i casoni veneti - giuliocesaro.it

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Arte e Natura
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Paolo Tieto
a Casano
CVtnttv
Disegni di Orfeo Tamburi
Fotografie di Paolo Tieto
~ Panda Edizioni
© Copyright 1979 Panda Edizioni
Panda Edizioni, Via Ariosto, 12 - Padova
Dedicare ricerche e studi ai casoni veneti, e cioè alla fa rma più
umile e povera della casa contadina, potrebbe sembrare una facile
concessione al gusto dei tempi per l'antropologia sociale. Niente di
tutto questo, perché Paolo Tieto ha compiuto sotto un profilo rigorosamente storico e artistico questo lavoro, che ha del resto avuto
una nascita 'accademica', perché è stato oggetto di una tesi di
peifezionamento di storia dell'arte della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Firenze nell'ambito del mio insegnamento,
con la correlazione del Dott. Alessandro Guidotti e del Pro! Carlo
Cresti della Facoltà di Architettura della stessa Università.
La scelta del Tieto di studiare questo argomento deve essere
considerata anche un bell'atto di coraggio, perché non era difficile
correre il rischio di passare per un provinciale che si interessa ai
piccoli problemi, purché appartengano alla propria terra. Ancora
una volta, niente di tutto questo. Il casone veneto è un capolavoro
di architettura contadina sia dal punto di vista funzionale che
sotto l'aspetto estetico. È un colpo di fantasia, sorto in un'epoca
di crescita sociale ed economica quali furono per la campagna
veneta il Quattrocento e il Cinquecento. Il fatto che Giovanni Bellini, Giorgione e Tiziano abbiano dipinto i casoni nei paesaggi
agresti dei loro dipinti è un fatto che può essere spiegato in vari
modi e può avere numerosi significati, ma che certo comporta la
deduzione che esso nel Rinascimento rappresentava l'exemplum
della vita contadina.
Ammirando i casoni che il Tieto è riuscito a scoprire e a catalogare, si prova un senso di meraviglia e di sdegno per lo scarso
numero dei sopravvissuti, che emerge controllando i dati statistici
precedenti che l'Autore ha riportato. Tanta inconsulta distruzione
è stata determinata non soltanto dall'abbandono delle campagne
a seguito del forte processo di industrializzazione intrapreso dall'Italia, ma anche dalla scarsa coscienza della necessità di salvare
una cultura artistica, evidentemente considerata poco interessante.
Maggiore deve essere la nostra riconoscenza per le fatiche intelligenti di Paolo Tieto, e sotto un duplice profilo: scientifico e civile.
L'opera di salvaguardia che egli ha compiuto è preziosa anche
perché dai pochi ma begli esemplari di casoni rimasti possono
venire sollecitazioni e speranze per la ricostruzione di nuclei
sociali che sappiano nuovamente esprimere analoghi e non meno
elevati livelli di cultura materiale.
Maria Grazia Ciardi Duprè Dal Poggetto
Firenze, novembre 1979
«Alla ricerca, per la salvaguardia, di una tipologia abitativa
in estinzione» potrebbe essere (in omaggio all'abitudine corrente
delle lunghe titolature) lo slògan di un progranma di impegno
pubblico che chiama in causa responsabilità politiche e culturali
e approda alle immancabili manifestazioni di rito collettivo (come
convegni, giornate di incontro e studio, tavole rotonde) con la partecipazione, d'obbligo, di sociologi, economisti, antropologi, geografi, urbanisti e la collaborazione del momentaneo clamore
prodotto dalla cassa di risonanza del rotocalco e della stampa
quotidiana.
Molto più semplicemente, invece, la titolatura, proposta all'inizio, esplicita i termini dell'assunto che ha guidato l'impegno solitario e «privato» di Paolo Tieto n eli 'indagine su I Casoni veneti.
Una indagine che, istituzionalmente, si colloca nel filone
attualissimo e in sviluppo degli studi sulla cultura popolare e
materiale, restando però immune da qualsiasi suggestione di
«moda» ed evitando, anche nella restituzione editoriale, i pericoli
delle ambizioni pubblicistiche.
Del lavoro di Tieto, ancora più della serietà e del metodo,
mi piace sottolineare la dignità «artigianale» che lo distingue e
che lo rende apprezzabile come risultato di un atteggiamento che
è soprattutto testimonianza d'amore verso il problema. Un amore
- espresso con la misura di un costume e di un pudore positivamente «provinciali» - che è indice di appassionato interesse per
le memorie popolari della propria regione, nelle quali ritrovare le
connessioni più genuine fra uomo e terra, attraverso le quali
risalire al quadro ambientale come immagine del rapporto fra
cultura e natura.
Ed è proprio nell'ambito del generoso, appassionato e appassionante, diretto dialogo dell'Autore con le superstiti strutture
abitative di una superata società rurale, che trovano sfumata
soluzione anche quelle tematiche dell'indagine che avrebbero forse
richiesto l'apporto di più ampi studi specifzci e specialistici.
Merito comunque di Tieto è di aver individuato nella trascurata realtà dei Casoni delle testimonianze di valore architettonico
e aver quindi fornito un contributo importante per una maggiore
e autentica conoscenza delle tradizioni di vita nell'agro circumlagunare veneto, dimostrando, se ancora ce nefosse bisogno, come
nell'affrontare il problema dei beni culturali e ambientali sia necessario allargare lo «spettro» del concetto di « bene» in una diversa
prospettiva di valutazione e di tutela.
Carlo Cresti
Mappe, dipinti e incisioni
che testimoniano la presenza
di casolari in territorio
veneto fin dal Secolo Xvo e
casoni del nostro tempo.
Mappa delfiume Brenta nel tratto che va da Fusina a dopo Oriago, in pro~incia di Venezia. La pianta, che è del 1563, presenta accanto a tutta una serie di case efattorie anche
alcuni casoni.
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J casoni erano in passato molto numerosi pure in provincia di Rovigo. Nefafede questa
mappa di Lendinara del 1557, dove se ne scorgono alcuni lungo le rive delfiume che l'attraversa, accanto ad altre abitazioni.
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Il comune di Codevigo, ultima propaggine del territorio padovano, lambito per buon
tratto dalla laguna veneta,jigurava in passato tra i paesi con maggior nidnero di casoni.
In questa mappa del 1563 se ne rilevano diversi, sparsi un po' ovunque ai lati delle strade
del capoluogo.
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Anche ad Arzergrande si sono avutifin dal XVI secolo parecchi casoni. Lafrazione di Vallonga, che in questa mappa del 1563 ne presenta già un certo numero, figura oggi con i
suoi tre ancora esistenti (due dei quali abitati) prima fra tutti i paesi della provincia.
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GIOVANNI BELLINI (1426?-1516): La Crocifissione,
Venezia, Civico Museo Correr, (particolare ingrandito)
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Già allafine del '400 il casone presenta una sua ben precisa configurazione: muri perimetrali uniformi,fatti in muratura, tetto di canna palustre a quattro spioventi molto inclinati,
porta e balconi di piccole dimensioni.
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SEGUACE DI GIOVANNI BELLINI (sec. XV!?): San Sebastiano,
Lugano, già collezione Thyssen-Bornemisza (particolare)
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La pianta del casone è per lo più diforma rettangolare, ma talora se ne trovano anche a
base quadrata; il suo aspetto resta comunque sempre lo stesso e cioè quello d'una abitazione fatta dall'uomo con i mezzi poveri fornitigli dalla natura che gli sta intorno.
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GIORGIONE (1477-1510): Venere dormiente,
Dresda, Gemiildegalerie (particolare)
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Non sempre il casone con la sua struttura piramidale si staglia tutto solo tra il verde della
campagna; capita talora di ritrovarlo inserito tra altre costruzioni agresti: fattorie,
stalle, depositi per attrezzi agricoli.
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GIOVANNI BELLINI (1426'1-1516): Allegoria Sacra,
Firenze, Uffizi (particolare)
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Ed altre volte ancora il casone trova spazio tra casettine del pari modeste, piccole e basse;
da queste tuttavia esso differisce nettamente per la struttura del tetto e per i materiali
stessi di cui è fatto.
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TIZIANO (1490?-1576): L'amor sacro e l'amor profano,
Roma, Galleria Borghese (particolare)
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Piuttosto raro il caso del tetto a due soli spioventi in un casone; tale variante trova tuttavia esemplari anche nella pittura veneta del lontano '500.
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ANONIMO (sec. XVI?): Madonna della Misericordia,
Venezia, Sacrestia di Santa Maria Gloriosa dei Frari (particolare)
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In unafalda del tetto, quando il casone non ha il portichetto d'ingresso, si trova sempre
una specie di abbaino, una grande apertura per riporre nel sottotetto ilfieno, i pochi raccolti, i diversi attrezzi per il lavoro della terra.
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JACOPO DA PONTE detto DA BASSANO (1517-1592): La Trinità,
Angarano, Duomo (particolare)
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Quando il tempo logora il manto di copertura, ecco allora apparire le strutture portanti
del tetto del casone: le grosse travi ai quattro angoli, le atole, gli stretturi e i sottostretturi
che ne costituiscono l'orditura,
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GIANFRANCESCO COSTA (1711-1772): Veduta di Noventa,
Incisione
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Da alcuni dipinti, incisioni, mappe e altri documenti del passato appaiono numerosi i
casoni costruiti lungo le rive dei fiumi. Tale ubicazione trova giustificazione nell'importanza che avevano un tempo i corsi d'acqua come via di comunicazione e per i traffici
quindi che si effettuavano sulle loro sponde.
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GIANFRANCESCO COSTA (1711-1772): Veduta di Oriago,
Incisione (particolare)
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Accanto alla porta d'ingresso del casone, abbarbicato quasi alla rozza parete di mattoni
crudi, mai manca il rosmarino; così come poco più in là sempre si ritrovano odorose
piante che lo ricoprono di verde e d'ombra.
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GUGLIELMO CIARDI (1842-1917): Casolare nella campagna trevigiana,
Venezia, Ca' Pesaro (particolare)
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Ancor più grande e imponente appare il tetto del casone quando si profila in controluce,
tutto solo, nelvasto piano della campagna. Una singolare piramide di legno e paglia
protesa verso ['azzurro del cielo.
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CESARE LAURENTI (1854-1937): Le contadine,
Venezia, Ca' Pesaro (particolare)
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«J dispersi cason per la campagna Iti dàn l'idea di monumenti». Due soli versi del poeta
vicentino Lanesso, che dicono la grandezza e la suggestività di questa antica e singolare
abitazione rurale.
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GUGLIELMO CIARDI (1842-1917): Mattino di maggio,
Venezia, Ca' Pesaro
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Dopo la «contaminazione» della cavarzerana, il connubio con la casettina dal tetto in
laterizio segna l'ultima trasformazione del casone. Mutano gusti ed esigenze; il declino di
questa secolare abitazione è ormai segnato.
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PIETER BRUEGEL (1528?-1569): Nozze campagnole,
Vienna, Kunsthistorisches Museum
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Tra le poche e umili cose che costituiscono l'arredamento del casone, spessofigura questo
scanno, eseguito dal contadino stesso, modesto nellefattezze ma pratico efunzionale, in
peifetta armonia con la razionalità di siffatta abitazione.
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TINTO RETTO (1518-1594): Cristo in casa di Marta e Maria,
Monaco, Alte Pinakothek (particolare)
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In cucina, appesi a ganci diferro o allineati su piccole scansie, fanno spicco i «rami»,
ornamento prezioso della casa col loro scintillio, ma anche di grande e continua utilità.
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Premessa
C'erano un tempo in gran numero, nella fascia di terra dell'arco lagunare
veneto e soprattutto nelle campagne del Basso Brenta, strane abitazioni dalle
basse sagome a pianta quadrangolare e dai tetti estremamente aguzzi: erano i
casoni, le dimore d'una popolazione generalmente dedita alla coltivazione dei
campi o ad altre occupazioni ugualmente inerenti all'attività agricola. Disseminati qua e là, mimetizzati quasi nei colori della campagna, non davano sull'istante l'impressione di civili abitazioni, mentre invece al loro interno vivevano famiglie, nuclei di persone spesso anche molto numerosi. Non più così
oggi, giacché fin dai primi decenni del presente secolo si è ingaggiata una vera
guerra a questo tipo di abitazione, assurdamente considerata umiliante C), per
cui sono rarissimi gli esemplari rimasti, e sembrano questi pure destinati a
rapida scomparsa, se non si prenderanno opportuni provvedimenti per una loro
salvaguardia e conservazione. Sarebbe certo una perdita grave, poiché anche
una documentazione fotografica non direbbe mai appieno ciò che essi hanno
costituito per tante persone di campagna per lunghi secoli e tanto meno
potrebbe chiarire fino in fondo il senso più vero e i valori d'una civiltà contadina.
