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BOOK IN PROGRESS
ITALIANO
Fascicolo3
Oltre il testo
Antologia tematica
Rete Nazionale di Scuole
Titolo: Oltre il testo. Antologia tematica
Autori:
-
I capitoli 1, 2 sono opera di Marcello Ignone, ITIS “E. Majorana”, Brindisi
-
I “Percorsi: antologia di testi letterari per temi” sono opera di
•
“Ritratti di donne”: Ombretta Latorre, ITC “E. Tosi”, Busto Arsizio
•
“L’adolescenza”: Giuseppina Montanari, ITIS “E. Majorana”, Brindisi
•
“La violenza”: Cosima Di Tommaso - Anna Maria Casale, - Pietro Birtolo Annunziarita Gemma - Crocetta Franciosa - Marisa Mascia, ITIS “E. Fermi”,
Francavilla Fontana
•
“Il mondo della emozioni e dei sentimenti”: Maria Giuseppa Montanaro, ITIS
“E. Majorana”, Brindisi
•
“I giovani e la famiglia”: Alessia Pedetta, Maria Cecilia Clementi; Grazia
Galeotti , ITIS “M.L. Cassata”, Gubbio
•
“Il viaggio come percorso dell’anima”: Daniela Pulci – Silvia Domestici –
Paola Guarducci – Lucia Magherini, ITIS “Buzzi”, Prato
•
“Tra normalità e follia”: Angela De Benedictis, ITEF “E. Fermi” Isernia
•
“Libertà e partecipazione”: Letizia Donnini, ITI “A. Malignani”, Udine
•
“Ridere di se stessi, sorridere degli altri”: Emanuela Pennacchi, Liceo
Scientifico “A. Guarasci”, Soverato
•
“La guerra”: Francesco Raspa, ITC “A. Calabretta”, Soverato
Coordinamento editoriale e redazione:
-
Massimo Tosi, ITC “E. Tosi”, Busto Arsizio
Nuova edizione 2012: revisione a cura di Patrizia Centoscudi e Silvia Galli, ISIS “C. A. Dalla
Chiesa”, Montefiascone
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Fascicolo 3: Oltre il testo. Antologia tematica - Indice
1. Caratteristiche del testo narrativo
1.1
La struttura
1.2
La fabula e l’intreccio
1.3
L’ordine della narrazione
1.4
Le sequenze
1.5
Le componenti del testo narrativo
1.6
I personaggi e la loro funzione
p. 5
p. 5
p. 5
p. 6
p. 7
p. 8
p. 10
2. Le tecniche del testo narrativo
2.1
Il punto di vista
2.2
Il narratore
2.3
Come si narra
p. 12
p. 12
p. 12
p. 13
Percorsi: antologia di testi letterari per temi
1. Ritratti di donne
Una vera antipatica!
Un’étoile del palcoscenico
La bottega dell’arte: Nanà
Sala d’ascolto: La mia ragazza mena
2. L’adolescenza
Piccole donne
Il diario di Anna Frank
Il giovane Holden
La bottega dell’arte: Gli adolescenti
Sala d’ascolto: Il tempo se ne va
3. La violenza
La prigione
La monaca di Monza
Tommasino
Hassan, il cacciatore di aquiloni e la dignità perduta
La bottega dell’arte: Guernica
Sala d’ascolto: Vai con un po’ di violenza
4. Il mondo delle emozioni e dei sentimenti
Lettera a un adolescente
Nedda
Il garofano rosso
La bottega dell’arte: Il bacio
Sala d’ascolto: Emozioni
5. I giovani e la famiglia
Lettera al padre
Il padre di famiglia
Agostino e la madre
Anno zero
La bottega dell’arte: Sacra famiglia con San Giovanni Battista
Sala d’ascolto: Father and Son
p. 15
p. 16
p. 17
p. 22
p. 26
p. 27
p. 29
p. 30
p. 35
p. 40
p. 46
p. 46
p. 49
p. 50
p. 56
p. 60
p. 65
p. 70
p. 71
p. 73
p. 74
p. 78
p. 96
p. 100
p. 100
p. 103
p. 105
p. 110
p. 115
p. 119
p. 123
p. 124
3
6. Il viaggio come percorso dell’anima
Alla reggia di Alcinoo: l’identità ritrovata
Il viaggio di Renzo
Dentro la tana del coniglio
La bottega dell’arte: Aeroplano sul treno
Sala d’ascolto: Panama
7. Tra normalità e follia
Della condizione e delle operazioni del rinomato idalgo
don Chisciotte della Mancia
La signora Frola e il signor Ponza, suo genero
Caligola
La bottega dell’arte: Campo di grano con volo di corvi
Sala d’ascolto: Confessioni di Alonzo Quijano
8. Libertà e partecipazione
Il gabbiano Jonathan Livingston
Il lungo viaggio
Gli animali partecipano al successo della rivoluzione
La bottega dell’arte: La Gioconda con i baffi
Sala d’ascolto: La libertà
9. Ridere di sé stessi, sorridere degli altri
Chichibìo e la gru
La giara
L’uomo dalla faccia di ladro
La bottega dell’arte:Il Medico
Sala d’ascolto: Meno male
10. La guerra
Trecento guerrieri
Il prigioniero
Il coraggio degli Alpini
La bottega dell’arte: La battaglia
Sala d’ascolto: Viva la guerra
p. 127
p. 128
p. 133
p. 136
p. 140
p. 141
p. 144
p. 146
p. 153
p. 160
p. 164
p. 165
p. 167
p. 168
p. 176
p. 184
p. 194
p. 196
p. 199
p. 200
p. 205
p. 213
p. 216
p. 217
p. 219
p. 220
p. 225
p. 230
p. 233
p. 234
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1. Caratteristiche del testo narrativo
1.1 La struttura
Il testo narrativo è caratterizzato da una struttura chiusa (detta anche “schema narrativo”) che
può essere suddivisa in cinque momenti fondamentali:
1.
Esposizione: consiste nel presentare i personaggi e la situazione iniziale del racconto; può
essere caratterizzata o da uno stato di equilibrio o da un conflitto di interessi;
2.
Esordio: è l’evento che mette in moto l’intera vicenda e può modificare la situazione iniziale;
possono esserci due tipi di esordio, a seconda della situazione di partenza del racconto: o sono
introdotti elementi di alterazione nell’iniziale condizione di equilibrio, oppure le vicende che
caratterizzano l’azione iniziale sono alterate; in ogni caso, l’avvio della narrazione è
caratterizzato da un evento causato o subito dal protagonista, che è spinto ad agire
3.
Mutamenti e peripezie: rappresentano l’insieme degli avvenimenti attraverso i quali si
svolge l’azione; essi possono, di volta in volta, modificare la condizione in cui il protagonista
agisce, migliorandola o peggiorandola;
4.
Spannung: parola di origine tedesca che significa “tensione” (detto anche, dal greco,
“climax”, scala); è il momento culminante della narrazione, seguito da una rapida discesa degli
eventi che porta allo scioglimento della vicenda e, quindi, alla sua risoluzione;
5.
Scioglimento: è il momento conclusivo della narrazione, che cancella ogni fattore di
alterazione e ricostituisce l’equilibrio o positivamente (il classico “lieto fine”), o negativamente
(la morte del protagonista). Allo scioglimento può seguire la conclusione, in grado di
aggiungere ulteriori informazioni sugli eventi risolutivi del conflitto, caratterizzanti l’intero
racconto.
Nell’elaborazione di un testo narrativo ci si avvale sia di fattori reali (ossia di informazioni), sia di
fattori immaginari (ossia scaturiti dalla fantasia). Ma non tutti i testi narrativi sono testi letterari:
se un giornalista racconta sul giornale la dinamica di un omicidio, produce un testo narrativo non
letterario; allo stesso modo se uno scrittore di gialli narra in un suo libro la stessa vicenda,
arricchendola di particolari (mutamenti o peripezie), produce un testo narrativo letterario!
Fra i generi letterari prima visti, in particolare il racconto ed il romanzo si avvalgono spesso di
tecniche narrative e di temi particolari, per cui si parla di sottogeneri (ma questi aspetti li
affronterai meglio nel triennio). In particolare il racconto (così come la novella), è un testo
narrativo piuttosto breve, caratterizzato, quasi sempre, da una storia semplice, a differenza del
romanzo che presenta, invece, una forma narrativa più estesa e, spesso più complessa; pur
tuttavia entrambi questi generi hanno gli stessi elementi strutturali: fabula ed intreccio.
1.2 La fabula e l’intreccio
La fabula (dal latino fabula = racconto, storia) è data dalla successione cronologica degli
avvenimenti narrati, secondo un rapporto diretto ed elementare di prima e poi (ordine cronologico)
e di causa ed effetto (ordine logico); essa costituisce la scansione dei fatti che determineranno la
trama; la fabula è una struttura facilmente evidente nelle forme narrative più semplici, come il
mito e la fiaba; nelle forme narrative più complesse, come il racconto ed il romanzo, essa, invece,
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viene rielaborata dall’autore all’interno dell’intreccio ed il lettore può individuarla meglio, solo a
lettura ultimata.
L’intreccio ( o discorso) è costituito dall’organizzazione degli avvenimenti secondo una libera
scelta dell’autore, il quale può utilizzare procedimenti specifici, come le anticipazioni, il flash-back,
e altri, che analizzeremo meglio dopo. L’intreccio, che è simile al montaggio di un film, dà al testo
un particolare effetto estetico ed emotivo, soprattutto quando l’autore accosta fatti lontani fra loro
nel tempo e nello spazio.
1.3 L’ordine della narrazione
Tra i procedimenti specifici che un autore adopera per dare maggiore movimento al proprio
racconto o al proprio romanzo, ci sono:
1-
L’analessi (dal greco analepsis, ripresa), detta anche retrospezione o flash-back, e si ha
quando l’autore interrompe l’ordine cronologico e/o l’ordine logico per riportare avvenimenti
particolari, precedenti ai fatti che sta descrivendo, o riflessioni riguardanti i personaggi;
l’autore adopera questi procedimenti solo quando ritiene tutto questo determinante per il
racconto; l’effetto è quello di motivare l’azione descritta o il comportamento degli stessi
personaggi, facendo risaltare i fatti antecedenti e facendo acquisire ad essi un significato più
rilevante.
2-
La prolessi o anticipazione (dal greco prolepsis, anticipazione) si ha quando l’autore anticipa,
anche indirettamente, avvenimenti che accadranno successivamente; molto spesso queste
anticipazioni possono apparire insignificanti all’occhio di un lettore distratto, proprio perché
sono costituiti da dettagli minimi, ma in realtà essi si riveleranno determinanti alla fine della
storia. Un tale modo di raccontare viene, generalmente, indicato con un termine inglese, che
non ha un corrispettivo italiano, il termine è foreshadowing. L’effetto è quello di creare
aspettativa nel lettore, di affascinarlo intellettualmente, disseminando, abilmente e in modo
apparentemente casuale, una serie di tracce che, spesso, sfuggono all’attenzione, soprattutto
se il lettore non conosce lo sviluppo dell’intera vicenda, però se rileggerà con maggiore
consapevolezza queste labili tracce, magari valorizzando particolari a cui prima non aveva dato
importanza, potrà scorgere tutta la loro carica allusiva ed apprezzare di più i fatti descritti
posteriormente.
3-
La digressione o excursus, essa si ha quando l’autore decide di lasciare il cuore della
vicenda ed i personaggi principali, per raccontare o descrivere episodi secondari, riguardanti,
comunque, il contesto della narrazione; l’effetto è quello di allargare la visione d’insieme del
lettore, dilatando la scena in cui si situano fatti e personaggi, oltre a quello di rallentare il
ritmo della stessa narrazione introducendo pause nella concatenazione degli eventi.
4-
L’iterazione o ripresa, essa si ha quando l’autore decide di ripetere più volte un’azione o una
serie di azioni, dando così al racconto un ritmo ripetitivo, che stempera la drammaticità degli
eventi descritti e, così come accade nelle fiabe e nelle narrazioni mitologiche, gli attribuisce un
valore simbolico; l’effetto è quello di dare particolare rilievo alle parole che vengono ripetute e
a fare assumere ad esse un valore superiore a quello descrittivo o informativo.
5-
L’inizio in media res, esso si ha quando l’autore decide d’iniziare il proprio racconto
partendo dal nucleo centrale della vicenda, per poi richiamare gradatamente gli avvenimenti
accaduti prima; l’effetto è quello di creare interesse nel lettore, inoltre, facendo risaltare, con
particolare vivacità, i fatti antecedenti, si dà maggiore rilievo al cuore stesso della narrazione.
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Sarà chiaro, a questo punto, che il modo di narrare i fatti, ossia, di “giocare” tra fabula ed
intreccio, non è di secondaria importanza, tutt’altro, esso ci fa capire a quali avvenimenti l’autore
ha voluto dare maggiore rilievo, quali “effetti sorpresa” ha voluto ottenere e che tipo di tensione
ha voluto creare all’interno del proprio racconto.
Ma qual è il metodo per cogliere al meglio questi “giochi”? Sicuramente il mezzo più efficace è la
scomposizione in sequenze, in quanto chiarisce qual è lo schema dell’intreccio, se poi tali
sequenze sono riordinate secondo le concatenazioni cronologiche (il prima e poi) e logiche
(causa/effetto), si otterrà lo sviluppo della fabula. Solo confrontando tra loro questi schemi, si
potrà comprendere quale prevale sull’altro e fare le proprie opportune considerazioni. Nelle fiabe e
nei primi poemi epici, ad esempio, gli avvenimenti sono narrati seguendo il loro naturale sviluppo
cronologico, per cui fabula ed intreccio coincidono, con l’evolversi dei generi, tale coincidenza è
venuta meno e la narrazione è divenuta sempre più articolata.
1.4 Le sequenze
Ma che cos’è una sequenza? Come si fa a capire quando si passa da una sequenza ad un’altra,
considerato che, nell’ambito di uno stesso racconto, ce ne possono essere diverse?
Il termine “sequenza” deriva dal linguaggio cinematografico e, per estensione, è riferito anche al
linguaggio letterario e teatrale, per indicare una porzione di senso compiuto dell’intero racconto,
con al centro un unico tema. Insomma la sequenza ha un inizio ed una fine, definiti chiaramente
sia sul piano contenutistico, sia sul piano sintattico, con segni di interpunzione forti (ad es. il
punto); è collegata alle sequenze che la seguono o la precedono da un rapporto di successione
temporale o di causa/effetto.
Ma come si realizza una sequenza? Realizzare una sequenza è molto semplice, basta:
- indicare tra parentesi le linee o i versi a cui la sequenza si riferisce;
- indicare in forma sintetica (preferibilmente con una breve frase verbale o nominale o, ancora
meglio, con una parola-chiave) il contenuto della sequenza;
- segnalare lateralmente eventuali particolarità compositive;
- numerare progressivamente le sequenze in modo che sia possibile richiamarle velocemente in
caso di necessità.
Un testo ampio, come può essere un romanzo o un poema, può essere organizzato in sequenze,
secondo due criteri: uno quantitativo ed uno qualitativo, utilizzabili anche
contemporaneamente.
Se si adopera il criterio quantitativo si avrà un testo organizzato in:
- sequenze, ossia porzioni di testo di ampiezza variabile, in cui l’ambiente specifico, il
protagonista dell’azione e il tempo, durano a lungo, senza che intervengano interruzioni (ad
esempio: “Il duello di Ludovico”, nei “Promessi Sposi” di A. Manzoni).
- microsequenze (cioè “piccole sequenze”, dal greco “mikros”, che vuol dire “piccolo”), ossia
piccole porzioni di testo, ognuna delle quali coincide con una singola azione e mette in risalto un
particolare, come si può vedere nei film (si veda, a tal proposito, ad es. “La morte di Padre
Cristoforo”, nei “Promessi Sposi” di A. Manzoni).
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- macrosequenze (cioè “grandi sequenze”, dal greco “makros”, che vuol dire “grande”),
ossia un’ampia porzione di testo con un inizio ed una fine ben delimitati; è formata da più
sequenze che sviluppano un unico tema e sono legate tra loro da rapporti logici e temporali
alquanto stretti. Il passaggio da una macrosequenza all’altra è segnalato da cambiamenti di
azione, di personaggi, di luogo, di tempo, se ci si trova dinanzi ad un testo narrativo (ad
esempio: il racconto, la cronaca, ecc.); da un cambiamento di argomento, se ci si trova dinanzi
ad un testo espositivo; inoltre, di solito, è separata dalle macrosequenze che la precedono e la
seguono, dal punto e a capo e dalla rientranza del capoverso (ad es. si veda “La storia di
Ludovico”, nei “Promessi Sposi” di A. Manzoni).
Se, al contrario, si adopera il criterio qualitativo, ci si troverà di fronte a varie tipologie di
sequenze:
- narrative, centrate sull’azione, ed in grado di produrre l’evoluzione della storia;
- descrittive, centrate sulla descrizione dell’ambiente o dell’aspetto esteriore dei personaggi che
fanno parte della storia;
- dialogiche, centrate sui dialoghi dei personaggi (discorso diretto);
- riflessive, centrate sulle riflessioni del narratore o sui pensieri dei personaggi;
- espositive, centrate sui ragionamenti o sulle tesi riguardanti gli avvenimenti del racconto,
esposte o da un personaggio o dallo stesso narratore ( si ritrovano di frequente nei romanzi
gialli);
- liriche (dette anche espressive), centrate sulla introspezione o sulla descrizione dei
sentimenti dei personaggi;
- miste, sono sequenze particolari perché al loro interno presentano più tipologie.
1.5 Le componenti del testo narrativo
Elementi indispensabili di ogni testo narrativo sono anche il tempo e lo spazio (o luogo); essi
possono appartenere alla realtà effettiva, riprodurla fedelmente, oppure essere spiccatamente
fantastici; l’autore, in base ai propri gusti ed alla propria formazione, può decidere di descriverli
con puntigliosa precisione o soltanto accennarli, tenendo sempre ben presenti i diversi generi
compositivi.
Il tempo
Il tempo è una categoria fondamentale per la costruzione di una narrazione, proprio perché essa è,
in genere, una successione cronologica di eventi che possono essere raccontati con un ritmo
rapido o lento. È necessario, tuttavia, distinguere tra un tempo interno al testo ed un tempo
esterno al testo.
Il tempo interno può essere, a sua volta, suddiviso tra:
- tempo di ambientazione (detto anche tempo del racconto),ossia la situazione storica in
cui si attua la vicenda narrata;
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- tempo di contiguità (incluso anche esso nel tempo del racconto) ossia la situazione
richiamata all’interno della vicenda narrata, come causa che precede i fatti esposti o come
effetto conseguente dei fatti esposti;
- tempo di durata (detto anche tempo della storia), ossia il tempo indicato dall’autore come
proprio degli eventi narrati.
Il tempo della storia è, generalmente, sempre maggiore del tempo del racconto, in quanto scrivere
vuole anche dire “selezionare”; per esempio, un autore potrà decidere di sintetizzare in due pagine
una vicenda che si è svolta in più anni, se ha deciso che a quei fatti non vuole dare molta
importanza o, al contrario, può dedicare due pagine per descrivere piccoli particolari, fondamentali
per comprendere il carattere del personaggio o dei personaggi o lo sviluppo della vicenda.
Il tempo esterno, invece, può essere suddiviso tra:
- tempo contestuale, ossia il periodo in cui l’autore si è formato e quello in cui ha
scritto l’opera;
- tempo extracontestuale, ossia le influenze che la stesura del testo dimostra di aver ricevuto
o che ha comportato, espresse attraverso citazioni, riferimenti ad altri testi o autori che lo
scrittore conosce.
Nella narrazione il variare del rapporto tra il tempo della storia ed il tempo del racconto conferisce
ad essa il cosiddetto ritmo narrativo che, di solito, non procede in modo costante, ma presenta
accelerazioni e rallentamenti attraverso i quali lo scrittore mette in evidenza certe situazioni
rispetto ad altre; ad esempio, il ritmo narrativo accelera se l’autore fa prevalere le sintesi (se
riassume in poche battute eventi di durata più ampia), oppure, se fa prevalere le ellissi (se
omette parti più o meno ampie della narrazione); rallenta se l’autore temporeggia in analisi (se
decide di dedicare molto spazio a vicende che, al contrario sono avvenute in poco tempo) o se
indugia con le pause (se introduce una digressione).
Lo spazio (o luogo)
Ogni narrazione è ambientata in uno spazio (o luogo), nel quale si muovono i personaggi che ne
fanno parte e si svolgono le azioni che la caratterizzano.
La rappresentazione dello spazio viene definita o in base al ruolo che essa assume nei confronti
della narrazione o in base alla sua tipologia (novella, racconto, romanzo, ecc.); nel racconto breve,
ad esempio, il ruolo dello spazio si mantiene costante, invece, nel romanzo è frequente un suo
cambiamento.
In base alla sua funzione lo spazio può essere così suddiviso:
- spazio statico, costituisce lo scenario in cui si colloca l’azione; l’autore è generico nella
descrizione dell’insieme (ad esempio un paesaggio), ma preciso nei particolari; non è
importante per lo svolgimento dell’azione;
- spazio dinamico, cambia con il cambiare dell’azione; l’autore è preciso sia nella descrizione
dell’insieme, sia nella descrizione dei particolari; è determinante per lo svolgimento dell’azione;
- spazio lirico, partecipa dell’azione; l’autore lo descrive in tutte le sue sfumature, precisandone
i particolari; riflette o contrasta le emozioni dei personaggi.
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Lo spazio può essere indicato anche in base a determinati concetti, in opposizione tra loro; ciò
accade, soprattutto, nei testi di una certa ampiezza come i racconti lunghi o i romanzi, nei quali
prevalgono caratteristiche ricorrenti, capaci di arricchire il messaggio.
I concetti più frequenti sono:
-
aperto-chiuso
alto-basso
reale-immaginario
vicino-lontano
destra-sinistra
limitato-illimitato
deserto-abitato
Questi concetti possono assumere diversi significati, ad esempio la coppia “alto-basso” è tipica di
alcune narrazioni, dove solitamente tutto quello che avviene in “basso” (la terra, il mare, la
montagna) è posto fuori dalla normale misura del tempo e dalle regole naturali della vita, come
nelle fiabe, nel genere “fantasy” o nei testi di particolare valore simbolico.
Anche nella coppia “vicino-lontano”, ciò che è “vicino”richiama alla mente qualcosa di famigliare, di
conosciuto, di umano, mentre il termine“lontano” è inteso come sconosciuto, pericoloso, da
temere; allo stesso modo “aperto-chiuso”: lo “spazio aperto” può insinuare l’idea di nemico, di
estraneo, invece lo “spazio chiuso”di casa, di quartiere, di paese, comunque di qualcosa che
protegge.
I termini di ogni coppia possono anche invertirsi ed assumere significati, reali o simbolici,
contrapposti.
1.6 I personaggi e la loro funzione
I personaggi sono un’altra componente fondamentale del testo narrativo, il ruolo e le loro
caratteristiche sono innumerevoli, perché sono proprio essi a costituire il fulcro di qualsiasi
narrazione, a portare avanti l’azione, a determinare le situazioni ponendosi in relazione tra loro, ad
avere una loro psicologia e un loro temperamento che li rendono vivi, reali, pure se sono nati dalla
penna dello scrittore. Quali sono, allora, gli elementi che conferiscono loro tali particolarità?
Importante è la caratterizzazione che può essere fisica, quando l’autore descrive l’aspetto fisico
dei personaggi; psicologica quando ne descrive il carattere, gli stati d’animo, i sentimenti;
culturale quando fornisce notizie riguardanti gli studi, le letture, i gusti; sociale ed economica
quando lo scrittore ricostruisce l’ambiente sociale ed economico nel quale vive il personaggio o i
personaggi chiave della sua narrazione (il lavoro svolto, la condizione economica, il quartiere o la
casa di residenza, ecc.); ideologica quando descrive le posizioni politiche e/o ideologiche del
personaggio o dei personaggi chiave.
Ma, che cosa si intende per personaggio chiave?
Si sa che un personaggio è essenzialmente portatore di un’azione se lo si considera sotto
questo aspetto, ed oltre alla caratterizzazione diviene importante anche il ruolo che svolgerà
all’interno della vicenda narrata.
Lo studioso russo Vladimir Propp, studiando le fiabe russe, ha individuato in esse ben sette ruoli
ricorrenti
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-
l’antagonista
il donatore
l’aiutante
la principessa e suo padre
il mandante
l’eroe
il falso eroe.
È semplice capire che questi sono ruoli riguardanti esclusivamente le fiabe e/o le favole, essi non
vanno bene per altri generi narrativi; se, ad esempio si considerano il racconto e/o il romanzo, i
ruoli divengono meno precisi ma, certamente, più facili da applicare ai diversi tipi di fabula. Allora,
si avranno
- il protagonista, cioè il personaggio al centro dell’azione, colui che la mette in moto oppure ne
è vittima; a volte i protagonisti possono essere più di uno, magari collocati tutti e due sullo
stesso piano di importanza (ad esempio, Renzo e Lucia nei “Promessi Sposi”) oppure il
protagonista può essere affiancato da un “alter ego” (come accade ad es. ne “Il ritratto di
Dorian Gray” di Oscar Wilde);
- l’antagonista, il personaggio che si contrappone al protagonista per impedire il
raggiungimento dell’obiettivo, magari opprimendo il personaggio principale in qualche maniera
(ad es., la figura di don Rodrigo all’interno dei “Promessi Sposi”);
- l’oggetto, cioè la cosa o la persona desiderata oppure temuta, che movimenta l’azione (ad
es., la figura di Lucia all’interno dei “Promessi Sposi”, la quale, peraltro, ricopre più ruoli,
all’interno del romanzo);
- l’aiutante, il personaggio che si schiera o con il protagonista per aiutarlo a raggiungere il suo
scopo, allora, in questo caso, se il suo agire è sincero, si parla di aiutante vero, o, al contrario,
con l’antagonista, per cui il suo intervento nasconde ben altri obiettivi, allora si parla di
aiutante falso (ad es., padre Cristoforo, sempre nei “Promessi Sposi”, è aiutante vero di
Renzo e Lucia, mentre la monaca di Monza, è una falsa aiutante dei due giovani);
- il collaterale è un personaggio coinvolto temporaneamente nell’azione, pur avendo una
autonoma esistenza rispetto al protagonista ed all’antagonista; molto spesso può mutare il
proprio ruolo, divenendo un aiutante, vero o falso (come, ad es., don Abbondio, falso aiutante
di Renzo e Lucia); solitamente questo ruolo è ricoperto da personaggi di minore importanza
nell’evoluzione della narrazione.
Da quanto sinora esposto, si deduce che i personaggi non possono essere considerati
autonomamente e singolarmente, ma essi vanno esaminati le loro agire o interagire, dato
dall’insieme di relazioni che li avvicinano o li oppongono. Questo modo di considerare i ruoli è
definito sistema dei personaggi; grazie ad esso è spesso possibile risalire alla concezione del
mondo dello scrittore ed al messaggio che egli vuole trasmettere.
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2. Le tecniche del testo narrativo
2.1 Il punto di vista
Il punto di vista è un importante elemento tecnico che serve a regolare il testo narrativo, esso è il
modo in cui l’autore “ mette a fuoco” personaggi, fatti ed ambienti della propria narrazione,
tant’è che per indicare il punto di vista, tecnicamente si adopera il termine “focalizzazione”.
Si parla di “focalizzazione zero”, quando il narratore ne sa di più degli stessi personaggi e
conosce persino le motivazioni delle loro azioni; questo tipo di focalizzazione è il più usato.
Si parla di “focalizzazione interna”, quando il narratore ne sa quanto il personaggio di cui
adotta lo stesso punto di vista.
Si parla, infine, di “focalizzazione esterna”quando ci troviamo di fronte ad un racconto
assolutamente oggettivo, con personaggi che non consentono al lettore di conoscerne pensieri e
sentimenti; in questo caso il narratore è solo un testimone che si limita a registrare i fatti.
Tuttavia, il punto di vista si individua in particolare dall’analisi del narratore.
2.2 Il narratore
Il testo narrativo, a differenza del testo lirico e del testo drammatico, è caratterizzato dalla
presenza del narratore, ossia di “colui che racconta gli eventi”, in terza o in prima persona
singolare, ma attenzione a non confonderlo mai con l’autore dell’opera, in quanto, questi,
è un individuo storico reale, mentre il narratore fa parte della finzione letteraria (ad es., nei
“Promessi Sposi” il narratore è un anonimo scrittore del Seicento, del quale Manzoni dichiara di
aver trovato un manoscritto e di averlo reso in un italiano più comprensibile), ed anche se, in
taluni romanzi, autore e narratore sembrano coincidere perché, la voce narrante non ha
caratteristiche ben definite (come accade, ad es., nei romanzi di Stendhal), il narratore rimane,
sempre e comunque, una figura artificiosa, l’unica eccezione è data dalle autobiografie, testi in
cui l’autore narra in prima persona la propria vita.
Si possono distinguere tre tipi di narratore:
- Il narratore interno, detto anche omodiegetico (dal greco “homos”= “uguale” e
“diéghesis”= “racconto”, e sta per narratore “partecipe all’azione”), che racconta in prima
persona gli eventi. Egli può essere o protagonista (il narratore racconta e commenta ciò che
vive durante l’azione e spesso scrive a vicenda terminata) o testimone (il narratore racconta
ciò che vede e conosce direttamente, oppure conosce solo parzialmente i fatti narrati o, ancora,
chiarisce la vicenda nella conclusione, quando tutti i fatti sono stati resi noti).
- Il narratore esterno, detto anche eterodiegetico (dal greco “héteros”=”altro” e “diéghesis”=
“racconto”, e quindi sta per narratore “esterno all’azione”) che, in genere, racconta in terza
persona gli eventi. Egli può essere osservatore (lontano nel tempo e nello spazio, il narratore
espone i fatti secondo il proprio punto di vista, che esplicita spesso attraverso un procedimento
inverso, ossia, parte dagli effetti, già conosciuti, per giungere alle cause, sconosciute; un valido
esempio è il racconto Rosso Malpelo di G. Verga) oppure può essere onnisciente (il narratore
“ne sa di più” dei personaggi, ma non rivela la propria identità, conosce e descrive fatti ed
12
emozioni riguardanti la narrazione, inoltre, propone la vicenda come reale; validi esempi sono:
La Storia di E. Morante, e i Promessi Sposi di A. Manzoni).
- Il narratore protagonista, detto anche autodiegetico (dal greco “autos”= “da sé” e
“diéghesis”= “racconto”, e quindi sta per narratore “protagonista dell’azione), che racconta in
prima persona singolare gli eventi di cui è protagonista.
Evoluzione delle tecniche narrative
Nell’Ottocento gli scrittori di racconti e di romanzi impiegavano prevalentemente il narratore
esterno onnisciente, che organizzava la narrazione a suo piacimento, interpretandola secondo il
proprio punto di vista (un esempio sono i Promessi Sposi di A. Manzoni).
Nella seconda parte dell’Ottocento, con il dominio della narrazione verista, gli autori, per
rendere realistiche le proprie opere, adottarono un particolare tipo di racconto, che prevedeva
l’oscuramento dell’autore e la retrocessione del narratore ad osservatore, spesso corale (un
esempio sono I Malavoglia di G. Verga).
Nella narrativa novecentesca, infine, con il prevalere della soggettività, gli scrittori preferiranno
narrare interamente in prima persona, il cosiddetto io-narrante (un esempio è Il fu Mattia
Pascal di L. Pirandello).
2.3 Come si narra
In ogni narrazione gli avvenimenti si alternano alle parole, ossia ai discorsi e ai pensieri dei
personaggi; nel riportarli, l’autore, può scegliere tecniche diverse tra loro, distinguendo tra:
- discorso diretto libero, caratterizzato dalla presenza di segni grafici forti (virgolette
precedute dai due punti) con cui il narratore, che in questo caso sembra non esserci, riporta le
parole dei personaggi, senza utilizzare verbi dichiarativi (pensare, dire, esclamare, ecc.); la
distanza tra il lettore e le vicende narrate è minima;
- discorso indiretto libero, le parole ed i pensieri dei personaggi sono riportati dal narratore
senza l’utilizzo di formule dichiarative ma, anzi, egli ne assume il punto di vista (ad es.: - Egli
pensò che la situazione fosse insostenibile perché…);
- discorso diretto legato, il narratore introduce le parole e i pensieri dei personaggi, utilizzando
verbi dichiarativi seguiti dai due punti e dalle virgolette (ad es.: - L’uomo disse che: “…”); la
distanza tra il lettore e le vicende narrate è ancora minima, ma si percepisce ancor più la
presenza del narratore che man mano fornisce informazioni;
- discorso indiretto legato, le parole ed i pensieri dei personaggi sono riportati in forma
indiretta, grazie all’ausilio di verbi dichiarativi;
- discorso raccontato, le parole ed i pensieri dei personaggi sono riferiti in modo sintetico,
oppure rielaborati dal narratore attraverso la propria voce, il cui punto di vista si sovrappone a
quello dei protagonisti, ampliando la distanza tra il lettore e le vicende narrate.
Oltre a quanto illustrato sinora, l’autore ha anche a disposizione altre tecniche particolari capaci di
presentare le situazioni psicologiche dei personaggi, esse sono:
- il soliloquio, con il quale il personaggio si rivolge a se stesso;
13
- il monologo interiore, mediante il quale il personaggio esprime fra sé e sé i suoi più profondi
pensieri;
- il flusso di coscienza, forma particolare di monologo interiore che, a differenza di questo,
porta alla superficie, in maniera immediata, l’inconscio del personaggio, ossia i suoi pensieri, le
sue emozioni, le sue impressioni.
14
Percorsi: antologia di testi letterari
per temi
15
UN PERCORSO ATTRAVERSO UN TEMA
RITRATTI DI DONNE
Il percorso proposto ti farà esplorare alcuni aspetti dell’universo femminile, così come prosatori,
cantautori e pittori hanno voluto interpretarlo, servendosi dei linguaggi a loro più consoni. Da
sempre la donna è stata fonte di ispirazione per le forme di comunicazione artistica più diverse,
che con le loro peculiarità hanno realizzato “ritratti” femminili che è possibile confrontare tra
loro, per coglierne le caratteristiche e il messaggio.
Il primo testo (Una vera antipatica!) è tratto dal Decameron (1348-1375) di Giovanni
Boccaccio, una raccolta di cento novelle narrate da una gruppo di dieci giovani e ragazze che
si rifugiano nella campagna fiorentina per sfuggire alla peste che colpì Firenze nel 1348. Le
tematiche trattate nelle novelle sono molto varie, così come i personaggi, le ambientazioni e le
situazioni in cui i protagonisti si trovano ad agire. Il titolo della raccolta deriva da una parola
greca che significa “di dieci giorni” (novelle), quanti appunto sono i giorni delle narrazioni.
Il brano Un’ étoile del palcoscenico è tratto dal romanzo di Émile Zola Nanà (1880), in cui si
narra la vicenda di una giovane donna parigina, Anna Coupeau, che, grazie alla sua bellezza e
alla spregiudicatezza nei confronti degli uomini, intraprende un’ascesa sociale che la condurrà
dai bassifondi ai salotti più in voga della città. In una società descritta dall’autore come feroce e
ormai priva di ogni valore morale, Nanà porterà alla rovina i suoi amanti e a sua volta sarà
sfruttata, fino a morire di vaiolo, abbandonata e sfigurata, in una squallida camera d’albergo.
La canzone La mia ragazza mena, tratta dall’album Italiano medio (2002) degli Articolo 31,
offre un ritratto di ragazza forse un po’ “inusuale”, ma di certo più attuale! La donna del testo
non ha nulla di romantico o di fragile e il suo ritratto è tracciato descrivendone abitudini e
comportamenti attraverso il testo del noto gruppo pop milanese.
Figura 1. Presunto primo ritratto di Giovanni Boccaccio (XIV sec.), affresco nel Palazzo dei Giudici e dei Notai
di Firenze.
A TU PER TU CON L’AUTORE
Giovanni Boccaccio nacque probabilmente a Certaldo, nei pressi di Firenze, nel 1313. Figlio
illegittimo di un importante mercante e di una donna di umili condizioni, venne riconosciuto dal
padre e avviato sin da giovane all’attività bancaria e mercantile.
Fece pratica a Napoli, dove ebbe l’opportunità di venire a contatto con il mondo di mercanti,
avventurieri, gente del popolo e borghesi che in seguito costituiranno i soggetti umani delle sue
opere, in particolare del Decameron. Frequentò inoltre la corte di Roberto d’Angiò, che regnavano
sul paese, e conobbe i costumi della ricca borghesia e della nobiltà, altra fonte di ispirazione per la
16
sua produzione letteraria. Proprio in questi anni maturò la passione per la letteratura ed iniziò a
comporre alcune delle sue opere.
Tra il 1340 e il 1341 dovette tornare a Firenze poiché la banca dei Bardi, di cui il padre dirigeva la
succursale a Napoli, era fallita e la famiglia aveva subito un tracollo economico. Ottenne numerosi
incarichi pubblici in qualità di ambasciatore e frequentò le corti italiane e straniere. Negli anni tra
1349 e il 1351 si dedicò alla stesura del suo capolavoro in prosa, il Decameron.
Nel corso di questo periodo fiorentino Boccaccio prese gli ordini minori e divenne chierico.
Fondamentale nella sua biografia fu l’amicizia con Francesco Petrarca, insieme al quale costituì un
punto di riferimento per la cultura italiana ed europea, che, proprio in quel momento ,riscopriva i
grandi autori della letteratura greca e latina nel fervore culturale dell’Umanesimo.
Negli ultimi anni della sua vita intraprese la redazione di un commento alla Commedia di Dante,
proprio dal Boccaccio definita “divina”, che non riuscì però ad ultimare a causa della morte
sopraggiunta nel 1375.
SALA DI LETTURA
Una vera antipatica!
La novella proposta è l’ottava della sesta giornata del Decameron1, durante la quale si sviluppa la
tematica del “motto”, ossia una frase pungente ed ingegnosa, che pronunciata in situazioni
particolari consente al protagonista di togliersi d’impaccio o di esprimere con arguzia una
riflessione sulla vicenda o su altri personaggi del racconto.
La lingua del testo non sempre è di facile comprensione, trattandosi di volgare del Trecento.
Alcune difficoltà sono date dalla disposizione delle parole, altre dalla comprensione dei termini che,
nel corso dei secoli, pur essendo rimasti simili hanno assunto significati in parte differenti da quelli
originari. Ti proponiamo una riscrittura guidata, in parte già realizzata, in parte da completare, che
ti permetterà di giungere ad una comprensione più agevole del testo e di riflettere sull’evoluzione
della lingua.
[carattere blu = riflessione lessicale] [carattere rosso = riflessione sintattica]
Fresco conforta la nepote che non si specchi, se Fresco consiglia alla nipote di non specchiarsi
gli spiacevoli, come diceva, l’erano a veder
più, se le persone fastidiose sono sgradite alla
noiosi.
sua vista, come lei afferma.
Uno adunque, che si chiamò Fresco da Celatico,
aveva una sua nepote chiamata per vezzi2
Cesca: la quale, ancora che3 bella persona
avesse e viso, non però di quegli angelici che già
molte volte vedemmo, sé da tanto4 e sì nobile
reputava, che per costume aveva preso di
biasimare e uomini e donne e ciascuna cosa che
ella vedeva, senza avere alcun riguardo5 a se
Un uomo, che si chiamava Fresco da Celatico,
aveva una nipote, detta in modo vezzeggiativo
Cesca. Benchè avesse un viso ed un [aiutandoti
eventualmente con un dizionario, scegli jl
significato più appropriato] carattere / aspetto /
portamento gradevoli, anche se non così
aggraziati come già molte altre volte se n’è visti,
si reputava di così gran valore e tanto nobile,
1
Si fa riferimento all’edizione BOCCACCIO G., Decameron, a cura di Vittore Branca, voll. 1-2, Einaudi, Torino
1980.
2
In modo vezzeggiativo.
3
Benché.
4
Di così gran valore
5
Badare, prestare attenzione.
17
medesima, la quale era tanto più spiacevole,
sazievole6 e stizzosa che alcuna altra, che a sua
guisa7 niuna cosa si potea fare; e tanto, oltre a
tutto questo, era altiera, che se stata fosse de’
Reali di Francia sarebbe stata soperchio8. E
quando ella andava per via sì forte le veniva del
cencio9, che altro che torcere il muso non
faceva, quasi puzzo le venisse di chiunque
vedesse o scontrasse.
che aveva come
_____________________________ [rifletti sul
significato di “costume” nel contesto; pensa
all’espressione corrente “usi e costumi”] quella
di_____________ [trova un sinonimo adatto per
“biasimare” ] uomini, donne e qualsiasi cosa
vedesse. Nel fare ciò non badava a se stessa,
che era tanto più antipatica, fastidiosa e
_________________ [trova un sinonimo per
“stizzosa”] di qualsiasi altra donna e non era
possibile fare nulla in modo che fosse contenta.
Inoltre era tanto superba che, anche se fosse
appartenuta alla famiglia dei reali di Francia, lo
sarebbe stata eccessivamente. E quando
camminava per strada, si mostrava così
disgustata come se sentisse puzza di bruciato,
che non faceva altro che torcere il naso, come
se tutti quelli che vedeva o incontrava
mandassero cattivo odore.
Ora, lasciando stare molti altri suoi modi
spiacevoli e rincrescevoli, avvenne un giorno
che, essendosi ella in casa tornata là dove
Fresco era e tutta piena di smancerie10 postaglisi
presso a sedere, altro non facea che soffiare;
laonde Fresco domandando le disse: “Cesca, che
vuol dir questo che, essendo oggi festa, tu te ne
se’ così tosto11 tornata in casa?”
Ora, tralasciando molti altri suoi modi di fare __
______________________________ [trova un
sinonimo per “spiacevoli e rincrescevoli”], un
giorno accadde che, dopo essere tornata a casa
di Fresco, sedutasi vicino a lui con
atteggiamento sdolcinato, non faceva altro che
sbuffare, per cui Fresco le chiese; “Cesca,
______________ [semplifica la sintassi,
sostituendo il sintagma sottolineato con un’unica
congiunzione interrogativa] sei tornata così
presto a casa, dal momento che oggi è festa?”
6
Fastidiosa.
In modo che fosse soddisfatta.
8
Lo sarebbe stata eccessivamene.
9
Si mostrava così disgustata come se sentisse puzza di bruciato.
10
Con atteggiamento sdolcinato.
11
Presto.
7
18
Al quale ella tutta cascante di vezzi12 rispose:
“Egli è il vero che io me ne sono venuta tosto,
per ciò che13 io non credo che mai in questa
terra fossero e uomini e femine tanto spiacevoli
e rincrescevoli quanto sono oggi, e non ne
passa per via uno che non mi spiaccia come la
mala ventura; e io non credo che sia al mondo
femina a cui più sia noioso il vedere gli
spiacevoli che è a me, e per non vedergli così
tosto me ne son venuta.” Alla qual Fresco, a cui
li modi fecciosi della nepote dispiacevan
fieramente, disse: “Figliuola, se così ti
dispiaccion gli spiacevoli, come tu di’, se tu vuoi
viver lieta non ti specchiar giammai.”
Ma ella, più che una canna vana14 e a cui di
senno pareva pareggiar Salamone15, non
altramenti che un montone avrebbe fatto intese
il vero motto di Fresco, anzi disse che ella si
voleva specchiar come l’altre. E così nella sua
grossezza16 si rimase e ancor vi si sta.
_______________________________________
_________________
[ricostruisci
l’ordine
sintattico della frase. Fai attenzione al pronome
relativo] “È vero che sono tornata presto,
poiché non pensavo ci fossero in paese tanti
uomini e donne così antipatici quanti ce ne
sono oggi, e non ne passa per la strada uno
che non mi indisponga come fa la sfortuna! E
non penso ci sia al mondo una donna per cui
vedere le persone antipatiche sia più fastidioso
che per me, quindi per non incontrarle sono
tornata a casa così presto. Fresco, a cui le
maniere _________ [trova un sinonimo per
“fecciosi”; rifletti sul significato originario del
termine: deposito melmoso lasciato dal vino
nelle botti. Come si arriva al significato attuale
dell’espressione “feccia”?] non piacevano
affatto, disse “ Figliola, se ti danno fastidio le
persone spregevoli, come dici, e se vuoi vivere
felice, non specchiarti mai”
Lei però, che credeva di uguagliare Salomone in
saggezza, più che________________________
_______________________________________
_______________________________________
[ricostruisci l’ordine sintattico della frase e
riscrivila in italiano corrente], anzi disse che si
voleva specchiare come le altre donne. E così
restò ed ancora rimane nella sua ignoranza.
LABORATORIO DEL TESTO
Proposte di lavoro sulla comprensione e/o analisi testuale e
tematica
1. Il testo è già suddiviso in sequenze: assegna ad ognuna un titolo.
12
Facendo moine.
Poiché.
14
Vuota.
15
Salomone, personaggio biblico, re d’Israele, era noto per la sua saggezza.
16
Ottusità, ignoranza.
13
19
2. a. La prima sequenza è prevalentemente descrittiva, infatti
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
b. La seconda sequenza è
narrativa
descrittiva
dialogica
infatti___________________________________________________________________________
_______________________________________________________________________________
c. La terza sequenza è_____________________________________________________________
________________________________________________________________________________
3. Il narratore della novella è
interno
esterno
Motiva la tua risposta
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
4. Ritieni che il narratore esprima dei giudizi personali all’interno della novella? Sì? No? Sottolinea
nel testo i passi che ti consentono di rispondere e commentali.
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
5.
a. Soffermiamoci sulla descrizione di Cesca: la protagonista viene presentata
direttamente
indirettamente
b. Completa la tabella con i dati richiesti.
ASPETTI FISICI
______________________________________
______________________________________
______________________________________
______________________________________
______________________________________
______________________________________
______________________________________
______________________________________
______________________________________
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ASPETTI CARATTERIALI
______________________________________
______________________________________
______________________________________
______________________________________
______________________________________
______________________________________
______________________________________
______________________________________
______________________________________
______________________________________
20
6. Benché in misura minore, è possibile dedurre dal testo anche alcuni aspetti del carattere di
Fresco da Celatico. Sottolineali e poi elabora una breve descrizione del personaggio.
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
7. Sottolinea nel testo i passi da cui è possibile dedurre quali siano i sentimenti dello zio nei
confronti della nipote.
8. Sottolinea nel testo il “motto” di Fresco e spiegalo, mettendone in evidenza il significato.
9. Nel testo è sottolineata la risposta di Cesca al motto di Fresco. Che cosa possiamo comprendere
da queste parole?
Proposte di riscrittura e rielaborazione
1. Riscrivi la novella assumendo il punto di vista della nipote di Fresco e utilizzando la prima
persona.
2. Il motto finale dello zio non provoca nessun effetto sulla protagonista! Riscrivi la conclusione
della novella, immaginando invece che Cesca comprenda le parole di Fresco e che ciò provochi in
lei una reazione.
Proposte di produzione testuale
1. Descrivi una persona che conosci e che, per alcuni aspetti del carattere, potresti paragonare alla
protagonista della novella.
2. Inventa un breve racconto che riproduca la situazione narrata nel testo, ambientata però ai
giorni nostri.
21
E. Manet., Ritratto di Émile Zola, Olio su tela, 1868, Parigi, Musée d’Orsay
A TU PER TU CON L’AUTORE
Émile Zola nacque e visse a Parigi (1840-1902), dove svolse la professione di giornalista e di
scrittore. Il suo nome è legato alla nascita e alla teorizzazione del Naturalismo, movimento
letterario incentrato sulla descrizione della realtà e dell’umanità contemporanee all’autore, che in
maniera oggettiva e senza pregiudizi deve lasciar parlare “i fatti” e così denunciare le ingiustizie
della società in cui agiscono i suoi personaggi. Zola realizzo un ciclo di romanzi (Il ciclo dei Rougon
Macquart) in cui cercò di dimostrare, secondo i principi del Naturalismo, come le vite dei
personaggi, legati dall’appartenenza alla stessa famiglia, fossero influenzate dall’ambiente
circostante e come lo scrittore potesse analizzare queste relazioni con un metodo razionale,
paragonabile a quello di uno scienziato.
SALA DI LETTURA
Un’étoile del palcoscenico
E’ sera, in un teatro di Parigi due uomini attendono l’inizio di uno spettacolo17.
« Sei fortunato tu che non hai mai assistito a una prima rappresentazione... La Bionda Venere18
sarà il grande avvenimento dell'annata. Son sei mesi che se ne parla. Ah! caro mio, che musica!
che roba!... Bordenave lo sa il fatto suo, è per l'Esposizione19 che l'ha serbata.»
Ettore ascoltava in religioso silenzio. Poi, azzardò una domanda :
« E Nanà, la nuova stella, quella che fa da Venere, la conosci tu? »
« E dai! Si ricomincia, ora! » gridò Fauchery alzando in aria le braccia. « È da stamani che mi si
rompe le scatole con Nanà. Ho incontrato piú di venti persone, e Nanà qui e Nanà là! E che ne so,
io? Le conosco forse tutte, io, le buone donne di Parigi?... Nanà è una scoperta di Bordenave. Bella
roba, dev'essere!» […]
« Eccolo là Bordenave » disse Fauchery mentre scendeva la scala.
Ma l'impresario del teatro lo aveva già scorto e lo apostrofò di lontano :
17
Si fa riferimento a ZOLA È, Nanà, Oscar classici Mondadori, Milano 1955.
E’ lo spettacolo teatrale in cui debutterà Nanà.
19
L’Esposizione era una fiera internazionale che si svolgeva nelle grandi città.
18
22
« Eh sí! proprio gentile siete, voi! Bell'annunzio mi avete fatto nella cronaca teatrale... Stamani ho
aperto il Figaro20: niente! »
« Aspettate » rispose Fauchery « bisogna Pure che la veda e la senta la vostra Nanà, prima di
parlarne... Del resto, non vi avevo promesso nulla, io. »
Poi, per tagliar corto, presentò il cugino Ettore Lafaloise, un giovanotto che era venuto a
completare la sua educazione a Parigi. […] Ettore si sentì in dovere di rivolgergli una frase gentile.
« Il vostro teatro... » cominciò con voce flautata.
Bordenave l'interruppe' subito con una frase sgarbatamente franca, da uomo che ama le situazioni
chiare :
« No, dite il mio bordello. »
Fauchery sbottò in una risata di consenso; Lafaloise invece, sbalordito, restò col suo complimento
strozzato in gola, ma finse di gradire e gustare la brutalità dell'interruzione. L'impresario si era
precipitato a stringer la mano a un critico drammatico le cui cronache teatrali avevano larga
risonanza. Quando tornò, Lafaloise si stava già rimettendo: mostrandosi interdetto e confuso
temeva di esser preso per un provinciale.
«Mi hanno detto » riprese volendo a ogni costo dire qualcosa « che Nanà ha una voce deliziosa. »
« Chi? Nanà? » gridò l'impresario alzando le spalle « un vero zufolo21 è. »
« Però è una grande attrice. »
« Chi? quella?... un fagotto è! Non sa né dove mettere i piedi, né dove tener le mani. »
Lafaloise arrossì, ma appena appena. Non ci capiva piú nulla. Balbettò :« Neanche per tutto l'oro
del mondo sarei mancato alla prima di stasera. Sapevo che il vostro teatro... »
« Ma chiamatelo bordello » interruppe di nuovo Bordenave con la cocciutaggine di uno che ne è
arciconvinto.
Nel frattempo Fauchery se n'era stato zitto zitto a guardare le signore che entravano. Ma ora,
vedendo il cugino a bocca aperta e senza sapere se dovesse ridere o arrabbiarsi, venne in suo
aiuto.
« Via, contenta22 Bordenave, chiamalo come vuole lui il suo teatro, dal momento che gli garba
cosí... E voi, caro mio, non ci montate la testa; se la vostra Nanà non sa né cantare né recitare,
farete un bel fiasco, ecco tutto. Del resto è proprio quello che temo. »
« Un fiasco! un fiasco! » gridò l'impresario la cui faccia si era fatta di porpora. « Una donna ha
forse bisogno di saper recitare e cantare? Ah! ragazzo mio, te ne intendi poco... Nanà ha altri
argomenti, perdio, altri argomenti che sostituiscono tutto. L'ho fiutata; o c'è in lei qualcosa che
formidabilmente attrae o il mio naso è quello di un imbecille... Vedrai, vedrai : non ha che da pre sentarsi in scena, e tutto il teatro si leccherà i baffi. »
Aveva teso in alto le sue grosse braccia tremolanti d'entusiasmo e, come sollevato da un peso,
borbottava a bassa voce a se stesso :
« Andrà lontano quella, giuraddio, sí andrà lontano. Che pelle, oh, che pelle! » […]
Lo spettacolo inizia ed il pubblico freme per l’ingresso di Nanà.
In quel momento, le nubi, in fondo alla scena23, si aprirono, e apparve Venere. Nanà, alta,
esuberante per i suoi diciotto anni, avvolta nel suo manto bianco di dea, coi lunghi capelli biondi
sciolti con semplicità sulle spalle, si avanzò verso la ribalta, con tranquilla disinvoltura, sorridendo
al pubblico. E intonò il suo bel pezzo d'entrata :
Quando Venere la sera va a zonzo...
Fin dal secondo verso, tutti, nella sala, cominciarono a guardarsi tra loro. Era uno scherzo? era una
presa di bavero24 di Bordenave? Mai si era sentita una voce cosí stonata, cosí ineducata al canto. Il
suo impresario l'aveva giudicata bene: cantava come uno zufolo. Non sapeva neppure stare sulla
scena, le mani le buttava sgraziatamente in avanti e il corpo lo dondolava in un modo che fu
giudicato sconveniente e screanzato. Degli "oh! oh" già si alzavano dalla platea e dai posti in piedi,
20
Quotidiano di Parigi.
Strumento musicale simile al flauto. Ironicamente l’impresario sta dicendo che Nanà è stonata.
22
Accontenta.
23
Si fa riferimento alla scenografia dello spettacolo,
24
Una presa in giro.
21
23
già si sentiva qualche fischio, quando una voce di galletto di primo canto, dalle poltrone
d'orchestra, gridò con entusiastica convinzione :
« Che scicchettona! »
Tutta la sala guardò da quella parte. Era il cherubino, lo studentello scappato di collegio, coi suoi
begli occhi sgranati, con la sua faccia bionda fattasi tutta fiamme alla vista di Nanà. Quando vide
che tutta la gente lo guardava, si fece di brace per aver parlato, senza volerlo, a cosí alta voce.
Daguenet, che gli era vicino, lo guardava fisso sorridendo, il pubblico rideva disarmato e non
pensava piú a fischiare, e intanto i giovanotti in guanti bianchi, entusiasmati anch'essi dal
meraviglioso profilo di Nanà, andavano pur essi in solluchero e applaudivano.
«È vero, è scicchettona25! Bravo! »
Intanto Nanà, vedendo ridere tutti, si mise a ridere anche lei. L'allegria raddoppiò. Era proprio
curiosa, quella bella ragazza! Il suo ridere le scavava un amore di fossettina nel mento. Essa
attendeva, franca, alla mano, senza nessuna soggezione del pubblico, con l'aria di dire essa stessa,
con una strizzatina d'occhio, che, sí, lei non aveva neanche due centesimi di talento, ma che ciò
non aveva importanza, perché aveva un'altra cosa. E dopo aver fatto al direttore d'orchestra un
cenno che voleva dire : "Andiamo, vecchio mio!" attaccò la seconda strofetta :
A mezzanotte è Venere che passa...
Era sempre la stessa voce, che però ora solleticava il pubblico nel suo punto debole tanto da
suscitare in tutti un leggero brivido. Nanà conservava sulle labbra quel suo sorriso che le
illuminava la piccola bocca rossa e splendente e le riluceva nei grandi occhi chiarocelesti. A certi
versi un po' arditi, un tremito di ghiottoneria26 le arricciava il naso, le rosee narici fremevano, le
guance le si imporporavano. Essa continuava a dondolarsi non sapendo fare altro, ma quel
dondolio, ora, non si giudicava piú scorretto; tutt'altro; e gli uomini lo seguivano ingordi coi loro
binocoli. Quando terminò la strofetta, la voce le mancò completamente e lei capì che non ce l'avrebbe mai fatta; e allora, senza turbarsi, dette in una scrollata dei fianchi che le disegnò, sotto la
sottile camicia, una rotondità perfetta, mentre, col corpo piegato e coi seni capovolti, tendeva in
alto le braccia. Scoppiarono gli applausi. Subito dopo essa si voltò raddrizzandosi e mettendo in
mostra la nuca, dove un ciuffo dei capelli biondi spiccava come un vello27 di belva. E gli applausi
divennero irrefrenabili.
