La lingua dei Giovani

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La lingua dei Giovani
ARACNE
a cura di
Maurizio Dardano e Gianluca Frenguelli
Fenomeni, problemi, prospettive
L’italiano di oggi
978-88-548-1696-1
I edizione: gennaio 2008
I ristampa aggiornata: settembre 2008
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tifrastico Secco è un lestofante grasso e viscido, il Dandi pretende di vestirsi con raffinatezza, il Terribile è noto per la sua ferocia, Fierolocchio è affetto da strabismo, Varighina
(da varechina, regionale varichina) è albino; non mancano referenti letterari o paraletterari: il Conte Ugolino è un criminale con tendenze antropofagiche, Trentadenari è un traditore.
L’analisi ha dimostrato che: i) il lessico della nostra più recente
narrativa appare mescidato soprattutto a causa degli apporti che
vengono dal basso (si potrebbe parlare di una «mescidanza programmata» di diverse varietà); ii) nonostante la ricerca di una
medietà linguistica, le componenti centrifughe sono piuttosto attive; iii) alcune scelte lessicali (affissati, NOM) influenzano gli aspetti enunciativi e pragmatico-testuali dei nostri romanzi.
Rispetto alla «standardizzazione linguistica», rilevata da Coletti
(2001), la situazione presentata dai sette romanzi appare diversa:
non mancano infatti i fattori di allontanamento dallo standard.
Per i romanzi qui esaminati non si può parlare di «lingua ipermedia», che del resto, a detta dello stesso inventore di questa formula, appare in declino (Antonelli 2006: 14), né di «lingua di plastica» o «selvaggia». Lo scrittore di oggi accoglie mode più o meno
effimere dal mondo del cinema, dalla televisione e, in particolare
dalla musica leggera. Chi volesse suggerirgli: «Parla con la tua voce, Italiano», si porrebbe probabilmente fuori dal nostro tempo.
La coscienza di usare toni e allusioni particolari è cresciuta negli
ultimi anni. Data una certa fluidità delle situazioni e delle forme
espressive, non è opportuno imporre a questi romanzi etichette di
qualsiasi tipo. La mescidanza di forme e di stili non va giudicata
in modo univoco. Il fenomeno è, di volta in volta, mimesi del parlato (De Cataldo), modalità di un edonismo plurilinguistico variamente esibito (Buttafuoco, Niffoi), manifestazione di una ricerca
interiore perseguita mediante addizioni e sottrazioni verbali (Veronesi), testimonianza di una partecipazione commossa a una realtà degradata (Mazzucco).
8.5. Lontani dallo standard?
8. Le parole della narrativa
*
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*
G. Colella, Note sullo scritto e il parlato di giovani romani, in «Italienisch», 55,
2006, pp. 102-111. Il lavoro è stato variamente rivisto e ampliato. Il par. 10.4 è nuovo.
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La lingua dei giovani, in un primo tempo filtrata in raccolte lessicografiche più o
meno amatoriali (Lanza 1974, Manzoni/Dalmonte 1980), si è affacciata nel panorama
della linguistica italiana partire dagli anni Ottanta (Coveri 1983). Per i decenni seguenti sono da segnalare in particolare le seguenti raccolte di saggi: Banfi/Sobrero (1992),
Radtke (1993c), Fusco/Marcato (2005), Marcato (2006), Cardinale/Corno (2007). In
quest’ultimo volume un ampio spazio è dedicato anche ai problemi psicologici, sociali e
culturali che accompagnano l’“essere giovani”.
Che cosa s’intende con “lingua dei giovani”? Con quali strumenti possiamo individuarla, determinarne i confini e i caratteri?
Nonostante i numerosi studi che si sono susseguiti nel corso degli
ultimi trent’anni1, non sono molte le risposte soddisfacenti. Ai
giorni nostri si preferiscono i plurali: si parla infatti di “linguaggi”,
di “gerghi”, di “varietà” giovanili. Si crede di meno nella possibilità di unificare, di ritrovare un’immagine unitaria per una pluralità di fenomeni che sfuggono a definizioni precise, che non sono
esclusivi di questo settore ma piuttosto sono comuni a più settori.
E allora la LG sembra perdere la sua specificità (unicità), i suoi
confini appaiono incerti; il campo, visto in un arco di tempo ben
delimitato, appare diviso e suddiviso in tanti socioletti. Tutto ciò
si riflette nella difficoltà di definire con precisione un fenomeno
che mantiene intatta la sua importanza. Ma etichette e suddivisioni a parte, l’attenzione nei confronti della LG è rimasta costante nel
10.1. Un concetto sfumato
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Cardinale/Corno (2007: V): «se vogliamo prendere sul serio la categoria “essere
giovani”, dobbiamo oggi arrenderci alla sua fluidità e alla sua diffusione pervasiva». Cfr.
anche D’Achille (2006), il quale compie un’analisi storico-semantica della parola giovane.
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Riprendo questo schema, con alcune modifiche, da Coveri/Benucci/Diadori
(1998: 104), che affrontano il problema delle varietà giovanili all’interno del rapporto tra
lingua e gruppo di appartenenza.
Le variabili caratterizzanti la LG sono in primo luogo diafasiche, ma anche diastratiche e diatopiche. Per motivi ben noti, quest’ultimo fattore ha in Italia un rilievo senz’altro maggiore rispetto ad altri Paesi dell’Europa occidentale.
Pertanto, mancando di una propria specificità, la LG intrattiene
rapporti con l’italiano colloquiale, il dialetto, i gerghi (intesi lato
sensu come varietà particolari di vocabolario tipiche di una certa
– l’età: adolescenti, diciottenni, ventenni, ultraventenni;
– il luogo di socializzazione: la famiglia, la scuola, la cerchia di
amici e conoscenti, la discoteca, il luogo di lavoro;
– l’esperienza formativa e culturale (semianalfabeti, licenza
media, diplomati, ecc.);
– l’atteggiamento verso la musica, il cinema, la televisione, le
mode, le letture, gli svaghi (passione rivolta a particolari tipi di
musica, allo sport, alle auto, alle moto, al computer, ecc.)3.
corso degli anni, come dimostrano anche le ultime monografie
(cfr. la nota 1). Nel complesso si nota un calo d’interesse, o forse
di entusiasmo o di ottimismo. Se si confrontano i saggi di oggi con
quelli dei primi anni Novanta si nota un affievolirsi della “scientificità” di partenza, delle definizioni rigorose. Una spia di questo
fenomeno si ha nella terminologia. Data la difficoltà d’inquadrare
la LG in uno spazio preciso, la definizione sociolinguistica ha abbandonato il rigore dei primi tempi, affidandosi a vocaboli comuni, che riflettono talvolta giudizi sommari e impressionistici: la LG
è fluida, liquida (aggettivo magico di Zygmunt Baumann), flou, fuzzy; l’immagine della spirale sostituisce i circoli concentrici (Miglietta/Sobrero 2007); ma la LG è stata definita anche “un guazzabuglio” (P. Trifone 2007: 135). I giovani non costituiscono una categoria, sono piuttosto un insieme eterogeneo, provvisto di più anime2. Parlando dei giovani bisogna tener conto di alcune variabili:
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Cfr. Coveri/Benucci/Diadori (1988: 103): «La grande rapidità di mutamento del
linguaggio giovanile è dovuta al continuo ricambio di utenti: la velocità con cui vengono creati neologismi e metafore particolari corrisponde alla rapidità con cui molte di
queste neoconiazioni scompaiono (basti pensare al termine matusa, che oggi non si usa
più ma che negli anni Sessanta indicava, con una connotazione negativa, i genitori)».
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Anche se è ovvia, questa distinzione appare necessaria per evitare l’errore fatto
dai primi studiosi della LG, i quali vedevano in questa varietà elementi innovativi capaci
di influire e modificare il sistema della lingua.