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T
. Un richiamo all'attenzione proprio in un momento in cui c'è la tendenza a
nv~lutare ta?te .cose de~ passato, potrà forse tornare utile anche per queste originalI costruzlOlll, che npropongono con la loro funzionalità con i loro felici
accorgimenti architettonici, con gli stessi materiali impiegati 'la necessità l'esi~en~a di conc~pire sempre la casa in funzione delle attività' e della vita chi
l abl~a, ar~olllzzata ~on l'ambiente in cui si inquadra, specchio fedele del gusto
estetIco dI una partIcolare epoca, di una economia, di una civiltà.
di
Motivazioni storiche e origini dei casoni
Non è del tutto chiaro il significato del termine casone, date le diverse
interpretazioni attribuite a questo nome C), tuttavia pare abbastanza logico ritenere non sia esso altro che la derivazione accrescitiva della parola casa, colta nel
senso etimologico più profondo di abitazione di campagna, di capanna. Tale è
infatti l'esatta traduzione del vocabolo latino casa, e al tempo in cui ancora si
parlava detta lingua si può far risalire, se pur con configurazione alquanto
diversa, il casone. Era questo infatti in epoca lontana praticamente una
capanna, uno di quei rifugi di paglia fatti dall'uomo per ripararsi dalle intemperie, per difendersi dagli animali, e solo più tardi, dopo lunghe e graduali trasformazioni, ha acquisito la configurazione mantenuta quindi fino ai nostri
giorni. Il casone è passato così da una forma conica ad una struttura rettangolare
o quadrata ed ha avuto sostituita, per una certa altezza, alla paglia, che dall'apice scendeva fino a terra, una parete in muratura. Testimonianza, in fase
mediana, di tale trasformazione si possono considerare le primitive capanne di
Grado e di Marano, nelle quali, pur non ritrovandosi ancora l'impiego del
mattone per le pareti perimetrali, si delinea già ben precisa la struttura generale
del casone, e cioè la pianta rettangolare e il tetto a quattro falde molto spioventi
Gli stessi caratteri ambientali per entrambi del resto giustificano le
affinità: territorio, più o meno prossimo alla medesima laguna, clima, vegetazione da cui trarre il materiale per l'edilizia, forme di vita, tradizioni, spiritualità. La matrice dunque del casone la si ritrova nella capanna, anche se gli eventi
storici, e di conseguenza le nuove forme di vita da essi imposte, lo hanno portato in seguito a quelle modifiche, a quegli accorgimenti, che lo hanno reso, e
nella configurazione esterna e nella strutturazione interna, tanto diverso. E ciò
non tanto per ragioni puramente estetiche o vacua ricercatezza, ma in base ad
una precisa funzionalità, cui sempre del resto i contadini hanno mirato in passato costruendo le loro case. Tale trasformazione va poi inquadrata in un
momento storico particolarmente significativo: l'acquisto di molte proprietà
terriere da parte di alcuni patrizi veneziani nella prima metà del XV secolo, proprietà che erano appartenute per l'innanzi alla nobile famiglia padovana dei
Carraresi e che la Serenissima aveva confiscato dopo la cattura e la condanna a
n.
Il casone del "messicano"
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4S
morte di Fr.ancesco Novello e dei suoi due figli Francesco III e Jacopo e). A
detto cambiamento di padroni corrisponde pure una mutazione radicale dei
sistemi di coltivazione: l'agricoltura si trasforma da coltura ad uso familiare in
coltura ~i tipo commerciale; non si produce più per il fabbisogno della famiglia,
ma per Il mercato, un mercato che acquista di giorno in giorno dimensioni
s~mpre ~ag~ior~, per cui i prodotti dei campi diventano oggetto di speculaZIOne, dI arncch1mento per i proprietari terrieri CS).
Pannocchia di granoturco
,. Contribuisc~no, intorno alla metà del Cinquecento, alla continuità e
all Incremento d1 tale mercato i nuovi tipi di coltivazione: sementi portate
d'oltre oceano che trovano qui subito largo impiego e diffusione fino a diventare ben presto i prodotti agricoli più tipici di tutta la pianura. La terra diventa
per i proprietari una vera fonte di ricchezza; si profila dunque l'esigenza di sfruttarla tutta fino in fondo. Vengono pertanto bonificate vaste zone paludose e si
~r?~v~de ad ~n sist~ma di irrigazione naturale che garantirà a lungo ottima fert1~~ta ai terremo In siffatte condizioni di singolare floridezza sorge l'esigenza di
pm .~umerosa mano d'opera; la terra chiede braccia per essere lavorata i raccoltl1mpongono di venir riposti nei granai a tempo debito. I proprietari vasti
di
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terreni e i mezzadri cercano perciò con ogni mezzo di assicurarsi nella coltivazione dei campi l'aiuto di altre persone. Il timore di situazioni di disagio nei
momenti di maggior bisogno li spinge a larghi favori nei confronti dei dipendenti, favori che hanno però un segreto fine, quello di vincolarli in maniera irreversibile. Offrono loro dunque il terreno per la costruzione d'una propria abitazione; ma poiché questo non viene ceduto con regolare contratto, come per
ogni normale acquisto, ne consegue che i proprietari legano a sè, al lavoro della
loro terra, doppiamente gli agricoltori (6).
Agevolati dall'offerta di un fondo, molti contadini pensano così alla costruzione d'una propria abitazione; ma una casa tutta in muratura è troppo
dispendiosa, più facile, da un punto di vista economico, appare invece la costruzione di un casone, di una dimora sul tipo di quelle che si trovavano sparse per
le valli e sui dossi emergenti degli acquitrini, abitate da poveri pescatori e da
nomadi C). Questa infatti richiedeva materiali meno elaborati, inoltre la mano
d'opera poteva essere prestata in gran parte dalle persone stesse destinate ad
abitarla. Sotto la guida dunque di un uomo esperto in questo tipo di costruzione, il casoniere, grandi e piccoli lavorano senza difficoltà fino a quando
l'agreste abitazione non trova compimento. La natura circostante ~iene in aiuto
offrendo a poco costo i diversi materiali necessari: argilla per i mattoni, erbe
palustri o paglia per il tetto, legname per i serramenti; la costruzione di un
casone dunque non si prospetta difficile e la lusinga d'una vita abbastanza confortevole al suo interno sprona molti a costruirselo. Le zone in cui trova maggior
diffusione sono naturalmente le campagne, soprattutto nelle vaste estensioni di
terra del Basso Brenta, quelle più prossime alla laguna; terre spesso paludose,
ma che vengono tosto bonificate da nobili proprietari, come Alvise Cornaro, o
da ordini religiosi, quali i Benedettini del monastero di S. Giustina in Padova CS). Nella povertà non manca l'orgoglio, l'ambizione, l'aspirazione a qualcosa di più funzionale e accogliente; nella semplicità non difetta il gusto, per cui
il casone si evolve, si fa stilisticamente più bello e armonico e dell'antica
capanna ben presto non serba che poche tracce, come la struttura generale e il
tetto di paglia a quattro spioventi fortemente inclinati. Ha origine praticamente
così un nuovo tipo di abitazione, una dimora che, attraverso evoluzioni, modifiche, miglioramenti, è pervenuta ad un suo ben preciso e determinato aspetto
verso il XVI-XVII secolo, configurazione destinata quindi a rimanere tale senza
più radicali cambiamenti fino ai nostri giorni.
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Il casone nella iconografia della pittura veneta
Non vi sono documenti scritti che parlino dei casoni nei lontani secoli in
cui presero consistenza ed ebbero il primo notevole incremento, tuttavia la
lacuna trova compenso nella iconografia di non pochi pittori veneti, i quali, non
appena azzurri cieli e prospettici paesaggi iniziarono a sostituire gli sfondi
dorati propri dell'arte bizantina, ritrassero ripetutamente nel contesto delle
loro tematiche più impegnate, soprattutto religiose, queste originali abitazioni.
Proprio da tali immagini, idilliche, tutte soffuse di atmosfere rarefatte e di
chiara poesia, appare ben precisa la dimensione estetica del casone , costruzione
sapientemente armonizzata con i tenui profili della natura e in perfetta sintonia
con i suoi stessi colori.
Di certo i pittori della rinascenza veneto-italiana, e quanti li seguirono poi,
sensibili alle bellezze paesaggistiche della loro coloritissima terra, dovettero
considerare l'esistenza umana inscindibile dal contesto naturale in cui essa è
inserita, cosicché gli scorci di amene campagne, ripresi per i fondali delle loro
soavi Madonne o per i delicati nudi femminili, non potevano essere concepiti
senza quanto costituisce il simbolo della vita umana: la casa. E tra le tante
costruzioni, talora svettanti sulla cima di un colle, dalle ardite torri stagliate nell'azzurro del cielo o inghirlandate di merli e ballatoi, il casone è quella che più,
si può affermare, ha attirato l'attenzione e l'interesse dei pittori veneti. Ciò non
solo in considerazione del fatto che questa era l'unica vera dimora di chi maggiormente aveva continuo e diretto contatto con la terra, parte prima, essenziale, della natura, ma anche perché il casone esercitava tutto un suo fascino ,
presentava una sua idealità, una sua bellezza, che sul piano estetico non potevano essere trascurate da chi della creatività artistica figurativa è interprete per
eccellenza.
L'artista più lontano nel tempo a darcene testimonianza par essere Giovanni Bellini. In una sua opera giovanile, La Crocifissione del Museo Correr di
Venezia, egli raffigura un primo casone, tra il verde d'una rigogliosa pianura solcata da un largo rivo azzurro. Pur nelle ridottissime misure, a livello si può
dire di miniatura, l'abitazione appare chiara e precisa nella sua tipica configurazione: è l'aspetto ultimo ormai del casone, destinato a ripetersi quasi del tutto
malterato nei secoli successivi fino ai nostri giorni. E riprende ancora questa originale abitazione, il grande maestro veneziano, nell' Allegoria Sacra degli Uffizi,
quindi nella Madonna col Bambino di Brera, dove anzi ha preminenza assoluta
sulle altre costruzioni con una collocazione di primissimo piano.
Così Giorgione, che nella celebre Venere Dormiente di Dresda colloca, un
po' stranamente, il casone su una lieve altura, unito ad altre rustiche abitazioni
d'impronta diversa. E sembra qui leggermente idealizzato nelle velature del
colore, quasi che l'autore volesse nobilitarne i rigidi tratti architettonici. In
verità tale insieme paesaggistico è il medesimo che il grande Tiziano ha dipinto
nel Noli me tangere della National Gallery di Londra, solo con qualche sottile
variante, e riproposto ancora dallo stesso maestro cadorino, questa volta però
alla rovescia, nell' Amor Sacro e Amor Profano della Galleria Borghese di Roma.
Una insistenza significativa questa, che induce a credere come tali costruzioni
esercitassero una profonda suggestione nell'estro creativo dei pittori di quel
tempo. Incanto a cui non seppero sottrarsi del resto neppure gli allievi. Basterà
citarne uno per tutti: l'ignoto belliniano autore del San Sebastiano già della collezione Thyssen-Bornemisza di Lugano, il quale ha dipinto, alle spalle del giovinetto martire, un casone tutto solo, staccato dal contesto d'un piccolo abitato,
posto alquanto più in là.
Testimonianze espressive di abitazioni campestri ci sono state lasciate
ancora, nel primo '500, dai pittori Marco Basaiti e Girolamo dai Libri. Del
primo infatti si hanno dei casolari dal tetto di paglia sullo sfondo del dipinto La
vocazione dei figli di Zebedeo del Kunsthistorisches Museum di Vienna, mentre
il secondo ha inserito un meraviglioso casone tra le abitazioni di una prospettica
via nel Presepio dei conigli del museo di Castelvecchio di Verona ed un altro
ancora nel paesaggio di sinistra della pala della Madonna della Quercia della
stessa raccolta.