LABORATORIO DEL TESTO
Proposte di lavoro sulla comprensione e/o analisi testuale e
tematica
1. Individua le sequenze principali e assegna ad ognuna un titolo. Sono presenti prevalentemente
sequenze di tipo dialogico,___________________ e _________________.
2. Il narratore è
interno
esterno
Motiva la tua risposta
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
3. Ritieni che il narratore esprima dei giudizi personali all’interno del romanzo? Motiva la tua
risposta
25
“Elegantona”, detto con ironia.
Golosità.
27
Manto.
26
24
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
4. Oltre a Nanà, compaiono nel testo dei personaggi secondari. Completa la tabella, dove possibile,
con i dati richiesti.
PERSONAGGIO
Ettore
PROFESSIONE
ASPETTI CARATTERIALI
5. Sin dall’inizio del romanzo è palpabile l’attesa per il debutto di Nanà sul palcoscenico. Tutti i
presenti ne parlano, mescolando realtà a fantasia. Anche i personaggi del testo forniscono,
indirettamente, alcune informazioni utili a completare il ritratto di Nanà.
Elenca per punti le notizie relative alla ragazza riferite dai tre personaggi.
6. Nanà sale sul palcoscenico e l’autore, come una macchina da presa, si concentra sulla sua
descrizione. Individua e sottolinea tutti i particolari fisici relativi alla protagonista.
7. Nel corso del romanzo, Nanà sarà disinibita e compiacente con gli uomini. Nella sua esibizione
vengono preannunciati questi aspetti, evidenti in alcune azioni della soubrette: rintracciali e
sottolineali.
Proposte di riscrittura e rielaborazione
1. Riassumi il testo in circa 150 parole.
2. Riscrivi la scena del debutto sul palcoscenico assumendo il punto di vista di una Nanà ormai
invecchiata e lontana dalle scene.
Proposte di produzione testuale
1. Servendoti di tutte le informazioni raccolte, stendi una descrizione completa di Nanà,
soffermandoti sui dati fisici e caratteriali.
2. Scrivi un racconto intitolato Nanà che abbia uno svolgimento diverso da quello del romanzo, pur
avendo la stessa protagonista.
3. Confronta il tuo “ritratto” con quello proposto nella “Bottega dell’arte”. Trovi delle affinità
oppure no? Quali aspetti possono essere accomunati e quali invece no?
25
LA BOTTEGA DELL’ARTE
Edouard Manet, Nanà, Olio su tela, 1877, Amburgo, Hamburger Kunsthalle
Édouard Manet (Parigi,1832-1883), benché avviato dalla famiglia alla carriera militare, dimostrò
ben presto inclinazioni artistiche, finchè ottenne di potersi dedicare agli studi pittorici. Fu
considerato già dai contemporanei un iniziatore dell’Impressionismo, movimento artistico che
aveva come principio ispiratore la riproduzione dei soggetti sulla tela come “un’impressione”
composita di luci, colori e forme. Viaggiò molto e morì a causa della sifilide contratta in gioventù.
Nonostante il titolo, il quadro fu dipinto da Manet prima della pubblicazione del romanzo Nanà; è
quindi probabile che il pittore sia stato influenzato dalle parole dell’amico Zola sul personaggio del
romanzo a cui stava lavorando e che, per amicizia, abbia intitolato il quadro con il nome della
donna protagonista. La tela ritrae in realtà Henriette Hauser, una soubrette dell’epoca; fece molto
scandalo al momento della sua esposizione, così come il romanzo di Zola, persino accusato da
alcuni di fare pornografia.
1. Descrivi l’ambiente in cui si collocano le due figure umane, soffermandoti sugli oggetti, sulla
loro collocazione nello spazio e sui colori.
2. Descrivi Nanà fisicamente.
3. Dalla posizione e dallo sguardo potresti dedurre qualche informazione sulla sua personalità?
4. Perché pensi che la figura dell’uomo sia “tagliata” dalla tela?
5. Perché, a tuo parere, il quadro fece tanto scandalo nella società parigina?
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SALA D’ASCOLTO
J. AX (Alessandro Aleotti) e JAD (Luca Perrini) hanno costituito dal 1990 al 2003 la band degli
ARTICOLO 31; il nome del gruppo si rifà all’Articolo 31 della Costituzione irlandese, relativo alla
libertà di espressione. Sono considerati ad oggi, benché abbiano intrapreso ormai carriere da
solisti, il gruppo più incisivo nel panorama hip hop italiano
“La mia ragazza mena”
La mia ragazza si vede un fuscello una piuma
Ma fa paura quant’è dura e forte
Ha una cintura nera con le borchie
E non mi chiede la fede un castello o la luna
Lei balla tutta notte poi la mattina morde
Si mette i miei boxer e offre
Cene precotte bibite bollenti bottiglie a cui toglie
Tappi con i denti non m’inganna mai
Non va a nanna mai mangia panna spray
RIT. La mia ragazza è strana
Non dice che mi ama
Ma beve birra e fuma
Ha un tatoo sulla schiena
La mia ragazza mena
La mia ragazza se piange non è mai per ricatto
Non cucina in cucina mi cucina nel letto
E si mette la notte gli occhiali da sole
E si mette a gridare contro il telegiornale
Il rock la sveglia con le boy-band sbadiglia
Ama il punk da skate la drum’n bass
Ma è il rap che la ripiglia
E scatta quando vedi che si arrabbia
Ti scappa quella donna sembra acqua ma è grappa
È un litro di nitro con la miccia corta
La faccina pulita e la fedina penale sporca
RIT. La mia ragazza è strana
Non dice che mi ama
Ma beve birra e fuma
Ha un tatoo sulla schiena
La mia ragazza mena
La mia ragazza è strana
Non dice che mi ama
Però quand’ho un problema
Lei è qui vicina
La mia ragazza mena
Una mia ex mi chiamava le ha incendiato la casa
Ci ho fatto la lotta ho una costola rotta
Thai-box karate judo
Colpi al fusto manate a viso nudo
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Ma a lei le faccio sesso quando non mi rado e sudo
E sono cotto cotto perché a lei piaccio crudo
Quando la guardo tutto ha più senso
Il mondo sembra meno cattivo
È benzina sul fuoco
È perfetta davvero… anche se ho un occhio nero
Scusate...
1. Come potresti definire lo stile della lingua utilizzata in questa canzone? Rispondi
facendo riferimenti al testo.
2. Alcune parole sono prestiti di altre lingue: sottolineale. A quale ambito fanno
riferimento?
3. La ragazza descritta in questa canzone non è esattamente un modello di
femminilità! Individua in ogni strofa le caratteristiche mascoline che è solita mostrare!
4. Nonostante il suo carattere, il cantante sembra proprio innamorato della sua
ragazza. Identifica nel testo le frasi in cui viene espresso il sentimento provato dal
ragazzo.
Un tuffo nel Web
Per avere a disposizione il testo integrale del Decameron e di altre opere di Boccaccio consulta il
seguente sito, che offre anche informazioni biografiche:
www.letteraturaitaliana.net
Sul sito www.casaboccaccio.it è possibile reperire informazioni biografiche sul poeta, curiosità e
notizie sulla sua abitazione di Certaldo. Vengono inoltre segnalati link alle attività e alle
pubblicazioni di carattere culturale relative a Boccaccio.
Per visitare virtualmente le sale del parigino Muséè d’Orsay, che conserva le più rinomate tele dei
pittori impressionisti, consulta il sito http://paris.arounder.com/it/musei-storici/musee-d-orsay
Per tutti i fans del gruppo o per chi volesse conoscerne la musica, la discografia e altre curiosità,
www.art31.com è il sito ufficiale del fans club degli Articolo 31.
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UN PERCORSO ATTRAVERSO UN TEMA
L’ ADOLESCENZA
In questo percorso ti viene proposta la lettura di testi che affrontano il tema dell’adolescenza, ossia
quel periodo della vita in cui ogni essere umano prova confusione e turbamento di fronte ai
cambiamenti del proprio corpo e si scopre ribelle, inquieto, insicuro e incapace di comunicare
soprattutto con gli adulti. Ma anche il periodo in cui l’essere umano scopre la propria sessualità,
l’amore, l’importanza del gruppo dei coetanei. Un periodo senza dubbio difficile, ma comunque
decisivo per la crescita e per la costruzione del proprio futuro.
Il primo brano è tratto da Piccole donne di Louisa May Alcott, romanzo pubblicato nel 1868.
Sembra un’ autobiografia della famiglia Alcott; protagoniste quattro sorelle adolescenti: Margaret,
“la maggiore delle sorelle, che aveva 16 anni ed era molto carina”, Josephine,che “assomigliava
un poco ad un puledro non ancora domato”, Elizabeth, una rosea fanciulla di 13 anni, “tutta pace e
timidezza” e Amy, la più piccola che “ma faceva il suo possibile per comportarsi come una vera
signorina”.
A seguire, due pagine dal Diario di Anna Frank (pubblicato ad Amsterdam nel 1947),
un’adolescente ebrea che per il suo compleanno riceve in regalo un diario che chiamerà Kitty e
sarà per un lungo periodo la sua amica immaginaria alla quale confiderà i suoi pensieri, le sue
ansie, le sue paure, le sue speranze per un futuro migliore rispetto agli anni della guerra e delle
deportazioni, il suo amore per il compagno Peter Van Daan dal quale, scoperto dai Tedeschi il
rifugio in cui si nascondeva con la famiglia, sarà poi costretta a separarsi.
Il terzo brano è tratto dal romanzo Il giovane Holden (1951) di Jerome David Salinger. Holden è
un giovane adolescente appartenente alla borghesia medio-alta; anticonformista, ribelle, cui non
mancano vizi: infatti fuma e beve. E’ poco amante della scuola tanto che ne cambia ben quattro
senza mai riuscire ad ottenere buoni risultati. E ancora una volta prima di tornare a casa per
rivedere la sorella, la “vecchia Phoebe”, aveva “fatto fiasco” in tutte le materie, eccetto l’ inglese.
La canzone Il tempo se ne va cantata da Adriano Celentano non è altro che il soliloquio di un
padre che, osservando la figlia ormai adolescente, mostra le sue ansie e preoccupazioni per una
figlia che cresce e che da tempo ha smesso di giocare con le bambole. E questo lo mette di fronte
ad una realtà difficile da accettare:il tempo che se ne va.
Louise May Alcott
audiolibri.e20x.com
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A TU PER TU CON L’AUTORE
Louisa May Alcott nasce a Germantown, in Pensilvania, nel 1832. Il padre filosofo si occupò della
sua educazione e della sua istruzione. Fu insegnante, sarta, governante e successivamente
scrittrice. Deve la sua fama alla pubblicazione, nel 1868, del romanzo Piccole donne. E’ la storia
della famiglia Alcott, la stessa dell’autrice, rivissuta attraverso una nuova famiglia, la famiglia March,
ma è anche un ritorno al passato, un ritorno alla sua adolescenza. Protagoniste quattro sorelle: Meg
“un po’ saccente e vanitosa”, Jo “bizzarra, inquieta e mascolina nell’aspetto”, Beth “tutta pace e
timidezza”, Amy “bianca come la neve…trattata da tutti come un’eterna piccina”. Crescono in un
ambiente modesto affrontando tutte le situazioni che la vita offre loro e tutte, tranne Beth che
muore in tenera età, riescono a realizzare i propri sogni.
L’autrice muore a Boston nel 1888.
SALA DI LETTURA
Piccole donne28
Il brano ti presenta quattro sorelle adolescenti, Jo, Meg, Beth ed Amy, protagoniste del romanzo
autobiografico alle prese con la vita di tutti i giorni, problemi e sentimenti propri dell’età.
— Natale non sembrerà più Natale senza regali — brontolò Jo sdraiata sul tappeto dinanzi al
caminetto.
— L’essere poveri è una disgrazia — disse Meg, guardando con un sospiro il suo vecchio
vestitino.
— Non è giusto che alcune ragazze debbano aver tanto ed altre nulla! — soggiunse la piccola
Amy con voce piagnucolosa.
— Abbiamo però la nostra buona mamma ed il nostro papà e tante altre belle cose — disse
Beth dal suo cantuccio.
Le quattro faccine, illuminate dai bagliori del fuoco che scoppiettava nel caminetto, si
rischiararono un momento a queste parole, ma si oscurarono di nuovo allorché Jo disse con
tristezza: — Papà non è con noi e chi sa quando tornerà! — Non disse — forse mai — ma tutte lo
aggiunsero silenziosamente, pensando al padre loro tanto lontano, là, sul campo di battaglia.29
Tutte tacquero per qualche istante, poi Meg ricominciò: — Sapete bene la ragione per cui la
mamma ha proposto di non comprare regali per Natale. Essa crede che non abbiamo diritto di
spendere i nostri denari in divertimenti quando i nostri cari nell’esercito soffrono tanto. Non siamo
buone a molto noi, ma possiamo pur fare i nostri piccoli sacrifizi30 e dovremmo compierli con
piacere, per quanto io confessi che mi costano qualche fatica — e Meg scosse la testa ripensando
alle belle cosine che da tanto tempo desiderava.
-Ma non credo che quel poco che daremmo possa alleggerire le sofferenze dell’esercito; un misero
dollaro non potrà far gran cosa. Sono d’accordo anch’io di non aspettarmi nulla né dalla mamma
né da voi altre, ma vorrei, con i miei pochi risparmi, comperarmi Ondina e Sintram!31 È tanto
tempo che lo desidero! — disse Jo, che aveva una vera passione per la lettura.
- Io aveva pensato di comprarmi un po’ di musica! — disse Beth, con un sospiro così leggiero che
nessuno poté udirlo.
28 Tratto da: L. May Alcott, Piccole donne, Firenze, R. Benporad, 1915.
29 Sul campo di battaglia: il padre è nell’esercito durante la Guerra Civile.
30 Sacrifizi: sacrifici.
31 Ondina e Sirtram: libri preferiti dalla ragazza..
30
— Io voglio comprarmi una bella scatola di lapis32 Faber; ne ho proprio bisogno — disse Amy
risolutamente.
— Mamma non ha detto nulla riguardo ai nostri risparmi e suppongo che non sarebbe contenta se
ci privassimo di tutto quello che ci può far piacere. Comperiamoci quello che desideriamo e
divertiamoci un po’; mi pare che lavoriamo abbastanza per meritarcelo! — gridò Jo, guardandosi i
tacchi delle scarpe, come avrebbe fatto un «dandy».33
— Lo credo io! Io che, da mattina a sera, devo far lezione a quei terribili bimbi, quando darei non
so che cosa per restare a casa e passare le giornate a modo mio! — cominciò Meg con voce
lamentevole.
— Tu puoi cantare quanto vuoi, ma non meni certo una vita così brutta come la mia! —
aggiunse Jo.
— Come ti piacerebbe star sempre rinchiusa con una vecchia nervosa ed antipatica che ti fa
trottar tutto il santo giorno su e giù, che non è mai contenta e che ti tormenta tanto da farti
venir la voglia di buttarti giù dalla finestra o di darle un buon paio di scappellotti?
— Veramente non bisognerebbe lamentarsi, ma credetelo pure che lavar piatti e tener la casa in
ordine è la peggior cosa del mondo! E le mie mani diventano così ruvide che non posso più
suonare una nota! — E Beth, dicendo queste parole, si guardò le mani con un sospiro che, questa
volta, tutti poterono udire.
— Non credo che nessuna di voi abbia da soffrire quanto me; — disse Amy — voi altre non andate
a scuola e non dovete stare con ragazze impertinenti che vi tormentano se non sapete la lezione,
vi canzonano perché non avete un bel vestito o perché vostro padre non è ricco, e v’insultano
perché non avete un naso greco!
— Ah! se ci fosse ora un po’ di quel denaro che papà perdette quando eravamo piccole! Che bella
cosa, eh, Jo? Come saremmo buone ed ubbidienti, se non avessimo alcun pensiero! — disse Meg
che si ricordava di tempi migliori.
— Mi pare però che l’altro giorno tu dicessi che ti ritenevi molto più fortunata dei
ragazzi King, che nonostante tutti i loro denari, leticavano e brontolavano da mattina a
sera.
— È vero, Beth! E credo sul serio che noi siamo assai più fortunate di loro; sì abbiamo da lavorare,
ma ci divertiamo fra di noi e siamo «un’allegra masnada», come direbbe Jo.
— Jo si serve sempre di termini così volgari! — osservò Amy, gettando uno sguardo di rimprovero
alla lunga figura sdraiata sul tappeto. Jo, a queste parole, si alzò a sedere, mise le mani nelle
tasche del grembiule e cominciò a fischiare.
— Non lo fare, Jo, son cose da ragazzacci.
— È appunto per questo che lo faccio.
— Io non posso soffrire le ragazze sgarbate.
— Ed io non posso soffrire le ragazze smorfiose che stanno sempre in ghingheri.
— Gli uccellini dello stesso nido vanno d’accordo — interruppe Beth, la paciera, con una smorfia
così curiosa che le due sorelle scoppiarono in una risata e il battibecco cessò per quella volta.
— A dir il vero avete torto tutt’e due — disse Meg, cominciando, come sorella maggiore, la sua
ramanzina! — Tu sei abbastanza grande, ormai, per smettere quei modi da sbarazzino e
comportarti meglio, Giuseppina. Ciò non aveva tanta importanza quando eri piccola, ma ora che
sei così alta e che ti sei tirata su i capelli, dovresti rammentarti che sei una signorina e non un
ragazzo.
— Non è vero nulla! e se il tirarmi su i capelli mi fa diventare una signorina, porterò la treccia giù,
fino a venti anni! — gridò Jo, strappandosi via la rete e lasciandosi cadere sulle spalle una
bellissima treccia di capelli castagni.
— Penso con raccapriccio che un giorno dovrò pur essere la signorina March, dovrò portare le
sottane lunghe e metter su un’aria di modestia e di affettazione come la mia cara sorella! È la cosa
più insopportabile del mondo pensare d’essere donna quando darei qualunque cosa per essere
32 Lapis: matite per disegnare o colorate.
33 Dandy: detto di una persona raffinata.
31
nata uomo! Ed ora che muoio dalla voglia di andare al campo con papà, mi tocca star qui a far la
calza come una vecchia di cent’anni! — E Jo, in un impeto di rabbia, gettò per terra la calza che
stava facendo, tanto che il gomitolo di lana andò a rotolare dall’altra parte della stanza.
-Povera Jo! Non è davvero giusto! Ma non può essere altrimenti, perciò ti devi contentare del tuo
nome, che pare quello di un ragazzo e ti puoi divertire a far da fratello a noi altre — disse Beth,
accarezzando la testa arruffata che si era posata sulle sue ginocchia con una mano il cui tocco, né
lavatura di piatti, né spolveratura, avrebbe potuto rendere meno che dolce.
-Quanto a te, Amy, — continuò Meg; — sei addirittura esagerata! Mi piacciono le tue manierine
gentili ed il tuo modo raffinato di parlare, ma quando vuoi usare delle parole lunghe e ricercate
che non conosci e cerchi di essere elegante, sei addirittura ridicola ed affettata. —
-Se Jo è un ragazzaccio ed Amy è affettata, che cosa sono, io? — domandò Beth pronta a
prendere la sua parte di predica.
-Tu sei un angelo e null’altro.— rispose Meg abbracciandola e nessuno la contraddisse poiché «il
topo» era il cocco della famiglia. Benché il tappeto fosse molto logoro ed i mobili molto vecchi pure
la stanza dove erano riunite le quattro ragazze era resa gaia e piacevole da uno o due buoni
quadri appesi al muro, dalle librerie piene di libri, dai crisantemi e dalle rose di Natale che fiorivano
sulle finestre e dall’atmosfera di pace casalinga che pervadeva ogni cosa. Margherita, la maggiore
delle sorelle, aveva 16 anni ed era molto carina. Bionda, ben formata, aveva occhi celesti, una
quantità di capelli di un castagno chiaro, una bocchina dolce e delle mani fini e bianche a cui
teneva molto.
Giuseppina o Jo, come la chiamavano in famiglia, era alta, magra, scura di carnagione ed
assomigliava un poco ad un puledro non ancora domato, perché non sapeva mai dove, né come
tenere le lunghe membra che sembravano esserle sempre d’impaccio. Aveva una espressione
risoluta nella bocca, un naso bizzarro, ed occhi grigi, che sembravano vedere tutto e che potevano
essere, a volta a volta, severi, furbi o pensierosi. I suoi lunghi e folti capelli erano la sua unica
bellezza; ma ella li portava quasi sempre in una rete, perché non le dessero noia. Jo aveva le
spalle un po’ curve, piedi grossi e mani lunghe; i vestiti quasi sempre scuciti che le cascavano di
dosso e l’aria di una ragazza che sta trasformandosi rapidamente in donna, ma che vorrebbe
rimanere bimba.
Elisabetta o Beth era una rosea fanciulla di 13 anni, tutta pace e timidezza: il padre la chiamava
«piccola tranquillità» ed il nome le si confaceva a pennello, perché sembrava vivere beata in un
mondo a sé da cui non usciva se non per stare con i pochi che ella amava e stimava.
Amy, la più piccola, era un personaggio importante, secondo la sua opinione, almeno. Era bianca
come la neve, con occhi celesti, ed i folti capelli biondi le scendevano inanellati sulle spalle; era
pallida e magra, ma faceva il suo possibile per comportarsi sempre come una vera signorina.
LABORATORIO DEL TESTO
Proposte di lavoro sulla comprensione e/o analisi testuale e
tematica
1. Le sequenze presenti nel testo sono prevalentemente dialogate. Individuale ed assegna loro un
titolo.
2. Di cosa si lamenta Jo?
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3. Perchè Meg afferma che “l’essere poveri è una disgrazia”?
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4. Come risponde Beth alle riflessioni sulla povertà da parte delle sorelle?
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5. Come interpreti le parole di Beth in relazione al valore che dà agli affetti familiari?
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6. Quali problemi e sentimenti giornalieri devono affrontare le protagoniste?
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7.Spiega il significato dell’espressione”puledro non ancora domato”.
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8. Jo, Meg, Amy e Beth, quattro sorelle diverse nell’aspetto fisico e nel carattere. Individua nel
testo i punti in cui è possibile rilevare le differenze ed inseriscile nella tabella:
ASPETTO FISICO
CARATTERE
Jo
Meg
Beth
Amy
9. Sottolinea nel testo le parole che non conosci, trascrivile, cerca il significato sul dizionario ed
eventuali sinonimi e contrari.
33
10. A raccontare è un narratore esterno o interno?
Esterno
Interno
Da cosa l’hai capito?
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11. Il testo è realistico o fantastico? Spiega il motivo della tua risposta
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Proposte di riscrittura e rielaborazione
1. Riscrivi il testo utilizzando solo il discorso indiretto.
2. Riscrivi il testo immaginando di essere tu una delle signorine March.
Proposte di produzione testuale
1. Rileggi il testo. In quale delle protagoniste ti riconosci? Descriviti nel tuo aspetto fisico e nel
carattere mettendo in evidenza ciò che non vorresti essere o avere e motiva le tue
affermazioni.
2. Come per le protagoniste del testo anche nella tua vita ti sarà capitato qualcosa di
importante che è stato determinante nella tua crescita. Raccontalo in un breve testo.
Anna Frank
www.leggievai.it
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A TU PER TU CON L’ AUTORE
Anna Frank nasce a Francoforte nel 1929. Lascia la Germania e si trasferisce in Olanda con la
famiglia: essendo Ebrei, sono infatti perseguitati dal regime nazista. Qui sono costretti a vivere in un
rifugio segreto fino a quando, scoperti dai Tedeschi, vengono trasferiti nel campo di concentramento
di Bergen Belsen, dove Anna muore nel 1944. La giovane inizia a scrivere il suo diario nel 1942,
quando vive ancora come una normale ragazzina tredicenne con un fisico che si trasforma, con gli
atteggiamenti critici classici degli adolescenti: lei, però, ben conosce la sua situazione di Ebrea
perseguitata e le limitazioni a cui deve sottostare in quanto tale.
SALA DI LETTURA
Il Diario di Anna Frank34
In queste pagine del suo diario Anna, una ragazza come tante, ma in una situazione particolare e
in un momento altrettanto particolare della sua breve vita, racconta le sue incomprensioni con il
padre, “l’unico che mi abbia sempre accordato la sua confidenza, e dato la sensazione di essere
una ragazza intelligente”; Pim però - come lei stessa lo chiama - non capisce quanto sia vitale per
lei essere trattata da “Anna –così-come-è”. Inoltre, vi è anche la consapevolezza del suo dualismo,
della sua “anima divisa in due”: una allegra, “leggera” e con una gran gioia di vivere, l’altra “più
grave”.
Sabato, 15 luglio 1944
Cara Kitty,
…Nel mio carattere c’è un tratto molto spiccato che colpisce tutti coloro che hanno dimestichezza
con me: la conoscenza che io ho di me stessa. (…) Io mi pongo di fronte all’Anna di tutti i giorni
senza prevenzioni e senza scuse e osservo ciò che essa fa di bene e ciò che fa di male. (…) Mi
condanno in innumerevoli cose e sempre più mi convinco che è giusta la massima di papà: “Ogni
bambino deve educare se stesso”. I genitori non possono dare che consigli o un buon indirizzo, ma
tutto sommato ciascuno deve formare da sé il proprio carattere.
…Ora vorrei venire al capitolo “Papà e mamma non mi capiscono”. Mio padre e mia madre mi
hanno sempre molto viziata, sono stati molto cari con me, mi hanno difesa ed hanno fatto tutto ciò
che possono fare dei genitori. Eppure mi sono sentita a lungo terribilmente sola, esclusa,
abbandonata e incompresa. Il babbo fece tutto il possibile per temperare il mio impeto ribelle, ma
non c’era niente che servisse; mi sono guarita da me, studiando quello che c’era di errato nella mia
condotta.
Perché dunque il babbo non mi è stato di appoggio nella mia lotta, perché è sempre fallito quando
ha voluto offrirmi una mano soccorritrice? Il babbo non ha seguito la via giusta, mi ha sempre
parlato come si parla ad una bimba che deve superare una difficile fase dell’infanzia. Ciò suona
strano, perché il babbo è l’unico che mi abbia sempre accordato la sua confidenza, e dato la
sensazione di essere una ragazza intelligente. Ma ha trascurato una cosa: cioè non si è accorto che
la mia lotta per emergere era per me l’essenziale. Non volevo sentir parlare di “fenomeni dell’età”,
di “altre ragazze”, di “cose che passano da sé”; volevo essere trattata non da ragazza-come-tuttele-altre, ma da Anna –così-come-è. Pim non lo capiva. D’altronde, io non so accordare la mia
34 Tratto da: Il Diario di Anna Frank, Einaudi, Torino,1966, trad. di Arrigo Vita.
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confidenza a chi non mi racconta molto di sé; e siccome conosco pochissimo Pim, non posso
entrare in intimità con lui.
Pim assume sempre l’atteggiamento del vecchio genitore, che ha avuto anche lui a suo tempo
simili passeggere inclinazioni, ma per quanto si sforzi non può riviverle con me come amico.
Queste cose mi hanno indotto a non comunicare le mie vedute sulla vita e le mie ben ponderate
teorie ad altri che al mio diario, e una volta sola a Margot. Al babbo ho tenuto nascosto tutto ciò
che riguardava il mio intimo: non l’ho mai fatto partecipe delle mie idee e l’ho volutamente e
consciamente estraniato da me.
Non potevo fare altrimenti, ho sempre agito secondo il mio sentimento, ma ho agito nel modo
migliore per la mia pace interiore. Giacchè riperderei completamente la pace e la fiducia in me
stessa, costruite a fatica e ancora tanto instabili, se ora dovessi subire delle critiche alla mia opera
ancora incompiuta. E non le tollererei nemmeno da Pim, per quanto ciò sembri duro, perché non
soltanto l’ho tenuto all’oscuro della mia vita intima, ma spesso l’ho respinto ancor più lontano da
me con la mia scontrosità.
Questo è un punto a cui penso molto: per quale ragione Pim mi infastidisce tanto? Perché non
posso quasi studiare con lui, e le sue carezze mi sembrano affettate, perché voglio essere lasciata
in pace e preferirei che egli non si curasse di me fino a quando io mi sentissi più sicura di fronte a
lui? La ragione è questa, che io ancora mi rodo dal rimorso per quella brutta lettera che ho osato
scrivergli in un momento di esaltazione.
Oh, come è difficile essere davvero forti e coraggiosi sotto ogni aspetto!...
Martedì, 1° agosto 1944
Cara Kitty,
“Un fastello di contraddizioni” è l’ultima frase della mia lettera precedente e la prima di quella di
oggi. “Un fastello di contraddizioni”, mi puoi spiegare con precisione cos’è? Che cosa significa
contraddizione? Come tante altre parole ha due significati, contraddizione esteriore e
contraddizione interiore.
Il primo significato corrisponde al solito “non adattarsi all’opinione altrui, saperla più lunga degli
altri, avere sempre l’ultima parola”,insomma, a tutte quelle sgradevoli qualità per le quali io sono
ben nota. Il secondo … per questo, no, non sono nota, è il mio segreto.
Ti ho già più volte spiegato che la mia anima è, per così dire, divisa in due. Una delle due metà
accoglie la mia esuberante allegria, la mia gioia di vivere, la mia tendenza a scherzare su tutto e a
prendere tutto alla leggera. Con ciò intendo pure il non scandalizzarsi per un flirt, un bacio, un
abbraccio, uno scherzo poco pulito. Questa metà è quasi sempre in agguato e scaccia l’altra, che è
più bella, più pura e più profonda. La parte migliore di Anna non è conosciuta da nessuno - vero? e così sono così pochi quelli che mi possono sopportare.
Certo, sono un pagliaccio abbastanza divertente per un pomeriggio, poi ognuno ne ha abbastanza
di me per un mese. Esattamente la stessa cosa che un film d’amore per le persone serie: una
semplice distrazione, uno svago per una volta, da dimenticare presto, niente di cattivo ma neppure
niente di buono. E’ brutto per me doverti dire questo, ma perché non dovrei dirlo, quando so che è
la verità? La mia parte leggera e superficiale si libererà sempre troppo presto della parte più
profonda, e quindi prevarrà sempre. Non ti puoi immaginare quanto spesso ho cercato di spingere
via quest’Anna, che è soltanto la metà dell’Anna completa, di prenderla a pugni, di nasconderla;
non ci riesco, e so anche perché non ci riesco.
Ho molta paura che tutti coloro che mi conoscono come sono sempre, debbano scoprire che ho
anche un altro lato, un lato più bello e migliore. Ho paura che mi beffino, che mi trovino ridicola e
sentimentale, che non mi prendano sul serio. Sono abituata a non essere presa sul serio, ma
soltanto l’Anna “leggera” v’è abituata e lo può sopportare, l’Anna “più grave” è troppo debole e
non ci resisterebbe. Quando riesco a mettere alla ribalta per un quarto d’ ora Anna la buona, essa,
non appena ha da parlare, si ritrae come una mimosa, lascia la parola all’Anna n. 1 e, prima che io
me ne accorga, sparisce.
36
La cara Anna non è dunque ancora mai comparsa in società, nemmeno una volta, ma in solitudine
ha quasi sempre il primato. Io so precisamente come vorrei essere, come sono di dentro, ma,
ahimè, lo sono soltanto per me. E questa è forse, anzi, sicuramente la ragione per cui io chiamo
me stessa un felice temperamento interiore e gli altri mi giudicano un felice temperamento
esteriore. Di dentro la pura Anna mi indica la via, di fuori non sono che una capretta staccatasi dal
gregge per troppa esuberanza.
Come ho già detto, sento ogni cosa diversamente da come la esprimo, e perciò mi qualificano
civetta, saccente, lettrice di romanzetti, smaniosa di correr dietro ai ragazzi. L’Anna allegra ne ride,
dà risposte insolenti, si stringe indifferente nelle spalle, fa come se non le importasse di nulla, ma,
ahimè, l’Anna quieta reagisce in maniera esattamente contraria. Se ho da essere sincera, debbo
confessarti che ciò mi dispiace molto, che faccio enormi sforzi per diventare diversa, ma che ogni
volta mi trovo a combattere contro un nemico più forte di me.
Una voce singhiozza entro di me:”Vedi a che ti sei ridotta: cattive opinioni, visi beffardi e
costernati, gente che ti trova antipatica, e tutto perché non hai dato ascolto ai buoni consigli della
tua buona metà”. Ahimè, vorrei ben ascoltarla, ma non va; se sto tranquilla e seria, tutti pensano
che è una nuova commedia, e allora bisogna pure che mi salvi con uno scherzetto; per tacere della
mia famiglia che subito pensa che io sia ammalata, mi fa ingoiare pillole per il mal di testa e
tavolette per i nervi, mi tasta il collo e la fronte per sentire se ho la febbre, si informa delle mie
evacuazioni e critica il mio cattivo umore. Non lo sopporto; quando si occupano di me in questo
modo, divento prima impertinente, poi triste e infine rovescio un’altra volta il mio cuore, volgendo
in fuori il lato cattivo, in dentro il lato buono, e cerco un mezzo per diventare come vorrei essere e
come potrei essere se… non ci fossero altri uomini al mondo.
La tua Anna M. Frank
LABORATORIO DEL TESTO
Proposte di lavoro sulla comprensione e/o analisi testuale e
tematica
1. Qual è l’aspetto del carattere di Anna che colpisce tutti?
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2. La conoscenza di se stessa cosa le consente di fare?
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3. Spiega qual è, secondo te, il significato della massima del padre “Ogni bambino deve
educare se stesso”.
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4. Sei d’accordo con l’ affermazione di Anna “ciascuno deve formare da sé il proprio carattere”?
Motiva la tua risposta anche in relazione alla tua esperienza.
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5. Individua nel testo i motivi di incomprensione con il padre, trascrivili e commentali facendo
riferimento a te e al rapporto che hai con i tuoi genitori.
6. Spiega con parole tue cosa intende l’autrice quando scrive: “Pim assume sempre
l’atteggiamento del vecchio genitore, che ha avuto anche lui a suo tempo simili passeggere
inclinazioni, ma per quanto si sforzi non può riviverle con me come amico”.
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7. La seconda pagina del diario qui riportata è in realtà l’ultima che Anna scrive prima del
trasferimento nei campi di concentramento. Che cosa intende dire quando parla di <<fastello
di contraddizioni?
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8. Quali sono le due metà della sua anima?
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9. Qual è la metà che “prevarrà” sempre? Perché?
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10. Qual è il segreto che solo “Kitty” conosce?
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11. Che cosa induce gli altri a qualificare Anna civetta, saccente e smaniosa di correre dietro ai
ragazzi?
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12. Come ti appare il linguaggio in queste pagine del diario?
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13. A chi sono destinate?
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Proposte di riscrittura e rielaborazione
1. Come ti appare Anna in queste pagine? Individua nel testo tutti gli elementi che possono
aiutarti a farne una dettagliata descrizione.
2. “Cerco un mezzo per diventare come vorrei essere e come potrei essere se… non ci fossero
altri uomini al mondo”. Partendo da questa affermazione dell’autrice, riscrivi la seconda
pagina del diario e trova una diversa conclusione.
Proposte di produzione testuale
1. Evidenzia le idee centrali delle due pagine scritte da Anna e riassumile in non più di dieci
righe.
2. L’ autrice, nelle pagine che hai letto, racconta del suo rapporto con il padre, della sua
personalità, del suo carattere, di come si vede e di come la vedono gli altri. Rispettando le
caratteristiche del testo che ti è stato proposto (diario), scrivi tu una pagina di diario in cui
parli di te.
Jerom David Salinger
A TU PER TU CON L’ AUTORE
Jerom David Salinger (New York 1919 - Cornish 2010). Figlio di commercianti ebrei si rivela
ben presto ribelle, irrequieto e poco incline allo studio proprio come Holden, un giovane
adolescente, figlio di una famiglia benestante, anticonformista, protagonista del romanzo a
carattere autobiografico che fu il suo grande successo. Partecipa come volontario alla seconda
guerra mondiale e allo sbarco in Normandia. Successivamente si trasferisce nel New
Hampshire, dove decide di vivere nella più grande solitudine.
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SALA DI LETTURA
Il giovane Holden35
Holden, dopo aver lasciato l’Istituto di Pencey per essere stato bocciato, vaga per New York, si
ubriaca, fuma più del solito. Poi decide di ritornare a casa per rivedere la sorella, “la vecchia
Phoebe”, più piccola di lui ma capace, nonostante l’età, di capire dai suoi discorsi cosa gli è
accaduto e di metterlo di fronte alla realtà.
Il testo è in molti punti di carattere colloquiale e le locuzioni utilizzate sono talora di carattere
gergale e popolare. Partendo dal contesto ed eventualmente facendoti aiutare anche dal tuo
insegnante dove incontri più difficoltà, prova a spiegare negli spazi predisposti il significato delle
parole e delle espressioni evidenziate in blu all’interno del testo.
Quando arrivai a casa, mi toccò il più gran colpo di fortuna che avessi avuto da anni: all'ascensore
non c'era Pete, il solito lift [ ____________________________ ] del turno di notte. C'era un tizio
nuovo che non avevo mai visto, sicché pensai che se non andavo proprio a sbattere faccia a faccia
contro i miei e compagnia bella [ _____________________________ ], potevo dare un salutino
alla vecchia Phoebe e poi filarmela senza che nessuno sapesse nemmeno che ero stato là. Fu
proprio una fortuna fantastica. A rendere tutto più facile, il nuovo lift apparteneva alla categoria
dei deficienti. Con tono molto disinvolto, gli dissi di portarmi dai Dickstein quelli che occupavano
l'appartamento vicino al nostro sullo stesso piano. […] Uscii al nostro piano - zoppicando come un
dannato [ ______________________________________ ] – e mi diressi verso il corridoio dei
Dickstein. Poi, quando sentii chiudersi le porte dell'ascensore, feci dietro front e andai verso casa
nostra. Me la stavo cavando benissimo. Non mi sentivo più nemmeno sbronzo [
__________________________________________________ ]. Allora tirai fuori la chiave e aprii la
porta, piano da morire. Poi, con tutte le cautele e via dicendo, entrai e chiusi la porta. Avrei
proprio dovuto fare il ladro. Nell'ingresso c'era un buio del diavolo, naturalmente, e naturalmente
non potevo accendere la luce. Dovevo stare attento a non urtare contro qualcosa per non fare
rumore. Ma sapevo senz'ombra di dubbio di essere a casa. Nel nostro ingresso c'è un odore buffo
come non si sente in nessun altro posto. Non so che diavolo sia. Non è di cavolfiore e non è un
profumo - non so che diavolo sia, ma uno sa subito che è a casa. Feci per togliermi il soprabito e
appenderlo nell'armadio dell'ingresso, ma quell'armadio è pieno di grucce [ ________________ ]
che sbattono come dannate quando aprite lo sportello, cosi me lo tenni addosso. Poi mi
incamminai molto ma molto cautamente verso la camera della vecchia Phoebe. Sapevo che la
donna di servizio non mi avrebbe sentito perché ha un timpano solo. (…) Era sorda come un
campanaro e via discorrendo [ _____________________________________________________ ].
Ma i miei genitori ci sentivano come due dannati segugi [ ________________________ ],
soprattutto mia madre. Sicché feci proprio piano pianissimo, quando passai davanti alla loro porta.
Trattenni perfino il respiro, Dio santo. Mio padre potete dargli una seggiolata sulla testa e non si
sveglia, ma mia madre basta che tossite in qualche plaga della Siberia [
___________________________ ] e lei vi sente. È nervosa da non dirsi. Metà del tempo sta su
tutta la notte a fumare. Finalmente, dopo un'oretta, arrivai nella camera della vecchia Phoebe. Lei
non c'era, però. Me n'ero dimenticato. Mi ero dimenticato che dorme sempre nella camera di D. E
quando lui è a Hollywood o vattelappesca. Le piace perché è la camera più grande della casa. E
anche perché c'è quell'enorme vecchia scrivania da pazzi che D. B. ha comprato da una vecchia
gran dama alcolizzata di Philadelphia, e quell'enorme letto gigantesco che è largo una quindicina di
chilometri e lungo altrettanto. Il letto non so dove l'abbia comprato. Ad ogni modo, alla vecchia
Phoebe piace dormire nella camera di D. B. quando lui non c'è, e lui glielo permette. Dovreste
vederla quando fa i compiti o chi sa che a quella scrivania da matti. E’ quasi enorme come il letto.
E quando lei fa i compiti quasi non si riesce a vederla. Queste sono le cose che le piacciono, però.
La sua camera non le piace perché è troppo piccola, dice. Dice che le piace espandersi
35 Tratto da: J. D. Salinger, Il giovane Holden, trad. Adriana Motti, Einaudi, Torino, 1961, (cap. XXI-XXII).
40
[ _____________________________ ]. Mi lascia proprio secco [ ________________________ ].
Che diavolo ha da espandere la vecchia Phoebe? Niente! Ad ogni modo entrai nella camera di D.
B., piano da morire e accesi la lampada sulla scrivania.
La vecchia Phoebe non si svegliò nemmeno. Dopo aver acceso la luce eccetera, me ne restai per
un po' a guardarla. Stava li addormentata, col viso quasi sull'orlo del cuscino. Aveva la bocca semiaperta. È buffo. Prendete gli adulti, sono brutti forte quando dormono e se ne stanno là con la
bocca aperta, ma i bambini no. I bambini non c'è niente da ridire. Magari hanno anche sbavato
tutto il cuscino, ma non c'è niente da ridire lo stesso. Girellai per la camera, pianissimo eccetera
eccetera, e per un po’ guardai tutto quello che c'era. Miracolo, mi sentivo in gamba. Non sentivo
nemmeno più che stavo per buscarmi la polmonite o chi sa che. Mi sentivo proprio bene, miracolo.
I vestiti della vecchia Phoebe stavano sulla sedia vicino al letto.
È molto ordinata, per essere una bambina. Voglio dire, non butta la sua roba di qua e di là come
tutti i ragazzini. Non è un'arruffona. Aveva appeso alla spalliera della sedia la giacchetta di quel
vestitino marrone bruciato che mamma le aveva comprato nel Canada. La camicetta e il resto
erano sul sedile. Le scarpe coi calzini erano sul pavimento, proprio sotto la sedia, l'una accostata
all'altra. Non avevo mai visto quelle scarpe. Erano nuove. Erano quei mocassini color cuoio, un po'
come quelli che ho io, e andavano benissimo con quel vestito che mamma le aveva comprato nel
Canada.
Mamma la veste carina. Sul serio. In certe cose ha un gusto fantastico, mia madre. Per comprare i
pattini o roba del genere è negata, ma in fatto di vestiti nessuno la batte. Voglio dire, Phoebe
porta sempre dei vestiti da lasciarvi secco. Prendete la maggior parte dei ragazzini, anche se i
genitori sono ricchi sfondati [ ________________________________________________ ], di
solito portano certi vestiti tremendi. Vorrei farvi vedere la vecchia Phoebe con quel vestito che
mamma le ha comprato nel Canada. Senza scherzi. Mi sedetti alla scrivania del vecchio D. B. e
guardai quello che c'era sopra. Era quasi tutta roba di Phoebe, di scuola e compagnia bella. Libri,
soprattutto. Quello in cima era intitolato L'aritmetica è divertente! Aprii la prima pagina e ci diedi
un'occhiata. Ecco che cosa ci aveva scritto la vecchia Phoebe: Phoebe Weaterfield Caulfield. Restai
secco. Il suo secondo nome è Josephine, Dio santo, non Weatherfield. Però non le piace. Ogni
volta che la vedo, si è pescato un altro secondo nome. Il libro sotto l'aritmetica era di geografia, e
il libro sotto quello di geografia era di ortografia. Lei è molto brava in ortografia. È molto brava in
tutto, ma in ortografia più che nel resto. Poi, sotto il libro di ortografia, c'erano un mucchio di
notes. Ne avrà cinquantamila. Mai vista una ragazzina con tanti notes. […] Stavo seduto là alla
scrivania di D. B. e mi lessi tutto il notes. Non mi ci volle molto, e io sono capace di passare tutto il
giorno e tutta la notte a leggere cose di questo genere, il notes di un pivello [ ______________ ],
che sia Phoebe o vattelappesca [ _____________________________ ]. I notes dei pivelli mi
lasciano secco. Poi accesi un’altra sigaretta -era l'ultima. Devo averne fumati tre pacchetti almeno,
quel giorno. Poi, finalmente, la svegliai. Voglio dire, non potevo mica passare tutta la vita seduto a
quella scrivania, e del resto avevo paura che da un momento all'altro mi piombassero tra capo e
collo i miei genitori [ _____________________________________________________ ] e prima
volevo almeno salutarla. Cosi la svegliai.
Lei non ci vuole niente a svegliarla. Voglio dire, non c'è bisogno di gridare né niente. In pratica,
basta sedersi sul suo letto e dirle « Svegliati, Phoebe », e pam, eccola sveglia. - Holden! - disse
subito. Mi buttò le braccia al collo eccetera eccetera. È molto affettuosa. Voglio dire, è molto
affettuosa, per essere una bambina. Certe volte è perfino troppo affettuosa. Io le diedi un bacetto
e lei disse: - Quando sei ritornato? - Era felice come una pasqua [ ________________________ ].
Si vedeva lontano un miglio. - Parla piano. Adesso. Come stai, prima di tutto? - Bene. Hai avuto la
mia lettera? Ti ho scritto ben cinque pagine...
- Sì, parla piano. Grazie. Mi aveva scritto quella lettera. Io però non ero riuscito a risponderle. Non
parlava che di quella recita di scuola nella quale aveva una parte. Mi aveva detto di non prendere
impegni né niente per venerdì, perché dovevo andare a vederla. - Come va la recita? - le
domandai. - Come hai detto che è intitolata? - Parata di Natale per gli Americani. È uno schifo, ma
io faccio Benedici Arnold. Praticamente è la parte principale, - disse. Ragazzi, era altro che
sveglia. Si entusiasma moltissimo quando vi racconta queste cose. - Comincia che io sto morendo.
41
E allora la vigilia di Natale viene questo fantasma e mi domanda se non mi vergogno eccetera
eccetera. Sai, perché ho tradito il mio paese eccetera eccetera. Ci vieni? - Si era messa a sedere
sul letto e via dicendo. - È di questo che ti ho scritto. Ci vieni? - Certo che ci vengo. Ci vengo
senz'altro. Papà non può venire. Va in California in aereo, - disse. Ragazzi, era altro che sveglia. A
lei le bastano sì e no due secondi per svegliarsi completamente. Stava seduta sul letto-mezzo
inginocchiata - e teneva stretta la mia dannata mano. - Senti un po'. Mamma aveva detto che
venivi a casa mercoledì, - disse. - Ha detto mercoledì. - Sono venuto via prima, parla piano. Svegli
tutti. - Che ora è? Torneranno a casa molto tardi, ha detto mamma. -Sono andati a un
ricevimento a Norwalk nel Connecticut, - disse la vecchia Phoebe. - Indovina cosa ho fatto oggi!
Che film ho visto. Indovina! - Non lo so. Senti, non hanno detto a che ora...- Il medico, — disse la
vecchia Phoebe. - È un film speciale che davano alla Fondazione Lister. Lo davano un giorno solo,
oggi era l'unico giorno. Parla di questo medico del Kentucky eccetera eccetera che mette una
coperta sul viso di quella bambina che è storpia e non può camminare. Allora lo mandano in
prigione eccetera -eccetera. Era bellissimo. - Sta' a sentire un momentino. Non hanno detto a che
ora... - A lui gli dispiace, al medico. È per questo che le mette quella coperta sul viso eccetera
eccetera e la fa soffocare.
Poi loro lo mandano in prigione per tutta la vita, ma quella bambina che lui le ha messo la coperta
sulla testa va sempre a trovarlo e lo ringrazia per quello che ha fatto. Lui ammazzava per pietà.
Solo che lui lo sa che si merita di andare in prigione, perché un medico non deve portar via le cose
a Dio. Ci ha portato la mamma di quella ragazza che sta in classe con me, Alice Holmborg. È la
migliore amica. È l'unica ragazza di tutta... - Vuoi aspettare un momentino? - dissi. - Ti sto
domandando una cosa. Hanno detto a che ora sarebbero tornati, o no? - No, ma molto tardi. Papà
ha preso la macchina e tutto, così non dovevano preoccuparsi per i treni. Ci abbiamo messo la
radio, adesso! Solo che mamma ha detto che nessuno può aprirla quando siamo in mezzo al
traffico. Io cominciai un po' a rilassarmi. Voglio dire che finalmente smisi di star lì a pensare se mi
beccavano in casa o no. Mandai tutto all'inferno [ ____________________________________ ].
Se mi beccavano, amen [ _______________________________ ]. Avreste dovuto vedere la
vecchia Phoebe. Portava quel pigiama azzurro con gli elefanti rossi sul colletto. Andava matta per
quegli elefanti. - Dunque era un bel film, eh? - dissi io. - Magnifico, solo che Alice aveva il
raffreddore e sua madre non la finiva più di domandarle se si sentiva l'influenza. Proprio sul più
bello del film. Nei punti più importanti, sua madre mi si buttava tutta addosso e domandava ad
Alice se si sentiva l'influenza. Che nervi mi ha fatto venire! Allora le dissi del disco. - Senti, ti avevo
comprato un disco, - le dissi. - Però l'ho rotto venendo a casa -. Tirai fuori i pezzi dalla tasca del
soprabito e glieli feci vedere. - Ero sborniato [ ________________________ ], - dissi. - Dammi i
pezzi, - disse lei. - Li conservo -. Me li tolse subito di mano e li mise nel cassetto del comodino. Mi
lascia secco, quella ragazzina. - D. B. viene per Natale? - le domandai. - Chi lo sa, forse, ha detto
la mamma. Dipende. Può darsi che debba stare a Hollywood per scrivere un film su Annapolis. Annapolis, Dio santo! - È una storia d'amore eccetera eccetera. Indovina chi lo farà! Che attore.
Indovina!- Ma che me ne importa. Annapolis, Dio santo. Che ne sa D. B. di Annapolis, Dio santo?
Che ha da fare questa roba coi racconti che scrive lui? - dissi. Ragazzi, queste sono le cose che mi
fanno diventare matto. Quella maledetta Hollywood. -Che ti sei fatta al braccio? - le domandai. Mi
ero accorto che aveva sul gomito un grosso cerotto. Me n'ero accorto perché il suo pigiama era
senza maniche. - Curtis Weintraub, che è un ragazzo che sta in classe con me, mi ha dato una
spinta mentre scendevo le scale del parco. - disse lei. - Vuoi vedere? - E cominciò a staccarsi il
cerotto dal braccio.
- Lascialo stare. Perché ti ha dato una spinta? - Non lo so. Mi odia, credo, - disse la vecchia
Phoebe. -Io e quell'altra ragazza, Selma Atterbury, gli abbiamo sporcato d'inchiostro e altra roba
tutta la giacca a vento. - Questo non è carino. Non sei mica una bambina, Dio santo, no? - No, ma
ogni volta che vado al parco lui mi segue dappertutto. Sta sempre a seguirmi. Mi dà sui nervi
[ _____________________ ]. - Probabilmente gli piaci. Non è un buon motivo per sporcargli
d'inchiostro tutta... - Non voglio piacergli, - disse lei. Poi cominciò a guardarmi in modo strano. Holden, - disse, - com'è che non sei venuto mercoledì? - Come? Ragazzi, quella non si può
perderla d'occhio un momento. Se credete che non sia furba, siete matti. - Com'è che non sei
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venuto mercoledì? - mi domandò. - Non ti sarai mica fatto buttare fuori o qualcosa del genere per
caso? [ ________________________________________________________ ] - Te l'ho detto. Ci
hanno fatto partire prima. Hanno fatto andar via tutta... - Ti hanno buttato fuori! Ti hanno
buttato! –disse la vecchia Phoebe. Poi mi diede un pugno sulla gamba. E’ molto portata a dar
pugni, quando le gira. – Ti hanno buttato fuori! Oh, Holden! - Si teneva la mano sulla eccetera. È
molto emotiva, parola d'onore. - Chi l'ha detto che mi hanno buttato fuori? Nessuno ha detto che...
- È cosi. È cosi, - disse lei. Poi mi mollò un altro pugno. Se credete che non fa male, siete scemi. Papà ti ammazza! - disse. Poi si buttò a pancia sotto sul letto e si mise sul viso quel dannato
cuscino. Lo fa spessissimo. È proprio matta, certe volte. - E smettila, avanti! - dissi. - Nessuno si
sogna di ammazzarmi. Nessuno si sogna nemmeno... Andiamo, Phoebe, togliti quel maledetto
arnese dalla faccia. Nessuno si sogna di ammazzarmi. Lei però non se lo volle togliere. Nessuno
può farle fare una cosa, se lei non vuole. Continuava a dire « Papà ti ammazza » e nient'altro. Non
si riusciva nemmeno a capirla, con quel dannato cuscino sulla faccia. - Nessuno si sogna di
ammazzarmi. Usa il cervello. Tanto per cominciare, me ne vado. Posso fare una cosa, trovare
lavoro per un po' di tempo in un ranch [ ___________ ] o roba simile. Conosco un tale che ha il
nonno che ha un ranch nel Colorado. Posso trovarmi un lavoro laggiù, - dissi. - Quando me ne
vado, se me ne vado, mi terrò in contatto con te eccetera eccetera. Dai. Togliti quell'affare dalla
faccia. Dai, su, Phoebe. Per favore. Per favore, vuoi togliertelo? Ma non voleva toglierselo. Cercai
di strapparglielo, ma è forte come un demonio [ ________________________________ ]. Lottare
con lei è una fatica. Ragazzi, se vuole tenersi un cuscino sulla faccia, se lo tiene. - Phoebe, per
favore. Vieni fuori di lì, - continuavo a dirle. - Dai, forza... Ehi, Weatherfield, vieni fuori. Ma non ne
volle sapere. Certe volte non c'è verso di ragionarci. Alla fine mi alzai, andai nella stanza di
soggiorno, presi un po' di sigarette dalla scatola sul tavolo e me ne misi qualcuna in tasca. Ero
stanco morto.
Quando tornai, il cuscino dalla faccia se l'era tolto – questo lo sapevo - ma ancora non voleva
guardarmi, con tutto che stava sdraiata sulla schiena eccetera eccetera. Quando girai intorno al
letto
e
mi
sedetti
di
nuovo,
lei
volse
quella
sua
faccia
stralunata
[
_____________________________ ] dall'altra parte. Mi stava mettendo al bando con tutti i crismi
[ ___________________________________________ ]. Proprio come la squadra di scherma di
Pencey. Quella volta che avevo lasciato sulla metropolitana tutti quei dannati fioretti. - Come sta la
vecchia Hazei Weatherfield? - dissi. – Stai scrivendo dei nuovi racconti su di lei? Quello che mi hai
mandato ce l'ho in valigia. È alla stazione. È bellissimo. - Papà ti ammazza. Ragazzi, quando le
viene un pallino non c'è niente da fare. - Ma no che non mi ammazza. Male che vada, mi dà un
altro liscio e busso [ ___________________________________________________ ] e poi mi
spedisce a quella maledetta scuola militare. Questo è tutto quello che mi fa. E tanto per
cominciare, io non ci sarò nemmeno. Sarò via. Sarò... probabilmente sarò nel Colorado in quel
ranch. - Non farmi ridere. Non sai nemmeno andare a cavallo. - Chi non sa andare a cavallo?
Figurati se non so andare a cavallo! Certo che ci so andare. Possono insegnartelo in due minuti, dissi. - Smettila di stuzzicartelo -. Si stava stuzzicando il cerotto che aveva sul braccio. - Chi ti ha
tagliato i capelli in quel modo? – le domandai. Mi ero appena accorto in che stupido modo le
avevano tagliato i capelli. Erano troppo corti. – Non ti riguarda,-disse. Certe volte sa tirare fuori
un’aria molto sostenuta. Sa essere sostenutissima. – Mi figuro che hai fatto fiasco in tutte le
materie [ ____________________________________________ ] anche stavolta, -disse,
sostenutissima. Era perfino un po’ buffo, in un certo senso. Certe volte pare un accidente di
professoressa, e non è che una ragazzina. -E invece no, -dissi.- In inglese sono passato-. Poi, tanto
per fare una cosa, le diedi un pizzico sul di dietro. […] Poi, tutt’ a un tratto, disse: -Oh, ma perché
l’hai fatto?- Voleva dire perché mi ero fatto buttare fuori un’altra volta. Mi diede una certa
tristezza, come lo disse. – O Dio, Phobe, non stare a far domande. Ne ho piene le tasche [
__________________________________ ] di tutti quanti che mi domandano la stessa cosa, dissi. –Ci sono perché da vendere. Era una delle scuole peggiori che mi sia mai capitata. Piena di
gente balorda. E gretta [ ___________________________________________ ]. Mai vista tanta
gente gretta in vita tua. […] Era una scuola schifa [ _____________________________________
43
]. Parola. […] - Erano balordi anche quel paio di professori simpatici che avevamo, perfino quelli –
dissi. […] Dio, Phoebe! Non posso spiegartelo. Non mi piaceva niente di quello che succedeva a
Pencey, ecco tutto. […] - A te non piace niente di quello che succede. […] Non ti piace nessuna
scuola. Non ti piacciono un milione di cose. Non ti piace.
