2011 febbraio - Liceo Scientifico Statale Leonardo da Vinci
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2011 febbraio - Liceo Scientifico Statale Leonardo da Vinci
Buon risveglio lettori! Dicembre se n’è andato, gennaio è già trascorso ed il quadrimestre si è concluso, nel bene o nel male. Ciò che conta è che sia terminato! Ventata di novità al da Vinci, per noi che restiamo; è tuttavia d’obbligo fare un augurio di buon divertimento a chi ci lascia per il Palladio: c’è qualcosa infatti che al da Vinci proprio “non s’ha da fare”… ricreazioni qualche secondo (o minuto!!) più lunghe, e decisamente più tranquille visto il differente fuso d’orario che possiedono i Superlicei e i Moltopiuscarsistitutitecnici. Con meno calca al bar si avrà la possibilità di mangiare qualcosa di differente dalla solita gamba di sedia, senza contare che i toast di Alberto sono imbattibili! Anche questa volta la redazione ha saputo fare un lavoro davvero carino e il risultato delle nostre 12 fatiche lo state tenendo fra le vostre mani proprio adesso! E’ nata anche una nuova rubrica, per gli amanti della cucina (e non per quellE a cui piace Alessandro Borghese) che merita un’occhiata e che avrà decisamente un seguito nelle prossime stampe. Ora, sedetevi comodi e godetevi la lettura, INDICE Giusto momento per riflettere 03 Lettera ad un bambino che vivrà cento anni 03 Post Chernobyl 05 Correva l’anno... 06 Ahi lasso, or è stagion... in cui libertà manca Mondo giovani 07 Il meglio ed il peggio della scuola 08 Dopo il deludente Invictus, Clint non sbaglia 09 Cronache di Cerere - Episodio 3 10 Vulcani e Pesce! 12 Bastardi si nasce 14 Mondo manga Sotto la copertina 15 Il cimitero di Praga 16 Consigli per la lettura Nerdzone Il Direttore 18 La storia del Game Boy Angolo cottura 19 Crostata ripiena di mandorle e amaretti Giochi 20 Sudoku 21 Che Davinciano sei? Incontro 2 Lettera ad un bambino che vivrà cento anni La frase del libro di Edoardo Boncinelli ‘Lettera ad un bambino che vivrà cento anni’ che mi ha più colpito di più è stata: ”Non saremo eterni e, temo, neanche necessariamente felici, ma sempre alla ricerca di qualcosa“. Mi ha entusiasmato perché credo che rispecchi la visione che ho cercato di rielaborare a riguardo della mia esistenza : è inutile affidarsi alla scienza per tentare di trovare una sorta di “Elisir di lunga vita” che permetta al corpo di non morire mai, è naturalmente impossibile; tutto prima o poi tutto deve tornare al punto di partenza, compreso l’essere umano. Forse la mia visione è troppo influenzata dalla mia fede, ma ritengo sia inutile vivere per sempre solo per paura di morire, di sparire ed essere dimenticati. Ciò che cerchiamo veramente durante la nostra esistenza non lo sappiamo neppure noi stessi; c’è chi dice che si tratti della verità, chi della felicità più autentica, ma ognuno cerca di dare un senso alla propria vita guardando oltre il limite naturale che ci viene imposto, quello della morte, proprio perché non sappiamo che cosa si nasconda dietro di essa e quindi la temiamo, ma allo stesso tempo anche riponiamo le nostre speranze in quel momento. Io, che credo nella vita dopo la morte, guardo alla scienza con un solo desiderio: allungare la mia vita non per allontanare il momento della morte, ma per avere più tempo a disposizione per lasciare un buon ricordo di me in tutte le persone che incontro e per riuscire a preparare il bagaglio per affrontare il ben più lungo viaggio che mi attende. “Noi siamo come le foglie” diceva il poeta greco Mimnermo : nella giovinezza , la primavera della vita, godiamo del fiore dei nostri anni, non curandoci dei mali degli anni che incombono. Poi, quando arriva la vecchiaia, vorremo essere morti per non vedere la nostra misera condizione. Forse allora la morte è la porta per raggiungere una condizione di “ vita” , se così si può definire, migliore; perché quindi chiudere, anche ammesso che fosse possibile, questa via per sempre? Francesca Nascimben 3°N Il 26 aprile 1986 un guasto ad una centrale a Chernobyl, situata a circa 130 km da Kiev, provocò la fuoriuscita di una nube radioattiva che, spinta dalle correnti aeree, si estese su buona parte dell’Europa centrosettentrionale. Nell’incidente morirono moltissime persone e una vasta zona contaminata dovette essere evacuata. Malgrado i rassicuranti comunicati delle autorità ufficiali sovietiche, che per ragioni di prestigio interno ed internazionale tendevano a minimizzare la gravità dell’accaduto, è stato appurato che un ingente numero di cittadini furono costretti ad abbandonare l’area e molti di essi subirono catastrofiche conseguenze fisiche, a causa delle radiazioni emesse dalla centrale. Ciò rappresentò la più grande tragedia della storia del nucleare e produsse l’effetto di accrescere in tutto il mondo l’ostilità verso l’utilizzo dell’energia atomica come fonte di produzione energetica. Ancora oggi la situazione della centrale di Chernobyl, divenuta di competenza dell’Ucraina, desta qualche preoccupazione per l’impatto ambientale e per le conseguenze sociali che si ripercuotono sulla comunità locale, come il costante aumento di tumori e malformazioni 3 di vario genere. Oltre a questi aspetti negativi, non si può certamente trascurare l’influenza dell’avvenimento sull’uomo, portanto a considerare maggiormente la natura, con il conseguente sviluppo del cosiddetto ambientalismo, inteso come forma di azione che si ripromette di trasformare radicalmente gli aspetti culturali e comportamentali della società, soprattutto per quel che concerne i rapporti tra l’uomo e l’ambiente, che va difeso dall’eccesso di potere della scienza moderna e della tecnologia. Infatti, già pochi anni dopo Ch e rn o b yl, il p ro b le ma dell’emergenza ambientale era diventato una delle grandi questioni internazionali che necessitava di essere affrontata a livello globale, tanto che nel 1992 a Rio de Janeiro si tenne una conferenza riguardante tale tematica, che fu seguita da altre. Basti ricordare ad esempio quella tenuta nel 1997 in Giappone, che portò alla formulazione del protocollo di Kyoto, o quella di Copenaghen del 2009. Al di là dei risultati formali ottenuti attraverso queste iniziati- 4 ve, ritengo comunque degni di merito l’impegno e la buona volontà dell’uomo di fronte a situazioni critiche, che avrebbero potuto forse essere evitate se solo egli avesse prestato maggiore attenzione al proprio lavoro e al rispetto della natura. Tuttavia è inutile formulare delle ipotesi su cosa sarebbe potuto accadere se avessimo agito in maniera differente, poiché non è possibile tornare indietro nel tempo e perché non possiamo sapere con certezza se, migliorando il nostro atteggiamento, avremmo realmente cambiato la situazione. Alla fine possiamo solamente imparare dai nostri sbagli e tentare di non commetterli in futuro, per non danneggiare noi stessi e ciò che ci circonda, tenendo sempre ben presente la catastrofe di Chernobyl che fungerà da monito. “ Errare humanum est, perseverare diabolicum!” Sara Zanatta 5° L Correva l 'anno... Correva l'anno 1527: Niccolò Machiavelli pubblica quella che, senza alcun dubbio, diventerà la sua opera più conosciuta e discussa: “Il Principe”, elogio alla follia dei regnanti e blasfemo trattato sugli aspetti più oscuri dei metodi di governo. Correva l'anno 2010: Raffaele Cantone pubblica “I Gattopardi”, l'ennesimo libroinchiesta che denuncia le associazioni malavitose e i loro traffici illeciti che riescono a radicarsi in qualunque ambiente della società. Correva l'anno 1968: gli operai delle fabbriche organizzano scioperi di massa, combattendo per i loro diritti e per riuscire a lavorare in condizioni dignitose e giustamente retribuiti. Correva l'anno 2011: gli operai della Fiat protestano per le nuove condizioni di lavoro proposte dal contratto. Sono proibitive, ai limiti dello schiavismo, ma non gli viene lasciata altra scelta se non accettarle per riuscire a portare a casa quelle poche centinaia di euro necessarie a sopravvivere. Correva l'anno 1968: gli studenti scendono nelle piazze e occupano le scuole per contestare l'incremento delle tasse universitarie. Correva l'anno 2010: gli studenti organizzano cortei, occupano le scuole e si riuniscono in moti di protesta per cercare di difendere il loro diritto ad un'istruzione adeguata. La loro è una lotta per