque, sarebbe in realtà inesistente. Considerate le stime del Diw, lo stesso governo avrebbe rivisto la percentuale al 2%. Non di più. Anche la riduzione nel consumo di carburante dovuta allo sviluppo tecnologico dei motori, valutata in un - 25% dall’inizio degli anni ’90 ad oggi, in realtà sarebbe ampiamente «rimangiata» dall’aumento dei cavalli e del peso delle vetture per sicurezza e confort. E nel bilancio non aiutano certo le nuove immatricolazioni di fuoristrada, salite del 16,5% nel 2006. Gli «ambientalisti di Bruxelles» avevano particolarmente bersagliato la Vda per l’alto livello medio di emissioni dei modelli prodotti. Ma la cancelliera Angela Merkel aveva scelto di schierarsi in loro difesa, per una riduzione più morbida delle emissioni e, dunque, contro il lavoro del commissario all’ambiente Stavros Dimas. Lo scorso febbraio Dimas è riuscito infatti a far partire sotto il fuoco delle critiche la proposta che, qualora divenisse legge, obbligherà l’industria automobilistica a ridurre le emissioni per i nuovi modelli a 120 grammi di CO2 per chilometro entro il 2012. Al «turismo del pieno» potrebbe poi mettere un freno la proposta del commissario Ue per la tassazione, l’ungherese Laszlo Kovacs, che vorrebbe stabilire un’aliquota minima unitaria di 35,9 centesimi per litro di diesel entro il 2012. Oggi in Germania si pagano 47 centesimi per litro contro i 22 centesimi dell’est Europa. LA7 ITALIAUNO 6.00 TG5 - Prima Pagina 7.55 Traffico - Meteo 5 - Borsa e Monete 8.00 TG5 - Mattina 8.45 Secondo Voi, conduce Paolo Del Debbio. 8.55 Maurizio Costanzo Show (R), conduce Maurizio Costanzo. 9.40 TG5 Borsa Flash (all’interno) 10.20 Uno, Due, Tre... Stalla! (R) 10.50 Squadra Med - Il coraggio delle donne “Una bambina in pericolo”con Patricia Richardson,Tamera Mowry,Rosa Blasi. 11.50 Grande Fratello (R) 12.25 Vivere 13.00 TG5 - Meteo 5 13.40 Beautiful 14.10 Centovetrine 14.45 Uomini e Donne, conduce Maria De Filippi. 16.10 Buon Pomeriggio, conduce Maurizio Costanzo. 17.00 TG5 Minuti 17.05 Uno, Due, Tre... Stalla! 17.40 Tempesta d’amore, con Henriette Richter-Rohl,Lorenzo Patanè,Jan Van Weyde,Judith Hildebrandt,Christof Arnold. 18.15 Grande Fratello I «turisti del pieno» di benzina 19 foto notizia 6.00 TG4 - Rassegna Stampa 6.20 Secondo Voi 6.25 Peste e corna e gocce di storia 6.30 Kojak“Destinazione Giamaica” con Telly Savalas. 7.10 Casa Mediashopping 7.25 Casa Mediashopping Il meglio della settimana 7.40 Charlie’s Angels “Angeli di vita” 8.40 Vivere Meglio, conduce Fabrizio Trecca. 9.40 Saint Tropez “Cambiamento forzato”con Tonya Kinzinger. 10.40 Febbre d’amore 11.28 Vie d’Italia notizie sul traffico 11.30 TG4 11.40 Forum, conduce Rita Dalla Chiesa. 13.30 TG4 - Meteo 14.00 Forum, conduce Rita Dalla Chiesa. 15.11 Sai xche? Clip 15.25 La storia di una monaca (Drammatico,1959) con Audrey Hepburn,Peter Finch,Edith. Regia di Fred Zinnermann. 17.50 TGCom - Vie d’Italia notizie sul traffico (nell’intervallom) 18.55 TG4 terraterra CLASSICO RaiRadio1 (21.09) fra le realtà più interessanti della giovane scena rock britannica, i Kaiser Chiefs sono protagonisti del concerto registrato al Columbia Club il 3 febbraio. Lo showpresentato da Gerardo Panno - si concentra in particolare sulle canzoni del loro recente album «Yours truly, Angry mob» 8.05 Rai Educational - La Storia siamo noi “Dal PCI al Partito Democratico” 9.05 Verba volant 9.15 Cominciamo bene - prima, conduce Pino Strabioli. 