[…] -Invece sì! Hai torto, è proprio qui che hai torto! […] –Sai cosa mi piacerebbe fare?-dissi.- […]
–Sai quella canzone che fa “Se scendi tra i campi di segale [ ____________________ ], e ti
prende al volo qualcuno>>? Io vorrei… -Dice <<Se scendi tra i campi di segale, e ti viene incontro
qualcuno>>, -disse la vecchia Phoebe. […]. Però aveva ragione lei. Dice proprio <<Se scendi tra i
campi di segale, e ti viene incontro qualcuno>>. –Credevo che dicesse <<E ti prende al volo
qualcuno>>. -Ad ogni modo, mi immagino sempre tutti questi ragazzi che fanno una partita in
quell’immenso campo di segale eccetera eccetera. Migliaia di ragazzini, e intorno non c’è nessun
altro, nessun grande, voglio dire, soltanto io. E io sto in piedi sull’orlo di un dirupo
[ ___________________ ] pazzesco. E non devo fare altro che prendere al volo tutti quelli che
stanno per cadere dal dirupo, voglio dire, se corrono senza guardare dove vanno, io devo saltar
fuori da qualche posto e acchiapparli. Non dovrei fare altro tutto il giorno. So che è una pazzia, ma
è l’unica cosa che mi piacerebbe veramente fare.
LABORATORIO DEL TESTO
Proposte di lavoro sulla comprensione e/o analisi testuale e
tematica
1. Nonostante siano passati più di cinquant’anni dalla pubblicazione del romanzo, trovi espressioni
e termini ancora attuali? Motiva la tua risposta facendo riferimento al linguaggio usuale dei ragazzi
della tua età.
1.
Il narratore è interno o esterno ai fatti narrati?
Interno
Esterno
Motiva la tua risposta:
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________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
________________________________________________________
2. Dove si svolgono i fatti narrati?
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_______________________________________________________________
3. Holden si è “fatto buttar fuori” dalla scuola e questo la sorella lo ha percepito. Per quale regione
alla domanda “perché l’hai fatto” Holden prova tristezza?
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_______________________________________________________________________________
_______________________________________________________________________________
__________________________________________________________
4.
Perché definisce il college “una delle scuole peggiori” che gli sia mai capitata?
________________________________________________________________________________
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______________________________________________________________
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“A te non piace niente di quello che succede. (…) Non ti piace nessuna scuola. Non ti
piacciono un milione di cose. Non ti piace.” Prova a spiegare il senso di queste affermazioni.
5.
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________________________________________________________________________________
__________________________________________________
6.
Rileggi attentamente la conclusione del testo. C’è qualcosa che ad Holden piacerebbe fare?
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Proposte di riscrittura e rielaborazione
1.
Evidenzia nel testo i punti chiave e riassumilo brevemente.
2.
Se tu fossi il protagonista, come racconteresti la storia? Prova a riscriverla sotto il tuo punto
di vista in non più di 40 righe.
Proposte di produzione testuale
1. Evidenzia nel testo tutti gli elementi che possono aiutarti a delineare la figura di Phoebe e di
Holden soprattutto in relazione alla loro personalità ed esprimi una tua opinione sulle differenze
rilevate.
2. Ad Holden non piace nessuna scuola. Perché? Cosa lo ha deluso? Che tipo di scuola avrebbe
voluto? Produci un breve testo, facendo anche riferimento alla tua esperienza scolastica.
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LA BOTTEGA DELL’ ARTE
Pablo Picasso-Gli adolescenti (1906) (da wwww.settemuse.it )
Pablo Ruiz Picasso (1881-1973). Sin da piccolo mostrò la sua passione per la pittura. Frequentò
l’Accademia di Belle Arti a Barcellona e dopo essersi a lungo occupato di arte, abbandonò tutto per
dedicarsi alla poesia e alla vita politica. Ritornò alla pittura solo negli ultimi anni della sua vita.
Contribuì alla fondazione del movimento cubista ed è conosciuto come uno dei maggiori artisti del XX
secolo. Alcune delle sue produzioni sono caratterizzate dall’utilizzo prevalente del colore azzurro per
rappresentare diversi aspetti della condizione umana: si tratta del cosiddetto “Periodo blu” (1901-1904),
mentre nel “ Periodo rosa” (1905-1907) il colore predominante è appunto il rosa, e mutano i soggetti
(arlecchini, clown, acrobati) e i temi (il mondo del circo).
1. Osserva l’immagine e descrivi ambiente, personaggi e colori.
2. I due adolescenti sono un ragazzo e una ragazza. Perché, secondo te, la ragazza non
mostra il volto?
3. Perché, a tuo avviso, predomina il colore rosa?
4. L’adolescenza è un periodo di crescita e di trasformazioni anche fisiche e l’immagine che ti
viene proposta ne è una dimostrazione. Osserva il tuo corpo, rifletti sui tuoi cambiamenti e
in un breve testo racconta i tuoi turbamenti.
SALA D’ASCOLTO
Adriano Celentano, cantante e attore che ha visto il culmine del successo negli anni Sessanta –
Settanta, nasce a Milano nel 1938 dove i genitori, di origine pugliese, si erano trasferiti per lavoro.
Nella sua carriera che conta oltre quarant’anni ha inciso canzoni che trattano diversi temi che
vanno dall’amore, ai tradimenti, ai sentimenti e alle emozioni più profonde fino a toccare temi
relativi alla droga e all’ambiente. Questa canzone è scritta tra gli altri da Toto Cotugno e dalla
moglie Claudia Mori, nota nel mondo dello spettacolo come attrice e cantante nonché produttrice
televisiva.
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“Il tempo se ne va” [T. Cutugno - C. Minellono- C. Mori]
Quel vestito
da dove è sbucato
che impressione
vederlo indossato
se ti vede tua madre
lo sai questa sera finiamo nei guai
e' strano ma sei proprio tu
quattordici anni o un pò di più
La tua Barbie è da un pò
che non l'hai
e il tuo passo è da donna ormai
al telefono è sempre segreto
quante cose in un filo di fiato
e vorrei domandarti
chi è ma lo so che hai vergogna
di me la porta chiusa male
e tu lo specchio il trucco
e il seno in su
e tra poco la sera uscirai
quelle sere non dormiro' mai
E intanto il tempo
se ne va e non ti senti
piu' bambina si cresce in fretta
alla tua età
non me ne sono accorto prima
E intanto il tempo se ne va
tra i sogni e le preoccupazioni
le calze a rete han preso già
il posto dei calzettoni
Farsi donne
è più che normale ma una figlia
è una cosa speciale
il ragazzo magari ce l'hai
qualche volta hai già
pianto per lui
La gonna un pò corta e poi
malizia in certi gesti tuoi
e tra poco la sera uscirai
quelle sere non dormirò mai
E intanto il tempo se ne va
e non ti senti più bambina
si cresce in fretta alla tua età
non me ne sono accorto prima
E intanto il tempo se ne va
tra i sogni e le preoccupazioni
le calze a rete han preso già
47
il posto dei calzettoni.
il posto dei calzettoni.
1. La canzone ha inizio con una domanda. Quale?
2. Che cosa teme il padre?
3. Perché prova stupore?
4. Quali sono le sue preoccupazioni?
5. Spiega il significato dei versi: “Farsi donne è più che normale ma una figlia è una cosa
speciale”.
6. Qual è il tempo che se ne va?
Un tuffo nel Web
Per leggere integralmente il romanzo Piccole donne on line, è possibile trovare il testo integrale sul
sito http://www.liberliber.it/biblioteca/a/alcott/index.htm, che contiene anche notizie biografiche
sull’autrice. Consigliamo anche le schede di due film tratti dal romanzo, reperibili sui siti
http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=18330
(Piccole
donne,
1933)
e
http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=18332 (Piccole donne, 1994)
La vicenda di Anna Frank è stata fonte d’ispirazione anche per una ricca sitografia; segnaliamo in
particolare www.annefrank.org , sito ufficiale della casa di Anna Frank. E’ qui possibile reperire
informazioni sulla biografia della ragazza, sui luoghi delle vicende e sul museo allestito ad
Amsterdam.
L’opera e la vita di Pablo Picasso sono dettagliatamente analizzate sul www.picasso.fr (in
francese). I più importanti musei dedicati all’artista spagnolo sono on line con questi siti:
www.museupicasso.bcn.es , home page del museo di Barcellona, e http://www.musee-picasso.fr ,
sito del museo di Parigi.
Il sito www.celentano.it permette di conoscere più approfonditamente la biografia e l’opera del
cantautore italiano, dando anche la possibilità di ascoltarne la musica. Ulteriori informazioni e la
possibilità di vedere video e acquistare musica on line sono presenti su
http://www.windoweb.it/guida/musica/biografia_adriano_celentano.htm
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UN PERCORSO ATTRAVERSO UN TEMA
LA VIOLENZA
Il tema della violenza non è semplice da affrontare, perché essa ha mille volti. Si sa che è insita
nella natura dell’uomo e si manifesta attraverso l’uomo stesso al di là delle epoche e dei contesti
politici, economici, sociali.
L’atto di violenza, psicologica o fisica, è sempre un brutale atto di limitazione della libertà di un
altro essere vivente. Ci sono momenti nella vita in cui un essere umano è un po’ più fragile, più
vulnerabile rispetto ad altri. Proprio in quei momenti si affaccia il bisogno di sentirsi compresi,
accettati ed amati. Talvolta tale bisogno fondamentale innesca, in una relazione umana, un
meccanismo perverso di manipolazione psicologica, per cui una persona viene ridotta in stato di
completa dipendenza da un’altra, che esercita un controllo totale della vita della vittima. Purtroppo
a chiunque potrebbe capitare di subire un plagio o un cosiddetto “lavaggio del cervello”, che
spesso è subdolo ma è sempre da concepirsi come violenza, per quanto poco esplicita. In molti
casi la vittima, indebolita perfino nell’intimità del proprio pensiero, non sa neppure che quella che
subisce è violenza o si vergogna di ammetterlo. Questa è la prigione peggiore giacché le inferriate
sono invisibili. In genere chi plagia, ha dalla sua una forte personalità, con una spiccata
inclinazione al comando; una figura che potrebbe essere tranquillamente paragonata a quella di
un dittatore politico: la storia purtroppo ne è frequentemente testimone.
Il ventaglio dei brani di seguito riportati spazia fra epoche diverse, parte dal Seicento, passa
attraverso il Novecento e giunge ai giorni nostri. Intende coinvolgere emotivamente e stimolare la
riflessione sul tema. I personaggi che animano queste pagine sono figure femminili e ragazzi,
categorie umane più soggette alla violenza rispetto all’uomo adulto.
Il testo La prigione, tratto dal romanzo La Chimera (1990) di Sebastiano Vassalli, è ambientato
nel Seicento nella bassa di Novara. E’ la storia di Antonia, un’orfana, un’ “esposta”, cresciuta dalle
suore del convento di San Michele. Per alcuni comportamenti stravaganti e dopo varie vicissitudini,
la giovane è considerata “figlia del Diavolo”. Il suo destino è segnato: sarà giustiziata sul rogo.
Antonia è vittima di una violenza sia fisica che psicologica.
Il secondo brano è tratto dal capitolo IX de I Promessi Sposi (1827) di Alessandro Manzoni.
Tutto il romanzo è intessuto di violenza, intesa come strumento di dominio, che viene compiuta a
danno di altri o subìta. La monaca di Monza non fa eccezione. Accoglie Lucia in convento, nella sua
fuga dal paese natìo nel tentativo di sfuggire alla persecuzione ossessiva di don Rodrigo.
La monacazione di Gertude è stata imposta fin dall’età prenatale. La violenza da lei subìta è infatti
legata alla sua estrazione sociale e alle usanze dell’epoca. Questo la espone irreparabilmente ad
essere una vittima, che avendo conosciuto fin dalla tenera età, il sopruso di una violenza
psicologica sistematica, a sua volta da adulta, finisce per infliggere ad altri altrettanta violenza, non
avendo a sua disposizione strumenti che la aiutassero ad accettare tale sofferenza.
Tommasino è tratto da Una vita violenta di Pier Paolo Pasolini, pubblicato nel 1959.
Il protagonista è Tommaso Puzzilli, un “ragazzo di vita” delle borgate romane che, dopo diverse
imprese criminali, passa all’impegno politico e infine, offrendo un esempio di estrema generosità,
muore per salvare una prostituta durante un’inondazione. Sullo sfondo l’ambiente squallido e i
derelitti senza futuro della periferia romana del secondo dopoguerra.
Il cacciatore di aquiloni di Khaled Hosseini narra la storia di due ragazzi, Amir e Hassan: il primo è
figlio di un ricco commerciante, l’altro è figlio di un servo, di un hazara.
Nonostante la loro diversa estrazione sociale i due trascorrono insieme giornate spensierate,
accomunati dalla comune passione per gli aquiloni.
49
Ma l’armonia tra i due ragazzi si spezza un giorno in cui Hassan , per colpa di Amir, che non riesce,
per vigliaccheria, a difenderlo, subisce violenza da tre suoi coetanei talebani, in “un vicolo cieco di
Kabul”.
Da quel momento le loro vite si separeranno per sempre. I due ragazzi non si cercheranno più;
Amir riparerà in America, Hassan continuerà a vivere in un luogo imprecisato dell’Afganistan.
La canzone Vai con un po’ di violenza di Jovanotti, parla della violenza presente nella società ma
in particolare della violenza che il cantautore preferisce, cioè quella che viene dal suono di una
chitarra distorta o quella fatta “screcciando” con il disco e che non fa male a nessuno…
Sebastiano Vassalli da Fotografie Sebastiano Vassalli www.zam.it
A TU PER TU CON L’AUTORE
Sebastiano Vassalli (Genova 1941). Opinionista del quotidiano “La Stampa” Vassalli vive in
provincia di Novara. Laureato in Lettere, negli anni ’60-70 si dedica all’insegnamento e partecipa al
movimento artistico Neoavanguardia e al movimento culturale Gruppo 63. Dopo queste esperienze
si dedica all’attività letteraria. Tra le sue opere più famose ricordiamo: L’oro del mondo (1987), La
Chimera (1990), Cuore di pietra (1996), Un infinito numero (1999), Stella avvelenata (2003).
Con La Chimera ha ricevuto il premio Strega nel 1990.
SALA DI LETTURA
La prigione36
"La Chimera" è un romanzo storico, ambientato nel periodo della Controriforma, quando la Chiesa
cattolica utilizzò il suo potere per combattere tutto quello che si discostava dall’ortodossia ufficiale.
36
Tratto da S. Vassalli, La Chimera, Enaudi,1993
50
La protagonista Antonia, spirito indipendente per l’epoca, sfida con le parole e i comportamenti
l’opinione pubblica e il potere religioso, diventando il mostro per cui tutti reclamano la sua morte.
Attorno ad Antonia ruotano tanti personaggi umili e potenti.
Antonia, nel brano di seguito riportato (cap. XXVI ), è in carcere. La prigione, situata sotto il
Tribunale dell’Inquisizione di Novara, è un ambiente sporco e pieno di topi che molestano la
poverina rosicchiando il legno delle sue scarpe e la stoffa dei suoi vestiti. Durante la prigionia è
sottoposta a diversi interrogatori da parte dell’inquisitore Manini e a torture con il "curlo" e il
"cavalletto".
Così finì il mese di giugno per Antonia: in carcere, mentre fuori del palazzetto dell’ Inquisizione37 e
nella bassa38 tutti continuavano nei loro traffici di sempre, e il sole sorgeva ogni mattina e
tramontava ogni sera in un mare di vapori e di nebbie. Soltanto lei se ne stava rinchiusa
sottoterra, senza ricevere altre visite che quelle regolamentari dei suoi carceriere e senz’altra
compagnia che quella dei topi. Le prigioni dell’Inquisizione di Novara erano nelle cantine stesse del
Tribunale, a destra della scala le celle degli uomini e a sinistra quelle delle donne; oltre alla strega,
all’epoca dei fatti, c’era stato anche un «chierico39 sodomita» di cui null’altro si sa , se non appunto
ciò che significano queste due parole: ma poi il chierico aveva dovuto essere trasferito nelle
prigioni del vescovo e Antonia era rimasta sola. Le celle erano piccolissime: buchi ciechi, senza
pavimento e senza finestre; l’unico barlume di luce vi entrava da un’apertura poco più grande di
una mano che c’era nella porta, all’altezza del viso. Affacciandosi a quell ’apertura, Antonia vedeva
un corridoio che di giorno prendeva luce dal cortile dei frati attraverso due grate di ferro nel
soffitto; di notte, da una lanterna appesa a un gancio, collocato a una certa altezza nel muro di
fronte. Su quel muro,a ogni ora del giorno e della notte e quasi ininterrottamente, salivano e
scendevano grossi topi, dal pelo nero e lucido sul dorso e grigio sulla pancia: erano i ratti, destinati
poi a estinguersi nelle nostre città per lasciare il posto al topo biondo o «pantegana» venuto
dall’America; ma ancora molto attivi nell’estate del 1610, e per nulla pensosi della sorte che
sarebbe toccata ai loro discendenti. Entravano nella cella di Antonia, le si avvicinavano, la
«assaggiavano» cioè provavano la commestibilità del legno delle sue zoccole e della stoffa dei suoi
vestiti, la costringevano a svegliarsi appena lei s’assopiva; a scacciarli gridando e battendo i piedi,
tre o quattro volte ogni ora e anche più spesso. Senza l’assillo di quelle bestiacce il carcere sarebbe
stato quasi sopportabile e Antonia, che ne provava terrore ed anche orrore, si risolse a parlarne ai
suoi carcerieri: al giovane Bernardo, dagli occhi strabici e dalla bocca semiaperta, che l’ascoltò e
non rispose; era forse sordo? E poi al vecchio Taddeo, dal cranio lucido e dalle occhiate incavate,
che simulò stupore e costernazione, disse: «Dei ratti! Qui da noi! Poveretto me se l’inquisitore
viene a saperlo!» Le fece un mucchio di domande: se era proprio sicura di averli visti; se erano
tanti; se li aveva contati. Infine, dopo essersi divertito ancora un poco, il vecchiaccio promise:
sarebbe intervenuto con grosse trappole ed esche avvelenate, avrebbe fatto una tale strage di ratti
che nella prigione del Sant’Uffizio di Novara si sarebbe perso anche il ricordo di quegli animali.
Invece i ratti nello scantinato ci rimasero poi tutti, dal primo all’ultimo: i morti, a imputridire e a
puzzare, i vivi a scorrazzare; ma la diminuzione del numero di questi ultimi alleviò un poco i
tormenti di Antonia, permettendole di dormire brevi sonni senza essere molestata: un gran
sollievo!
Nei primi giorni ch’era in carcere, Antonia aveva alternato scoppi d’ira con pianti sconsolati:
gridava che voleva uscire, che non aveva fatto niente di male contro i preti e contro nessuno; che
era innocente. Batteva i pugni contro il muro e si strappava i capelli. Poi, s’era quietata. Era
rimasta seduta sul pancaccio a fissare la finestrella della porta e il muro di fronte, con i ratti che
salivano e scendevano, mentre i giorni e le notti, sopra di lei, si susseguivano sempre più veloci.
Non parlava, non reagiva nemmeno quando Taddeo le metteva in mano la scodella del riso bollito,
37
Inquisizione: il Tribunale dell’Inquisizione fu istituito alla fine del XII secolo dalla Chiesa Cattolica per punire gli
eretici.
38
Bassa: territorio pianeggiante a sud di Novara.
39
Chierico: prete.
51
le annunciava cerimonioso: «Ecco qua il pranzo! La damigella è servita!» O quando, alla mattina,
le chiedeva informazioni del sabba40: era andato bene? C’erano tutti, quella notte, i Diavoli suoi
amici? Erano meglio degli uomini, quei famosi Diavoli? […]
La visita medica, obbligatoria in questo genere di processi, si fece la mattina del 12 luglio, prima
che Antonia venisse interrogata per la terza ed ultima volta dall’inquisitore, e durò quasi un’ora. I
due periti, tali Ovidio De Pani del collegio dei dottori medici di Novara e Giovan Battista Cigada del
collegio di Milano, si soffermarono a lungo e con grande scrupolo su due caratteri esteriori di
Antonia che dovettero apparirgli sospetti, e precisamente: il pelo crespo e nero e l’abbondanza dei
nei. Soprattutto li insospettirono i nei come possibili signa Diaboli o «bolli del Demonio»; perciò li
sottoposero alla prova della trafittura, pungendoli pazientemente ad uno ad uno con uno spillo
d’argento e trovandone alcuni pressoché insensibili: indizio grave - scrissero i dottor i- e prova
quasi certa «majus argumentum et satis firma probatio» d’avvenuta possessione diabolica. I corpi
abitati dal Diavolo, si sa, presentano spesso zone torbide; e da ciò appunto si riconoscono. Minore
importanza si doveva invece attribuire a quell’altro connotato di Antonia, dei crini crespi e neri e
molto folti sul capo e nelle altre parti del corpo a ciò disposte da natura: accade infatti sentenziarono i periti - di vedere molte donne che certamente non sono streghe presentarsi con le
medesime caratteristiche, vivendo saggiamente in ogni momento della loro giornata e
comportandosi anche nelle pratiche di devozione con molta pietà; sicché è opportuno che in tale
materia si distingua, e che si proceda con grande cautela, senza affrettarsi verso conclusioni che
potrebbero poi rivelarsi errate. Infine - forse per umanità, forse per scrupolo scientifico - i due
medici s’appellarono al santo Tribunale chiedendo che si facesse un estremo tentativo di liberare
la ragazza dal Diavolo, prima di giudicarla con pillole d’assenzio, aloe, erba ruta e simili; o con
violenti purganti; o con emetici41; perché -dissero- era già accaduto in passato che tali rimedi si
rilevassero efficaci e che il Diavolo se ne uscisse dal corpo della donna «in flatus, stercus, aut
utcumque in corporis excrementa» («in vento, sterco o in altra materia corporale»). Ma,
fortunatamente per Antonia, non risulta che quel suggerimento dei periti sia poi stato seguito…
Dopo un intermezzo di poche ore in cella, il pomeriggio di quello stesso 12 luglio 1610 Antonia
venne fatta risalire al pianoterra del Tribunale, nella sala appositamente attrezzata per
l’interrogatorio e la tortura degli eretici, e sottoposta ad un nuovo esame che durò, dice il verbale,
fino a notte, e che impresse una svolta decisiva al processo: è infatti nel corso di quest’ultimo
colloquio che Antonia dimostrò di essere un’eretica42 pericolosa, non soltanto una lamia cioè una
strega esperta in malefici, ma anche una propagatrice di dottrine eretiche e scismatiche tra gli
abitanti della bassa: un Lutero43 in gonnella, un Diavolo in forme femminili! La presenza del
Diavolo in quest’ultimo interrogatorio si manifestò con chiarezza - dicono le carte del processo - fin
dalle prime risposte della strega e senza bisogno di speciali sollecitazioni da parte di Manini: che,
anzi, aveva riproposto molte domande già fatte nei due precedenti interrogatori. «E’ vero, - aveva
chiesto tra l’altro l’inquisitore ad Antonia, - quanto affermano alcuni testimoni, che tu al dosso
dell’albera44 ci andavi per incontrare un uomo, un camminante45 chiamato Tosetto, e non invece
per incontrare il Diavolo? Rispondi!»
«Se il mio moroso fosse stato un uomo, come voi dite, - rispose Antonia,- lui poi sarebbe venuto a
scagionarmi davanti al Tribunale. Non c’è venuto perché è un Diavolo».
«Com’è fatto il Diavolo?» domandò l’inquisitore.
«Esattamente com’è fatto un uomo. Come voi».
«Cosa facevi tu col Diavolo?»
«L’amore».
40
Sabba: l’incontro tra le streghe e il Demonio, secondo le credenze dell’epoca, si svolgeva in un bosco nella notte fra il
sabato e la domenica.
41
Emetici: farmaci o erbe che provocano il vomito.
42
Eretica: che professa o sostiene false teorie religiose.
43
Lutero: fu un monaco agostiniano che contribuì alla rigenerazione morale della Chiesa, ma se ne distaccò
diffondendo la dottrina protestante.
44
(Dosso) dell’albera: collina con un albero di castagno.
45
Camminante: vagabondo.
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«E poi che altro?»
«Parlavamo».
«Avevi complici?»
«Messer no».
«Uccidevate i bambini?»
«Messer no».
Per costringere la strega a confessare i suoi delitti la si sottopose quindi a una prima tortura, con il
curlo. Questo genere di tortura si faceva tirando su la strega per i polsi fino a due o tre metri
d’altezza e poi facendola ripiombare a terra dopo averla tenuta sospesa per un tempo che
l’inquisitore stabiliva di volta in volta secondo necessità e che misurava in preghiere; dicendo al
carnefice, per esempio, «tienila su un Pater noster», oppure «un Salve Regina», «un Miserere»…
(Tutto quel trambusto è però riferito nelle carte del processo con due sole parole: «ter squassata»,
cioè Antonia fu tirata su e lasciata ricadere per tre volte di fila). L’ispezione prima della tortura era
stata eseguita dal giovane Bernardo, che non aveva più accettato di giocarsi quell’incarico a «testa
o croce» col padre, ma s’era fatto avanti, risolutamente, quand’era stato il momento: «Tocca a
me!»
Taddeo, poi, aveva cercato di rimettere a posto le ossa della strega, che erano tutte slogate,
perché l’inquisitore potesse continuare a interrogarla; come infatti avvenne. Nel corso di quel
successivo interrogatorio vi furono altre due interruzioni, e la strega fu torturata altre due volte; la
prima volta ancora con il curlo, la seconda volta con quello speciale lectus cruciatus (cioè cavalletto
o «letto dei tormenti») che Buelli aveva fatto costruito appositamente per il Sant’Uffizio46 di
Novara, introducendo alcune innovazioni sul modello allora più diffuso. In questa fase del processo
venne posta a Antonia tutta una serie di domande, per così dire, rituali: se nei suoi sabba si
calpestassero le croci, se si vomitassero le ostie consacrate, se si compissero abiure del battesimo
ed altrettali faccende, del tutto irrilevanti per la storia. Sottoposta a nuove torture, Antonia impazzì
di dolore: urlò, pianse, implorò i carnefici che smettessero, insultò l’inquisitore Manini e il
cancelliere Prinetti, disse cose orribili e schiumò dalla bocca, ruotò gli occhi, tirò fuori la lingua e
perse i sensi, insomma si comportò come normalmente si comportavano le streghe appese ai curli
o dilaniate dai cavalletti dell’Inquisizione; ma nelle risposte che poi diede, e che il cancelliere
trascrisse la sua rabbia e la sua disperazione diventano eroismo, volontà di vincere gli aguzzini
nell’unico modo possibile, cioè dimostrandosi più forte di loro. E in quelle risposte che il
personaggio di Antonia, sbiadito purtroppo nelle carte del processo come nella pittura del
madonnaro47 Bertolino, ci mostra i suoi connotati più autentici e più vivi, d ‘ingenuità, di fierezza,
di determinazione, diventa grande per se stesso e nel confronto con i giudici, che non sanno darsi
ragione di tanto coraggio e finiscono per attribuirne - come già s’è detto - tutto il merito al Diavolo.
Nella sua arringa conclusiva, pronunciata il 20 agosto di fronte al Tribunale riunito in camera di
consiglio, Manini parlò di una forza soprannaturale e diabolica che aveva consentito alla «strega di
Zardino» di sostenere torture dolorosissime più e più volte ripetute «peracerba et iterum repetita
tormenta» senza mai recedere dalla sua malvagia volontà («numquam recedens a mala
voluntate») ma anzi riaffermando e talvolta, quelle stesse rozze eresie per cui era stata
incarcerata, e che aveva cercato di diffondere tra i contadini della riva del Sesia. Di tali eresie,
l’inquisitore fornì ai giudici una sintesi, non priva di efficacia e abbastanza esatta. Tutte le
affermazioni eretiche della «strega di Zardino» - disse in sostanza l’inquisitore - si riferivano a tre
argomenti. Il primo di quegli argomenti era l’inutilità dei preti, parassiti delle campagne e del
mondo intero; il secondo, era la natura soltanto simbolica del Cristo («Ce ne sono stati tanti Gesus
Cristi, da che ce il mondo, et Gesuscriste anco più assai»); il terzo, infine, era l’origine del peccato,
ciò che la Chiesa chiama «peccato originale» e che secondo Antonia era la religione stessa («La
prima colpa è la bugia de’ preti. Dicono che sanno quello che non sanno; danno nome acciò che
non a nome. Quello è il primo peccato. Il resto seguita»).
46
Sant’Uffizio: la Chiesa di Roma istituì questa congregazione nel 1542: si trattava di un tribunale ecclesiastico,
finalizzato a indagare i casi di presunta eresia.
47
Madonnaro: colui che disegna immagini sacre sui marciapiedi utilizzando gessetti colorati.
53
Fu a questo punto dell’ interrogatorio che Manini s’alzò in piedi - secondo quanto ne riferisce il
cancelliere Prinetti - e si coprì il capo con l’abito, esclamò: «Diabolus locutus!» («Ha parlato il
Diavolo!»).
LABORATORIO DEL TESTO
Proposte di lavoro sulla comprensione e/o analisi testuale e
tematica
1. Dopo aver letto il brano suddividilo in sequenze e assegna a ciascuna un titolo.
2. L’incipit presenta due coordinate spazio-tempo. Quali?
3. Presenta il personaggio di Antonia utilizzando lo schema di seguito riportato:
ASPETTO FISICO
ASPETTO CARATTERIALE
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______________________________________
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4. Chi sono i compagni di “sventura” di Antonia?
5. Il 12 luglio è un giorno particolare per la protagonista. Svolgi l’esercizio già avviato:
Mattina _______________________________________________________________________
Sera
_______________________________________________________________________
6. Sottolinea e trascrivi ciò che i periti procurano ad Antonia e quale iniziative decidono di adottare
“forse per umanità forse per scrupolo scientifico”.
7. Manini nell’arringa finale, di fronte al tribunale, evidenzia il comportamento di Antonia. Quali
motivazioni adduce?
8. Elenca le affermazioni eretiche di Antonia.
9. Individua e trascrivi gli interventi dell’autore.
10. L’autore nel brano riporta espressioni in lingua latina. Trascrivile.
11. Il ritmo della storia è lento e/o veloce. Motiva la tua risposta.
Proposte di riscrittura e rielaborazione
1. Esegui una breve sintesi del brano (non più di 50 parole).
54
2. Riscrivi la parte del brano da “La visita medica” a “sia poi stato seguito”, utilizzando il discorso
diretto e calandoti nel ruolo di Antonia.
Proposte di produzione testuale
1. Questa volta l’hai fatta proprio grossa. I tuoi decidono di punirti: non puoi uscire. Sei
prigioniero/a in casa tua.
Scrivi una breve storia della tua “prigionia” descrivendo il luogo, ma anche tutto quello che si agita
dentro di te.
2. Scrivi un articolo su atti di violenza di cui sei stato/a testimone.
Ritratto di Alessandro Manzoni.
A TU PER TU CON L’AUTORE
Alessandro Manzoni nacque a Milano il 7 marzo nel 1785 ed era figlio del conte Pietro Manzoni
e di Giulia Beccaria (figlia di Cesare Beccaria). Ricevette una educazione religiosa e infatti, fu
avviato agli studi prima presso i padri Somaschi, a Merate e Lugano, poi presso i padri Barnabiti.
Dal 1801 al 1805 visse a Milano, dove frequentò gli ambienti più illuminati, quelli dell'aristocrazia e
dell'alta borghesia. Venne così in contatto con gli intellettuali più illustri di quel momento storico,
come Vincenzo Cuoco, gli esuli napoletani e i poeti Vincenzo Monti e Ugo Foscolo. Le prime
esperienze poetiche risalgono proprio a questo periodo (primi del 1800): il poemetto Il trionfo della
libertà (1801), odi e sonetti (1801) e l’idillio Adda (1803).
Nel 1805 raggiunse la madre a Parigi che, separatasi dal marito anni prima, viveva nella città con
il conte Carlo Imbonati, al quale Manzoni dedicò in seguito il carme In morte di Carlo Imbonati.
Frequentò i salotti letterari francesi più in auge e lì conobbe gli ideali che avevano animato la
Rivoluzione Francese, venendo in contatto con gli ideologi e i filosofi della scuola ottocentesca, fra i
quali Claude Fauriel. Proprio quest’ultimo suscitò nel giovane Manzoni l’amore per la storia. Dal
punto di vista storico e culturale egli assistette alla trasformazione delle idee del razionalismo che
si stavano orientando verso il Romanticismo.
Nel 1807 morì il padre e nello stesso anno incontrò Enrichetta Blondel, che sposò l’anno
successivo. Nel 1809 compose il poemetto in endecasillabi sciolti Urania. In seguito lui stesso
prese le distanze ideologiche da quest’opera, che sentiva ormai estranea al suo nuovo modo di
pensare. Nel frattempo, infatti, aveva maturato la convinzione secondo cui la poesia non deve
essere destinata solo ad una élite colta e raffinata, ma deve appartenere a tutti e perciò deve
essere d’interesse generale. Un’opera d’arte di questo tipo deve farsi capire dai suoi lettori: per
questa ragione, la lingua doveva adeguarsi a queste nuove esigenze. Negli anni giovanili si era
nutrito di anticlericalismo, per reazione all'educazione ricevuta da giovane, ma l’anno 1810 è noto
come l’anno della “conversione” del Manzoni. In realtà fu un processo interiore graduale,
55
accompagnato da una crisi che lo portò ad un riavvicinamento alla fede cattolica. Successivamente
alla conversione, s’ impegnò nella composizione di cinque Inni Sacri: La Resurrezione, Il nome di
Maria, Il Natale, La Passione e La Pentecoste, una serie di liriche sulle principali festività liturgiche.
Si dedicò inoltre ad un trattato, Osservazioni sulla morale cattolica. Nel 1816 era iniziata in Italia la
battaglia tra classici e romantici, ed egli si schierò, pur non assumendo posizioni pubbliche, dalla
parte dei romantici, insieme a Giovanni Berchet. Nel periodo che va dal 1816 al 1826 scrisse le due
odi Marzo 1821 e Il cinque maggio (1821); le tragedie Il Conte di Carmagnola (1820) e Adelchi
(1822) ; la Lettera a monsieur Chauvet (1819) e la prima stesura de I promessi sposi (col titolo di
Fermo e Lucia 1821-23). Nel 1827 fu pubblicata la seconda redazione de I promessi sposi. Nel
corso di un viaggio a Firenze conobbe Giacomo Leopardi, Gino Capponi, Pietro Giordani e Gian
Pietro Vieusseux. Negli anni successivi la sua produzione artistica diminuì e si dedicò
prevalentemente alla revisione linguistica de I promessi sposi e a scritti di tipo filosofico, critico e
linguistico. Sul piano privato, fu colpito dalla perdita della moglie, seguita da quella di diversi dei
figli, della madre e dell'amico Fauriel. Nel 1837 sposò la seconda moglie, Teresa Borri Stampa e
visse gli ultimi anni onorato come il più grande scrittore vivente d’Italia. Fece parte del primo
Parlamento nel 1861, all’indomani dell’Unità d’Italia. Venne nominato senatore a vita.
Morì nel 1873 e nel 1874, nell'anniversario della sua morte, Giuseppe Verdi compose la Messa di
requiem per onorarne la memoria.
SALA DI LETTURA
La monaca di Monza48
Il brano (cap. IX, stralcio) è tratto da I Promessi Sposi (1827) di Alessandro Manzoni.
Tutto il romanzo è intessuto di violenza, intesa come strumento di dominio, che viene compiuta a
danno di altri o subìta. La monaca di Monza non fa eccezione. Accoglie Lucia in convento, nella sua
fuga dal paese natìo nel tentativo di sfuggire alla persecuzione ossessiva di Don Rodrigo.
La monacazione di Gertude è stata imposta fin dall’età prenatale. La violenza da lei subìta agisce
su basi economiche1 come volevano le usanze dell’epoca. Questo la espone irreparabilmente ad
essere una vittima, che avendo conosciuto fin dalla tenera età il sopruso di una violenza
psicologica sistematica, a sua volta da adulta, finisce per infliggere ad altri altrettanta violenza, non
avendo a sua disposizione strumenti utili per rielaborare tale sofferenza.
Era essa l'ultima figlia del principe ***, gran gentiluomo milanese, che poteva contarsi tra i più
doviziosi49 della città. Ma l'alta opinione che aveva del suo titolo50 gli faceva parer le sue sostanze
appena sufficienti51, anzi scarse, a sostenerne il decoro52 e tutto il suo pensiero era di conservarle,
almeno quali erano, unite in perpetuo per quanto dipendeva da lui. Quanti figliuoli avesse, la storia
non lo dice espressamente; fa solamente intendere che aveva destinati al chiostro53 tutti i cadetti54
dell'uno e dell'altro sesso, per lasciare intatta la sostanza al primogenito, destinato a conservar la
famiglia, a procrear cioè de' figliuoli, per tormentarsi a tormentarli nella stessa maniera. La nostra
infelice era ancor nascosta nel ventre della madre, che la sua condizione era già irrevocabilmente
stabilita. Rimaneva soltanto da decidersi se sarebbe un monaco o una monaca; decisione per la
quale faceva bisogno, non il suo consenso, ma la sua presenza55. Quando venne alla luce, il
principe suo padre, volendo darle un nome che risvegliasse immediatamente l'idea del chiostro, e
48
Tratto da A. Manzoni, I Promessi Sposi, come è riportato dalla data che si legge all'inizio del manoscritto autografo.
Lanfranco Caretti, Manzoni.Ideologia e stile, Einaudi, Torino, 1975, p.43
49
Doviziosi: ricchi.
50
Titolo: titolo nobiliare, che indicava il grado sociale di appartenenza.
51
Sufficienti: si sentiva povero, piangeva miseria.
52
Decoro: onore e lusso confacenti alla posizione sociale di principe.
53
Chiostro: convento.
54
Cadetti: figli non primogeniti.
55
Presenza: nascita.
56
che fosse stato portato da una santa d'alti natali, la chiamò Gertrude56. Bambole vestite da monaca
furono i primi balocchi57 che le si diedero in mano; poi santini58 che rappresentavan monache; e
que' regali eran sempre accompagnati con gran raccomandazioni di tenerli ben di conto; come
cosa preziosa, e con quell'interrogare affermativo: - bello eh? - Quando il principe, o la principessa
o il principino, che solo de' maschi veniva allevato in casa, volevano lodar l'aspetto prosperoso
della fanciullina, pareva che non trovasser modo d'esprimer bene la loro idea, se non con le
parole: - che madre badessa - Nessuno però le disse mai direttamente: tu devi farti monaca. Era
un'idea sottintesa e toccata incidentemente59, in ogni discorso che riguardasse i suoi destini futuri.
Se qualche volta la Gertrudina trascorreva a qualche atto un po' arrogante e imperioso, al che la
sua indole la portava molto facilmente, - tu sei una ragazzina, - le si diceva: - queste maniere non
ti convengono: quando sarai madre badessa, allora comanderai a bacchetta, farai alto e basso60.
Qualche altra volta il principe, riprendendola di cert'altre maniere troppo libere e famigliari alle
quali essa trascorreva con uguale facilità, - ehi! ehi! - le diceva; - non è questo il fare d'una par
tua: se vuoi che un giorno ti si porti il rispetto che ti sarà dovuto, impara fin d'ora a star sopra di
te61: ricordati che tu devi essere, in ogni cosa, la prima del monastero; perché il sangue62 si porta
per tutto dove si va.
Tutte le parole di questo genere stampavano nel cervello della fanciullina l'idea che già lei doveva
esser monaca; ma quelle che venivan dalla bocca del padre, facevan più effetto di tutte l'altre
insieme. Il contegno del principe era abitualmente quello d'un padrone austero; ma quando si
trattava dello stato futuro de' suoi figli, dal suo volto e da ogni sua parola traspariva un'immobilità
di risoluzione, una ombrosa gelosia di comando, che imprimeva il sentimento d'una necessità
fatale.
LABORATORIO DEL TESTO
Proposte di lavoro sulla comprensione e/o analisi testuale e
tematica
1. Individua e sottolinea nel testo tutte le parti descrittive relative alle pressioni psicologiche subìte
da Gertrude
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2. Nelle ultime sei righe del brano, c’è una descrizione del padre. Prova a tracciare un suo profilo
psicologico
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3. Ti sembra che la fanciulla abbia modo di manifestare la sua volontà?
56
Gertrude: forse una santa, di nobile e ricca famiglia, che prima di lei era stata principessa e badessa.
Balocchi: giocattoli.
58
Santini: figure di santi a disegno o a stampa.
59
Incidentalmente: per caso.
60
Farai alto e basso: potrai fare ciò che vorrai.
61
A star sopra di te: a dominarti e ad essere superiore agli altri.
62
Il sangue: la nobiltà di stirpe
57
57
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4. Di che tipo è il narratore? Motiva la tua risposta
o Esterno
o Interno
o Onnisciente
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5. Trova un contrario per “dovizioso” “ prosperoso” e “indole”; trova un sinonimo per “decoro”.
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6. Il narratore riferendosi a Gertrude la definisce “infelice” . Giustifica questa scelta
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7. Perché Gertrude riceveva in regalo fin da piccola bambole vestite da monache e santini?
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8. “Che madre badessa”: per quale motivo le si rivolgeva questo complimento?
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9. Spiega cosa significano ,secondo te ,queste due espressioni
-“ impara fin d'ora a star sopra di te”
- “il sangue si porta per tutto dove si va”
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10. Conosci il significato di queste parole nella vita quotidiana?
Scrivi accanto ad ogni voce il corrispondente significato.
Stalking ________________________________________________________________________
Mobbing ________________________________________________________________________
Love Bombing ____________________________________________________________________
58
Pressing ________________________________________________________________________
11. Ci sono persone nella tua vita con le quali puoi aprirti e confidarti e che ti fanno sentire
compreso?
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12. Hai la possibilità di esprimere i tuoi sentimenti e le tue emozioni?
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Proposte di riscrittura e rielaborazione
1.
2.
3.
4.
5.
Riassumi il testo in poche parole (massimo 50).
In una poesia di tua composizione.
In una canzone che sarà cantata da Jovanotti.
Riscrivi il testo come se fosse raccontato dalla stessa Gertrude.
Riscrivi il testo dal punto di vista del padre di Gertrude.
Proposte di produzione testuale
13. Svolgi una breve ricerca su una di queste tematiche e poi stendi una relazione sull’argomento
scelto:
a. Stalking
b. Violenza psicologica
14. Trasforma il brano riportato da I promessi sposi in una intervista immaginaria alla stessa
Gertrude. Poni una serie di domande che vorresti farle e scrivine la risposta, basandoti sul testo
letto.
59
Pier Paolo Pasolini
A TU PER TU CON L’AUTORE
Pier Paolo Pasolini, uno dei maggiori intellettuali del secondo dopoguerra, nasce a Bologna il 5
marzo del 1922. Trascorre gli anni dal ’42 al ’49 nel Friuli,a Casarsa, paese della madre, dove nel
’42 avviene il suo esordio come poeta con le Poesie a Casarsa, in cui ritrae il carattere
incontaminato e innocente del mondo contadino. Lo scandalo provocato dalla sua omosessualità –
nel ’49 subisce una denuncia per corruzione di minorenni – è all’origine del suo trasferimento a
Roma. Qui entra in contatto con le borgate romane, quartieri periferici caratterizzati dal degrado
delle dimore squallide del sottoproletariato protagonista dei suoi primi romanzi: Ragazzi di vita
(1955) e Una vita violenta (1959). A partire dagli anni ’60 si dedica al giornalismo e al cinema,
attività in grado di restituire allo scrittore la sua capacità di analisi sociale attraverso la
rappresentazione della realtà e la sua interpretazione. I suoi film, tra cui Accattone (1961), Il
Vangelo secondo Matteo (1964), Salò o Le centoventi giornate di Sodoma (1975) destarono
grande scalpore. Morì assassinato il 2 novembre del 1975 in circostanze mai del tutto chiarite.
SALA DI LETTURA
Tommasino63
Tommaso è un ragazzo della borgata romana di Pietralata. Le giornate di Tommaso e dei suoi
amici, segnate da violenze, piccoli furti, bravate teppistiche, sono narrate con un linguaggio che
riproduce quello basso e gergale della periferia romana degli anni ’50. Nel brano proposto, tratto
dal primo capitolo, si delinea nei tratti essenziali la figura del protagonista, un ragazzino abituato a
ottenere ciò di cui ha bisogno solo con l’uso della prepotenza e della violenza.
Verso mezzogiorno, Pietralata era tutta fradicia, che luccicava. Sul vecchio fango secco della
spianata c’era una crosticina di fango nuovo, di cioccolata, dove i maschi ruzzolavano come
maialetti giocando a pallone.Tommasino reggeva in una mano il sacco vuoto dove aveva messo il
ferrovecchio, l’altra mano la teneva in saccoccia64, dove tutte ciancicate65 stavano le due piotte66
rimediate andando per ferro, tra i mucchi d’immondezza lungo le scarpate della Tiburtina.
”A regazzì,” gridò a uno, a bocca larga e a gambe larghe, ”gioco pure io, si nun ve dispiace.”
“None,none!” strillarono i ragazzini, ”Semo giusti!”. ”Ma li mortacci vostra,” gridò Tommaso,”quale
giusti, quale giusti, ma che sarebbe? Che , sete ‘a Roma?”
“E vattene, nun sta a rompe er ca…!” gridò uno dei piccoletti con una voce da grammofono
scassato.
63
Si fa riferimento a PASOLINI P.P.,Una vita violenta, Garzanti, Milano, 1976.
Saccoccia: tasca.
65
Ciancicate: stropicciate, spiegazzate.
66
Piotte: monete da cento lire.
64
60
Per tutta risposta Tommasino si spostò a passi lenti e strascinati verso una delle due porte, buttò
su uno dei bozzi67 di breccole68 che facevano da palo, il sacco, e si tirò in mezzo alla spianata tra il
mucchio dei ragazzini.
Uno che pareva una mela gli andò contro mezzo piangendo, gridandogli che gli scoppiava il
gargarozzo69 : ”Te ne vòi annà? A disgrazziato!”
Ma in quel mentre arrivava da quella parte il pallone. Tommasino diede una caracca70 al pivellino
facendolo cascare col chiappo sulla fanga, e ridendo forte tutto rosso in faccia, si mise a correre
dietro al pallone con quelle due gambe storcinate che parevano quelle di un cane bassotto.
“E’ entrato lui!” gridò allora, con le mani a imbuto intorno alla bocca un fanello71 che poltriva, con
altri due o tre soci, al bordo del campetto. Se ne stava lì sbragato, con gli altri, in un po’ d’ombra,
contro la parata72 frolla d’un orto pieno di carte sporche e di pezzi d’orinale.
Tommasino finse di non aver sentito la sbrasata73.
“A Piedizozzi!” gridò l’altro, alzandosi in piedi, e chiamandolo col nome dato al fratello più grosso,
un roscio lenticchioso74 pure lui, che puzzava sempre come una marana75.
”Che, te senti d’esse quarcuno?” Tommasino continuava a correre gettando qua e là i perticoni76
sul fango, con ai piedi due barche legate con cordicelle e spaghi, senza ancora pensare per niente
a quello che lo stava a prendere di petto. L’altro cominciò subito a prenderci gusto. Alzandosi
all’impiedi, la faccia gli s’era tutta bruscolita77, e un sorriso beato s’era venuto a piazzare negli
occhi stretti, fissi in avanti, come rappresi pel godimento del suo profondo bene spirituale. Si
cacciò le mani nelle saccocce dei calzoni che gli stavano a bragarella, e di sotto la maglietta gli si
vedeva il bellicolo78, e si fece ancora più avanti sul bordo del campo, passandosi la lingua sulle
labbra.
“A Piedizozzi,” ricominciò, ”ma nun lo vedi che te tocca camminà co' 'e gambe larghe? Ma nun lo
vedi che perdi come le papere?”
Tommasino stavolta , correndo già tutto sudato con una mano di sugo di pomodoro in faccia, si
rivoltò, e ridacchiando cogl’occhi acquosi e una rughetta che gli tagliava a metà la fronte: ”A
Zimmì,” gridò, ”e lasseme perde ,no? Nun lo vedi che so’ Pandorfini,79 so’?”
E si ributtò a testa bassa contro il pallone tra la mischia dei ragazzini.
“Se, se, strilla così te!” fece l’altro bofonchiando80 , con la faccia sempre più illuminata da tutto
quello che era e si sentiva d’ essere. ”Ridi, ridi, che mamma ha fatto ’i gnocchi!”
“An vedi,” aggiunse quasi piano, ispirato, ”me pari ‘a reclame der Pipì!”
“A disgraziato!” gridò Tommaso,già più risentito, col testone galleggiante tra i polletti che
correvano in mucchio dietro la palla. Gli occhi quasi gli piangevano, mentre la bocca piatta gli si
stirava in un risolino invelenito, che scopriva la fila dei dentini marrone.
Al primo malandro81 se n’era aggiunto un altro. Era un cristo di venticinque anni e passa, ancora
coi riccioletti sul collo e la scialletta alla malandrina, con un viso giallo di volpe affamata.Tutt’ e due
s’erano messi uno a fianco all’altro all’altezza della porta. Tenevano la fronte, la bocca, la cocca,82
il cavallo dei calzoni messi in fuori, con le mani in saccoccia. ”Ammazzate!” gridò quello che poteva
67
Bozzi: rigonfiamenti.
Breccole: ciottoli.
69
Gargarozzo: gola.
70
Caracca: spinta.
71
Fanello: giovincello.
72
Parata: recinto.
73
Sbrasata: vanteria, boutade.
74
Lenticchioso: lentigginoso.
75
Marana: fogna.
76
Perticoni: gambe.
77
Bruscolita: abbrustolita, scottata.
78
Bellicolo: ombelico.
79
Pandorfini: nome di un calciatore.
80
Bofonchiando:borbottando.
81
Malandro: malandrino, furfante.
82
Cocca: ciuffo.
68
61
essere padre di famiglia, con l’aria di un mino83 alle prime sparate,”come, c’hai ancora coraggio de
parlà?” Co quei diec’anni de passivo che porti dietro’a schina?”
“Se! Diec’anni!” gridò beffardo Tommasino, con la faccia scottata dalla rabbia, quasi facendosi un
pianto, ”ma si nun ne tengo manco tredici!”
“Embè, che vor dì, per piacere, ”fece il Zimmìo, feroce, ma con l’aria di dirla grossa, e perciò
lasciandosi scappare da ridere, ”che, a du’anni già nun lo beccavi, forse, a ‘a Piccola Sciangai?84 Da
la tribù dei piedi zozzi?”
“Porteme tu’sorelaaa!” gridò barzotto85 Tommaso, con la voce che gli usciva dal naso. Il grosso si
fece benevolo, affilando ipocritamente il naso e la scucchia86 contro la scialletta: ”Che, nun ce lo
sapevi,a Zimmì?” fece. ”Vatte un po’a fidà de du’sordi de robba! Guarda un po’! Io da domani mi’
sorella nun la faccio uscì più de casa! Je compro ‘e mutande de fero!”
“Ma come?” gridò il Zimmìo, carezzevole, ”ma allora m’ hanno detto na’ bucìa ch’ è stata tu’ madre
a imparatte a ffà li fischi?”
“Lassa perde mi’ madre,” scattò Tommaso, facendo qualche passo verso i due, ”a coso!”
“Che ce vòi menà?” fece il più giovincello, con una guardata che avrebbe mandato in puzza un
cinese, ”che, sei er Tinea87?”. Ma in quella un’altra masnada di malandrini passava allla lontana. ”A
Cagone!” gridò uno di quelli al più grosso, con una voce che si sentiva appena, ”che state a ffà, a
perde er sonno, llà? Venite in mezzo a li cristiani, no?” “Ma che,” gridò tutto allegro il Cagone, ”non
lo vedete che stamo operando?”
“Che, annate dentro Roma” gridò il Zimmìo, scordandosi sull’istante del Piedizozzi. Annamo a
rimedià ‘a grana!” gridò uno di quelli lontani. ”S’accatenamo pure noi, a Cagò?” fece il Zimmìo al
compare. ”E ‘namo!” fece questo. ”Aòh, aspettateceee!” gridò a squarciagola il Zimmìo alla
ghenga88 che scendeva alla spicciolata tra i lotti.
“Semo er terore de Pietralata!” gridò allegro uno di quelli. ”Ammassece!” gridò un altro. ”Li
californiani!” “L’auto, l’auto!” fece il Zimmìo, che col Cagone appresso, s’era mosso con la
camminata del nato stanco verso i compari. Cominciò a correre come uno scianchettato, con l’altro
ai tacchi, verso la fermata del 211 che arrivava da Montesacro pieno di morti di fame e di militari
del Forte. Pure gli altri correvano, fischiando, come una truppa di sciacalletti. Suonavano sfiatate
qua e là le sirene di mezzogiorno. Tommasino già tutto sudato correva per il campetto, tra i
piccoletti che gli arrivavano sotto il barbozzo,89 rossi e smandrappati90. Si gettavano a testa bassa
con la lingua di fuori e i capelli non tosati da un anno sugli occhi, contro il pallone, o tutti
all’attacco o tutti in difesa.
Tommasino navigava sopra quelle cucuzzette incrostate di polvere secca, e il pallone l’aveva tra i
piedi sempre lui, o quasi: ma più l’aveva più s’incarogniva a tenercelo, dribblando e dando calci
agli stinchi: e qualche volta pure tirava i piselletti all’indietro acchiappandoli per gli stracci. Quelli ci
si infregnavano e strillavano. Ma Tommasino non li pensava per niente, e continuava a giocare
facendo il carogna, e sghignazzando forte, soddisfatto com’era, sia per gli affari andati al dritto la
mattina sia per le finezze che stava a fare. ”So' 'na potenza, ’so!” gridava, spalancando la
boccuccia senza labbra coi quattro dentini marrone sbocconcellati. Fino a che uno piccolo come un
cagnoletto ancora poppante, lo prese di petto, e gli strillò: ”A testa de ca…!” Tommasino
interruppe la corsa, lasciando perdere il pallone. Piegò in giù la bocca, nauseato, facendosi ancora
più rosso in faccia, e fece al pisellino: ”Ch’hai detto?” Quello, infagottato in un paio di calzoni senza
un bottone e in un maglione più forato d’un colabrodo, stette fermo dove si trovava, facendosi
tutto gonfio e appannando gli occhi. ”Vaffan…!” ciancicò abbastanza forte, ”a testa de ca…!”
“Affan…ce vai te, ha’ capito?” fece minaccioso Tommasino, con le corde del collo tirate,
83
Mino: ragazzo.
Piccola Sciangai: soprannome dato al villaggio di baracche dove vivevano Tommaso e i suoi amici.
85
Barzotto: allegro.
86
Scucchia: mento.
87
Tinea: noto fuorilegge.
88
Ghenga: combriccola.
89
Barbozzo: mento.
90
Smandrappati: scamiciati, logori.
84
62
accostandosi. E forse se avesse soltanto detto così, il piccoletto ci sarebbe stato, e sarebbe
ripartito dietro il pallone, ma Tommasino invece gli ripetè: ”Ha’capito, sì?” e gli dette un colpetto
col dito sotto il naso. E allora quello diventando tutto rosso e tirando la pelle che scoppiava, come
qualcuno da parte dietro lo gonfiasse come una pompa, sbottò a urlare; ”A disgrazziato, ladro,
rotto’n cu…! Ma chi te c’ha chiamato qqua! Vattene, vattene, li mortacci tua!” Tommasino senza
dir niente, con la faccia bianca, gli allentò un ceffone che gli fece voltare la testa dall’altra parte.
Poi glelo disse, con due occhi da ciovetta91 ”Bada che t’ammollo un ceffone che te stacco ’a testa,
sa’!” L’altro se n’accorse solo dopo un po’, che aveva beccato un ceffone e che aveva la testa
rivoltata da quell’altra parte. E non appena se n’accorse, si mise a strillarsi le budella. Piangeva
fermo, sporgendosi in avanti, con la bocca aperta, spargendo tutt’ intorno lacrime come fossero
bruscolini.