la sopravvivenza, non sono disposti ad arrendersi all'idea di veder scomparire nel nulla i fondi destinati a sostenere le facoltà specialistiche universitarie e gli ambienti scolastici. Correva l'anno 1963: la diga del Vajont, costruita sul Monte Toc e sovrastante il paese di Longarone, diviene famigerata per il disastro che prenderà il suo nome. A causa di una frana della montagna, il livello di capienza della diga viene superato e un'onda di 50 milioni di metri cubi d'acqua si riversa sul paese, devastandolo. Correva l'anno 2009:alle ore 3:32 la mattina del 6 aprile, la città dell'Aquila viene distrutta dal terribile terremoto d'intensità 6,3 sulla scala Richter. Il bilancio è di 308 morti, più di 1600 feriti e quasi 50.000 sfollati. Correva l'anno 1992: muore Giovanni Falcone. Muore uno dei più grandi magistrati della storia. Muore un uomo che non ha mai smesso di combattere la realtà mafiosa. La sua scomparsa segna profondamente gli animi di tutti, nessuno escluso. Non vi sono più parole per descrivere la sua figura. Muore un grande italiano. Correva l'anno 2008: Giuseppe Ayala, collega ed amico di Falcone e Borsellino, pubblica il libro “Chi ha paura muore ogni giorno”, in cui racconta degli anni in cui ha fronteggiato, fianco a fianco con i due magistrati, le società malavitose. Correva l'anno 1948: le leggi che regolano il sistema di segregazione razziale dell'Apartheid prendono definitivamente forma. Inizia un periodo buio per le persone di colore, un lungo lasso di tempo durante il quale non verrà risparmiata loro alcuna forma di disprezzo da parte della popolazione bianca. Questo diventerà una delle pagine più oscure della storia della civiltà. Correva l'anno 2009: viene eletto il 44° presidente degli Stati Uniti d'America: è Barack Hussein Obama, il senatore dell'Illinois e primo presidente di colore. Correva l'anno... Resta a noi il compito di costruire un futuro migliore. Maria Lavinia Piovesan 4° M 5 Ahi lasso, or e’ stagion... in cui liberta’ manca Correndo per la strada con la goffa Honda Concerto del babbo mi è capitato spesso di incrociare apparecchiature di rilevazione elettroniche che proiettano su un apposito pannello la velocità a cui si viaggia. Una volta, vuoi per una ragione, vuoi per un’altra, ero sopra il limite di 5 km/h. Beh, direte voi, che ti importa se tanto gli autovelox sono mediamente tarati per multare coloro che superano la velocità massima con uno scarto di ben 10 km/h? Una bella domanda che porta a far riflettere in maniera molto più profonda di quanto possa apparire a prima vista… E’ veramente giusto ragionare infatti come l’automobilista, l’italiano o più genericamente l’individuo medio, guidato da una massima che suona circa così: “tutto è possibile, anche l’illecito se nessuno ti scopre!”. Quando si prova ad andare più a fondo, quando si cerca una ragione del gesto legislalmente sbagliato, escono fuori come funghi quelle risposte trite e ritrite, che sembrano quasi innate nell’uomo, o in un’ottica più cibernetica, che sembrano quasi in dotazione di base sul disco fisso C [ervello]. Ma per una volta che vuoi che succeda? Tanto non mi ha visto nessuno… E poi lo fanno tutti! Già, è questo il problema: si minimizza, si cancella e non contenti si giustifica il gesto, rendendolo una banale azione di routine. Di più. A volte qualcuno azzarda “Io non rispetto le regole perché voglio sentirmi libero”. Una vera offesa insomma nei confronti dei poveri John Locke e Jean Jacques Rousseau, che probabilmente si staranno rivoltando nelle loro sacre tombe. No. Una persona che va contro le leggi giuste, nate dal sacrificio di soldati, filosofi ma anche cittadini non si può ritenere libero. Se è infatti d’uso dire “la libertà di un individuo finisce dove comincia quella dell’altro” forse una ragione c’è. Andare contro le regole, superare il limite di velocità o più semplicemente non chiedere lo scontrino dopo un acquisto lede la libertà altrui, danneggia lo stato e l’economia della nostra nazione e quindi di noi stessi. Masochismo non è sinonimo di libertà. Qualcuno, è vero, potrebbe obiettare che essere liberi significa poter sce- 6 gliere, ma spesso e volentieri si dimentica che la conoscenza è necessaria per liberarci dallo stato di primitiva “schiavitù”. Chi non rispetta le regole perché non ne è a conoscenza quasi per proprietà transitiva non può esser definito “uomo libero”. La legge non ammette ignoranza. Diverso è invece se chi “fa il furbo”, o almeno lo crede, è consapevole. In tal caso non c’è solo la volontà di fare male a se stessi, ma di decidere per gli altri, quasi la sua voce sia quella di dittatori che tutto possono scegliere senza conseguenze. Mettersi alla guida da ubriachi, brilli, ma anche passare con il rosso o, tornando all’esempio scatenante, superare il limite di velocità può portare a conseguenze ben peggiori di quelle immaginate dal più pessimista dei catastrofisti. Se esiste la libertà di decidere secondo il proprio buon senso, la libertà di decidere se rispettare qualcosa di giusto o meno, questa viene immediatamente a mancare nel momento esatto in cui la scelta comporta il ferire qualche innocente. Essa crolla in un attimo così come un incendio distrugge un bosco secolare, di piante seminate dai padri fondatori delle nazioni che oggi conosciamo e illuministi e liberali in genere. Non è questione di perbenismo, non è questione di moralismo. Ciò che la legge non impedisce, la legge permette. Solo così si possono garantire i diritti e i doveri di tutti secondo Giustizia. Ricordate questo ogni volta che infrangete la legge, scaricando bellamente film da emule, ogni volta che sottraete un bicchiere al bar perché “mio fratello li colleziona”. Ricordate che non siete più uomini degni di esser definiti liberi. Enrico Biscaro 5° M Gentili lettori, Ritengo che questa breve premessa sia necessaria e dovuta: le parole che seguiranno non sono state scritte dal sottoscritto. In quanto “giornalista” mi sono limitato a riportare in questa sede la verità effettuale delle cose, così come l’ho udita pronunciare. Nulla, nemmeno una singola lettera, è stato cambiato e questo semplice elenco non si prefigge di supportare alcuna idea o ideologia politica. Questa non è nient’altro che la verità ed è stata pubblicata per far riflettere voi allo stesso modo in cui a fatto riflettere me, uno studente vostro pari. La fonte di provenienza è “Vieni via con me”, ma ciò non intacca l’imparzialità che articolo si prefigge di mantenere. Confido in una vostra piacevole e proficua lettura. Elenco del peggio e del meglio della scuola 1. La scuola peggiore è quella che si limita a individuare capacità e meriti evidenti. La scuola migliore è quella che scopre capacità e meriti lì dove sembrava che non ce ne fossero. 2. La scuola peggiore è quella che esclama: meno male, ne abbiamo bocciati sette, finalmente abbiamo una bella classetta. La scuola migliore è quella che dice: che bella classe, non ne abbiamo perso nemmeno uno. 3. La scuola peggiore è quella che dice: qui si parla solo se interrogati. La scuola migliore è quella che dice: qui si impara a fare domande. 4. La scuola peggiore è quella che dice: c’è chi è nato per zappare e c’è chi è nato per studiare. La scuola migliore è quella che dimostra: questo è un concetto veramente stupido. 5. La scuola peggiore è quella che preferisce il facile al difficile. La scuola migliore è quella che alla noia del facile oppone la passione del difficile. 6. La scuola peggiore è quella che dice: ho insegnato matematica io? Sì. La sai la matematica tu? No. 3, vai a posto. La scuola migliore è quella che dice: mettiamoci comodi e vediamo dove abbiamo sbagliato 7. La scuola peggiore è quella che dice: tutto quello che impari deve quadrare con l’unica vera religione, quella che ti insegno io. La scuola migliore è quella che dice: qui si impara solo a usare la testa. 8. La scuola peggiore rispedisce in strada chi doveva essere tolto dalla strada e dalle camorre. La scuola migliore va in strada a riprendersi chi le è stato tolto. 9. La scuola peggiore dice: ah com’era bello quando i professori erano rispettati, facevano lezione in santa pace, promuovevano il figlio del dottore e bocciavano il figlio dell’operaio. 