Ma quello che più d'ogni altro ha dato nel XVI secolo una testimonianza
oltremodo significativa di questa dimora è senza dubbio Jacopo da Ponte. Nel
suo dipinto La Trinità, nel Duomo di Angarano, l'artista bassanese ha riprodotto infatti un casone con il tetto in parte scoperto per l'usura della paglia;
vuoto che lascia scorgere ampiamente la travatura interna. Tale attestazione
permette di dedurre che la tecnica costruttiva del tetto di allora non era per
nulla diversa da quella adottata fino agli inizi del presente secolo, quando si
costruirono gli ultimi casoni, ed era cioè basata su una intelaiatura di pali, atole,
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in cui si inserivano poi i mannelli di canne palustri o di paglia; trama improntata
a reticolo rettangolare, costituito dall'unione di pali in direzione della pendenza
delle falde e parallelamente alla linea di gronda.
Se tanta considerazione ebbe il casone nei pittori del Quattro e del Cinquecento, non minor apprezzamento esso trovò fra gli artisti del XVII e XVIII secolo.
Solo che, venuta meno in quest'epoca la grande pittura che coincise col periodo
aureo della Serenissima, e diffusosi inoltre l'uso dell'incisione, il mezzo più idoneo per rappresentare il paesaggio divenne la stampa. I capolavori degli stessi
grandi maestri vennero ripresi da esperti incisori, i quali però non poche volte si
cimentarono anche con disegni originali propri, cogliendo ora piazze e monumenti delle maggiori città ora aspetti diversi della natura e scorci campestri.
Costituirono così ancora una volta motivo di attenzione i casoni, i quali, riproposti in tale variante, continuarono la loro documentazione iconografica. Nella
ricca raccolta di stampe del Museo Correr di Venezia ve ne sono parecchie che
riportano casoni, spesso a firma anche di pittori prestigiosi, come Marco Ricci,
Giovanni Volpato, Francesco Zuccarelli, Bortoluzzi, Zocchi. Ma fra i tanti,
quello forse che maggiormente avvinse in tale periodo siffatta abitazione fu
G.F. Costa, il quale nella ricca serie di immagini colte lungo il corso del fiume
Brenta C) la riportò con tanta insistenza e tanto scrupolosa precisione in ogni
minimo dettaglio da lasciarcene una testimonianza a livello veramente documentaristico.
E tornano ancora coloritissimi i casoni con Francesco Guardi, che ne ha
proposto uno nelle Storie di To bio lo, nella chiesa dell' Arcangelo Raffaele di
Venezia, e più tardi, superato l'accademismo del primo '800, con Guglielmo
Ciardi, il quale li raffigurò ora nei caratteri più tipici del loro tradizionale aspetto
ora in simbiosi con casettine rurali a due piani dal tetto ricoperto di normali
tegole. Inizio di un gusto e di una tendenza nuovi che avrebbero presto avuto il
sapravvento sul radicato costume pluricentenario di vivere in abitazioni fatte di
materiali primitivi, quali i mattoni cotti al sole, le arelle, la canna palustre, la
paglia. E da ultimo Cesare Laurenti, che nel dipinto Le contadine di Cà Pesaro a
Venezia ne ha rappresentato uno sullo sfondo a grandi dimensioni, quasi a
voler sottolineare, in fase ormai di declino, l'importanza storica di questa abitazione per tanta parte della popolazione della campagna veneta, in un arco di
tempo di oltre mezzo millennio.
Si chiude in effetti con quest'ultimo la lunga serie dei grandi pittori che
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riportarono nelle loro opere il casone, dei grandi maestri che vollero ripetutamente questa originale dimora come protagonista, maggiore o minore, dell'arte
pittorica. Tuttavia ancora ai nostri giorni i pochi casoni rimasti incuriosiscono e
spingono sovente gli appassionati della tavolozza a riprodurli nelle loro tele,
cosicchè, anche se a livelli ben diversi, l'antica tradizione continua.
CaSOl1e
COI1
abbainI!
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Come si costruiva un casone
Non c'era una tipologia unica nella costruzione del casone, anche se la
pianta abitualmente appare a forma rettangolare o (ma meno frequente) quadrata; così diversi erano i materiali usati per la sua costruzione, a seconda dei
tempi e delle disponibilità economiche del proprietario. Costanti si presentano
invece i tratti architettonici generali, l'ubicazione delle stanze, disposte su di un
unico piano, il pianterreno, la forte penden~a del tetto, le dimensioni assai
ridotte dei "fori". Tutta la parte perimetrale del casone, per un'altezza di circa
due metri, due metri e mezzo, veniva costruita in muratura; va però fatta distinzione per quanto riguarda il materiale d'impiego, giacchè in alcuni casoni dette
pareti figurano di normali mattoni preparati in fornace, mentre in altri sono di
mattoni crudi o meglio cotti al sole. Questi ultimi venivano usati generalmente
da quanti versavano in particolari ristrettezze economiche, i quali, nell'intento
di risparmiare quanto più possibile, se li preparavano con sistemi un po' rudimentali essi stessi. La tecnica era molto semplice e il costo praticamente irrilevante. Recuperata dell'argilla nel proprio fondo o in quello di vicini, veniva
impastata mediante pigiatura con dell'acqua. Ottenutane una poltiglia di media
durezza, la si riversava in appositi stampi di legno a forma di parallelepipedo, i
quali venivano poi esposti al sole fino alla solidificazione del contenuto. I mattoni così ottenuti, anche se un po' rozzi e ineguali, si prestavano ottimamente
alla costruzione delle pareti perimetrali, nonchè delle fondamenta, che erano
poco profonde e talvolta addirittura inesistenti, data la limitata altezza della
parte abitabile del casone e la sua stessa leggerezza. Raramente invece tali mattoni venivano impiegati per i divisori interni; questi erano infatti per lo più
costruiti con graticci, sostenuti da una intelaiatura di pali e ricoperti d'uno
strato di argilla, dipinta quindi di bianco. Non aveva scopo del resto qui una
robusta muratura, dal momento che il tetto poggiava esclusivamente sui muri
esterni.
Anche all'interno il casone manca di una tipologia precisa, tuttavia due si
possono considerare i modelli fondamentali: il primo si identifica con la ripartizione in due o quattro stanze disposte parallelamente sui lati d'un lungo e
stretto corridoio d'ingresso; il secondo, e questo è il caso più frequente e più
tipico, presenta sulla facciata un piccolo portico dal quale si dipartono diverse
porte che immettono nella cucina e nelle stanze da letto. Detto portico in passato aveva una particolare e precisa funzionalità: permetteva agli abitanti del
casone di accudire a determinati lavori al riparo dalle intemperie e nello stesso
tempo all'aria aperta. Lo si ritrova sempre infatti rivolto a mezzogiorno, in
modo da offrire protezione dalla pioggia e dal vento di tramontana eO). Non è
facile, per tale ragione, trovare un casone che non abbia la facciata rivolta a sud;
identica direzione della cucina, a causa delle faville che fuoriuscivano dal camino, allorchè si bruciavano i ramoscelli raccolti lungo i fossati o le canne secche
del granoturco,jrasche e canoti (11). Il camino dunque era sempre posto sottovento, un po' distanziato dal casone vero e proprio, ultima propaggine di una
specie di abside, detta cavarzerana, che, sempre per motivi precauzionali di
sicurezza, era ricoperta di tegole (12).
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Gruppo di cmoni nella baJJa padovana
53
52
il tetto di steli disseccati di grano, mentre per la stragrande maggioranza erano
ricoperti di canne palustri.
L'orditura del tetto era una delle operazioni piu' difficili e complesse da
compiere, per tale ragione era questo compito specifico di una persona particolarmente competente: il casoniere. Si iniziava con la travatura principale, costituita da quattro grossi tronchi d'albero ben squadrati, che partendo dai quattro
angoli della muratura si univano in alto a due a due ed erano quindi congiunti,
sempre alla sommità, da altra grossa trave detta appunto di colmo o co 1m egna.
Segnati in tal modo i quattro spioventi, triangolari i due ai lati e trapezoidali
quelli dei due fronti, venivano fissati (col filo zincato o con rami di salice viminario, stropei) numerosissimi altri pali più sottili, detti perteghe o atole, in direzione della pendenza delle falde e parallelamente alla linea di gronda; i primi
avevano una distanza di quaranta-cinquanta centimetri l'uno dall'altro, i
secondi un poco meno. Fatti quindi dei mannelli di canna palustre, venivano
infilati con una rastrella nell'intelaiatura di stretturi e sottostretturi, partendo dal
basso e pareggiati infine con una piccola roncola chiamata messora. La parte
terminale superiore era fissata talvolta da erbe palustri strettamente intrecciate
in una forma aguzza, decorata da due corna oppure da due croci lobate, altre
volte invece da una doppia fila di tegole, copara. Essa aveva una duplice funzione e cioè: tenere unite le canne sul punto di congiunzione, far scivolare via
l'acqua là dove più facilmente la pioggia poteva concentrarsi e quindi penetrare
all'interno. Le piante usate a questo scopo, il trangiaro, il cannello e la pavèra,
venivano raccolte negli aquitrini o fossati della campagna e nella vicina laguna,
dove crescevano abbondantemente senza cura alcuna da parte dell'uomo. Oltre
a questi usi servivano, se canne sottili a fare stuoie, se invece erbe a fare legacci,
grisoe e sbalzi; entrambi poi venivano esportati dappertutto, tan.to da costituire
una delle tante risorse economiche più redditizie di questa terra tanto povera.
Per tale ragione si vedevano numerose persone venire spesso dalle località summenzionate con grandi fasci di erbe caricati sui portapacchi di vecchie biciclette
o su grandi carriole.
C'era di frequente in una falda del coperto, e lo si ritrova ancora oggi in
alcuni casoni superstiti, una specie di abbaino, un'ampia apertura che serviva a
porre nel sottotetto, teza, il fieno destinato ai pochi animali della stalla nel lungo
periodo invernale. Introdotto attraverso detta apertura, il foraggio veniva poi
somministrato agli animali direttamente mediante un foro praticato nel solaio,
S6
in direzione della stalla; si evitava così di sporcare gli ambienti destinati ad abitazione, stanze che, anche se povere nell'arredamento e nelle suppellettili,
erano tenute sempre con grande ordine e lindezza. Quando mancava l'abbaino,
portava al sottotetto una breve scala a pioli o a gradini fissi di legno; si trovava
nel portichetto d'ingresso, per cui anche in questo caso i locali d'abitazione
rimanevano estranei ad ogni forma di attività lavorativa.
CaJone ne! jJioveJe
Tutto era minuto nel casone, perciò sottostavano a tale legge anche i balconi,
i quali, oltre che per ragioni estetiche, erano tenuti piccoli proprio per una precisa funzionalità. D'estate, date le limitate dimensioni (cm. 40x60 circa) C9 ),
non permettevano ai raggi solari di entrare troppo abbondanti, e così il casone si
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manteneva fresco; d'inverno poi osteggiavano la dispersione del poco calore
interno, per cui la temperatura era sempre in ogni stanza quanto meno mite.
Nella buona stagione i davanzali dei balconi che davano sul cortile principale o sulla strada erano colmi di fiori, soprattutto geranei, che con la loro ricca
vegetazione coprivano quasi interamente le finestre. Ciuffi di colori dai toni
brillanti, su pareti uniformi, fresche di calce, quasi a voler conferire alla
modesta abitazione un carattere di grazia, di distinta beltà.
Non così invece per i pavimenti, i quali erano per lo più in terra battuta e
quindi davano un senso di vera povertà; inoltre, al momento del disgelo, essi
perdevano talvolta la loro compattezza e divenivano lievemente ondulati. Si
vuole che molti li tenessero tali perchè d'estate favorivano una maggior freschezza ed ancora perchè chi viveva dei frutti della terra doveva anche in casa
tener vivo il contatto con la terra. Nei casoni più ricchi (pochi comunque) la
pavimentazione era fatta di mattonelle rettangolari in cotto rosso, tavee, che
erano tenute sempre ben lavate e lucidate.
Molto semplici erano anche i solai, i quali, non essendo generalmente
intonacati, lasciavano scorgere grosse travi di legno perfettamente allineate ed
equidistanti, a sostegno di larghe tavole che formavano soffitto per le stanze ed
insieme pavimento per il sottotetto.