Tommasino, per la rabbia che quello piangesse così forte, si portò un dito al naso, bieco, e gli
gridò: ”E mo’ si nun te la pianti te do er resto. ”E siccome il piccoletto non la piantava, preso da un
attacco di rabbia, gli ammollò altre due lattate92 e in sovrappiù gli diede uno spintone che lo
mandò giù, e come fu per terra, col corpicino lungo sul fango e le gambette per aria, gli s’accostò
e gli lasciò andare due o tre pedate alle costole. Il piccoletto, rotolandosi sul fango, si mise a urlare
come lo strippassero: poi s’alzò in piedi, e dritto dritto, senza voltarsi indietro, filò a razzo verso
casa.
”Mo’ chiama su’ fratello, so’ ca…tua, mo’!” disse un altro piccoletto, che, con gli altri,
ipocritamente, aveva assistito alla scena. Tommmasino, facendo la camminata malandrina e
ciancicando pieno d’importanza altre parole minacciose, se ne andò verso la porta, raccolse il suo
sacco e, facendo finta di non andare per niente di fretta, tagliò giù per lo spiazzo, verso la fermata
dell’auto.
Con gli occhi ancora invetriti per la giusta rabbia, lanciava intorno degli sguardi sdegnati e offesi,
smicciando93 però dalla parte della casetta zellosa94 del soggetto, per vedere se a buon bisogno
non sortiva il fratello grosso. Quando fu fuori pericolo, all’altezza della bancarella della sor’ Anita,
cominciò pure a cantare, sconocchiato come camminava, e gettando ancora ogni tanto indietro
un’occhiata di sguincio con un occhio che diceva: ”Taja, che qqua vai pe’ becco95, sa’!” e l’altro:
”So' 'na potenza so’! Pandorfini nun è nessuno appetto a me!”, mentre la bocca larga, con la fila
dei dentini marrone, cantava: ”Che mele, che mele…” gracchiando tra i quattro cerasi96 degli
orticelli zozzi verso l’Aniene.
LABORATORIO DEL TESTO
Proposte di lavoro sulla comprensione e/o analisi testuale e
tematica
1. Tommaso si propone a un gruppo di ragazzini per giocare a pallone con loro. Come
reagisce al rifiuto?
2. Tommaso sembra subire le provocazioni sempre più insistenti di un “fanello che poltriva,
con altri due o tre soci al bordo del campetto”. Cosa impedisce il peggio?
91
Ciovetta: civetta.
Lattate: colpi, sberle o pugni.
93
Smicciando: guardando.
94
Zellosa: sporca.
95
Vai pe’ becco: prendi botte.
96
Cerasi: ciliegi.
92
63
3. Dopo una lite violenta con uno dei
ragazzini con cui giocava, Tommasino si allontana
“facendo finta di non andare per niente di fretta”. Perché finge? Cosa teme in realtà?
4. Dividi il brano in sequenze e assegna a ognuna di esse un titolo.
5. Nel testo prevalgono sequenze:
o descrittive
o dialogiche
o riflessive
o dialogiche
6. Il narratore è:
o interno
o esterno
7. I luoghi in cui si svolge la vicenda non sono chiaramente definiti. Ricerca nel testo le
indicazioni che l’autore fornisce sull’ambiente e spiega se si tratta di una descrizione
realistica o simbolica.
8. Individua e sottolinea le similitudini presenti nel brano.
9. Confronta il linguaggio usato nelle sequenze narrative con quello usato nelle sequenze
dialogiche ed evidenziane le differenze.
10. Individua nel testo i termini usati nel significato di ‘gruppo’.
11. Individua le espressioni usate per indicare i personaggi presenti nel brano.
12. Tommaso non viene presentato in maniera diretta dall’autore, ma una serie di indizi ne
suggeriscono il ritratto. Ricercali nel testo e ricostruisci il personaggio.
13. Ritieni che l’autore abbia voluto sottolineare una connessione tra degrado e violenza?
Motiva la tua risposta.
Proposte di riscrittura e rielaborazione
1. Riassumi il testo in non più di 20 righe.
2. Trasforma i dialoghi in discorso indiretto.
3. Ritieni che l’atteggiamento e il comportamento di Tommaso siano giustificabili e inevitabili
dato il contesto di miseria e degrado in cui nascono? Argomenta la risposta riportando
anche esempi riferibili a realtà attuali.
Proposte di produzione testuale
1. Immagina di essere il cronista di una partita di calcio particolarmente violenta e riferisci le
provocazioni e i passaggi più accesi dell’incontro.
64
Khaled Hosseini
A TU PER TU CON L’AUTORE
Khaled Hosseini nasce a Kabul il 4 marzo del 1965. Negli anni Settanta, all’età di undici anni,
lascia l’Afghanistan e va ad abitare a Parigi, dove il padre, che è un diplomatico, è stato trasferito.
Nel 1980, dopo l’invasione russa in Afghanistan, per evitare la violenza che dilaga nel suo Paese,
con la sua famiglia ottiene asilo politico e si rifugia negli Stati Uniti. Frequenta l’Università di San
Diego e diventa medico. Tuttora vive a San Josè, in California.
Nel 2003 pubblica il suo primo romanzo Il cacciatore di aquiloni , con il quale ottiene un grande
successo.
SALA DI LETTURA
Hassan, il cacciatore di aquiloni e la dignità perduta97
Il brano è tratto dal romanzo di Khaled Hosseini, Il cacciatore di aquiloni: in esso Amir racconta il
giorno in cui la vita del suo servo Hassan cambia per sempre , soffocata da tre suoi coetanei, in
un vicolo cieco di Kabul.
Quando arrivai nella zona del bazar il sole stava per calare dietro le colline, il crepuscolo dipingeva
il cielo di rosa e violetto. Poco lontano dalla moschea di Haji Yaghub, il mullah salmodiava l’azan98,
invitando i fedeli alla preghiera. Hassan non mancava mai l’appuntamento delle cinque. Anche
mentre giocavamo, si scusava, tirava su l’acqua dal pozzo in giardino, faceva le abluzioni99 rituali e
spariva nella sua capanna. Quella sera, per causa mia, avrebbe saltato la preghiera.
Il bazar si stava rapidamente svuotando. Passai sgattaiolando tra la folla nei viottoli fangosi
fiancheggiati da due file ininterrotte di negozietti. Cercavo Hassan tra i mendicanti coperti di
stracci, tra gli ambulanti con i loro tappeti sulle spalle, nei negozi di stoffe e nelle macellerie. Ma di
lui non c’era traccia.
Mi fermai a una bancarella di frutta secca, descrissi Hassan a un vecchio con un turbante
azzurro che stava caricando la sua mula con cesti di pinoli e uva secca.
Mi guardò a lungo prima di rispondere. «Forse l’ho visto».
«In che direzione andava? »
Mi osservò dalla testa ai piedi. «Che ci fa in questo posto un ragazzo come te, a quest’ora, in
cerca di un hazara?100 Il suo sguardo si soffermò sulla giacca di pelle e sui jeans – calzoni di
cowboy, li chiamavano. In Afghanistan, possedere qualcosa di americano, soprattutto se non era
di seconda mano, era segno di ricchezza.
97
Si fa riferimento a K. Hosseini, Il cacciatore di aquiloni, PIEMME, Milano 2004.
Salmodiava l’azan: il sacerdote accompagnava con il canto la recitazione dei salmi.
99
Abluzioni: lavaggi rituali a scopo di purificazione spirituale.
100
Hazara: Appartenente a un gruppo etnico che vive in una regione dell’Afghanistan centrale.
98
65
«Ho bisogno di trovarlo, agha101.»
«Che cos’è questo hazara per te?» chiese. Non capivo il senso della domanda, ma sapevo che la
mia impazienza non sarebbe servita a mettergli premura.
«È figlio del nostro servo» dissi.
Il vecchio alzò i sopraccigli brizzolati. «Davvero? È fortunato questo hazara ad avere un padrone
che si preoccupa per lui. Suo padre dovrebbe mettersi in ginocchio e spazzare con le ciglia la
polvere davanti ai tuoi piedi.»
«In che direzione andava? Me lo dici o no? »
Appoggiò un braccio sul dorso della mula, indicando sud. «Credo di aver visto il ragazzino che
mi hai descritto andare in quella direzione. Aveva in mano un aquilone. Azzurro.»
«Sei sicuro?» Per te questo e altro, aveva detto Hassan, di lui ci si poteva fidare. Aveva
mantenuto la sua promessa. «Certo che sono sicuro, ma a quest’ora l’avranno già preso» disse il
vecchio caricando un altro scatolone sulla mula.
«Chi?»
«Gli altri ragazzi. Quelli che lo inseguivano. Erano vestiti come te.» Guardò il cielo e sospirò.
«Adesso va via, altrimenti faccio tardi per il namaz102.»
Mi precipitai giù per il viottolo.
Perlustrai invano il bazar. Forse gli occhi del vecchio l’avevano tradito. Però aveva visto
l’aquilone azzurro. Infilai la testa in ogni negozio invano.
Sarei riuscito a trovare Hassan prima che scendesse il buio? Ad un tratto sentii delle voci
provenire dal fondo della strada. La seguii. Raggiunsi un viottolo fangoso perpendicolare
all’estremità della via principale che divideva in due il bazar. A ogni passo i miei stivali affondavano
nel fango. Il mio respiro formava davanti alla bocca nuvolette bianche di vapore. Lo stesso
sentiero correva lungo un dirupo103 colmo di neve. Sull’altro lato svettavano file di cipressi e in
mezzo casupole di argilla con il suo tetto piatto, separate da stradine.
Sentii di nuovo le voci, più vicine. Mi avvicinai guardingo all’imboccatura del vicolo. Trattenendo
il fiato sbirciai dietro l’angolo. Era un vicolo cieco.
Hassan, vicino al muro in fondo, teneva le gambe leggermente divaricate, le mani strette in un
atteggiamento di sfida. Dietro di lui, su un mucchio di spazzatura, era appoggiato l’aquilone
azzurro. La chiave con cui avrei aperto il cuore a Baba104.
C’erano tre ragazzi che gli bloccavano ogni via di fuga. Gli stessi tre che ci avevano minacciato
sulla collina il giorno dopo il colpo di stato di Daud Khan. Wali su un lato, Kamal sull’altro e in
mezzo Assef. Sentii il mio corpo rattrappirsi mentre un brivido gelido mi correva lungo la schiena.
Assef roteava il pugno di ferro con spavalderia. Gli altri due, inquieti, facevano scorrere lo sguardo
da Assef ad Hassan, come se avessero intrappolato un animale feroce che solo il loro capo poteva
addomesticare.
«Dov’è la tua fionda105, Hazara?» chiese Assef rigirando il pugno di ferro nella mano destra.
«Cosa avevi detto? “Ti chiameranno Assef il monocolo” Molto spiritoso. Troppo spiritoso. Però è
facile fare lo spavaldo con un’ arma carica in mano.»
Ero paralizzato. Li vidi stringersi intorno al ragazzo con cui ero cresciuto, il cui viso con il labbro
leporino106 rappresentava il mio primo ricordo.
«Oggi è il tuo giorno fortunato, hazara» disse Assef. Mi volgeva le spalle, ma avrei potuto
scommettere che sfoderava il suo sorriso da pazzo. «Mi va di perdonare oggi. Che ne dite
ragazzi?»
101
Agha: padrone.
Namaz: preghiera.
103
Dirupo: precipizio
104
Baba: è il padre di Amir.
70
Fionda: Hassan non si separa mai dalla sua fionda. Era un abile tiratore: l’aveva estratta per difendere se stesso e
Amir dagli attacchi di Assef, un giorno, sulla collina.
102
71
Labbro leporino: malformazione congenita del labbro superiore.
66
«Molto generoso da parte tua» si affrettò a dire Kamal. «Dati i modi villani che ci hanno
riservato l’ultima volta.» Cercava di imitare il tono di Assef, ma si sentiva che gli tremava la voce.
Capii subito che non era di Hassan che aveva paura. Ma del fatto di ignorare che cosa avesse in
testa Assef.
Assef lo tacitò con un gesto altezzoso. «Bakhshida. Perdonato» Abbassò un poco la voce.
«Naturalmente in questo mondo niente è gratuito e il mio perdono ha un suo piccolo prezzo.»
«È giusto» commentò Kamal.
«Non si ha niente per niente» aggiunse Wali.
«Sei un hazara fortunato» ripeté Assef facendo un passo verso Hassan. «Perché oggi ti costerà
soltanto quell’aquilone azzurro, uno scambio equo, vero, ragazzi?»
«Più che equo» aggiunse Kamal.
Anche se ero lontano, vedevo la paura strisciare negli occhi di Hassan. Scosse la testa. «Amir
agha ha vinto il torneo, e io ho dato la caccia a questo aquilone per lui. È suo.»
«Un hazara fedele. Fedele come un cane» disse Assef.
La risata nervosa di Kamal risuonò stridula nel vicolo deserto.
«Ma prima di sacrificarti per lui, rifletti: lui farebbe la stessa cosa per te? Hai mai pensato
perché gioca con te solo quando non ci sono altri ragazzi? Te lo dico io perché. Perché per lui non
sei altro che un cucciolo bruttino. Con cui giocare quando è annoiato. Da prendere a calci quando
è arrabbiato. Non credere di essere per lui qualcosa di diverso.»
«Amir agha e io siamo amici» disse Hassan con le guance in fiamme.
«Amici?» Assef scoppiò a ridere. «Sei patetico! Un giorno ti sveglierai da questo tuo sogno e
scoprirai che razza di amico è. Ora basta! Consegnaci l’aquilone.»
Hassan si chinò e raccolse un sasso.
Assef ebbe un momento di incertezza. Fece un passo indietro. «Ultimo avvertimento, hazara.»
Per tutta risposta Hassan piegò un braccio, pronto a lanciare.
«Come vuoi.» Assef si slacciò il cappotto, lo tolse, lo ripiegò lentamente e lo mise contro il
muro.
Aprii la bocca per dire qualcosa, ma non lo feci. Se in quel momento avessi parlato, forse la mia
vita sarebbe stata diversa. Mi limitai a guardare, impietrito.
A un gesto di Assef gli altri due ragazzi si disposero davanti ad Hassan per bloccarlo.
«Ho cambiato idea» disse Assef «L’aquilone lo lascio a te, un ricordo di quello che ti sto per
fare.»
Hassan lanciò il sasso colpendolo sulla fronte. Assef urlò di dolore mentre si gettava su di lui e
lo buttavano a terra. Wali e Kamal gli furono addosso.
Mi morsi le mani e chiusi gli occhi…
…Il vicolo era colmo di rifiuti di ogni genere. In mezzo a mattoni e lastre di cemento c’erano
gomme di bicicletta usurate107, bottiglie rotte, riviste strappate, giornali ingialliti. Ma sui cumuli di
spazzatura due oggetti tenevano inchiodati i miei occhi: l’aquilone azzurro appoggiato al muro e i
calzoni di Hassan gettati su un mucchio di mattoni.
«Non so…» diceva Wali. «Mio padre dice che è peccato» Nella sua voce c’era un misto di
incertezza, eccitazione e paura. Hassan giaceva con il petto a terra. Kamal e Wali gli tenevano un
braccio ciascuno, piegato all’indietro e premuto sulla schiena. Assef era in piedi, un tacco dei suoi
stivali da neve sul collo di Hassan.
«Tuo padre non lo verrà a sapere.» lo assicurò Assef. «E poi non c’è niente di peccaminoso nel
dare una lezione a un asino screanzato.»
«Non so…» mormorò Wali.
«Come vuoi» proseguì Assef. «E tu?» chiese Kamal.
«Be’…io…»
«È solo un Hazara» disse Assef. Kamal continuava a guadare altrove.
«Bene» tagliò contro Assef. «Tutto quello che chiedo a voi due rammolliti è di tenerlo fermo.
Almeno questo lo sapete fare?»
72
Usurate: consumate.
67
Wali e Kamal annuirono, sollevati.
Assef si chinò dietro Hassan, lo prese per i fianchi e gli sollevò le natiche nude. Tenendogli una
mano sulla schiena, con l’altra slacciò la fibbia della cintura e tirò giù la cerniera a lampo dei jeans.
Hassan non lottava, non si muoveva neppure. Girò la testa leggermente di lato e io colsi sul viso la
sua rassegnazione. Era un ‘ espressione che conoscevo. L’avevo vista negli occhi degli agnelli […]
Smisi di guardare e mi alzai. Sentii qualcosa di caldo scorrermi lungo i polsi. Abbassai gli occhi e
vidi che mi stavo mordendo il pugno, tanto da farlo sanguinare. Ma c’era qualcos’altro: stavo
piangendo. Con i rantoli ritmici e affannosi di Assef nelle orecchie lasciai il vicolo.
Mi rimaneva un’ultima possibilità di prendere una decisione. Di decidere che tipo di persona
sarei diventato. Avrei potuto tornare nel vicolo, difendere Hassan, come lui aveva difeso me decine
di volte, e affrontarne le conseguenze. O scappare.
Scappai.
Scappai, perché ero un vigliacco. Avevo paura di Assef e del male che mi avrebbe fatto. Così mi
dissi mentre volgevo le spalle al vicolo e ad Hassan. Così mi costrinsi a credere. In realtà
desideravo essere vigliacco, perché l’alternativa, la vera ragione per cui stavo scappando, era che
Assef avesse ragione: in questo mondo nulla è gratuito. Forse Hassan era il prezzo che dovevo
pagare, l’agnello da sacrificare per conquistare Baba. Era un prezzo equo? La risposta mi si
presentò spontaneamente, prima che potessi respingerla: era solo un hazara?
Tornai di corsa per la strada da cui ero venuto, attraverso il bazar ormai deserto. Mi appoggiai
alla porta di uno dei negozietti ansimante, sudato, desideroso che le cose fossero andate in
un’altra maniera.
Una decina di minuti dopo sentii delle voci e lo scalpiccio di passi. Mi nascosi nel cubicolo e vidi
Assef e gli altri due che correvano lungo la strada deserta, ridendo. Mi costrinsi ad aspettare
qualche minuto. Poi tornai al vicolo lungo il dirupo. Vidi Hassan che camminava lentamente verso
di me.
Aveva in mano l’aquilone azzurro. Non posso mentire oggi, e tacere che la prima cosa che feci
fu verificare con lo sguardo se ci fossero strappi nella carta. Il chapan108 di Hassan era macchiato
di fango e la camicia era strappata sotto il colletto. Si fermò. Barcollava. Come se stesse per
cadere. Poi ritrovò l’equilibrio e mi consegnò l’aquilone.
«Dove ti sei cacciato? Ti ho cercato dappertutto» dissi.
Hassan si passò una manica sulla faccia, asciugandosi muco e lacrime. Aspettavo che mi dicesse
qualcosa, ma lui rimase in silenzio. Ero contento che le ombre della sera nascondessero il mio
volto e mi impedissero di guardarlo negli occhi. Sapeva che sapevo? E se sapeva cosa avrei visto
guardandolo? Biasimo? Indignazione? Oppure, ciò che più temevo, devozione incondizionata?
Cercò di dire qualcosa, ma la voce gli si incrinò, aprì e chiuse la bocca due o tre volte, senza
riuscire a parlare. Fece un passo avanti. Si pulì il viso con la manica. Il racconto di quanto era
accaduto quella sera nel vicolo non andò mai oltre quei gesti senza parole. Temevo che sarebbe
scoppiato in lacrime, ma con mio grande sollievo non lo fece, io finsi di non aver sentito
l’incrinatura della sua voce. Così come non finsi di non vedere la chiazza scura sul fondo dei suoi
pantaloni e le gocce che gli cadevano tra le gambe lasciando macchioline scure sulla neve.
«Agha sahib sarà preoccupato» fu tutto quello che disse.
LABORATORIO DEL TESTO
Proposte di lavoro sulla comprensione e/o analisi testuale e
tematica
1. Individua le sequenze principali e assegna ad ognuna un titolo. Sono presenti prevalentemente
sequenze di tipo dialogico, ___________________ e ________________________ .
108
Chapan: cappotto che si indossa sopra i vestiti, utilizzato nell’Asia centrale.
68
2. Il narratore è
interno
esterno
Motiva la tua risposta
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
3. Oltre ad Hassan, compaiono nel testo dei personaggi secondari. Completa la tabella, dove
possibile, con i dati richiesti.
PERSONAGGIO
RUOLO
ASPETTI CARATTERIALI
4. Quale informazione contenuta nel testo fa intuire ad Amir che Hassan è in pericolo?
5. Amir, dopo aver trovato Hassan, ha due possibilità: difenderlo o scappare. Quale sceglie?
Perché?
6. Hassan è descritto come un ragazzo fedele e coraggioso. Rintraccia nel testo termini ed
espressioni che rivelano queste doti.
Proposte di riscrittura e rielaborazione
1. Riassumi il testo in circa 150 parole.
2. Riscrivi la scena della violenza immaginando che sia Hassan a raccontarla.
Proposte di produzione testuale
1. Servendoti di tutte le informazioni raccolte, stendi una descrizione completa di Amir,
soffermandoti sui dati caratteriali.
2. Ritieni che Amir, nella circostanza raccontata dal brano, si sia comportato da vero amico nei
confronti di Hassan? Quale valore ha l’amicizia nella tua vita?
3. Scrivi un racconto intitolato Amir e Hassan che abbia un finale diverso da quello descritto nel
brano.
69
LA BOTTEGA DELL’ARTE
Pablo Picasso, Guernica, Olio su tela, 1937, Madrid, Museo Nacional Reina Sofia
Pablo Picasso (Màlaga 1881-Mongins 1973) fu un pittore spagnolo che visse prevalentemente in
Francia a Parigi. Qui frequentò i quartieri di Montmarte e Montparnasse. E’ considerato uno dei
maggori rappresentanti della corrente artistica del cubismo, movimento sorto in Francia nel 1908,
caratterizzato dalla disintegrazione dell’illusione prospettica e della scomposizione e
compenetrazione degli oggetti. Tra i suoi capolavori, osserviamo qui Guernica, un olio su tela alto
355 cm e largo 783cm. Il quadro, dipinto dopo il bombardamento aereo tedesco (26-4-1937) sulla
città omonima durante la guerra civile spagnola, è una denuncia contro la guerra. Oggi si trova
esposto presso il Museo Reina Sofia a Madrid.
1. Osservando l’opera di Picasso “Guernica” sapresti indicare con un solo termine il messaggio
visivo?
2. Elenca cosa rappresentano le immagini raffigurate.
3. Nel quadro è presente un simbolo della Spagna? Se sì ,motiva la risposta
4. Il dipinto è una denuncia dell’orrore della guerra? Se sì, da cosa lo deduci?
5. Il pittore non ha utilizzato i colori. Perché?
6. Esegui una breve ricerca sul famoso dipinto per contestualizzarlo
70
SALA D’ASCOLTO
J. Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, è un cantautore italiano, nato a Roma il 27 settembre
1966. Lanciato da Claudio Cecchetto, ha successo prima come cantante rap,hip hop e funky, poi
come cantante impegnato. Collabora con Emergency, Amnesty International, partecipa e
contribuisce a varie manifestazioni di solidarietà. E’ tra i maggiori cantautori italiani. Riportiamo qui
il testo di una sua canzone che tratta il tema della violenza, in una prospettiva del tutto particolare.
“Vai con un po’ di violenza”
E noi saremmo i padroni del mondo ma chi l’ha detta questa cazzata che basta un soffio di vento
più forte per dire ciao e per farla finita con le nostre menate le manie e il progresso basta uno
spunto e lo butti nel cesso tutto quello che oggi sembra la verità domani forse neanche lo
ricorderemo compriamo tutto senza guardare i conti chissà domani quanto pagheremo (ehe) homo
sapiens padrone della terra quanto ti piace fare la guerra un po’ di colore non si può vivere di solo
amore del resto con la storia del peccato originale c’ hanno insegnato che tra noi e il male c’è una
certa simpatia diciamo un’ influenza e allora vai con un po’ di violenza Domenica allo stadio uno
spettacolo divino vedere il sangue scorrere come il vino e le facce dei ragazzi tinte d’ ignoranza
perdute nella folla in una macabra danza che fan venire i brividi ma in fondo ci piace ma sai che
palle vivere in pace e com’è bello nella formula uno vedere alla partenza che si schianta qualcuno
e allora visto che non puoi farne senza e allora vai con un po’ di violenza E allora vai con un po’ di
violenza e allora si facciamo del male del resto l’uomo lo si vede d’ ovunque è il più violento e
feroce animale a chi gli piace la pena di morte a chi gli piace picchiare la gente a chi gli piace il
regime guidato da gente pazza e malata di mente anch’io ciò voglia di un po’ di violenza ma la
violenza che io preferisco è quella che arriva da una chitarra distorta e quella fatta screcciando col
disco e allora vai con un po’ di violenza con la chitarra e la batteria la mia violenza è un antidoto al
male la mia violenza si chiama energia e allora visto che non puoi farne senza e allora vai con un
po’ di violenza E allora vai con un po’ di violenza e allora vai con un po’ di violenza ma la violenza
che io concepisco è quella fatta screcciando col disco l’unica sola che io preferisco è solo quella che
ascolto su un disco
1. Sapresti indicare a quale genere musicale appartiene il testo?
2. Nella canzone l’ espressione “basta un soffio di vento per dire ciao e per farla finita”
a cosa allude?
3. Quali tipi di violenza cita il cantautore?
4. Come viene definito” l’ uomo” nel pezzo musicale?
Un tuffo nel Web
Sul sito Wikipedia e su www.letteratura.it/vassalli/ è possibile reperire notizie sull’autore e le sue
opere .
Sul sito http://digilander.libero.it/mfraterno/inquisizione.htm sono presentati “I diabolici congegni
del Tribunale dell’Inquisizione”.
Il testo integrale de I Promessi Sposi di A. Manzoni può essere reperito sul sito
http://www.liberliber.it/biblioteca/m/manzoni/i_promessi_sposi/html/index.htm
Per il significato di stalking segnaliamo http://it.wikipedia.org/wiki/Stalking
Per conoscere recenti provvedimenti legislativi in merito ad atti di violenza può essere utile
consultare il Decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 – “Misure urgenti in materia di sicurezza
71
pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonche’ in tema di atti persecutori” all’indirizzo
http://www.camera.it/parlam/leggi/decreti/09011d.htm
Sito di riferimento su Pier Paolo Pasolini e sulla sua produzione è www.pasolini.net . Si segnala in
particolare il link www.pasolini.narrativa_ragazzi.net su Una vita violenta e le restanti opere di
narrativa dell’autore.
Per tutti i fans di Jovanotti o per chi volesse conoscerne la musica, la discografia e altre curiosità,
www.soleluna.com , è il sito ufficiale di Lorenzo Cherubini .
Si consiglia la visione del film “Il cacciatore di aquiloni” (2007) del regista Marc Forster ,tratto dal
romanzo di Khaled Hossein.
72
UN PERCORSO ATTRAVERSO UN TEMA
IL MONDO DELLE EMOZIONI E DEI SENTIMENTI
Il percorso che ti viene proposto ti condurrà in situazioni, espressioni di sentimenti, vissuti,
emozioni che sono propri dell’ adolescenza, “tappa obbligata che tutti devono superare, che finirà,
vi farà ritrovare cambiati e si continuerà a cambiare per tutta l’esistenza”. “Una fase in cui ci si
sente orribili fuori e inadeguati dentro; una fase in cui si cerca solidarietà nel gruppo, si scoprono
l’amore, il mistero della sessualità e si accendono i primi conflitti con la famiglia” [V. Andreoli,
Lettera a un adolescente, Rizzoli, Milano 2005].
Il primo brano è tratto da Lettera a un adolescente di Vittorino Andreoli (2004). Una lunga lettera
che l’ autore, come si evince dallo stesso titolo del libro, scrive agli adolescenti e per gli
adolescenti. Il suo scopo è quello di parlare loro di sentimenti ed emozioni, (amore, paure,
aspirazioni) che ciascuno custodisce dentro di sé; e lo fa ricorrendo ad un linguaggio semplice ma
fortemente emotivo. E con la stessa carica emotiva di un padre o di un nonno, Andreoli cerca di
comunicare agli adolescenti i suoi pensieri e i suoi sentimenti e di guidarli a riconoscere i problemi
che sono propri di questa tappa evolutiva senza volersi mostrare maestro, esperto o detentore di
“verità assolute”. Inoltre lo stesso autore mette in risalto quanto sia importante per i giovani
coltivare i legami familiari e poter esprimere liberamente le proprie emozioni.
Nedda, una novella di Giovanni Verga pubblicata nel 1874, racconta la storia d’amore fra una
semplice giovinetta di Ravanusa, paesino in provincia di Agrigento, raccoglitrice di olive, e Janu, un
giovane contadino che, pur ammalato, è costretto a lavorare con lei. Quella dei due giovani è una
vita fatta di sofferenze e solo l’amore dà loro la forza di andare avanti: un amore contrastato, non
essendo supportato dalla sicurezza economica, tanto che quando Nedda, non ancora sposata,
scopre di essere incinta, viene allontanata dalla gente e il padrone le riduce il lavoro; inoltre, una
volta che la figlia viene al mondo, Nedda è fortemente criticata perché, pur non sapendo come
fare per allevarla, rifiuta di abbandonarla.
Il garofano rosso, romanzo di Elio Vittorini, pubblicato per la prima volta, in un unico volume, nel
1948, ci riporta nel mondo degli adolescenti, alla loro voglia di fare e sentirsi “grandi” anche
attraverso scelte che “da grandi veri” non saranno più condivise. Alessio, il protagonista del
romanzo, nelle pagine che seguono, lo vediamo innamorato di Giovanna, sua compagna di Liceo,
più grande di lui, che fa di tutto per farsi notare. Un garofano rosso in regalo e un bacio e Alessio
è pronto a vedere il mondo con occhi diversi.
Emozioni, è un’ incantevole e celebre canzone degli anni ’70 interpretata da un noto cantautore,
Lucio Battisti, scomparso di recente. Attraverso essa si può comprendere quanto sia difficile
spiegare cosa realmente siano le emozioni; quello che sappiamo per certo è che sono dentro di
noi, che fanno parte del nostro mondo interiore e che non sono nella mente di altri. Forse proprio
per questo, in molti momenti della vita non riusciamo ad esprimere e a comunicare tutto quello
che sentiamo.
A TU PER TU CON L’AUTORE
Vittorino Andreoli nasce a Verona nel 1940. Dopo essersi laureato in Medicina e Chirurgia presso
l’Università degli Studi di Padova, focalizza la sua attenzione sulla mente, che diventa il suo campo
di indagine e di ricerca insieme al comportamento dell'uomo, in particolare degli adolescenti con i
quali attualmente lavora; altro tema a lui caro è quello della follia e della sofferenza psichica.
Specialista in neurologia e psichiatria, autore di numerosi libri che vanno dal campo della medicina
73
a quello della poesia e della letteratura, attualmente è Direttore del Dipartimento di Psichiatria di
Verona.
SALA DI LETTURA
Lettera a un adolescente109
Quelle che seguono sono pagine finalizzate a far capire ai giovani adolescenti quanto il dialogo tra
padri e figli, tra generazioni diverse, possa ridurre le distanze spesso generate dalle incomprensioni
e dal silenzio e quanto il dialogo stesso possa aiutare i primi a svolgere al meglio il “mestiere” di
genitore, i secondi a vivere serenamente e costruttivamente questa fase della loro esistenza.
Nessuno meglio di te sa che cosa sia l’adolescenza, perché la vive, ne ha esperienza diretta, anche
se ti deve apparire un fenomeno, anzi una vita, che sfugge dalle definizioni tanti sono i suoi aspetti
e le sue contraddizioni.
Tu sei l’esperto di questa fase dell’esistenza e credo, che chiunque ne parli, magari carico di anni,
ti sembri un po’ matto, tra il fastidioso e l’ingenuo. Naturalmente bisogna essere tolleranti per non
innalzare i muri della incomunicabilità tra le generazioni e accettare, sia pure con molti distinguo e
la consapevolezza di un’inevitabile genericità, anche le definizioni che piacciono tanto ai padri.
Le definizioni non affermano verità, semmai indicano paradigmi,110 fili conduttori a cui non
bisogna mai credere in modo assoluto. Tracce da cambiare, percorsi che bisogna essere pronti a
lasciare, per seguire nuove derivazioni, magari persino opposte.
Lo hai capito, adesso: io temo la verità intesa come tutto ciò che è definitivo, non discutibile e
non ulteriormente indagabile, e so che la tendenza comune è di far dire alla definizione proprio
questo. Credo che non esista la dimensione assoluta, almeno per tutto quanto riguarda l’esistenza
su questa terra e la storia dell’uomo. La verità è un obiettivo a cui tendere con la consapevolezza
della sua irraggiungibilità.
Ecco, mi piace cercare la verità ma paradossalmente sono felice che non sia mai definitiva e che
sia sempre possibile trovare al suo interno un errore che occorre correggere, giungendo ad un’altra
verità parziale che andrà anch’essa corretta. E’ questa la fatica, e il fascino, del comprendere.
Per questa profonda convinzione non appartengo ai profeti di questa terra, a coloro che sanno
tutto e che, in nome della verità, vorrebbero disporre del comando, del potere assoluto.
D’altra parte non posso ricorrere alla mia adolescenza, vissuta tanti anni fa, per fondare la mia
credibilità, poiché le adolescenze, al plurale, sono diversissime l’una dall’altra e dipendono non solo
dall’età anagrafica ma anche dalla società e dalla cultura di un particolare momento storico.
La tua adolescenza è qualcosa di unico sia in quanto fenomeno del tempo presente, sia,
naturalmente, perché in essa c’è una coloritura che dipende esclusivamente da te e dalle persone
che hai attorno e che la vivono, direttamente o indirettamente, con te.
Insomma, credo non esista la verità per tutti quei fenomeni che chiamiamo storici, legati a molte
variabili e dipendenti dalle interazioni di molte persone che sono, come abbiamo visto, non statue
dominate da un cervello di cristallo, ma esseri in divenire, mutevoli grazie all’encefalo plastico.
Ciò non toglie che sia utile parlare dell’adolescenza, non per redigere un manuale di soluzioni,
che sarebbe inutile o dannoso proporre, ma per sentire pareri, stimolare considerazioni che aiutino
ad individuare una maniera accettabile di agire e di decidere in questa età.
Sarebbe un errore concludere, come spesso fanno i giovani, che non serve a nulla sentire gli altri,
tanto ognuno deve fare la propria esperienza e imparare sbattendo la testa contro il muro. Così
facendo, ci si allontana dal dialogo e si privano di senso e di valore le esperienze già vissute che,
se certo non contengono la formula per superare le difficoltà di oggi, possono comunque aiutare a
comprenderle e quindi a decidere come affrontarle nel modo più opportuno.
109
110
Tratto da V.Andreoli, Lettera a un adolescente, Rizzoli, Milano 2005
Paradigmi: elementi esemplificativi di riferimento.
74
Il mutismo tra generazioni è il male peggiore e non è affatto giustificato dal relativismo a cui
abbiamo accennato che, se serve a rimuovere l’idea dell’Assoluto o della Verità, non deve condurre
nelle secche della solitudine e del silenzio: “Tanto non serve a nulla parlare dei propri problemi,
anzi finisce per metterti in cattiva luce e magari mostrarti non sufficientemente forte”.
Il dialogo è una modalità per cercare dentro di sé una soluzione sufficientemente valida.
E ritorna il padre, non per impartire, come la Pizia di Delfi, indicazioni su cosa fare e cosa
assolutamente non fare, ma come un interlocutore che ti vuole bene e che può parlarti di
un’adolescenza lontana, certo, ma che tuttavia ha il pregio di essere stata vissuta e quindi in
qualche modo risolta. Un interlocutore che ti aiuta a credere che una soluzione c’è e vale la pena
di cercarla, al di là di improvvisazioni che hanno più del gioco che della strategia per vivere. E se
l’adolescenza di tuo padre ti appare lontanissima, non solo per gli anni trascorsi ma per le
caratteristiche che ha avuto, e quindi non lo ritieni sufficientemente competente sul tuo problema
specifico, sappi che non conta tanto analizzare la sua vita, quanto parlare della tua. Le sue
considerazioni, sia pure indirettamente, possono aiutarti a intravedere uno spiraglio di luce dove tu
in quel momento vedi solo buio pesto.
Scusami per questa premessa, temevo, saltandola, di diventarti antipatico arroccandomi nella
posizione dell’esperto, che io aborro, anche se è un termine così abusato. Sono semplicemente una
persona interessata alla tua vita e alla fase adolescenziale che stai affrontando, e nutro in me la
speranza che, parlandone, tu possa trovare qualche aiuto nel viverla e io qualche stimolo a fare
meglio il padre, capendo di più. E, aggiungo, divertendomi, perché le relazioni umane sono per me
la più grande delle esperienze possibili, l’entrare non solo in contatto, ma venire dentro, essere
parte, partecipare appunto, del proprio figlio o nipote.
LABORATORIO DEL TESTO
Proposte di lavoro sulla comprensione e/o analisi testuale e
tematica
1. Lo scopo che l’Autore si propone di raggiungere è:
spiegare che cosa è l’adolescenza
comunicare “verità assolute”
assumere la posizione dell’”esperto”
aiutare a superare l’incomunicabilità e le incomprensioni fra genitori e figli
2. L’Autore dichiara di temere la verità. Quale verità? Perché?
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3. Perché la verità è un obiettivo da perseguire, ma in ogni caso irraggiungibile, secondo l’autore?
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4. In che cosa consiste il “fascino del comprendere”?
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5. Cosa vuol dire l’autore dichiarando di non essere tra i “profeti” di questa terra? Da chi vuole
prendere le distanze?
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6. Perché ,secondo l’autore ,è utile parlare di adolescenza e ascoltare gli altri?
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7. Sei d’accordo con quanto afferma l’autore in relazione alle “adolescenze al plurale”? Riferendoti
al testo, rispondi con parole tue, motivando le tue affermazioni.
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8. Perché il dialogo tra le generazioni è importante?
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9. Con l’aiuto di Internet, scopri chi è la Pizia di Delfi e spiega quale significato assume nel
contesto di questa lettera.
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10. Come giudichi lo stile della lettera? Formale o informale? Ti sembra adeguato al contesto?
Perché?
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11. Leggi attentamente i due periodi che seguono, poi rispondi alle domanda:
a) “…io temo la verità, intesa come tutto ciò che è definitivo, non discutibile e non ulteriormente
indagabile… La verità è un obiettivo a cui tendere con la consapevolezza della sua irraggiungibilità.
Ecco, mi piace cercare la verità ma paradossalmente sono felice che non sia mai definitiva e che
sia sempre possibile trovare al suo interno un errore che occorre correggere, giungendo a un’altra
verità parziale che andrà anch’essa corretta…”
76
b) “Per questa profonda convinzione non appartengo ai profeti di questa terra, a coloro che sanno
tutto e che, in nome della verità, vorrebbero disporre del comando, del potere assoluto.”
Qual è il significato di verità, secondo l’autore? Spiegalo con parole tue
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Le informazioni del secondo periodo:
sono contraddittorie rispetto al primo
indicano l’ordine del discorso
indicano una relazione di causa-effetto
sono conclusive di quanto detto prima
Motiva la tua risposta:
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Proposte di riscrittura e rielaborazione
1. In questa parte del testo non è esplicitato lo schema secondo il quale una lettera è
normalmente organizzata. Utilizzando colori diversi individua ed evidenzia lo schema sotto indicato;
poi riscrivi la lettera sul tuo quaderno sintetizzandola:
-
luogo e data (margine destro del foglio)
formula di apertura e destinatario (margine sinistro, virgola e a capo)
introduzione
parte centrale in cui si comunica il messaggio
formula di chiusura (saluti)
firma
Proposte di produzione testuale
1. Immagina di essere tu l’adolescente destinatario di questa lettera e di dover rispondere all’
autore. Cosa scriveresti?
2. Scrivi un testo di almeno 80 righe sulla tua esperienza di adolescente in merito al dialogo che
hai con il mondo degli adulti
3. Con chi riesci a confidarti meglio (genitori, estranei adulti, amici, coetanei) e per quale motivo?
Scrivi una breve riflessione su questo tema.
77
Giovanni Verga
A TU PER TU CON L’ AUTORE
Giovanni Verga nacque nel 1840, forse a Catania, da una famiglia nobile. Si dedicò agli studi di
giurisprudenza, ma senza mai laurearsi, perché preferì occuparsi di attività letteraria e giornalistica.
Visse successivamente prima a Firenze e poi a Milano; e fu proprio in quest’ultima città, dove
soggiornò per circa un ventennio, che frequentò circoli culturali e ambienti letterari e produsse i suoi
capolavori tra cui la novella Nedda (1874); essa segna l’evoluzione dalla rappresentazione dell’alta
società a componimenti i cui personaggi agiscono in un ambiente completamente diverso, popolare,
fatto di gente umile, contadini, pescatori che vivono una vita stentata e dura. Il distacco dell’autore
dalle vicende narrate in tono impersonale sono i tratti tipici del movimento letterario di cui Verga fu il
massimo esponente: il verismo. Nell’ultima fase della sua esistenza l’Autore ritornò a Catania, dove
morì nel 1922.
SALA DI LETTURA
Nedda111
Una novella questa che ha come protagonista Nedda, un personaggio umile del mondo contadino,
costretta ad allontanarsi dalla madre morente per guadagnarsi di che vivere o semplicemente
qualcosa da mangiare.
Una storia di miseria e di povertà, ma anche una storia d’amore tra due giovani contadini, una
storia di affetti interrotti dalla morte della madre prima, del compagno e della figlioletta poi.
SEQUENZA 1
Il focolare domestico era sempre ai miei occhi una figura rettorica112, buona per incorniciarvi gli
affetti più miti e sereni, come il raggio di luna per baciare le chiome bionde; ma sorridevo
allorquando sentivo dirmi che il fuoco del camino è quasi un amico. Sembravami in verità un amico
troppo necessario, a volte uggioso113 e dispotico114, che a poco a poco avrebbe voluto prendervi
per le mani o per i piedi, e tirarvi dentro il suo antro affumicato, per baciarvi alla maniera di Giuda.
Non conoscevo il passatempo di stuzzicare la legna, né la voluttà di sentirsi inondare dal
riverbero115 della fiamma; non comprendevo il linguaggio del cepperello116 che scoppietta
111
Tratto da Giovanni Verga, I grandi romanzi e tutte le novelle , a cura di Concetta Greco Lanza., Newton Compton,
Roma 1992.
112
Figura rettorica: forma espressiva adoperata con un significato diverso da quello che ha per rafforzare ciò che si
dice.
113
Uggioso: noioso.
114
Dispotico: tirannico.
115
Riverbero: riflesso caloroso.
116
Cepperello: piccolo ceppo di legna per il camino.
78
dispettoso, o brontola fiammeggiando; non avevo l'occhio assuefatto ai bizzarri disegni delle
scintille correnti come lucciole sui tizzoni anneriti, alle fantastiche figure che assume la legna
carbonizzandosi, alle mille gradazioni di chiaroscuro della fiamma azzurra e rossa che lambisce
quasi timida, accarezza graziosamente, per divampare con sfacciata petulanza117. Quando mi fui
iniziato ai misteri delle molle118 e del soffietto,119 m'innamorai con trasporto della voluttuosa
pigrizia del caminetto. Io lascio il mio corpo su quella poltroncina, accanto al fuoco, come vi
lascierei un abito, abbandonando alla fiamma la cura di far circolare più caldo il mio sangue e di
far battere più rapido il mio cuore; e incaricando le faville120 fuggenti, che folleggiano come farfalle
innamorate, di farmi tenere gli occhi aperti, e di far errare capricciosamente del pari121 i miei
pensieri. Cotesto spettacolo del proprio pensiero che svolazza vagabondo intorno a voi, che vi
lascia per correre lontano, e per gettarvi a vostra insaputa quasi dei soffi di dolce e d'amaro in
cuore, ha attrattive indefinibili. Col sigaro semispento, cogli occhi socchiusi, le molle fuggendovi
dalle dita allentate, vedete l'altra parte di voi andar lontano, percorrere vertiginose distanze: vi par
di sentirvi passar per i nervi correnti di atmosfere sconosciute: provate, sorridendo, senza muovere
un dito o fare un passo, l'effetto di mille sensazioni che farebbero incanutire122 i vostri capelli, e
solcherebbero di rughe la vostra fronte.
SEQUENZA 2
E in una di coteste peregrinazioni vagabonde dello spirito, la fiamma che scoppiettava, troppo
vicina forse, mi fece rivedere un'altra fiamma gigantesca che avevo visto ardere nell'immenso
focolare della fattoria del Pino, alle falde dell'Etna. Pioveva, e il vento urlava incollerito; le venti o
trenta donne che raccoglievano le olive del podere, facevano fumare le loro vesti bagnate dalla
pioggia dinanzi al fuoco; le allegre, quelle che avevano dei soldi in tasca, o quelle che erano
innamorate, cantavano; le altre ciarlavano della raccolta delle olive, che era stata cattiva, dei
matrimoni della parrocchia, o della pioggia che rubava loro il pane di bocca. La vecchia castalda123
filava, tanto perché la lucerna appesa alla cappa del focolare non ardesse per nulla; il grosso cane
color di lupo allungava il muso sulle zampe verso il fuoco, rizzando le orecchie ad ogni diverso
ululato del vento. Poi, nel tempo che cuocevasi la minestra, il pecoraio si mise a suonare certa
arietta montanina che pizzicava le gambe, e le ragazze incominciarono a saltare
sull'ammattonato124 sconnesso della vasta cucina affumicata, mentre il cane brontolava per paura
che gli pestassero la coda. I cenci125 svolazzavano allegramente, e le fave ballavano anch'esse
nella pentola, borbottando in
mezzo alla schiuma che faceva sbuffare la fiamma.
Quando le ragazze furono stanche, venne la volta delle canzonette: - Nedda! Nedda la
varannisa!126 - esclamarono parecchie. - Dove s'è cacciata la varannisa?
- Son qua - rispose una voce breve dall'angolo più buio, dove s'era accoccolata una ragazza su di
un fascio di legna.
- O che fai tu costà?
- Nulla.
- Perché non hai ballato?
- Perché son stanca.
- Cantaci una delle tue belle canzonette.
- No, non voglio cantare.
- Che hai?
117
Petulanza: ripetitività.
Molle: strumenti per spostare la legna ardente.
119
Soffietto: strumento che soffia aria per attizzare il fuoco.
120
Faville: scintille.
121
Del pari: contemporaneamente.
122
Incanutire: diventare bianchi.
123
Castalda: la moglie del castaldo, l’amministratore delle terre.
124
Ammattonato: pavimento di mattoni grezzi.
125
Cenci: stracci.
126
La varannisa: abitante di Viagrande, paesino ai piedi dell’Etna
118
79
- Nulla.
- Ha la mamma che sta per morire, - rispose una delle sue compagne, come se avesse detto che
aveva male ai denti.
La ragazza, che teneva il mento sui ginocchi, alzò su quella che aveva parlato certi occhioni neri,
scintillanti, ma asciutti, quasi impassibili, e tornò a chinarli, senza aprir bocca, sui suoi piedi nudi.
Allora due o tre si volsero verso di lei, mentre le altre si sbandavano ciarlando tutte in una volta
come gazze che festeggiano il lauto pascolo, e le dissero: - O allora perché hai lasciato tua madre?
- Per trovar del lavoro.
- Di dove sei?
- Di Viagrande, ma sto a Ravanusa -.
Una delle spiritose, la figlioccia del castaldo, che doveva sposare il terzo figlio di massaro Jacopo a
Pasqua, e aveva una bella crocetta d'oro al collo, le disse volgendole le spalle: - Eh! non è lontano!
la cattiva nuova dovrebbe recartela proprio l'uccello -.
Nedda le lanciò dietro un'occhiata simile a quella che il cane accovacciato dinanzi al fuoco lanciava
agli zoccoli che minacciavano la sua coda.
- No! lo zio Giovanni sarebbe venuto a chiamarmi! - esclamò come rispondendo a se stessa.
- Chi è lo zio Giovanni?
- È lo zio Giovanni di Ravanusa; lo chiamano tutti così.
- Bisognava farsi imprestare qualche cosa dallo zio Giovanni, e non lasciare tua madre, - disse
un'altra.
- Lo zio Giovanni non è ricco, e gli dobbiamo diggià dieci lire! E il medico? e le medicine? e il pane
di ogni giorno? Ah! si fa presto a dire! - aggiunse Nedda scrollando la testa, e lasciando trapelare
per la prima volta un'intonazione più dolente nella voce rude e quasi selvaggia: - ma a veder
tramontare il sole dall'uscio, pensando che non c'è pane nell'armadio, né olio nella lucerna, né
lavoro per l'indomani, la è una cosa assai amara, quando si ha una povera vecchia inferma, là su
quel lettuccio! E scuoteva sempre il capo dopo aver taciuto, senza guardar nessuno, con occhi aridi, asciutti, che
tradivano tale inconscio dolore, quale gli occhi più abituati alle lagrime non saprebbero esprimere.
- Le vostre scodelle, ragazze! - gridò la castalda scoperchiando la pentola in aria trionfale.
Tutte si affollarono attorno al focolare, ove la castalda distribuiva con paziente parsimonia le
mestolate di fave. Nedda aspettava ultima, colla sua scodelletta sotto il braccio. Finalmente ci fu
posto anche per lei, e la fiamma l'illuminò tutta.
Era una ragazza bruna, vestita miseramente; aveva quell'attitudine timida e ruvida che danno la
miseria e l'isolamento. Forse sarebbe stata bella, se gli stenti e le fatiche non ne avessero alterato
profondamente non solo le sembianze gentili della donna, ma direi anche la forma umana. I suoi
capelli erano neri, folti, arruffati, appena annodati con dello spago; aveva denti bianchi come
avorio, e una certa grossolana avvenenza di lineamenti che rendeva attraente il suo sorriso. Gli
occhi erano neri, grandi, nuotanti in un fluido azzurrino, quali li avrebbe invidiati una regina a
quella povera figliuola raggomitolata sull'ultimo gradino della scala umana, se non fossero stati
offuscati dall'ombrosa timidezza della miseria, o non fossero sembrati stupidi per una triste e
continua rassegnazione. Le sue membra schiacciate da pesi enormi, o sviluppate violentemente da
sforzi penosi, erano diventate grossolane, senza esser robuste. Ella faceva da manovale, quando
non aveva da trasportare sassi nei terreni che si andavano dissodando; o portava dei carichi in
città per conto altrui, o faceva di quegli altri lavori più duri che da quelle parti stimansi inferiori al
còmpito dell'uomo. La vendemmia, la messe, la raccolta delle olive per lei erano delle feste, dei
giorni di baldoria, un passatempo, anziché una fatica. È vero bensì che fruttavano appena la metà
di una buona giornata estiva da manovale, la quale dava 13 bravi soldi! I cenci sovrapposti in
forma di vesti rendevano grottesca quella che avrebbe dovuto essere la delicata bellezza muliebre.
L'immaginazione più vivace non avrebbe potuto figurarsi che quelle mani costrette ad un'aspra
fatica di tutti i giorni, a raspar fra il gelo, o la terra bruciante, o i rovi e i crepacci, che quei piedi
abituati ad andar nudi nella neve e sulle rocce infuocate dal sole, a lacerarsi sulle spine, o ad
indurirsi sui sassi, avrebbero potuto esser belli. Nessuno avrebbe potuto dire quanti anni avesse
cotesta creatura umana; la miseria l'aveva schiacciata da bambina con tutti gli stenti che
80
deformano e induriscono il corpo, l'anima e l'intelligenza. - Così era stato di sua madre, così di sua
nonna, così sarebbe stato di sua figlia. - E dei suoi fratelli in Eva bastava che le rimanesse quel
tanto che occorreva per comprenderne gli ordini, e per prestar loro i più umili, i più duri servigi.
Nedda sporse la sua scodella, e la castalda ci versò quello che rimaneva di fave nella pentola, e
non era molto.
- Perché vieni sempre l'ultima? Non sai che gli ultimi hanno quel che avanza? - le disse a mo' di
compenso la castalda.
La povera ragazza chinò gli occhi sulla broda nera che fumava nella sua scodella, come se
meritasse il rimprovero, e andò pian pianino perché il contenuto non si versasse.
- Io te ne darei volentieri delle mie, - disse a Nedda una delle sue compagne che aveva miglior
cuore; - ma se domani continuasse a piovere... davvero!... oltre a perdere la mia giornata non
vorrei
anche mangiare tutto il mio pane.
- Io non ho questo timore! - rispose Nedda con un triste sorriso.
- Perché?
- Perché non ho pane di mio. Quel po' che ci avevo, insieme a quei pochi quattrini, li ho lasciati alla
mamma.
- E vivi della sola minestra?
- Sì, ci sono avvezza;127 - rispose Nedda semplicemente.
- Maledetto tempaccio, che ci ruba la nostra giornata! - imprecò un'altra.
- To', prendi dalla mia scodella.
- Non ho più fame; - rispose la varannisa ruvidamente, a mo' di ringraziamento.
- Tu che bestemmi la pioggia del buon Dio, non mangi forse del pane anche tu? - disse la castalda
a colei che aveva imprecato contro il cattivo tempo. - E non sai che pioggia d'autunno vuol dire
buon anno? Un mormorio generale approvò quelle parole.
- Sì, ma intanto son tre buone mezze giornate che vostro marito toglierà dal conto della settimana!
Altro mormorio d'approvazione.
- Hai forse lavorato in queste tre mezze, perché ti s'abbiano a128 pagare? - rispose trionfalmente la
vecchia.
- È vero! è vero! - risposero le altre, con quel sentimento istintivo di giustizia che c'è nelle masse,
anche quando questa giustizia danneggia gli individui.
La castalda intuonò il rosario, le avemarie si seguirono col loro monotono brontolio, accompagnate
da qualche sbadiglio. Dopo le litanie si pregò per i vivi e per i morti, e allora gli occhi della povera
Nedda si riempirono di lagrime, e dimenticò di rispondere amen.
- Che modo è cotesto di non rispondere amen? - le disse la vecchia in tuono severo.
- Pensava alla mia povera mamma che è tanto lontana; - balbettò Nedda timidamente.
Poi la castalda diede la santa notte, prese la lucerna e andò via. Qua e là, per la cucina o attorno
al fuoco, s'improvvisarono i giacigli in forme pittoresche. Le ultime fiamme gettarono vacillanti
chiaroscuri sui gruppi e su gli atteggiamenti diversi. Era una buona fattoria quella, e il padrone non
risparmiava, come tant'altri, fave per la minestra, né legna pel focolare, né strame129 pei giacigli.
Le donne dormivano in cucina, e gli uomini nel fienile.
Dove poi il padrone è avaro, o la fattoria è piccola, uomini e donne dormono alla rinfusa, come
meglio possono, nella stalla, o altrove, sulla paglia o su pochi cenci, i figliuoli accanto ai genitori, e
quando il genitore è ricco, e ha una coperta di suo, la distende sulla sua famigliuola; chi ha freddo
si addossa al vicino, o mette i piedi nella cenere calda, o si copre di paglia, s'ingegna come può;
dopo un giorno di fatica, e per ricominciare un altro giorno di fatica, il sonno è profondo, al pari di
un despota130 benefico, e la moralità del padrone non è permalosa che per negare il lavoro alla
127
Avvezza: abituata.
Ti s’abbiano a: ti si debbano.
129
Strame: paglia o fieno.
130
Despota: tiranno.
128
81
ragazza la quale, essendo prossima a divenir madre, non potesse compiere le sue dieci ore di
fatica.
SEQUENZA 3
Prima di giorno le più mattiniere erano uscite per vedere che tempo facesse, e l'uscio che sbatteva
ad ogni momento sugli stipiti, spingeva turbini di pioggia e di vento freddissimo su quelli che
intirizziti dormivano ancora. Ai primi albori il castaldo era venuto a spalancare l'uscio, per svegliare
i pigri, giacché non è giusto defraudare il padrone di un minuto della giornata lunga dieci ore, che
gli paga il suo bravo tarì, e qualche volta anche tre carlini (sessantacinque centesimi!) oltre la
minestra.
- Piove! - era la parola uggiosa che correva su tutte le bocche, con accento di malumore. La
Nedda, appoggiata all'uscio, guardava tristemente i grossi nuvoloni color di piombo che gettavano
su di lei le livide131 tinte del crepuscolo. La giornata era fredda e nebbiosa; le foglie avvizzite si
staccavano strisciando lungo i rami, e svolazzavano alquanto prima di andare a cadere sulla terra
fangosa, e il rigagnolo s'impantanava in una pozzanghera, dove s'avvoltolavano voluttuosamente
dei maiali; le vacche mostravano il muso nero attraverso il cancello che chiudeva la stalla, e
guardavano la pioggia che cadeva con occhio malinconico; i passeri, rannicchiati sotto le tegole
della gronda, pigolavano in tono piagnoloso.
- Ecco un'altra giornata andata a male! - mormorò una delle ragazze, addentando un grosso pan
nero.