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Sobrero (1993b: 99) riscontra «una preponderanza di fatismi protratti, di
classe sociale, professione o mestiere); perciò si parla di “eterogeneità” e “subalternità”, categorie proposte per la prima volta da
Coveri (1983): la LG è subalterna alla lingua comune; sono poche
le parole che riescono a superare la soglia generazionale per entrare nella variante colloquiale dell’italiano. La LG è una varietà substandard che si pone nella parte bassa del diagramma proposto da
Berruto (1987) per illustrare la dimensione sociolinguistica dell’italiano.
Un elemento di differenziazione si vede nella rapidità di mutamento4. Si pensi anche a gruppi giovanili scomparsi nel giro di
pochi anni: gli usi linguistici dei cosiddetti paninari hanno rappresentato i primi materiali di studio della LG negli anni ’80 e nei
primi anni ’90.
La LG deve essere tenuta distinta dalla “lingua della generazione giovane”, che rappresenta lo stadio più recente della lingua
considerata nel suo insieme ed è quindi marcata in senso diacronico5: lo ha detto con grande chiarezza Albrecht (1993: 26), il
quale ha inoltre sottolineato il carattere diafasico della LG, definendolo un “registro”, uno style (nell’accezione anglosassone). Si
tratterebbe insomma di una varietà secondaria di cui i parlanti si
servono esclusivamente in certe situazioni e per certi scopi, particolarmente in situazioni ludiche.
Di solito la peculiarità della LG è vista nel lessico. Tuttavia
Stempel (1993: 89) ha detto giustamente che la «réduction du langage des jeunes à une question de vocabulaire est une simplification de la réalité linguistique», esortando a fermare l’attenzione
sulle strategie di creazione lessicale e sulla dimensione retorica
(iperboli, litoti, metafore sono figure ricorrenti nei discorsi dei
giovani). Un altro aspetto da considerare con attenzione è la compresenza del gesto e degli altri linguaggi cinetici6.
10. Come parlano (e scrivono) i giovani
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sequenze laterali, di inserti in parallelo all’interno di altri inserti incapsulati, di aperture ‘al buio’, di rilanci tematici a vuoto e, soprattutto, una notevole integrazione non
verbale».
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Se esiste un gergo giovanile “panitaliano”, promosso dai mass media o dalla
“mobilità dei giovani”, esistono delle differenze interne anche in un’area circoscritta.
Sulle categorie della cultura “giovanile” cfr. Livolsi/Bison (1992: 149-158). Alcune delle
denominazioni, possono risultare oscure: il gabberino è il ‘giovane amante del genere
musicale gabber’ (cfr. Ambrogio/Casalegno 2004); mentre zecca comunemente indica il
giovane di sinistra, riconoscibile dall’abbigliamento (Giovanardi 2001: 177). Aristozecca
è coniazione ironica usata (almeno negli anni ’90) dai giovani di destra di un famoso
liceo romano per indicare i rampolli di famiglie benestanti che hanno uno stile di vita
bohémien. Cfr. anche aristofreak su Slangopedia.
Prendendo come riferimento Sobrero (1992, 1993b) e M. A.
Cortelazzo (1994), si riconosce allora che la LG nasce da un assemblaggio di diverse varietà linguistiche. Su una base di italiano colloquiale informale (a) s’innestano varie componenti: b) dialettale;
c) gergale tradizionale; d) gergale innovativa; e) mediale e pubblicitaria; f ) internazionale. Numerosi questionari (cito soltanto
Banfi 1992, Coveri 1993, Giovanardi 1993, Marcato/Fusco 1994,
P. Trifone 1996, Antonelli 1999b, Franceschini/Schwarze 2001),
somministrati a studenti di diverse regioni e riguardanti la competenza attiva e passiva di alcuni “lemmi bandiera”, hanno dimostrato come la LG presenti un indice notevole di variabilità, cosicché bisogna parlare di varietà giovanili in base non soltanto alla
provenienza e all’età, ma anche tenendo conto del frazionamento
interno dei diversi peer groups: coatti, gabberini, metallari, writers,
zecche, ecc7. Forse con una semplificazione eccessiva, tra l’altro riconosciuta dagli stessi autori, Miglietta/Sobrero (2007) propongono «una distinzione fra gruppi che fanno capo a due tipologie
ben distinte, anzi antagonistiche»: gli alternativi e i fighetti; i primi
sono definiti «portatori di quelle che una volta si chiamavano controculture», i secondi «iper-integrati, sensibili a tutti gli stimoli
del ‘sistema’». Come definire però tutti quei giovani (e non sono
pochi) che non assecondano mode più o meno stravaganti?
Questa “neutralità” nei confronti degli influssi esterni, in che misura influenza il linguaggio di chi la pratica? È un quesito rimasto
finora senza risposte. E tuttavia si potrebbe pensare che questi
giovani, per così dire, neutri, dal momento che rifiutano mode e
non s’identificano in particolari gruppi, facciano ricorso piuttosto
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Sulla rideterminazione del significato cfr. Radtke (1993a).
Per lo sviluppo del secondo significato, ha giocato forse la vicinanza fonica con
altri vocaboli: il genovese gnagna (Coveri 1993: 39) e gnocca (panitaliano): entrambi questi vocaboli significano ‘sesso femminile’ (cfr. Ambrogio/Casalegno 2004).
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Cfr. però Slangopedia, che registra quest’accezione, su proposta di un utente.
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Cfr. Giovanardi (2001: 181): «i suffissati con -aro indicano le varie attività di venditori ambulanti». Cfr. anche il par. 1.6. Un caso interessante di evoluzione semantica si
ha con peracottaro, che in passato valeva ‘venditore di pere cotte’ e che in seguito ha assunto il significato di ‘persona incapace e goffa’. Anche il linguaggio giornalistico ricorre a questo genere di suffissati (-aro, -arolo); cfr. par. 2.1.
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Accrescitivo di puccio. L’appellativo è stato reso famoso dalla nota serie cinema9
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raramente a gergalismi e a vocaboli connotati in senso giovanilistico.
Del resto deve essere notato che vari giovanilismi sono polisemici e non sempre rimandano a un referente determinato8. Un esempio è gnugna, che vale ‘eroina’, ma anche (almeno a Roma) ‘ragazza procace’ e spesso ‘sesso femminile’ (per sineddoche)9. Del
verbo alzare Ambrogio/Casalegno (2004) elencano cinque significati; tuttavia manca quello (peraltro molto diffuso a Roma) di
‘prestare soldi’, in genere piccole quantità di denaro per spese correnti10. In area torinese Canobbio (1998: 198) conta un’ottantina
di accezioni del verbo beccare; per il napoletano vale la pena di
ricordare i molti significati di pariare, propriamente ‘digerire’, ma
anche (e più frequentemente) ‘passare il tempo’, ‘prendere in
giro’, ‘stare rilassato’ (cfr. Slangopedia).
Lo studio del lessico non può prescindere da una riflessione su
talune scelte che avvengono nel campo della FP. Da Roma si diffondono nomina agentis con il suffisso -aro (Giovanardi 2001: 181182); ai tradizionali panchinaro, rockettaro si aggiungono nuovi
suffissati (si tratta per lo più di occasionalismi), come cornettaro
‘pasticceria o bar che vende cornetti fino a tarda notte’, kebbabbaro ‘venditore di kebab’11. Ricorrenti in vari contesti sono anche
alcuni accrescitivi in -one: nella LG zozzone, può valere scherzosamente ‘giovane attratto da materiale pornografico’; ma lo zozzone
è detto anche il gestore di un chiosco, dove si vendono panini
imbottiti o di un piccolo ristorante che non si distingue certo per
classe, decoro e igiene. Non dimentichiamo i vari appellativi del
tipo bambacione (o bambascione con grafia più aderente alla pronuncia) e puccettone12: entrambi significano ‘sciocco’, ma possie-
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tografica avente come protagonista il ragionier Ugo Fantozzi, interpretato da Paolo
Villaggio.