9.50 Cominciamo bene, conducono Fabrizio Frizzi con Elsa Di Gati. 11.00 Cominciamo bene - Animali e animali e..., conduce Licia Colò. 12.00 TG3 - Rai Sport Notizie Meteo 3 12.25 TG3 Cifre in chiaro 12.45 Le storie 13.10 Quantum Leap - In viaggio nel tempo “Non c’è due senza tre” 14.00 TG Regione - Regione Meteo 14.20 TG3 - Meteo 3 14.50 TGR Leonardo 15.00 TGR Neapolis 15.10 Trebisonda Presenta la TV dei ragazzi 16.15 TG3 GT Ragazzi 16.25 Soupe Opera, cartoni animati. 16.35 Melevisione 17.00 Cose dell’altro Geo 17.40 Geo & Geo 18.15 Meteo 3 (all’interno) 19.00 TG3 19.30 TG Regione - Regione Meteo 0.20 Applausi 0.50 TG1 - Notte - TG Teatro MAGICO 15.25 6.05 Tg2 Costume e Società 6.15 Focus 6.20 Caro amore, caro… scene da un matrimonio 6.40 Tg2 Medicina 33 (R) 6.55 Quasi le sette 7.00 Random con “Cuccioli”“Lilo e Stitch”“Monster Allergy”“L’Albero Azzurro”“Pingu” 8.40 Anteprima Melbourne 9.00 Nuoto: Campionati Mondiali (in diretta da Melbourne, Australia). 10.00 TG2 - Meteo 2 - Cinematinée Medicina 33 - Nonsolosoldi 11.00 Nuoto: Campionati Mondiali (in diretta da Melbourne, Australia). 13.00 TG2 - Giorno 13.30 TG2 Costume e Società 13.50 TG2 Sì, Viaggiare 14.00 L’Italia sul 2, conducono Roberta Lanfranchi e Milo Infante. 15.50 Ricomincio da qui, conduce Alda D’Eusanio. 17.20 Streghe “Oh mie Dee! seconda parte”- Meteo 2 18.05 TG2 Flash L.I.S. - TG Sport 18.30 TG2 19.00 Andata e ritorno notte23.20 TV7, settimanale del TG1. BELLO foto notizia 6.10 La nuova famiglia Addams “Un matrimonio da salvare” con Glenn Taranto,Ellie Harvie. 6.30 TG1 - CCISS Viaggiare informati 6.45 Unomattina, conducono Eleonora Daniele e Luca Giurato. 10.45 TG Parlamento 10.50 Appuntamento al cinema 11.00 Occhio alla spesa 11.25 Che tempo fa - TG1 12.00 La prova del cuoco, conduce Antonella Clerici.Con la partecipazione di Beppe Bigazzi e Anna Moroni. 13.30 TG1 14.00 TG1 Economia 14.10 Festa italiana Storie, conduce Caterina Balivo 14.45 All’interno: Incantesimo 9, con Giorgia Bongianni,Alessio Di Clemente,Massimo Bulla,Paola Pitagora,Corinne Clery. 15.50 Festa italiana, conduce Caterina Balivo. 16.15 La vita in diretta, conduce Michele Cucuzza. 16.50 TG Parlamento - Previsioni sulla viabilità (all’interno) 17.00 TG1 - Che tempo fa (all’int.) L’eredità, conduce Carlo Conti. TG1 Affari tuoi I raccomandati, conduce Carlo Conti.Un programma di Carlo Conti,Leopoldo Siano,Emanuele Giovannini,Ivana Sabatini,Alessandra Bisegna,Zap Mangusta. Regia di Stefano Vicario. 23.15 TG1 COSÌ COSÌ film di oggi LA STORIA DI UNA MONACA DI FRED ZINNEMAN USA 1959 (179’) RETE4 Audrey Hepburn era all’apice della notorietà - era reduce da «Vacanze romane» e «Sabrina» - quando decise di mortificarsi per questo film. Niente trucchi né abiti firmati ma solo lunghi sguardi tormentati e molta classe. Un ruolo fortunato che le fruttò anche una nomination per l’oscar. 23.20 pomeriggio LETALE INSOSTENIBILE FAHRENHEIT ATTUALITA’ RADIO3 Si parla di mafia e in particolare della «grammatica di Provenzano», in uno spaccato antropologico e culturale proposto nel contenitore radiofonico. Ad approfondire il tema: Michele Prestipino, magistrano palermitano, autore de «Il codice di Provenzano» e lo scrittore Vincenzo Consolo. Nello spazio del libro del giorno, Francesco Pacifico presenterà «Faith»,raccolte di racconti di Amanda Davis. 