- Le nuvole si distaccano dal mare laggiù, - disse Nedda stendendo il braccio; - verso il
mezzogiorno forse il tempo cambierà.
- Però quel birbo del fattore non ci pagherà che un terzo della giornata!
- Sarà tanto di guadagnato.
- Sì, ma il nostro pane che mangiamo a tradimento?
- E il danno che avrà il padrone delle olive che andranno a male, e di quelle che si perderanno fra
la mota?132
- È vero, - disse un'altra.
- Ma pròvati ad andare a raccogliere una sola di quelle olive che andranno perdute fra mezz'ora,
per accompagnarla al tuo pane asciutto, e vedrai quel che ti darà di giunta il fattore!
- È giusto, perché le olive non sono nostre!
- Ma non sono nemmeno della terra che se le mangia!
- La terra è del padrone, to'! - replicò Nedda trionfante di logica, con certi occhi espressivi.
- È vero anche questo; - rispose un'altra, la quale non sapeva che rispondere.
- Quanto a me preferirei che continuasse a piovere tutto il giorno, piuttosto che stare una mezza
giornata carponi in mezzo al fango, con questo tempaccio, per tre o quattro soldi.
- A te non ti fanno nulla tre o quattro soldi, non ti fanno! - esclamò Nedda tristemente.
SEQUENZA 4
La sera del sabato, quando fu l'ora di aggiustare il conto della settimana, dinanzi alla tavola del
fattore, tutta carica di cartacce e di bei gruzzoletti di soldi, gli uomini più turbolenti furono pagati i
primi, poscia le più rissose delle donne, in ultimo, e peggio, le timide e le deboli. Quando il fattore
le ebbe fatto il suo conto, Nedda venne a sapere che, detratte le due giornate e mezza di riposo
forzato, restava ad avere quaranta soldi.
La povera ragazza non osò aprir bocca. Solo le si riempirono gli occhi di lagrime.
- E laméntati per giunta, piagnucolona! - gridò il fattore, il quale gridava sempre, da fattore
coscienzioso che difende i soldi del padrone. - Dopo che ti pago come le altre, e sì che sei più
povera e più piccola delle altre! e ti pago la tua giornata come nessun proprietario ne paga una
simile in tutto il territorio di Pedara, Nicolosi e Trecastagne! Tre carlini, oltre la minestra!
131
132
Livide: scure.
Mota: fango.
82
- Io non mi lamento... - disse timidamente Nedda intascando quei pochi soldi che il fattore, ad
aumentare il valore, aveva conteggiato per grani. - La colpa è del tempo che è stato cattivo e mi
ha tolto quasi la metà di quel che avrei potuto buscarmi.
- Pigliatela col Signore! - disse il fattore ruvidamente.
- Oh, non col Signore! ma con me che son tanto povera!
- Pàgagli intiera la sua settimana, a quella povera ragazza; - disse al fattore il figliuolo del padrone,
il quale assisteva alla raccolta delle olive. - Non sono che pochi soldi di differenza.
- Non devo darle che quel ch'è giusto!
- Ma se te lo dico io!
- Tutti i proprietari del vicinato farebbero la guerra a voi e a me se facessimo delle novità.
- Hai ragione! - rispose il figliuolo del padrone, il quale era un ricco proprietario, e aveva molti
vicini.
SEQUENZA 5
Nedda raccolse quei pochi cenci che erano suoi, e disse addio alle compagne.
- Vai a Ravanusa a quest'ora? - dissero alcune.
- La mamma sta male!
- Non hai paura?
- Sì, ho paura per questi soldi che ho in tasca; ma la mamma sta male, e adesso che non son più
costretta a star qui a lavorare, mi sembra che non potrei dormire, se mi fermassi anche stanotte.
- Vuoi che t'accompagni? - le disse in tuono di scherzo il giovane pecoraio.
- Vado con Dio e con Maria - disse semplicemente la povera ragazza, prendendo la via dei campi a
capo chino.
Il sole era tramontato da qualche tempo e le ombre salivano rapidamente verso la cima della
montagna. Nedda camminava sollecita, e quando le tenebre si fecero profonde, cominciò a cantare
come un uccelletto spaventato. Ogni dieci passi voltavasi indietro, paurosa, e allorché un sasso,
smosso dalla pioggia che era caduta, sdrucciolava dal muricciolo, o il vento le spruzzava
bruscamente addosso a guisa di gragnuola la pioggia raccolta nelle foglie degli alberi, ella si
fermava tutta tremante, come una capretta sbrancata. Un assiolo la seguiva d'albero in albero col
suo canto lamentoso; ed ella, tutta lieta di quella compagnia, gli faceva il richiamo, perché l'uccello
non si stancasse di seguirla. Quando passava dinanzi ad una cappelletta, accanto alla porta di
qualche fattoria, si fermava un istante nella viottola per dire in fretta un'avemaria, stando all'erta
che non le saltasse addosso dal muro di cinta il cane di guardia, che abbaiava furiosamente; poi
partiva di passo più lesto, rivolgendosi due o tre volte a guardare il lumicino che ardeva in
omaggio
alla Santa, nello stesso tempo che faceva lume al fattore, quando doveva tornar tardi dai campi.
Quel lumicino le dava coraggio, e la faceva pregare per la sua povera mamma. Di tempo in tempo
un pensiero doloroso le stringeva il cuore con una fitta improvvisa, e allora si metteva a correre, e
cantava ad alta voce per stordirsi, o pensava ai giorni più allegri della vendemmia, o alle sere
d'estate, quando, con la più bella luna del mondo, si tornava a stormi dalla Piana, dietro la
cornamusa che suonava allegramente; ma il suo pensiero correva sempre là, dinanzi al misero
giaciglio della sua inferma. Inciampò in una scheggia di lava tagliente come un rasoio, e si lacerò
un piede; l'oscurità era sì fitta che alle svolte della viottola la povera ragazza spesso urtava contro
il muro o la siepe, e cominciava a perder coraggio e a non saper dove si trovasse. Tutt'a un tratto
udì l'orologio di Punta che suonava le nove, così vicino che i rintocchi sembravano le cadessero sul
capo. Nedda sorrise, quasi un amico l'avesse chiamata per nome in mezzo ad una folla di stranieri.
Infilò allegramente la via del villaggio, cantando a squarciagola la sua bella canzone, e tenendo
stretti nella mano, dentro la tasca del grembiule, i suoi quaranta soldi. Passando dinanzi alla
farmacia vide lo speziale133 ed il notaro tutti inferraiuolati134 che giocavano a carte. Alquanto più in
là incontrò il povero matto di Punta, che andava su e giù da un capo all'altro della via, colle mani
nelle tasche del vestito, canticchiando la solita canzone che l'accompagna da venti anni, nelle notti
133
134
Speziale: farmacista.
Inferraiuolati: imbacuccati.
83
d'inverno e nei meriggi della canicola. Quando fu ai primi alberi del diritto viale di Ravanusa,
incontrò un paio di buoi che venivano a passo lento ruminando tranquillamente.
- Ohé, Nedda! - gridò una voce nota.
- Sei tu, Janu?
- Sì, son io, coi buoi del padrone.
- Da dove vieni? - domandò Nedda senza fermarsi.
- Vengo dalla Piana. Son passato da casa tua; tua madre t'aspetta.
- Come sta la mamma?
- Al solito.
- Che Dio ti benedica! - esclamò la ragazza come se avesse temuto il peggio, e ricominciò a
correre.
- Addio, Nedda! - le gridò dietro Janu.
- Addio, - balbettò da lontano Nedda.
E le parve che le stelle splendessero come soli, che tutti gli alberi, noti uno per uno, stendessero i
rami sulla sua testa per proteggerla, e i sassi della via le accarezzassero i piedi indolenziti.
SEQUENZA 6
Il domani, ch'era domenica, venne la visita del medico, il quale concedeva ai suoi malati poveri il
giorno che non poteva consacrare ai suoi poderi. Una triste visita davvero! perché il buon dottore
non era abituato a far complimenti coi suoi clienti, e nel casolare di Nedda non c'era anticamera,
né amici di casa ai quali si potesse annunciare il vero stato dell'inferma.
Nella giornata seguì anche una mesta funzione135; venne il curato in rocchetto, il sagrestano
coll'olio santo, e due o tre comari che borbottavano non so che preci.136 La campanella del
sagrestano squillava acutamente in mezzo ai campi, e i carrettieri che l'udivano fermavano i loro
muli in mezzo alla strada, e si cavavano il berretto. Quando Nedda l'udì per la sassosa viottola tirò
su la coperta tutta lacera dell'inferma, perché non si vedesse che mancavano le lenzuola, e piegò il
suo più bel grembiule bianco sul deschetto zoppo, reso fermo con dei mattoni. Poi, mentre il prete
compiva il suo ufficiò, andò ad inginocchiarsi fuori dell'uscio, balbettando macchinalmente delle
preci, guardando come trasognata quel sasso dinanzi alla soglia su cui la sua vecchierella soleva
scaldarsi al sole di marzo, e ascoltando con orecchio distratto i consueti rumori delle vicinanze, ed
il via vai di tutta quella gente che andava per i propri affari senza avere angustie pel capo. Il
curato partì, ed il sagrestano indugiò invano sull'uscio perché gli facessero la solita limosina pei
poveri.
Lo zio Giovanni vide a tarda ora della sera la Nedda che correva sulla strada di Punta.
- Ohé! dove vai a quest'ora?
- Vado per una medicina che ha ordinato il medico -.
Lo zio Giovanni era economo e brontolone.
- Ancora medicine! - borbottò, - dopo che ha ordinato la medicina dell'olio santo! già, loro fanno a
metà collo speziale, per dissanguare la povera gente! Fai a mio modo, Nedda, risparmia quei
quattrini e vatti a star colla tua vecchia.
- Chissà che non avesse a giovare! - rispose tristemente la ragazza chinando gli occhi, e affrettò il
passo.
Lo zio Giovanni rispose con un brontolio. Poi le gridò dietro: - Ohe! la varannisa!
- Che volete?
- Anderò io dallo speziale. Farò più presto di te, non dubitare. Intanto non lascerai sola la povera
malata -.
Alla ragazza vennero le lagrime agli occhi.
- Che Dio vi benedica! - gli disse, e volle anche mettergli in mano i denari.
- I denari me li darai poi; - rispose ruvidamente lo zio Giovanni, e si diede a camminare colle
gambe dei suoi vent'anni.
135
136
Funzione: rito religioso, messa.
Preci: preghiere.
84
La ragazza tornò indietro e disse alla mamma: - C'è andato lo zio Giovanni, - e lo disse con voce
dolce insolitamente.
La moribonda udì il suono dei soldi che Nedda posava sul deschetto, e la interrogò cogli occhi.
- Mi ha detto che glieli darò poi; - rispose la figlia.
- Che Dio gli paghi la carità! - mormorò l'inferma, - così resterai senza un quattrino.
- Oh, mamma!
- Quanto gli dobbiamo allo zio Giovanni?
- Dieci lire. Ma non abbiate paura, mamma! Io lavorerò! La vecchia la guardò a lungo coll'occhio semispento, e poscia137 l'abbracciò senza aprir bocca.
SEQUENZA 7
Il giorno dopo vennero i becchini, il sagrestano e le comari. Quando Nedda ebbe acconciato la
morta nella bara, coi suoi migliori abiti, le mise tra le mani un garofano che aveva fiorito dentro
una pentola fessa,138 e la più bella treccia dei suoi capelli; diede ai becchini quei pochi soldi che le
rimanevano perché facessero a modo, e non scuotessero tanto la morta per la viottola sassosa del
cimitero; poi rassettò il lettuccio e la casa, mise in alto, sullo scaffale, l'ultimo bicchiere di
medicina, e andò a sedersi sulla soglia dell'uscio, guardando il cielo.
Un pettirosso, il freddoloso uccelletto del novembre, si mise a cantare tra le frasche e i rovi che
coronavano il muricciuolo di faccia all'uscio, e saltellando fra le spine e gli sterpi, la guardava con
certi occhietti maliziosi come se volesse dirle qualche cosa: Nedda pensò che la sua mamma, il
giorno innanzi, l'aveva udito cantare. Nell'orto accanto c'erano delle olive per terra, e le gazze
venivano a beccarle; ella le aveva scacciate a sassate, perché la moribonda non ne udisse il
funebre gracidare; adesso le guardò impassibile, e non si mosse; e quando sulla strada vicina
passarono il venditore di lupini, o il vinaio, o i carrettieri, che discorrevano ad alta voce per vincere
il rumore dei loro carri e delle sonagliere dei loro muli, ella diceva: - costui è il tale, quegli è il tal
altro -.
Allorché suonò l'avemaria, e s'accese la prima stella della sera, si rammentò che non doveva andar
giù per le medicine a Punta, ed a misura che i rumori andarono perdendosi nella via, e le tenebre a
calare nell'orto, pensò che non aveva più bisogno d'accendere il lume.
Lo zio Giovanni la trovò ritta sull'uscio.
Ella si era alzata udendo dei passi nella viottola, perché non aspettava più nessuno.
- Che fai costà! - le domandò lo zio Giovanni. Ella si strinse nelle spalle, e non rispose.
Il vecchio si assise139 accanto a lei, sulla soglia, e non aggiunse altro.
- Zio Giovanni, - disse la ragazza dopo un lungo silenzio, - adesso non ho più nessuno, e posso
andar lontano a cercar lavoro; partirò per la Roccella, ove dura ancora la raccolta delle olive, e al
ritorno vi restituirò i denari che ci avete imprestati.
- Io non sono venuto a domandarteli i tuoi denari! - le rispose burbero lo zio Giovanni.
Ella non disse altro, ed entrambi rimasero zitti ad ascoltare l'assiolo che cantava. Nedda pensò che
era forse quello stesso di due sere innanzi, e sentì gonfiarsi il cuore.
- E del lavoro ne hai? - domandò finalmente lo zio Giovanni.
- No, ma qualche anima caritatevole troverò, che me ne darà.
- Ho sentito dire che ad Aci Catena pagano le donne abili per incartare le arance in ragione di una
lira al giorno, senza minestra, e ho subito pensato a te; tu hai già fatto quel mestiere nello scorso
marzo, e devi esser pratica. Vuoi andare?
- Magari!
- Bisognerebbe trovarsi domani all'alba al giardino del Merlo, all'angolo della scorciatoia che
conduce a Sant'Anna.
- Posso anche partire stanotte. La mia povera mamma non ha voluto costarmi molti giorni di
riposo.
- Sai dove andare?
137
Poscia: poi.
Fessa: rotta.
139
Si assise: si sedette.
138
85
- Sì, poi mi informerò.
- Domanderai all'oste che sta sulla strada maestra di Valverde, al di là del castagneto ch'è sulla
sinistra della via. Cercherai di massaro Vinirannu, e dirai che ti mando io.
- Ci andrò, - disse la povera ragazza.
- Ho pensato che non avresti avuto del pane per la settimana, - disse lo zio Giovanni cavando un
grosso pan nero dalla profonda tasca del suo vestito, e posandolo sul deschetto.
La Nedda si fece rossa, come se facesse lei quella buona azione. Poi, dopo qualche istante riprese:
- Se il signor curato dicesse domani la messa per la mamma, io gli farei due giornate di lavoro,
alla raccolta delle fave.
- La messa l'ho fatta dire - rispose lo zio Giovanni.
- Oh! la povera morta pregherà anche per voi! - mormorò la ragazza coi grossi lagrimoni agli occhi.
Infine, quando lo zio Giovanni se ne andò, e udì perdersi in lontananza il rumore de suoi passi
pesanti, chiuse l'uscio, e accese la candela. Allora le parve di trovarsi sola al mondo, ed ebbe
paura
di dormire in quel povero lettuccio ove soleva coricarsi accanto alla sua mamma.
Le ragazze del villaggio sparlarono di lei perché andò a lavorare subito il giorno dopo la morte della
sua vecchia, e perché non aveva messo il bruno; e il signor curato la sgridò forte, quando la
domenica successiva la vide sull'uscio del casolare, mentre si cuciva il grembiule che aveva fatto
tingere in nero, unico e povero segno di lutto, e prese argomento da ciò per predicare in chiesa
contro il mal uso di non osservare le feste e le domeniche.
La povera fanciulla, per farsi perdonare il suo grosso peccato, andò a lavorare due giorni nel
campo del curato, acciò140 dicesse la messa per la sua morta il primo lunedì del mese; e la
domenica, quando le fanciulle, vestite dei loro begli abiti da festa, si tiravano in là sul banco, o
ridevano di lei, e i giovanotti, all'uscire di chiesa, le dicevano facezie grossolane, ella si stringeva
nella sua mantellina tutta lacera, e affrettava il passo, chinando gli occhi, senza che un pensiero
amaro venisse a turbare la serenità della sua preghiera - ovvero diceva a se stessa a mo' di
rimprovero che si fosse meritato: - Son così povera! - oppure, guardando le sue due buone
braccia: - Benedetto il Signore che me le ha date! - e tirava via sorridendo.
SEQUENZA 8
Una sera - aveva spento da poco il lume - udì nella viottola una nota voce che cantava a
squarciagola, e con la melanconica cadenza orientale delle canzoni contadinesche: Picca cci voli ca
la vaju' a viju. A la mi' amanti di l'arma mia!...
- È Janu! - disse sottovoce, mentre il cuore le balzava dal petto come un uccello spaventato, e
cacciò la testa fra le coltri.
E il domani, quando aprì la finestra, vide Janu col suo bel vestito nuovo di fustagno, nelle cui
tasche cercavano entrare per forza le sue grosse mani nere e incallite al lavoro, con un bel
fazzoletto di seta nuova fiammante che faceva capolino con civetteria dalla scarsella del farsetto, il
quale si godeva il bel sole d'aprile appoggiato al muricciolo dell'orto.
- Oh, Janu! - diss'ella, come se non ne sapesse proprio nulla.
- Salutamu! - esclamò il giovane col suo più grosso sorriso.
- O che fai qui?
- Torno dalla Piana -.
La fanciulla sorrise, e guardò le lodole141 che saltellavano ancora sul verde per l'ora mattutina.
- Sei tornato colle lodole.
- Le lodole vanno dove trovano il miglio, ed io dove c'è del pane.
- O come?
- Il padrone m'ha licenziato.
- O perché?
- Perché avevo preso le febbri laggiù, e non potevo più lavorare che tre giorni per settimana.
- Si vede, povero Janu!
140
141
Acciò: affinché.
Lodole: allodole.
86
- Maledetta Piana! - imprecò Janu stendendo il braccio verso la pianura.
- Sai, la mamma!... - disse Nedda.
- Me l'ha detto lo zio Giovanni -.
Ella non aggiunse altro, e guardò l'orticello al di là del muricciolo. I sassi umidicci fumavano; le
gocce di rugiada luccicavano su di ogni filo d'erba; i mandorli fioriti sussurravano lieve lieve e
lasciavano cadere sul tettuccio del casolare i loro fiori bianchi e rosei che imbalsamavano l'aria;
una passera, petulante e sospettosa nel tempo istesso, schiamazzava sulla gronda, e minacciava a
suo modo Janu, che aveva tutta l'aria, col suo viso sospetto, di insidiare al suo nido, del quale
spuntavano tra le tegole alcuni fili di paglia indiscreti. La campana della chiesuola chiamava a
messa.
- Come fa piacere a sentire la nostra campana! - esclamò Janu.
- Io ho riconosciuto la tua voce stanotte, - disse Nedda facendosi rossa, e zappando con un coccio
la terra della pentola che conteneva i suoi fiori.
Egli si volse in là, ed accese la pipa, come deve fare un uomo.
- Addio, vado a messa! - disse bruscamente la Nedda, tirandosi indietro dopo un lungo silenzio.
- Prendi, ti ho portato codesto dalla città - le disse il giovane sciorinando il suo bel fazzoletto di
seta.
- Oh! com'è bello! ma questo non fa per me!
- O perché? se non ti costa nulla! - rispose il giovanotto con logica contadinesca.
Ella si fece rossa, come se la grossa spesa le avesse dato idea dei caldi sentimenti del giovane, gli
lanciò, sorridente, un'occhiata fra carezzevole e selvaggia, e scappò in casa; e allorché udì i grossi
scarponi di lui sui sassi della viottola, fece capolino per accompagnarlo cogli occhi mentre se ne
andava.
Alla messa le ragazze del villaggio poterono vedere il bel fazzoletto di Nedda, dove c'erano
stampate delle rose che si sarebbero mangiate, e su cui il sole, scintillante dalle invetriate della
chiesuola, mandava i suoi raggi più allegri. E quand'ella passò dinanzi a Janu, il quale stava presso
il primo cipresso del sacrato, colle spalle al muro e fumando nella sua pipa intagliata, ella sentì
gran caldo al viso, e il cuore che le faceva un gran battere in petto, e sgusciò via alla lesta. Il
giovane le tenne dietro fischiettando, e la guardava a camminare svelta e senza voltarsi indietro,
colla sua veste nuova di fustagno che faceva delle belle pieghe pesanti, le sue brave scarpette, e la
sua mantellina fiammante. - La povera formica, or che la mamma stando in paradiso non l'era più
a carico, era riuscita a farsi un po' di corredo col suo lavoro. - Fra tutte le miserie del povero c'è
anche quella del sollievo che arrecano le perdite più dolorose al cuore!
Nedda sentiva dietro di sé, con gran piacere o gran sgomento (non sapeva davvero che cosa fosse
delle due), il passo pesante del giovanotto, e guardava sulla polvere biancastra dello stradale,
tutto diritto e inondato di sole, un'altra ombra, la quale di tanto in tanto si distaccava dalla sua.
Tutt'a un tratto, quando fu in vista della sua casuccia, senza alcun motivo, si diede a correre come
una cerbiatta spaventata. Janu la raggiunse, ella si appoggiò all'uscio, tutta rossa e sorridente, e
gli allungò un pugno sul dorso. - To'! Egli ripicchiò con galanteria un po' manesca.
- O quanto l'hai pagato il tuo fazzoletto? - domandò Nedda togliendoselo dal capo per sciorinarlo al
sole e contemplarlo in aria festosa.
- Cinque lire, - rispose Janu un po' pettoruto.
Ella sorrise senza guardarlo; ripiegò accuratamente il fazzoletto, studiando i segni che avevano
lasciato le pieghe, e si mise a canticchiare una canzonetta che non soleva tornarle in bocca da
lungo tempo.
La pentola rotta, posta sul davanzale, era ricca di garofani in boccio.
- Che peccato, - disse Nedda, - che non ce ne siano di fioriti! - e spiccò il più grosso bocciolo e
glielo diede.
- Che vuoi che ne faccia se non è sbocciato? - diss'egli senza comprenderla, e lo buttò via. Ella si
volse in là.
- E adesso dovrai andare a lavorare? - gli domandò dopo qualche secondo.
Egli alzò le spalle: - Dove andrai tu domani!
87
- A Bongiardo.
- Del lavoro ne troverò; ma bisognerebbe che non tornassero le febbri.
- Bisognerebbe non star fuori la notte a cantare dietro gli usci! - gli diss'ella tutta rossa,
dondolandosi sullo stipite dell'uscio con certa aria civettuola.
- Non lo farò più, se tu non vuoi -.
Ella gli diede un buffetto, e scappò dentro.
- Ohé! Janu! - chiamò dalla strada lo zio Giovanni - Vengo! - gridò Janu; e alla Nedda: - Verrò
anch'io a Bongiardo, se mi vogliono.
- Ragazzo mio, - gli disse lo zio Giovanni quando fu sulla strada, - la Nedda non ha più nessuno, e
tu sei un bravo giovinotto; ma insieme non ci state proprio bene. Hai inteso?
- Ho inteso, zio Giovanni; ma se Dio vuole, dopo la messe, quando avrò da banda quel po' di
quattrini che ci vogliono, insieme ci staremo benissimo -.
Nedda, che aveva udito da dietro il muricciolo, si fece rossa, sebbene nessuno la vedesse.
SEQUENZA 9
L'indomani, prima di giorno, quand'ella si affacciò all'uscio per partire, trovò Janu, col suo fagotto
infilato al bastone.
- O dove vai? - gli domandò.
- Vengo anch'io a Bongiardo, a cercar lavoro -.
I passerotti, che si erano svegliati alle voci mattutine, cominciarono a pigolare dietro il nido.
Janu infilò al suo bastone anche il fagotto di Nedda, e s'avviarono alacremente, mentre il cielo si
tingeva all'orizzonte delle prime fiamme del giorno, e il venticello diveniva frizzante.
A Bongiardo c'era proprio del lavoro per chi ne voleva. Il prezzo del vino era salito, e un ricco
proprietario faceva dissodare un gran tratto di chiuse da mettere a vigneti. Le chiuse rendevano
1200 lire all'anno in lupini ed olio; messe a vigneto avrebbero dato, fra cinque anni, 12 o 13 mila
lire, impiegandovene solo 10 o 12 mila; il taglio degli ulivi avrebbe coperto metà della spesa. Era
un'eccellente speculazione, come si vede, e il proprietario pagava, di buon grado, una gran
giornata ai contadini che lavoravano al dissodamento, 30 soldi agli uomini, e 20 alle donne, senza
minestra; è vero che il lavoro era un po' faticoso, e che ci si rimettevano anche quei pochi cenci
che formavano il vestito dei giorni di lavoro; ma Nedda non era abituata a guadagnar 20 soldi tutti
i giorni.
Il soprastante s'accorse che Janu, riempiendo i corbelli di sassi, lasciava sempre il più leggiero per
Nedda, e minacciò di cacciarlo via. Il povero diavolo, tanto per non perdere il pane, dovette
accontentarsi di discendere dai 30 ai 20 soldi.
Il male era che quei poderi quasi incolti mancavano di fattoria, e la notte uomini e donne
dovevano dormire alla rinfusa nell'unico casolare senza porta, e sì che le notti erano piuttosto
fredde. Janu diceva d'aver sempre caldo, e dava a Nedda la sua casacca di fustagno perché si
coprisse per bene. La domenica poi tutta la brigata si metteva in cammino per vie diverse.
Janu e Nedda avevano preso le scorciatoie, e andavano attraverso il castagneto chiacchierando,
ridendo, cantando a riprese, e facendo risuonare nelle tasche i grossi soldoni. Il sole era caldo
come in giugno; i prati lontani cominciavano ad ingiallire, le ombre degli alberi avevano qualche
cosa di festevole, e l'erba che vi cresceva era ancora verde e rugiadosa.
Verso il mezzogiorno sedettero al rezzo,142 per mangiare il loro pan nero e le loro cipolle bianche.
Janu aveva anche del vino, del buon vino di Mascali che regalava a Nedda senza risparmio, e la
povera ragazza, la quale non c'era avvezza, si sentiva la lingua grossa, e la testa assai pesante. Di
tratto in tratto si guardavano e ridevano senza saper perché.
- Se fossimo marito e moglie si potrebbe tutti i giorni mangiare il pane e bere il vino insieme; disse Janu con la bocca piena, e Nedda chinò gli occhi, perché egli la guardava in un certo modo.
Regnava il profondo silenzio del meriggio; le più piccole foglie erano immobili; le ombre erano
rade; c'era per l'aria una calma, un tepore, un ronzio di insetti che pesava voluttuosamente sulle
142
sedettero al rezzo: sedettero all’ombra, alla frescura
88
palpebre. Ad un tratto una corrente d'aria fresca, che veniva dal mare, fece sussurrare le cime più
alte de' castagni.
- L'annata sarà buona pel povero e pel ricco, - disse Janu, - e se Dio vuole alla messe un po' di
quattrini metterò da banda... e se tu mi volessi bene!... - e le porse il fiasco.
- No, non voglio più bere. - disse ella colle guance tutte rosse.
- O perché ti fai rossa? - diss'egli ridendo.
- Non te lo voglio dire.
- Perché hai bevuto!
- No!
- Perché mi vuoi bene? Ella gli diede un pugno sull'omero e si mise a ridere.
Da lontano si udì il raglio di un asino che sentiva l'erba fresca. - Sai perché ragliano gli asini? domandò Janu.
- Dillo tu che lo sai.
- Sì che lo so; ragliano perché sono innamorati, - disse egli con un riso grossolano, e la guardò
fiso.
Ella chinò gli occhi come se ci vedesse delle fiamme, e le sembrò che tutto il vino che aveva
bevuto le montasse alla testa, e tutto l'ardore di quel cielo di metallo le penetrasse nelle vene.
- Andiamo via! - esclamò corrucciata, scuotendo la testa pesante.
- Che hai?
- Non lo so, ma andiamo via!
- Mi vuoi bene? Nedda chinò il capo.
- Vuoi essere mia moglie? Ella lo guardò serenamente, e gli strinse forte la mano callosa nelle sue mani brune, ma si alzò sui
ginocchi che le tremavano per andarsene. Egli la trattenne per le vesti, tutto stravolto, e
balbettando parole sconnesse, come non sapendo quel che si facesse.
Allorché si udì nella fattoria vicina il gallo che cantava, Nedda balzò in piedi di soprassalto, e si
guardò attorno spaurita.
- Andiamo via! Andiamo via! - disse tutta rossa e frettolosa.
Quando fu per svoltare l'angolo della sua casuccia si fermò un momento trepidante, quasi temesse
di trovare la sua vecchiarella sull'uscio deserto da sei mesi.
SEQUENZA 10
Venne la Pasqua, la gaia festa dei campi coi suoi falò giganteschi, colle sue allegre processioni fra i
prati verdeggianti e sotto gli alberi carichi di fiori, colla chiesuola parata a festa, gli usci delle
casipole incoronati di festoni, e le ragazze colle belle vesti nuove d'estate. Nedda fu vista
allontanarsi piangendo dal confessionario, e non comparve fra le fanciulle inginocchiate dinanzi al
coro che aspettavano la comunione. Da quel giorno nessuna ragazza onesta le rivolse più la
parola, e quando andava a messa non trovava posto al solito banco, e bisognava che stesse tutto
il tempo ginocchioni: se la vedevano piangere, pensavano a chissà che peccatacci, e le volgevano
le spalle inorridite; e quelle che le davano da lavorare, ne approfittavano per scemarle143 il prezzo
della giornata.
Ella aspettava il suo fidanzato che era andato a mietere alla Piana, raggruzzolare i quattrini che ci
volevano a mettere su un po' di casa, e a pagare il signor curato.
SEQUENZA 11
Una sera, mentre filava, udì fermarsi all'imboccatura della viottola un carro da buoi, e si vide
comparir dinanzi Janu pallido e contraffatto.
- Che hai? - gli disse.
143
Scemarle: sottrarle.
89
- Son stato ammalato. Le febbri mi ripresero laggiù, in quella maledetta Piana; ho perso più di una
settimana di lavoro, ed ho mangiato quei pochi soldi che avevo fatto -.
Ella rientrò in fretta, scucì il pagliericcio, e volle dargli quel piccolo gruzzolo che aveva legato in
fondo ad una calza.
- No, - diss'egli. - Domani andrò a Mascalucia per la rimondatura degli ulivi, e non avrò bisogno di
nulla. Dopo la rimondatura ci sposeremo -.
Egli aveva l'aria triste facendole questa promessa, e stava appoggiato allo stipite, col fazzoletto
avvolto attorno al capo, e guardandola con certi occhi luccicanti.
- Ma tu hai la febbre! - gli disse Nedda.
- Sì, ma ora che son qui mi lascerà; ad ogni modo non mi coglie che ogni tre giorni -.
Ella lo guardava senza parlare, e sentiva stringersi il cuore, vedendolo così pallido e dimagrato.
- E potrai reggerti sui rami alti? - gli domandò.
- Dio ci penserà! - rispose Janu. - Addio, non posso far aspettare il carrettiere che mi ha dato un
posto sul suo carro dalla Piana sin qui. A rivederci presto! - e non si moveva. Quando finalmente
se ne andò, ella lo accompagnò sino alla strada maestra, e lo vide allontanarsi, senza una lagrima,
sebbene le sembrasse che stesse a vederlo partire per sempre; il cuore ebbe un'altra strizzatina,
come una spugna non spremuta abbastanza - nulla più, ed egli la salutò per nome alla svolta della
via.
SEQUENZA 12
Tre giorni dopo udì un gran cicaleccio per la strada. Si affacciò al muricciolo, e vide in mezzo ad un
crocchio di contadini e di comari Janu disteso su di una scala a piuoli, pallido come un cencio
lavato, e colla testa fasciata da un fazzoletto tutto sporco di sangue. Lungo la via dolorosa, prima
di giungere al suo casolare, egli, tenendola per mano, le narrò come, trovandosi così debole per le
febbri, era caduto da un'alta cima, e s'era concio in quel modo. - Il cuore te lo diceva: mormorava con un triste sorriso. Ella l'ascoltava coi suoi grand'occhi spalancati, pallida come lui e
tenendolo per mano. Il domani egli morì.
Allora Nedda, sentendo muoversi dentro di sé qualcosa che quel morto le lasciava come un triste
ricordo, volle correre in chiesa a pregare per lui la Vergine Santa. Sul sacrato incontrò il prete che
sapeva la sua vergogna, si nascose il viso nella mantellina e tornò indietro derelitta.
Adesso, quando cercava del lavoro, le ridevano in faccia, non per schernire la ragazza colpevole,
ma perché la povera madre non poteva più lavorare come prima. Dopo i primi rifiuti, e le prime
risate, ella non osò cercare più oltre, e si chiuse nella sua casipola, al pari di un uccelletto ferito
che va a rannicchiarsi nel suo nido. Quei pochi soldi raccolti in fondo alla calza se ne andarono l'un
dopo l'altro, e dietro ai soldi la bella veste nuova, e il bel fazzoletto di seta. Lo zio Giovanni la
soccorreva per quel poco che poteva, con quella carità indulgente e riparatrice senza la quale la
morale del curato è ingiusta e sterile, e le impedì così di morire di fame. Ella diede alla luce una
bambina rachitica e stenta; quando le dissero che non era un maschio pianse come aveva pianto
la sera in cui aveva chiuso l'uscio del casolare dietro al cataletto che se ne andava, e s'era trovata
senza la mamma; ma non volle che la buttassero alla Ruota.
- Povera bambina! Che incominci a soffrire almeno il più tardi che sia possibile! - disse.
Le comari la chiamavano sfacciata, perché non era stata ipocrita, e perché non era snaturata. Alla
povera bambina mancava il latte, giacché alla madre scarseggiava il pane. Ella deperì rapidamente,
e invano Nedda tentò spremere fra i labbruzzi affamati il sangue del suo seno. Una sera d'inverno,
sul tramonto, mentre la neve fioccava sul tetto, e il vento scuoteva l'uscio mal chiuso, la povera
bambina, tutta fredda, livida, colle manine contratte, fissò gli occhi vitrei su quelli ardenti della
madre, diede un guizzo, e non si mosse più.
Nedda la scosse, se la strinse al seno con impeto selvaggio, tentò di scaldarla coll'alito e coi baci, e
quando s'accorse che era proprio morta, la depose sul letto dove aveva dormito sua madre, e le
s'inginocchiò davanti, cogli occhi asciutti e spalancati fuor di misura.
- Oh! benedette voi che siete morte! - esclamò. - Oh! benedetta voi, Vergine Santa! che mi avete
tolto la mia creatura per non farla soffrire come me! -
90
LABORATORIO DEL TESTO
Proposte di lavoro sulla comprensione e/o analisi testuale e
tematica
1. L’ autore narra i fatti:
nello stesso ordine in cui sono avvenuti (successione logico-temporale);
racconta in un secondo momento ciò che è avvenuto prima (retrospezione /
flashback);
racconta in anticipo ciò che è successo in seguito (anticipazione).
Motiva la tua risposta
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2. L’autore è:
presente nella vicenda;
è uno dei personaggi della vicenda;
è estraneo alla vicenda
Motiva la tua risposta
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3. L’ autore utilizza:
Il discorso diretto
Il discorso indiretto
4. Luoghi e ambienti in cui i personaggi si muovono sono:
aperti
chiusi
reali
immaginari
5. Quali tempi verbali usa prevalentemente l’ autore nella narrazione?
imperfetto;
91
passato remoto;
trapassato;
passato prossimo;
futuro
Prova a spiegare che riflesso ha questa scelta sulla narrazione
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6. Davanti al “focolare della fattoria del Pino, alle falde dell’Etna”, sono riunite circa venti
donne, raccoglitrici di olive, che, intente ad asciugare “le vesti bagnate dalla pioggia”,
“cantano”, e “ciarlano”, ballano, mentre Nedda se ne sta silenziosa “con il mento sui
ginocchi”; non balla e non vuole neanche cantare.
Da che cosa si scopre che Nedda ha la mamma che sta per morire?
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7. Qual è il suo unico appoggio?
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8. Nedda si dispiace del cattivo tempo: perché?
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9. In tutto ciò la ragazza riesce comunque a trovare l’aspetto positivo. Quale?
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10. Nedda ritorna a casa; la madre si aggrava e muore, lei riprende a lavorare. Le ragazze
parlano male d lei. Come reagisce?
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11. Come definiresti il personaggio dello zio Giovanni? Un insensibile e un rozzo, oppure un
buono d’animo? Rifletti e rispondi.
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Proposte di riscrittura e rielaborazione
1. La novella è già suddivisa in dodici sequenze: riassumile in brevi sintesi, dai loro un titolo e
specifica se sono narrative, descrittive, riflessive o dialogiche.
SEQUENZA 1
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SEQUENZA 2
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SEQUENZA 3
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SEQUENZA 4
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SEQUENZA 5
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SEQUENZA 6
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SEQUENZA 7
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SEQUENZA 8
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SEQUENZA 9
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SEQUENZA 10
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SEQUENZA 11
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SEQUENZA 12
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2. Nel testo non mancano elementi di descrizione relativi al personaggio protagonista e
all’ambiente: individuali e trascrivili.
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3. Partendo dalla morte di Janu, trova per la novella un finale diverso.
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4. Sintetizza in un breve testo le emozioni provate da Nedda tutte le volte che incontra Janu.
5. Nel testo il mondo animale partecipa sempre agli incontri dei due innamorati e agli slanci
emozionali di Nedda. Descrivi in una breve sintesi in quale modo.
94
6. Sintetizza in un breve testo quali sono le emozioni di Nedda lungo il percorso notturno che
ella fa verso la casa della madre.
Proposte di produzione testuale
1. Era una ragazza bruna…Continua tu la descrizione di Nedda usando le espressioni
dell’autore.
2. Scrivi un breve testo, in cui racconti la storia di un amore (reale o immaginario) tra
compagni di scuola.
95
Elio Vittorini
A TU PER TU CON L’AUTORE
Elio Vittorini nasce a Siracusa nel 1908 e si spegne a Milano nel 1966. Visse tra continui spostamenti
dal Sud al Nord dell’ Italia e il suo disinteresse per lo studio lo portò a svolgere lavori diversi. Fu
operaio, assistente, contabile in un ‘impresa di costruzioni. Trasferitosi poi a Firenze collaborò a diverse
riviste e quotidiani, tra cui La Stampa di Torino e Solaria. Su quest’ultima, tra il 1933 e il 1936 fu
pubblicato a puntate il suo primo romanzo Il garofano rosso, storia di due amici adolescenti, Alessio e
Tarquinio, che per sentirsi grandi aderiscono al fascismo allora nascente. Alessio nello stesso tempo si
innamora di Giovanna, una studentessa diciottenne. Tra loro solo un bacio, un semplice bacio, e un
dono da parte della ragazza, un garofano che Alessio prende come simbolo di ricambiato amore. Un
amore che in realtà non è sentito da parte di Giovanna, ma che comunque segnerà il passaggio di
Alessio all’età adulta.
SALA DI LETTURA
Il garofano rosso144
Il passaggio di Alessio, protagonista del romanzo, all’età adulta segnato dall’ esperienza amorosa
con Giovanna, studentessa liceale.
Avevo sedici anni, quasi diciassette; mi piaceva ormai fare il «grande» e stare coi grandi veri, tutti
dai diciotto in su, della seconda e terza liceale, a discutere, a fumare sotto la tenda color ruggine
del caffè; ma ogni volta che l’urlo di uno dei piccoli andava lontano oltre la strada sulla prateria
della piazza mi sentivo nitrire dentro e ritornare cavallino com’ero stato quando anche io dai
gradini della cattedrale spiccavo il volo radente sopra l’asfalto.
Un pezzo era che più non osavo giocare a quel modo scalpitante. Una signorina della «seconda145»
mi aveva guardato; e avevo smesso senz’altro.
Era figlia di colonnello. Mi pareva bellissima, sebbene portasse un cappellino che le nascondeva
metà della faccia. Andava da casa a scuola, da scuola a casa con una ragazzona dai grossi fianchi
della sua classe, che le dava sempre la destra e pareva la sua serva.
Appena mi sentii guardato non esitai; mi misi dietro a lei tenendo dieci passi di distanza, e a tutte
l’uscite l’accompagnavo. Essa si voltava in tutto il percorso una volta sola, quando giungeva
sull’angolo della strada di casa sua. Verso sera io ripassavo sotto le sue finestre in bicicletta più
volte e la musica d’un pianoforte scorreva sotterranea dentro alla lunga fila di alte mura fiorite. Le
144
145
Si fa riferimento a E. Vittorini, Il garofano rosso, Mondadori, Milano 1996.
Seconda: Giovanna frequenta la seconda classe del Liceo.
96
scrissi anche; ma lei non mi rispose; solo, perché in quella mia unica lettera l’avevo chiamata
Diana146, spesso mi faceva misteriosamente dire da qualche ragazza della mia classe che Diana mi
salutava.
Un giorno mi mandò un garofano rosso chiuso dentro una busta. Mi trovavo in classe mentre la
professoressa di lingue moderne scandiva parole cantate di La Fontaine147. Mi ama, pensai
scattando, e la professoressa mi gridò di ripetere l’ultimo verso e io dissi, pensando mi vuole bene:
«Ma neanche per sogno!».
Fui cacciato dall’aula per tutto il resto della lezione: e andai a mettermi dietro la porta della
«seconda» dove abitava lei.
Speravo di udire la sua voce, non la conoscevo ma credevo di poterla riconoscere. Mi ama,
pensavo. E la voce di «lei» si alzò, mentre quella dolente del prete che insegnava greco a tutto il
Liceo, interrogava.
Era una voce come di bambina che si sveglia, con un lungo «oh» di meravigliato raccoglimento al
principio di ogni risposta.
C’era un gran caldo, sebbene fosse solo maggio, o giugno, e dalle finestre spalancate del corridoio
veniva odore di fieno. Mi ricordava caldi mucchi di quando cominciai a non essere più bambino, e
un caldo turbamento nutriva in me la fede che Giovanna, quella voce, mi volesse bene. Lontano si
sentivano marciare nella palestra femminile le allieve di un altro corso.
Mi staccai dalla porta, la voce era diventata un’altra dentro all’aula, e mi affacciai alla finestra, mi
misi a guardare giù un cortiletto mai visto prima, a osservare le foglie di un fico muoversi nel sole
come lucertole al di là di un muricciolo.
Poi l’uscio dirimpetto si aprì e in una ventata di voci uscì lei, quella giovane che mi voleva bene,
vestita di verde e di azzurro sugli alti tacchi.
La vidi, nei vetri della finestra, esitare come pensare di tornare in classe. Sentii che arrossiva. E
tremai per il bene che mi voleva, che un nulla sarebbe bastato, credevo, a cancellare via dal suo
cuore.
Volevo far finta di continuare a guardar fuori ma appena lei svoltò l’angolo del corridoio le corsi
dietro. Mi guardò quando la raggiunsi e nient’affatto era rossa come avevo supposto. Era tranquilla
e sorridente. Vidi che aveva gli occhi chiari, fieramente grigi nel viso di bruna.
«Oh», mi disse. «Vado a prendere il fazzoletto che ho dimenticato. Giù. In guardaroba.»
Pensai: «E se la baciassi?». Di nuovo mi assalì il caldo del ricordo di quando rotolavo sui mucchi di
fieno in un tempo felice con una ciurma148 di bimbi, e pensai «baciarla» come se fosse significato
portarla su uno di quei mucchi, rotolare fino al tramonto di quel pomeriggio con lei che mi aveva
mandato un garofano rosso, quasi un papavero. Ma fu un minuto solo, durante il quale mi
tremarono le mani. E subito cominciò un terrore di farle male, di distruggere il bene, perdere per
sempre la felicità di avere il garofano rosso donato da lei.
Con timida civetteria149 lei disse: «Dunque?». E appena sorrise era già incamminata per andar via.
Ma la fermai, la chiamai col suo nome: «Giovanna!». Era stato stupido, pensai, chiamarla Diana,
mentre era così Giovanna col suo passo, le sue gambe, la sua nuca, il suo verde e azzurro; così
Giovanna! Pure non trovavo parole, e non sentivo che un’ acqua di mulino farmi dentro io-io-io e
diventare calda entro di me, un turbine di io-io-io, al cui confronto ogni cosa pareva non essere
vera. Oh bisogna che sia vero! Pensai. Bisogna fermare quel suo passo, quelle sue gambe, quella
sua nuca, quel suo verde e azzurro e renderli veri. Io le volevo bene per tutto questo che la
facevano diversa da ogni altra scolara della terra.
Ma appena si voltò il mio sguardo entrò nel suo, sentii di volerle bene anche per qualcosa di più,
come per una mia e sua bontà furiosamente vitale che avrebbe potuto farmi correre ammazzando
le professoresse di franco-inglese attraverso afriche e americhe. Fu con questo senso di enorme
bontà che la baciai; e fu appena un battito di labbra contro le sue labbra, profondo e vivo però
146
Diana: dea della caccia.
La Fontaine: scrittore e poeta francese, autore di celebri favole.
148
Ciurma: gruppo numeroso.
149
Civetteria: comportamento proprio delle donne che vogliono farsi notare dagli uomini.
147
97
nella sua gentilezza. Le sue labbra non fuggirono, le sentii anzi salire sotto le mie. E mi chiesi: «È
un bacio? È stato un bacio?».
Essa sorrideva, poi non più. Alzò un braccio contro il mio petto ad allontanarmi e il garofano fu
strappato dall’occhiello, cadde. Ma lei stessa si chinò a raccoglierlo, me lo assicurò con uno spillo,
scappò via.
Scappò in classe, non di sotto come doveva; e io rimasi solo, di nuovo travolto dal mio interno
turbine di io-io-io.
7 Ciurma di bambini: gruppo numeroso.
8 Civetteria: comportamento proprio delle donne che vogliono farsi notare dagli uomini.
LABORATORIO DEL TESTO
Proposte di lavoro sulla comprensione e/o analisi testuale e
tematica
1. Chi è il protagonista del brano?
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2. Il narratore coincide con l’autore del romanzo o con uno dei personaggi?
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3. Come è presentato il protagonista?
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4. Che cosa dice di sé?
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5. Perché frequenta amici più grandi di lui?
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6. Come appare il suo carattere?
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7. Quali sentimenti lo legano ai luoghi che presenta?
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8. Che cosa rappresenta Giovanna per Alessio?
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9. A che cosa associa il sentimento che prova per la ragazza?
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10. Cosa accade dopo il bacio?
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11. La descrizione che fa è reale o frutto del suo sguardo?
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12. Perché la chiama Diana e poi si dà dello stupido per averlo fatto?
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13. Dove è ambientata la storia?
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14. Sono presenti flashback nel brano? Individuali e spiegane la funzione.
15. Nel brano sono presenti alcune similitudini. Individuale e spiegane il significato.
Proposte di riscrittura e rielaborazione
1. Fu con questo senso di enorme bontà che la baciai; e fu appena un battito di labbra contro
le sue labbra, profondo e vivo però nella sua gentilezza. Le sue labbra non fuggirono, le
sentii anzi salire sotto le mie. E mi chiesi: «È un bacio? È stato un bacio?».
Qual è il significato di queste parole?
2. Sintetizza in un breve testo ciò che prova Alessio dopo il bacio.
3. Riassumi brevemente la reazione di Giovanna dopo il bacio.
Proposte di produzione testuale
1. Le prime esperienze amorose generano in noi situazioni di disordine e confusione.
Proviamo sensazioni nuove, sconosciute, inspiegabili. Racconta in un breve testo cosa può
accadere quando arriva nella vita di una persona qualcuno che cattura le sue attenzioni fino
ad occuparle la mente in ogni momento della giornata.
2. Ti è sicuramente capitato di trovarti, almeno una volta, in una situazione simile a quella di
Alessio e Giovanna. Come hai reagito? Racconta le tue emozioni in una pagina di diario.
99
LA BOTTEGA DELL’ ARTE
Francesco Hayez, Il Bacio, Olio su tela, 1859, Pinacoteca di Brera (Milano)
Francesco Hayez, nasce a Venezia nel1791 e muore a Milano nel 1882. Naturalmente predisposto
per il disegno, frequenta l’Accademia di Venezia per poi proseguire i suoi studi a Roma dove diventa
allievo di Antonio Canova. Hayez fu riconosciuto massimo esponente dell’ arte romantica perché, a
differenza dei pittori accademici che ispiravano le loro opere alla mitologia antica, riuscì a trasferire su
tela temi poetici, letterari e della storia a lui contemporanea. Il Bacio ne è un esempio emblematico.
Anche se gli abiti ci riportano in un ambiente medioevale, l’amore che si legge attraverso
quell’abbraccio fra i due giovani, ricco di sensualità e passionalità del tutto nuovi, rappresenta anche
l’amore per la patria e per gli ideali propri del Risorgimento.
1. Osserva e descrivi ciò che vedi sulla tela in relazione a:
•
Ambiente
•
Abiti dei personaggi
•
Posizione dei personaggi
2. L’ azione assume un’importanza fondamentale nel quadro. Da cosa lo capisci?
3. Il quadro ad una prima lettura rappresenta un momento di passione sentimentale ma
potrebbe avere anche un significato storico. Quale?
4. Ti coinvolge emotivamente l’osservazione di questo quadro? Racconta, in breve, in che
modo e perché?
SALA D’ASCOLTO
Lucio Battisti nasce nel 1943 in un paesino (Poggio Bustone) nei pressi di Rieti. La musica,che è da
sempre la sua passione, lo porta a trasferirsi a Milano ed è qui che si afferma anche come autore di
molte sue canzoni.
Nato a Milano nel 1936, Mogol è uno dei parolieri italiani viventi che ha maggiormente caratterizzato,
con i suoi testi profondi e ispirati, il panorama della musica leggera nazionale: le sue canzoni, molte
100
delle quali interpretate dallo stesso Battisti, sono considerate delle vere e proprie poesie a tutti gli
effetti. Quella che segue ne è uno degli esempi più celebri e riusciti, ricca di metafore e corroborata da
una grande capacità evocativa.
Emozioni [Mogol-Battisti 1970]
Seguir con gli occhi un airone sopra il fiume e poi
ritrovarsi a volare
e sdraiarsi felice sopra l’erba ad ascoltare
un sottile dispiacere
E di notte passare con lo sguardo la collina
per scoprire
dove il sole va a dormire
Domandarsi perché quando cade la tristezza
in fondo al cuore
come la neve non fa rumore
e guidare come un pazzo a fari spenti
nella notte
per vedere
se poi è tanto difficile morire
E stringere le mani per fermare
qualcosa che
è dentro me
ma nella mente tua non c’è
Capire tu non puoi
tu chiamale se vuoi
emozioni
Uscir nella brughiera di mattina
dove non si vede a un passo
per ritrovar se stesso
Parlar del più e del meno con un pescatore
per ore ed ore
per non sentire che dentro qualcosa muore
E ricoprir di terra una piantina verde
sperando possa
nascere un giorno una rosa rossa
E prendere a pugni un uomo solo
Perché è stato un po’ scortese
sapendo che quel che brucia non son le
offese
e chiudere gli occhi per fermare
qualcosa che
è dentro me
ma nella mente tua non c’è
tu chiamale se vuoi
emozioni
tu chiamale se vuoi
emozioni.
1. Quali emozioni e stati d’animo sono descritti nel testo? Elencali, riportando accanto a
ciascuna definizione le parole della canzone che te l’hanno suggerita.
2. Cerca sul dizionario il significato dei termini scritti in neretto.
3. Spiega con parole tue cosa vuol dire l’autore con il ritornello “tu chiamale, se vuoi,
emozioni”.
101
4. Ti è mai capitato di trovarti in una delle situazioni descritte nella canzone? Raccontalo
in un breve testo.
5. Prova a spiegare cos’è per te un’emozione, facendo anche qualche esempio concreto di
situazione da te vissuta e che ritieni particolarmente “emozionante”.
Un tuffo nel Web
www.windoweb.it/guida/letteratura è un sito di approfondimento sulla biografia di
Giovanni Verga
www.brera.beniculturali.it (visita virtuale Pinacoteca di Brera)
102
UN PERCORSO ATTRAVERSO UN TEMA
I GIOVANI E LA FAMIGLIA
Il percorso proposto tocca da vicino il mondo degli adolescenti in relazione al rapporto che si
instaura tra genitori e figli, un rapporto il più delle volte conflittuale ma determinante e
fondamentale nella crescita e nello sviluppo della personalità e del carattere dei ragazzi.
La letteratura affronta spesso la trasformazione delle relazioni tra i giovani e la famiglia, cercando
di analizzare comportamenti e reazioni, specie là dove tali rapporti divengono strumento di una
conflittualità generazionale.
Nell’ ‘800, questo conflitto è talvolta predominante, quasi ai limiti dello scontro tra padre e figlio,
che si fa più intenso quando il contrasto tra i valori dei giovani e quelli imposti dai genitori diventa
insanabile.
Nel ‘900 i figli, che nel passato sono stati per tanto tempo sottoposti ai condizionamenti
dell’autorità genitoriale, in particolare quella paterna, assumono una maggiore consapevolezza del
proprio essere e desiderano riprendersi la libertà tanto cercata.
Si tratta spesso di uno scontro-confronto tra il mondo degli adulti e quello dei ragazzi che lascia
ancora oggi aperte infinite possibilità di intesa e di crescita interiore.
Lo scontro tra il desiderio di ribellione al padre e la totale incapacità di farlo è il tema dominante
del primo brano, che è la Lettera al padre di Franz Kafka. Si tratta di un fortissimo atto d’accusa
che l’autore rivolge al padre, senza mai però avere il coraggio di renderlo esplicito: infatti, egli non
spedirà mai la lettera. Due figure conflittuali e profondamente diverse allo specchio: un padre dalla
forte ed energica personalità, un po’ cinico e poco incline alla gentilezza d’animo, di fronte ad un
figlio sensibile, timido, proteso ad un’analisi interiore che lo porta a corrodersi tra l’amore e l’odio
nei confronti del genitore.
Ne Il Padre di famiglia , tratto da Tutti i racconti di Anton Cechov, si evidenzia la figura di un
padre prepotente, dispotico, un capofamiglia della piccola borghesia russa in cui prevale una
concezione patriarcale, che manifesta il suo carattere deciso e inadeguato al ruolo che esibisce,
assumendo un atteggiamento vittimistico ogni qual volta viene contestato. Dietro all’ambiguo
personaggio si nascondono, fino quasi a scomparire, la figura di una madre addolorata e incapace
di reagire ai soprusi del padre nei confronti del figlio, e il piccolo Fedia, spaventato dai repentini
cambiamenti di temperamento del genitore.
Nel brano Agostino e la madre, tratto dal romanzo Agostino di Alberto Moravia, il filo conduttore
è il doloroso distacco dal legame viscerale tra figlio e madre. Il romanzo narra le vicende di
un’estate trascorsa al mare da un adolescente tredicenne di un’agiata famiglia borghese, orfano di
padre, insieme a sua madre. Si intrecciano due tematiche fondamentali: le differenze sociali e la
scoperta dei primi turbamenti e delle prime pulsioni giovanili. L’adolescenza di Agostino è
travagliata, in quanto la crescita e l’avvicinamento al mondo adulto comporta da sempre il rischio
di una perdita irreversibile: la morte dell’infanzia e la constatazione di un sostanziale cambiamento,
che per lui sarà identificato con la trasfigurazione della figura materna, vista ora come una donna
e non più come madre.
L’ultimo brano è tratto dal romanzo La ballata delle prugne secche di Valeria De Napoli, meglio
conosciuta con lo pseudonimo di Pulsatilla. E’ un libro-diario ricco di spunti divertenti che,
attraverso la penna spensierata e disincantata dell’autrice, tratteggia il mondo adolescenziale
103
moderno con i suoi travagli e le sue insoddisfazioni. Questa volta il rapporto genitori e figli è un
rapporto forse troppo “comodo” il quale, attraverso l’ironia sarcastica della scrittrice, assume i
connotati di una critica allo stereotipo del permissivismo che segue le mode dei tempi, ma che va a
scontrarsi con la reale necessità di autorevolezza dei giovani.
La bellissima opera pittorica che ti presentiamo è un dipinto olio su tela del pittore italiano
Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, intitolata Sacra famiglia con San Giovanni Battista
(1605-1606 circa); essa si trova oggi conservata nel deposito del Metropolitan Museum of Art di
New York e fa parte di una collezione privata; non era mai stata mostrata al pubblico fino al 2001.
