DIZIONARIO DEL DIALETTO BOLOGNESE TRA RENO E SAMOGGIA

Transcript

DIZIONARIO DEL DIALETTO BOLOGNESE TRA RENO E SAMOGGIA
MARCO BASSI
DIZIONARIO
DEL DIALETTO
BOLOGNESE
PARLATO
TRA RENO E SAMOGGIA
Completato da un repertorio
ITALIANO - BOLOGNESE
Precisamente nei comuni di:
Calderara di Reno, Sala Bolognese e Anzola dell’Emilia;
Bazzano, Casalecchio di Reno, Crespellano
e Zola Predosa (a settentrione della Via Bazzanese);
Bologna (periferia di ponente)
EDITOGRAFICA
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 G. Verdi, 15
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40067 Rastignano, Bologna
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ISBN
978-88-87729-31-3
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Tutti
i diritti sono riservati
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Marco Bassi
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Stampato
nel mese di marzo 2013
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presso
Editografica s.r.l. - Rastignano, Bologna
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Indice
Presentazione
VII
Introduzione
IX
Note d’uso
XI
Dizionario Bolognese-Italiano
1
Repertorio Italiano-Bolognese
243
Presentazione
Io sono nato al numero 4 di via Ducati, a Borgo Panigale, all’estrema periferia
occidentale di Bologna; ed essendo stato allevato dai nonni anche dal punto di
vista linguistico, potrei legittimamente affermare che quella oggetto di questo
studio è la mia lingua madre.
Si tratta però di un’affermazione che, ancorché veritiera nella lettera, è parzialmente falsa nella sostanza, nel senso che quei nonni erano originari della
Pieve di Cento, emigrati in città poco prima della Seconda Guerra Mondiale.
Devo dire che allora non avvertivo differenze fra il dialetto dei miei nonni e
quello dei vicini di casa: alla fin fine, si trattava sempre di dialetto bolognese
(e ricordo che la Pieve è l’estremo lembo della provincia di Bologna prima del
Ferrarese). Al tempo stesso, in lavori come quello di Marco Bassi ciò che interessa non sono tanto le affinità quanto proprio le differenze, le sfumature di
pronuncia e di significato che non danno gravi difficoltà di comprensione ma
che vengono immediatamente avvertite dall’orecchio allenato.
Una sensibilità linguistica che in me è poi molto sviluppata dato che, ancora
adolescente, i casi della vita mi condussero a Spilamberto, in provincia di Modena. E si noti che in questo paese, posto precisamente sul confine fra Modena
e Bologna, il dialetto è sì modenese ma con pesanti influssi bolognesi, col risultato che l’attenzione ai fatti linguistici è molto sviluppata, anche a livello di
chiacchiere al bar.
Di qui nasce l’interesse per questo dizionario da parte dell’Istituto Enciclopedico Settecani, piccola associazione spilambertese rivolta a studi di carattere
locale, principalmente Storia e, appunto, Dialetto. Ovviamente quel che ci interessa è il nostro dialetto, ma consideriamo di grande importanza l’analisi dei
legami fra esso e quelli più vicini, ovvero il Modenese di città e il Bolognese,
in particolare quello di là dall’acqua (al di là di Panaro), cioè proprio quello
trattato nel lavoro qui presentato.
Un dizionario dunque che ci interessa per definizione ma che riteniamo particolarmente importante per diversi motivi.
In primo luogo, il suo valore di testimonianza di una lingua in via di scomparsa. Non starò qui a lamentare la dissoluzione del dialetto, e non credo nella
VIII
possibilità di richiamarlo in vita: la Storia passa molto al di sopra delle nostre
teste, trascinandoci tutti; e sarà già un mezzo miracolo se fra qualche decennio
esisterà ancora l’Italiano. Ma proprio per questo motivo libri come questo sono preziosi, piccole Stele di Rosetta a futura memoria di lingue certo non importanti come l’egizia, ma non prive di un proprio valore e di una propria dignità.
Al di là poi dell’importanza documentaria, questo lavoro risulta particolarmente valido dal punto di vista scientifico. Marco Bassi, classe 1946, è nato a
Calderara di Reno, in una famiglia contadina dove si parlava solamente dialetto, che è dunque la sua lingua madre, lingua nella quale non ha mai smesso di
parlare e di pensare. Ma da molti anni sul dialetto Marco ha iniziato a riflettere, interrogandosi sulle sfumature di significato e sulle varianti fonetiche, e
consultando in merito i sempre meno numerosi parlanti più vecchi di lui. Riflessioni e ricerche che, dopo una vita di lavoro spesa in tipografia, grazie alla
libertà offerta dalla pensione sono sfociate nella compilazione di questo dizionario.
Finalmente, se lo studio e le ricerche sono sufficienti a garantire la validità
scientifica di un lavoro filologico, non necessariamente si traducono in qualcosa di piacevole: un dizionario potrà infatti essere completo, rigoroso, esauriente ma rimanere freddo, arido, al limite pedante. A mio parere, il dizionario
di Marco Bassi va oltre: la scelta degli esempi, dei proverbi, dei modi di dire è
infatti particolarmente felice, viva, dando al Lettore un vivace ritratto della
gente che parla(va) questa lingua, del suo modo di ragionare, di affrontare la
vita ed anche di ridere.