Una delle componenti più significative del casone era costituita indubbiamente dal focolare; esso si trovava in origine al centro della costruzione, senza
alcun condotto per l'uscita del fumo, che si liberava pertanto attraverso le fessure, le porte e le finestre aperte, o si perdeva tra le canne del tetto. Più tardi però il
suo perfezionamento e soprattutto l'esigenza d'una cappa che potesse raccogliere fumo e vapori, richiesero uno spostamento verso una parete perimetrale
della casa. Poiché presentava difficoltà perforare il tetto di paglia ed inoltre
era indispensabile tenere il camino lontano il più possibile dalla copertura per
evitare incendi che potevano essere causati dallo sprigionamento delle faville, si
pensò di crearvi un'appendice, quella specie di abside di cui si è fatto cenno, in
tutta muratura e ricoperta di tegole, orientata verso mezzogiorno, in modo che i
venti del nord potessero allontanare la faville dal tetto CO). Tale aggiunta conferì
al casone un aspetto alquanto diverso rispetto a quello originario, soprattutto
per effetto del camino che, con la canna sporgente dal filo esterno del muro e il
comignolo laboriosamente studiato in modo di permettere una facile uscita del
fumo e impedire insieme l'intrusione di acque piovane all'interno, divenne un
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nuovo elemento caratterizzante di questo particolare tipo di abitazione. In analogia alla costruzione della cucina, vi furono poi certuni i quali addossarono al
casone una seconda e talvolta una terza stanzetta, da adibire per lo più a camera
da letto per i figli, che aumentavano di numero con notevole frequenza allora in
tutte le famiglie dei contadini. Si ebbero così abitazioni in cui ai caratteri più
distintivi del casone, come il tetto, se ne aggiunsero altri che erano più propri
invece delle piccole case rurali o anche frutto di nuova creatività Cl). Tali
aggiunte portarono a volte, per la grande indigenza delle famiglie che vi abitavano, a dimore di estremo squallore, ma altre volte anche ad abitazioni assai
piacevoli, in quanto concentravano un po' tutti gli aspetti della edilizia minore
contadina. Indice questo anche di una ricerca, di un gusto, di un'aspirazione e
di una tendenza a crescente miglioramento.
C"a·varzerana e camino di l)(!cchio CClSOnt
59
tratto verso il centro della stanza, stava la grande cappa, che convogliava il fumo
della ancor umida legna, posta ad ardere a fastelli o a ceppi, e i vapori emanati
dalle pentole. Le girava intorno una cimasa che faceva da supporto a tutta una
serie di cuccume e vasetti in rame lavorato e corona ad una catena in ferro dai
robusti anelli circolari, alla fine della quale veniva appeso un paiolo per la
polenta 3 ).
L'arredamento
Nei pochi casoni rimasti l'arredamento non è più quello di un tempo; il
progresso e le nuove tendenze per mobili e suppellettili di «serie» hanno
indotto gli abitatori di queste antiche dimore a radicali cambiamenti. Vi si possono tuttavia notare ancor oggi elementi di notevole interesse, assai significativi
per la comprensione di un gusto e di una razionalità che dovevano collimare
con la limitata disponibilità di mezzi economici e con una particolare ristrettezza di spazi.
Il portichetto d'ingresso non aveva di solito mobili, ma soltanto qualche
sgabello di legno. Costruiti rozzamente, con un pezzo di tavola per lo più rettangolare (ma qualche volta anche quadrata o circolare) e quattro gambe
rotonde ben levigate, questi scanni parevano ricordare quelli di tanti dipinti del
Quattro-Cinquecento, soprattutto del Beato Angelico (v. Annunciazione di San
Marco, Ultima cena, Pala di San Marco, ecc.) e più ancora quelli di Pieter Bruegel (v. Nozze campagnole del Kunsthistorisches Museum di Vienna). Di questi
certamente avevano la sobrietà, o meglio la povertà, e la grande praticità. Si
potevano infatti spostare facilmente da una parte all'altra in modo da farli aderire alle esigenze di un lavoro eseguito in unione ad altri, tenere all'aperto per le
conversazioni con i vicini, in particolare nelle calde serate estive, o ancora inserire nella stalla per la mungi tura delle mucche e in cucina in aggiunta alle normali sedie. Non erano artigiani specializzati a costruirli, ma i contadini stessi, i
quali badavano principalmente alla loro robustezza e solo in casi eccezionali si
preoccupavano di renderli più piacevoli con qualche decorazione.
In cucina la componente dominante era data dal grande focolare, posto in
una specie di abside, il quale mai presentava ricchezza di materiali, ma
aveva in compenso eleganza di linee e sobria maestosità. Era addossato ad una
parete, di cui occupava quasi l'intera superficie, con ai lati due piccole finestre
che, oltre a rischiarare di tenue luce la stanza, ne completavano in un certo
senso la struttura architettonica (22). La base, rola, per lo più a forma rettangolare, aveva al centro, sulla parte anteriore, un incavo con un contenitore per la
legna e tutto intorno presentava una sporgenza, a mo' di cornice, che la alleggeriva e rendeva più aggraziata. Appoggiata a due paraste e protesa per buon
e
Paiolo per la jJolenta
I
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i
I
I
Altri oggetti che facevano spicco sul focolare erano le molle, per spostare i
tizzoni o prendere brace da porre negli scaldini o nella/ogara, e l'alare, denominato con termine dialettale trapiè, per la sua sagoma caratterizzata da tre piccole
gambe di ferro forgiato con fantasia ed estro che rivelavano la sensibilità e il
gusto dell'artigiano che l'aveva eseguito.
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61
Accanto al piccolo acquaio, seciaro, sostenuti da ganci di metallo, scintillavano di riflessi ramati due o tre secchi per l'acqua e, sopra questi, in ordinate
scansie, alcune teglie di diversa grandezza e utensili vari da cucina dello stesso
metallo.
C'era sempre in tutti una grande ambizione di tenere puliti e lucenti questi
«rami », perciò si strofinavano abbastanza spesso con della sabbia, con aceto o
con limone. D'estate però, quando l'uva stava per maturare, l'operazione di
ripulitura veniva compiuta con il succo di acini acerbi. Le suppellettili allora
splendevano come oro, conferendo all'ambiente un tono particolarmente accogliente, di delicata finezza, semplice e aristocratico insieme, come negli interni
di talune tele del Tintoretto (v. Cristo in casa di Marta e Maria della Alte Pinakothek di Monaco).
Al centro della cucina c'era sempre una tavola rettangolare, con tutt'intorno infilate sotto delle sedie, o meglio, come le chiama la gente veneta, careghe. Esprime bene l'etimologia greca di questo termine, Kathedra, l'aspetto particolare di questo tipo di seggiola. Di struttura massiccia, con lo schienale piuttosto elevato, essa dà veramente l'impressione di un piccolo trono, anche se poi
a ridimensionarne il carattere stanno i rozzi materiali d'impiego: ruvido e mal
sagomato legno per la struttura portante, erbe palustri, caresin, per l'impagliatura. Un nitido esemplare, anche se alquanto più raffinato per conformità
all'ambiente in cui è inserito, è riscontrabile nell' Annunciazione del Santuario
delle Grazie di Piove, opera di artista veneto datata 1649.
Addossata alla parete di fondo c'era poi una madia, burata, che serviva a
deposito dei viveri e soprattutto della farina di granoturco, giacché la polenta
era il nutrimento principale della gente di campagna. La forma di questo
mobile era piuttosto misurata: lineare di fronte, con due brevi rientranze alle
estremità, e ciò per una esigenza di praticità, per non ingombrare troppo la piccola cucina. Sopra questa non mancava mai qualche piccolo oggetto di abbellimento, un vas etto in ceramica o qualche piattino di peltro, e il lume a petrolio,
canfin, che a sera veniva acceso e posto in mezzo alla tavola per illuminare la
stanza. Nei casoni più ricchi però la cucina era fornita di una vera e propria
lumi era, appesa al centro del soffitto, la quale, per sfarzo e ricchezza di decorazioni, richiamava certi lampadari che si vedono in taluni quadri celebri di epoca
passata.
Anche nelle stanze da letto i mobili erano assai limitati. Dominava l'am-
62
biente un grande giaciglio che aveva talvolta la testiera di legno o ferro battuto e
altre volte non presentava nulla alle estremità, poggiando i materassi su alcune
tavole sostenute da due cavalletti. In entrambi i casi comunque ci si coricava su
pagIiericci o meglio su sacconi, paioni, riempiti di foglie secche di granoturco,
scartossi. Era norma che i teli di detti materassi fossero di tessuto grezzo a quadretti bianchi e azzurri, mai d'altro colore. Presentavano al centro, a distanza
d'un terzo in direzione longitudinale, due aperture che permettevano di infilare
le braccia e rimuovere ogni mattina i cartocci al fine di rendere il materasso più
soffice. Tutto veniva eseguito in casa; solo quando il letto era in ferro battuto o
di legno e presentava pertanto un certo carattere stilistico o degli intagli decorativi, era opera di vero artigianato, cioè di fabbri e falegnami,javari e marangoni,
che operavano numerosi in zona. Se la famiglia era povera, nella stanza da letto
non vi erano altri mobili, ed allora i vestiti venivano appoggiati su una sedia o su
delle scansie, se godeva invece di una certa agiatezza economica, allora di fronte
al letto c'era un armadio-guardaroba oppure un cassettone, comò, che spesso
era sormontato da una piccola specchiera. Questi due mobili erano molto semplici, sempre per esigenze di spazio, tuttavia presentavano una loro piacevolezza sia per la straordinaria linearità sia per la ricercatezza dei legni di cui erano
fatti (noce, ciliegio, pero ed altri, tratti spesso da alberi piantati appositamente
vicino alla casa). La specchiera era inquadrata in una leggera cornice lignea,
sostenuta a sua volta da due esili colonnine che ne permettevano la diversa
inclinazione. Sotto, un minuscolo tiretto per gli aggeggi da tolétta.
Mai mancava sopra la testiera del letto un'immagine sacra: un volto di
Cristo o della Vergine o, più spesso ancora, una Sacra Famiglia; stampe di gusto
popolare, dai colori vivaci, dove i tratti divini venivano umanizzati con espressioni di esagerata drammaticità, o Maria appariva intenta ad educare il figlio
Gesù e Giuseppe era dedito al lavoro di falegname. Più interessante di solito era
l'acquasantiera posta al lato estremo della testi era del letto, pièta dell'acqua
santa, una minuscola conchiglia sostenuta, il più delle volte, da un angelo in
volo o dal mezzobusto del santo di cui si portava il nome. Costituiva l'ornamento più delicato della stanza e nel contempo il simbolo d'una religiosità tanto
sentita e tanto diffusa tra la gente di queste campagne. Se non rappresentava
nulla come fatto artigianale locale, poteva considerarsi l'emblema d'un gusto e
d'una sensibilità estetica degli abitanti della casa; nella vasta gamma infatti di
questi oggetti di pietà, la scelta propendeva ora per il vistoso e ora per il mode-
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sto, ora per l'appariscente e ora per il molto semplice, non poche volte però
andava a veri gioiellini in ceramica smaltata dal sapore robbiano o quanto meno
di ispirazione classico-rinascimentale.
A sottolineare quasi il carattere intimo della camera da letto, qui le finestre
avevano le tende. Erano di rete, lavorate a mano, con grandi figure di fiori o animali stilizzati, oppure di lino con inserito qualche pizzo e decorate tutt'intorno
con ricami a mano a tinta unica, bianco o «ecrù ».
Mai pendeva dal soffitto in detta stanza una lumiera; per la sua illuminazione ci si serviva esclusivamente di candele infilate in piccoli candelieri di
metallo o di lumi a olio o a petrolio a mano che, accesi in cucina, venivano poi
posti sopra il cassettone o un comodino. Questi canfini erano di diverse forme e
colori, opachi e morbidi talora come giade, diafani e luminosi altre volte come
gemme preziose. La loro provenienza era evidente: Murano, la non lontana
isola dell'estuario veneziano. Spesso per la loro raffinatezza ed eleganza fungevano anche da soprammobili, e così di giorno si tenevano nell'ambiente più
importante della casa, sopra un mobile di particolare riguardo.