Il tema della sacralità della famiglia ha sempre avuto un ruolo importante nell’arte pittorica, specie
dal Medioevo in poi. In questo dipinto, come si addice al grande artista Caravaggio, i personaggi
vibrano di emozioni umane, reali, tangibili nonostante il loro alone di santità. Una famiglia che
riversa amore, aspettative, sogni su un figlio, dono e speranza per un futuro migliore.
Franz Kafka
A TU PER TU CON L’AUTORE
Franz Kafka nasce il 13 luglio del 1883 a Praga da una ricca famiglia ebrea tedesca. Il padre,
imponente nell’aspetto e autoritario nelle maniere, domina prepotentemente la personalità fragile
di Franz, che spesso immagina di scappare di casa. La brutalità dei metodi educativi è tale da far
sentire Franz responsabile anche delle azioni che non ha commesso. I disagi psicologici derivanti
da questo rapporto conflittuale sono documentati in una famosa lettera-confessione del 1919, La
lettera al padre. Kafka si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza dell’università tedesca di Praga, nel
1906 si laurea e lavorerà presso compagnie di assicurazioni. Importante fu la sua amicizia con lo
scrittore tedesco di origine ebraica Max Brod, che fu il suo confidente e biografo. Legge i classici
della letteratura tedesca e francese, si interessa di spiritismo e della cultura ebraica. Ha legami
sentimentali piuttosto tormentati, da lui sempre interrotti, che testimoniano da una parte il suo
desiderio di affetto e dall’altra la profonda insicurezza delle sue scelte: questo sarà il problema di
tutta la sua vita e troverà riflesso nelle sue opere. Nel 1920, per l’aggravarsi del suo male
(tubercolosi), Kafka è costretto ad abbandonare il lavoro e a ritirarsi in campagna dove scrive
molto ma pubblica poco; anzi, incarica l’amico Brod di distruggere tutti i manoscritti dopo la sua
morte, che avverrà nel 1924.
104
Tra le sue opere ricordiamo: I racconti, tra cui La Metamorfosi; i romanzi America, Il Processo; I
Diari e le numerose Lettere.
SALA DI LETTURA
Lettera al padre150
Mio caro papà,
non è molto che mi hai chiesto perché asserisco di aver paura di Te. Come al solito, non ho saputo
rispondere, un po’ per la paura che Tu m’incuti, un po’ perché, per motivare questa paura,
occorrono troppi particolari che non saprei cucire in un discorso. E se ora mi provo a risponderTi
per iscritto, anche questa risposta sarà incompletissima, poiché pur scrivendo mi sento impedito
dalla paura e dalle sue conseguenze, e perché la vastità dell’argomento supera di molto la mia
memoria e la mia intelligenza. […]
E' chiaro che non saprei oggi descrivere direttamente i Tuoi metodi educativi nei primissimi anni,
ma posso immaginarli dagli anni successivi e dal tuo modo di trattare Felix.151 Bisogna per giunta
considerare che allora eri più giovane, quindi più vivace, più impetuoso, più spontaneo, più
spensierato di adesso, e inoltre molto preso dagli affari; Ti vedevo solo una volta al giorno e
l’impressione, tanto più profonda, non si appiattì mai nell’abitudine.
Solo di un incidente dei primi anni ho un ricordo diretto. Forse anche Tu lo rammenti. Una volta, di
notte, io piagnucolavo chiedendo acqua, certo non per sete, ma probabilmente mezzo per
infastidire mezzo per divertirmi. Dopo alcune minacce senza esito, Tu mi togliesti dal letto, mi
portasti sul ballatoio152 e per un poco mi lasciasti lì in camicia davanti alla porta chiusa. Non voglio
dire che ciò fosse ingiusto, forse non c’era altro modo di ristabilire la pace notturna; desidero
soltanto descrivere il Tuo metodo educativo e il suo effetto su di me. Credo bene che fui ridotto
all’obbedienza, ma ne ricevetti un danno interiore. Il fatto per me naturale del chiedere
scioccamente da bere e quello straordinario e terribile di essere messo fuori sul balcone io non
riuscii mai a porli nella giusta correlazione. Ancora per anni soffrii del tormentoso pensiero che mio
padre, il gigante, la suprema istanza153, poteva venire quasi senza motivo nel cuore della notte a
portarmi sul ballatoio, e che io dunque per lui ero meno di niente.
Fu solo un piccolo inizio, ma il senso di nullità che spesso mi assale (un sentimento che sotto altri
aspetti può anche essere nobile e fecondo) ha le sue complesse origini nel Tuo influsso. Avrei
avuto bisogno di qualche incoraggiamento, di un po’ di gentilezza, che mi si aprisse un poco il
cammino, invece Tu me lo nascondevi, sia pure con la buona intenzione di farmene imboccare un
altro. Ma io per questo non ero adatto. Tu mi incoraggiavi ad esempio quando facevo bene il
saluto e marciavo a tempo, ma io non ero un futuro soldato; oppure quando mi riusciva di mangiar
forte e persino di bere birra, o di ripetere canzoni che non capivo e le Tue frasi predilette, ma nulla
di tutto questo apparteneva al mio futuro. […]
Allora, sì, che avrei avuto bisogno in ogni circostanza di incoraggiamento. Bastava la Tua corposità
a opprimermi. Ricordo, ad esempio, che spesso ci spogliavamo nella stessa cabina. Io magro,
sottile, esile, Tu vigoroso, grande, grosso. Già in cabina facevo compassione a me stesso, e non
soltanto di fronte a Te ma di fronte a tutti perché Tu eri per me la misura di tutte le cose. Quando
poi si usciva fuori in mezzo alla gente, io condotto per mano, uno scheletrino incespicante a piedi
nudi sul tavolato, pauroso dell’acqua, incapace di imitare i movimenti di nuoto che Tu, con buone
intenzioni ma con mia profonda vergogna, non Ti stancavi di mostrarmi, allora ero proprio
disperato e tutte le mie peggiori esperienze in ogni campo in quel momento concordavano
150
da: F. Kafka, Epistolario, Mondadori, Milano 1964
Felix: figlio della sorella maggiore Elli e nipote di Franz Kafka,.
152
ballatoio: terrazzo.
153
la suprema istanza: la più alta autorità
151
105
spaventosamente. Era meglio quando, a volte, Ti spogliavi per primo e io potevo indugiare nella
cabina e rinviare la vergogna della comparsa in pubblico finché Tu non venivi a vedere e a tirarmi
fuori. Ti ero grato perché non mostravi di accorgerTi della mia angoscia, ed ero orgoglioso del
corpo di mio padre, del resto questa diversità sussiste fra noi ancora oggi.
Alla Tua superiorità fisica faceva riscontro quella spirituale. Tu Ti eri innalzato con le Tue sole
forze, di conseguenza avevi una fiducia illimitata in Te stesso. Per il bambino ciò era meno
evidente di quanto non lo fu per il giovane che si faceva adulto. Dalla Tua poltrona Tu governavi il
mondo. La Tua opinione era giusta,ogni altra era assurda, stravagante, pazza, anormale. La Tua
sicurezza era così grande che potevi anche essere incoerente e tuttavia non cessavi di aver
ragione. Accadeva anche che su certe questioni Tu non avessi opinione alcuna, e allora tutte le
opinioni possibili intorno a quel tema dovevano essere sbagliate senza eccezione. Per esempio
insultavi prima i cechi, poi i tedeschi, poi ancora gli ebrei, e ciò non a proposito di alcunché in
particolare, ma sotto tutti i riguardi, tanto che alla fine Tu solo rimanevi. Acquistasti ai miei occhi
un alone misterioso, come tutti i tiranni, il cui diritto si fonda sulla loro persona, non sul pensiero.
A me, almeno, pareva così.
[…]
Quando, bambino, mi trovavo con Te, specialmente durante i pasti mi istruivi soprattutto sul modo
di comportarsi a tavola. Quello che compariva sulla mensa doveva essere mangiato, non era
permesso parlare della bontà dei cibi – Tu però li trovavi sovente immangiabili e li chiamavi «buoni
per le bestie»; la «cretina» (la cuoca) aveva rovinato tutto. Mentre tu, grazie al Tuo gagliardo
appetito e al Tuo amore della rapidità, mangiavi tutto bollente e a grossi bocconi, il bambino
doveva affrettarsi; e intanto sulla tavola incombeva un tetro silenzio interrotto da ammonimenti:
«Prima mangia, palerai dopo!»; «più presto, più presto!» oppure: «guarda, io ho già finito da un
pezzo». Non era permesso rosicchiare le ossa, ma Tu lo facevi. L’aceto non si doveva assaggiare,
ma a Te era consentito. La cosa più importante era di tagliare il pane diritto; ma che poi Tu lo
facessi con un coltello sporco di sugo era indifferente. Bisognava badare di non lasciar cadere
briciole sul pavimento, ma sotto la Tua sedia ce n’era un’infinità. A tavola si doveva badare solo a
nutrirsi, Tu invece ti tagliavi e pulivi le unghie, temperavi matite, Ti frugavi nelle orecchie con uno
stuzzicadenti. Ti prego, papà, cerca di capirmi: per me sarebbero state tutte cosette insignificanti,
ma diventavano opprimenti per il fatto che Tu, l’uomo per me così autorevole, non Ti attenevi ai
precetti154 che mi imponevi. Perciò il mondo era diviso per me in tre parti: nell’una vivevo schiavo,
sottoposto a leggi inventate solo per me e alle quali io, non so per quali ragioni, non sapevo
appieno assoggettarmi; nella seconda, infinitamente lontano dalla mia, vivevi Tu, partecipe al
governo, occupato a dare ordini e a irritarTi quando non erano obbediti; e infine c’era un terzo
mondo dove la gente viveva felice e libera da comandi e obbedienze. Io vivevo sempre nella
vergogna, sia che seguissi i Tuoi ordini, e ciò era un’onta155 perché valevano per me solo, sia che
mi ribellassi, perché come osavo oppormi a Te? sia che non mi fosse possibile obbedirTi perché
non avevo, mettiamo, né la Tua forza né il Tuo aspetto né la Tua abilità, benché Tu le pretendessi
da me come qualcosa di ovvio; questo, naturalmente, era la vergogna più grande. In tal modo si
eccitavano non le riflessioni ma i sentimenti del bambino.
L’impossibilità di tranquilli scambi di idee ebbe un’altra conseguenza, in fondo assai naturale: io
disimparai a parlare. In nessun caso sarei diventato un grande oratore, ma avrei saputo servirmi
con facilità del comune linguaggio umano. Sin dal principio mi vietasti la parola: la Tua minaccia
«non una sillaba di protesta!» e la mano alzata mi accompagnano da anni e anni. Davanti a Te –
Tu sei, sui temi che T’interessano, un eccellente conversatore – io mi mettevo a parlare con
impuntature e balbettii, ma per Te era ancora troppo; alla fine tacevo, prima forse per orgoglio,
poi perché al tuo cospetto non riuscivo né a pensare né a parlare. E poiché Tu fosti il mio unico
educatore, ciò influì su tutta la mia vita.
[…]
154
155
precetti: norme relative al comportamento
onta: vergogna
106
Non ricordo che Tu mi abbia mai insultato direttamente e con autentici improperi156. Del resto non
era necessario. Avevi tanti altri mezzi, e nella conversazione in casa e ancor di più in negozio le
contumelie157 volavano e s’accavallavano così numerose che io, ragazzino, n’ero quasi intontito e
non avevo ragione di non riferirle anche a me stesso, perché le persone che Tu insultavi non erano
certo peggiori di me e Tu non eri certo meno scontento di me che di loro. Ed ecco anche qui la
Tua misteriosa innocenza e inattaccabilità, Tu inveivi senza farTi alcuno scrupolo, mentre negli altri
condannavi le invettive e le proibivi.
Rafforzavi le ingiurie con minacce, e questo concerneva anche me. Era terribile, per esempio,
sentirTi dire: «Ti sbrano come un pesce» benché io sapessi che non seguiva nulla di grave
(quando ero piccino però non lo sapevo); ma in fondo corrispondeva al mio concetto della Tua
potenza il crederTi capace anche di ciò. Avevo paura di Te anche quando correvi gridando intorno
al tavolo per acchiapparmi; evidentemente non avevi nessuna intenzione di prendermi, ma lo
fingevi lo stesso, e alla fine la mamma apparentemente mi salvava. Al bambino sembrava di aver
avuto anche questa volta la vita salva per grazia Tua, e la portava seco come un regalo
immeritato. Qui rientrano anche le minacce per le conseguenze della disubbidienza. Se io mi
mettevo a fare qualcosa che non Ti piaceva, e Tu mi predicevi l’insuccesso, il rispetto della Tua
opinione era tale che l’insuccesso, sia pure rinviato, era inevitabile. Perdevo così la fiducia nelle
mie azioni. Ero incostante, dubbioso. Quanto più crescevo, tanto più vasto era il materiale che
potevi produrre a riprova della mia pochezza; a poco a poco, in un certo senso finivi per aver
ragione. Di nuovo mi guardo dal sostenere che divenni così soltanto per colpa Tua; Tu rafforzasti
solo ciò che già c’era, ma lo rafforzasti molto, appunto perché in confronto a me eri assai forte e vi
impiegavi tutte le Tue forze.
In fatto d’educazione Tu avevi una speciale fiducia nell’ironia, che concordava meglio di tutto con
la Tua superiorità su di me. Un Tuo rimprovero di solito prendeva questa forma: «Non puoi fare
così e così? Ti costa troppa fatica? Naturalmente ci vuol troppo tempo…» e simili. Ogni domanda
era accompagnata da un sorriso cattivo e da un volto duro. Ero, in un certo qual modo, già punito
prima di sapere che avevo fatto qualcosa di male. Esasperanti erano anche le osservazioni fatte in
terza persona, senza neanche degnarmi del rimprovero diretto, per cui ad esempio dicevi alla
mamma, ma in realtà parlando a me che ero lì presente: «Dal signor figlio questo non si può certo
pretendere!» e simili. (La contropartita fu che io non osavo – e finii per abitudine col non pensarci
neanche più – interrogarTi direttamente quando la mamma era presente. Era molto meno
pericoloso per il bambino chiedere alla mamma che era accanto a Te: «Come sta il babbo?» e
garantirsi così delle sorprese). Certo v’erano casi in cui si approvava anche l’ironia più feroce, e
cioè quando colpiva un altro, per esempio Elli158 con la quale io fui per molti anni in pessimi
rapporti. Era per me una festa di cattiveria e di malignità sentirTi dire quasi ad ogni pasto: «Dieci
metri lontano dal tavolo ha da sedere la cicciona!» e vedere come la scimmiottavi senz’ombra di
bonarietà e di umorismo, bensì come un acerbo nemico, per farle vedere come Ti urtava. Per
quanto frequentemente si ripetessero questa e simili scene, ne ricavasti in verità ben scarsi
risultati. Probabilmente perché i Tuoi scoppi di collera e di malevolenza non stavano nel giusto
rapporto con la causa; si aveva l’impressione che l’ira non fosse prodotta da una ragione futile,
come il fatto che Elli sedesse discosta dalla tavola, ma che la carica fosse già pronta, e avesse
preso, a caso, quel pretesto per esplodere. Convinti che un pretesto si sarebbe trovato comunque,
non ci davamo molta pena per evitarlo, e si faceva il callo alla continua minaccia: di non essere
picchiati ci sentimmo coll’andare del tempo quasi sicuri. Diventai così un bambino immusonito,
disattento, niente affatto docile, con la mente pronta alla fuga, ma una fuga quasi sempre
interiore.
156
improperi: insulti.
contumelie: offese verbali.
158
Elli: sorella maggiore di Kafka
157
107
LABORATORIO DEL TESTO
Proposte di lavoro sulla comprensione e/o analisi testuale e
tematica
1. Chi sono il mittente e il destinatario di questa lettera?
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2. Perché alcuni pronomi e aggettivi possessivi sono scritti con la maiuscola?
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3. Qual è il sentimento dominante nell’animo del figlio nei confronti del padre?
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4. Di quale fatto accaduto nella prima infanzia Kafka ha un ricordo diretto? Cosa accadde?
Spiega quale fu il suo comportamento e la punizione data dal padre.
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5. Il carattere e la personalità del figlio corrispondevano alle aspettative del padre? Sì / No.
Perché?
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6. Con quali aggettivi e altre espressioni viene descritto fisicamente il padre? E come descrive
se stesso il figlio? A cosa si paragona?
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7. Kafka paragona il modo di fare e di ragionare del padre a quello di un …
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8. Quando Kafka era bambino quali erano le regole di comportamento a tavola durante i
pasti? Elencale dettagliatamente in una colonna e accanto fai il confronto con il
comportamento tenuto dal padre.
108
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9. Spiega che cosa vuol dire il figlio quando parla di “mondo diviso in tre parti”.
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10. Oltre alle parole, quali altri modi e segnali usa il padre per far sentire in colpa il figlio?
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11. Il padre come tratta la sorella Elli?
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12. In conclusione questo padre rappresenta per il figlio un modello da imitare, da ammirare da
lontano o a cui contrapporsi?
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Proposte di riscrittura e rielaborazione
1. Dividi la lettera in unità tematiche o macrosequenze e attribuisci ad ognuna un titolo/frase;
poi riassumi il contenuto della lettera servendoti delle sequenze titolate.
2. Secondo te come si dovrebbe comportare un padre con un figlio, specie nell’infanzia? E
nell’adolescenza? Rifletti e discutine in classe con i compagni e l’insegnante.
Proposte di produzione testuale
1. Hai mai provato verso tuo padre o tua madre sentimenti e sensazioni simili a quelle
descritte nella lettera (paura / minaccia / derisione / vergogna / senso di nullità / senso di
colpa)? Racconta un episodio significativo in forma di diario.
2. In questo periodo della tua vita ti senti abbastanza forte interiormente? Cosa potrebbe far
aumentare la tua fiducia in te stesso? Racconta una situazione in cui un tuo familiare ha
fatto crescere la tua autostima.
3. Immagina di essere tu il padre di Kafka: cosa scriveresti come risposta alla lettera di tuo
figlio?
109
Anton Pavlovic Cechov
A TU PER TU CON L’AUTORE
Anton Pavlovic Cechov nacque in Ucraina nel 1860 da una famiglia di umili origini. Per motivi
economici fu costretto a lavorare per mantenersi agli studi e si laureò in medicina nel 1886. Nel
frattempo cominciò a dedicarsi alla letteratura, che divenne la sua passione. Viaggiò molto
all’estero e soggiornò anche in Italia. Alternò la professione di medico a quella, più amata, di
scrittore. Nel 1901 si sposò con Olga Knipper, ma l’unione venne presto stroncata dalla morte
prematura dell’autore (da tempo ammalato di tubercolosi) nel 1904.
Scrisse racconti e opere teatrali, le più famose sono Il Gabbiano, Zio Vanja, Tre Sorelle, Il Giardino
dei ciliegi.
Le sue opere risentono dell’influenza sia del naturalismo che del simbolismo, ma hanno uno
sviluppo originale e indipendente. Infatti nella scrittura cecoviana c’è la tendenza a presentare la
realtà così com’è, con un’indagine psicologica sui personaggi.
SALA DI LETTURA
Il padre di famiglia159
Ciò capita di solito dopo una buona perdita al giuoco o dopo una bisboccia160, quando gli si scatena
il catarro. Stepàn Stepànic’ Zilin si desta in una disposizione inconsuetamente fosca. Ha un aspetto
agro161, sciupato, scarruffato; sul volto grigio un’espressione di malcontento: vuoi che sia offeso,
vuoi che sia disgustato di qualche cosa. Si veste lentamente, lentamente beve il suo Vichy162 e
comincia a girare per tutte le stanze. «Vorrei sapere che b-b-bestia va per qui e non chiude gli
usci!» brontola stizzoso, avvolgendosi nella veste da camera e scatarrando forte.
«Riporre questa carta! Perché è qui in giro? Teniamo venti servi, c’è meno ordine che in una
bettola. Chi ha sonato? Chi è venuto?».
«E’ nonna Anfissa, quella che ha visto nascere il nostro Fedia», risponde la moglie.
«Bazzicano qui…mangiaufo!»
«Non ti si capisce, Stepàn Stepànic’. Tu stesso l’hai invitata e ora sbraiti».
159
da: A.P: Cechov, Tutti i racconti, Rizzoli, Milano, 1975.
bisboccia: abbondante mangiata e bevuta in compagnia di amici.
161
agro: severo
162
Vichy: è una città della Francia famosa per le sue acque termali, in questo caso indica l’acqua stessa.
160
110
«Io non sbraito, ma parlo. Faresti meglio ad occuparti di qualcosa mammina, invece di startene
così, con le mani in grembo, e cercare di attaccar briga! Non capisco queste donne, sull’onor mio!
Non le ca-pi-sco! Come possono passare giornate intere senza far nulla? Il marito lavora, si dà da
fare, come un bue, come una b-b-bestia, e la moglie, la compagna della vita, se ne sta lì come un
gingillo, non fa niente e aspetta solo il destro163di litigar dalla noia col marito. E’ tempo mammina,
si smettere queste abitudini da collegiale! Tu ora non sei più un’educanda, ma una signorina, ma
una madre, una moglie! Ti volti in là? Aah! Dispiace ascoltar verità amare?»
«Strano che le verità amare tu le dica soltanto quando ti fa male il fegato».
«Sì, comincia a far scene, comincia…»
«Tu ieri sei stato fuori di città? O hai giocato da qualcuno?»
«E se così fosse? A chi deve importare? Son forse tenuto a dar conto a qualcuno? Forse che perdo
quattrini non miei? Ciò che io stesso spendo e ciò che si spende in questa casa appartiene a me!
Sentite? A me!»
E così via sempre su questo metro164. Ma in nessun altro momento Stepàn Stepànic’ è così
giudizioso, virtuoso, severo e giusto come a pranzo, quando intorno a lui siedono tutti i suoi di
casa. Si comincia solitamente dalla minestra. Inghiottita la prima cucchiaiata, Zilin d’un tratto
aggrotta le ciglia e smette di mangiare.
«Lo sa il diavolo che cosa…» borbotta. «Toccherà, si vede, pranzare in trattoria».
«E che c’è?» si mette in apprensione la moglie. «forse la minestra non è buona?»
«Non so che gusto da maiale bisogna avere per mandar giù questa broda! Troppo salata, puzza di
stracci…cimici in luogo di cipolle… E’ semplicemente rivoltante, Anfissa Ivànovna!» si rivolge alla
nonnina ospite. «Ogni giorno dài un sacco di soldi per la spesa…a te ti neghi tutto, ed ecco di che
ti nutrono! Vogliono probabilmente che vada io stesso in cucina a cucinare».
«La minestra oggi è buona…» osserva timidamente l’istitutrice.
«Sì? Vi pare?» dice Zilin, sbirciandola iroso. «Del resto, ciascuno ha i suoi gusti. In generale,
bisogna riconoscerlo, noi differiamo grandemente nei gusti, Varvara Vassìlevna: A voi, per
esempio, piace la condotta di questo monello» (Zilin con gesto tragico indica il proprio figlio Fedia)
«voi andate in estasi per lui, e io…io sono indignato. Sissignora!»
Fedia, un ragazzino di sette anni dal viso pallido, malaticcio, smette di mangiare e abbassa gli
occhi. Il suo volto impallidisce ancor di più.
«Sissignora, voi andate in estasi, e io sono indignato… Chi di noi abbia ragione non so, ma oso
pensare che io, come padre, conosco mio figlio meglio di voi. Guardate come sta seduto! Stan
forse seduti così i fanciulli educati? Siedi per benino!»
Fedia alza su il mento e allunga il collo, e gli pare di sedere più composto. Nei suoi occhi spuntano
lacrime.
«Mangia! Tieni il cucchiaio come si deve! Aspetta t’aggiusterò io, brutto monello! Non osar
piangere! Guardami diritto!»
Fedia si sforza di guardar diritto, ma il viso gli trema e gli occhi si riempiono di lacrime.
«Aaah!...tu piangere? Hai torto, e piangi? Vattene, mettiti nell’angolo animale!»
«Ma…che pranzi prima!» interviene la moglie.
«Senza pranzo! Tali masc…tali monelli non hanno il diritto di pranzare!»
Fedia, storcendo il viso e con moti convulsi in tutto il corpo, scivola dalla sedia e va nell’angolo.
«Se no, avrai il resto!» continua il genitore. «Se nessuno vuole occuparsi della tua educazione, sia
pure, comincerò io…con me caro non farai il monello e non piangerai a pranzo! Scioccone! Bisogna
darsi da fare! Capisci? Darsi da fare! Tuo padre lavora, lavora anche tu! Nessuno deve mangiare il
pane a ufo! Bisogna essere uomo! U-o-mo!»
«Smetti, per l’amor di Dio!» prega la moglie in francese. «Almeno in presenza di estranei non
sbranarci…La vecchia sente tutto e ora, in grazia sua, tutta la città saprà…»
«Io non ho timore degli estranei» risponde Zilin in russo. «Anfissa Ivànovna vede che io dico
giusto. E che, secondo te, devo essere contento di questo ragazzaccio? Sai quanto mi costa? Lo
sai, brutto monello, quanto mi costi? O credi che i soldi li fabbrichi, che mi tocchino gratis? Non
163
164
destro: momento giusto
metro: parametro, tono.
111
frignare! Silenzio! Ma mi senti o no? Vuoi che ti frusti, farabutto che sei?» Fedia strilla forte e
comincia a singhiozzare.
«Questo, infine, è intollerabile!» dice sua madre, alzandosi da tavola e gettando il tovagliolo. «Mai
che ci lasci pranzare in pace! Ecco che ne fa del tuo boccone!»
Ella accenna alla nuca e, portato il fazzoletto agli occhi se ne esce dalla sala da pranzo
«S’è offesa la signora…» brontola Zilin, con un sorriso forzato. «Educata al tenero…Ecco lì, Anfissa
Ivànovna, non garba oggidì sentire la verità…E poi il torto è nostro!»
Passano alcuni minuti di silenzio. Zilin dà un’occhiata in giro ai piatti e, accortosi che nessuno ha
toccato la minestra, sospira profondamente e squadra a bruciapelo165 il viso arrossato, pieno di
apprensione dell’istitutrice.
«Perché non mangiate, Varvara Vassìlevna?» domanda «Vi siete dunque offesa? Così è… La verità
non piace. Su via, scusate, tale è la mia natura, non posso far l’ipocrita… Dico sempre la verità
chiara e tonda» (un sospiro). «Osservo però che la mia presenza e sgradita. Davanti a me non
possono né mangiare né parlare… Ebbene? Se me l’avessero detto sarei uscito… E uscirò». Zilin si
alza e con dignità va verso l’uscio. Passando accanto a Fedia piangente, si ferma.
«Dopo tutto ciò che qui è accaduto, voi siete lib-b-ero!» dice a Fedia, gettando indietro la testa
con dignità. «Io nella vostra educazione non mi immischio più. Me ne lavo le mani! Domando
scusa che sinceramente, come padre, volendo il vostro bene, ho disturbato voi e le vostre
dirigenti. In pari tempo, una volta per tutte mi scarico delle responsabilità per la vostra sorte…»
Fedia strilla e singhiozza ancora più forte. Zilin con dignità gira verso l’uscio e se ne va nella sua
camera.
Zilin, fatta una buona dormita dopo pranzo, comincia a sentire rimorsi di coscienza. Gli rincresce
della moglie, del figlio, di Anfissa Ivànovna, e prova perfino una pena insopportabile al ricordo di
ciò che è stato a pranzo, ma l’amor proprio è troppo grande, manca il coraggio di esser sincero, ed
egli continua a fare il broncio e a brontolare…
Destatosi il mattino del giorno dopo, si sente di ottimo umore e, nel levarsi, fischietta
allegramente. Giungendo in sala da pranzo a bere il caffè, vi trova Fedia, che alla vista del padre si
alza e lo guarda smarrito.
«Bè che c’è giovanotto? Te la passi bene? Su vieni bofficione166, e dà un bacio a tuo padre».
Fedia, pallido, con la faccia seria, si avvicina la padre e sfiora con le labbra tremanti la sua
guancia, quindi si scosta in silenzio e siede al suo posto.
LABORATORIO DEL TESTO
Proposte di lavoro sulla comprensione e/o analisi
testuale e tematica
1. Dov’è ambientata la storia?
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2. Quali sono i personaggi di questo racconto? Individua e descrivi il protagonista
evidenziando gli atteggiamenti e gli stati d’animo tipici del suo carattere.
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165
166
squadra a bruciapelo: guarda attentamente da vicino
bofficione: cicciottello.
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3. Che opinione ha Stepàn di se stesso?
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4. Come viene descritto Fedia e che rapporto ha con il padre?
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5. Più volte viene usata l’espressione “mangiaufo”: che significa?
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6. Trovi che i metodi adottati dal padre verso la moglie e il figlio siano adeguati? Sì / No.
Perché?
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7. Il narratore è esterno o interno? Motiva la tua risposta
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8. Qual è il tempo verbale prevalentemente usato nella narrazione? In che modo influisce
sulla distanza tra il lettore e la storia? La accorcia o la aumenta?
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9. Spiega cosa significa il termine “famiglia patriarcale”.
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10. Nei dialoghi ci sono frequenti reticenze, rintracciale e sottolineale.
11. Individua gli aggettivi e gli appellativi ironici e crudeli con cui il padre si rivolge al figlio e
alla moglie.
113
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Proposte di riscrittura e rielaborazione
1.
Confronta questo racconto con la Lettera al padre di Kafka: trova le somiglianze e le
differenze nei personaggi e scrivi le tue riflessioni.
Proposte di produzione testuale
1. Narra il racconto in prima persona adottando il punto di vista di Fedia.
Alberto Moravia
A TU PER TU CON L’AUTORE
Alberto Moravia (pseudonimo di Alberto Pincherle) nasce nel 1907 a Roma da una famiglia
dell’alta borghesia; a causa di una lunga malattia giovanile è costretto a stare a lungo nella propria
casa dove compie gli studi, le numerosissime letture e scrive Gli Indifferenti, il suo romanzo
giovanile (1929) che decreta l’inizio di una lunga e fortunata carriera letteraria e giornalistica, ma
nello stesso tempo l’ostilità del regime fascista, che lo spinge spesso ad assentarsi dall’Italia.
Durante gli anni Trenta la sua scrittura diviene più intima e psicologica come nel romanzo
Agostino, in cui presenta la sua adolescenza resa dolorosa dalla durezza dei rapporti umani. Le sue
delusioni si tradurranno in cocenti frustrazioni, le consolanti sicurezze dell’infanzia sono ormai
lontane e non più recuperabili, così per conseguire le certezze dell’età adulta Agostino dovrà
lasciare che trascorra ancora “molto tempo infelice”.
Al periodo post-bellico, tra il 1947 e il 1959, appartengono i romanzi: La Romana,La Ciociara, I
Racconti Romani e I Nuovi Racconti Romani, nei quali i protagonisti sono personaggi tratti dal
sottoproletariato della capitale, un’umanità che campa di stenti, spesso disoccupata, gravata dal
peso di un’origine infelice ed esasperata dall’indifferenza del mondo esterno.
Negli anni sessanta la narrazione dell’autore si arricchisce di forme nuove legate al romanzo
sperimentale, alla psicoanalisi (con particolare riguardo alle problematiche sessuali) come:
L’attenzione, La cosa, L’uomo che guarda. Infine, di Moravia non vanno dimenticati l’attività
giornalistica, i saggi di attualità e di critica letteraria.
Muore a Roma nel 1990.
114
SALA DI LETTURA
Agostino e la madre167
Nei primi giorni d'estate, Agostino e sua madre uscivano tutte le mattine sul mare in pattino. Le
prime volte, la madre aveva fatto venire anche un marinaio, ma Agostino aveva mostrato per così
chiari segni che la presenza dell'uomo l'annoiava, che da allora i remi furono affidati a lui. Egli
remava con un piacere profondo su quel mare calmo e diafano del primo mattino e la madre,
seduta di fronte a lui, gli discorreva pianamente, lieta e serena come il mare e il cielo, proprio
come se lui fosse stato un uomo e non un ragazzo di tredici anni. La madre di Agostino era una
grande e bella donna ancora nel fiore degli anni; e Agostino provava un sentimento di fierezza
ogni volta che si imbarcava con lei per una di quelle gite mattutine. Gli pareva che tutti i bagnanti
della spiaggia li osservassero ammirando sua madre e invidiando lui; convinto di avere addosso
tutti gli sguardi, gli sembrava di parlare con una voce più forte del solito, di gestire in una maniera
particolare, di essere avvolto da un'aria teatrale ed esemplare come se invece che sopra una
spiaggia, si fosse trovato con la madre sopra una ribalta, sotto gli occhi attenti di centinaia di
spettatori. Talvolta la madre si presentava in un costume nuovo; e lui non poteva fare a meno di
notarlo ad alta voce, con desiderio segreto che altri lo udisse; oppure lo mandava a prendere
qualche oggetto nella cabina, restando ritta in piedi sulla riva, presso il pattino. Egli ubbidiva con
una gioia segreta, contento di prolungare, sia pure di pochi momenti, lo spettacolo della loro
partenza. Finalmente salivano sul pattino, Agostino si impadroniva dei remi e lo spingeva al largo.
Ma ancora a lungo restavano nel suo animo il turbamento e l'infatuazione di questa sua filiale
vanità. Come si trovavano a gran distanza dalla riva, la madre diceva al figlio di fermarsi, si
metteva in capo la cuffia di gomma, si toglieva i sandali e scivolava in acqua. Agostino la seguiva.
Ambedue nuotavano intorno al pattino abbandonato coi remi penzolanti; parlando lietamente con
voci che suonavano alte nel silenzio del mare piatto e pieno di luce. Talvolta la madre indicava un
pezzo di sughero galleggiante a qualche distanza e sfidava il figlio a raggiungerlo a nuoto. Ella
concedeva al figlio un metro di vantaggio; poi, a grandi bracciate, si slanciavano verso il sughero.
Oppure gareggiavano a tuffarsi dal sedile del pattino. L'acqua liscia e pallida si squarciava sotto i
loro tuffi. Agostino vedeva il corpo della madre inabissarsi circonfuso di un verde ribollimento e
subito le si slanciava dietro, con desiderio di seguirla ovunque, anche in fondo al mare. Si
gettava nella scia materna e gli pareva che anche l'acqua così fredda e unita serbasse la traccia del
passaggio di quel corpo amato. Finito il bagno, risalivano sul pattino e la madre guardando intorno
al mare calmo e luminoso diceva: "Come è bello, nevvero?" Agostino non rispondeva perchè‚
sentiva che il godimento di quella bellezza del mare e del cielo, egli lo doveva soprattutto
all'intimità profonda in cui erano immersi i suoi rapporti con sua madre. Non ci fosse stata questa
intimità, gli accadeva talvolta di pensare, che sarebbe rimasto di quella bellezza? Restavano
ancora a lungo ad asciugarsi, nel sole che, avvicinandosi il mezzodì, si faceva più ardente; poi la
madre si distendeva sulla traversa che univa le due navicelle del pattino e, supina, i capelli
nell'acqua il viso rivolto al cielo, gli occhi chiusi, pareva assopirsi, mentre Agostino, seduto sul
banco, si guardava intorno, guardava la madre e non fiatava per timore di turbare quel sonno.
Ad un tratto la madre apriva gli occhi e diceva che era un piacere nuovo stare distesa sul dorso
con gli occhi chiusi, sentendo l'acqua trascorrere e ondeggiare sotto la schiena, oppure
domandava ad Agostino che le porgesse il portasigarette; o meglio che accendesse lui stesso la
sigaretta e gliela desse, tutte cose che Agostino eseguiva con compunta e trepida attenzione.
Quindi la madre fumava in silenzio e Agostino se ne stava chino, voltandole le spalle ma con la
testa girata di fianco, in modo da poter vedere le nuvolette di fumo azzurro che indicavano il
167
Da A. Moravia, Agostino, Bompiani, Milano 1945.
115
luogo dove la testa della madre riposava, i capelli sparsi nell'acqua. Ancora, la madre che non
sembrava mai saziarsi del sole, pregava Agostino di remare e di non voltarsi: intanto lei si sarebbe
tolto il reggipetto e avrebbe abbassato il costume sul ventre, in modo da esporre tutto il corpo alla
luce solare. Agostino remava e si sentiva fiero di questa incombenza come di un rito a cui gli fosse
concesso di partecipare. E non soltanto non gli veniva in mente di voltarsi, ma sentiva quel corpo,
là dietro di lui, nudo al sole, come avvolto in un mistero cui doveva la massima venerazione.
Una mattina, la madre si trovava sotto l'ombrellone, e Agostino, seduto sulla rena accanto a lei,
aspettava che venisse la solita ora della gita in mare. Tutto ad un tratto l'ombra di una persona
ritta parò il sole davanti a lui: levati gli occhi, vide un giovane bruno e adusto168 che tendeva la
mano alla madre. Non ci fece caso, pensando ad una delle solite visite casuali; e, tiratosi un po' da
parte, aspettò che la conversazione fosse finita. Ma il giovane non sedette come gli era proposto,
e indicando sulla riva il pattino bianco con il quale era venuto, invitò la madre per una passeggiata
in mare. Agostino era sicuro che la madre avrebbe rifiutato questo come tanti altri simili inviti
precedenti; grande perciò fu la sua sorpresa vedendola subito accettare, cominciare senz'altro a
radunare la roba, i sandali, la cuffia, la borsa, e poi levarsi in piedi. La madre aveva accolto la
proposta del giovane con una semplicità affabile e spontanea in tutto simile a quella che metteva
nei rapporti con il figlio; con la stessa semplicità e spontaneità, volgendosi ad Agostino che era
rimasto seduto e badava, a testa china, a far scorrere la rena nel pugno chiuso, ella gli disse che
facesse pure il bagno da solo, lei andava per un breve giro e sarebbe tornata tra non molto. Il
giovane, intanto, come sicuro del fatto suo, già si avviava verso il pattino; e la donna,
docilmente, si incamminò dietro dl lui con la solita lentezza maestosa e serena. Il figlio,
guardandoli, non potè, fare a meno di dirsi che quella fierezza, quella vanità, quell'emozione che
provava durante le loro partenze per il mare, adesso dovevano essere nell'animo di quel giovane.
Vide la madre salire sul pattino e il giovane, tirando indietro il corpo e puntando i piedi contro il
fondo, con poche remate vigorose portare l'imbarcazione fuori dell'acqua bassa della riva. Il
giovane remava, la madre di fronte a lui si teneva con le due mani al sedile e pareva
chiacchierare. Poi il pattino gradualmente rimpicciolì, entrò nella luce abbagliante che il sole
spandeva sulla superficie del mare e in essa lentamente si dissolse.
Rimasto solo, Agostino si distese nella sedia a sdraio di sua madre e, un braccio sotto la nuca, gli
occhi rivolti al cielo, assunse un atteggiamento riflessivo e indifferente. Gli pareva che come tutti i
bagnanti della spiaggia dovevano aver notato nei giorni passati le sue partenze con sua madre,
così, allo stesso modo, non potesse essere loro sfuggito che quel giorno la madre aveva lasciato a
terra per andarsene con il giovane del pattino. Per questo egli non doveva assolutamente mostrare
i sentimenti di disappunto e di delusione che l'amareggiavano. Ma per quanto cercasse di darsi
un'aria di compostezza e di serenità gli sembrava egualmente che tutti dovessero leggergli in viso
l'inconsistenza e lo sforzo di questo atteggiamento. Ciò che lo offendeva di più non era tanto il
fatto che la madre gli avesse preferito il giovane, quanto la felicità gioiosa, sollecita, come
premeditata con la quale aveva accettato l'invito. Era come se ella avesse deciso dentro di sè‚ di
non lasciarsi sfuggire l'occasione e appena si presentasse, di coglierla senza esitare. Era come se
ella durante tutti quei giorni in cui era uscita in mare con lui, si fosse sempre annoiata; e non ci
fosse venuta che in mancanza di compagnia migliore. […]
La madre, quel giorno, rimase in mare un paio d'ore, dall'ombrellone egli la vide scendere sulla
riva, porgere la mano al giovane e, senza fretta, la testa china sotto il sole di mezzogiorno,
avviarsi verso la cabina. La spiaggia ormai era deserta; e questo era una consolazione per
Agostino, sempre convinto che la gente avesse gli occhi fissi sopra di loro. "Che cosa hai fatto?"gli
chiese la madre con tono indifferente. "Mi sono molto divertito, " incominciò Agostino; e inventò
che era stato in mare anche lui con i ragazzi della cabina attigua alla loro. Ma già la madre non
l'ascoltava più, correva verso la cabina per rivestirsi. Agostino decise che il giorno dopo, appena
avesse visto spuntare sul mare il pattino bianco del giovane, si sarebbe allontanato con qualche
pretesto; in modo da non soffrire per la seconda volta l'affronto di essere lasciato a terra. Ma il
giorno dopo, appena fece il gesto di allontanarsi, si sentì richiamare da sua madre. "Vieni, " ella
168
adusto: scuro per l’abbronzatura
116
diceva alzandosi e radunando la roba, "si va in mare. " Agostino, pensando che la madre avesse
in mente di congedare il giovane e restare sola con lui, la seguì. Il giovane li aspettava ritto sul
pattino; la madre lo salutò e disse semplicemente: "Porto anche mio figlio. " Così Agostino, assai
scontento, si ritrovò seduto accanto alla madre, di fronte al giovane che remava.
Agostino aveva sempre visto sua madre ad un modo, ossia dignitosa, serena, discreta. Fu assai
stupito osservando, durante la gita, il cambiamento intervenuto non soltanto nel suoi modi e nei
suoi discorsi, ma anche, si sarebbe detto, nella sua persona; quasi che, addirittura, ella non fosse
più stata la donna di un tempo. Erano appena usciti in mare che la madre, con una frase pungente
e allusiva, per Agostino affatto oscura, aveva iniziato una curiosa e serrata conversazione. Si
trattava, a quel che potè capire Agostino, di un'amica del giovane la quale aveva un altro
corteggiatore più fortunato e accetto del giovane stesso; ma questo non fu che il pretesto; poi il
discorso continuò, insinuante, insistente, dispettoso, malizioso. Dei due la madre pareva la più
aggressiva e al tempo stesso la più disarmata; mentre il giovane badava a risponderle con una
calma quasi ironica, come sicuro del fatto suo. La madre pareva a momenti scontenta e addirittura
adirata con il giovane; di che Agostino si rallegrava, ma subito dopo, con sua delusione, una frase
lusinghiera di lei distruggeva questa prima impressione. Oppure la madre muoveva al giovane,
con tono risentito, una filza di oscuri rimproveri. Ma invece di vedere il giovane offendersi,
Agostino sorprendeva sul suo viso un'espressione di fatua vanità; e concludeva che quei rimproveri
non erano tali che in apparenza; e nascondevano un senso affettuoso che lui non era in grado di
afferrare. Di lui, poi,tanto la madre quanto il giovane, parevano persino ignorare l'esistenza; come
se non ci fosse stato; e la madre spinse questa ostentata ignoranza fino al punto da ricordare al
giovane che se il giorno avanti era andata sola con lui, questo era stato da parte sua un errore che
non si sarebbe più ripetuto. D'ora in poi, sempre, il figlio sarebbe stato presente. Discorso questo
che Agostino ritenne offensivo, quasi che lui non fosse stato una persona dotata di volontà
indipendente, bensì un oggetto di cui si poteva disporre secondo le più capricciose convenienze.
LABORATORIO DEL TESTO
Proposte di lavoro sulla comprensione e/o analisi testuale e
tematica
1. Chi è Agostino? Descrivi le caratteristiche del personaggio e il suo ruolo nel romanzo.
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2. Perché si sente così fiero quando va in pattino con la madre?
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3. Che tipo di rapporto e di abitudini ha con la madre? Rintraccialo nel testo e sottolinealo.
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4. Come viene descritta la madre nel brano? Sottolinea i passi in cui emerge la descrizione.
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5. Da cosa è determinato il senso di sorpresa (prima) e di amarezza e delusione (poi) da parte
di Agostino?
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6. Il giovanotto conosciuto dalla madre che ruolo ha nella storia rispetto ad Agostino?
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7. Come cambia agli occhi del figlio l’atteggiamento della madre in seguito all’arrivo del
giovanotto?
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8. Dividi il brano in due parti ,dando ad ognuna un titolo esplicativo.
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9. Che tipo di sequenze prevalgono nel brano? Rintracciale e sottolineale.
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10. Nella narrazione prevale uno stile paratattico o ipotattico?
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11. Il narratore è esterno o interno alla storia? Motiva la tua affermazione.
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12. Di chi è il punto di vista prevalente con cui vengono presentati i fatti e i personaggi? Del
narratore, di Agostino, della madre o del giovanotto? Spiega da cosa lo deduci.
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Proposte di riscrittura e rielaborazione
1.
Cosa si intende con l’espressione coniata da Freud “complesso di Edipo”? Con l’aiuto e la
spiegazione dell’insegnante rifletti e discuti in classe su questo argomento.
Proposte di produzione testuale
1. Pensi di avere un rapporto speciale con tua madre, tuo padre o con qualche altro familiare?
Avete interessi in comune, passioni, sport, hobby? Descrivi il vostro rapporto e racconta
qualche esperienza in cui hai provato con lui o lei un senso di intimità, amicizia e
complicità.
A TU PER TU CON L’AUTORE
Pulsatilla, nome d’arte di Valeria De Napoli, è una giovane scrittrice nata a Foggia nel 1981, città
nella quale è vissuta fino alla sua adolescenza. In seguito si è trasferita a Milano dove ha lavorato
come copywriter. Oggi vive a Roma ed è diventata famosa dopo la pubblicazione de La Ballata
delle Prugne Secche, autobiografia ironica di una ventenne italiana, ma anche guida pratica a tutti
gli aspetti più ambigui dell’esistenza femminile: dai problemi adolescenziali a quelli di donna
adulta, moderna ed emancipata.
Si può dire che Pulsatilla “sta alla condizione della ragazza d’oggi come la Nutella alla merenda,
come Bertinotti al cachemire, come Babbo a Natale”.
SALA DI LETTURA
Anno Zero169
Mia madre era incinta. Era l’inizio degli anni Ottanta, l’ecografia era una novità assoluta. Il medico
le passò la macchinetta sul pancione imbrattato di gel e le mostrò, sul video, il mio pisellino: è un
bel maschietto. Mio padre si precipitò alla cabina telefonica per informare la sua famiglia (era il
minore di sei figli, tra cui tre maschi, e rappresentava l’ultima possibilità di perpetuare il cognome,
perché il primo fratello era scapolo e il secondo fratello aveva due femminucce). La notizia che ero
un maschio riempì tutti di gioia. Mia madre fu festeggiata come una regina e sommersa di
pigiamini azzurri.
Il giorno del parto venne fuori che il pene dell’ecografia altro non era che il cordone ombelicale: il
nome Marco fu sostituito all’ultimo minuto con Valeria, una scelta improvvisata, istintiva, non
consultata. Mio padre, ignaro della mia totale mancanza di pisello, fremeva su una panca in attesa
di vedermi uscire. Dopo dieci ore di travaglio, l’infermiera finalmente apparve con il fagotto in
mano: «E’ una femminuccia!». Mio Padre scosse la testa, serenamente: «No, guardi, non è mia».
«Certo che è sua». «No, le assicuro, io aspetto un maschietto». Ci fu una specie di tira - e - molla:
l’infermiera insisteva per mettermi tra le sue braccia, lui mi restituiva caparbio. Alla fine mi prese
per le ascelle, vagamente contraddetto, e ci scambiammo un’occhiata al fulmicotone […]
Ma Freud la sa lunga, e difatti pare che io abbia messo a frutto le mie armi edipiche di seduzione
facendo spuntare i piedini da sotto il panno: papà rimase incantato alla vista di quei due pomelli
rosei, minuti, perfetti, e li palpò delicatamente nella mano. La tregua tra noi durò un attimo, poi mi
169
Da Pulsatilla, La ballata delle prugne secche, Castelvecchi editore, Roma 2006.
119
guardò sconsolato, e io mi sentii un pezzo fallato, un bug di sistema. Eruppi in lacrime disperate.
Tornammo a casa, desolati tutti e tre. Nelle prime foto della mia vita ho una faccia rossa di furia e
di pianto, strangolata nel collo azzurro dei pigiami. La mia prima infanzia fu disastrosa. Piatti
volanti, scene isteriche, sberle, mio padre diventava ogni giorno più aggressivo e paranoico. Con la
mia nascita si era rotto qualcosa nel suo cervello, come se fosse partita via una molla. Mia madre
era troppo impegnata a combattere l’inutile guerra contro di lui per occuparsi di me, quindi, figlia
unica, presi questo strano vizio di parlare da sola e con le cose, e costruii una dimensione
alternativa dove poter fare tana e salvarmi, mentre fuori imperversava il caos, la casa inghiottita
dalle urla. Andò avanti così fino ai sette anni, dopodiché mia madre decise che saremmo andate a
stare dai nonni: era il primo di aprile. All’inizio pensai che fosse un pesce, uno scherzo stagionale.
Invece no, restammo dai nonni quasi un mese. Indubbiamente il mese più felice delle mia vita, che
coincise con l’avvento delle primavera: fiori e maniche corte. Quando tornammo a casa nostra, mio
padre non c’era più. […]
Per tutta la vita, mia madre è stata una madre ansiosa. Diceva «è tardi» ancora prima di guardare
l’orologio: per lei era tardi a prescindere, era un problema a monte. Divideva le sue giornate tra il
lavoro e le pulizie di casa, che consistevano nel passare e ripassare con lo straccio mattonelle mai
abbastanza splendenti, e sollevare e spolverare un pletora170 di inutili suppellettili, tra cui una
squadra di cani di ceramica da duecento pezzi. La casa veniva tirata a lucido il martedì mattina: le
mie amiche non potevano mai venire a giocare, dal martedì al giovedì perché la casa era pulita, dal
venerdì al lunedì perché la casa era sporca. Non fa una piega. Mio padre l’opposto. In casa sua il
pavimento, oltre ad essere sporco, era schioppato: le mattonelle esplose, e incrostate di uno strato
unto color seppia. La camera da letto era totalmente inagibile. Sedersi sul divano del salotto
significava far alzare una nube tossica di polveri preistoriche. […]
Il dettaglio straniante era la schiera di Gesucristi che campeggiavano sulle pareti, tra cui un Gesù
assurdo che teneva in mano un cuore vero, che mi ricordava vagamente Indiana Jones e il tempio
maledetto. Ma la cosa più bella era uno di quei gabbiotti di metallo che circondano i tappi dello
spumante. Mio padre, con la perizia dei geni del bricolage, l’aveva attaccato con quattro chiodini
accanto all’ingresso e lo utilizzava per agganciarci l’ombrello. Il rapporto con mia madre, durante
l’infanzia, fu catastrofico. Io ero il genere di bambina che non vuole fare i compiti, che mena calci
e pugni, che dice parolacce, che salta giù dalla macchina in corsa o che sia cala fuori dalla finestra.
D’altra parte lei era una madre «che ti dà in testa» in senso letterale: a casa nostra sopravvive
tutt’oggi una collezione di padelle deformate sul mio cranio, alla faccia mia […].
Anche sulle gambe mi picchiava: con cinghie, cucchiarole di legno171per girare il sugo, battipanni.
Dopo avermi spezzato diverse dozzine di battipanni di vimini sulle cosce, si equipaggiò di un
battipanni di plastica che rimbalzava, facendo effetto scudiscio: fssh, fssh. Ma la parte più
divertente erano le corse intorno al tavolo dello studio, che duravano ore e prevedevano la presa e
il lancio (e lo schivamento da parte mia) di ogni sorta di oggetti. Siccome lei era un’insegnante di
lettere, aveva un’ampia gamma di dizionari di latino, di greco, italiano, sinonimi e contrari da
lanciarmi appresso. Quando finiva l’artiglieria dei vocabolari si passava ai manuali di storia
medioevale, ai tomi di critica letteraria, alla Gerusalemme Liberata, all’Orlando Furioso, e infine, ai
posacenere, ai fermacarte, ai porta bon-bon di cristallo.
Nel corso dell’adolescenza il nostro rapporto si ammorbidì, per scivolare dolcemente verso il
grotesque172. Lei si accorse di avere poco dialogo con me, e cercò di rimediare mettendosi
maldestramente al passo coi tempi. Ricordo con orrore la volta in cui mi chiese se avevo del fumo.
Rollammo una canna a tavola e ce la fumammo dopo cena, con lei che tossiva fino a diventare
paonazza. Quando attaccai in camera il poster di Brad Pitt, esclamò: «E’ proprio fico!». La trucidai
con la migliore delle mie occhiatacce.
«Non si dice fico?», balbettò, «Com’è che si dice?» «Tosto? Ganzo? Giusto?». Tosto. Il suo
problema era pensare che si dicesse tosto. […]
170
pletora:eccesso, sovrabbondanza.
cucchiarole di legno:cucchiai di legno
172
grotesque: grottesco
171
120
Un’altra fissa era il consumo critico: niente carne (poveri maialini), niente pesce (poveri pesciolini),
niente mozzarella (poveri bufalotti), ecc. Quando pretendevo una fettina di carne, lei la sollevava
dalla vaschetta con l’aria con cui si preleva una cacca dalla lettiera, la cucinava guardando dalla
parte opposta e me la serviva sul piatto lavandosene la coscienza. […]
Tutti i ragazzi normali sapevano cosa fossero Beautiful, Non è la Rai, i Simpson, Mai dire Banzai, e
tutti i programmi in auge. Io no, e così restavo fuori dai dibattiti. Quando andai a vivere da sola, a
diciannove anni, la mia mancanza indotta di teledipendenza mi fece dimenticare di comprare un
televisore. Il perdurare di questo stato alienante mi precipitò in una specie di pace sensoriale in cui
non si ha il bisogno di confrontarsi col prossimo se non col Mahatma173.
Ora sono una persona adulta e autonoma, ma nonostante questo ancora non posseggo un
apparecchio televisivo, né una radio. Il giornale lo compro in media una volta ogni mese e mezzo.
Il lettore dvd non l’ho mai avuto. Non ho mai scaricato un mp3 né tantomeno un dvx, che per
inciso non so cosa sia. Mai vista una puntata del Grande fratello. I miei coetanei parlano uno
strano idioma bantu nutrito di tormentoni televisivi e iconografia mediatica, si corrucciano
guardando le notizie, campano di battute rimasticate. La mia mente invece ignora bombe, crisi di
governo e pinzillacchere174 di ogni tipo, e galoppa libera e felice.
Comunque sono giunta alla conclusione che condurre una vita appagante senza sapere chi è
Bombolo e ignorando le malefatte di Silvio è possibile. Però bisogna architettare tutta una serie di
stratagemmi supplementari per non dare nell’occhio, altrimenti vieni estromesso dai salotti e
trattato come un appestato.
LABORATORIO DEL TESTO
Proposte di lavoro sulla comprensione e/o analisi testuale
e tematica
1. Che intende dire la narratrice con la frase “mi sentii un pezzo fallato, un bug di sistema”? e
a cosa si riferisce?
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2. Pulsatilla dice che nella sua prima infanzia prese “ lo strano vizio di parlare da sola e con le
cose”. Per quale motivo?
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3. Qual era l’atmosfera in famiglia nei suoi primi sette anni di vita?
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4. Quale periodo ricorda come il più felice della sua vita?
173
174
Mahatma: Gandhi, padre della non violenza e fondatore della indipendenza indiana.
pinzillacchere: inezie, cose da nulla senza valore.
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5. Come descrive se stessa da bambina e la madre dal punto di vista caratteriale e
comportamentale?
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6. Come cambiò l’atteggiamento della madre nei suoi confronti durante l’adolescenza?
Secondo te, Valeria (Pulsatilla) apprezzò questi cambiamenti? Sì / No. Perché?
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7. Che significa “consumo critico” quando parla dell’alimentazione?
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8. Che opinione ha Valeria del padre? Deducilo rintracciando gli aggettivi con cui descrive lui e
alcuni dettagli della sua casa.
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9. Perché per un certo periodo Valeria si è sentita “diversa” dagli altri ragazzi? Quali sono stati
i vantaggi e gli svantaggi del tipo di educazione ricevuta dai genitori?
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10. Individua nel testo le parole che appartengono al gergo giovanile e spiegane il significato.
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Proposte di riscrittura e rielaborazione
1. Raccogli alcune foto di famiglia, mettile in una certa sequenza e, descrivendole, componi
un racconto con immagini e didascalie.
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Proposte di produzione testuale
1. Racconta in forma di diario una giornata “tipo” della tua famiglia di “pazzi” e prova ad
imitare lo stile e il tono ironico di Pulsatilla
LA BOTTEGA DELL’ARTE
Caravaggio, Sacra famiglia con San Giovanni Battista, Metropolitan Museum New York.