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Molte delle espressioni in -one sono effimere e hanno spesso valore “idiolettale”
come (s)tordacchione (probabilmente da tordo), siricchione, sallucchione, voci che indicano una persona sciocca e sbadata.
14
Per il “droghese” storico in area romana cfr. M. Trifone (1993), che fa un’analisi linguistica del film Amore tossico (1983) di Claudio Caligari; film ambientato a Ostia
e interpretato da attori non professionisti provenienti da ambienti degradati. La dimensione retorica del linguaggio dei tossicodipendenti è approfondita da Morresi (1998).
15
Busta è anche la parola pronunciata ironicamente da colui che fa un “tunnel”
all’avversario nelle partite amichevoli di calcio: appare ovvio il rapporto con il verbo
infilare.
16
Si tratta di un “Centro Studi”: per motivi di privatezza non ne indico il nome; la
scuola è situata in un quartiere bene della Capitale ed è frequentata in gran parte da studenti appartenenti a famiglie abbienti. I dati raccolti si riferiscono al periodo febbraiomaggio 2005.
dono anche un valore affettivo e si attribuiscono a una persona in
base ai suoi connotati fisici, come il peso, la barba, la conformazione del viso e così via13.
Un settore particolare è quello legato alle sostanze stupefacenti,
che rivela la creatività lessicale della LG14. Ricordiamo alcuni noti
traslati: spada ‘siringa’, pista ‘dose di cocaina pronta per essere inalata’, stagnola ‘dose di un oppiaceo’ (la droga è venduta avvolta
nella carta stagnola). Anche qui abbiamo vocaboli polisemici: per
esempio, busta indica sia una dose di cocaina o eroina
(Ambrogio/Casalegno 2004) sia una sigaretta di haschisch preparata alla buona; al tempo stesso busta si dice di qualcosa o di qualcuno che non ha un aspetto attraente15. È dunque evidente che la
situazionalità è un fattore da cui non si può prescindere quando ci
si trova di fronte all’uso di espressioni gergali.
Una breve esperienza in qualità di supplente in una scuola di
“recupero anni scolastici”16 di Roma ha permesso a chi scrive di
osservare alcuni comportamenti linguistici giovanili, relativi alla
produzione di elaborati scritti e all’oralità informale. Per quanto
riguarda i primi, è possibile individuare una tipologia di errori,
per vari aspetti interessanti e relativi in particolare alla scarsa coerenza concettuale, alla disarticolazione testuale e all’incerto confine tra “situazionalità” e “scritturalità”. Si sono poi registrati e
commentati alcuni giovanilismi e gergalismi che ricorrono nell’odierno parlato di studenti romani.
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17
Gran parte di questi elaborati sono una simulazione della prima prova dell’esame di Stato, che prevede, a scelta dello studente, quattro possibilità: l’analisi di un testo
letterario, la composizione di un tema o di un saggio breve o di un articolo di giornale.
Non rientra in questo quadro un altro tipo di composizione, che consiste nel commentare fatti d’attualità.
18
Sulla progressiva decadenza dell’italiano come codice scritto nelle generazioni
più giovani, cfr. M. A. Cortelazzo (1991), Lo Duca (1991); delle competenze scrittorie
degli studenti universitari trattano, fra gli altri, Stefinlongo (2002) e Ricci (2007). Cfr.
anche Dinale (2001) per la scrittura “privata” e Cagnazzi (2005) per il radicamento dei
fenomeni tipici dell’“italiano dell’uso medio” negli elaborati scolastici di studenti delle
scuole superiori.
19
Precisiamo che la trascuratezza formale di questi elaborati è in gran parte dovuta alla mancata rilettura da parte degli stessi scriventi.
Sono stati esaminati 33 elaborati scolastici17, composti da giovani di età compresa tra i 18 e i 23 anni, i quali si apprestavano a
sostenere l’esame di Stato: 17 elaborati provengono da una classe
“mista” (Istituto tecnico per il turismo e Istituto tecnico commerciale), 16 da un liceo classico. Il grado di scolarizzazione di questi
giovani è piuttosto basso; alcuni di loro presentano palesi e gravi
difficoltà nell’espressione scritta18.
Gli errori più evidenti sono quelli attribuibili a fattori diatopici, particolarmente alla pronuncia romana: incerta distribuzione
dei fonemi palatalizzati (gnente ‘niente’, miglioni ‘milioni’, ma ingenieria e ugualianza), della sibilante e dell’affricata (attraverzare,
compenzi ‘compensi’, sost. pl., ma cfr. ansi ‘anzi’, sensa ‘senza’), erroneo rafforzamento delle consonanti affricate e bilabiali intervocaliche: aggevolare, disaggi, accettabbile, carabbinieri, libbro, ottobbre. Numerosi gli scempiamenti (ipercorrettismo o trascorso di
penna?): caraterizata, catolicesimo, improviso, labra, oblico (con
desonorizzazione della velare), providenza; confusione tra liquida
e vibrante (altro influsso dialettale?): fluibile ‘fruibilie’. Uso scorretto della “i grafica”: grattaceli, ma conosciere, invecie, ottocientesco. L’incertezza tra apocope ed elisione è ricorrente; manca spesso l’indicazione dell’accento grafico nella copula è19; si ha talvolta
l’estensione della h: haveva, hai (preposizione); e d’altra parte, si
hanno vari casi di a ‘ha’. Probabili trascorsi di penna sono collonna e iterpretata. Nella sequenza l’amore, l’amicizia, l’famiglia appa-
10.2. Sintravedono erori inaccettabbili
10. Come parlano (e scrivono) i giovani
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re l’estensione grafica dell’apostrofo. All’opposto si ha la concrezione dell’articolo: lavanzare, lattenzione (cfr. anche sintravedono).
Diffusa è la mancata distinzione del confine grafico di parole:
avvolte ‘a volte’ apparte ‘a parte’ (si noti il raddoppiamento sintattico), perforsa ‘per forza’; di contro abbiamo: ben sì; a l’estero;
(paesi) extra europei. Costante è l’avversione alle varianti contestuali: manca il raddoppiamento in cosidette (anche così dette) e
sopratutto. Da notare la mancata assimilazione (inlegale, inlegalità)
e l’estensione analogica (madrigna sul modello di madre).
Da un lato, in questi fenomeni, si nota un aspetto di quel rifiuto delle varianti contestuali, sul quale si è soffermato a suo tempo
De Mauro (1983: 201) e che ha comportato tra l’altro una riduzione drastica dei troncamenti nell’italiano scritto degli ultimi decenni; dall’altro, si ha la sensazione di una certa prossimità con fenomeni riscontrabili nello scritto dei “semicolti” (D’Achille 1994).
I cosiddetti “punti di crisi” si avvertono anche nella stampa.
Sempre più frequentemente si legge sui giornali pò anziché po’ o
ci s’imbatte nella i “ballerina”: «il signor Jim Crank, un ingegniere pensionato» (Rep, 5/4/1998, p. 34), «Per ogni euro che guadagnamo noi» (CS, “CorrierEconomia”, 14/5/2007, p. 5), «un efficacie
sistema multicanale» (CS, 11/4/2003, p. 5), «un sistema più efficente» (Rep, 2/1/2008, p. 7). Le numerose attestazioni non ci permettono di parlare di refusi isolati; per esempio, la grafia di una
parola comune come grattaceli conta 11 occorrenze in CS (periodo dal 1/1/1993 al 26/4/2008; in un caso anche nel titolo: «Zevi,
sognando i grattaceli», 10/4/1993, p. 39) e 15 in Rep (periodo dal
1/1/1989 al 26/4/2008). La ricorrenza della grafia provincie, invece, sarà da attribuire (forse) a una certa tradizione conservatrice.