Lumi a petrolio in vetro
Rarissime volte nel casone c'era una stanza adibita a tinello; solo poche
famiglie potevano permettersi un tale lusso, giacchè il numero molto spesso
piuttosto rilevante dei componenti la famiglia, otto-dieci figli, non consentiva
di sacrificare tutta una intera stanza ad un uso troppo raro. Quando c'era
64
comunque il tinello, non era mai sfarzoso, ma contenuto nell'arredamento e
molto sobrio. Con il tavolo centrale vi erano quattro o sei sedie, non come
quelle della cucina, ma più elaborate e curate nella esecuzione, per cui venivano chiamate non più careghe ma careghini. La finezza stessa del termine può
far bene intendere come quest'ultimi presentassero una strutturazione più
equilibrata ed una linea maggiormente addolcita. Erano infatti impostati su
flessuose curvature che, non solo favorivano la posizione di sedentarietà, ma
presentavano una grazia ed una leggerezza da renderli assai più piacevoli di
ogni altro tipo di sedia. Nel tinello non mancava mai una credenza con vetrina
ed era anzi proprio quest'ultima il centro dell'attenzione dell'ambiente. La
vetrina aveva talvolta (e questo soprattutto nel primo '900) vetri smerigliati con
decorazioni floreali agli angoli di gusto liberty, ma più spesso, e sempre in
epoca precedente a quest'ultimo secolo, i vetri erano al naturale, per cui lasciavano intravedere quanto stava ordinatamente allineato all'interno stesso.
C'erano tazzine da caffè in porcellana (destinate soltanto agli ospiti di riguardo),
bicchierini da liquore in cristallo, coppe per il vino con relativa caraffa, una
oliera ed altri piccoli oggetti, spesso inservibili, che venivano tuttavia lì custoditi
con atavico spirito di conservazione. Talvolta facevano spicco anche una zuppiera, piadena, e qualche piatto,jondina, in ceramica decorata. Era ambizione
comune avere un servizio da tavola di tal genere, per cui, quando i mezzi lo permettevano, ogni famiglia vedeva di procurarselo. C'erano cosÌ, a seconda delle
diverse epoche, piatti decorati con sottili greche, con fiori o altre ornamentazioni, con paesaggi e velieri di sapore fiabesco. Questi ultimi erano abitualmente ad un unico colore e cioè «blu» o «marron ».
Se in cucina affascinava lo scintillio dei rami, in tinello incantavano le
tematiche dei quadri. Non che fossero dipinti pregiati, tutt'altro, erano incisioni
o più spesso stampe o modeste oleografie, incorniciate con sottili assicelle, ma
attiravano l'attenzione e l'interesse per i temi illustrati. Nelle incisioni erano
ricorrenti le piazze e le basiliche più famose delle diverse città italiane; nelle
stampe invece si ritrovavano spesso immagini di innamorati, romanticamente
colte in momenti di gioia o di disarmonia, o figure allegoriche dalle interpretazioni emblematiche o di carattere moraleggiante. Una emergeva su tutte e la si
ritrovava con notevole frequenza: rappresentava una scala ascendente e quindi
discendente, con una figura umana su ogni gradino; simboleggiavano nelle loro
dieci tappe decennali tutto l'arco della vita, dalla nascita ai novant'anni. Si
6S
vedeva sul primo gradino un neonato nella culla, quindi nel secondo un ragazzetto che giocava con il cerchio, poi un giovanotto in divisa militare, e di seguito
lo stesso il giorno delle nozze, e via via fin verso la fine, quando l'uomo canuto
appariva appoggiato ad un bastone e, all'ultimo gradino, stava seduto su una
sedia, tutto ricurvo in avanti con la testa che gli pendeva quasi fino alle ginocchia.
Altri quadri qui collocati potevano essere lavori ritagliati sulla carta e forati,
a mo' di rilievo, con spillo, oppure ricamj a mano dai vivacissimi colori raffiguranti fiori o uccelli, debitamente incorniciati, qualche immagine sacra, ricordo
di un lontano avvenimento religioso (prima comunione, cresima, ecc.) e i
famosi ritratti. Il «mezzo busto» a grandi dimensioni di persone scomparse, i
gruppi di famiglia, le foto dei figli a uno-due anni col vestitino d'occasione costituivano sempre uno dei coefficienti di maggior interesse e curiosità di ordine
decorativo della casa e in particolare di questa stanza C4 ).
Guardando quelle immagini gli abitanti del casone non solo provavano il
piacere che può dare un quadro appeso alle pareti come elemento ornamentale
della stanza, ma riflettevano pure su certi aspetti di un'etica che non avevano
certamente potuto apprendere a scuola (l'analfabetismo fino al primo Novecento era quasi totale nelle campagne venete), ma che si imponeva come esigenza d'una vita tanto personale quanto sociale.
Molto raramente i casoni erano adibiti a esercizio pubblico, tuttavia
qualche volta, oltre a quella di abitazione, avevano anche questa funzione.
Potevano fungere da osteria o da negozio di generi alimentari, là dove si trovava
un piccolo insediamento umano, lontano dal paese o da altro più consistente
centro abitato. N e fanno testimonianza foto e citazioni attendibilissime CS).
Anche qui l'arredamento, come è ovvio pensare, era molto modesto e ispirato
alla massima praticità. Nel caso dell'osteria, che si riduceva a non più di una
modesta stanza, c'era un piccolo banco che faceva da supporto a qualche« boccale» di ferro smaltato, bianco all'interno e «blu» esternamente, per i diversi
tipi di vino; dietro a questo stava una breve scansia dove trovavano posto, allineati in bell'ordine, recipienti di vetro da misurazione, un litro, mezzo litro, un
quarto, alcuni bicchieri e due-tre vassoi smaltati come i boccali, che erano chiamati con tono aristocratico« guantiere ». Qualche rozzo tavolo con careghe per i
«giocatori di carte» (del tipo del celebre dipinto di Cézanne al museo del
Louvre a Parigi) o per quattro dacole, ché a sera, dopo una lunga giornata di
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lavoro, i contadini amano commentare i fatti del giorno o scambiarsi impressioni e consigli sulle loro attività agresti. Se c'era qualche quadro appeso alle
pareti, erano le solite stampe oleografiche con scene che ironizzavano su presunti difetti femminili o raffiguravano immagini di caccia e scorci campestri.
Anche nel negozio di generi alimentari l'arredamento era tutto minuto e
ridotto all'indispensabile. C'era un piccolo banco, rigidamente squadrato come
un parallelepipedo in direzione orizzontale, senza modanature o altri elementi
decorativi, tutto chiuso, tranne che dal lato interno, da dove appunto il droghiere, casolin, tirava fuori un'infinità di cose. I generi alimentari di maggior
pregio stavano nei cassetti d'un grande mobile, piatto e uniforme come il
banco, cassetti che, presentando un ovale in vetro sulla facciata esterna, lasciavano vedere i diversi tipi di pasta collocati all'interno. La bilancia, posta sempre
sopra il banco, era formata da due piatti di metallo: su uno si metteva la merce
da pesare, sull'altro uno o più pesi corrispondenti alla misurazione voluta.
D.T.
Piccolo" canfin" in ceramica
Un acre odore di petrolio impregnava l'atmosfera e gli stessi generi di consumo; proveniva da un grande recipiente, posto in un angolo, cui il droghiere
attingeva con notevole assiduità. Tale prodotto infatti era richiesto ancor più
della pasta e del riso, in quanto il mezzo di più frequente impiego nell'illuminazione delle stanze. Solo in pochissimi casoni c'era l'energia elettrica, introdotta
molto tardi, mai prima comunque dell'ultimo conflitto mondiale. Il petrolio
pertanto e le candele rischiaravano nelle lunghe sere invernali la cucina dei
casoni. A quella tenue luce palpitava di vita e d'amore tutta una famiglia, le
numerose persone che in queste strane, originali, ma anche tanto ricche di
calore umano, abitazioni vivevano, trascorrevano tanta parte della loro vita.
67
Vita aH'interno del casone
Nella buona stagione coloro che abitavano nel casone, come del resto in
genere quanti lavorano la terra, trascorrevano la maggior parte della giornata
nei campi, dediti alla coltivazione dei diversi prodotti agricoli; ma quando s'approssimava l'uggioso periodo delle piogge e per tutto l'inverno, essi vivevano
rinchiusi in casa. La sola stanza in grado di accogliere l'intero nucleo familiare
era la cucina, quindi questa soltanto veniva riscaldata. Ad accendere il fuoco, di
buon mattino, era la moglie del capo famiglia, la quale provvedeva anche a
C;isporvi intorno le fette di polenta avanzate il giorno precedente; polenta da
mettere nel latte per i più piccoli e da accompagnare con un po' di salame e un
bicchier di vino per gli adulti. Consumato il frugale pasto, i ragazzetti mettevano le sgalmarette, quindi andavano a scuola; gli adulti invece s'apprestavano
a lavori diversi. Le donne, quando non dovevano badare al fuoco e alla polenta,
lavoravano a ferri, rammendavano, allungavano o ricucivano i vestitini dei figli,
mettevano in ordine la casa e, se restava loro un po' di tempo, ricamavano
minuziosamente a mano per guadagnare qualche soldo; gli uomini invece sistemavano i vecchi attrezzi da lavoro e ne preparavano di nuovi, riparavano le suppellettili della casa, facevano utensili e 9ggetti vari a carattere artigianale, utili
alla vita quotidiana.
All'imbrunire, e giunge presto la notte da queste parti nei lunghi mesi
invernali, la famiglia si ritrovava al completo. I bambini si disponevano allora
intorno al focolare e osservavano il fuoco scoppiettante, mentre un anziano, di
solito la nonna, raccontava loro strane fole intessute di fate e di orchi, di castelli
incantati e di cibi prelibati. Tutti aspetti che non trovavano mai riscontro nella
loro realtà, e tanto meno nella cena che la madre s'apprestava a preparare, perché la polenta che ella rimestava nella grande caldiera era d'oro solo in apparenza ed era per giunta spesso misurata.
Dopo cena, piegate le ginocchia sulle sedie disposte ancora intorno alla
tavola, si recitava il rosario ed altre preghiere, sovente strane invocazioni di
protezione per le persone, per le cose, per i raccolti, e di suffragio per qualche
defunto della famiglia. Gli uomini il più delle volte uscivano per una partita a
carte all'osteria, ma se veniva in visita un vicino, allora restavano tutti in cucina
68
o passavano nella stalla, se questa c'era, al tepore dato dall'alito degli animali, e
facevanojìlò o giocavano a tombola. Se si giocava, dominava un profondo silenzio e tutti gli occhi erano puntati sul numero che di volta in volta veniva estratto
dal sacchettino di ruvida tela; se invece si chiacchierava, era il vivace parlottìo a
caratterizzare l'atmosfera. I discorsi si rifacevano agli argomenti più diversi,
sempre comunque nell'armonioso idioma locale, ed erano punteggiati qua e là
da proverbi che volevano lapidariamente sentenziare ora verità di carattere
etico e spirituale, ora insegnamenti di ordine pratico. E per la verità c'era
sempre in essi un sottofondo di grande saggezza ed un alto senso del mistero e
del divino. Ad una cert'ora, quando gli occhi davano segno di stanchezza, adulti
e piccoli si dividevano nelle poche stanze da letto e si coricavano sui modesti
pagliericci di foglie di granoturco, l'uno accanto all'altro e non poche volte qualcuno pure a pie' del giaciglio. Le tenebre allora toglievano forma ad ogni cosa e
solo profondi respiri dicevano che dentro al casone c'era vita.
All'esterno, se un po' di luna rendeva meno pesto il buio, si profilava più
insistente nel controluce del cielo la strana sagoma del tetto: una piramide di
travi e di paglia a protezione di dieci-quindici, talora venti persone.