15.00 sera CULT 6.43 6.50 7.00 7.25 7.55 8.20 8.30 9.00 10.00 10.05 11.10 12.15 12.25 13.00 13.40 14.05 14.30 15.00 15.55 16.50 17.20 17.35 18.00 18.30 19.00 3 Minuti con Media Shopping Luna, principessa argentata I Puffi Bratz Hamtaro piccoli criceti, grandi avventure Lo Show dell’Orso Yogy L’ape Maia “La pulce affamata” Chips “Il rapimento” 3 Minuti con Media Shopping Supercar “L’ancora di salvezza”con David Hasselhoff. Hazzard “La grande rapina di Boss”con John Schneider,Tom Wopat,Catherine Bach. Secondo Voi Studio Aperto - Meteo Studio Sport Detective Conan Dragon Ball Z I Simpson “A proposito di Margie” Smallville “Messaggi assassini” Settimo cielo “Lo voglio” Keroro Spongebob Mermaid Melody principesse sirene “Febbre d’amore” Zack e Cody a Grand Hotel Studio Aperto - Meteo 3 Minuti con Media Shopping 6.00 TG La7/Meteo/oroscopo/ traffico/informazione 7.00 Omnibus, programma d’informazione e approfondimento. 9.15 Punto Tg 9.20 2’ un libro, invito alla lettura e proposte editoriali,in compagnia di Alain Elkann. 9.30 I custodi delle foreste 10.05 I tesori dell’Umanità, documentario. 10.25 Jake & Jason detectives “Il prezzo di una vita” 11.30 Il tocco di un angelo “Dentro la luce”con Roma Downey,Della Reese,John Dye. 12.30 TG La7 13.00 Le inchieste di Padre Dowling “Il detective interpellato” 14.00 Il gladiatore che sfidò l’impero (Avventura,1965) con Rock Stevens,Massimo Serato,Livio Lorenzon.Regia di Domenico Paolella. 16.00 Atlantide - Storie di uomini e di mondi“Spartaco” 18.00 Star Trek Enterprise “Cow-boy dello spazio”con Scott Bakula. 19.00 The agency “Dossier Al-Qaida” 20.00 TG La7 19.05 Candid Camera 19.10 La vita secondo Jim “La festa delle mamme”“Il fidanzato della mamma”con James Belushi. 20.10 O.C. “Pugni e baci” 21.00 Grey’s anatomy “Ricominciare” “Tenere piccole bugie” con Patrick Dempsey,Ellen Pompeo. 22.55 Nip/Tuck “Conor McNamara, 2026” con Dylan Walsh. 20.30 Otto e mezzo 21.30 Le invasioni barbariche, tra gli ospiti: il Ministro Barbara Pollastrini,il Presidente di Banca Mediolanum Ennio Doris,il duo Francesco e Roby Facchinetti, oltre allo scrittore Carlo Lucarelli e il Sottosegretario alla Giustizia Luigi Manconi. 0.00 Markette - Doppio Brodo 0.00 Huff “Cane bastonato” 0.55 Studio Sport 1.20 3 Minuti con Media Shopping 1.00 TG La7 1.25 25ª ora - Il cinema espanso 2.50 Otto e mezzo (R) SKYTV SKY SPORT1 14.00 Sport Time (dir.) - 14.30 Futbol Mundial - 15.00 100% Roma: Milan - Roma 2006/07 (rep./sin.) - 16.00 100% Juventus: Juventus Pescara 2006/07 (rep./sin.) - 16.30 Permette Signora... - 17.00 100% Milan: Roma - Milan 2006/07 (rep./sin.) - 18.00 100% Inter: Parma - Inter 2006/07 (rep./sin.) - 19.00 100% Primavera - 19.30 Sport Time (dir.) - 20.00 Serie B prepartita (dir.) - 21.00 Calcio, Serie B anticipo 32a g.: Genoa - Albinoleffe (dir.) 22.45 Serie B prepartita (dir.) - 23.00 Mondo Gol Weekend (rep.) - 0.00 Sport Time (dir.). SKY SPORT2 12.30 MotorSport - 13.00 Wrestling WWE 24/7 Preview (rep.) - 13.55 Rugby, EDF - Energy Cup: Cardiff Blues - Ospreys (rep.) - 15.45 Volley, Serie A1: Una partita (rep.) - 17.45 Basket, NBA: Chicago Bulls - Detroit Pistons (rep.) - 19.30 Zona Wrestling - 19.45 Wrestling, Raw Domestic - 21.30 WWE ECW - 22.30 Poker Dome (rep.) - 23.15 NBA Action - 23.45 Basket, NBA: Chicago Bulls - Detroit Pistons (rep.) - 1.30 Wrestling WWE 24/7 Preview (rep.) - 2.30 Basket, NBA: Dallas Mavericks New York Knicks (dir.). CULT 