10. La scuola migliore se li ricorda bene, quei tempi, e lavora perché non tornino più. La scuola peggiore è quella in cui essere assenti è meglio che essere presenti. La scuola migliore è quella in cui essere presenti è meglio che essere assenti. Dario Zago 4° D 7 Dopo il deludente Invictus Clint non sbaglia Marie è una bella giornalista francese che è sopravvissuta allo tsunami, sotto il quale per poco non annegava; ha intravisto l’aldilà, da cui è stata strappata per ritornare alla vita, e necessita di comunicare la sua esperienza al mondo scrivendo un libro. Il sensitivo George Lonegan ha smesso da un pezzo di prestare voce ai defunti, ora è un operaio come molti altri e cerca di dimenticare il proprio potere, per lui causa di dolore. Marcus ha una madre tossica e alcolizzata e un gemello che muore sotto i suoi occhi, lo cerca in ogni modo, consultando innumerevoli sensitivi e santoni. Le loro vite si incroceranno. “Hereafter” parla della morte, ma non dell’aldilà, come il titolo potrebbe suggerire. L’astrazione (basta un’occhiata a Eastwood personaggio e Eastwood regista) non è di sicuro il sommo interesse del regista dalle “due sole espressioni” – con cappello e senza cappello, anche se in “Gran Torino” ne apprendiamo una terza, quella digrignante e incazzata. Clint conosce le potenzialità della macchina da presa e ma anche i limiti e racconta la storia dei suoi tre protagonisti con un gusto pregevole per la sincerità di stampo pragmatico. L’aldilà è solo un espediente narrativo per meglio mettere a nudo l’inevitabile traguardo di ogni esistenza. Non è un volo pindarico di filosofia metafisica, ma un’indagine sulle conseguenze della morte. Hereafter non è sovrannaturale, ma sub-naturale, uno scavo nelle profondità dei rapporti tra vivi e morti. Perché in fin dei conti scopriamo che non si sta parlando di morti, ma dei vivi che si relazionano alla morte: George che vuole dimenticarla e lasciarsi alle spalle quel suo donomaledizione, Marie che è scampata ad essa e vuole rivelare quanto ha visto e Marcus che la cerca per nostalgia e solitudine. Tutti arriveranno alla conclusione che la morte - subita, condivisa o vissuta - fa male e non dà spazio alla vita. La scena più bella del film vuole dire proprio questo: George ha rimorchiato la bella Melanie, con estrema facilità per la ben poca resistenza trovata, in un corso serale di cucina italiana; ma quando egli arriva a conoscere i suoi segreti più dolorosi legati al padre deceduto da un anno, lei improvvisamente 8 entra in uno stato di shock e sparisce nel nulla. Lo sconcertante inizio (unica parte in cui Eastwood, volontariamente, si dà al sensazionalismo) è l’avviso che il film che si sta per vedere non è di certo edificante (come lo fu, disgraziatamente, Invictus). Ma per due ore la morte viene trattata senza peli sulla lingua, non risparmiando violenza (lo tsunami, appunto, più agghiacciante di un qualsiasi massacro di Tarantino), né lacrime (la madre che perde il figlio, che per fortuna non è l’Angelina Jolie di Changeling, troppo dannatamente bella e ben vestita per essere credibile). Imperdonabile è la scena della metropolitana. Lo sceneggiatore Peter Morgan si inventa una vicenda di cui il film avrebbe potuto benissimo far a meno, e che troviamo ingiustificata, stornante e incoerente con il modo di fare cinema di Eastwood (“Non do risposte, pongo quesiti” ha affermato l’ottantenne regista). È davvero imbarazzante quando si insiste sul famigerato berretto di Marcus che, caduto in una stazione della Tube londinese, gli salva la vita facendogli perdere la metro che poco dopo esplode per un attentato terroristico. Viene poi a sapere dal medium George che è stato il defunto fratellino di Marcus a farglielo cascare dalla testa. Ma cosa significa? Una risposta plausibile è che un taglio netto della scena in fase di montaggio non sarebbe guastato. A parte l’intoppo clamoroso di quella scena, il risultato non delude. La “pars destruens” di quasi due ore, nelle quali lo spettatore trova ben poco conforto, finisce laddove inizia la “pars construens”. Negli ultimi minuti il film sa essere un invito a incanalare la comune esperienza di morte in un amalgama di vite. Tutti i personaggi, prima rimasti soli o isolatisi da sé, si trovano l’un l’altro, per essere parte di un progetto unitario (il piccolo Marcus spinge il renitente George a contattare e incontrare Marie). Eros e Thanatos perciò si risolvono in un gioco di ruoli, in cui voci diverse urlano il loro disagio, ognuna per conto proprio, per poi finalmente cantare all’unisono un caloroso inno alla vita. Riccardo Vanin 5° B Devo dire una cosa: mi aspettavo di peggio dal numero 15. Quando ho ripreso i sensi e l'ho visto, non ho avuto paura. Quello che ho provato era una sensazione simile alla delusione. Me lo immaginavo come un tizio grande e grosso, pieno di cicatrici e con un sorriso da psicopatico, malvagio, tipico di un assassino dall'immotivata sete di sangue. Invece era un uomo sulla sessantina, capelli tagliati a zero, occhi azzurri, vispi e allegri. Era strano che un uomo del genere fosse colpevole di più di diecimila omicidi. “Mi dispiace essere stato così improvviso, ma capite che una proprietà privata è una proprietà privata”. Stava preparando il caffè su un rudimentale fornello, assemblato probabilmente usando vecchi pezzi di ricambio. Mi guardai attorno e capii di trovarmi in una piccola baracca, con un letto, un frigo malandato, un tavolino di plastica e una seggiola. Alle pareti di legno erano appesi scheletri di biciclette, ruote, una tuta da ciclista azzurra e bianca. “Sì, mi piace correre” disse lui, leggendomi nel pensiero. “Aiuta la circolazione e fa bene allo spirito. Dì un po', hai mai provato?” “No. Cioè, mai sul serio. Correvo a piedi, però” dissi, tentando di allacciare una conversazione con quell'uomo bizzarro. “Buona cosa. Perché hai smesso?” “Mi hanno chiuso dentro, e non ne ho più avuto voglia. In prigione le ambizioni svaniscono, e non si vuol far più niente.” “Hai fatto male, ma puoi sempre ricominciare. Caffè?” “Va bene, grazie” risposi. Numero 15 mi porse una tazzina. Era bollente, ma buono: ci aveva messo molto zucchero. “Seguirò il suo consiglio.” A quel punto mi ricordai di Piemonte. “Dov'è Mimì?” chiesi. “E' di là, a sistemare il propulsore. Mi ha raccontato del vostro piano di evasione. E' un po' campato in aria, ma possibile se trovate un supporto su cui installare il motore”. “Vuol dire che ci permette di utilizzarlo?” Sentii il mio viso illuminarsi di speranza. Il vecchio sorrise. “Certo, ma ad una condizione.” “Quale?” “Poiché qui a Cerere non ci sono piste ciclabili, ho intenzione di venire con voi.” “COOSA? Tu vorresti portare con noi un maniaco omicida? Tu sei pazzo, completamente pazzo!” sbraitò Baccante, quando le feci la proposta. “Ascoltami, non è stata colpa sua, non l'ha fatto apposta! Ora ti spiego com'è successo”. Infatti, Numero 15 mi raccontò di essere stato un grandissimo appassionato di domino monolitico. E' identico al domino, solo che i tasselli sono di puro marmo, alti quattro metri e larghi due. Per battere il record del percorso di domino monolitico più lungo dell'universo, Numero 15 ne aveva costruito uno di ventimila tasselli. Così aveva assunto altrettanti hulks (per chi non lo sapesse, sono degli esseri umani in grado di sollevare automobili) e li aveva incaricati di posizionare tutti i monoliti contemporaneamente. Purtroppo, prima che gli hulks si allontanassero in tutta sicurezza, Numero 15 era scivolato su una buccia di Kniulbanana e aveva urtato il primo tassello. Così si erano sentiti ventimila “splat”, uno dopo l'altro... Urgh, non fatemici pensare... E così abbandonò il domino monolitico e si buttò sul ciclismo. “E tu credi a queste baggianate? Quello lì ti ha preso in giro, ecco tutto!” “Bah, io gli credo. Non ha la faccia di uno fuori di testa. E poi questa è l'unica occasione per costruire un'astronave. Allora?” Baccante sembrò vacillare dalla sua posizione. “Non lo so... Devo pensarci. Intanto ho creato il software del computer di bordo, ma abbiamo bisogno di un abitacolo, se non vogliamo caricarci il propulsore sulle spalle nelso accettassi l'offerta di Numero 15, sia chiaro!” puntualizzò. “Dovremmo trovare un'automobile, o qualcosa del genere...” Improvvisamente Piemonte, che era uscito a fare una passeggiata, irruppe nel mio soggiorno, ansante. “Sta arrivando la PI! Anf... Pant... E