Michelangelo Merisi detto il Caravaggio (chiamato così dalla cittadina vicino a Bergamo dove
trascorse l’infanzia) nacque a Milano nel 1571. Fu uno spirito inquieto e ribelle, poiché condusse
una vita da girovago, tumultuosa e piena di avventure. Grande interprete della realtà, ebbe una
forza pittorica inebriante e allo stesso tempo drammatica nel suo realismo, in grado di fondere
realtà e verità attraverso l’uso eccellente del colore e degli splendidi contrasti luce-ombre. L’opera
che ti proponiamo è la Sacra famiglia con san Giovanni Battista, (1605-1607 circa) un dipinto olio
su tela appartenente ad una collezione privata di Caracas e conservato oggi presso il deposito del
Metropolitan Museum di New York.
Molti pittori a partire dal Medioevo fino ad arrivare ai giorni nostri, si sono ispirati al tema della
famiglia per realizzare le loro opere, e Caravaggio ne interpreta la sacralità calandola in un
realismo terreno, in cui i tradizionali legami di affetto e amore, assumono emozioni vibranti,
positive e negative estremamente reali, come quelle di qualsiasi rapporto genitore-figlio.
1. Chi sono secondo te i personaggi del quadro? Descrivili fisicamente.
2. Descrivi dettagliatamente le posizioni e gli atteggiamenti di ogni personaggio.
123
3. Che tipo di atmosfera e di sensazioni ti trasmette questa scena?
4. Quali colori sono stati usati?
5. A quale condizione sociale potrebbero appartenere i personaggi? Da cosa lo
deduci?
6. Quali sono le emozioni che ti trasmette l’osservazione di questo quadro?
Cat Stevens
SALA D’ASCOLTO
Cat Stevens, nome d’arte di Steven Demetre Georgiou, oggi Yusuf Islam dopo la conversione
all’islamismo, è un cantautore britannico nato a Londra e con origini greco-svedesi; diventò famoso
negli anni ’60, quando molte sue composizioni musicali raggiunsero i vertici delle classifiche
mondiali grazie alla sua intensa voce.
Nei brani letterari proposti, abbiamo visto che possono esistere vari modi di interpretare e vivere lo
stupendo e difficile rapporto genitori e figli, il cui traguardo il più delle volte è lo stesso, finalizzato
al raggiungimento di un dialogo educativo serio, consapevole, nel quale ritrovarsi, scoprirsi,
attraverso battaglie che portano a conquiste faticose e a sconfitte edificanti. Così la famosa
canzone Father and Son di Cat Stevens, che sicuramente avrai sentito, riproduce un dialogo tra
un padre e un figlio.
Father And Son
Father
It's not time to make a change,
Just relax, take it easy.
You're still young, that's your fault,
There's so much you have to know.
Find a girl, settle down,
If you want you can marry.
Look at me, I am old, but I'm happy.
I was once like you are now, and I know that it's not easy,
To be calm when you've found something going on.
124
But take your time, think a lot,
Why, think of everything you've got.
For you will still be here tomorrow, but your dreams may not.
Son
How can I try to explain, when I do he turns away again.
It's always been the same, same old story.
From the moment I could talk I was ordered to listen.
Now there's a way and I know that I have to go away.
I know I have to go.
Father
It's not time to make a change,
Just sit down, take it slowly.
You're still young, that's your fault,
There's so much you have to go through.
Find a girl, settle down,
if you want you can marry.
Look at me, I am old, but I'm happy.
Son
All the times that I cried, keeping all the things I knew inside,
It's hard, but it's harder to ignore it.
If they were right, I'd agree, but it's them you know not me.
Now there's a way and I know that I have to go away.
I know I have to go.
TRADUZIONE
Padre:
Non è il momento di fare cambiamenti,
rilassati e basta, prenditela comoda.
Sei ancora giovane, questo è il tuo problema,
c'è così tanto che devi conoscere,
trovati una ragazza, sistemati,
se vuoi puoi sposarti.
guarda me, sono vecchio, però sono felice
un tempo ero come tu sei ora, e so che non è facile,
stare calmo quando trovi qualcosa per andartene
ma prenditi il tuo tempo, pensa molto
perchè, pensa a tutto quel che hai.
Domani tu sarai ancora qui, ma i tuoi sogni potrebbero non esserci
Figlio
come posso provare a spiegargli? quando lo faccio lui si gira dall'altra parte
è sempre stata la solita vecchia storia.
Dal momento in cui potevo parlare mi è stato ordinato di sentire.
Ora c'è una via, e io so che devo andare…
io so che devo andare .
125
Padre
Non è tempo per cambiamenti
dai siediti, prenditela lentamente.
Sei ancora giovane, è questo il tuo problema
c'è così tanto su cui devi pensare
trovati una ragazza, sistemati
se vuoi puoi sposarti
guarda me, sono vecchio, ma sono felice .
Figlio
Tutte le volte che ho pianto, tenendomi tutto ciò che sapevo dentro…
ma è difficile, è più difficile ignorare ciò
se loro erano nel giusto, io accettavo, ma il problema è che non mi conosci
ora c'è una via e io so che devo andare via…
io so che devo andare.
1.
2.
3.
4.
5.
Quali sono i consigli che il padre dà al figlio?
Perché il figlio dovrebbe andarsene?
Il padre parla di “cambiamenti”: a cosa si riferisce?
Sapresti definire che rapporto c’è tra questo padre e il figlio?
E tu, che tipo di sogni hai per il tuo futuro?
UN TUFFO NEL WEB
Per approfondire notizie su Cechov:
http://www.riflessioni.it/enciclopedia/cechov.htm
Il testo integrale di Lettera al padre di Kafka:
http://books.google.it
per chi volesse approfondire notizie su Cat Stevens:
http://it.wikipedia.org/wiki/Cat_Stevens
http://www.youtube.com/watch?v=b-7c4VNGOgU
Per approfondire notizie su Caravaggio:
http://it.wikipedia.org/wiki/Sacra_Famiglia
http://www.storiadellarte.com/biografie/caravaggio/vitacaravaggio.htm
Per approfondire notizie su Moravia:
http://it.wikipedia.org/wiki/Agostino_(romanzo)
Il blog di Pulsatilla.
http://pulsatilla.splinder.com/
http://www.castelvecchieditore.com/catalog/title/index.php?cmd=ext&title_id=344
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UN PERCORSO ATTRAVERSO UN TEMA
IL VIAGGIO
Il viaggio è un tema, non solo letterario, diffuso in tutte le epoche e in tutte le culture.
L’esperienza del viaggio è da sempre la metafora più usata per spiegare fasi di passaggio e
trasformazioni della vita dell’uomo. Alla simbologia del viaggio si fa riferimento, ad esempio, per
esprimere il significato della morte, nominata come trapasso, della vita, definita cammino, e di
ogni mutamento di situazioni sociali o esistenziali175.
L’argomento del viaggio ha affascinato la letteratura fin dalle origini delle prime civiltà. La
tradizione letteraria occidentale ha sempre riconosciuto nell’Odissea, il poema attribuito ad Omero
e già noto nel VII secolo a.C., una fonte di ispirazione per tutte le opere in cui si narra di un
viaggio, ed è in Ulisse che la cultura occidentale ha individuato il prototipo del viaggiatore,
colui che si allontana dalla propria terra di origine per affrontare situazioni sconosciute e pericolose
e che, attraverso il viaggio, si mette alla prova e rafforza la propria identità. L’Odissea contiene
già ogni aspetto, reale e simbolico, del tema del viaggio. Odisseo (Ulisse con nome latino), nel
suo lungo viaggio per tornare a casa attraversa luoghi reali e luoghi immaginari, incontra uomini di
altre culture e creature mitiche, mostrandoci che il viaggio è metafora della conoscenza di sé
e del mondo.
Rispetto all’età antica, col tempo si è andata esaurendo l’idea del viaggio come prova imposta dal
fato e dalla capricciosa volontà degli dèi, mentre si è accentuata quella di conoscenza e conquista
o di esperienza che forma l’individuo; infine l’età contemporanea ha interpretato gli elementi
realistici del viaggio (la partenza, il percorso, le tappe, l’arrivo) soprattutto come metafora di un
viaggio interiore, oppure ha esaltato il contenuto di libertà del viaggio, per cui, più che la meta da
raggiungere, diventa importante l’andare via, il vagabondare, interpretato come ricerca di
liberazione e di autonomia.
Il primo brano del Percorso sul viaggio è tratto dai Libri VIII e IX dell’Odissea. Ulisse, come si è
già detto, è l’archetipo dell’eroe-viaggiatore; il suo lungo peregrinare verso Occidente, in luoghi
meravigliosi e terribili, abitati da mostri, dèi e semidei, racchiude in sé le caratteristiche proprie del
viaggio d’avventura, ma presenta anche evidenti valenze simboliche. L’Odissea, d’altro canto, è il
più famoso dei nóstoi, ossia delle narrazioni che raccontano i ritorni travagliati degli eroi che
hanno combattuto sotto le mura di Troia; anzi, proprio ad alcuni di questi nóstoi si fa riferimento
nella prima parte del poema, la cosiddetta Telemachìa, in cui si narra il viaggio di Telemaco, il
figlio di Ulisse ormai ventenne, alla ricerca di suo padre. Dunque, nel poema, il tema del viaggio si
moltiplica e si dilata, perché all’interminabile e labirintico percorso di Ulisse si interseca l’itinerario
investigativo di Telemaco, il quale, a sua volta, raccoglie da Menelao il racconto del tragico ritorno
di suo fratello Agamennone, del destino altrettanto crudele dell’empio Aiace d’Oileo e delle
avversità che lo stesso re di Sparta ha dovuto affrontare prima di poter tornare in patria.
Il secondo brano è tratto dal capitolo XVII de I Promessi sposi (1827-1840) di Alessandro
Manzoni .
175
Sulla interpretazione dell’esperienza del viaggio si veda E. Leed, La mente del viaggiatore, Il Mulino, Bologna,
1992.
127
Renzo, in fuga da Milano, città in cui si erano verificati tumulti più o meno violenti, che stavano
mettendo a repentaglio l’assetto sociale e politico della città, si inoltra, dopo una serie di peripezie,
in una boscaglia, nella speranza di raggiungere il fiume Adda, confine tra il Ducato di Milano e la
“Terra di San Marco” (Repubblica di Venezia). Il viaggio di Renzo diventa metafora di un percorso
di formazione umana e spirituale, quasi il tema chiave dell’opera, definita anche “romanzo di
formazione”.
Dentro la tana del coniglio è il primo capitolo del romanzo di Lewis Carroll, Alice nel paese delle
Meraviglie (1865), la storia della piccola Alice, protagonista di uno straordinario viaggio sottoterra,
in un mondo alternativo, popolato da bizzarre creature e in cui tutto va alla rovescia. Il romanzo è
molto di più di un classico per l’infanzia; il suo umorismo, il gusto per il paradosso e per il
nonsense, i raffinati giochi linguistici, la possibilità di un’interpretazione simbolica, affascinano
anche il pubblico adulto. Il viaggio di Alice è un’esperienza di formazione alla scoperta della propria
identità, un addestramento ad affrontare le trasformazioni, anche imprevedibili, della vita. Il
romanzo svela le incongruenze della “normalità” e attribuisce alla fantasia il potere di trasfigurare
la realtà per abbatterne la monotonia.
A TU PER TU CON L’AUTORE
Del poeta greco Omero non ci sono giunte notizie certe. Secondo la tradizione egli era un aedo
che nell’VIII secolo girava le città greche cantando i suoi versi. Gli antichi greci non dubitavano
dell’esistenza di Omero e sette città della Grecia e dell’Asia Minore si contesero i suoi natali, anche
se in realtà non ci sono prove sicure che egli sia realmente esistito. Incertezze riguardano anche la
composizione dei due poemi che gli sono attribuiti, l’Iliade e l’Odissea, perché le notevoli differenze
linguistiche, stilistiche e di contenuto tra i due testi hanno fatto nascere l’ipotesi che non fossero
opera dello stesso autore. L’insieme dei problemi e delle teorie riguardanti l’esistenza di Omero e la
composizione dell’Iliade e dell’Odissea prende il nome di questione omerica. Oggi la
maggioranza degli studiosi ha accertato che tra i due poemi intercorrono alcuni decenni e ne ha
collocato la redazione scritta intorno all’VIII sec. a.C. In entrambe le opere confluirono episodi
composti in epoca più antica da autori diversi e tramandati attraverso la declamazione orale. Il
lavoro di revisione, saldatura e di creazione di parti nuove si deve attribuire, però, ad un poeta
unico, che gli antichi chiamarono Omero.
SALA DI LETTURA
Alla reggia di Alcinoo: l’identità ritrovata176
Il brano dell’Odissea che proponiamo narra l’approdo di Ulisse a Scheria, l’isola dei Feaci, e segna
un punto di svolta nella struttura narrativa dell’intero poema. Il protagonista vi giunge naufrago,
dopo una difficile e solitaria traversata a bordo di una zattera che lui stesso ha costruito. Il lungo
errare dell’eroe nel misterioso spazio del Mediterraneo occidentale, abitato da creature mostruose
e divine, ha avuto inizio, però, molto tempo prima, quando Ulisse e i suoi compagni si sono
avventurati nel paese dei mangiatori di loto, il fiore dell’oblio, che fa perdere a chi se ne ciba la
coscienza di sé, delle proprie radici, della propria patria. Quella prima tappa segna,
simbolicamente, per i Greci il rischio di uno smarrimento, di una perdita della propria identità,
minaccia che si ripresenta in forme diverse negli incontri e nelle disavventure successive dell’eroe
e dei suoi compagni: dalla trasformazione in animali generata dagli incantesimi di Circe, all’incontro
con le ombre del regno dei morti, dall’inganno seducente delle sirene, al malinconico soggiorno in
176
Omero, Odissea, VIII-IX, Trad. M.G. Ciani, in I Capolavori della Letteratura, Gruppo Editoriale L’Espresso.
128
Ogigia, presso la bella ninfa Calipso, il cui nome significa “colei che nasconde”. I Feaci, popolo
ospitale di magici navigatori, rappresentano il punto di passaggio dal quel mondo del non umano a
quello degli uomini, dal “non essere” alla riconquista di una propria identità, che l’eroe dovrà poi
confermare nelle tappe successive del ritorno a Itaca, riappropriandosi del ruolo di padre, marito,
re. Infatti è ad Alcinoo, re dei Feaci, che Ulisse rivela il proprio nome, e questo passaggio avviene
in un contesto narrativo molto particolare, cioè dopo che lo stesso protagonista ha chiesto al
cantore Demodoco di narrare la storia del cavallo di Troia e di “Ulisse glorioso”; è Ulisse stesso,
insomma, a parlare di sé come protagonista di un poema.
Facevano le parti i servi e versavano il vino. E venne l'araldo, portando il fedele cantore,
Demodoco, che tutti onoravano. In mezzo ai convitati lo fece sedere, appoggiato a un alto pilastro.
Disse allora all'araldo l'accorto Ulisse, dopo aver tagliato un pezzo di spalla da un maiale dalle
bianche zanne (ma restava la parte più grande, tutta coperta di grasso):
"Araldo, da' questo pezzo di carne a Demodoco, perché lo mangi, e digli che lo saluto, pur con
l'angoscia nel cuore. Per tutti gli uomini al mondo gli aedi sono degni di rispetto e di onore, perché
ad essi insegnò le vie dei canti la Musa, che ama i cantori".
Disse così e l'araldo prese la carne e la mise in mano a Demodoco, che la ricevette con animo
lieto.
Sui cibi pronti e imbanditi stesero essi le mani. Ma quando furono sazi di cibo e bevande, disse
allora a Demodoco l'accorto Ulisse:
"Più di ogni altro uomo io ti lodo, Demodoco. La Musa, figlia di Zeus, ti fu maestra, oppure
Apollo, perché con arte perfetta tu canti la sorte dei Danai, quanto fecero, quanto osarono,
quanto patirono, come se fossi stato presente o lo avessi udito narrare. Ma ora cambia argomento
e canta la storia del cavallo di legno, che Epeo fabbricò con l'aiuto di Atena, la trappola che il
divino Ulisse portò sull'acropoli, dopo averla riempita degli uomini che distrussero Ilio. Se mi
racconterai questa storia in modo giusto, a tutti io dirò che un dio benevolo ti ha concesso il dono
del canto”.
Disse così e, ispirato dal dio, l'aedo prese a cantare: e incominciava da quando, saliti sulle navi dai
solidi banchi, dopo aver dato fuoco alle tende, ripresero il mare gli Achei, e gli altri intanto, con
Ulisse glorioso, stavano sulla rocca di Troia, nascosti dentro il cavallo. Sull'acropoli lo trascinarono
gli stessi Troiani. Lì stava il cavallo, ed essi sedevano intorno e molte cose diverse dicevano. Erano
tre le proposte, trafiggere il concavo legno con le armi di bronzo, trascinarlo in cima e gettarlo giù
dalle rocce, lasciarlo là come dono propiziatorio agli dei. E sarebbe finita così era infatti destino che
la città perisse dopo aver accolto il grande cavallo di legno dov'erano tutti i più forti dei Danai, che
ai Troiani portavano morte e rovina.
Cantava come, scesi giù dal cavallo, abbandonata la trappola cava, distrussero la città i figli dei
Danai, come l'alta rocca devastarono da ogni parte, come Ulisse simile ad Ares alla dimora di
Deifobo andò con Menelao divino. E qui sostenne una dura battaglia e vinse ancora - così
narrava - con l'aiuto di Atena.
Queste cose l'aedo glorioso cantava. Ma Ulisse soffriva, scendevano dai suoi occhi le lacrime a
bagnare le guance.
Come piange una donna, prostrata sul corpo del suo sposo caduto davanti alla città e ai suoi
uomini per allontanare dai figli e dalla patria il giorno fatale: e lei che l'ha visto morire e dibattersi
nell'agonia, riversa su di lui manda acuti lamenti, mentre i nemici da dietro le colpiscono con le
lance la schiena e le spalle, la trascinano in schiavitù, verso una vita di fatica e di pena, e nel
dolore straziante lei si consuma. Così pietose lacrime versava sotto le ciglia Ulisse.
Degli altri nessuno notava il suo pianto, soltanto Alcinoo, che gli sedeva vicino, vide e osservò e lo
udì singhiozzare. E subito disse ai Feaci che amano il remo:
"Principi e consiglieri feaci, ascoltate. Faccia tacere Demodoco la cetra sonora. Non a tutti è
gradito il suo canto. Da quando abbiamo cenato e l'aedo divino ha preso a cantare, da allora
l'ospite non ha mai smesso di piangere. Un gran dolore ha invaso il suo animo. Taccia dunque il
cantore perché possiamo essere lieti tutti, l'ospite e coloro che l'ospitano, è molto meglio così. In
suo onore è tutto questo, la scorta e i doni che in segno di amicizia gli abbiamo dato. Per chi abbia
129
anche un po' di senno soltanto, l'ospite, il supplice è come un fratello. E quindi non mi nascondere
ora, nella tua mente accorta, quello che ti domando. È meglio, se parli. Dimmi il nome con cui ti
chiamano tuo padre e tua madre e quelli della tua città e coloro che vivono intorno. Nessuno degli
uomini è senza nome, né il nobile né il miserabile, una volta ch'è nato; a tutti lo impongono i
genitori, quando li mettono al mondo. Dimmi dunque qual è la tua terra, e il popolo, e la città,
perché col pensiero ti portino là le mie navi. Non hanno nocchieri i Feaci, non ci sono timoni, come
su tutte le navi. Esse sanno il pensiero e la mente degli uomini, e le città di tutti conoscono e i
fertili campi: rapide solcano gli abissi del mare, avvolte da nuvole e nebbia; non c'è pericolo che
siano danneggiate o distrutte. Eppure una volta ho sentito dir questo da mio padre Nausitoo:
diceva che Poseidone era adirato con noi perché a tutti diamo scorte sicure. Diceva che un giorno
avrebbe distrutto una solida nave delle genti feacie, di ritorno da un viaggio di scorta sul mare
oscuro, e poi con un gran monte avrebbe coperto la nostra città. Questo egli diceva: e questo lo
compirà iddio, o non lo compirà, come gli piace. Ma parla ora, e dimmi sinceramente dove sei
andato errando e in quali paesi sei giunto, e narrami gli uomini e le belle città e se erano malvagi
ingiusti e crudeli oppure ospitali e timorati di dio. Dimmi perché piangi e soffri nell'animo
ascoltando la sorte degli Argivi e di Ilio. Gli dei l'hanno voluta, per quegli uomini decisero essi la
morte, affinché fossero cantati in futuro. Ma forse ti è morto davanti a Ilio un parente, un
valoroso, tuo genero oppure tuo suocero, che sono le persone più care dopo quelle del proprio
sangue? O forse hai perduto un compagno, affezionato e valente? Di un fratello non è meno caro
l'amico dai saggi pensieri”
A lui rispose l'accorto Ulisse:
”O Alcinoo potente, fra le tue genti illustre, certo è bello ascoltare un cantore com'è costui, che ha
la voce simile a quella di un dio. Io dico che non esiste cosa più bella di quando regna la gioia tra il
popolo e nella sala i convitati, seduti l'uno accanto all'altro, stanno a sentire l'aedo; sono pieni i
tavoli di pane, di carni, e vino attinge dalla coppa grande il coppiere per versarlo nei calici. Questa
a me sembra, nell'animo, la cosa più bella. Ma delle mie dolorose sventure tu mi domandi, perché
ancora di più io pianga e mi lamenti. Quale per prima dirò, quale per ultima? Molte sono le pene
che mi inflissero gli dei, figli del cielo. Ma il nome dirò ora, per primo, perché lo sappiate, perché
anche in futuro, sfuggito al giorno fatale, io sia per voi un ospite anche se vivo lontano. Sono
Ulisse, figlio di Laerte, per la mia astuzia noto fra gli uomini, la mia fama va fino al cielo. Abito a
Itaca piena di sole. C'è un monte sull'isola, il Nerito coperto di boschi; e molte isole intorno, una
vicino all'altra, Dulichio, Same e la selvosa Zacinto. Itaca giace sul mare, in basso, verso occidente,
più lontane le altre, verso l'oriente ed il sole. L'isola è aspra, ma sono valenti i suoi giovani. Nulla vi
è di più dolce della propria terra. Mi tratteneva Calipso divina nella sua concava grotta, desiderosa
di farmi suo sposo; e anche Circe, l'astuta Circe di Eea, mi tratteneva nella sua casa,
desiderosa di farmi suo sposo. Ma non riuscivano a persuadere il mio cuore. Nulla vi è di più dolce
della patria, dei genitori, anche per colui che vive in una casa ricchissima, in terra straniera,
lontano dai suoi. Ma ora ti narrerò il doloroso ritorno che Zeus mi inflisse quando partii da Troia.
LABORATORIO DEL TESTO
Proposte di lavoro sulla comprensione e/o analisi testuale e
tematica
1. Dopo aver letto l’introduzione al brano, individua ed evidenzia su una carta dei viaggi di Ulisse
(ne puoi trovare facilmente una su internet) le tre tappe fondamentali dell’itinerario dell’eroe nel
mondo del non-umano: il paese dei mangiatori di loto, l’isola di Ogigia e l’isola dei Feaci;
confronta poi i tre siti della geografia omerica con una carta attuale dell’area del Mediterraneo: in
quali paesi reali si possono collocare queste tre località fantastiche?
130
2. Per comprendere bene un testo così complesso e antico come l’Odissea, bisogna, per prima
cosa, chiarire il significato delle parole che non conosciamo:
a. rileggi con attenzione il brano ed evidenzia tutte le parole che non conosci;
b. trova il significato dei termini selezionati aiutandoti col vocabolario, con i libri di testo di
storia e di epica, cercando su internet;
c. costruisci un glossario personalizzato che corrisponda alle tue esigenze di comprensione del
testo omerico.
3. Nel brano proposto alcune parole sono evidenziate; si tratta di nomi di dei, popoli, luoghi,
personaggi e di riferimenti ad episodi della mitologia greca. Ricerca sui libri di storia e di epica, su
dizionari mitologici e su internet il significato dei termini evidenziati e costruisci un tuo apparato di
note al testo.
4. Dopo aver svolto le prima tre attività di comprensione, rispondi alle seguenti domande:
a. Come si comporta Ulisse nei confronti di Demodoco? Quale storia gli chiede di cantare?
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b. Individua la sequenza in cui viene esposto l’argomento del canto dall’aedo; che parte ha
Ulisse in questa narrazione?
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c. Perché Ulisse si commuove nell’ascoltare il canto dell’aedo?
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d. Chi, unico fra tutti i presenti, si accorge del turbamento dell’ospite straniero?
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e. Che cosa dice Alcinoo a proposito delle navi dei Feaci e della misteriosa profezia che
minaccia il suo popolo?
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f. Che cosa risponde Ulisse alla richiesta di Alcinoo di rivelare ai presenti la sua identità e la
causa del suo dolore? Analizza la risposta dell’eroe, mettendone in evidenza i diversi temi e
passaggi.
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131
5. Sottolinea nel testo gli epiteti e i patronimici caratteristici dello stile di Omero.
6. Nel brano proposto è presente una lunga similitudine; individuala e analizzala secondo il
seguente schema:
a. Individua il dato di realtà relativo all’episodio e la scena esterna a cui viene confrontato.
b. Individua il terreno comune tra le due immagini.
c. Rileva come l’immagine introdotta dalla similitudine amplifica la prima immagine.
7. L’Odissea, oltre ad essere un testo poetico di grande bellezza e di fondamentale importanza per
la letteratura occidentale, è anche un prezioso documento per la conoscenza della civiltà dorica,
ossia di quel periodo della storia greca che va sotto il nome di Medioevo ellenico. Nel brano
proposto si rilevano alcuni temi e aspetti caratteristici di quella società, come quello
dell’ospitalità, del banchetto (o simposio) e della figura dell’aedo:
a. usando colori diversi, sottolinea i passi del brano in cui si trovano riferimenti precisi ai temi
indicati;
b. svolgi, un’analisi puntuale delle informazioni che si possono dedurre dal testo omerico
riguardo a ciascun tema;
c. scrivi un resoconto schematico delle osservazioni fatte.
Proposte di riscrittura e rielaborazione
1. Riassumi il testo in non più di venti righe.
2. Immagina e descrivi un paesaggio di Itaca, prendendo spunto dalle parole con cui lo
stesso Ulisse ricorda la sua amata isola.
Proposte di produzione testuale
1. Gli uomini civili rispettano in Omero il sacro vincolo dell’ospitalità: il pellegrino, il naufrago,
il viaggiatore sanno di poter contare, lontano dal loro paese, sull’accoglienza e l’aiuto di chi
li riceve, e s’impegnano a restituire, se dovesse presentarsi l’occasione, un uguale
trattamento nei confronti dei loro ospiti. I non-uomini, invece, non rispettano la legge degli
dèi: uccidono, mangiano, trasformano in animali coloro che giungono esuli sulla loro terra.
E noi uomini moderni, come ci comportiamo verso i molti migranti che arrivano nei nostri
paesi? Prevale in noi il sentimento civile dell’accoglienza o ci trinceriamo dietro una
barbarica e irrazionale diffidenza? Esponi il tuo pensiero, motivando con riflessioni ed
esempi la tua tesi sull’argomento.
2. Come si è detto, l’Odissea sviluppa sia gli aspetti reali che quelli simbolici del tema del
viaggio. Ulisse, nel suo lungo e travagliato nóstos, attraversa luoghi reali e luoghi fantastici,
incontra persone di culture diverse, creature meravigliose e terribili. Questo inoltrarsi
dell’eroe in territori sconosciuti allude ad un possibile significato del viaggio come scoperta
di sé, occasione di incontro con l’altro, dimensione in cui è possibile perdersi per poi
ritrovare e riaffermare la propria identità. Rifletti sul tuo percorso di formazione personale,
sugli episodi o gli incontri che ti hanno fatto crescere e hanno in qualche modo cambiato la
tua personalità, il tuo punto di vista o la tua vita. Seleziona gli eventi da raccontare,
scegliendo circostanze e persone che hanno determinato in te cambiamenti o svolte
importanti, oppure che ti hanno aiutato od ostacolato. Rifletti sui tuoi cambiamenti, sui
rapporti con gli altri e cogli le trasformazioni psicologiche e comportamentali della tua
personalità.
132
A TU PER TU CON L’AUTORE
Per un’introduzione all’autore, Alessandro Manzoni, si rimanda al percorso “La violenza”, testo
n. 2.
SALA DI LETTURA
Il viaggio di Renzo177
A poco a poco, si trovò tra macchie più alte, di pruni, di quercioli, di marruche178. Seguitando a
andare avanti, e allungando il passo, con più impazienza che voglia, cominciò a veder tra le
macchie qualche albero sparso; e andando ancora, sempre per lo stesso sentiero, s'accorse
d'entrare in un bosco. Provava un certo ribrezzo a inoltrarvisi; ma lo vinse, e contro voglia andò
avanti; ma più che s'inoltrava, più il ribrezzo cresceva, più ogni cosa gli dava fastidio. Gli alberi che
vedeva in lontananza, gli rappresentavan figure strane, deformi, mostruose; l'annoiava l'ombra
delle cime leggermente agitate, che tremolava sul sentiero illuminato qua e là dalla luna; lo stesso
scrosciar delle foglie secche che calpestava o moveva camminando, aveva per il suo orecchio un
non so che d'odioso. Le gambe provavano come una smania, un impulso di corsa, e nello stesso
tempo pareva che durassero fatica a regger la persona. Sentiva la brezza notturna batter più rigida
e maligna sulla fronte e sulle gote; se la sentiva scorrer tra i panni e le carni, e raggrinzarle, e
penetrar più acuta nelle ossa rotte dalla stanchezza, e spegnervi quell'ultimo rimasuglio di vigore.
A un certo punto, quell'uggia179, quell'orrore indefinito con cui l'animo combatteva da qualche
tempo, parve che a un tratto lo soverchiasse180. Era per perdersi affatto; ma atterrito, più che
d'ogni altra cosa, del suo terrore, richiamò al cuore gli antichi spiriti, e gli comandò che reggesse.
Così rinfrancato un momento, si fermò su due piedi a deliberare; risolveva d'uscir subito di lì per la
strada già fatta, d'andar diritto all'ultimo paese per cui era passato, di tornar tra gli uomini, e di
cercare un ricovero, anche all'osteria. E stando così fermo, sospeso il fruscìo de' piedi nel fogliame,
tutto tacendo d'intorno a lui, cominciò a sentire un rumore, un mormorìo, un mormorìo d'acqua
corrente. Sta in orecchi; n'è certo; esclama: - è l'Adda! - Fu il ritrovamento d'un amico, d'un
fratello, d'un salvatore. La stanchezza quasi scomparve, gli tornò il polso, sentì il sangue scorrer
libero e tepido per tutte le vene, sentì crescer la fiducia de' pensieri, e svanire in gran parte
quell'incertezza e gravità delle cose; e non esitò a internarsi sempre più nel bosco, dietro all'amico
rumore.
Arrivò in pochi momenti all'estremità del piano, sull'orlo d'una riva profonda; e guardando in giù
tra le macchie che tutta la rivestivano, vide l'acqua luccicare e correre. Alzando poi lo sguardo,
vide il vasto piano dell'altra riva, sparso di paesi, e al di là i colli, e sur uno di quelli una gran
macchia biancastra, che gli parve dover essere una città, Bergamo sicuramente. Scese un po' sul
pendìo, e, separando e diramando, con le mani e con le braccia, il prunaio, guardò giù, se qualche
barchetta si movesse nel fiume, ascoltò se sentisse batter de' remi; ma non vide né sentì nulla. Se
fosse stato qualcosa di meno dell'Adda, Renzo scendeva subito, per tentarne il guado; ma sapeva
bene che l'Adda non era fiume da trattarsi così in confidenza.
177
Tratto da A. Manzoni, I promessi sposi, cap. XVII.
Arbusto spinoso.
179
Senso di fastidio.
180
Sovrastasse.
178
133
Perciò si mise a consultar tra sé, molto a sangue freddo, sul partito181 da prendere. Arrampicarsi
sur una pianta, e star lì a aspettar l'aurora, per forse sei ore che poteva ancora indugiare, con
quella brezza, con quella brina, vestito così, c'era più che non bisognasse per intirizzir davvero182.
Passeggiare innanzi e indietro, tutto quel tempo, oltre che sarebbe stato poco efficace aiuto contro
il rigore del sereno, era un richieder troppo da quelle povere gambe, che già avevano fatto più del
loro dovere. Gli venne in mente d'aver veduto, in uno de' campi più vicini alla sodaglia183, una di
quelle capanne coperte di paglia, costrutte di tronchi e di rami, intonacati poi con la mota184, dove i
contadini del milanese usan, l'estate, depositar la raccolta, e ripararsi la notte a guardarla:
nell'altre stagioni, rimangono abbandonate. La disegnò subito per suo albergo185; si rimise sul
sentiero, ripassò il bosco, le macchie, la sodaglia; e andò verso la capanna. Un usciaccio intarlato e
sconnesso, era rabbattuto186, senza chiave né catenaccio; Renzo l'aprì, entrò; vide sospeso per
aria, e sostenuto da ritorte di rami, un graticcio, a foggia d'hamac187; ma non si curò di salirvi. Vide
in terra un po' di paglia; e pensò che, anche lì, una dormitina sarebbe ben saporita.
Prima però di sdraiarsi su quel letto che la Provvidenza gli aveva preparato, vi s'inginocchiò, a
ringraziarla di quel benefizio, e di tutta l'assistenza che aveva avuta da essa, in quella terribile
giornata. Disse poi le sue solite divozioni188; e per di più, chiese perdono a Domeneddio di non
averle dette la sera avanti; anzi, per dir le sue parole, d'essere andato a dormire come un cane, e
peggio. "E per questo, - soggiunse poi tra sé; appoggiando le mani sulla paglia, e d'inginocchioni
mettendosi a giacere: - per questo, m'è toccata, la mattina, quella bella svegliata". Raccolse poi
tutta la paglia che rimaneva all'intorno, e se l'accomodò addosso, facendosene, alla meglio, una
specie di coperta, per temperare il freddo, che anche là dentro si faceva sentir molto bene; e vi si
rannicchiò sotto, con l'intenzione di dormire un bel sonno, parendogli d'averlo comprato anche più
caro del dovere.
LABORATORIO DEL TESTO
Proposte di lavoro sulla comprensione e/o analisi
testuale e tematica
1. Individua e sottolinea tutte le parti descrittive relative agli aspetti naturali incontrati da Renzo
nel suo percorso verso l’Adda.
2. Nelle righe 12-16 si evince un rapporto psicologico natura-Renzo. Motiva la valenza simbolica
dei gesti di Renzo.
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________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
3. Di che tipo è il narratore? Motiva la tua risposta.
181
Decisione.
Faceva più freddo di quanto ne occorresse per restare congelati.
183
Terreno non dissodato.
184
Fango
185
La scelse come suo riparo.
186
Socchiuso.
187
Simile ad un’amaca.
188
Preghiere.
182
134
Esterno
Interno
Onnisciente
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________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
4. Di quale tipo è il punto di vista ?
Esterno
Interno
5. Suddividi il testo in sequenze narrative : individua la struttura sintattica (paratassi – ipotassi) e
la tipologia delle proposizioni ricorrenti.
6. Nelle ultime righe è presente il termine Provvidenza. Che valenza assume in questo testo e
all’interno del Romanzo manzoniano?
Proposte di riscrittura e rielaborazione
1. Riassumi il testo in poche righe (massimo 8)
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2. Riscrivi il testo dal punto di vista del protagonista e attraverso le parole che avrebbe usato
Renzo.
3. Trasforma il testo in una poesia di tua composizione
Proposte di produzione testuale
1. Trasforma il brano riportato da I Promessi Sposi in una intervista immaginaria allo stesso Renzo.
Poni una serie di domande che vorresti fargli e scrivi le risposte, basandoti sul testo letto.
2. Analizza gli elementi spaziali che caratterizzano l’avventura milanese di Renzo e la fuga del
protagonista verso l’Adda. Evidenzia quale relazione intercorre fra lo stato d’animo del personaggio
e lo spazio descritto nella macrosequenza indicata, portando ad esempio l’esame di alcune delle
tappe significative del suo percorso di fuga.
A TU PER TU CON L’AUTORE
Lewis Carroll, pseudonimo del reverendo Charles Lutwidge Dodgson (1832-1898), è stato
uno scrittore, matematico e fotografo inglese. Trascorse buona parte della sua vita a Oxford nel
college di Christ Church, prima come studente, poi come bibliotecario e professore di matematica.
Dal 1856 strinse amicizia con la famiglia del nuovo decano del college, Henry Gorge Liddell,
135
frequentando assiduamente le sue tre bambine. Carroll accompagnava le piccole amiche in gita in
barca, le fotografava e raccontava loro storie fantastiche. Fu in occasione di una di queste gite, il 4
luglio 1862, che Carroll inventò la storia de Le avventure di Alice nel paese delle Meraviglie,
ispirandosi e dedicandola alla piccola Alice, una delle tre sorelle Liddell. Fu proprio Alice Liddell ad
insistere perché Carroll mettesse per iscritto la storia, che fu poi pubblicata nel 1865. Nel 1871
Carroll pubblicò il seguito delle storie di Alice, Al di là dello specchio (e cosa Alice vi trovò);
entrambe le opere dettero al suo autore una inaspettata fama internazionale. Ai due romanzi si
sono ispirati il film Alice nel paese delle meraviglie di Walt Disney del 1951 e il recente Alice in
Wonderland (2010) diretto da Tim Burton.
SALA DI LETTURA
Dentro la tana del coniglio189
Il primo capitolo delle Avventure di Alice narra l’ingresso della piccola protagonista nel sotterraneo
mondo delle Meraviglie, all’inseguimento di un misterioso Coniglio Bianco. Avviene così il passaggio
di Alice dal mondo reale a quello fantastico, ma lo sconfinamento tra realtà e sogno, tra ordinario e
straordinario è a doppio senso, continuamente giocato sull’ambiguità.
Alice cominciava davvero a stufarsi di starsene a sedere accanto alla sorella sulla riva, e senza aver
nulla da fare. Una volta o due aveva dato una sbirciata nel libro che sua sorella stava leggendo;
ma non conteneva né figure né spunti di conversazione, «e a che serve un libro, - pensava Alice, senza figure né chiacchiere?».
Così andava considerando nella propria mente (per quanto le era possibile, perché la calura del
giorno l'assonnava e l'istupidiva) se lo svago di comporre una ghirlanda di pratoline valesse la pena
di alzarsi a raccoglierle, allorché improvvisamente un Coniglio Bianco con gli occhi rosa le passò di
corsa a fianco.
Non c'era nulla di tanto notevole in ciò; né parve ad Alice poi tanto fuori dall'ordinario udire il
Coniglio che diceva tra sé: «Povero me! Povero me! Arriverò troppo tardi!» (quando in seguito ci
ripensò, le passò per la testa che avrebbe dovuto meravigliarsene, ma sul momento le sembrò del
tutto naturale); però quando il Coniglio veramente trasse un orologio dal taschino del panciotto e,
guardatolo, si affrettò, Alice balzò in piedi, perché le balenò in mente che mai prima di allora aveva
visto un coniglio dotato di taschino da panciotto e d'orologio da trarre fuori da quello; e, fremente
di curiosità, lo rincorse attraverso il campo, facendo appena in tempo a vederlo cacciarsi dentro a
una gran tana da conigli sotto la siepe.
Un istante dopo Alice lo inseguiva là sotto, senza riflettere neanche per un momento a come
diavolo avrebbe fatto a tornarsene fuori.
La tana per un po' proseguì diritta come una galleria, poi sprofondò improvvisamente, così
improvvisamente che Alice non ebbe neppure un istante per pensare di fermarsi che già si trovò a
precipitare in quello che sembrava un pozzo profondissimo.
O il pozzo era profondissimo oppure Alice precipitava lentissimamente, perché mentre cadeva ebbe
un mucchio di tempo per guardarsi intorno e chiedersi cosa sarebbe accaduto poi. Dapprima, cercò
di guardar giù per scorgere dove stesse andando, ma era troppo buio per distinguere alcunché;
allora guardò le pareti del pozzo e si accorse che erano piene di credenze e scaffali; qua e là vide
carte geografiche e quadri appesi a pioli. Prese un barattolo da uno degli scaffali mentre passava;
l'etichetta diceva «MARMELLATA D'ARANCE», ma con suo grande disappunto il barattolo era
vuoto; non le andava di lasciarlo andar giù, per tema che ammazzasse qualcuno là in fondo, cosi
riuscì a infilarlo in una delle credenze cui si trovò a precipitare davanti.
189
Tratto da L. Carroll, Le avventure di Alice nel paese delle Meraviglie, Einaudi, Torino 2003.
136
«Bene!» pensava intanto Alice. «Dopo una caduta come questa, ruzzolare per le scale mi parrà
una bazzecola! Come mi troveranno coraggiosa tutti a casa! Ma sì, non mi verrebbe da dir nulla
neppure se cadessi dalla cima della casa!» (Cosa questa assai probabilmente vera).
Giù, giù, giù. Sarebbe mai cessata quella caduta? - Mi domando per quante miglia sarò ormai
precipitata, - disse ad alta voce. - Debbo trovarmi vicina al centro della terra. Vediamo: sarebbero
quattromila miglia di discesa, credo… - (perché, vedete, Alice aveva imparato svariate cose del
genere durante le lezioni in classe, e benché questa non fosse proprio una buona occasione per far
sfoggio della propria erudizione, dato che non c'era nessuno ad ascoltarla, tuttavia il ripasso era un
buon esercizio), - … sì, pressappoco è la distanza giusta; ma allora quale latitudine o longitudine
avrò raggiunto? - (Alice non aveva la più pallida idea di cosa fosse la latitudine o, se è per questo,
la longitudine, ma trovava che fossero splendide parole belle da dirsi).
Ben presto ricominciò: - Mi chiedo se non precipiterò attraverso la terra intera! Che buffo sbucare
tra la gente che cammina a testa in giù! Gli Antipati, mi pare ... - (era piuttosto contenta che non
ci fosse nessuno ad ascoltarla, stavolta, visto che la parola non le suonava per nulla giusta) - ...
ma bisognerà che domandi il nome del paese, si capisce. Per favore, signora, questa è la Nuova
Zelanda? Oppure l'Australia? - (e cercò di fare la riverenza mentre parlava ... immaginatevi, fare la
riverenza mentre precipiti attraverso l'aria! A voi riuscirebbe?) - E che ragazzina ignorante penserà
che io sia per domandarglielo! No, chiedere non va; forse lo troverò scritto da qualche parte.
Giù, giù, giù. Non c'era nient'altro da fare; cosi Alice di lì a poco ricominciò a parlare. - Dina sentirà
tantissimo la mia mancanza stasera, mi figuro! - (Dina era la gatta). - Spero che si ricorderanno il
suo piattino di latte all'ora del tè. Dina, cara! Vorrei che tu fossi quaggiù con me! Non ci sono topi
per aria, temo, ma potresti acchiappare un pipistrello, che somiglia tanto a un topo, si sa. Ma i
gatti mangiano i pipistrelli, chissà? - E a questo punto Alice cominciò a sentirsi piuttosto assonnata,
e continuò a dire fra sé e sé, come se sognasse: «I gatti mangiano i pipistrelli? I gatti mangiano i
pipistrelli?» e talvolta: «I pipistrelli mangiano i gatti ?», perché, vedete, siccome non era in grado
di dar risposta né all'una né all'altra domanda, non aveva molta importanza il modo in cui la
formulava. Sentì che stava per assopirsi, e aveva appena iniziato a sognare di trovarsi a passeggio
mano nella mano con Dina e di domandarle molto seriamente: - Suvvia, Dina, dimmi la verità: l'hai
mai mangiato un pipistrello? - allorché, d'un tratto, bum! bum!, arrivò giù, sopra a un mucchio di
ramoscelli e di foglie secche; e la caduta terminò.
Alice non si era fatta nulla, e un attimo dopo era già saltata in piedi; guardò in su, ma in alto era
tutto buio; davanti a lei c'era un altro lungo corridoio, e il Coniglio Bianco, ancora in vista, che vi si
allontanava di corsa. Non c'era un momento da perdere; via andò Alice come il vento, e fece in
tempo a udirlo mentre svoltava l'angolo: - Oh, orecchi e baffi miei, come si è fatto tardi! - Gli era
ormai a ridosso quando ella pure voltò l'angolo, ma il Coniglio non si vedeva più: si trovò in una
sala bassa e lunga, illuminata da una fila di lampade che pendevano dal soffitto.
Tutt'intorno alla sala c'erano tante porte, ma tutte chiuse a chiave; e quando Alice l'ebbe
interamente percorsa da una parte e poi dall'altra, provando ogni porta, si diresse mestamente
verso il centro, domandandosi in che modo avrebbe mai potuto andarsene da lì.
All'improvviso s'imbatté in un tavolino a tre gambe, tutto di vetro massiccio; su di esso non c'era
nulla oltre a una minuscola chiave d'oro. La prima idea di Alice fu che quella appartenesse a una
delle porte della sala; ma, ahimè!, fossero le serrature troppo grandi oppure fosse la chiave troppo
piccola, fatto sta che non ne apriva nessuna. Però, mentre rifaceva il giro una seconda volta,
s'imbatté in una bassa tendina che prima non aveva notato, dietro la quale c'era una porticina alta
circa quindici pollici: provò a infilare la chiavina d'oro nella serratura e, con sua grande gioia, si
adattava!
Alice aprì la porta e scoprì che dava in un piccolo corridoio, non più grande della tana di un ratto;
s'inginocchiò e in fondo al corridoio vide il più incantevole dei giardini. Come bramava di uscire da
quella sala oscura e gironzolare fra quelle aiuole di vividi fiori e quelle fresche fontane! Ma per quel
vano non le sarebbe passata neppure la testa; «e seppure ci passasse la testa, - pensò la povera
Alice, - mi servirebbe a ben poco senza le spalle. Oh, potessi accorciarmi come un telescopio!
Penso che ci riuscirei, se soltanto sapessi come cominciare». Perché, vedete, ultimamente le erano
137
accadute tante di quelle cose fuori dall' ordinario che Alice aveva cominciato a pensare che fossero
davvero molto poche le cose realmente impossibili.
Tutto sommato era inutile starsene ad aspettare accanto alla porticina, perciò tornò verso la tavola
con una mezza speranza di trovarci un'altra chiave o almeno un libro con le regole per far
accorciare la gente alla maniera dei telescopi. Stavolta ci trovò una bottiglietta (- che di sicuro
prima non c'era, - si disse Alice), con legato intorno al collo un cartellino con la parola «BEVIMl»
magnificamente stampata in grandi caratteri.
Facile a dirsi, «Bevimi»; ma la saggia piccola Alice non mostrava nessuna fretta di farlo. - No,
prima guarderò, - disse, - se c'è scritto veleno oppure no -; perché aveva letto parecchie graziose
storielle su bambini bruciati e mangiati dalle bestie feroci e altre spiacevoli cose, tutto per non
essersi ricordati le semplici regole insegnate loro dagli amici; come, ad esempio, che un attizzatoio
rovente ti brucerà se lo tieni in mano troppo a lungo, e che se ti tagli un dito molto profondamente
con un coltello di solito sanguina, e Alice mai si era dimenticata che se bevi un bel po' da una
bottiglia contrassegnata «veleno» è quasi certo che, prima o poi, ti accorgerai che non ti si confà.
In ogni modo, questa bottiglia non era contrassegnata «veleno», così Alice si azzardò ad
assaggiarla e, trovandola buonissima (il suo sapore, infatti, era una specie di miscuglio tra la
crostata di ciliegie, il budino di crema, l'ananasso, il tacchino arrosto, il croccante e i crostini caldi
imburrati), in un batter d'occhio la finì.
- Che curiosa sensazione! - disse Alice. - Devo star accorciandomi come un telescopio.
E così era infatti: adesso era alta soltanto dieci pollici; e il suo viso s'illuminò al pensiero che
adesso era della misura giusta per passare dalla porticina che dava in quell'incantevole giardino.
Prima, però, aspettò qualche minuto per vedere se si sarebbe ritirata ancora: si sentiva un po'
nervosa al riguardo. «Perché potrebbe andare a finire, sai, - si disse, - che mi consumi tutta, come
una candela. E che aspetto avrei allora?» E cercò d'immaginarsi come doveva apparire la fiamma
d'una candela dopo che la candela si è estinta, perché non ricordava di aver mai visto una cosa del
genere.
Dopo un po', visto che non accadeva più nulla, decise di andare subito in giardino; ma, ahimè per
la povera Alice! Quando fu alla porta si accorse di essersi dimenticata la chiavina d'oro, e quando
tornò alla tavola scoprì che non arrivava più a prenderla. Poteva vederIa con grande chiarezza
attraverso il vetro e fece del suo meglio per arrampicarsi lungo una gamba del tavolo, ma era
troppo scivolosa; e quando a furia di tentativi si fu stancata, la povera creaturina si mise a sedere
e pianse.
«Su, a che ti serve piangere in questo modo!» si disse Alice piuttosto bruscamente. «Ti consiglio di
piantarla all'istante!» Di solito s'impartiva degli ottimi consigli (sebbene li seguisse parecchio di
rado), e talvolta si sgridava così severamente da farsi venire le lacrime agli occhi; e una volta
rammentava di aver tentato di tirarsi le orecchie per aver imbrogliato se stessa durante una partita
di croquet che stava giocando contro se stessa, perché a questa curiosa bambina piaceva
tantissimo far finta di essere due persone. «Ma adesso non serve a nulla, - pensava la povera
Alice, - fingere di essere due persone! Diamine, c'è rimasto così poco di me che basta appena a
fare una sola persona rispettabile».
Subito dopo l'occhio le cadde su una scatoletta di vetro che era sotto al tavolo; l'aprì e ci trovò una
piccolissima torta sulla quale la parola «MANGIAMI» era magnificamente composta con uva
sultanina. - Ebbene, la mangerò, - disse Alice, - e se mi fa aumentare, raggiungerò la chiave; e se
mi fa diminuire, m'infilerò sotto la porta. E dunque o così o cosà entrerò nel giardino, e accada
quel che accada!
Mangiò un bocconcino e piena d'ansia si disse: «Così o cosà ?», tenendosi una mano sulla sommità
della testa per sentire come andava; ma restò molto sorpresa accorgendosi che rimaneva della
medesima statura. Dobbiamo ammetterlo: questo è quel che generalmente accade quando si
mangia un pasticcino; ma Alice era ormai talmente avvezza ad aspettarsi che le cose andassero
soltanto fuori dall'ordinario che vederle proseguire nell'ordinario le pareva totalmente ottuso e
assolutamente stupido. Così si rimise all'opera e di lì a poco la torta era finita.
138
LABORATORIO DEL TESTO
Proposte di lavoro sulla comprensione e/o analisi testuale e
tematica
1. Il capitolo può essere diviso in tre macrosequenze, di cui ti forniamo di seguito i titoli.
Individuale sul testo e riassumile brevemente.
Sequenza 1. L’apparizione del Coniglio:
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Sequenza 2. L’ingresso nella tana del Coniglio e la discesa nel pozzo:
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Sequenza 3. La sala dalle tante porte:
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2. Indica per ciascuna sequenza se prevale la narrazione, la descrizione, il monologo o la
riflessione.
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3. Qual è la reazione di Alice alla vista del Coniglio Bianco?
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4. Prova a definire la personalità di Alice, analizzando i suoi comportamenti e le sue riflessioni.
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5. Quali sono gli elementi magici che aiutano Alice?
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6. Immaginando di precipitare “attraverso la terra intera”, per definire il luogo dove sbucherà, Alice
commette un errore lessicale. Sei capace di individuare questa parola sbagliata, di indicarne la
forma corretta e spiegarne il significato?
139
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Proposte di riscrittura e rielaborazione
1. Riassumi il testo in un massimo di quindici righe.
2. Fai la descrizione del Coniglio Bianco e della sua tana.
Proposte di produzione testuale
9. Produci un testo di commento al primo capitolo de Le avventure di Alice, sviluppando la
seguente interpretazione con opportuni riferimenti ed esempi tratti dal testo:
Il viaggio attraverso la tana del Coniglio segna il passaggio dal mondo della realtà a quello della
fantasia, ma il confine tra la normalità e lo straordinario è sottile e a volte indistinto, e Alice si
abitua presto a considerare possibili anche le cose più irrazionali.
10. Come si svela alla fine del romanzo, la storia di Alice è quella di un bellissimo e stranissimo
sogno. Sarà capitato anche a te di fare un sogno fantastico, oppure anche solo di immaginare
un’avventura in uno strano mondo. Racconta.
LA BOTTEGA DELL’ARTE
Natal’ja Sergeevna Goncharova , Aeroplano sul treno.
Natal’ja Sergeevna Goncharova ( Negaevo 1881- Parigi 1962) è stata una importante pittrice
russa, che con il compagno, anch’egli pittore, si avvicinò, dopo aver interiorizzato la grande
tradizione pittorica del suo paese, alle nuove sollecitazioni del movimento futurista, che si diffuse
in Russia intorno al primo decennio del Novecento, diventando in seguito un’esponente di spicco
del raggismo.
Trasferitasi poi a Parigi nel 1914, si dedicò, senza mai abbandonare la pittura, all’illustrazione di
libri e alla realizzazione di scene teatrali.
1.
Quali mezzi di trasporto riconosci nell’immagine?
140
2.
Come sono stati disposti dalla pittrice? Questa sistemazione è , secondo te, neutra o vuole
significare qualcosa?
3.
Anche la scelta dei colori rimanda ad un messaggio pittorico. Prova a decifrarlo.
4.
Ricostruisci il rapporto uomo-macchina, come pensato dall’autrice, che vuole delineare in tal
modo i caratteri della società dei primi decenni del Novecento.
5.
I “ nuovi” mezzi di trasporto, treno ed aereo, sono stati spesso oggetto di attenzione da parte
della pittura del futurismo. Esegui un breve approfondimento.
SALA D’ASCOLTO
Ivano Fossati nasce il 21 settembre 1951 a Genova. Fin da bambino appare evidente la sua
predisposizione per la musica, che lo porterà a diventare uno dei protagonisti più completi e colti
della scena musicale italiana. Il percorso artistico di questo autore è molto articolato e complesso:
il suo esordio risale agli anni Settanta, con il gruppo dei Delirium; parallelamente alla sua lunga
carriera come solista, ha collaborato con altri cantautori di fama, come De André e De Gregori e ha
composto testi musicali per il teatro o per il cinema. Molti nomi importanti della musica leggera
italiana, come Mina, Patty Pravo, Fiorella Mannoia, Loredana Berté , hanno cantato con successo le
sue canzoni. Nel 2004 ha vinto la seconda edizione del premio Amnesty Italia con la canzone Pane
e coraggio, che affronta con grande sensibilità il tema delle migrazioni dai Paesi in via di sviluppo.
Il testo proposto fa parte dell’album Panama e dintorni, uscito nel 1981.
Panama
Di andare ai cocktails con la pistola
non ne posso più
piña colada o coca cola
non ne posso più
Di trafficanti e rifugiati
ne ho già piena la vita
oh maledetta traversata
non sarà mai finita, ma
Vedete a nove nodi appena
si è un punto fermo nel mare
che sa di nafta e lo nasconde
con l'odore del tè e dell'erba da fumare.
Oh mamaçita Panama dov'è
ora che stiamo in mare
sull'orizzonte ottico non c'è
si dovrà pur vedere
Signori ancora del tè
141
fra breve il porto di attracco darà segno di sé.
Quando a Londra il comando
di questa galera1 mi sembrò un affare
un comandante per quanto giovane
dovrebbe stare in mare
La compagnia non fece storie
no no no e lo credo bene
portare esplosivo ai fuoriusciti
mica a tutti conviene.
Oh mamaçita Panama dov'è
ora che stiamo in mare
sull'orizzonte ottico non c'è
si dovrà pur vedere
signori ancora del tè
fra breve il porto di attracco darà segno di sé.
Della francese che si sente sola
non ne posso più
sta a proravia2 di un cameriere
che invece guarda giù
Con l'ambasciata portoricana
è al quinto mambo stasera
chissà le facce sapessero di agitarsi
su una polveriera.
Di andare ai cocktails con la pistola
non ne posso più
piña colada o coca cola
non ne posso più
Oh mamaçita Panama dov'è
ora che stiamo in mare
sull'orizzonte ottico non c'è
si dovrà pur vedere
Signori un ultimo tè
il nostro porto di attracco non dà segno di sé
1
galera : pena ai lavori forzati da scontarsi sulle galee, cioè su imbarcazioni a remi e a vela in uso nel
Mediterraneo fino al XVIII secolo.