9.00 Monsoon Wedding di Mira Nair - 10.30 Finché morte non vi separi di Larry Peerce 12.30 Nuovi corti - 13.00 Film School ep. 9 e 10 - 14.00 Fanny ed Elvis di Kay Mellor - 16.00 Fred - 17.00 Grock re dei clown - 18.00 Mademoiselle di Philippe Lioret - 19.30 XL America - 20.00 La scala - Un dossier leggero 21.00 Tutto sul riporto - 22.00 Il migliore amico dell’uomo - 23.00 I racconti del cuscino di Peter Greenaway - 1.15 Tutto sul riporto - 2.00 Il migliore amico dell’uomo - 3.00 I racconti del cuscino di Peter Greenaway. SKY CINEMA MANIA 12.30 Il mio nuovo strano fidanzato di Teresa Pelegri, Dominic Harari - 14.00 Almodóvar Mania - 14.20 Extra: Borat for President - 14.35 La fortuna di Cookie di Robert Altman - 16.35 Hollywood Flash - 16.50 Angel-A di Luc Besson 18.25 Sky Cine News - 19.00 Masked and Anonymous di Larry Charles - 20.45 Sottocinque - Sosta forzata - 21.00 Legami! di Pedro Almodóvar - 22.50 Almodóvar Mania - 23.20 Matador di Pedro Almodóvar - 1.00 Gianni Canova: Il Cinemaniaco - A History of Violence - 1.10 Hollywood Flash. RADIO MTV 7.00 Wake up 9.00 Pure morning 11.00 Into the music 13.00 Date my mom 14.00 My super sweet 16 14.30 School in action 15.00 TRL,in diretta con Alessandro da Piazza del Duomo. 16.00 Flash News 16.05 Mtv 10 of the best 17.00 Flash News 17.03 Into the music 18.00 Flash News 18.05 Mtv Our Noise SKY CINEMA 1 14.00 Stay - Nel labirinto della mente di Marc Forster - 15.45 Identikit: Nocolas Cage - 16.15 After the Sunset di Brett Ratner - 17.45 Il Dizionario - 18.05 Il cinema nel pallone - 18.45 Herbie - Il supermaggiolino di Angela Robinson 20.20 Extra: Borat for President - 20.35 Extralarge: Casanova - 21.00 Una teenager alla Casa Bianca di Forest Whitaker - 22.55 11 settembre - Tragedia annunciata - 3a parte di David L. Cunningham - 0.55 Sky Cine News - 1.25 Bastardo dentro di Patrick Alessandrin - 2.50 Extra: Borat for President. SKY CINEMA 3 10.15 In dieci sotto un tetto di Steven Robman - 11.50 Quando l’amore brucia l’anima di James Mangold - 14.05 Hollywood Flash - 14.20 Romeo + Giulietta di Baz Luhrmann - 16.20 Seven Swords di Tsui Hark - 18.55 The Clan di Christian De Sica - 20.35 Extralarge: Elizabethtown - 21.00 Paradiso perduto di Alfonso Cuarón - 23.00 Sky Cine News - 23.35 Il mistero dei Templari di Jon Turteltaub - 1.50 Good Night, and Good Luck di George Clooney - 3.25 Fade to Black di Patrick Paulson, Michael John Warren. 19.00 Flash News 19.03 Next 19.30 Parental Control 20.00 Flash News 20.05 So Notorious 21.00 Cheyenne 21.30 Dancelife 22.00 Hogan knows best 22.30 Flash News 22.35 Rob & Big 23.00 Making the movies 23.30 Celebrity Deathmatch 0.00 The Boondocks 0.30 Punk’d RADIOUNO 13.33 RadioUno Musica Village - 14.00 GR1 Scienze - 14.08 Con parole mie - 15.00 GR1 15.04 Ho perso il trend - 15.37 Il ComuniCattivo - 16.00 GR1 - Affari - 16.09 Baobab - 17.00 - 18.00 GR1 - 18.30 GR1 Titoli - 18.37 L’Argonauta - 19.00 GR 1 19.22 Radio1 Sport 19.30 Ascolta, si fa sera - 19.36 Zapping - 21.00 GR1 - 21.09 RadioUno Musica: Kaiser Chiefs in concerto - 23.00 GR1 Affari - 23.05 GR1 Parlamento - 23.09 GR1 Radioeuropa - 23.17 RadioUno Musica 23.27 Demo - 23.45 Uomini e camion. RADIODUE 11.30 Fabio e Fiamma 12.10 Luoghi non comuni “A cena dagli altri” - 12.30 GR2 12.49 GR Sport - 13.00 28 minuti - 13.30 GR2 13.42 Viva Radio2 15.00 Il Cammello di Radio2 - Gli spostati 15.30 GR2 - 16.30 