sembra sul piede di guerra!” Io e Baccante ci guardammo con terrore. Che cosa era venuta a fare la Polizia Intergalattica? Gianluca Forcolin 5° G 9 Vulcani E Pesce! Eccomi a voi con un’altra delle mie avventure vacanziere! Dovete sapere che mia madre si diverte ad organizzare viaggi, è sempre alla ricerca di mete poco conosciute e itinerari non turistici, ha la passione per le location particolari e poco frequentate; mi ha fatto dormire in strutture che neanche gli abitanti del luogo conoscevano!! Quando inizia a programmare le vacanze prende in considerazione solo mulini a vento, pousadas, fari, castelli, masserie o case isolate e lontane dalla “civiltà” e possibilmente immerse in una natura incontaminata. Con queste premesse tre anni fa decide di portarmi in Sicilia, programmando un itinerario dedicato solo alle città di Ragusa, Siracusa e Agrigento, il problema, però, era trovare un luogo che corrispondesse alle sue esigenze: silenzioso, isolato, possibilmente vista mare (magari direttamente sulla spiaggia!), confortevole, ecc ecc. (l’elenco è molto molto lungo!). Dopo lunghe, lunghissime ricerche durate da gennaio ad aprile finalmente viene folgorata! Ha trovato La Casa! Immagino che tutti voi conosciate la fiction “Montalbano”. Quella è la casa ideale per mia mamma, bella e sul mare! Sarebbe stata perfetta! Riusciamo, attraverso internet, a sapere che, quando non è un set televisivo, viene affittata sia a camere, sia complessivamente, così decidiamo di affittarla interamente, visto che il nostro gruppo è formato da cinque persone. Arriva settembre e partiamo entusiasti e curiosi di alloggiare in un set! Partenza, volo e atterraggio all’aeroporto di Catania… questa volta tutto corrisponde alle previsioni: mare blu e trasparente, 10 temperatura di 30°C, clima asciutto e paesaggi fantastici! Dopo aver ritirato l’auto ci dirigiamo verso Punta Secca, il paesino nel quale è stato girato gran parte del telefilm e che si trova nella zona centrale della Sicilia meridionale, sopra Ragusa. Arriviamo in un piccolissimo centro con… la casa di Montalbano e poco altro! Nessuno di noi aveva, però, preso in considerazione l’ipotesi che la casa non corrispondesse a quella vista in televisione, infatti l’unico angolo che abbiamo riconosciuto è stata la famosa terrazza sulla spiaggia. Vedendola in televisione mi sembrava perfino impossibile che una terrazza potesse essere così… sul mare!, e invece la realtà ha confermato ciò che avevo visto! Era uno spettacolo mozzafiato! Le camere e i bagni, al contrario, erano… un po’ diverse… decisamente spartane e trascurate. Dopo un primo momento di sconcerto abbiamo deciso comunque di adattarci a delle stanze non proprio principesche, ma compensate da un paesaggio incantevole! Consoliamo gli occhi e il cuore sedendoci in terrazza e perdendo lo sguardo sul mare infinito! Il viaggio è appena iniziato e le mete sono molte! Partiamo alla volta dei siti archeologici di Agrigento, Siracusa e Ragusa. Non posso soffermarmi nella descrizione delle meraviglie che ho potuto ammirare in queste città, ma voglio raccontarvi la mia visita ad un luogo a dir poco magico! Per arrivare abbiamo dovuto attraversare chilometri di campagna disabitata lungo una “strada” tra cespugli e... cespugli! Alla fine giungiamo in una radura nella quale dobbiamo lasciare l’auto per proseguire a piedi fino ad un luogo dall’aspetto lunare: il suolo è pieno di piccoli crateri in continua eruzione. Questi sono denominati “i vulcanelli di Macalube”, un territorio sconosciuto ai più tanto che, quando abbiamo chiesto indicazioni su come raggiungerlo alla giuda, che ci aveva accompagnati ad Agrigento, ci è stato risposto che eravamo le prime persone che le avessero chiesto informazioni su quel sito. La visita prevede un accompagnatore in quanto il luogo va esplorato con attenzione e cautela perché l’eruzione dei vulcanelli è continua ed un’eventuale caduta all’interno dei crateri sarebbe molto rischiosa. Questi ci ha anche spiegato che ogni dieci anni l’eruzione è di tale intensità che su tutta quell’estensione la terra si gira completamente dando forma ad un nuovo paesaggio. Avevo sempre pensato che i vulcani eruttassero lava, mai avrei potuto immaginare che esistessero vulcani che eruttano fango, di dimensioni così piccole, ma che, nello stesso tempo, sono in continua attività e hanno un’intensità tale da poter capovolgere ettari ed ettari di terreno. Dopo giorni di visite ininterrotte decidiamo di concederci una pausa dedicata al mare, al riposo e alla buona cucina! Il mare lo abbiamo sotto casa, per la cucina ci dicono che una pizzeria da asporto lì vicino prepara anche la migliore frittura di pesce della zona. Il titolare, gentilissimo, ci programma la cena per la sera prima del nostro rientro perché sapeva che la mattina i pescatori gli avrebbero portato il pescato della notte. Dovete, però, sapere che la pizzeria era sulla strada e, come potete immaginare, senza posti a sedere. In effetti noi ci eravamo chiesti dove e come avremmo potuto cenare… “nessun problema vi trovo io il posto!”, questo è quello che ci ha risposto il titolare! Ma la vera sorpresa è arrivata quando la sera siamo giunti alla pizzeria… tavoli e sedie erano stati preparati in strada! Ci siamo guardati perplessi e nello stesso tempo divertiti, avremmo fatto un’esperienza sicuramente fuori dal comune! Per fortuna la zona era poco trafficata, le auto procedevano lentamente e facendo attenzione a non travolgerci!!! Il pesce era fantastico e l’ubicazione dei tavoli certamente unica, insolita, ma anche spassosa e indimenticabile! Meno travagliato del viaggio in Portogallo, ma non per questo meno originale e interessante, tanto da indurci a tornare in Sicilia l’anno dopo; ma di questo vi parlerò nel prossimo articolo. Ludovica Crosato 1° D 11 Mi chiamo Spillo, e sono un cane. Ho tre zampe; di quella posteriore destra ho solo la prima parte. Non percepisco alcun suono. Non emetto alcun suono, e questo non per la mia sordità, ma per qualcosa che sento bruciarmi in gola; non chiedetemi di cosa si tratti, sono solo un cane. Ormai ho vissuto la maggior parte della mia vita, e sento che le mie forze mi abbandonano sempre più. Sono piuttosto piccolo, vedendo gli altri cani che mi circondano. Già da qualche tempo vivo in questo luogo, in cui mi portarono quando mi liberarono dalla lunga prigionia. Proprio così, fin da quando ho ricordi ho vissuto lì, dove una catena mi mordeva costantemente il collo, dove le sole attenzioni concessemi erano dolorose, e dove ho guadagnato tutte le menomazioni che mi segnano. Poi però, come ho detto, dopo tutti quegli anni di dolore e di pianti inascoltati, qualcuno mi ha preso e portato qui. Qui si sta bene. Sono in una casa dove, separati da vari recinti, vivono altri cani come me. Ogni giorno vengono delle persone a farci compagnia. Oggi ci sono una ragazza dai capelli lunghi e castani e un ragazzo dai capelli biondi e mossi; li conosco entrambi, perché vengono qui periodicamente. Lui sta entrando ora per primo nel mio recinto; nonostante sia più lento degli altri, anche io mi avvio per raggiungerlo. Mi piace un sacco farmi coccolare; dove ero prima non succedeva mai. Finalmente arrivo ai suoi piedi, e lui si accuccia per riempirmi di baci e di carezze. Tra le persone che vengono qui lui è l’unico maschio. È molto dolce. Credo di essergli simpatico, perché passa un sacco di tempo con me. Chissà, forse oggi mi porterà via con sé, così potremmo vivere felici insieme per sempre. Lo spero tanto. Ora lui si è alzato e ha cominciato a fare tutte quelle strane faccende che fanno le 12 persone che vengono qui: sbatte le coperte su cui dormiamo e usa lunghi strumenti che sembrano graffiare o accarezzare il pavimento. Io intanto faccio un giro per il recinto. Con me vivono una cagna obesa e gialla, due palle di pelo scorbutiche (una è senza denti, l’altra è cieca) e quattro mostriciattoli dispettosi. Nel recinto a fianco, invece, c’è una cagna bianca a macchie nere che crede di essere un maschio, e due fratelli molto grandi e snelli, uno dei quali fa perennemente l’occhiolino (sembra quasi che, mancandogli un occhio, tenga sempre la palpebra chiusa per la vergogna). Altri coinquilini non li vedo, né tantomeno li sento, ma certi comportamenti dei cani del recinto confinante mi suggeriscono la