Lo stesso discorso vale anche per la varianti contestuali (cosidette,
sopratutto): per rendersene conto basta consultare gli archivi online dei due quotidiani.
Questi dati, “tendenzialmente”, testimoniano la difficoltà della
norma a fissarsi nell’uso quotidiano della scrittura: secondo alcuni la diffusione di tali forme scorrette potrebbe portare ad alcune
modifiche nel sistema ortografico italiano.
La duplice preoccupazione di esibire l’espressione ricercata e
di evitare la ripetizione della stessa parola a breve distanza (precetto della didattica dell’italiano formale è “non ripetere!”) porta
196
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ironizza [sul fatto] che donne verso le sei di sera circolano vestite
a quel modo sulla Tuscolana;
Ogni angolo di una città come Roma cela in se milioni di nozioni
storiche.
(2)
(3)
L’Italia è piena di paesini, che la maggior parte della gente non
conosce, che hanno un bagaglio artistico e culturale enorme ma
che, rimangono pressocché marginali, quando potrebbero essere
messi in luce molto di più;
20
Nella trascrizione degli esempi sono rispettati tutti i caratteri grafici presenti nei
testi, compreso l’uso particolare della punteggiatura, delle maiuscole, degli accenti; talvolta
s’interviene inserendo tra parentesi quadre glosse o integrazioni utili a ricostruire il senso.
21
Stefinlongo (2002: 115) ha richiamato l’attenzione sull’«influenza dei modelli
esterni alla scuola, identificabili nel linguaggio stereotipo ed edulcorato dei massmedia». Si veda a tale proposito anche Loporcaro (2005: 33 ss.).
(4)
In (1) la scelta di spettacolare non si addice a un monumento e il
sinonimo ricercato in luogo di bellezza comporta l’accostamento a
un referente [– umano] di un vocabolo, che di norma si applica a
una persona (in genere a una donna, ai suoi modi, al suo portamento, ecc.). L’esempio (2) è di segno contrario: circolare si dice dei veicoli; ma è soprattutto (3) a incuriosire: la sostituzione di reperti,
ricordi e simili con nozioni è stata certamente promossa dalla ricorrenza, nei manuali scolastici, dell’espressione nozioni storiche; l’uso
di questo cliché si accompagna al numerale milioni, per significare
‘grande quantità’: si tratta di una scelta tipica del parlato, che si
accorda al tempo stesso con la ricerca di espressioni enfatiche.
Nella scelta dei vocaboli si avverte, in prima istanza, l’influsso
negativo dei media21. Si ripetono, in modo improprio, vocaboli ed
espressioni ricorrenti nel linguaggio televisivo. Leggiamo il
seguente passo:
la città di Roma è ricca di opere d’arte e monumenti che il turista
[…] apprezza e trovandoli spettacolari e affascinanti, mentre certi
abitanti di Roma […] non solo non riescono molte volte ad
apprezzarne l’avvenenza, ma ritenendoli inutili li deturpa[no];
(1)
ad alcune scelte singolari, che riguardano l’asse della selezione paradigmatica20:
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Ma sicuramente questo modo di promulgare la cultura sarà deleterio per i nuovi scrittori che probabilmente si vedranno calare le
vendite delle loro opere;
l’aspetto negativo è questa obbligazione occulta che viene spesso
operata sul giovane dall’industria musicale.
(6)
(7)
22
Cfr. Amossy/Herrschberg Pierrot (2007).
23
Sui caratteri del linguaggio burocratico cfr. Berruto (1987: 163-166) e Serianni
(20072: 123-139). In ogni modo non si dimentichi che tale sottocodice rappresenta un
fattore di conservazione della norma linguistica tradizionale: cfr. Serianni (1986: 47-69).
24
Anche se promulgare annovera tra i suoi significati quello di ‘promuovere, divulgare’ (cfr. GDLI), nella varietà standard questa accezione viene avvertita come affettata.
25
Sorprende che uno scrivente giovane, appassionato d’informatica, scriva Hacher
con -ch- anziché -ck-.
Notiamo ubicazione in luogo di collocazione (o più semplicemente
luogo, posto); promulgare, in luogo di promuovere, verbo troppo
scolastico e quindi da evitare24, mentre obbligazione sembra essere
una variante nobile rispetto a obbligo; qui agisce quello che si potrebbe chiamare il fascino del suffisso.
Passando all’influsso del parlato, notiamo la presenza di alcuni
verbi frasali che, nelle intenzioni degli scriventi, dovrebbero animare il discorso: «fortunatamente si misero in mezzo le autorità»;
«associazioni Hacher cercano di buttare giù i sistemi operativi»25;
«Molti nuovi monumenti vengono trovati e ricoperti perché tirar-
Molte volte nascendo e vivendo in un luogo non ci si rende conto
dove si vive o non si realizza la fortuna o la sfortuna a secondo dei
casi dell’ubicazione in cui si sta;
(5)
dove noteremo bagaglio artistico, in luogo di patrimonio artistico,
marginali in luogo di poco conosciuti, messi in luce in luogo di fatti
conoscere. Nella frase Uno sterminio a sfondo razziale fu attuato anche
da Tito viene riformulata l’espressione giornalistica “omicidio a sfondo razziale”. Come appare, i giovani (ma non soltanto loro) comunicano per frasi fatte, tra fraintendimenti e stereotipi di vario tipo22.
Altre scelte s’ispirano al linguaggio burocratico, considerato
come una varietà di prestigio23; ma anche in tale circostanza risalta l’incapacità di usare appropriatamente un sottocodice, ritenuto
prestigioso, ma la cui funzione è del tutto fraintesa:
198
199
L’Italia è senza dubbio la prima città [sic] per patrimonio artistico, monumentale e culturale. In questo splendido paese sono nati
grandi artisti, come Michelangelo o Leonardo, che ci hanno lasciato opere irripetibili, testimonianza di tutte le epoche [sic], miliardi di frammenti di armonia e bellezza che fanno dell’Italia un
paese assolutamente unico.
(9)
sono invece seriamente preoccupata per le milioni di ragazze che
incontro ogni giorno.
(11)
Si noti monumenti in luogo del più “logico”, ma forse meno conosciuto reperti.
Per il momento non ci resta che aspettare e leggere che sicuramente fa sempre bene;
(13)
26
Con Stalin [scil. la Russia] visse il periodo più nero che già per
arrivare al potere fu il mandante dell’omicidio di Trotzky;
(12)
Per illustrare l’uso del che polivalente (presente anche con la
variante il quale) è sufficiente leggere i seguenti passi:
dalla famosa Bibbia di Gutenberg si è fatti un grande passo in avanti;
(10)
Un fenomeno che presuppone un sostrato dialettale è lo scambio di ausiliari; eccone due esempi: si ha trovato e mi sono iniziato
a rendere conto (per quest’ultimo cfr. l’esempio 16). Si notano ancora concordanze a senso:
Basta andare al centro per capire quello che sto dicendo: per
prendere un caffè è necessario un mutuo e tutto ciò ovviamente
perché c’è il turista (giapponese o americano che sia) disposto a
pagare fior di quattrini;
(8)
li fuori costa e lo stato non finanzia molto l’archeologia e con essa
la cultura in generale»26. Osserviamo: si misero in mezzo = intervennero, buttar giù = abbattere, tirarli fuori = recuperarli. Qual è il
motivo di queste scelte? Probabilmente sono mosse dalla volontà
di rendere più vivo il discorso.
Un’istanza tipica della LG si avverte nel ricorso a iperboli inadeguate alla situazione comunicativa:
10. Come parlano (e scrivono) i giovani
Questi momenti rappresentano solitudine, tristezza, ma anche
momenti il quale non posso a farne a meno.