Condor - 17.00 610 (sei uno zero) - 17.30 GR2 18.00 Caterpillar 19.30 GR2 - 19.52 GR Sport - 20.00 Alle 8 della sera - 20.30 GR2 20.35 Dispenser 21.00 Il Cammello di Radio2 - Decanter 21.30 GR2 - 22.50 Viva Radio2 (R) - 0.00 La Mezzanotte di Radio2 2.00 Radio2 Remix. RADIOTRE 12.00 I Concerti del mattino - 13.00 La Barcaccia - 13.45 GR3 14.00 Il Terzo Anello. Musica - 14.30 Il Terzo Anello. Manager - 15.00 Fahrenheit - 16.00 Storyville: Art Tatum 16.45 GR3 - 18.00 Il Terzo Anello. Damasco 18.45 GR3 - 19.00 Hollywood Party - 19.50 Radio 3 Suite - 20.00 Il Cartellone: Sinfonica de la Juventud Venezolana Simon Bolivar, in diretta dal Teatro Romolo Valli di Reggio Emilia - 22.30 La Stanza della Musica 23.30 Il Terzo Anello. Fuochi - 0.00 La fabbrica di polli - 0.10 Il Terzo Anello. Battiti. il manifesto 20 venerdì 30 marzo 2007 storie In un articolo del 1858 Engels valutava i problemi del paese centroasiatico La trappola dell’Afghanistan, 150 anni fa Forze irregolari afghane si riposano a un passo di montagna (stampa del 1890). In basso, un ritratto di Friedrich Engels Allora come oggi le vaste terre fra l’Hindukush e il mare, fra la Persia e l’India, non erano terre pacifiche, e tantomeno erano fatte per stare sotto l’occupazione straniera. Così le vedeva il grande politico ed economista Friedrich Engels A fghanistan: vasto paese dell'Asia, a nord-ovest dell'India. In una direzione si estende tra la Persia e le Indie, nell'altra tra l'Hindukush e l'Oceano Indiano. In passato comprendeva le province persiane del Khorasan e del Kohistan, oltre che le regioni di Herat, Belucistan, Kashmir, Sind e una considerevole porzione del Punjab. All'interno dei suoi attuali confini probabilmente non vi sono più di 4 milioni di abitanti. La superficie dell'Afghanistan è molto irregolare – elevati altipiani, grandi montagne, profonde vallate e gole. Come tutti i paesi tropicali montagnosi, presenta ogni varietà di clima. Nell'Hindukush la neve copre le alte cime per tutto l'anno, mentre nelle vallate il termometro arriva fino a 130˚F (54˚C, ndt)... Sebbene la differenza tra temperature estive e invernali, e tra temperature diurne e notturne, sia alquanto pronunciata, il paese è generalmente salubre. Le principali malattie che si contraggono sono febbri, catarro e oftalmia. Occasionalmente si diffondono devastanti epidemie di vaiolo. Il suolo manifesta una fertilità esuberante. Le palme da dattero crescono rigogliosamente nelle oasi dei deserti sabbiosi; la canna da zucchero e il cotone nelle calde vallate; le frutta e gli ortaggi europei prosperano lussureggianti sulle terrazze dei fianchi montani fino a un'altitudine di 6.000 o 7.000 piedi. Le montagne sono coperte di splendide foreste abitate da orsi, lupi e volpi, mentre il leone, il leopardo e la tigre si trovano nelle regioni più adatte alle loro caratteristiche. Né mancano gli animali utili per l'uomo. Si alleva una bella varietà di pecora di razza persiana, o con la coda lunga. I cavalli sono di buone dimensioni e razza. Come bestie da soma si usano il cammello e l'asino, e si trovano capre, cani e gatti in notevole quantità. Oltre all'Hindukush, che costituisce una prosecuzione dell'Himalaya, nella parte sudoccidentale si erge la catena dei Monti Sulaiman e, tra l'Afghanistan e Balkh, quella del Paropamiso (...). I fiumi scarseggiano: i più importanti sono l’Helmand e il Kabul, i quali nascono