loro presenza. Non è il mio caso, ma alcuni abitanti della casa non si lasciano neppure avvicinare dalle persone, nonostante, credo, le conoscano da anni. Pare che abbiano troppa paura. In questo momento vedo che il ragazzo tiene strette tra le mani le estremità di due corde legate attorno al collo di due cani; la strana compagnia ora esce dal cancello e si avvia, chissà dove. Questa operazione verrà compiuta altre due volte, e, come ogni volta, saranno sempre gli stessi i cani che lo accompagneranno. Lui non mi porta mai con sé, ma non importa. Sento di volergli bene lo stesso. A questo punto non mi resta che aspettare. Ogni tanto scorgo anche la ragazza, che entra ed esce nei vari recinti e nelle stanze poco illuminate e fredde in cui viviamo. In certe occasioni si ferma e passa un po’ di tempo con qualcuno di noi; anche io ottengo infine la sua attenzione, e, coccolato da lei, passo qualche minuto nell’estatica illusione che quella tanto cara compagnia non si allontani da me. Poi però, all’improvviso, lei riprende le sue faccende, e da quel momento in poi rappre- senta per me solo l’indaffarata immagine di un sogno evaporato. Gli altri cani non mi detestano, però, quando provo a dimostrar loro tutto l’affetto che possiedo, che in questi anni ho represso e che ora mi prega di lasciarlo sfogare, loro si infastidiscono della mia opprimente presenza e, ringhiandomi, mi fanno capire che il mio interesse nei loro confronti non è gradito. Gli unici che sembrano apprezzare la mia sensibilità sono gli umani che vengono qui; pare che l’uomo abbia più bisogno d’amore di noi animali. Ormai è tardi e il mondo si fa buio. Il ragazzo e la ragazza portano ad ognuno di noi l’unico nostro pasto della giornata. L’ora in cui se ne andranno si avvicina. Io continuo a sperare; forse proprio oggi mi porteranno via con loro. Magari non passerò la notte qui; negli ultimi tempi tra queste mura il buio e il freddo sono diventati particolarmente impietosi. I ragazzi continuano con le loro faccende. Si muovono con velocità, incalzati dalla notte che avanza. Infine le luci si spengono. Dopo qualche secondo gli occhi si abituano all’oscurità. Loro sono ancora qui, ma si preparano ad andare. E, proprio quando ormai ho abbandonato ogni speranza, lui entra nel mio recinto e si avvicina a me. Si accuccia e mi stringe tra le sue braccia. Niente più buio, niente più freddo, sono al settimo cielo. Sono questi minuti a metà strada tra la solita realtà e l’intramontabile sogno, che per me sono i più preziosi. E ora, perché la stretta si fa più debole? Perché si alza da terra? Non vede che voglio con tutto me stesso andare con lui? Quando lo seguo fino alla porta del recinto, non capisce che lo seguirei fino in capo al mondo? Lui e lei si fanno sempre più distanti nell’oscurità e presto ne sono inghiottiti. Io resto lì, con il naso premuto contro la rete del recinto, ancora un poco, con gli occhi fissi nel vuoto. Poi mi volto e, zoppicando, mi allontano. Se riesco a dormire è perché la speranza, da sempre, è stata la mia più fida alleata. E lei ora suggerisce al mio orecchio insensibile: anche tu, un giorno, avrai una famiglia. Davide Pagnossin 5° M 13 Mondo Manga Quando la noia ci assale non c’è niente di meglio di un buon libro per passare qualche ora in compagnia dei nostri eroi preferiti, immergendoci nel meraviglioso mondo della fantasia. A volte però non abbiamo proprio la voglia e la forza di leggere libri anche impegnativi, perciò una possibile alternativa all’opzione videogiochi possono essere fumetti e manga, più facili e leggeri di un libro. Probabilmente molti ritengono che uno studente del Liceo Scientifico debba dedicarsi a letture più importanti come “Guerra e Pace” o “La coscienza di Zeno”, ma diciamola tutta: anche noi a volte abbiamo bisogno di “staccare” e ricordarci che ogni tanto un po’ di frivolezza ci vuole! I manga sono la giusta soluzione e lo dimostra il sempre più grande successo che riscuotono tra i ragazzi di ogni età. La parola “manga” viene usata comunemente per identificare le storie a fumetti giapponesi, molto differenti rispetto ai classici fumetti cui siamo abituati. Questi sono infatti strutturati in maniera completamente diversa: il manga giapponese solitamente si legge al contrario rispetto al fumetto occidentale, dall'ultima alla prima pagina, e le vignette seguono un andamento da destra verso sinistra. Molto particolare è pure lo stile di disegno: i personaggi spesso sono rappresentati con un aspetto stilizzato e infantile (per esempio, di solito hanno occhi molto grandi), e che spesso manca totalmente di realismo. Ma è proprio questo a renderli ancora più speciali e appetibili: il manga si rivela come un’esperienza nuova e completamente diversa dai soliti fumetti anche perché rivolgendosi ad un pubblico davvero ampissimo, tratta di argomenti di ogni tipo. I generi principali sono: shoujo, shonen, seinen e josei. Gli shoujo sono manga per ragazze di ogni età e solitamente affrontano il tema dell’amore. La storia è incentrata sulle avventure e disavventure di una giovane protagonista, che si deve destreggiare tra i mille problemi di ogni giorno e deve fare i conti con i primi problemi d’amore. Molto spesso però le protagoniste sono costrette anche a cimentarsi in difficili lotte, utilizzando i poteri magici che sono stati loro conferiti (come dimenticarsi dell’eroina della nostra infanzia Sailor Moon!). Gli shoujo possono anche affrontare tematiche più profonde, cui fanno sfondo ambientazioni e situazioni a volte tragiche, in cui non mancano l’azione e il dramma (come Lady Oscar). Per chi è interessato a questo genere, autrici interessanti sono Arina Tanemura , Hino Matsuri(Vampire Knight) , Masami Tsuda(Le situazioni di lui e di lei), Yuu Watase e Bisco Hatori. Un manga assolutamente da non perdere è Ouran High School Host Club! di Bisco Hatori. La storia racconta le avventure di Haruhi Fujioka e dell’Host club, tra un continuo alter- 14 narsi di scene romantiche e momenti assolutamente demenziali e molto divertenti. Haruhi, la protagonista,entra a far parte di questo club per ripagare il debito contratto dopo aver distrutto un vaso d’immenso valore. A causa di un malinteso a scuola si crede che Haruhi sia un ragazzo e da questo nasceranno un sacco di guai e anche il suo amore per… ;) Indirizzati ad un pubblico maschile, gli shonen si focalizzano essenzialmente sull’azione. La storia è incentrata sulle continue sfide e difficoltà che il protagonista (di solito un ragazzo), deve affrontare per dare prova della propria abilità o raggiungere un traguardo ambito. Il racconto, in cui vi possono essere anche elementi magici e fantastici, delinea gradualmente il percorso e le sfide sostenuti dal protagonista, durante i quali riuscirà ad acquisire le capacità necessarie per raggiungere infine l’obiettivo (è impossibile dimenticare Dragonball o Ken il guerriero!). Manga di questo genere particolarmente apprezzati sono One Piece, Bleach, Naruto, Gintama, Great Teacher Onizuka, Full Metal Alchemist, Full Metal Panic (consiglio vivamente l’anime Full Metal Panic Fumoffu! perché fa morire dal ridere!). Sicuramente va ricordato Full Metal Alchemist in cui si raccontano le vicende dei fratelli alchimisti Edward ed Alphonse Elric, alla ricerca della formula della pietra filosofale, che oltre a realizzare i loro desideri svelerà il mistero della loro famiglia. I manga indirizzati ad un pubblico adulto (a partire dai 18 anni) e per lo più maschile, sono i seinen. Questi trattano di solito argomenti seri,più complessi e maturi rispetto agli shonen, spesso con risvolti psicologici e utilizzando immagini e un linguaggio più duro e violento. Titoli famosi sono Hellsing, Death Note, Wolf's Rain, Berserk o anche Inuyasha (questi manga contengono spesso scene crude, non adatte a chi non ha uno stomaco forte!). I josei, infine, sono una versione più matura degli shoujo, e sono indirizzati ad un pubblico adulto. La storia si incentra sempre sulla tematica amorosa, affrontando però l’argomento in maniera più realistica e matura rispetto allo shoujo. La trama si incentra sulle relazioni d’amore tra i protagonisti, focalizzando l’attenzione in maniera particolare sui problemi reali che possono insorgere nella vita di tutti i giorni, ma soprattutto nella vita di coppia. Alcuni tra i titoli