GIANLUCA COLELLA
mi sono iniziato a rendere conto di questo quando sono partito
per gli Stati Uniti e arrivando la [sic] mi sembrava tutto bellissimo;
Madonna prima di raggiungere tutta questa notorietà intraprese
una lunga gavetta, che la vide protagonista di numerosi scandali,
restando comunque una grande artista;
l’Ormai [sic] quarantacinquenne signora è sempre pronta a stupire i suoi fans con continui cambiamenti di immagine; lanciando
così nuove mode: riuscendo in questo modo a rimanere al passo
con i tempi.
(16)
(17)
(18)
In (15) il gerundio riferito ad affluenza potrebbe essere utilmente
sostituito da una consecutiva: tanto da bloccare o da una semplice
coordinata e ha bloccato; ma nelle intenzioni dello scrivente il
La manifestazione ha avuto inizio alle 16:30, ma già dalla mattina
l’affluenza in piazza è stata moltissima, bloccando la metropolitana “A”;
(15)
In (12) il valore di che è quello di un connettivo causale-consecutivo: il relativo sembra avere la funzione di compattare le due frasi
e di recuperare un’informazione che, da un punto di vista logico,
doveva precedere. In (13) abbiamo un altro caso di connettivo frasale generico: per recuperare una soluzione “razionale” dovremmo introdurre ciò oppure la qual cosa, vale a dire un connettivo
“forte”, preceduto da un segno interpuntorio. In (14) la grammaticalità del passo potrebbe essere recuperata, sostituendo dei quali
a il quale, usato, in modo incongruo, come un connettivo generico. L’aspetto comune di questi esempi è il fallimento della coesione, dovuto all’uso di mezzi sintattici inadeguati. Di queste frasi
possiamo tentare una parafrasi: ma risalire alla loro “motivazione”
non è impresa facile.
Come è noto, il gerundio, grazie al suo potere collegante negli
incastri subordinativi, e grazie alla sua indefinitezza temporale e
modale, è usato frequentemente nelle scritture di media formalità.
Vediamo alcuni passi:
(14)
200
201
[i poliziotti] magari beccano un ragazzo di 16 anni; conosco molti
amici e conoscenti che pippano [= ‘sniffano cocaina’] e si fanno le
canne; solo nel mio quartiere ce ne sono trenta spacciatori e due
capoccia che se la comandano [= ‘delinquenti che controllano loschi affari’]27.
(20)
basti pensare alla “pietà” custodita in S. Pietro che ai tempi [sic]
fu danneggiata a martellate
(22)
27
Capoccia (invariabile al plurale) è un vocabolo romanesco, usato in luogo di capo;
anche comandarsela è un verbo usato nel gergo giovanile nel senso di ‘essere superiore’.
Nell’esempio si noti anche il doppio clitico, caratteristico del dialetto romanesco.
28
La grafia fun appare nell’elaborato di un ragazzo la cui madre è inglese. Lo stesso soggetto scrive anche Littel Italy. Stefinlongo/Boccafurni (2001), a proposito di elaborati scritti da studenti universitari, accennano ad «esotismi […] disinvoltamente trascritti con grafie errate». Quello delle grafie errate è un fatto che si ritrova anche in certa
narrativa recente, rivolta tra l’altro a un pubblico giovanile: cfr., per es., computer grafic
in Ho voglia di te di F. Moccia.
La presenza di vari anglismi, anche in testi scritti, conferma la
presenza di quella “dimensione internazionale”, su cui si è soffermato Radtke (1992). Si tratta di vocaboli entrati da tempo nell’uso medio e veicolati soprattutto dalla pubblicità e dalla stampa:
fan 28, funcki (cioè funky), hacher (cioè hacker), look, mas media
Altri come Giacomo Matteotti vennero uccisi brutalmente a manganellate dopo aver bevuto con la forza olio di ricino
(21)
Ecco un paio di sintagmi avverbiali che si possono prendere
come esempi evidenti di colloquialismi:
visto che Roma […] è piena di cocci [= ‘reperti archeologici’] nel
sottosuolo;
(19)
gerundio introduce un fattore di complessità, adatta alle circostanze (ciò appare anche in 17). In (16) la sostituzione con il gerundio passato (o con costrutto equivalente) essendo arrivato là,
una volta arrivato là, procurerebbe una prospettiva temporale più
adeguata. In (18) si nota la successione di due gerundi, che dovrebbero essere collegati tra loro da una congiunzione.
Si avvertono anche infiltrazioni dialettali e gergali; i seguenti
passi sono, a tale riguardo, significativi:
10. Come parlano (e scrivono) i giovani
GIANLUCA COLELLA
L’Italia è lo stato con il maggior numero di opere [d’arte] al mondo e per questo motivo meta di turismo inter-continentale. Cosa
che economicamente parlando giova allo Stato.
29
Non bisogna in ogni modo minimizzare l’accentuata informalità (propria del
parlato giovanile) di questi testi. A tal proposito cfr. Radtke (2005: 285): «il parlato giovanile rappresenta un registro caratterizzato dall’informalità (anche in situazioni pubbliche), e questo principio si trasmette anche alla produzione scritta seguendo lo “scrivere parlando”».
30
Sulla padronanza della punteggiatura da parte di giovani e meno giovani cfr.
Baggio (2000) e Stefinlongo (2002: 102-107).
Nella critica rivolta alla società e, in particolare, all’azione dei
politici i giovani non procedono con il ragionamento e con il tono
(23)
[sic!], meeting, news, slip, spot, standard, sit-in, vip, “star”, “style”
(le virgolette sono negli elaborati).
Si tende alla formalità29, ma non la si raggiunge: si cerca la parola “scelta”, ma non la si trova. Si seguono vie improprie. La sintassi è lasca e incerta; la frase segue percorsi tortuosi; l’interpunzione è del tutto inadeguata30. In più di un’occasione, la comprensibilità di intere sequenze incontra serie difficoltà. In particolare è
stata più volte notata l’incapacità di progettazione. Una riprova si
ha nell’uso ricorrente di formule introduttive e di collegamento, le
quali cercano di ricucire alla meglio il tessuto del discorso: Quello
che sto cercando di far capire; Ad esempio mi viene in mente; La riprova di quello che sto dicendo; Appunto per questo dico. Queste
formule (o tentativi di formule) hanno un evidente carattere situazionale, sono adatte più ai mutamenti e alle fluttuazioni del parlato che allo svolgimento dello scritto. In altri passi (qui non ripresi) abbondano quei deittici (questo, ora, qui, adesso) che sono frequenti nella comunicazione orale. Per esempio, in un elaborato
scolastico, nel quale si richiedeva di commentare un articolo di
giornale, si comincia proprio con Quest’articolo, espressione che
appare impropria e inadeguata al contesto.
Spesso il legame tra periodi che si susseguono appare incerto:
la connessione interperiodale è uno dei punti deboli della discorsività giovanile. In due dei nostri elaborati risalta l’uso del colloquiale cosa che, incapsulatore facilmente collocabile in vari contesti; citiamo solo un esempio:
202
203
ebbene personalmente di tutto questo francamente me ne infischio in quanto la società attuale la disprezzo profondamente;
purtroppo però siamo un popolo di pigri e di impotenti e dovrebbe caderci tutto dal cielo… per ora, invece, non è caduto un bel
niente; cadesse almeno il presidente del consiglio…!;
Il Presidente del Consiglio promette di fare tante cose e poi non
fa niente, e la gente ingenua continua ancora a fidarsi di lui.