Un’impressione questa della quale mi auguro il Lettore troverà egli stesso conferma quando, consultando il Dizionario, si sentirà spinto ad andare oltre: a
leggerlo.
Silvio Cevolani
Istituto Enciclopedico Settecani
Spilamberto, 26 gennaio 2013
Introduzione
In questo triangolo geografico compreso tra la sinistra del fiume Reno, la
destra del torrente Samoggia e la parte pianeggiante dei comuni di Zola Pedosa, Crespellano, Bazzano e Casalecchio si parlerebbe un dialetto omogeneo.
Ho usato il condizionale perché, ormai, il dialetto è parlato quasi esclusivamente solo da alcune persone in età. In quanto ai giovani, tutti lo comprendono ma nessuno lo parla, se non qualche parola ed in molti casi dialettizzando
l’italiano.
Noi valutiamo che i fiumi siano confini naturali anche delle caratteristiche
linguistiche e la scelta dei due corsi d’acqua per delimitare la zona oggetto del
nostro studio è funzionale a questo assunto. Gli altri corsi d’acqua presenti in
questo triangolo sono per lo più di natura artificiale, nati a scopo di bonifica.
La zona era in parte dissodata e coltivata, in parte paludosa ed in parte coltivata a riso. I canali e i fossi di bonifica vennero creati fra le sponde del Reno e
del Samoggia e non frazionarono la koinè esistente, in quanto inseriti fra gente
della medesima cultura.
Chiaramente ai confini di questa zona, nonostante le barriere naturali succitate, le parlate tendono a sovrapporsi, come per un effetto osmotico; in molti
casi il vocabolario è lo stesso, ma la pronuncia tradisce il loro essere di “confine” sommando inflessioni delle culture attigue.
La terra era ed è tuttora molto fertile e da sempre l’attività produttiva principale, quella che impiegava più persone, era l’agricoltura. Dunque il dialetto
che la gente di questa zona parlava, era il dialetto dei contadini, in quanto
idioma della “popolazione dominante”. Di questo danno prova evidente le metafore, i modi di dire ed i proverbi che ne arricchivano il parlare.
Dopo la seconda guerra mondiale, la zona in oggetto non ha avuto flussi migratori di rilievo e il nostro linguaggio si è mantenuto meglio del dialetto cittadino che, avendo subito più inclusioni di parlate foreste (ricordiamo gli studenti fuorisede dell’università), si è imbastardito più in fretta. Anche il nostro
dialetto, col tempo si è imbastardito, ma in misura meno apprezzabile che in
città. Poi l’evolversi della società in generale, la scolarizzazione diffusa, l’av-
X
vento delle nuove tecnologie, i mestieri che si sono “smagriti” di qualità e di
quantità, hanno fatto il resto.
Ultimamente, va detto, vi è stato un rifiorire di attività legate al dialetto,
cominciando dai corsi di bolognese che si tengono tuttora al teatro degli Alemanni organizzati da A. Jani, al sito internet Sît bulgnai§, ai dizionari bolognesi editi da Vallardi e Pendragon entrambi di D. Vitali e L. Lepri e da ultimo
ma non ultimo il volume Dscårret in bulgnai§? Manuale e grammatica del
dialetto bolognese di D. Vitali.
Dunque la materia è ben coperta, soprattutto per l’intramurario, che è poi
il bolognese di centro città. Un tempo si apprezzavano differenze anche notevoli, nel dialetto parlato all’interno della cinta muraria, ora il tutto si è abbastanza omogeneizzato. La nostra opera, che tratta il bolognese che si parla a
ovest del Reno fino a est del Samoggia, ha l’ambizione di voler salvaguardare
tutto un patrimonio semantico, specifico di questa zona, tipicamente contadino
e bracciantile.
A questo proposito, talvolta abbiamo pensato che questo nostro lavoro abbia parecchie attinenze con i vari musei della civiltà contadina: loro custodiscono gli attrezzi e i manufatti, noi invece la “cultura” necessaria alla comprensione, all’uso ed alla fruizione degli stessi.
Chiaramente, poi, noi storicamente abbiamo subito influenze che rendono
il nostro parlare, come dicono i cittadini, più “arioso”. I commerci che nei secoli si sono avuti col vicino territorio modenese dell’Abbazia di Nonantola, i
lasciti di Matilde di Canossa che tuttora permangono (partecipanze), hanno sicuramente lasciato il loro segno dando una certa impostazione alla nostra calata.
La quantità dei lemmi trascritti, pur passando abbondantemente i 10.000,
non è altissima. Chiaramente la parlata contadina è meno ricca di parole di
quella di città, anche perché in campagna di parole c’è sempre stato meno bisogno.
A questo proposito chiudiamo ricordando il disprezzo mostrato dagli ar<dûr verso coloro che parlavano senza pesare solennemente le parole. Scuotendo la testa, dicevano: al c’còrr cmê na tràccla (parla come una donnetta da
mercato) chiudendo poi lì la questione.
Marco Bassi