entrambi dall'Hindukush. Il Kabul scorre verso oriente e si immette nell'Indo nelle vicinanze di Attock; l'Helmand scorre verso occidente e, dopo aver attraversato il distretto di Sistan, sfocia nel lago di Zirrah. (...) Le città principali dell'Afghanistan sono: Kabul, la capitale, Ghazni, Peshawar e Qandahar. Kabul è una bella città, situata a 340˚ di latitudine N e 60˚ 43˚ di longitudine E, sull'omonimo fiume. Gli edifici sono costruiti in legno, sono puliti e spaziosi, e la città, essendo circondata da bei parchi, ha un aspetto molto gradevole. Nei suoi dintorni sorgono Se avessimo letto Engels... Consigli attualissimi per politici e militari occidentali ansiosi di intervenire a Kabul Non è affatto una bizzarria pubblicare questo testo di Friedrich Engels sull’Afghanistan, scritto nell’estate del 1857 per la New American Cyclopœdia. Sono convinto che sull’Afghanistan domini ancora una clamorosa ignoranza della sua storia e della sua geografia. Vale ricordare che dopo la disastrosa invasione sovietica nel paese, un prestigioso generale dell’Urss ebbe a dire: «Se avessimo letto Engels, mai e poi mai ci saremmo imbarcati in questa avventura». Consigliamo questa lettura di Engels a tutti quelli che vogliono intervenire in Afghanistan in missione di pace, dicono loro, anche se di fatto sono in guerra. Oserei dire che in Afghanistan dai tempi di Engels a oggi assai poco è cambiato: l’unico cambiamento rilevante è la diffusione della coltura del papavero da oppio, di cui oggi l’Afghanistan è il maggior produttore mondiale, mentre i maggiori importatori siamo noi occidentali, in primis gli Stati uniti. Mi permetto di raccomandare questa lettura, inoltre, agli attuali responsabili del governo italiano. (Valentino Parlato) diversi villaggi, nel mezzo di un'ampia pianura attorniata da basse colline. Il monumento principale è la tomba dell'imperatore Babur. Peshawar è una grande città, con una popolazione stimata intorno ai 100.000 abitanti. Ghazni, centro di antica fama, un tempo capitale del gran sultano Mahmud, ha subito un notevole declino ed è attualmente un povero villaggio. Nelle sue vicinanze è sepolto Mahmud. La fondazione di Qandahar è relativamente recente e risale al 1754. La città sorge sulle rovine di un antico insediamento e per qualche anno fu capitale; nel 1774 la sede del governo fu trasferita a Kabul. (...) Nei pressi si trova la tomba dello Shah Ahmed, fondatore della città, un luogo talmente sacro che neanche il re può ordinare la cattura di un criminale che si sia rifugiato tra le sue mura. Rilevanza politica La posizione geografica dell'Afghanistan e la particolare natura del suo popolo conferiscono al paese una rilevanza politica che, nell'ambito degli affari dell'Asia centrale, non sarà mai troppo sottolineata. La forma di governo è la monarchia, ma l'autorità di cui il sovrano gode sui suoi turbolenti e focosi sudditi è di tipo personale e molto indefinito. Il regno è diviso in province, ciascuna controllata da un rappresentante del sovrano, il quale raccoglie le tasse e le invia alla capitale. Gli af- ghani sono coraggiosi, intrepidi e indipendenti; si occupano esclusivamente di pastorizia e agricoltura, rifuggendo il commercio e gli scambi che sdegnosamente lasciano agli indù e ad altri abitanti delle città. Per loro la guerra è un'impresa eccitante e una distrazione dalla monotonia delle abituali attività. Gli