migliori di questo genere sono Paradise Kiss, Nana e Ai Girl. Se siete interessati potete facilmente acquistare questi manga in negozi specializzati (anche qui a Treviso ce ne sono alcuni) o potete leggerli e scaricarli da Internet in italiano o in inglese. Buona lettura! Sara Areski 4° G IL CIMITERO DI PRAGA Uscito nelle librerie lo scorso 29 ottobre, il Cimitero di Praga, sesto romanzo del semiologo medievalista filosofo italiano Umberto Eco, è, a mio avviso, un autentico capolavoro della letteratura. Il libro ricalca la struttura dei feuilleton, ossia quelle dei vecchi romanzi d'appendice. Infatti le parti scritte sono intervallate da splendide miniature dove a piè pagina è riportata la citazione a cui si riferisce l'illustrazione. Il romanzo presenta una trama molto complessa, ricca di colpi di scena, descrizioni particolareggiate e numerosissimi riferimenti storici al Risorgimento italiano e all'antisionismo. Il protagonista Simone Simonini, unico tra tutti i personaggi del libro ad essere frutto della fantasia dell'autore, si trova a partecipare in prima persona ad avvenimenti che hanno fatto la storia dell'Italia come l'impresa dei Mille narrata in modo magistrale al settimo capitolo. Ma procediamo con ordine. Il protagonista inizia ad annotare in un diario gli avvenimenti della sua vita a partire dalla sua gioventù sperando di riuscire a fronteggiare una crisi di identità che gli era sopraggiunta in quel periodo a causa dell'abate Dalla Piccola. Infatti Simonini aveva scoperto che l'abate, di cui gli sembra di non conoscere nulla e che viveva in un appartamento comunicante con il suo, conosceva molti particolari della vita del protagonista. Inizia così una lunga analessi in cui si vede il protagonista educato da un nonno reazionario e profondamente antisionista e da gesuiti chiamati appositamente per educare il nipote. In questo periodo si appassiona molto agli scritti di Dumas. Dopo essersi laureato in diritto e aver imparato l'arte di falsificare i documenti presso lo studio del notaio Rebaudengo, diventa una spia del regno sabaudo, grazie a questa spiccata abilità; per conto dei servizi viene inviato al seguito della spedizio- ne dei Mille nella quale conosce la figura di Ippolito Nievo, e si impossessa dei registri contabili da lui conservati. Volendo far sparire questi documenti, Simonini affonda la nave a bordo dalla quale è lo stesso Nievo che muore. Tornato a Torino, i servizi lo inviano a Parigi dove dovrà spiare i lavori dell'impero francese. Durante questa missione inizia ad elaborare un falso rivolto agli ebrei nel quale si racconta che nel cimitero di Praga si è svolto un concilio dei rabbini con lo scopo di escogitare un piano per distruggere il cristanesimo e conquistare il mondo. E’ un romanzo la cui lettura è molto difficile da completare principalmente per tre motivi: la lunghezza (più di 500 pagine), la complessità degli argomenti e la scelta di un lessico molto alto e di una sintassi complessa. Tuttavia il libro merita di essere letto nella sua integrità in quanto ad una trama molto avvincente sono associati eventi storici che normalmente possono sembrare noiosi, ma che leggendo il testo si possono apprendere con più facilità ed interesse. Nonostante alcune parti piuttosto pesanti e noiose, è un libro geniale da leggere e rileggere. Alessandro Cocco 3° F 15 ecco a voi alcune delizie per il palato di lettori di gusti differenti Proposta horror Con una prima edizione Bompiani di novembre 2010 “Dracula in love” di Karen Essex si inserisce nel panorama della nuova letteratura horror-gotica concentrata sulla figura del vampiro. L’autrice originaria di New Orleans riprende la storia narrata da Bram Stoker cambiandone il punto di vista: non più una raccolta di lettere, ma un romanzothriller gotico e psicologico incentrato su Mina Murray, la giovane donna che in “Dracula” è sedotta dal famoso conte. Apparentemente scontato, questo romanzo si rivela invece una piacevole rivisitazione della vicenda, arricchita da elementi nuovi, che danno respiro in una produzione attuale sul tema per la maggior parte scontata. Insomma, non la classica umana sensibile legata all’affascinante vampiro di turno (non si disprezzano queste trame, ma è necessario che ci sia qualcosa di diverso, non trovate?). Chi ha letto il capolavoro di Stoker può apprezzare maggiormente i riferimenti al modello ed evitare di confondersi, ma non si esclude che un lettore possa approcciarsi a questo libro per poi dedicarsi alla visione classica della storia. Consigliato a coloro che sanno aspettarsi di tutto ed ad un pubblico maturo, il testo è assai coinvolgente e cattura anche i più accaniti fruitori del genere. Proposta scientifica Una prosa immediata, chiara, scientifica. Contenuti puntuali, dettagliati, interessanti. Ecco come si definisce in poche parole “Lettera a un bambino che vivrà 100 anni, Come la scienza ci renderà (quasi) immortali”. Edoardo Boncinelli, genetista e divulgatore che ha presentato il suo ultimo libro l’undici dicembre scorso in una conferernza nell’aula magna del nostro liceo, è riuscito, con l’accuratezza propria di un uomo di scienza, a condensare in duecento pagine tutto ciò che un comune lettore si aspetterebbe sul tema della durata media della vita. Non solo, la struttura del testo è rigorosamente razionale, la prosa scorrevole, gli spunti di riflessione tanti. L’uomo e la sua genialità hanno condotto in questo secolo ad un allungamento della vita media tanto che si può presumere che un bambino di oggi raggiungerà, una volta cresciuto, la venerabile età di cento anni. Ciò innesca una serie di conseguenze mediche ben approfondite da Boncinelli. Egli, considerando alla base che “la natura vuole bene a tutti, sia a 16 chi attacca sia a chi si difende”chiarisce i rischi e le condizioni soffermandosi sulle mutazioni genetiche, le malattie come i tumori, e i “combattimenti” esterni o interni che l’uomo deve affrontare per vivere a lungo, o meglio, per vivere bene a lungo. Si apprezza senza dubbio la puntualità delle informazioni, alcune delle quali sconosciute ai più, e la quasi totalità di assenza di moralità o giudizio che il tema generalmente porta con sè. Non è da tutti affermare che il fumo è nocivo senza allegare i classici moniti antifumatori. La lettura si presenta piacevole e rilassante, instilla un senso ottimistico sulle prospettive di vita di noi giovani. Lo sguardo al futuro è filtrato attraverso occhi da scienziato, occhi che contraddistinguono un uomo che ama il suo lavoro e ha una profonda fiducia in esso e nel suo potere. Consigliato veramente a tutti, senza limitazioni di alcun tipo. Proposta sentimentale Vista l’uscita nelle sale cinematografiche, durante questo nuovo anno, del film “Il giorno in più” con un cast eccezionale (Fabio Volo, Isabella Ragonese, Stefania Sandrelli e Luciana Littizzetto) si propone la lettura del romanzo omonimo da cui è tratto. Il quarto libro di Fabio Volo è ambientato quasi completamente a New York, città in cui si svolge la storia d’amore tra il protagonista Giacomo e Michela, una donna da lui prima incontrata silenziosamente sul tram in Italia e per la quale poi si trasferisce nella metropoli. Lo stile è tipico dell’autore, fresco ed esaltante, la trama sentimentale è diluita in descrizioni precise dei personaggi e dei luoghi, arricchita da una morale giovanile splendidamente inserita nei vari dialoghi, resi frizzanti dal lessico quotidiano umoristico. Come per gli altri romanzi di Volo, si rimane colpiti dalla capacità di delineare una vicenda lasciando sempre un margine di immedesimazione al lettore. Ci si può identificare con i sentimenti o i pensieri di qualche personaggio: si segue facilmente la crescita emotiva di Giacomo, che da trentenne con una vita abitudinaria passerà ad essere consapevole del valore del tempo che la vita concede, perchè quel “giorno in più” che ottiene è l’apice della sua esistenza. Qui si cresce sempre grazie alla consapevolezza di se stessi e all’esperienza d’amore. Consigliato a chiunque e in special modo a chi è spesso confuso, a chi è innamorato della vita, a chi non ha capito che bisogna vivere, non sopravvivere. Proposta storica Mario Rigoni Stern “non è uno scrittore di vocazione” secondo Elio Vittorini, eppure di libri ne ha scritti decisamente tanti. L’alpinista di Asiago