(25)
(26)
Mi si chiede di commentare un articolo di un quotidiano, ed è
quello che farò, non solo per rispettare la consegna, ma più che
altro per stendere un velo pietoso su una faccenda ridicola che
non merita di essere trattata. // Trovo l’articolo, invece ben più
interessante e ricco di spunti di riflessione.
31
La locuzione stendere un velo pietoso, molto usata nel linguaggio dei mass media
non è qui usata nel suo significato proprio ‘non riportare tutti i particolari di un fatto o
di una situazione’.
Questi brani di italiano scritto giovanile confermano quello che
è stato più volte osservato dagli studiosi: nel parlato e nello scritto i giovani si esprimono con trascuratezza: si può ricordare, per
esempio, una sostituzione lessicale, come gente famosa in luogo di
persone famose, e l’uso dilagante dell’avverbio tipo con funzione di
(27)
In questi passi si nota uno stile disinvolto e “allegro”, dove ricorrono:
modi informali (ne abbiamo visti vari esempi), sottolineature discorsive (realizzate tra l’altro con gli avverbi personalmente, francamente,
profondamente), ricorrenze parziali (caderci… caduto… cadesse).
Che l’argomentare di questi giovani proceda in modo incerto è
provato dal passo seguente, dove ciò che è espresso nell’incipit
(reso in modo enfatico e non corretto31) è subito contraddetto nella frase successiva:
Però oggi come oggi chi è che può contrastare questo “impero”
Americano? Forse la Francia o la Germania oppure l’Inghilterra
io credo proprio di no!;
(24)
distaccato che è proprio di un argomentare serio, ma, cedendo
all’emotività, si abbandonano a sfoghi umorali e a una sorta di
scomposto monologo:
10. Come parlano (e scrivono) i giovani
GIANLUCA COLELLA
32
Si segnala anche il recente Righetto (2008), dizionario di giovanilismi consultabile anche online.
Di seguito si esamineranno quindici giovanilismi che sembrano
a vario titolo interessanti. Si tratta in parte di novità, in parte di
vocaboli già noti, ma ripresi con nuovi significati in diversi contesti. In questo secondo caso si è cercato il confronto con alcuni
dizionari e con alcuni repertori a stampa di gergalismi e di giovanilismi: Forconi (1988), Ferrero (1991), Manzoni (1997), Abatantuono/Navigli/Rocca (1999) e Ambrogio/Casalegno (2004) e con
alcuni repertori consultabili on line: Linguagiovani (a cura del Dipartimento di Romanistica dell’Università di Padova), Slangopedia, Gio/dizio, Dizionario universale interattivo32.
Una precisazione. Gli “informatori” (di età compresa tra i 17 e
i 18 anni), dai quali ho attinto i giovanilismi, non sono gli stessi
studenti (di età compresa tra i 18 e i 23) che hanno scritto i temi:
sono alunni di una prima e di una seconda classe di liceo classico,
e di una terza e quarta classe di un liceo scientifico. Come ha ricordato Radtke (1993a: 5), è necessario distinguere il linguaggio adolescenziale (usato fino a 18 anni), che è la vera forma di espressione giovanile, dal linguaggio post-adolescenziale, che presenta caratteri diversi. Altra precisazione. Non ho svolto una ricerca basata su questionari e su una griglia di domande, ma ho “captato”,
per così dire, le espressioni gergali da brani di conversazioni dei
giovani tra loro e dei giovani con il sottoscritto. I giovani non sono
stati mai interrogati e dunque i dati non sono stati “elicitati”; in un
secondo tempo; ho chiesto qualche chiarimento sui vocaboli e le
espressioni che mi erano state riferite. Ho approfittato di una circostanza a me favorevole: sono nato nel 1981, e quindi la non
10.3. Borelli, fraciconi e rimastini
connettivo. Il tentativo vano di usare una varietà alta di lingua
porta a esiti agrammaticali (non è chiara la distinzione tra scritto e
parlato), e all’uso di espressioni stereotipate riprese, senza alcuna
mediazione, dai mass media: fuori dai giochi, blocco unico, mondo
mediatico, alone di superficialità, inflazionato ‘abusato’.
204
205
33
Cfr. anche le parole della scrittrice Silvia Ballestra (CS, 6/4/2003, p. 47): «È difficile fotografare la lingua dei giovani perché è una lingua in perenne movimento e proprio come le persone che la usano, cresce e matura nel giro di pochi anni per poi sparire, svanire, sfumare in un pastone meno informe e informale. Diverte però seguire le
mutazioni dei termini: come ogni gergo che si rispetti, è una lingua che si specializza
attorno ad alcuni campi semantici. E questa è una costante che ritorna dal Nord al Sud,
dal centro alla periferia, da un anno all’altro: i giovani parleranno sempre e ancora di
amore, sesso, droga, musica, scuola, complessi (intesi come tormenti o difficoltà), chi
piace e chi no (chi è figo e chi è truzzo, tamarro, maraglio)»
34
Un’aggiornata e funzionale definizione dello storico vocabolo romanesco è in
Ambrogio/Casalegno (2004): «giovane per lo più proveniente dalla periferia, che ostenta abbigliamento vistoso e appariscente e spesso modi sguaiati e tracotanti».
borello (borone): derivato di boro (stesso significato di coatto34),
secondo la trafila: burino → buro (pasoliniano) → boro → borel-
accollarsi: verbo parasintetico con base colla; vuol dire ‘attaccarsi’, in senso figurato: mi si è accollato per tutto il viaggio ‘mi è
stato sempre troppo vicino’; il verbo rientra nel campo metaforico di appiccicarsi, appiccicoso (presente in altre lingue: se coller à
quelqu’un, an jemandem kleben); un ragazzo che sta sempre insieme a una ragazza sperando di conquistarla è chiamato accollo, che
Giovanardi (2006) glossa ‘appiccicume’; Ambrogio/Casalegno
(2004), rimandando a Sdizionario, riportano soltanto il significato
di ‘marinare la scuola’; a diffondere questo verbo avrà giovato l’omofonia con accollarsi (le spese), parasintetico da collo. Per il significato di ‘raggranellare soldi’ cfr. Giovanardi (2001: 178). Rientra
in quella categoria delle parole passe-partout, che assumono più
significati, proprio perché “lemmi bandiera” della LG.
grande distanza cronologica tra indagatore e indagati ha favorito
uno scambio utilmente informale.
Ecco i giovanilismi che, come si noterà, appartengono a pochi
campi semantici frequentati ripetutamente; possono cambiare le
parole, ma i meccanismi che le producono e le situazioni in cui
esse cadono sono sempre gli stessi33. Al tempo della prima registrazione si poteva parlare di novità (o quasi). A distanza di tre
anni le testimonianze sono aumentate: altri studiosi hanno puntato le loro lenti. E poi, attraverso il motore di ricerca Google, non
sarà difficile trovare contesti (blog, forum) in cui compaiono questi simpatici vocaboli.
10. Come parlano (e scrivono) i giovani
GIANLUCA COLELLA
35
Per il passaggio con mutamento di significato burino → boro cfr. Antonelli
(1999: 232) e D’Achille (1999: 193).
36
Cfr. però Forconi (1988) alla voce borazzo: «persona limitata di capacità e intelligenza assai scarse [termine di ambiente emiliano, probabilmente connesso con l’espressione testa di cazzo]»; le parentesi sono nel testo.