afghani sono divisi in clan, sui quali i vari capi esercitano una sorta di supremazia feudale. Soltanto un odio irriducibile per l'autorità e l'amore per l'indipendenza individuale impediscono loro di diventare una nazione potente; ma questa stessa irregolarità e incertezza nell'azione li rende dei pericolosi vicini, capaci di essere sballottati dai venti più mutevoli o istigati da politici intriganti che eccitano astutamente le loro passioni. Le due tribù principali sono i durrani e i ghilzai, sempre in lotta l'una con l'altra (entrambe di etnia pashtun). I durrani sono i più potenti e, in virtù di tale supremazia, il loro amir o khan si è proclamato re dell'Afghanistan. Il suo reddito è di circa 10 milioni di dollari. Gode di autorità suprema solo all'interno della sua tribù. I contingenti militari sono forniti principalmente dai durrani; il resto dell'esercito è composto da membri degli altri clan o da soldati di ventura che si uniscono alle truppe sperando nella paga o nel bottino. Nelle città la giustizia è amministrata dai cadì, ma gli afghani raramente ricorrono Per ordini diretti: [email protected] alla legge. Le sanzioni decretate dai khan si estendono fino al diritto di vita e di morte. La vendetta di sangue è un dovere familiare; tuttavia, si dice che gli afghani siano un popolo liberale e generoso quando non vengono provocati, e che i diritti di ospitalità siano a tal punto sacri che se un nemico mortale riesce, anche con uno stratagemma, a mangiare pane e sale del suo ospite, egli diventa inviolabile, e può perfino pretendere la protezione di quest'ultimo contro ogni altro pericolo. Di religione sono maomettani sunniti, ma non intolleranti, e le alleanze tra sciiti e sunniti non sono affatto infrequenti. L'Afghanistan è stato soggetto alternativamente al dominio dei moghul e dei persiani. Prima che gli inglesi si insediassero sulle coste indiane tutte le invasioni straniere che spazzarono le pianure dell'Indostan provenivano immancabilmente dall'Afghanistan. Seguirono quella via il sultano Mahmud il Grande, Gengis Khan, Tamerlano e Nadir Shah. Nel 1747, dopo la morte di Nadir, Ahmed Shah, che aveva appreso l'arte della guerra al comando di quell'avventuriero, decise di liberarsi dal giogo persiano. Sotto il regno di Ahmed l'Afghanistan raggiunse l'apice della grandezza e della prosperità in tempi moderni. Ahmed apparteneva alla famiglia dei suddosi, e la sua prima azione fu quella di impadronirsi del bottino che il suo defunto capo aveva raccolto in India. Nel 1748 riuscì a cacciare il governatore moghul da Kabul e Peshawar e, dopo aver attraversato l'Indo, conquistò il Punjab. Il suo regno si estendeva dal Khorasan a Delhi, ed egli incrociò le armi anche con i potenti marathi. Tutte queste grandi imprese non gli impedirono tuttavia di coltivare alcune arti parifiche ed egli fu anche apprezzato poeta e storico. Morì nel 1772 e lasciò la corona al figlio Timur, che però non si dimostrò all'altezza del gravoso compito. Dissensi fra le tribù Abbandonò la città di Qandahar, che era stata fondata dal padre ed era diventata in pochi anni una città ricca e popolosa, e trasferì la sede del governo a Kabul. Durante il suo regno ripresero vigore i dissensi tra le tribù, in passato repressi dalla mano ferma di Ahmed Shah. Timur morì nel 1793 e gli successe Siman. Questo principe accarezzava l'idea di consolidare il potere