Pannocchia di granotuno con brattce
Declino dei Casoni
Più si risale nel tempo e più è difficile avere dati statistici esatti sulle abitazioni rurali. Non c'è pertanto una ripartizione numerica precisa nell'Ottocento
dei molti casoni esistenti nelle diverse province dell'arco lagunare veneto, ma
soltanto qualche indicazione parziale per poche località. Si sa con certezza, ad
ogni buon conto, che nel 1877 nel comune di Padova su 3187 case coloniche
ben 942 erano casoni 6 ). È evidente allora che il numero di tali abitazioni nel
vasto territorio della provincia, per gran parte pianeggiante e quindi di carattere
agricolo, doveva essere almeno di alcune migliaia. Del resto ancora nel 1933,
quindi oltre mezzo secolo più tardi, da un'inchiesta compiuta dal Consiglio
delle Corporazioni presso i comuni, il numero dei casoni esistenti risultava di
2644, ripartiti in misura diversa in 25 comuni (27). In base poi ad uno studio
compiuto qualche anno più tardi da Gaetano Pietra eS), essi risultarono un po'
meno numerosi, così distribuiti:
n. 206
Saonara
250
Legnaro
120
Arzergrande
320
Piove di Sacco
150
Brugine
161
Codevigo
180
Correzzola
47
Polverara
49
Arre
31
Tombolo
98
Conselve
34
Pontelongo
80
S. Angelo di Piove
49
Bovolenta
102
Vigonza
61
Campo S. ~artino
50
Candiana
35
Terrassa Padovana
e
70
Piombino Dese
Agna
Villanova di Camposampiero
Anguillara Veneta
S. Giorgio in Bosco
69
51
40
28
45
~aserà
34
38
Campodarsego
Lo stato di conservazione di molti di essi era però assai precario, per cui se
ne intravedeva imminente la fine. Il repentino e grave deperimento era dovuto
all'insorgere di sempre maggiori difficoltà nel ripararli, per una totale diserzione dei giovani al mestiere di casoniere, e per una intima aspirazione di tanti.
contadini ad avere un'abitazione più consona alle esigenze dei tempi nuovi.
Inoltre andava diffondendosi sempre più, anche se a torto, l'idea che molte
malattie fossero causate da particolari stati di disagio di queste abitazioni 9 ).
Nacque pertanto una specie di ripudio per quelle che erano state per lunghi
secoli le più amate dimore di gran parte delle persone di campagna, le case degli
sfondi di tanti dipinti di celebri pittori, delle grandi famiglie numerose.
Ad avallare tale tendenza contribuì qualche anno più tardi il fascismo, il
quale, deprecata la situazione « umiliante» di tanti contadini, costretti a vivere
in dimore anguste e poco igieniche, bandì una vera e propria campagna contro i
casoni, opponendovi nuove casette rurali, di dubbio gusto, facilmente realizzabili grazie a prestiti e sovvenzioni dello Stato CO). Il piano riuscì efficace, se si
considera che nel solo comune di Piove di Sacco, ad esempio, dei trecento
casoni degli inizi del secolo, intorno agli anni quaranta se ne contavano non più
di novantotto.
Il comune stesso di Venezia del resto nel 1930 aveva inserito nel suo regolamento d'igiene un'ordinanza che stabiliva il termine di due anni per l'abbattimento di tutti i casoni che si trovavano nel territorio comunale e la loro sostituzione con nuove casettine rispondenti alle esigenze dello stesso regolamento Cl).
Il secondo conflitto mondiale segnò una pausa alle drastiche disposizioni
di distruzione dei casoni; la demolizione riprese però, e con maggiore intensità
e fermezza, non appena terminata la guerra. A sollecitarne l'abbattimento
furono questa volta le nuove forze politiche, i deputati D. C. padovani, i quali,
fatta propria l'istanza dell' Associazione dei lavoratori cristiani (A.C.L.I.), pre-
e
7l
sentarono al parlamento italiano un disegno di legge per favorire, nella costruzione di una nuova piccola casa, quanti vivevano nei casoni. Il problema tuttavia parve subito di non facile risoluzione, giacché solo pochi erano proprietari
dell'edificio e del fondo insieme, mentre assai più numerosi erano quelli che
avevano propria l'abitazione ma non il terreno su cui era costruita o, viceversa,
erano proprietari della terra ma vivevano nel casone in affitto C2 ). Trovati i modi
di superamento per i diversi casi, intorno agli anni cinquanta quasi tutti i casoni
furono abbattuti e sostituiti con casettine di modello standard imposto da
Roma. Solo poche famiglie non accettarono la proposta di siffatto cambiamento
e preferirono continuare a vivere nel vecchio casone. Se ne notava pertanto in
quegli anni ancora un certo numero. Da una statistica effettuata dalle autorità
locali in data 21 aprile 1956, risultava che nel comune di Piove di Sacco ve
n'erano esattamente 48.
Una successiva indagine C3 ) fatta qualche tempo più tardi e precisamente il
20 marzo 1959 dava le seguenti statistiche per la zona del piovese:
Arzergrande
n. 29
Bovolenta
4
Il
Brugine
Codevigo
25
Correzzola
14
Legnaro
28
Polverara
Il
Piove di Sacco
25
S. Angelo di Piove
34
Il numero si assottigliava dunque ogni anno di più; anche i più restii ad
abbandonare il vecchio casolare, si videro costretti a farlo qualche tempo più
tardi, per l'aggravarsi dello stato di deperimento e per la grande difficoltà di trovare persone capaci di restaurarlo.
CosÌ, nel censimento fatto il 18 ottobre 1962, si ebbero i seguenti dati:
Piove di Sacco
n. 20
Legnaro
25
S. Angelo di Piove
13
Brugine
12
Arzergrande
24
Codevigo
20
72
Bovolenta
4
Correzzola
lO
Polverara
8
Da allora però il numero di queste singolari abitazioni è andato riducendosi con estrema rapidità fino a giungere oggi a pochi esemplari in qualche
paese, all'annullamento completo in altri. Le famiglie che abitano nei pochissimi casoni rimasti, non più di cinque o sei in tutta la provincia di Padova (in
provincia di Venezia ce n'è uno solo, molto malandato e quindi disabitato, a
Campalto), sembrano decise a non lasciarli, convinte che nessuna abitazione
moderna sia in grado di offrire praticità di vita, unità familiare, purezza d'ambiente (soprattutto per effetto della porosità del tetto) come il casone; ma le
nuove generazioni forse mirano già ad una di quelle casettine che, anche se
male inserite nel contesto della natura e del paesaggio agricolo, ogni giorno di
più si fanno numerose pure nella campagna della bassa padovana.
Pannocchia di granoturco al sole
73
Distribuzione e numero dei casoni in provincia di Padova
agli inizi del 1900
Tombolo
Piombino Dese
S. Giorgio in Bosco
Campo S. Martino
Campodarsego
Villanova di Camposampiero
Vigonza
Saonara
S. Angelo di Piove
Legnaro
Maserà
Polverara
Brugine
Piove di Sacco
Bovolenta
Terrassa
Arzergrande
Codevigo
Pontelongo
Conselve
Arre
Candiana
Correzzola
Agna
Anguillara Veneta
74
n. 31
69
45
61
38
40
102
206
80
250
34
47
150
320
49
35
120
161
34
98
49
50
180
51
28
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Il
Il
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Il
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CORREZZOLA
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iii
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~
75
Distribuzione e numero dei casoni nella zona del piovese
alla data 20 marzo 1959
S. Angelo di Piove
Legnaro
Polverara
Brugine
Piove di Sacco
Bovolenta
Arzergrande
Codevigo
Correzzola
n. 34
28
11
11
25
4
29
25
14
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76
77
Numero dei casoni ancor oggi esistenti in provincia di Padova
e località in cui essi si trovano
Brugine
Piove di Sacco
Bovolenta
Cartura fraz. Gorgo
Arzergrande fraz. Vallonga
Codevigo fraz. Rosara
n. l
2
2
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79
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No te
1) Federazione dei Fasci di Combattimento di Padova, Programma dell'anno XVIII per l'abbattimento
dei casoni, Padova, 1940
pago 3:« In un'epoca di grande orgoglio nazionale, mentre il Fascismo sta potenziando un immenso
Impero, l'esistenza del casone è cosa umiliante. Il casone rappresenta l'avanzo di un'epoca ormai
lontana, in cui il contadino era considerato come strumento di lavoro.
Distruggere il casone significa veramente" andare verso il popolo"» ...
2) L. Candida, La casa rurale nella pianura e nella collina veneta, Firenze, 1959
pago 30: «Pare che il termine «casone» venisse nel passato adoperato di frequente in Venezia
per significare carcere, prigione. Non è però possibile stabilire altro rapporto fra i due tipi di
dimora a diversa funzione, se non che ambedue dovevano partecipare della stessa povertà»
3) G. Pagano - G. Daniel, Architettura rurale italiana, Milano, 1936, pagg. 14-19 e 33-37
4) V. Lazzarini, Proprietà e feudi, offizi, garzoni, carcerati, in antiche leggi veneziane, Roma, 1960,
pag.9
5) E. Bandelloni, La casa rurale nel padovano, Padova, 1975, pagg. 8-9
6) L. Candida, La casa rurale nella pianura e nella collina veneta, op. cit., pago 71
E. Bandelloni - F. Zecchin, I Benedettini di Santa Giustina nel Basso Padovano, Padova, 1979
pago 94: « ... Ci casoni) erano fabbricati a spese dei monaci, che così dotavano di abitazioni intere
famiglie e pretendevano in cambio una certa quantità di lavoro e opere ... »
7) E. Bandelloni - F. Zecchin, ibid.
pago 94: « ... questo particolarmente durante i secoli XVI, XVII, XVIII, perché come già accennato, nei periodi precedenti i casoni erano sparsi per le valli e sui dossi emergenti dagli acquitrini, e abitati da poveri pescatori e da nomadi.»
8) E. Bandelloni, La casa rurale nel padovano, op. cit., pagg. 11-12
G. Fiocco, Alvise Co m aro, il suo tempo e le sue opere, Vicenza, 1965
pagg. 84-85: « ... Avvenuta una sempre più sollecita valutazione dell'opportunità di questi acquisti, Alvise Cornaro si propose di insegnare come si potessero amministrare e migliorare, dando
l'esempio nelle sue terre, le quali, seppure site nei vecchi centri maggiori del «barba» Angelieri; a
Codevigo in primo luogo ... »
« ... Con la bonifica, che fu la grande leva per l'agricoltura e che il Cornaro trovò modo di applicare
dovunque poteva ... »
9) Gianfrancesco Costa, Le delicie del fiume Brenta, Venezia, 1750-56, VoI. I, Tavv. VI, XIV, LII;
VoI. II, Tavv. XI, XIV, LXI, LXIII, LXV, LXVI, LXIX
lO) G. Pagano - G. Daniel, Architettura rurale italiana, op. cit.
pago 23: « ... La casa rurale, pur rimanendo opera onesta di architettura, rappresenta il legame
vivente fra la terra e l'uomo che la coltiva. Dalla terra si ricavano i materiali di costruzione; in relazione al percorso del sole si ordinano i vani; e tutto quanto copre e circonda la superficie della terra
diventa fattore determinante che influenza la forma della casa: clima e venti, monti e mari, boschi
e campi .. »
81
-
11) G. Pagano - G. Daniel, ibid.
pago 41:« ... Nella fase iniziale dell'evoluzione la casa aveva un semplice focolare nel mezzo della
capanna: un buco scavato nella terra e due assi costituivano questa specie di focolare primitivo.
Il fumo si perdeva sotto il tetto e usciva attraverso le fessure della copertura. Questo sistema è tuttora in uso nelle capanne della laguna di Grado. Più tardi si è aperto uno sfiatatoio ad abbaino su
una falda del tetto, per facilitare l'uscita del fumo. Ma poiché le esigenze dell'uomo andavano
man mano aumentando e il perfezionamento del focolare esigeva anche una migliore ventilazione,
si è formata, al di sopra del focolare, una specie di cappa per raccogliere il fumo e condurlo poi
all'asterno. Questo perfezionamento del focolare provocava il suo spostamento verso una parete
perimetrale della casa. La difficoltà di perforare il tetto di paglia e la necessità di tenere il camino
lontano più possibile dal tetto per evitare incendi che potevano essere causati dallo sprigionamento
delle scintille, hanno consigliato di portare il focolare fuori del muro esterno, ed è nata così una
specie di appendice coperta con una cappa che finisce, in alto, nella canna del camino ... »
12) M. Checchi, Edilizia rurale nella nostra provincia, in Riv. «Padova », 1, Padova, 1957
pago 15: «Il tetto di paglia condizionò la soluzione del camino, mediante la creazione dell'abside
sporgente, orientata secondo i venti dominanti, munita della lunga canna fumaria terminante con il
caratteristico multiforme comignolo ».