37
Sul rapporto tra dialettalità e linguaggio dei giovani a Roma rimando a Bernhard
(2001). Cfr. anche P. Trifone (2008).
ignorante: indica scherzosamente la persona rozza, il coatto,
facilmente irascibile; attribuito a una pietanza, ne indica il contenuto altamente calorico: Quel kebbabbaro fa dei kebbab popo [proprio] ignoranti te ce mette dentro de tutto; anche un locale, una
grève: accanto al significato di ‘volgare, grossolano’: un tipo
greve, è un greve, una battuta greve, ha sviluppato l’accezione
‘sgradevole, fastidioso’, come si evince dal seguente scambio dialogico: A: Lo sai mi hanno rubato la macchina? B: Greve!; si può
considerare un antonimo di sciallo (cfr. infra).
fracicone: può indicare ‘giovane viscido’, particolarmente attratto dalle ragazze, ma anche ‘giovane troppo disinvolto e sciocco’; il vocabolo è usato anche con il significato che si riscontra nel
romanesco storico37: cfr. Ravaro (1994): «persona piena di malanni e acciacchi». Esiste anche la variante fracicomane, con l’aggiunta del confisso espressivo -mane.
faina: ‘persona sciocca o poco accorta’; chiara antifrasi ironica
(la faina è un animale comunemente noto per la sua furbizia);
appartiene al folto gruppo delle metafore animali: fagiano, tordo,
ecc. Tuttavia mi è stato riferito che il faina è anche lo spacciatore:
una credenza popolare ritiene che il piccolo carnivoro succhi il
sangue della preda.
lo35; M. A. Cortelazzo (1994: 309), invece, cita come esempio di
«falsa rianalisi e relativa modifica di significanti» borazzo ←
bur(ino)36; alla voce boro, Ambrogio/Casalegno (2004) registrano
anche il diminutivo boretto (ricavandolo da una fonte narrativa);
Gio/dizio ha come lemma a sé stante, borella ‘ragazza grassa o
sguaiata’. Le borelle sono dette talvolta le ragazze “facili”.
206
207
38
La formazione di parasintetici espressivi (incasinarsi, incazzarsi, accasarsi ecc)
sembra essere un tratto tipico non tanto dei giovani romani, quanto del dialetto romanesco.
39
D’Achille/Giovanardi (2001: 125) glossano ingarellasse «mettersi in gara con
qlc.».
40
Questa voce ha, come mostra la citazione letteraria, una lunga storia alle spalle.
Pasolini (1959), nel suo Glossarietto ha ingararsi ‘mettersi a giocare’. Cfr. anche Costa
(1997: 173) che per ingarellarsi riporta il significato di ‘andarsene’.
41
Ambrogio/Casalegno (2004), citando anche altre fonti, presentano ulteriori significati come ‘Cinquecentomila lire’ e ‘rapporto sessuale’.
mano: vocabolo caratterizzato da forte carica iconica che vale
‘dose di droga’; ricorre in particolare nella frase Che ce l’hai una
mano? 41.
malandrino: nel nuovo significato di ‘matto, esaltato’ (spesso,
ma non solo, in senso scherzoso e ironico) rappresenta, al pari di
greve e ignorante, un altro caso di estensione del significato; indica soprattutto il coatto un po’ fuori di testa; in contesti scherzosi è
usato quando si vuole apostrofare un ragazzo appartenente a un
altro gruppo. Malandrino, ma soprattutto la variante malandro
fanno parte del dialetto romanesco e ricorrono spesso nei romanzi di Pasolini, ambientati nelle periferie della Capitale, con il significato di ‘bullo’ (cfr. GRADIT alla voce malandro).
ingarellarsi: parasintetico38, con base gara e interfisso -ello-, vale
‘essere occupato, indaffarato, preso intensamente da qualcosa’(in
questi giorni sono ingarellato con lo studio, Luca è ingarellato con le
droghe), ma anche ‘divertirsi molto’: Ieri alla festa mi sono ingarellato; questo giovanilismo rappresenta un altro caso significativo di
prelievo dal dialetto; ingarellarsi ‘misurarsi con qualcuno’39 è considerato dal GRADIT “voce romanesca”; nel GDLI appare la citazione dal romanzo Le indulgenze di Libero Bigiarétti (Milano,
Bompiani, 1966): «C’è una parola romanesca che usavo da ragazzo, un verbo: ingarellare. Ecco potevo ingarellarmi di nuovo: cercare di battere i colleghi, i nemici, qualche amico e magari anche
Eva. Vinca il migliore» (miei i corsivi)40.
musica può essere, con accezione positiva, ignorante, cioè ‘interessante, degno di ammirazione’.
10. Come parlano (e scrivono) i giovani
GIANLUCA COLELLA
42
L’espressione fai rate si registra in area romana a partire dal 1993, anno in cui ha
cominciato a circolare in ambienti marginali la copia ciclostilata (Manuale di conversazione metropolitana) di Abatantuono/Navigli/Rocca (1999): «homo rate Usato nella
forma “sei ’n homo rate” o “fai rate” indica un individuo decisamente poco attraente. Si
ipotizza un legame con l’idea della vendita a rate. Ovvero: “per quanto sei brutto ti si
può vedere solo a rate, cioè poco per volta”. È attestata anche la forma “donna rate”»
(ibid: 124).
rimastino (anche rimasto): ‘rimbambito a causa dell’uso di sostanze stupefacenti’; deriva dall’espressione rimanerci sotto, che in
genere indica una situazione di non ritorno alla “normalità”;
Gio/dizio e Ambrogio/Casalegno (2004) riportano soltanto la
voce rimastone, limitandosi alla definizione di ‘idiota, tonto’, senza
però fare riferimenti al mondo della droga; il Dizionario universale interattivo presenta invece una definizione qui proposta e presumibilmente “digitata” da un utente d’area romana, come mostra
la grafia (ho corretto gli errori di battitura) «ke je rimasto sotto da
qu[a]rcosa come p[uò] essere una donna oppure una droga»; come spesso accade per i vocaboli che ruotano attorno al mondo
della droga, anche rimastino (rimasto) è usato in contesti ironici e
autoironici: So’ proprio rimasto: non ricordo dove ho messo le chiavi del motorino!
rattuso: a Napoli questo aggettivo ha un’accezione sessuale: «di
animale ardente al coito […] scherz[osamente] anche di uomo.
Foioso» (Andreoli 1887); Ambrogio/Casalegno (2004) glossano:
‘pomicione, libidinoso’; a Roma vale ‘schifoso, brutto, sporco’ e si
applica anche a una situazione o a una cosa; per esempio: capello
rattuso indica una chioma poco pulita e disordinata; se è quasi
certo il passaggio del vocabolo dal napoletano al romanesco, è
probabile che il mutamento del significato sia stato condizionato
dal romanesco rate: cfr. che rate ‘che schifo’, fa rate ‘fa schifo’42.
Giovanardi (2006) ipotizza l’influsso di ratto. Da una ricerca in
Google noto la presenza di orario rattuso; molte sono le occorrenze del femminile: comunità rattusa, compagnia rattusa.
merce: ‘cocaina’; a fissare quest’accezione agisce forse la visione
consumistica che oggi i giovani hanno della realtà che li circonda.
208
209
43
Per le varianti: trànquilo, tranchi, tranks, ecc. cfr. Ambrogio/Casalegno (2004)
alla voce tranchi.
44
Sul gergo di questi particolari ambienti giovanili cfr. Scholz (2005).
45
Sul suffisso -ello cfr. ancora Giovanardi (2001: 184).
travella (il, i-): ‘travestito’; all’origine di questa particolare forma c’è un’operazione di rimorfologizzazione che mantiene intatto
il segmento trave (è certo il richiamo al sesso maschile) più il suffisso -ella45; il cambio del genere ha finalità ludica, come in la frocia (esiste, come è noto, il fenomeno inverso: puttanone, zoccolo-
smella: anglismo “romanizzato” (inglese smell + desinenza -a):
‘puzza’, anche in senso neutro ‘odore’ (quello della marijuana, per
esempio); è certamente significativo il fatto che chi usa questo vocabolo faccia parte del mondo hip-hop44, naturalmente incline al
gergo.
sciallo: sostituisce, nelle più varie occasioni, il “vecchio” tranquillo43, vocabolo passe-partout dei giovani; sciallo può essere
usato come predicativo per descrivere una situazione: è scialla! ‘è
tranquilla’, stavo sciallo sul divano ‘stavo rilassato sul divano’, sia
per qualificare il comportamento di una persona: un insegnante è
sciallo perché è tollerante e generoso nei voti; il vocabolo ha dunque una connotazione positiva. In Ambrogio/Casalegno (2004) si
ha scialo (var. sciallo), sostantivo maschile con il significato di
‘divertimento’, e sciallato (citato da fonte milanese) ‘rilassato’.