maomettano in India e il suo progetto, che avrebbe potuto mettere in serio pericolo i possedimenti britannici, fu considerato così rilevante che Sir John Malcolm raggiunse la frontiera con il compito di tenere gli afghani sotto controllo nel caso in cui avessero effettuato qualche movimento; al tempo stesso vennero avviate trattative con la Persia in modo da stringere gli afghani tra due fuochi. Queste precauzioni non furono comun- que necessarie; Siman Shah era più che occupato dalle cospirazioni e dai disordini in patria, e isuoi grandi progetti furono stroncati sul nascere. Il fratello del re, Mohammed, si gettò su Herat con l'intenzione di costituire un principato indipendente, ma, fallendo nel suo tentativo, fuggì in Persia. Siman Shah era salito al trono con l'aiuto della famiglia dei Barakzay, il cui capo era Sheir Afras Khan. La nomina di un visir impopolare da parte di Siman accese l'odio dei suoi vecchi sostenitori, i quali ordirono una congiura che fu scoperta e portò alla condanna a morte di Sheir Afras. I cospiratori richiamarono allora Mohammed, Siman fu fatto prigioniero e accecato. In opposizione a Mohammed, che era sostenuto dai durrani, i ghilzai avanzarono la candidatura di Sujah Shah, che fu re per qualche tempo ma fu infine sconfitto, principalmente a causa del tradimento dei suoi stessi fautori, e costretto a cercare rifugio presso i sikh. Nel 1809 Napoleone aveva inviato in Persia il generale Gardanne, nella speranza di indurre lo scià a invadere l'India; il governo indiano da parte sua aveva inviato un rappresentante alla corte di Sujah Shah per creare un fronte di opposizione contro la Persia. Fu in quest'epoca che Ranjit Singh acquistò potere e fama. Era un capotribù sikh e, grazie al suo genio, guadagnò al suo paese l'indipendenza dagli afghani e fondò un regno nel Punjab, assumendo il titolo di maharaja e conquistandosi il rispetto del governo angloindiano. L'usurpatore Mohammed, tuttavia, non era destinato a godere a lungo della sua vittoria. Il vizir Futteh Khan, che, spinto dall'ambizione o da interessi contingenti, aveva oscillato continuamente tra Mohammed e Sujah Shah, fu catturato da Kamran, figlio del re, accecato e quindi crudelmente assassinato. La potente famiglia del vizir ucciso giurò di vendicare la sua morte. Di nuovo fu avanzata la candidatura del fantoccio Sujah Shah e decretato l'esilio di Mohammed. Ma poiché Sujah Shah si rese responsabile di un'offesa, fu immediatamente deposto e al suo posto fu incoronato un fratello. Mohammed fuggì a Herat, di cui mantenne il possesso, e alla sua morte nel 1829 il figlio Kamran gli successe al governo di quel distretto. La famiglia dei Barakzay, conquistato il potere supremo, divise il territorio tra i propri membri i quali, secondo l'abitudine nazionale, continuarono a litigare tra di loro riunendosi soltanto di fronte a un nemico comune. Uno dei fratelli, Mohammed Khan, ricevette la città di Peshawar, per la quale pagava un tributo a Ranjit Singh; un altro ebbe Ghazni e un terzo Qandahar, mentre a Kabul dominava Dost Muhammad, il più potente della famiglia. (1-continua) www.ilmanifesto.it www.manifestolibri.it È ancora impresso. La ristampa dell’Album cult di Tano D’Amico e Piergiorgio Maoloni “é il ’77”. 106 foto di un anno che ha cambiato la nostra storia. Dal 16 marzo in edicola con il manifesto e in libreria con manifestolibri a 8,90 euro.