13) Cfr. come esempio il dipinto di Vittore Carpaccio: Miracolo della reliquia della Croce, Venezia,
Galleria dell' Accademia
14) G. Pagano - G. Daniel, Architettura rurale italiana, op. cit.
pago 41:« La testa della canna fumaria dev'essere formata per permettere una facile uscita del fumo,
per impedire che entrino le acque piovane nell'interno della canna e finalmente per proteggere il
tetto dalle scintille. Così si sono sviluppate varie forme di camini, sempre in relazione al clima
(venti) e ne possiamo ammirare i migliori esempi nelle regioni del Veneto e del Friuli, dove i
camini si presentano in una sorprendente varietà di forme, che servono tutte perfettamente agli
scopi suddescritti...»
15) Questi particolari mi sono stati riferiti da uno degli ultimi casonieri viventi
16) M. Checchi, Edilizia rurale nella nostra provincia, op. cit., pago 16
L. Gaudenzio, I casoni, in Riv. «Padova», 5, Padova, 1956, pago 23
17) Abitazioni con il tetto di paglia si trovano ancora nello Sch1eswig, regione di vaste pianure nell'estremo nord della Germania, dove sussiste ancor oggi qualche aspetto di un'antica vita pastorale
(cfr.: Il Milione, Novara, 1967, VoI. II, pago 676), ad Arcachon nelle Lande francesi, nell'Argovia
in Svizzera, a Cockington Forge nell'Inghilterra meridionale (cfr.: R. Biasutti, Le razze e i popoli
della terra, Torino, 1954, VoI. II, rispettivamente alle pagg. 165, 176, 183) e in molte altre località
dei diversi paesi del nord Europa
sorge isolata da un avancorpo costituito dal vano del focolare, foggiato secondo la tipica disposizione "valesana"»
21) E. Bevilacqua, I casoni, in: Candida, La casa rurale nella pianura e nella collina veneta, op. cit.
pago 70:« ... Questo tipo di abitazione è in decadenza da molto tempo e lentamente ha subito delle
piccole trasformazioni: ad esempio s'è cercato spesso di aumentare lo spazio aggiungendo lateralmente qualche ambiente con mura in mattoni e con tetto di tegole attaccato a quello di
paglia ... »
22) E.A. Griffini, I casoni veneziani, in «Le vie d'Italia», 31, Milano, 1925
par;,. 256:.« ... ~alora ~i.lati del fornello si aprono due finestrelle che dànno all'esterno, chiuse spesso
da 1l1fernate 1l1gentrhte talora da gustose rozze decorazioni.»
23) E.A. Griffini, ibid.
pago 256: «L'alta cappa che sovrasta, e che domina il vano, è contornata da una mensola sovra
cui luccicano svariati arredi di rame e piatti e vasi d'ogni foggia e colore.»
24) P. Giordani, I «casoni» del Polesine, in «L'Architettura», 2, Milano, 1956
pago 60:« ... Le pareti sono ricoperte con giornali a fumetti, fotografie di morti, ritagli di rotocalchi
riproducenti volti di "divi" del cinema, oleografie, ricordi garibaldini.»
25) A. Baragiola, La casa villereccia delle colline tedesche veneto-tridenti ne, Bergamo, 1908
pago 81: « ... onde avviene d'imbattersi in qualche casone costruito di recente, come ad esempio
quello uso osteria a Valò nel territorio di Mirano, ma vicino alla stazione di Dolo.»
inoltre:
Documentazione fotografica nell'archivio arcipretale di S. Angelo di Piove di Sacco
26) F. Milone, La provincia di Padova, Padova, 1929
pago 327: « ... Ci lagnamo delle case, ed a ragione; ma l'ingegnere capo del Municipio di Padova
affermava che in quel comune, e cioè proprio nel cuore della provincia, ... "Sopra 3187 case
coloniche, nell'anno 1877 si contavano 942 casolari e deve subito aggiungere che altri comuni più
verso Po e in Laguna sono in condizioni peggiori". E descrive questi casolari: sono i casoni dal
tetto in paglia e dalle pareti di fango ... »
27) C. Tivaroni, La casa rurale in Italia, Roma, 1940
pago 29: (: .;.Secondo un'inchiesta compiuta nel 1933 dal Consiglio Provo delle Corporazioni presso
l Comu11l, Il numero dei casoni allora esistenti in provincia risultava di 2.644, diversamente ripartiti
in 25 comuni, e specialmente in quelli di Legnaro, Saonara, Arzergrande Piove di Sacco Brugine
"
,
Codevigo e Correzzola.»
28) G. Pietra, Mentre stanno scomparendo gli ultimi casoni dell'agro padovano, Padova, 1940, pago 13
18) S. Bettini - L. Puppi, La chiesa degli Eremitani di Padova, Vicenza, 1970
pago 15: « ... Dopo un sopralluogo del Podestà e degli Anziani si decretò" che fosse edificata una
nuova lunga chiesa lunga 180 piedi, larga e alta 50, coperta di legno e di tegole. Rebbe esecuzione
questo decreto quanto alli muri, ma non quanto alla coperta sicché bisognò che i frati la coprissero
come poterono, cioè da paglia a guisa di casa villa, nel qual modo stette fino all'anno 1306.»
29) L. Gaudenzio, I casoni, in Riv. «Padova», 5, Padova, 1956
pago 21: « ... Pregai l'ufficiale sanitario di una relazione statistica sulle condizioni igieniche dei
casoni e su quelle delle case di mattoni sparse per la campagna conselvana. Risultato: la tubercolosi era molto più diffusa nelle casette di mattoni che non nei casoni.»
19) Cfr. rilievi fatti sui diversi casoni esistenti nelle schede allegate
30) Federazione dei Fasci di Combattimento di Padova, Programma dell'anno XVIII per l'abbattimento
dei casoni, Padova, 1940, pago 4
20) A. Scattolin, I casoni veneti, Venezia, 1936
pagg. 9-10:« ... Il camino data la estrema combustibilità del tetto è disposto sottovento e costruito
assai accuratamente.
La torretta è munita di schermi nelle feritoie in modo da impedire la fuoriuscita di scintille, e la
canna fumaria è isolata dal tetto da un tratto di copertura in tegole curve di cotto, o addirittura
31) Comune di Venezia, Regolamento locale di Igiene del Comune di Venezia, Venezia, 1930
pago 41: Art. 153 «Entro due anni" i casoni" dovranno essere soppressi e sostituiti con case rispondenti alle esigenze del presente regolamento, alle disposizioni del quale dovrà entro un anno
ottemperarsi anche dalle altre case rurali salvo quelle deroghe che, caso per caso, saranno ritenute
82
83
ammissibili dall'Ufficio di Igiene.»
32) G. Barbieri - L. Gambi, La casa rurale in Italia, Firenze, 1970
pago 254: « .. .i casoni rimasero sempre di proprietà del costruttore e sorsero in aree appartenenti
ad un proprietario terriero che dava in coltivazione la terra al costruttore stesso del casone ... »
(E. Bevilacqua)
33) Queste statistiche sono ricavate da un'indagine compiuta dal comune di Piove di Sacco.
Alquanto diversi risultano invece i dati forniti da: L. Candida, La casa rurale nella pianura e nella
collina veneta, op. cit., pago 71
DIZIONARIETTO DEI TERMINI DIALETTALI RICORRENTI NEL TESTO
àtola
pertica, lungo bastone.
burata O buratàra
madia, mobile in cui si conservavano il pane, la farina ed altri generi alimentari.
cali ero o caldi era
dal tardo latino caldaria, paiolo. Serviva soprattutto per fare la polenta.
can.nello
erba palustre, che cresce in zone acquitrinose.
cannn
lume a petrolio.
canòto
gambo essicato del granoturco.
carèga
dal greco Kathedra, sedia di legno con schienale alto e impagliatura di erbe palustri.
careghìn
diminutivo di carega. Sedia di legno con impagliatura di erbe palustri sul tipo della carega, ma
assai più raffinata nella forma e nei materiali di questa.
Caresìn
dal latino carex-icis, pianta palustre le cui foglie secche vengono adoperate per impagliare
sedie, fiaschi, ecc.
casolÌn
dal tardo latino caseolus, pizzicagnolo, rivenditore di ogni tipo di generi alimentari.
casoni ere
la persona che attendeva al lavoro di costruzione e di riparazione, soprattutto del tetto, del
casone.
cavarzerana
parte aggiunta del casone in mattoni e con tetto di tegole adibita a cucina.
ciàcole
chiacchiere.
~
-
colmegna
dal latino culmineum, parte più alta del tetto. Nel casone grossa trave alla sommità dell'orditura del tetto.
84
85
contena
robusta trave di legno posta tra i mattoni a rinforzo della struttura muraria del casone.
p i é t a (dell'acqua santa)
acquasantiera.
copara
doppia fila di tegole alla sommità esterna del tetto del casone.
rastrella
specie di pettine di legno con otto-dieci denti, usato per fare aderire i mannelli di canna
palustre all'intelaiatura del tetto del casone.
fàvaro
fabbro.
ritratto
immagine del busto o dell'intera figura di una persona, fotografia.
fil ò
da filare, veglia nella stalla. Far filò: parlare, giocare a carte, bere nella stalla.
rola
dal latino areola, pietra del focolare.
fogàra
recipiente di terracotta o di metallo in cui si mettevano le brace, ricoperte da uno strato di
cenere, per riscaldare il letto.
sbalso
legaccio fatto con foglie attorcigliate della caresina.
fondina
piatto fondo.
frasca
corrispondente allo spagnolo frasca, piccolo ramo da bruciare.
grisòla o grisiòla
graticcio, stuoia di canne.
guantiéra
vassoio.
marangòn
falegname.
messòra
dal latino messoria, falce arcuata dalla lunga impugnatura.
scartosso
insieme di foglie che avvolgono la pannocchia del granoturco, brattèe.
seciàro
da sécia-sécio (secchio), acquaio.
sgàlmara
calzatura di pelle molto robusta col fondo di legno.
sottostretturo
palo posto sotto le àtole nell'orditura del tetto del casone.
stretturo
palo posto parallelamente alla linea di gronda nell'orditura del tetto del casone.
stropèo o stròpa
dal latino struppus, legacciolo, ramo di salice viminario usato dai contadini per legare i tralci
delle viti e altre cose.
dal latino palea, pagliericcio, saccone contenente foglie secche di granoturco o paglia usato
come materasso.
tavèa
dal latino tabella, dim. di tabula, tavola, mattone largo e sottile in cotto rosso usato per pavimenti.
pavèra
pianta palustre con lunghe foglie usate per lavori di intreccio.
tèsa o tèza
tettoia dove viene riposto il fieno, fienile.
pèrtega
dal latino pertica, lungo bastone.
trapiè
alare su cui vengono appoggiati i rami da ardere.
piàdena
dal latino medioevale pIadena, zuppiera, insalatiera.
trongiaro
pianta palustre usata per il manto di copertura del tetto del casone.
p aj ò n
86
87
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G. Lugaresi, Devono sopravvivere i « casoni» del Piovese, nel giornale «L'Eco di Padova illustrato », 26 giugno 1978, pagg. 4-5
E. Migliorini, Veneto, Torino, 1972
F. Milone, La provincia di Padova, Padova, 1929
88
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Tecnica costruttiva del casone nelle sne diverse fasi
TRAVE di COLMO
SBALZI
(legacCI di tibre
vegetali)
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TRECCIA di COLMO
GIUNCO FISSAGGIO
TRECCIA di COLMO
CROCE
LOBATA
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TERMINALE del
COLMO
Schede dei casoni
ancor oggi esistenti
in Provincia di Padova
COLMO in LATERIZIO
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Proprietario: Zecchin Vittorio.
Località: Piove di Sacco (Padova), via Provinciale per Corte, 19.
Caratteristiche: Dimensioni come da rilievi effettivi sull'esistente qui di seguito
riprodotti in scala l: 100. Muratura esterna e divisori interni di mattoni cotti ricoperti
di intonaco; tetto di canna palustre e pavimenti con mattonelle di tipo diverso.
Note particolari: Il casone, che in passato era abitato da dodici persone, è stato
ab bandonato circa due anni fa dagli ultimi quattro componenti la famiglia, i quali si sono
costruiti vicina una nuova casetta.