nel suo “Il sergente nella neve” riporta l’esperienza vissuta della ritirata dalla Russia nel ’42 e ’43. In questo libro, come altri dell’autore, è fondamentale il rapporto con la temibile natura, descritta con straordinaria poesia: il paesaggio è in un certo senso romantico, ossia è un “paesaggio dell’anima”. La neve domina l’orizzonte russo e il freddo ghiaccia anche le emozioni e i rapporti umani, alimentati solo dalla comune volontà di ritornare insieme vivi nelle proprie case. La scrittura è limpida e spinta dalla necessità di trasmettere momenti da ricordare, non è cronachistica, ma integralmente realistica. Linguaggio incisivo e frasi brevi: non c’è invenzione o sfruttamento della retorica: è un libro apprezzato da chi non ama tanti giri di parole. La trama agglutinata, come sottolinea Eraldo Affinati, è resa con l’antitesi tra il rumore della guerra e il silenzio interiore dei soldati che devono conservare la loro umanità in un contesto di trincee, battaglie, sporcizia. Questa testimonianza storica appartiene alla letteratura novecentesca spiccando per la semplicità e la naturalezza con cui il sergente Rigoni si esprime. Consigliato a coloro che vogliono leggere non solo per diletto, ma anche “per non dimenticare”. Proposta classica È una delle autrici inglesi più amate nella storia, ha scritto sei classici capolavori nella sua breve vita e ha ispirato moltissimi film: è Jane Austen. Tutti conoscono il suo celebre “Orgoglio e Pregiudizio”, almeno per la recente interpretazione cinematografica, ma spesso ignorano il resto della sua produzione. È un’autrice che presenta tratti di modernità, malgrado l’ambientazione delle opere sia relativa al periodo della sua vita, ossia tra la fine del ‘700 e gli inizi dell’800. Le trame presentano sempre un eroe e un’eroina, appartenenti all’alta borghesia o alla nobiltà, attorno a cui ruotano tutti gli eventi che hanno sempre un finale felice. Nel suo penultimo romanzo, ossia “Emma”, si narra la storia di Emma Woodhouse, una bella, intelligente e ricca ereditiera che si diletta nel combinare matrimoni tra amici e parenti, creando una serie di fraintendimenti ed equivoci che arricchiscono l’intreccio. Grazie alla sua scrittura ironica l’autrice dimostra come la vita non possa essere del tutto pianificata, come le donne si innamorino facilmente degli uomini, che invece aspettano, orgogliosi, l’attimo giusto per dichiararsi. Consigliato vivamente ai ragazzi affinché rammentino che il loro essere gentiluomini non deve essere una scocciatura, ma una regola di vita. Giorgia Bincoletto 5°N 17 LA STORIA DEL GAME BOY Game Boy. Alcuni potranno non averlo mai sentito, ma le giovani generazioni sicuramente se lo ricorderanno, quel mattone con lo schermo verde-grigio che il nostro compagno delle elementari portava a scuola. Ma a cosa serviva? Uno sguardo più attento ci fece notare delle figure muoversi in quello schermo così piccolo, sentivamo aria di novità e, ignari, non sapevamo che da quel momento la storia dei videogiochi avrebbe preso una piega decisamente interessante. Arrivato in Europa nel 1990, il Game Boy era di fatto la prima vera console portatile nata dalle geniali menti della Nintendo, dopo i giochi elettronici a cristalli liquidi dei primi anni Ottanta : i “Game&Watch”. Il tutto consisteva in un piccolo display LCD dotato di diverse tonalità di verde e grigio, corredato da 4 pulsanti ( A, B, Select e Start ) e relativa croce direzionale. Il suo successo venne favorito dalla praticità sia della console che delle cartucce di gioco, tutte facili da trasportare, incarnando così il vero ideale di console portatile. Era alimentato da quattro batterie AA che garantivano una trentina abbondante di ore di gioco. Il videogame che rese popolare il Game Boy fu l’indimenticato Tetris che con i suoi 33 milioni di unità vendute è il più popolare e diffuso. A distanza di qualche anno, più precisamente nel 1996, Nintendo rilascia il Game Boy Pocket, una versione riveduta del predecessore dotata di alcune novità : le dimensioni ridotte, più vicine ai modelli che nel corso degli anni sarebbero usciti, e un indicatore led della carica delle batterie, che da 4 erano passate a 2. Non vi era ancora traccia però della retroilluminazione, rendendo ancora difficoltoso il giocare in stanze non sufficientemente illuminate; questa novità fu però introdotta nel Game Boy Light ( distribuito esclusivamente sul suolo giapponese e in numero limitato ) che altro non era che un’ennesima versione del Pocket. Gli anni Novanta furono caratterizzati da un’esponenziale evoluzione dell’intrattenimento in ambito videoludico e così, per non restare indietro, la grande N diede vita a un altro discendente del nostro amato mattone grigio : il Game Boy Color, classe 1998. Color. Sì, finalmente erano arrivati i colori. Basta grigiume verdognolo, il Game Boy con questa nuova incarnazione era un’autentica esplosione di vivacità : nuovissime colorazioni esterne, edizioni speciali, come la famosa Pikachu Edition, schermi traboccanti delle 32.768 tonalità che il Game Boy Color era in grado di offrire. Il design esteriore era preso di peso dalla versione Pocket e presentava inoltre anche una porta infrarossi che però non fu riproposta nei modelli successivi. Cominciarono ad uscire giochi esclusivamente per il Color, anche se la console era retrocompatibile con quelli del 18 Game Boy, favorendo così gli acquisti anche da parte dei possessori delle vecchie versioni. La vera rivoluzione però avvenne nel non troppo lontano 2001. Si chiamava Game Boy Advance. Non era una rivisitazione del Game Boy, era qualcosa di totalmente nuovo, lanciato sempre più verso il nuovo millennio. Nintendo decise di cambiarne l’aspetto, discostandolo molto dai predecessori : forma vagamente rettangolare con lo schermo posto al centro e con i pulsanti A e B situati nella parte opposta rispetto alla croce direzionale. La gamma dei colori offerti dallo schermo era la stessa di quella del Game Boy Color, dotato però di una risoluzione ovviamente maggiore. Non vennero migliorati i supporti di alimentazione (sempre le solite 2 batterie AA) e nemmeno fu introdotta la tanto attesa retroilluminazione. Le cartucce dei videogiochi compatibili esclusivamente con l’Advance subirono un restyling dovuto alla diversa forma dello slot della console, diventando così notevolmente più piccole e trasportabili. La funzione di retrocompatibilità era anche questa volta presente, grazie al processore Z80 al suo interno. Da qui in poi però la faccenda si presenta come una minestra riscaldata poiché anche l’Advance subì migliorie e riedizioni, due per la precisione : il Game Boy Advance SP e il Game Boy Micro. Il primo, uscito nel 2003, è decisamente il più interessante grazie alle novità proposte. Una di queste novità si chiama batteria ricaricabile al litio. Niente più pile AA, ora con una cavo è possibile ricaricare la console consentendoci 15 ore circa d’autonomia. L’altra manna dal cielo invece è la presenza della retroilluminazione, era ora!!! La cosa più curiosa è inoltre l’aspetto esteriore della console poiché si presenta come un ritorno alle origini, abbandonando le forme dell’Advance, con in più la possibilità di richiudersi su sé stessa, diventando così ancora più piccola e maneggevole. Il nostro tuffo nella storia del Game Boy si conclude nel 2005, con l’ultima trasposizione dell’Advance : il Game Boy Micro. Presentato e indirizzato a un pubblico che “tiene alla propria immagine”, come riferito dalla Nintendo nei primi comunicati stampa, il Micro riprende le forme dell’Advance originale riducendo però notevolmente le dimensioni e aumentando così la portabilità ( si avvicina a quella di una carta di credito ). Non presenta novità rispetto al predecessore SP, anzi, è sprovvisto della retrocompatibilità dei giochi per Game Boy a causa delle sue ridottissime dimensioni. Le console portatili targate Nintendo però non finiscono certamente qui anche perché nello stesso anno il mondo ha accolto a braccia aperte il rivoluzionario Nintendo DS, ma questa è un’altra storia… Tommaso Campion 4°H Crostata ripiena di mandorle e amaretti Avete presente Benedetta Parodi? Quella che su Italia Uno dopo il Tg conduce un programma di cucina? Quella tizia in mise provocanti che ogni volta a fine puntata schiaffa il suo bel ditino in tutto quello che cucina dicendo “Cotto…” e conclude ficcandosi in bocca il suddetto dito ed esclamando come niente fosse “… e mangiato!”