Questa seconda forma esiste anche nel giovanilese di area romana,
ma è meno usata. Manzoni (1997: 139) ha sia scialo (lo) ‘abbondanza di soldi o droghe’, sia scialo (più da) ‘luogo o situazione
tranquilla’, precisando che è «usato nel centro-sud». Sembra certo
che sciallo sia un rafforzativo di scialo: cfr. scialarsela in GRADIT:
«vivere a proprio agio, spensieratamente». Linguagiovani registra
sciallarsela, come voce di provenienza milanese. Anche Slangopedia riporta sciallo con il significato di ‘tranquillo’; la proposta viene da una ragazza del Canton Ticino (che risente, come è noto,
l’influsso linguistico della Lombardia). Queste diverse attestazioni
indicano la panitalianità del vocabolo. I giovani romani usano
anche abbrasato ‘rilassato’.
10. Come parlano (e scrivono) i giovani
GIANLUCA COLELLA
Tutta la settimana a bottega (garzone di vetraio, il più piccolo, elettrotecnico, l’altro) e il sabato e la domenica a pariare, come
dicono loro – che significa un sacco di cose, ma soprattutto divertirsi – col cellulare ultima generazione, il motorino e la ragazza. E
col coltello (CS, 19/2/2004, p. 20).
(29)
46
Come abbiamo già avuto modo di vedere il ricorso al vocabolo giovanile ha un
fine mimetico, narrativamente efficace, ma limitato a un certo espressionismo di maniera, inaugurato da Altri libertini (Feltrinelli, 1980) di Pier Vittorio Tondelli. In ogni modo
nella maggior parte dei casi si tratta di formule stereotipate, tipiche della LG di qualche
anno fa o di espressioni note al grande pubblico e tuttora ben attestate.
Questi innesti vivacizzano il resoconto cronachistico. In tali
casi chi scrive prende le distanze con l’uso delle virgolette, con
una glossa o un breve commento. Lo stesso vocabolo può comparire sia con le virgolette sia senza:
La storia che ha “flashato” tutti gli adolescenti della media Valsabbia (così loro stessi definiscono il senso di paralisi collettiva
dopo il ferimento di Simone) comincia con una battuta pronunciata in piazzetta. In James, che di Anna sapeva leggere anche i
silenzi, quel “guarda com’è carino Simone” ha acceso il sospetto
(CS, 22/5/1998, p. 17);
(28)
Finiscono nella stampa e nella narrativa. Come tante altre componenti dell’espressività, anche i vocaboli dei giovani sono presi a
prestito dai giornalisti e dagli scrittori, soprattutto appartenenti
alle nuove generazioni. Di questi ultimi abbiamo già parlato nel
capitolo precedente46. E allora vediamo che cosa succede nei quotidiani, cominciando da alcune scelte lessicali che appaiono in articoli dove i giovani la fanno da protagonisti:
10.4. Dove vanno a finire i giovanilismi?
ne). La forma travello, con l’uscita al maschile, è in Gio/dizio (area
romagnola); ciò attesta almeno in parte la panitalianità del vocabolo; la variante travellone, usato per lo più al plurale, sembra
essere una forma ibrida tra travella e travone; quest’ultimo è considerato di provenienza romana da Ferrero (1991), che riporta
anche le voci travertino e travesto.
210
Altrimenti quella volta della foto di Liberal, tra tutti e sei in camicia, avrebbero dovuto chiedersi perché solo Cossiga restava col
gilet. E magari sgamare come sarebbe andata a finire (CS,
3/11/1998, p. 4, Maria Latella).
(31)
Finché, poche settimane fa, è arrivata la donna giusta: una Cécilia
più giovane e molto più famosa (pure ereditiera). Con un curriculum maschile prestigioso: miti del rock (Mick Jagger, Eric Clapton), miliardari pittoreschi (Donald Trump, sempre smentito forse perché tamarro), intellettuali (gli Enthoven padre e figlio, e col
figlio ha avuto un bambino). Tutti questi ex avrebbero spaventato potenziali partner meno ardimentosi; non Sarko (CS,
19/12/2007, p. 15, Maria Laura Rodotà);
CASINI-FASSINO Sono ambedue convinti che Berlusconi abbia
sbroccato (CS, 2/2/2006, p. 5, Maria Laura Rodotà);
La controversa figura del Capo del Governo rivela in molte delle
sue sfaccettature quest’ansia di riconoscimento: è lei che, di quando in quando, lo fa sbarellare, e dire cose sciocche e perniciose per
sé e per il paese (Rep, 23/11/2001, p. 16, Michele Serra).
(33)
(34)
(35)
Se in (32) e (33) si parla di temi frivoli, così non è in (34) e (35)
dove la politica è di scena: non è forse un caso che l’oggetto dell’articolo sia Silvio Berlusconi. Talvolta l’intento mimetico si manifesta con una serie di scelte lessicali, che mescolano il giovanilismo
all’anglismo:
Tutte le ragazze erano infatti vestite P Zero, la nuova linea dell’azienda disegnata in modo seducente e malandrino: è tutto un ti
vedo e non ti vedo, ti copro e non ti copro dello stilista Gigi
Vezzola. Una linea sport-chic che ha ingarellato le ragazze del
back-stage in una sequela di capricci del genere «Voglio assolutamente quella felpa lì. Dammela». «La maglietta con le ruote è
mia. Mollala» (CS, 19/11/2004, p. 20, Lina Sotis);
(32)
In (30) e (31) notiamo come tali forme ricorrano anche in contesti non mimetici e in cui non necessariamente si affrontano problemi e tematiche legati al mondo giovanile. Si vedano anche:
Come uno dei quattro giovani piloti di Aviano che evita come il
demonio le telecamere della Rai e di Mediaset, per paura di farsi
«sgamare» dalla sua ragazza (CS, 24/6/2001, p. 16, Paolo Di
Stefano);
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(30)
10. Come parlano (e scrivono) i giovani
GIANLUCA COLELLA
Queste attestazioni dimostrano che effettivamente alcuni giovanilismi di spicco si sono ormai radicati nell’uso. Appare evidente la perdita di efficacia connotativa di vocaboli che un tempo erano considerati substandard e non erano ritenuti adeguati al tono e allo stile di un articolo di giornale.
Ideale seguito di quel doppio western che era History of violence, La
promessa dell’assassino si svolge fra i capoccia della mafia russa a Londra
in un intrigo laocoontiano di razze, violenze, un trionfo del malaffare
organizzato dai grandi boss della casta criminale russa approdato nella
Londra off off turismo (CS, 14/12/2007, p. 58, Maurizio Porro).
Anche capoccia, vocabolo gergale e regionale ancor prima che
giovanilismo (lo abbiamo ritrovato in una composizione di un giovane studente: cfr. l’esempio 20), ricorre più volte nella stampa;
ecco un passo tratto dalla recensione di un film:
Ma attenzione, se un locale è cheap, non significa che è economico, ma
che è un posto per scoppiati, gente di bassa lega. Se invece lo dicono a
te, incazzati! Club goer: letteralmente “colui che va al club”. All’estero le
discoteche si chiamano “club”, da cui “nightclubbing”, decisamente più
figo di “andare in discoteca” (CS, 8/6/1994, p. 37, Cristina Galullo).
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