Illustrazioni: Pagg. 136, 137, 139, 140
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Proprietario: Delfini Natalina.
Località: Piove di Sacco (Padova) fraz. Corte, via Fiumicello, 24.
Caratteristiche: Dimensioni come da rilievi effettivi sull'esistente qui di seguito riprodotti
in scala 1:100. Muratura perimetrale e divisori interni di mattoni ricoperti di intonaco,
tinteggiato all'esterno in rosa; tetto di canna palustre e pavimenti, fatti in epoca recente,
con mattonelle di granito.
Note particolari: Alla vecchia struttura si è aggiunto lo scorso anno una nuova parte
comprendente una stanza da letto e i servizi igienici.
Il casone, che è uno dei meglio conservati, è abitato da tre persone: l'ottantaquattrenne
signora Natalina e due suoi figli.
Illustrazioni: Pagg. 17, 29, 124, 130, 133, 141
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Proprietario: Rettore Giovanni.
Famiglia alloggiata: Vie! Elisa vedo Rizzonato.
Località: Codevigo (Padova) fraz. Rosara, via Centro, 33.
Caratteristiche: Dimensioni come da rilievi effettivi sull'esistente qui di seguito riprodotti
in scala 1: 100. Muratura perimetrale e divisori interni di mattoni ricoperti di intonaco,
in parte scrostato, tinteggiato all'esterno in rosso; tetto di canna palustre e pavimenti con
mattonelle in cotto.
Note particolari: Sul lato destro del casone è stata aggiunta in epoca imprecisata
una stanza adibita a cucina. Circa due anni fa si è sfasciato il manto di copertura,
per cui il tetto è stato rattoppato con grandi lamiere.
Un tempo qui vivevano due famiglie, rispettivamente di sei e di sette persone;
oggi il casone è abitato da una sola donna.
Illustrazioni: Pago 131
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Proprietario: F.lli Gasparini.
Famiglia alloggiata: Giraldo Adolfo.
Località: Arzergrande (Padova) fraz. Vallonga, Strada S. Marco, 5.
Caratteristiche: Dimensioni come da rilievi effettivi sull'esistente qui di seguito riprodotti
in scala 1 :100. Muratura esterna e divisori interni di mattoni ricoperti di intonaco,
tinteggiato all'esterno in bianco; tetto di canna palustre e pavimenti, fatti in epoca
abbastanza recente, con mattonelle.
Note particolari: In questo casone, abitato un tempo da otto persone, vivono oggi due
coniugi e il padre quasi novantenne.
Lo stato di conservazione, buono fino a poco tempo fa per le assidue cure degli inquilini,
ha iniziato ora un preoccupante decadimento, a causa delle infiltrazioni d'acqua dal tetto.
Illustrazioni: Pagg. 128, 129
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Proprietario: Ferrato Pasquale.
Località: Arzergrande (Padova) fraz. Vallonga, via A. Manzoni, 11.
Caratteristiche: Dimensioni come da rilievi effettivi sull'esistente qui di seguito riprodotti
in scala 1:100. Muratura perimetrale e divisori interni di mattoni cotti e crudi misti,
ricoperti di intonaco tinteggiato all'esterno in azzurro; tetto di canna palustre e pavimenti
con mattonelle di granito.
Note particolari: Il portichetto d'ingresso è stato chiuso da un portoncino in ferro e vetro,
quindi trasformato in saletta.
Il casone, molto ben conservato, è abitato da una famiglia composta
di sette persone.
Illustrazioni: Pagg. 33, 135
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Proprietario: Chinchio Giovanna e F.lli.
Località: Arzergrande (Padova) fraz. Vallonga, via Montin, lO.
Caratteristiche: Dimensioni come da rilievi effettivi sull'esistente qui di seguito riprodotti
in scala 1:100. Muratura perimetrale e divisori interni di mattoni cotti e crudi misti,
ricoperti di intonaco; tetto di canna palustre e pavimenti in terra battuta.
Note particolari: In questo casone dalle modestissime dimensioni (due sole stanze)
sono nati e cresciuti nove figli. La madre, che lo aveva lasciato qualche tempo fa per
andare a vivere con un figlio, è morta lo scorso anno quasi novantenne.
Attualmente è adibito a ripostiglio, essendosi costruito accanto il figlio che lo abitava
una nuova casettina.
Illustrazioni: Pagg. 21, 138
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Proprietario: Quaggia Cecilia
(su terreno di Semenzato Giorgio).
Località: Brugine (Padova), via Frassinoni, 14.
Caratteristiche: Dimensioni come da rilievi effettivi sull'esistente qui di seguito
riprodotti in scala 1:100. Muri fatti di mattoni crudi, ricoperti d'intonaco solamente
all'interno; tetto di canna palustre e pavimenti in terra battuta.
Note particolari: Al primitivo vero e proprio casone, che si fa risalire al XVIII secolo,
è stata aggiunta tra la fine dell'800 e gli inizi del '900 la cavarzerana con camino, fatta
di mattoni cotti.
Abitato fino a pochi anni fa da cinque persone, è adibito ora a deposito di attrezzi
e aperto saltuariamente dalla proprietaria, che è ad esso sempre molto legata.
Illustrazioni: Pagg. 123 b, 127, 132, 134
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Proprietario: Ruvolato Antonio.
Località: Bovolenta (Padova), via Argine Destro, 25.
Caratteristiche: Dimensioni come da rilievi effettivi sull'esistente qui di seguito riprodotti
in scala 1 :lOO. Muri esterni e divisori interni di mattoni cotti, solo in parte ricoperti di
intonaco; tetto di canna palustre e pavimenti con tavelle in cotto.
Note particolari: Il casone è stato abitato fino a11971 da una famiglia composta di
sei persone; oggi serve soltanto da magazzino e deposito attrezzi.
Qualche anno fa è crollata la canna fumaria del camino ed ora anche il tetto è molto
deteriorato e minaccia di sfasciarsi.
Illustrazioni: Pagg. 15, 126, 144
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Proprietario: Babetto Giancarlo e Egidio.
Località: Bovolenta (Padova), via Ceola, 2, (lat. via Madonna).
Caratteristiche: Dimensioni come da rilievi effettivi sull'esistente qui di seguito riprodotti
in scala 1:lO0. Muri esterni e divisori interni di mattoni cotti ricoperti di intonaco;
tetto in eternit e pavimento con tavelle in cotto.
Note particolari: Il casone non è più abitato da una decina d'anni e cioè da quando
i mezzadri che lavoravano i campi annessi se ne sono andati altrove. È pertanto lasciato
in uno stato di abbandono che lo porta a progressivo decadimento.
Illustrazioni: Pago 125
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Proprietario: Randi Alessandro.
Famiglia alloggiata: Aghi Antonio.
Località: Cartura (Padova) fraz. Gorgo, via Ca' Bianca, 132.
Caratteristiche: Dimensioni come da rilievi effettivi sull'esistente qui di seguito riprodotti
in scala 1:200. Muri esterni e divisori interni di mattoni cotti, parzialmente ricoperti di
intonaco; tetto in eternit e pavimento con mattonelle di vario tipo.
Note particolari: Il casone, che è di notevoli dimensioni e presenta sulla facciata un ampio
portico, ha subìto nel 1899 un grave incendio. In quella circostanza il tetto fu rifatto non
più con canna palustre ma in eternit. All'interno pure sono stati praticati parecchi
rimaneggiamenti, in base ad esigenze di funzionalità della famiglia (tre persone)
che lo abita.
Illustrazioni: Pago 142
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Albe e tramonti
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come il lavoro dell'uomo,
la fatica, il dolore,
la vita
dono prezioso
dell'Eterno.
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Questo chiaro di luna è cost' bianco.
Lo guardo dal mio letto.'
Forse è caduta, io penso, la rugiada.
Guardo fisso alla luna,
E gli occhi si chiudono lentamente
Sul desiderio della mia casa.
(Li T'ai Po - Cina)
146
147
Indice dei disegni di O. Tamburi
Il casone del «messicano»
pag.44
Pannocchia di granoturco
» 46
Casone con abbaino
» 51
Gruppo di casoni nella bassa padovana
»
53
Casone d'inverno
»
55
Casone nel piovese
»
57
Cavarzerana e camino di vecchio casone
»
59
Paiolo per la polenta
»
61
Lumi a petrolio in vetro
»
64
Piccolo canfin in ceramica
»
67
Pannocchia di granoturco con brattee
»
69
Pannocchia di granoturco al sole
» 73
Indice delle illustrazioni a colori
Girolamo dai Libri: Madonna della Quercia
(particolare del paesaggio, grandezza naturale)
Verona, Museo di Castelvecchio
pago 117
Controluce in laguna
»
119
Fiori di primavera lungo il fiume
»
120
Salici viminari da cui i contadini ricavano stròpe e stropèi
»
121
Canna palustre in barena
»
122
Orditura del tetto di un casone e parziale manto di copertura (a)
»
123
Mattoni cotti al sole e contena di rubinia (b)
»
123
Casone lungo il fiume
»
124
Casone con campo di mais a Bovolenta
pago 125
Casone d'inverno con tetto ricoperto di muschio
»
126
Casone a primavera tra filari di viti
»
127
Casone a Vallonga di Arzergrande
»
128/29
Casone in rosso a Corte di Piove di Sacco
»
130
Casone con portichetto d'ingresso a Rosara di Codevigo
»
Porta d'ingresso di casone del XVIII secolo con l'ultima proprietaria
»
Indice generale
Introduzione
pago
5
Mappe, dipinti e incisioni che testimoniano la presenza di casolari in
territorio veneto fin dal secolo XV e casoni del nostro tempo
»
9
131
Premessa
»
43
132
Motivazioni storiche e origine dei casoni
»
45
Il casone nella iconografia della pittura veneta
»
48
Come si costruiva un casone
»
52
L'arredamento
»
60
Vita all'interno del casone
»
68
L'ottantaquattrenne Natalina Delfini sulla porta del suo casone dove vive
fin dall'infanzia
»
133
Casone con mattoni a vista a Brugine
»
134
Casone in azzurro a Vallonga di Arzergrande
»
135
Casone ai Ramei Bassi di Piove di Sacco
»
136/37
Declino dei casoni
»
70
Camino tipico di casone ad Arzergrande
»
138
Camino tipico di casone a Piove di Sacco
»
139
Distribuzione e numero dei casoni in provincia di Padova
agli inizi del 1900
»
74
Geranei alla finestra di un casone
»
140
Distribuzione e numero dei casoni nella zona del piovese
alla data 20 marzo 1959
»
76
Balcone di cucina di un casone con pannocchie al sole
»
141
Casone con tetto di eternit a Gorgo di Cartura
»
142
Numero dei casoni ancor oggi esistenti in provincia di Padova e località
in cui essi si trovano
»
78
Ultimo casone demolito ad Arzergrande
»
143
Note
»
81
Casone lungo il Bacchiglione a Bovolenta
»
144
Dizionarietto dei termini dialettali ricorrenti nel testo
»
85
Ultimo casone demolito in via Puniga a Piove
»
145
Bibliografia
»
88
Tecnica costruttiva del casone nelle sue diverse fasi
»
90
Schede dei casoni ancor oggi esistenti in provincia di Padova
»
95
Illustrazioni a colori
»
117
Girolamo dai Libri: Il presepio dei conigli (particolare del paesaggio)
Verona, Museo di Castelvecchio
'
»
147
Grafici e rilievi planimetrici eseguiti da: B.L. Sanavia, F. Buzzacarin, L. Prearo,
G. Ruvolato, C. Tieto
Referenze fotografiche:
Museo di Ca' Pesaro, Venezia, pagg. 32, 34
Museo Civico Correr, Venezia, pago 14
Museo Civico di Padova, pagg. 28, 30
G. Pagano - G. Danie1, pago 37
Le mappe delle pagine lO, 11, 12, 13 sono dell'Archivio di Stato di Venezia
(f.fo G. Petenà). La pubblicazione è stata autorizzata con nota ministeriale.
4.5550/57.55(88) del 12.10.1979 n. 1374.
Finito eli stampare nel Novembre 1979 presso
lo Stabilimento Grafico ITALGRAF eli Noventa Padovana te!. (049) 625603/05
Fotocomposizione: Linotipia Antoniana - Padova
Fotolito: Zincografia Gasparini - Padova