? Beh ragazzi, se anche voi, come il sottoscritto, credete che di sicuro mentre cucina lo fa in continuazione e pensate che sia indecente che Mediaset lasci che quei poveri piatti che prepara la Parodi siano invasi dalla sua saliva, allora state leggendo la rubrica giusta! Ho deciso di lanciarmi nell’impresa di tenere una sezione dedicata alla cucina e nei prossimi numeri cercherò di fare del mio meglio (ma soprattutto meglio della Benedetta!) per proporvi le ricette più gustose che conosco, condendo il tutto con i migliori consigli per far riuscire ogni cosa! Bene, direi che dopo questa introduzione possiamo cominciare a parlare di cose serie: oggi ho deciso di darvi la ricetta di un dolce, ovviamente buonissimo, che si chiama Crostata Ripiena alle Mandorle e Amaretti. Ho voluto cominciare con un dessert, dato che la mia passione è la pasticceria, e in particolare con uno che mi piace molto e che fa sempre la sua porca figura quando lo faccio, ma che nel complesso non è difficile da fare. Suvvia però, non indugiamo, proseguiamo con la super segreta lista di ingredienti che mia madre ha custodito gelosamente per tanti anni: PER L’IMPASTO 300g di farina; 150g di zucchero; 100g di burro; 1 uovo; 1 bustina di lievito vanigliato; 1 pizzico di sale. PER IL RIPIENO 300g di ricotta; 100g di zucchero; 1 uovo; 50g di mandorle; 1 confezione di amaretti (100/150g); 1 pizzico di sale. Ora che sapete tutto quello che vi serve cominciamo con il procedimento: cercherò di essere il più chiaro possibile! Innanzitutto mandate quelle sfaticate delle vostre madri a fare la spesa, perché insomma… già noi frequentiamo il Da Vinci e dobbiamo studiare tre ore al giorno (almeno), quella volta che vogliamo preparare un dolce dobbiamo pure perdere tempo a comprare tutti gli ingredienti?? Ottimo, ora che avete tutto l’occorrente, versate su un bel piano spazioso farina, zucchero e lievito, mischiateli un po’ assieme e fate col vostro ditino (mi raccomando, Parodi docet) un bel buchetto nel mezzo in modo tale da ottenere la classica “fontana”; rompete l’uovo e versatecelo dentro, un pizzico di sale sopra e passiamo alla fase in cui ci si sporca per davvero: prendete il burro e cominciate a ridurlo in piccoli pezzi con le mani. Mi raccomando, non siate sbrigativi e dedicatevi all’operazione con tanto amore e passione per l’unto, perché è importante che il burro sia ben spezzettato e leggermente sciolto grazie al calore delle vostre mani (le mie sono sempre bollenti e sono un po’ avvantaggiato da questo punto di vista, ma per chi sa di avere mani cadavericamente gelide basta tirare fuori il burro dal frigo una mezz’oretta prima di cominciare e siamo a posto). Adesso vi avviso che è necessario un po’ di polso: bisogna amalgamare, amalgamare e ancora amalgamare, finché non otterrete un composto bello sodo e compatto; a questo punto appiattitelo un poco, ricopritelo di pellicola e cacciatelo in frigorifero fino a quando non avrete finito di preparare il ripieno. Ora è il momento adatto per accendere il forno a circa 180° (e dico circa perché ogni forno ha la sua temperatura, per esempio il mio lo metterei a 150°), non ventilato mi raccomando. Cominciamo ad occuparci del resto: prendete una bella terrina e versateci l’uovo, lo zucchero e il solito pizzico di sale (sempre quando usate le uova, e messo direttamente sopra queste; non so perché, ma me lo diceva mia nonna, e volete voi per caso mettervi contro mia nonna?!). Dunque procedete mescolando il tutto con lo sbattitore elettrico: più sbattete il composto meglio è (il mio consiglio è di andare avanti finché non vi siete rotti le scatole, ma anche pochi minuti sono più che sufficienti!) Ora aggiungete la ricotta e amalgamate anche questa al tutto; a parte, triturate con il frullatore elettrico mandorle e amaretti e uniteli al composto. Mescolatina finale e fin qua tutto bene. Munitevi ora di una tortiera rotonda con un diametro di circa 25cm (anche più piccola va 19 bene, l’importante è che non sia più grande, altrimenti sono cavoli amari), imburratela per bene ed infarinatela altrettanto bene, quindi tirate fuori dal frigo l’impasto che avevate messo a raffreddare e con l’aiuto di una bilancia dividetelo in due parti, una leggermente più grande dell’altra (siccome sono pignolo come pochi, vi do addirittura le percentuali: 55% e 45%, con un’approssimazione fino alla terza cifra decimale) ed usate quella più grande per ricoprire il fondo della tortiera. Distribuite bene l’impasto e state attenti a ricoprire un po’ anche i bordi, perché deve contenere il ripieno che prontamente versiamo sopra, a questo punto. Rimane solo un’ultima cosa prima di infornare, cioè ricoprirla con la pasta che abbiamo tenuto da parte. È un lavoro duro ma qualcuno deve pur farlo (“Mammaaaaaaaa! Vieni a darmi una mano!”)! Si può farlo in vari modi; il mio preferito è sbriciolare la pasta con le mani (in briciole piccine picciò) e spargere il tutto alla “vai che vai bene” sopra il ripieno! Fidatevi, il risultato finale è ottimo! Oppure potete prendere un pezzettino (e sottolineo -ino) alla volta, appiattirlo e ricoprire in modo certosino il tutto, come una specie di mosaico; ma in fin dei conti potete fare come vi pare e piace che tanto viene bene uguale. Cacciate questa bellezza in forno per 45 minuti circa (per controllare se è pronta bucatela con uno stuzzicadenti, di quelli lunghi, e vedete se estraendolo resta perfettamente pulito), fatela raffreddare e prima di servirla, una bella spolveratina di zucchero a velo e il gioco è fatto! Bon appétit e alla prossima! P.S.:Mi vergogno a dirlo, ma voglio essere sincero con voi: per Natale ho regalato a mia mamma il libro di ricette di Benedetta Parodi… Sudoku 20 Giovanni Lorenzon 5°M Ok, va bene, se stai leggendo questo giornalino è ovvio che tu sia del Da Vinci. Ma ti sei mai chiesto a quale sottocategoria appartieni? Questo test ti aiuterà a scoprirlo! E’ sabato pomeriggio e lunedì c’è interrogazione di matematica. Cosa fai? Così come la domenica, non farò un bel niente! Qualche rimorso? Studio tutto il sabato e la domenica e, visto che ci sono, mi prendo avanti con tutti i compiti della settimana! Il sabato esco con gli amici, la domenica studio un po’! Si Dopo un rapido calcolo delle probabilità, ti accorgi che potresti farla franca. Studi lo stesso? No No Se però prendi un altro brutto voto, ti becchi il debito. Uhmmm.. Allora apri il libro? Sì No Sì Sì Sì No Devil-Davinciano Visto che nell’ultima interrogazione hai preso solo 9, per vendicarti vorresti fare il/la ribelle. Sicuro/a di voler ancora studiare? Ti viene in mente che quel giorno c’è la festa di compleanno del tuo migliore amico. Metti via i libri e ci vai? No Davincianus communis Davinciano modello Sei il fantasma diabolico che la Cerchi di volta in volta il giusto Studi 24 ore su 24 e sei sempre nostra davinciana preside cerca equilibrio tra studio e preparatissimo/a. Speri che per la costantemente di annientare ma divertimento in modo tale da non fine del liceo ti spuntino un altro che perdura nei secoli. A fine sacrificare mai la tua vita sociale. A paio di gambe e braccia in onore anno i tuoi quaderni sono volte prendi brutti voti ma poi li del nostro carissimo Leo. immacolati ma poco t’importa. recuperi senza problemi. Non dimenticarti, però, che là Attento, però, che trovarsi a Continua così e la tua vita ti fuori c’è un mondo tutto da studiare in estate non è certo la sorriderà . scoprire e che qualche volta cosa più ganza che ci sia. sarebbe il caso di visitare. Andrea Fadel 5° M 21 DIRETTORE: Enrico Biscaro 5 M VICE-DIRETTRICE: Giorgia Bincoletto 5 N REDAZIONE: Eleonora Porcellato 5 C Gianluca Forcolin 5 G Sara Zanatta 5 L Dario Zago 4 D Simone Bonin 4 F Sara Akreski 4 G Tommaso Campion 4 H Alessandro Marani 4 I Maria L. Piovesan 4 M Alessandro Cocco 3 F Giorgia Conte 2 B Ludovica Crosato 1 D 22 DISEGNATORI: Giulia Dugar 5 E Giorgia Cesari 5 H Chiara Amici 2 C Francesca Merlo 2 C Sebastian Grotto 2 I Silvia Paoletti 1 C Lisa Mignemi 1 H Sara Pegoraro 1 I IMPAGINATRICE: Silvia Menegon 5 E COLLABORATORI ESTERNI: Riccardo Vanin 5 B Andrea Fadel 5 M Giovanni Lorenzon 5 M Davide Pagnossin 5 M Francesca Nascimben 3 N