2
proravia: parte della nave che guarda verso la prua.
1. Individua i temi e i motivi dominanti presenti nel testo, osservando gli elementi (titolo, parole
chiave, campi semantici) che li rivelano.
2. Analizza situazioni, atmosfere, personaggi che compaiono nella canzone.
142
3. Esamina le parole straniere e i termini tecnici presenti. Che tipo di connotazione conferiscono al
testo? Quale legame si può evidenziare fra le scelte lessicali e i temi della canzone?
4. Perché a tuo parere il comandante usa il termine “galera” per definire la sua nave?
5. Analizza la struttura della canzone; individua:
a) il refrain (ritornello);
b) la funzione, prevalente nelle diverse strofe (narrativa, descrittiva, riflessiva)
6. In base alla tua analisi pensi sia corretto affermare che il testo ha una struttura circolare?
Motiva la tua risposta.
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Un tuffo nel Web
Sul sito www.ilgiramondo.it/lettura.htm è presente un’ampia panoramica di racconti di viaggio
scritti da viaggiatori antichi e contemporanei.
Sono disponibili sul sito http://www.youtube.com numerosi spezzoni dell’Odissea televisiva di
Franco Rossi e Mario Bava (1969).
Nel sito http://www.lafrusta.net/Riv_promessi_sposi.html si trova una interessante raccolta di
letture critiche su I promessi sposi.
Il sito ufficiale di Ivano Fossati, completo di cronologia, discografia, tour, incontri e collaborazioni
ha il seguente indirizzo: www.ivanofossati.it/.
Sul sito www.cponline.it/alice/alice.htm è disponibile una versione multimediale interattiva della
favola di Alice.
Sul sito http://www.youtube.com
Meraviglie, il Musical (2009).
sono disponibili numerosi spezzoni di Alice nel Paese delle
La versione più famosa in videogioco di Alice dell'opera di Lewis Carroll è sicuramente American
McGee's Alice, creato da American McGee e prodotto dalla Electronic Arts nell'anno 2000.
143
UN PERCORSO ATTRAVERSO UN TEMA
TRA NORMALITÀ E FOLLIA
Il limite tra normalità e follia costituisce l’elemento cardine su cui è fondata la nostra società.
L’uomo sociale non può che condividere e rispettare regole che ne garantiscono la convivenza
nel gruppo. Le regole danno la misura della normalità. L’espressione dell’individuo trova quindi
un limite nelle norme della convivenza. Tuttavia, il confine invalicabile tra normalità e follia
risulta spesso molto labile, difficile da definire. Prosatori e artisti di tutti i tempi si sono
addentrati in questa zona d’ombra, rendendo molto relativo quello che per la società
organizzata è, e deve continuare ad essere, un assoluto.
Il primo brano, Il famoso cavaliere Don Chisciotte, è tratto da Don Chisciotte della Mancia
(1605) di Miguel de Cervantes Saavedra, un romanzo strutturato in due parti (1605 e 1615)
che narra le vicende di Alonso Quijano, un nobile di campagna spagnolo (hidalgo) che,
appassionato di romanzi cavallereschi, finisce per essere trasportato in un mondo fantastico in
cui egli diventa il cavaliere errante Don Chisciotte. Investito della missione eroica, si mette in
viaggio per la Spagna per difendere i deboli e “riparare ai torti”. Convinto di vivere in un mondo
dominato da regole cavalleresche, si muove nella dimensione del sogno, in cui il contadino
Sancho Panza diventa il suo scudiero, la contadinotta Aldolza Lorenzo diviene la nobile dama
Dulcinea del Toboso e i mulini a vento si trasfigurano nei giganti contro i quali si compie l’ultima
gloriosa impresa del nostro cavaliere.
Tutto il romanzo, che può essere definito il primo dei romanzi moderni per la complessità della
narrazione, si incentra sulla perenne dialettica fra la follia del visionario Don Chisciotte e la
razionalità del fedele scudiero Sancho Panza, che cerca di riportare il suo padrone alla ragione.
Sicchè, nella seconda parte del romanzo, le due distinte dimensioni della follia e della ragione
finiscono per compenetrarsi e confondersi, e se il cavaliere riacquista senso della realtà, lo
scudiero finisce per addentrarsi sempre più nel mondo visionario di Don Chisciotte, in quella
che dai critici viene definita “chisciottizzazione” di Sancho Panza e “ sancizzazione” di Don
Chisciotte.
La novella La signora Frola e il signor Ponza, suo genero(1925) di Luigi Pirandello, è inserita
nella raccolta Novelle per un anno (1922-1937).
Incentrata sull’impossibilità di interpretare la realtà da un unico punto di vista e di pervenire
quindi alla “verità”, la novella si inserisce appieno nella nuova realtà raccontata da Pirandello,
una realtà non più determinata dal rigoroso rapporto causa-effetto, ma fluida, dinamica,
polverizzata dal relativismo, dalla problematicità psicologica e dall’incomunicabilità degli uomini.
Nella zona di confine tra realtà e follia, tra la realtà oggettivo-fenomenica e il mondo
dell’irrazionale, si addentra Albert Camus con il suo Caligola, opera teatrale composta nel
1938. Caligola, come Camus, è un appassionato della vita, ama la natura, le arti, la bellezza.
Vive il presente senza interrogarsi sul destino dell’uomo, sulla sua transitoria e labile condizione
esistenziale. Ma la morte dell’amata Drusilla lo “sveglia” ed egli sente improvvisamente
l’irrazionalità di una vita senza via d’uscita, irrimediabilmente destinata alla morte. Così, senza
più illusioni, rimasto solo in un mondo senza dèi, si fa dio egli stesso, sovverte tutti i valori che
davano significati illusori all’esistenza e vive l’impossibile. In un mondo dominato dall’assurdo e
dall’irrazionale, egli non può che comportarsi in modo irrazionale: alla follia del mondo oppone
la sua lucida e personale follia.
La canzone di Ivano Fossati, Confessioni di Alonzo Quijano, tratta dall’album Discanto, 1990,
offre una nuova prospettiva del personaggio Don Chisciotte, che ora parla in prima persona ed
espone il proprio personale punto di vista.
144
Miguel de Cervantes Saaveda
A TU PER TU CON L’AUTORE
Miguel de Cervantes Saaveda nasce il 29 Settembre del 1547 ad Alcalà de Henares, da Leonor
e Rodrigo de Cortinas.
Costretto a continui spostamenti dalla professione poco remunerativa del padre, un cerusico (il
chirurgo di un tempo), dal 1466 al 1468 studia a Madrid nel Collegio El Estudio, discepolo del
famoso grammatico Lòpez de Hoyos.
Nel 1570, al seguito del monsignore Giulio d’Acquaviva, si sposta in Italia dove si arruola nella
flotta cristiana, capitanata da Giovanni d’Austria, e combatte eroicamente nella battaglia di
Lepanto (1571), battaglia che vede la disfatta della flotta turca. Ferito al petto e alla mano sinistra,
di cui perderà per sempre l’uso, continua a combattere contro gli infedeli a Navarrino e a Tunisi.
Dopo un soggiorno di tre anni a Napoli, cerca di rientrare in Spagna intenzionato a proseguire la
carriera militare, ma viene catturato dai corsari turchi e venduto come schiavo ad Algeri, città in
cui rimane prigioniero per cinque anni. Rientrato finalmente nella cattolicissima Spagna di Filippo
II, attende fiducioso di essere ricompensato di tutti i sacrifici compiuti per il suo Paese, ma le
sue speranze andranno presto deluse. Riesce infatti soltanto ad ottenere un modesto incarico
come commissario di vettovagliamento nell’Invincibile Armata e, successivamente, un impiego
come esattore delle tasse. Accusato di irregolarità nell’esazione delle imposte, viene imprigionato
nel 1597 e nel 1602, a Siviglia, dove probabilmente inizia la stesura del Don Chisciotte che, come
si legge nel Prologo alla prima parte dell’opera, “è nato in una prigione, dove stanno di casa tutti i
disagi e tutti i più sinistri rumori”.
Nonostante le ristrettezze economiche, dedicherà l’ultima parte della sua vita alla pubblicazione
delle sue opere.
Sono da ricordare, oltre al Don Chisciotte, le Novelle esemplari (1613), che daranno al Cervantes
l’appellativo di Boccaccio spagnolo; il poemetto satirico-allegorico Il viaggio del Parnaso (1614),
una bonaria satira contro gli illustri letterati del tempo; Le traversie di Persiles e Sigismonda,
terminato pochi giorni prima della morte, avvenuta a Madrid il 22 Aprile del 1616.
145
SALA DI LETTURA
Il romanzo prende l’avvio con la trasformazione del nobile Alonzo Quijano nel cavaliere errante
Don Chisciotte.
Per evadere dalla monotona quotidiana, un signorotto di campagna si rifugia nella lettura dei
romanzi cavallereschi, immedesimandovisi a tal punto da essere trasportato in un mondo
fantastico.
In questa realtà visionaria, un semplice cappello di cartone diventa un elmo, un lungo ramo la
lancia, il povero ronzino un fiero destriero e la bella contadinotta Aldolza la dama a cui dedicare le
sue gloriose imprese.
Da questa follia inizieranno le sue avventure, sullo sfondo della Spagna di fine Cinquecento,
devastata da una crisi economica e sociale che porterà al declino della sua potenza.
[riflessione lessicale: trova sul vocabolario le parole sottolineate nel testo]
CAPITOLO I
Della condizione e delle operazioni del rinomato idalgo don
Chisciotte della Mancia190.
Viveva, non ha molto, in una terra della Mancia, che non voglio ricordare come si chiami, un idalgo
di quelli che tengono lance nella rastrelliera, targhe antiche, magro ronzino e cane da caccia. Egli
consumava tre quarte parti della sua rendita per mangiare piuttosto bue che castrato, carne con
salsa il più delle sere, il sabato minuzzoli di pecore mal capitate, lenti il venerdì, coll'aggiunta di
qualche piccioncino nelle domeniche. Consumava il resto per ornarsi nei giorni di festa con un saio
di scelto panno di lana, calzoni di velluto e pantofole pur di velluto; e nel rimanente della
settimana faceva il grazioso portando un vestito di rascia della più fina. Una serva d'oltre
quarant'anni, ed una nipote che venti non ne compiva convivevano con esso lui, ed eziandio un
servitore da città e da campagna, che sapeva così bene sellare il cavallo come potare le viti.
Toccava l'età di cinquant'anni; forte di complessione, adusto, asciutto di viso; alzavasi di buon
191
mattino, ed era amico della caccia. Vogliono alcuni che portasse il soprannome di Chisciada
o
192
Chesada, nel che discordano gli autori
che trattarono delle sue imprese; ma per verosimili
congetture si può presupporre che fosse denominato Chisciana; il che poco torna al nostro
proposito; e basta soltanto che nella relazione delle sue gesta non ci scostiamo un punto dal vero.
Importa bensì di sapere che negli intervalli di tempo nei quali era ozioso (ch'erano il più dell'anno),
applicavasi alla lettura dei libri di cavalleria con predilezione sì dichiarata e sì grande compiacenza
che obbliò193 quasi intieramente l'esercizio della caccia ed anche il governo delle domestiche cose:
anzi la curiosità sua, giunta alla manìa d'erudirsi compiutamente in tale istituzione, lo indusse a
spropriarsi di non pochi dei suoi poderi a fine di comperare e di leggere libri di cavalleria. Di questa
maniera ne recò egli a casa sua quanti gli vennero alle mani; ma nissuno di questi gli parve tanto
degno d'essere apprezzato quanto quelli composti dal famoso Feliciano de Silva, la nitidezza della
sua prosa e le sue artifiziose orazioni gli sembravano altrettante perle, massimamente poi quando
imbattevasi in certe svenevolezze amorose, o cartelli di sfida, in molti dei quali trovava scritto: La
ragione della nissuna ragione che alla mia ragione vien fatta, rende sì debole la mia ragione che
190
Tratto da Don Chisciotte della Mancia, Edoardo Perino editore, Roma 1888.
Il Don Chisciotte si struttura in due parti: la prima, del 1605, in cui si narrano le vicende della prima uscita (capp.1-6) e
della seconda uscita del cavaliere(capp.7-52); la seconda parte, del 1615, con la terza uscita del cavaliere (capp.1-74).
191
Chishada: in spagnolo Quijano
192
Cervantes finge di rielaborare un racconto dello storico arabo Cide Hamete Benengeli che, in quanto storico, dice
sicuramente la verità, ma in quanto arabo è un miscredente, quindi falso e bugiardo, definito nel secondo capitolo un
sapiente incantatore. A questo intreccio di autori si aggiunge il traduttore del manoscritto arabo, un morisco che spesso
interviene a commentare il racconto(II parte).
193
Obbliò: Dimenticò.
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con ragione mi dolgo della vostra bellezza. E similmente allorché leggeva: Gli alti cieli che la
divinità vostra vanno divinamente fortificando coi loro influssi, vi fanno meritevole del merito che
meritatamente attribuito viene alla vostra grandezza. Con questi e somiglianti ragionamenti il
povero cavaliere usciva del senno.
[…]
194
In fine perduto affatto il giudizio, si ridusse al più strano divisamento che siasi giammai dato al
mondo. Gli parve conveniente e necessario per l'esaltamento del proprio onore e pel servigio della
sua repubblica di farsi cavaliere errante, e con armi proprie e cavallo scorrere tutto il mondo
cercando avventure, ed occupandosi negli esercizii tutti dei quali aveva fatto lettura. Il riparare
qualunque genere di torti, e l'esporre sé stesso ad ogni maniera di pericoli per condursi a glorioso
fine, doveano eternare fastosamente il suo nome; e figuravasi il pover'uomo d'essere coronato per
lo meno imperadore di Trebisonda195 in merito del valore del suo braccio. Immerso in tali deliziosi
pensieri, ed alzato all'estasi dalla straordinaria soddisfazione che vi trovava, si diede la più gran
fretta onde porli ad esecuzione. Applicossi prima di tutto a far lucenti alcune arme di cui si erano
valsi i bisavoli suoi, e che di ruggine coperte giacevano dimenticate in un cantone: le ripulì e le
pose in assetto il meglio che gli fu possibile, poi s'accorse ch'era in esse una essenziale mancanza,
perocché invece della celata196 con visiera, eravi solo un morione197; ma; supplì a ciò la sua
industria facendo di cartone una mezza celata, che unita al morione pigliò l'apparenza di celata
intera. Egli è vero che per metterne a prova la solidità trasse la spada, e vi diede due colpi col
primo dei quali, in un momento solo, distrusse il lavoro che l'aveva tenuto occupato una
settimana; né gli andò allora a grado la facilità con cui la ridusse in pezzi; ma ad oggetto che non
si rinnovasse un tale disastro, la rifece consolidandola interiormente con cerchietti di ferro, e restò
così soddisfatto della sua fortezza che senza metterla a nuovo cimento rinnovando la prova di
prima, la ebbe in conto di celata con visiera di finissima tempra.
198
e più
Si recò da poi a visitare il suo ronzino, e benché avesse più quarti assai d'un popone
199
200
malanni che il cavallo del Gonella — che tantum pellis et ossa fuit — gli parve che non gli si
201
agguagliassero né il Babieca del Cid, né il Bucefalo di Alessandro . Impiegò quattro giorni
nell'immaginare con qual nome dovesse chiamarlo, e diceva egli a sé stesso che sconveniva di
troppo che un cavallo di cavaliere sì celebre non portasse un nome famoso; e andava perciò
ruminando per trovarne uno che spiegasse ciò che era stato prima di servire ad un cavaliere
errante, e quello che andava a diventare. Era ben ragionevole che cambiando stato il padrone,
mutasse nome anche la bestia, ed uno gliene fosse applicato celebre e sonoro; e quindi dopo aver
molto fra sé proposto, cancellato, levato, aggiunto, disfatto e tornato a rifare sempre
fantasticando, stabilì finalmente di chiamarlo Ronzinante, nome a quanto gli parve, elevato e pieno
di una sonorità che indicava il passato esser suo ronzino, e ciò ch'era per diventare, vale a dire, il
più cospicuo tra tutti i ronzini del mondo.
Stabilito con tanta sua soddisfazione il nome al cavallo, s'applicò fervorosamente a determinare il
proprio, nel che spese altri otto giorni, a capo dei quali si chiamò don Chisciotte. Da ciò, come fu
detto già prima, trassero argomento gli autori di questa verissima storia, che debba essa chiamarsi
indubitamente Chisciada e non Chesada, come ad altri piacque denominarla. Si risovvenne il nostro
194
Divisamento: estraniazione, straniamento.
Trebisonda: Porto della Turchia, a lungo conteso fra Turchi e crociati.
196
Celata: elmo da combattimento, dotato di una visiera che protegge il viso.
197
Morione: elmo con bordi rivolti in alto, senza visiera e poco adatto al combattimento.
198
Più…d’un popone: più crepature agli zoccoli.
199
Gonella: Pietro Gonella, celebre buffone della corte estense di Ferrara.
200
Che tantum…fuit: che era soltanto pelle e ossa.
201
Gli parve che…Alessandro: al cavaliere il ronzino appare superiore ai cavalli di Alessandro Magno e del Cid
Campeador, l’eroe spagnolo che aveva combattuto contro gli Arabi.
195
147
futuro eroe che il valoroso Amadigi non erasi limitato a chiamarsi Amadigi semplicemente, ma che
affibbiato vi aveva il nome del regno e della patria, per sua più grande celebrità, chiamandosi
202
Amadigi di Gaula . Dietro sì autorevole esempio, come buon cavaliere decise d'accoppiare al
proprio nome quello pur della patria, e chiamarsi don Chisciotte 203della Mancia, con che, a parer
suo, spiegava più a vivo il lignaggio e la patria, e davale onore col prendere da lei il soprannome.
Rese di già lucide l'arme sue, fatta del morione una celata, stabilito il nome al ronzino, e
confermato il proprio, si persuase che altro a lui non mancasse se non se una dama di cui
dichiararsi amoroso. Il cavaliere errante senza innamoramento è come arbore spoglio di fronde e
privo di frutta; è come corpo senz'anima, andava dicendo egli a sé stesso. — Se per castigo de'
204
miei peccati, o per mia buona ventura m'avvengo
in qualche gigante, come d'ordinario
intraviene ai cavalieri erranti, ed io lo fo balzare a primo scontro fuori di sella, o lo taglio per
mezzo, o vinto lo costringo ad arrendersi, non sarà egli bene d'avere a cui farne un presente?
laonde poi egli entri, e ginocchioni dinanzi alla mia dolce signora così s'esprima colla voce
supplichevole dell'uomo domato: — Io, signora, sono il gigante Caraculiambro205, dominatore
dell'isola Malindrania, vinto in singolar tenzone dal non mai abbastanza celebrato cavaliere don
Chisciotte della Mancia, da cui ebbi comando di presentarmi dinanzi alla signoria vostra, affinché la
grandezza vostra disponga di me a suo talento. Oh! come si rallegrò il nostro buon cavaliere
all'essersi così espresso! ma oh quanto più si compiacque poi nell'avere trovato a chi dovesse
concedere il nome di sua dama! — Soggiornava in un paese, per quanto credesi, vicino al suo, una
giovanotta contadina di bell'aspetto, della quale egli era stato già amante senza ch'ella il sapesse,
né se ne fosse avvista giammai, e chiamavasi Aldolza Lorenzo; e questa gli parve opportuno
chiamar signora de' suoi pensieri. Dappoi cercando un nome che non discordasse gran fatto dal
suo, e che potesse in certo modo indicarla principessa e signora, la chiamò Dulcinea del Toboso206
perché del Toboso appunto era nativa. Questo nome gli sembrò armonioso, peregrino ed
espressivo, a somiglianza di quelli che allora aveva posti a sé stesso ed alle cose sue.
LABORATORIO DEL TESTO
Proposte di lavoro sulla comprensione e/o analisi testuale e
tematica
1. Definisci, con ricchezza di particolari, le componenti della narrazione:
personaggi:
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luogo:
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202
Armadigi di Gaula: eroe di un romanzo cavalleresco del XVsecolo
Chisciotte: in spagnolo Quijote.
204
M’avvengo: mi imbatto
205
Caraculiambro, Malindrania:nomi burleschi di pura invenzione.
206
Dulcinea del Toboso; Dulcinea, nome di ispirazione bucolica che si sostituisce ad Aldonza, nome che all’epoca
veniva usato per indicare una donna di facili costumi. Toboso è un villaggio della Mancia, regione spagnola.
203
148
tempo:
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2. Suddividi il brano in sequenze(indicandone le parole iniziali e finali), definiscine la tipologia ed
assegna ad ognuna uno dei seguenti titoli: Aldolza Lorenzo diventa Dulcinea del Toboso; Alonzo
Quijano, hidalgo spagnolo; L’armatura di Don Chisciotte; La cavalcatura di Don Chisciotte; Alonzo
diventa cavaliere errante; Le letture del nobiluomo.
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2. Rifletti sui tempi della narrazione:il tempo del racconto(TdR) e il tempo della storia(TdS)
Prevalgono sequenze
□
□
□
□
narrative/sommari; TdR<TdS
descrittive/pause; TdR>TdS
riflessive/pause; TdR>TdS
dialogiche/scene; TdR=TdS
quindi il ritmo narrativo è
□
□
lento
veloce
3. Il narratore della novella è
□ interno
□ esterno
Motiva la tua risposta
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4. L’autore adotta una prospettiva
ristretta
onnisciente
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5. Nel testo, sottolinea in blu le frasi che evidenziano la duplicità delle voci narranti.
6. Rintraccia gli interventi dell’autore, sottolineando in rosso le espressioni e le frasi con cui egli
commenta i pensieri e le azioni del personaggio. A quale dei due autori possiamo riferirli?
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7. In questo primo capitolo del Don Chisciotte assistiamo al passaggio dalla normalità alla follia,
per cui il signorotto di campagna Alonzo Quijano viene trasportato dalle sue letture in un mondo
epico-cavalleresco in cui diventa il cavaliere errante. Descrivi i tratti distintivi, fisici e psicologici, dei
due diversi personaggi, completando la seguente tabella.
Alonzo Quijano
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Don Chisciotte della Mancia
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6. La benevola ironia con la quale il narratore descrive la follia di Don Chisciotte si fa più sarcastica
quando è diretta verso i poeti del suo tempo. Prova a riscrivere con parole tue la “nitida prosa” del
citato Feliciano de Silva “La ragione della nissuna ragione che alla mia ragione vien fatta, rende sì
debole la mia ragione che con ragione mi dolgo della vostra bellezza.”;
… “Gli alti cieli che la divinità vostra vanno divinamente fortificando coi loro influssi, vi fanno
meritevole del merito che meritatamente attribuito viene alla vostra grandezza”
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7. Spiega a quali compiti Don Chisciotte ritiene di dover assolvere in qualità di cavaliere errante.
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8. L’intera vicenda è incentrata sulle folli peripezie del visionario Don Chisciotte e sui vari tentativi
dei diversi personaggi che cercano di riportarlo alla ragione. Possiamo quindi dire che il messaggio
esplicito del romanzo è la descrizione e l’esecrazione della follia. Dal tono ironico comprendiamo,
però, che il messaggio implicito è diverso. Prova a spiegarlo.
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Proposte di riscrittura e rielaborazione
1. Rielabora il testo in un lessico più moderno e comprensibile, parafrasando con parole tue i
periodi che risultano più difficili da comprendere.
2. Riscrivi il brano, immaginando che il nobiluomo Alonso Quijano, ormai rinsavito, racconti la sua
storia. Come puoi definire il tono del tuo racconto?
3. Inverti l’ordine della narrazione, partendo dalla follia di Don Chisciotte e ricostruendo poi,
attraverso una retrospezione, la personalità di Alonzo Quijano.
Proposte di produzione testuale
1. Racconta di un sogno che ti è rimasto particolarmente impresso nella memoria e cerca di
interpretarne il contenuto.
2. Documentati su un personaggio famoso che ha vissuto l’esperienza della follia (Dino Campana,
Torquato Tasso, Virginia Woolf, …) e prova a scriverne un breve biografia.
151
Luigi Pirandello
A TU PER TU CON L’AUTORE
Luigi Pirandello nasce il 28 giugno 1867 nella villa detta Caos (in dialetto Cavùsu) nei pressi di
Girgenti, l’odierna Agrigento, da un’agiata famiglia siciliana, proprietaria di alcune miniere di zolfo.
Dopo gli studi liceali compiuti a Palermo, rientra nel 1886 a Girgenti, dove affianca per breve
tempo il padre nella conduzione della miniera di zolfo. Si iscrive prima all'università di Palermo, poi
alla Facoltà di Lettere dell'Università di Roma, ma a causa di un contrasto con il preside, si
trasferisce all'università di Bonn, dove si laurea nel 1891.
Nel 1894 sposa Maria Antonietta Portulano e con lei si trasferisce a Roma, dove nascono i loro tre
figli ed entra in contatto con l’ambiente letterario del tempo. Collaboratore di riviste e giornali,
decisivo sarà per lui l’incontro con il teorico del Verismo italiano Luigi Capuana, che lo incoraggerà
nella produzione narrativa. Sono del 1893, infatti, il romanzo L’esclusa, di impronta verista, e la
raccolta di novelle Amori senza amore (1894).
Nel 1903 l’allagamento della miniera di zolfo in cui sono state investite le risorse finanziarie della
famiglia provoca ingenti danni economici che aggravano la già precaria salute mentale della
moglie, che nel 1919 sarà ricoverata presso una clinica psichiatrica in cui rimarrà per tutta la vita.
Nonostante sia professore di lettere all’Istituto superiore di Magistero di Roma, le ristrettezze
economiche lo costringono ad intensificare la sua produzione letteraria. Di questo periodo sono i
due grandi romanzi Il fu Mattia Pascal (1904) e Uno, nessuno e centomila, che sarà però
pubblicato soltanto nel 1926, e il saggio L’Umorismo (1908), esplicativo di tutta la poetica
pirandelliana. Sia le novelle che i romanzi segnano la definitiva rottura con il realismo italiano, per
una nuova visione della realtà incentrata sulla problematicità dell’uomo, sulle sue complesse
dinamiche psichiche che lo rendono una realtà non più statica e assoluta, ma fluida e disgregata,
inconoscibile e incomunicabile.
Saranno questi i temi della vasta produzione teatrale, Così è se vi pare, Sei personaggi in cerca
d’autore, Questa sera si recita a soggetto …, raccolta nel volume Maschere nude, a cui l’autore si
dedicherà fino alla morte, avvenuta il 10 Dicembre del 1936.
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SALA DI LETTURA
La signora Frola e il signor Ponza, suo genero207
Un singolare caso per le signore di Valdana: una suocera impazzita per la morte della giovane figlia
o un genero folle di gelosia per la giovane moglie? Una voce narrante ci introduce nel singolare
caso che angoscia le signore di Valdana, paesino della Sicilia in cui, da qualche mese, si sono
trasferiti il signor Ponza, segretario di prefettura, e la signora Frola, sua suocera…
[riflessione lessicale: cerca sul vocabolario il significato delle parole sottolineate nel
testo]
Ma insomma, ve lo figurate? c'è da ammattire sul serio tutti quanti a non poter sapere chi tra i due
sia il pazzo, se questa signora Frola o questo signor Ponza, suo genero. Cose che càpitano soltanto
a Valdana, città disgraziata, calamìta di tutti i forestieri eccentrici!
Pazza lei o pazzo lui; non c'è via di mezzo: uno dei due dev'esser pazzo per forza. Perché si tratta
niente meno che di questo... Ma no, è meglio esporre prima con ordine.
Sono, vi giuro, seriamente costernato dell'angoscia in cui vivono da tre mesi gli abitanti di Valdana,
e poco m'importa della signora Frola e del signor Ponza, suo genero. Perché, se è vero che una
grave sciagura è loro toccata, non è men vero che uno dei due, almeno, ha avuto la fortuna
d'impazzirne e l'altro l'ha ajutato, séguita ad ajutarlo così che non si riesce, ripeto, a sapere quale
dei due veramente sia pazzo; e certo una consolazione meglio di questa non se la potevano dare.
Ma dico di tenere così, sotto quest'incubo, un'intera cittadinanza, vi par poco? togliendole ogni
sostegno al giudizio, per modo che non possa più distinguere tra fantasma e realtà. Un'angoscia,
un perpetuo sgomento. Ciascuno si vede davanti, ogni giorno, quei due; li guarda in faccia; sa che
uno dei due è pazzo; li studia, li squadra, li spia e, niente! non poter scoprire quale dei due; dove
sia il fantasma, dove la realtà. Naturalmente, nasce in ciascuno il sospetto pernicioso che tanto
vale allora la realtà quanto il fantasma, e che ogni realtà può benissimo essere un fantasma e
viceversa. Vi par poco? Nei panni del signor prefetto, io darei senz'altro, per la salute dell'anima
degli abitanti di Valdana, lo sfratto alla signora Frola e al signor Ponza, suo genero.
Ma procediamo con ordine.
Questo signor Ponza arrivò a Valdana or sono tre mesi, segretario di prefettura. Prese alloggio nel
casolare nuovo all'uscita del paese, quello che chiamano "il Favo". Lì. All'ultimo piano, un
quartierino208. Tre finestre che danno sulla campagna, alte, tristi (ché la facciata di là, all'aria di
tramontana, su tutti quegli orti pallidi, chi sa perché, benché nuova, s'è tanto intristita) e tre
209
finestre interne, di qua, sul cortile, ove gira la ringhiera del ballatojo diviso da tramezzi a grate.
Pendono da quella ringhiera, lassù lassù, tanti panierini pronti a esser calati col cordino a un
bisogno.
Nello stesso tempo, però, con maraviglia di tutti, il signor Ponza fissò nel centro della città, e
propriamente in Via dei Santi n. 15, un altro quartierino mobigliato di tre camere e cucina. Disse
che doveva servire per la suocera, signora Frola. E difatti questa arrivò cinque o sei giorni dopo; e
il signor Ponza si recò ad accoglierla, lui solo, alla stazione e la condusse e la lasciò lì, sola.
Ora, via, si capisce che una figliuola, maritandosi, lasci la casa della madre per andare a convivere
col marito, anche in un'altra città; ma che questa madre poi, non reggendo a star lontana dalla
figliuola, lasci il suo paese, la sua casa, e la segua, e che nella città dove tanto la figliuola quanto
lei sono forestiere vada ad abitare in una casa a parte, questo non si capisce più facilmente; o si
207
Tratto da L. Pirandello, Novelle per un anno, Mondadori, 1985.
Quartierino: piccolo appartamento.
209
Ballatojo: lungo balcone che affaccia sul cortile.
208
153
deve ammettere tra suocera e genero una così forte incompatibilità da rendere proprio impossibile
la convivenza, anche in queste condizioni.
210
Naturalmente a Valdana dapprima si pensò così. E certo chi scapitò per questo nell'opinione di
tutti fu il signor Ponza. Della signora Frola, se qualcuno ammise che forse doveva averci anche lei
un po' di colpa, o per scarso compatimento o per qualche caparbietà o intolleranza, tutti
considerarono l'amore materno che la traeva appresso alla figliuola, pur condannata a non poterle
vivere accanto.
Gran parte ebbe in questa considerazione per la signora Frola e nel concetto che subito del signor
Ponza s'impresse nell'animo di tutti, che fosse cioè duro, anzi crudele, anche l'aspetto dei due,
bisogna dirlo. Tozzo, senza collo, nero come un africano, con folti capelli ispidi su la fronte bassa,
dense e aspre sopracciglia giunte, grossi mustacchi lucidi da questurino211, e negli occhi cupi, fissi,
quasi senza bianco, un'intensità violenta, esasperata, a stento contenuta, non si sa se di doglia
tetra o di dispetto della vista altrui, il signor Ponza non è fatto certamente per conciliarsi la
simpatia o la confidenza. Vecchina gracile, pallida, è invece la signora Frola, dai lineamenti fini,
nobilissimi, e una aria malinconica, ma d'una malinconia senza peso, vaga e gentile, che non
esclude l'affabilità con tutti.
Ora di questa affabilità, naturalissima in lei, la signora Frola ha dato subito prova in città, e subito
per essa nell'animo di tutti è cresciuta l'avversione per il signor Ponza; giacché chiaramente è
apparsa a ognuno l'indole di lei, non solo mite, remissiva, tollerante, ma anche piena d'indulgente
compatimento per il male che il genero le fa; e anche perché s'è venuto a sapere che non basta al
signor Ponza relegare in una casa a parte quella povera madre, ma spinge la crudeltà fino a
vietarle anche la vista della figliuola.
Se non che, non crudeltà, protesta subito nelle sue visite alle signore di Valdana la signora Frola,
ponendo le manine avanti, veramente afflitta che si possa pensare questo di suo genero. E
s'affretta a decantarne tutte le virtù, a dirne tutto il bene possibile e immaginabile; quale amore,
quante cure, quali attenzioni egli abbia per la figliuola, non solo, ma anche per lei, sì, sì, anche per
lei; premuroso, disinteressato... Ah, non crudele, no, per carità! C'è solo questo: che vuole tutta,
tutta per sé la mogliettina, il signor Ponza, fino al punto che anche l'amore, che questa deve avere
(e l'ammette, come no?) per la sua mamma, vuole che le arrivi non direttamente, ma attraverso
lui, per mezzo di lui, ecco. Sì, può parere crudeltà, questa, ma non lo è; è un'altra cosa, un'altra
cosa ch'ella, la signora Frola, intende benissimo e si strugge di non sapere esprimere. Natura,
ecco... ma no, forse una specie di malattia... come dire? Mio Dio, basta guardarlo negli occhi.
Fanno in prima una brutta impressione, forse, quegli occhi; ma dicono tutto a chi, come lei, sappia
leggere in essi: la pienezza chiusa, dicono, di tutto un mondo d'amore in lui, nel quale la moglie
deve vivere senza mai uscirne minimamente, e nel quale nessun altro, neppure la madre, deve
entrare. Gelosia? Sì, forse; ma a voler definire volgarmente questa totalità esclusiva d'amore.
Egoismo? Ma un egoismo che si dà tutto, come un mondo, alla propria donna! Egoismo, in fondo,
sarebbe quello di lei a voler forzare questo mondo chiuso d'amore, a volervisi introdurre per forza,
quand'ella sa che la figliuola è felice, così adorata... Questo a una madre può bastare! Del resto,
non è mica vero ch'ella non la veda, la sua figliuola. Due o tre volte al giorno la vede: entra nel
cortile della casa; suona il campanello e subito la sua figliuola s'affaccia di lassù.
- Come stai Tildina?
- Benissimo, mamma. Tu?
- Come Dio vuole, figliuola mia. Giù, giù il panierino!
E nel panierino, sempre due parole di lettera, con le notizie della giornata. Ecco, le basta questo.
Dura ormai da quattr'anni questa vita, e ci s'è abituata la signora Frola. Rassegnata, sì. E quasi
non ne soffre più.
210
211
Scapitò: fu penalizzato.
Questurino: poliziotto.
154
Com'è facile intendere, questa rassegnazione della signora Frola, quest'abitudine ch'ella dice d'aver
fatto al suo martirio, ridondano212 a carico del signor Ponza, suo genero, tanto più, quanto più ella
col suo lungo discorso si affanna a scusarlo.
Con vera indignazione perciò, e anche dirò con paura, le signore di Valdana che hanno ricevuto la
prima visita della signora Frola, accolgono il giorno dopo l'annunzio di un'altra visita inattesa, del
signor Ponza, che le prega di concedergli due soli minuti d'udienza, per una "doverosa
dichiarazione", se non reca loro incomodo.
Affocato213 in volto, quasi congestionato, con gli occhi più duri e più tetri che mai, un fazzoletto in
mano che stride per la sua bianchezza, insieme coi polsini e il colletto della camicia, sul nero della
carnagione, del pelame e del vestito, il signor Ponza, asciugandosi di continuo il sudore che gli
sgocciola dalla fronte bassa e dalle gote raschiose e violacee, non già per il caldo, ma per la
violenza evidentissima dello sforzo che fa su se stesso e per cui anche le grosse mani dalle unghie
lunghe gli tremano; in questo e in quel salotto, davanti a quelle signore che lo mirano quasi
atterrite, domanda prima se la signora Frola, sua suocera, è stata a visita da loro il giorno avanti;
poi, con pena, con sforzo, con agitazione di punto in punto crescenti, se ella ha parlato loro della
figliuola e se ha detto che egli le vieta assolutamente di vederla e di salire in casa sua.
Le signore, nel vederlo così agitato, com'è facile immaginare, s'affrettano a rispondergli che la
signora Frola, sì, è vero, ha detto loro di quella proibizione di vedere la figlia, ma anche tutto il
bene possibile e immaginabile di lui, fino a scusarlo, non solo, ma anche a non dargli
nessun'ombra di colpa per quella proibizione stessa.
Se non che, invece di quietarsi, a questa risposta delle signore, il signor Ponza si agita di più; gli
occhi gli diventano più duri, più fissi, più tetri; le grosse gocce di sudore più spesse; e alla fine,
facendo uno sforzo ancor più violento su se stesso, viene alla sua "dichiarazione doverosa".
La quale è questa, semplicemente: che la signora Frola, poveretta, non pare, ma è pazza. Pazza da
quattro anni, sì. E la sua pazzia consiste appunto nel credere che egli non voglia farle vedere la
figliuola. Quale figliuola? E' morta, è morta da quattro anni la figliuola: e la signora Frola, appunto
per il dolore di questa morte, è impazzita: per fortuna, impazzita, sì, giacché la pazzia è stata per
lei lo scampo dal suo disperato dolore. Naturalmente non poteva scamparne, se non così, cioè
credendo che non sia vero che la sua figliuola è morta e che sia lui, invece, suo genero, che non
vuole più fargliela vedere.
Per puro dovere di carità verso un'infelice, egli, il signor Ponza, seconda da quattro anni, a costo di
molti e gravi sacrifici, questa pietosa follia: tiene, con dispendio superiore alle sue forze, due case:
una per sé, una per lei; e obbliga la sua seconda moglie, che per fortuna caritatevolmente si
presta volentieri, a secondare anche lei questa follia. Ma carità, dovere, ecco, fino a un certo
punto: anche per la sua qualità di pubblico funzionario, il signor Ponza non può permettere che si
creda di lui, in città, questa cosa crudele e inverosimile: ch'egli cioè, per gelosia o per altro, vieti a
una povera madre di vedere la propria figliuola.
Dichiarato questo, il signor Ponza s'inchina innanzi allo sbalordimento delle signore, e va via. Ma
questo sbalordimento delle signore non ha neppure il tempo di scemare un po', che rieccoti la
signora Frola con la sua aria dolce di vaga malinconia a domandare scusa se, per causa sua, le
buone signore si sono prese qualche spavento per la visita del signor Ponza, suo genero.
E la signora Frola, con la maggior semplicità e naturalezza del mondo, dichiara a sua volta, ma in
gran confidenza, per carità! poiché il signor Ponza è un pubblico funzionario, e appunto per questo
ella la prima volta s'è astenuta dal dirlo, ma sì, perché questo potrebbe seriamente pregiudicarlo
nella carriera; il signor Ponza, poveretto - ottimo, ottimo inappuntabile segretario alla prefettura,
compìto, preciso in tutti i suoi atti, in tutti i suoi pensieri, pieno di tante buone qualità - il signor
Ponza, poveretto, su quest'unico punto non... non ragiona più, ecco; il pazzo è lui, poveretto; e la
sua pazzia consiste appunto in questo: nel credere che sua moglie sia morta da quattro anni e
nell'andar dicendo che la pazza è lei, la signora Frola che crede ancora viva la figliuola. No, non lo
fa per coonestare in certo qual modo innanzi agli altri quella sua gelosia quasi maniaca e quella
212
213
Ridondano a carico:vanno a discapito, risultano dannose.
Affocato: rosso, infiammato.
155
crudele proibizione a lei di vedere la figliuola, no; crede, crede sul serio il poveretto che sua moglie
sia morta e che questa che ha con sé sia una seconda moglie. Caso pietosissimo! Perché
veramente col suo troppo amore quest'uomo rischiò in prima di distruggere, d'uccidere la giovane
moglietta delicatina, tanto che si dovette sottrargliela di nascosto e chiuderla a insaputa di lui in
una casa di salute. Ebbene, il povero uomo, a cui già per quella frenesia d'amore s'era anche
gravemente alterato il cervello, ne impazzì; credette che la moglie fosse morta davvero: e questa
idea gli si fissò talmente nel cervello, che non ci fu più verso di levargliela, neppure quando,
ritornata dopo circa un anno florida come prima, la moglietta gli fu ripresentata. La credette
un'altra; tanto che si dovette con l'ajuto di tutti, parenti e amici, simulare un secondo matrimonio,
che gli ha ridato pienamente l'equilibrio delle facoltà mentali.
Ora la signora Frola crede d'aver qualche ragione di sospettare che da un pezzo suo genero sia del
tutto rientrato in sé e ch'egli finga, finga soltanto di credere che sua moglie sia una seconda
moglie, per tenersela così tutta per sé, senza contatto con nessuno, perché forse tuttavia di tanto
in tanto gli balena la paura che di nuovo gli possa esser sottratta nascostamente. Ma sì. Come
spiegare, se no, tutte le cure, le premure che ha per lei, sua suocera, se veramente egli crede che
è una seconda moglie quella che ha con sé? Non dovrebbe sentire l'obbligo di tanti riguardi per
una che, di fatto, non sarebbe più sua suocera, è vero? Questo, si badi, la signora Frola lo dice,
non per dimostrare ancor meglio che il pazzo è lui; ma per provare anche a se stessa che il suo
sospetto è fondato.
- E intanto, - conclude con un sospiro che su le labbra le s'atteggia in un dolce mestissimo sorriso,
- intanto la povera figliuola mia deve fingere di non esser lei, ma un'altra, e anch'io sono obbligata
a fingermi pazza credendo che la mia figliuola sia ancora viva. Mi costa poco, grazie a Dio, perché
è là, la mia figliuola, sana e piena di vita; la vedo, le parlo; ma sono condannata a non poter
convivere con lei, e anche a vederla e a parlarle da lontano, perché egli possa credere, o fingere di
credere che la mia figliuola, Dio liberi, è morta e che questa che ha con sé è una seconda moglie.
Ma torno a dire, che importa se con questo siamo riusciti a ridare la pace a tutti e due? So che la
mia figliuola è adorata, contenta; la vedo; le parlo; e mi rassegno per amore di lei e di lui a vivere
così e a passare anche per pazza, signora mia, pazienza...
Dico, non vi sembra che a Valdana ci sia proprio da restare a bocca aperta, a guardarci tutti negli
occhi, come insensati? A chi credere dei due? Chi è il pazzo? Dov'è la realtà? dove il fantasma?
Lo potrebbe dire la moglie del signor Ponza. Ma non c'è da fidarsi se, davanti a lui, costei dice
d'esser seconda moglie; come non c'è da fidarsi se, davanti alla signora Frola, conferma d'esserne
la figliuola. Si dovrebbe prenderla a parte e farle dire a quattr'occhi la verità. Non è possibile. Il
signor Ponza - sia o no lui il pazzo - è realmente gelosissimo e non lascia vedere la moglie a
nessuno. La tiene lassù, come in prigione, sotto chiave; e questo fatto è senza dubbio in favore
della signora Frola; ma il signor Ponza dice che è costretto a far così, e che sua moglie stessa anzi
glielo impone, per paura che la signora Frola non le entri in casa all'improvviso. Può essere una
scusa. Sta anche di fatto che il signor Ponza non tiene neanche una serva in casa. Dice che lo fa
per risparmio, obbligato com'è a pagar l'affitto di due case; e si sobbarca intanto a farsi da sé la
spesa giornaliera, e la moglie, che a suo dire non è la figlia della signora Frola, si sobbarca anche
lei per pietà di questa, cioè d'una povera vecchia che fu suocera di suo marito, a badare a tutte le
faccende di casa, anche alle più umili, privandosi dell'ajuto di una serva. Sembra a tutti un po'
troppo. Ma è anche vero che questo stato di cose, se non con la pietà, può spiegarsi con la gelosia
di lui.
Intanto, il signor Prefetto di Valdana s'è contentato della dichiarazione del signor Ponza. Ma certo
l'aspetto e in gran parte la condotta di costui non depongono in suo favore, almeno per le signore
di Valdana più propense tutte quante a prestar fede alla signora Frola. Questa, difatti, viene
premurosa a mostrar loro le letterine affettuose che le cala giù col panierino la figliuola, e anche
tant'altri privati documenti, a cui però il signor Ponza toglie ogni credito, dicendo che le sono stati
rilasciati per confortare il pietoso inganno.
156
Certo è questo, a ogni modo: che dimostrano tutt'e due, l'uno per l'altra, un meraviglioso spirito di
sacrifizio, commoventissimo; e che ciascuno ha per la presunta pazzia dell'altro la considerazione
più squisitamente pietosa. Ragionano tutt'e due a meraviglia; tanto che a Valdana non sarebbe
mai venuto in mente a nessuno di dire che l'uno dei due era pazzo, se non l'avessero detto loro: il
signor Ponza della signora Frola, e la signora Frola del signor Ponza.
La signora Frola va spesso a trovare il genero alla prefettura per aver da lui qualche consiglio, o lo
aspetta all'uscita per farsi accompagnare in qualche compera: e spessissimo, dal canto suo, nelle
ore libere e ogni sera il signor Ponza va a trovare la signora Frola nel quartierino mobigliato; e ogni
qual volta per caso l'uno s'imbatte nell'altra per via, subito con la massima cordialità si mettono
insieme; egli le dà la destra e, se stanca, le porge il braccio, e vanno così, insieme, tra il dispetto
aggrondato e lo stupore e la costernazione della gente che li studia, li squadra, li spia e, niente!,
non riesce ancora in nessun modo a comprendere quale sia il pazzo dei due, dove sia il fantasma,
dove la realtà.
LABORATORIO DEL TESTO
Proposte di lavoro sulla comprensione e/o analisi testuale e
tematica
1. Come puoi vedere dalla spaziatura bianca di demarcazione, la novella si struttura in quattro
segmenti narrativi che corrispondono a quattro diverse situazioni narrative: l’introduzione,
in cui la voce narrante anticipa l’ambiente e i personaggi della vicenda; l’antefatto, con
l’ingresso dei personaggi, ritratti nel loro aspetto fisico, e una descrizione più dettagliata
dell’ambiente in cui si svolge la vicenda; lo svolgimento dell’azione dei personaggi a
confronto; la conclusione, che vede coesistere le due verità. Riassumi con la tecnica della
selezione ogni segmento, conservando solo i periodi che ti sembrano indispensabili a
riprodurre il filo della narrazione.
INTRODUZIONE
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ANTEFATTO
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SVOLGIMENTO
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CONCLUSIONE
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2. Nella novella l’autore adotta la focalizzazione
□
□
esterna
zero
Motiva la tua risposta
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3. Prova a delineare i personaggi basandoti sui dati certi che emergono dal testo.
PERSONAGGIO
La signora Frola
ASPETTI FISICI
ASPETTI CARATTERIALI
Il signor Ponza
La moglie del
signor Ponza
4. Nella conclusione la voce narrante riprende quasi alla lettera una riflessione presente nel primo
segmento narrativo, definendo così la struttura a cornice della novella (la conclusione ripropone la
situazione iniziale). Evidenzia le frasi che aprono e chiudono la cornice.
5. Nell’ultima sequenza della novella è particolarmente evidente la struttura paratattica dei periodi,
resa mediante l’uso delle congiunzioni coordinanti. Prova a sostituirle inserendo connettivi diversi.
6. Sottolinea nel testo tutte le espressioni tipiche della lingua parlata, che rendono la narrazione
più agevole e spedita. Prova quindi a sostituirle con espressioni più letterarie.
Proposte di riscrittura e rielaborazione
1. Inserisci nel testo delle pause, descrittive o riflessive, che ne aumentino la durata.
2. Riscrivi il racconto dal punto di vista della signora Ponza, scegliendo quindi quale delle due
versioni sia quella vera.
158
3. Riscrivi una conclusione in cui, con un colpo di scena, una terza versione ci dà la verità della
storia.
Proposte di produzione testuale
1. Immagina che questo singolare caso sia realmente successo. Cambia ambienti e personaggi e
scrivi un articolo di cronaca.
2. Capita anche a noi, a volte, di non riuscire a pervenire alla verità su una determinata vicenda.
Il/la mio/a ragazzo/a non è venuto/a all’appuntamento scusandosi perché … eppure sembrava che
…. – Si dice che…, ma … . A partire da questo spunto, prova a raccontare.
3. Molti sono i casi di cronaca nera che hanno interessano l’opinione pubblica e che sono ancora
insoluti. Esponi uno di questi casi e spiega qual è la tua opinione sul colpevole e sul movente del
delitto.
Albert Camus
A TU PER TU CON L’AUTORE
Albert Camus nasce a Mondovi, in Algeria, il 7 Novembre del 1913. Non conoscerà il padre,
Lucien Camus, di origine alsaziana, operaio di un’azienda vinicola, morto in guerra nel 1914. La
madre, Catherinne Sintès, catalana delle Baleari, ormai vedova, si trasferisce dalla madre, ad
Algeri, nel quartiere operaio di Belcourt. In una famiglia “che mancava quasi di tutto e non
invidiava quasi nulla”, Camus trascorre la sua infanzia nella povertà, con una nonna autoritaria ed
una madre silenziosa che lavora tutto il giorno per allevare i suoi figli. Ma la bellezza della natura e
il caldo sole algerino ripagano in qualche modo quella vita di stenti “In questo mondo di povertà e
di luce (…) venni messo tra la miseria e il sole. La povertà non è mai stata una disgrazia per me:la
luce vi spandeva le sue ricchezze…Il bel caldo che regnava sulla mia infanzia mi ha privato di ogni
risentimento”.214
Grazie all’aiuto del suo maestro elementare, Louis German, prosegue gli studi al Grand Lycée di
Algeri, dove conosce il filosofo e saggista Jean Grenier che lo introduce nell’ambiente intellettuale
algerino. Nel 1932 collabora con una serie di articoli alla rivista Sud e nel 1934 aderisce al Partito
Comunista, da cui verrà espulso tre anni dopo. Dopo aver conseguito il diploma di studi superiori di
Filosofia nel 1936, viaggia in Europa e, tra l’Algeria e la Francia, scrive la maggior parte delle sue
214
Il Rovescio e il diritto, in Albert Camus, opere, Milano, Bompiani 1988; p.6.
159
opere. Ammalatosi di tubercolosi già dal 1930, la malattia si ripropone più volte nel corso della
vita, costringendolo a lunghi periodi di convalescenza. Nella Francia occupata dai tedeschi, vive il
dramma della seconda guerra mondiale, da cui nasce gran parte delle sue opere: Lo Straniero e Il
mito di Sisifo, pubblicati nel 1942, Il Malinteso(1943), La Peste(1947). Nel 1957 gli viene conferito
il premio Nobel per la letteratura. Muore in un incidente d’auto, a pochi chilometri da Parigi, il 4
Gennaio del 1960.
Tutta l’opera di Camus è incentrata sull’assurdità dell’esistenza. Se l’uomo può appagarsi
nell’adesione totale con la natura, nella quale può immergersi e confondersi, ritornando allo stato
primitivo e ad una partecipazione cosmica dell’esistenza, si rende però conto che la natura
continua ad offrire i suoi spettacoli con o senza di lui, nel ciclo incessante del tempo e della vita a
cui egli non è chiamato a partecipare. È questa l’assurda condizione riservata all’uomo: vivere una
vita dominata da leggi che non può condividere.
SALA DI LETTURA
Caligola215
Dopo la morte dell’amata Drusilla, Caligola, sconvolto dal dolore, scompare per tre giorni.
Preoccupati del vuoto di potere, i patrizi discutono sull’opportunità di sostituire l’imperatore, ma
Caligola ricompare, sporco di fango e bagnato di pioggia. Egli ha scoperto che gli uomini muoiono
e che non sono felici: dunque tutto è menzogna e la sola verità è la ricerca dell'impossibile.
Caligola, allora, cercherà di vivere l’assurdo, sovvertendo l'ordine della natura e abolendo ogni
differenza tra bene e male.
SCENA TERZA
Scena vuota per un attimo. Entra, di soppiatto, da sinistra, Caligola. Appare smarrito. Ѐ sporco: coi
capelli madidi di pioggia e le gambe impillaccherate. Porta più volte la mano alla bocca. Si avvicina
allo specchio,e quando vede la sua immagine, si ferma. Borbotta qualche parola impercettibile: poi
va a sedersi a destra, le braccia penzoloni tra le ginocchia divaricate. Entra, da sinistra, Elicone.
Vede Caligola; si ferma all’estremo lato della scena e l’osserva in silenzio. Caligola si volta e lo
vede.
SCENA QUARTA
Elicone (dall’estremità della scena all’altra)- Buongiorno, Caio.
Caligola (con naturalezza)- Buongiorno, Elicone.
(Pausa)
Elicone- Sembri stanco.
Caligola - Ho camminato molto.
Elicone – Sì. Un’assenza lunga.
(Pausa)
Caligola – Era difficile da trovare…
Elicone – Che cosa?
Caligola – Ciò che volevo io.
Elicone – E tu, che volevi?
Caligola (sempre naturale) – La luna.
Elicone – Che cosa?
Caligola – La luna. Volevo la luna.
215
Tratto da A. Camus, Caligola, in Tutto il teatro di Albert Camus, Bompiani 1960.
160
Elicone – Ah! (Pausa. Elicone gli si avvicina). Per che farne?
Caligola – Mah! Ѐ una delle cose che non ho.
Elicone – Sicuro! E ora, l’hai ottenuta?
Caligola – No.
Elicone – Eh, una disdetta.
Caligola – Sì. E perciò sono stanco. (Pausa). Elicone…
Elicone – Sì, Caio…
Caligola – Tu pensi che sono matto.
Elicone – Sai bene che non penso mai. Sono troppo intelligente per cascarci.
Caligola – Già. Già. Ma io non sono matto. Anzi, non sono stato mai così lucido. Ho provato
semplicemente una improvvisa sete di impossibile.(Pausa). Le cose, così come sono, non mi
216
sembrano di tutto riposo .
Elicone – L’opinione è piuttosto diffusa.
Caligola – Ѐ vero. Ma io non lo sapevo, prima. Ora lo so. Questo mondo, così com’è, non è
sopportabile. Perciò ho bisogno della luna, o della felicità, o dell’immortalità; di qualche cosa,
poniamo, di pazzesco, purchè non sia di questo mondo.
Elicone – Il discorso fila. Peccato che, di solito, non si riesce a portarlo fino in fondo.
Caligola (si alza, e, sempre con la sua semplicità) –
Tu non lo sai: proprio perché, di solito, non si porta fino in fondo, il risultato è negativo. Ma
basterà, forse, tenersi rigorosamente logici fino alla fine. (Guarda Elicone). Lo so: tu ora
pensi:“Quante storie per una donna!” No. Non è questo. Ricordo vagamente che pochi giorni fa
una donna, che amavo, è morta. Ma che è mai l’amore? Poca cosa. Quella morte non è niente,
credimi. Ѐ soltanto il segno di una verità che mi rende necessaria la luna. Una verità semplice e
chiara, un po’ melensa, ma difficile da scoprire e pesante da portare.
Elicone – E che è questa verità?
Caligola (si volta: tono neutro) – Gli uomini muoiono e non sono felici.
Elicone – Ma, Caio, è una verità alla quale gli uomini si adattano benissimo. Guardati intorno: non
per questo si sono mai astenuti dal mettersi a tavola.
Caligola (con reazione improvvisa) – Vuol dire, allora, che tutto è menzogna intorno a me.
Voglio che la gente viva nella verità. E ho tutti i mezzi per ottenerlo. Io so quello che a loro manca,
Elicone: manca un po’ di criterio e un professore che sappia quel che dice.
Elicone – Caio, non offenderti: tu dovresti, innanzi tutto, riposare.
Caligola (siede. Con dolcezza) – Non è possibile; non sarà mai possibile.
Elicone – Perché?
Caligola – Se dormo, chi mi darà la luna?
Elicone (dopo breve pausa) – Ѐ vero.
(Caligola si alza con visibile sforzo).
Caligola – Senti, Elicone? Rumore di passi e di voci. Non dir niente a nessuno. Dimentica di
avermi incontrato.
Elicone – Ho capito.
(Caligola si avvia all’uscita. Si volta).
Caligola – E, se non ti dispiace, procura, ora, di aiutarmi.
Elicone – Non ho motivo di rifiutami, Caio. Ma io so molte cose, e ben poche mi toccano. Aiutarti, a
che?
Caligola – A raggiungere l’impossibile.
Elicone – Farò del mio meglio.
(Esce Caligola. Entrano, concitati, Scipione e Cesonia).
SCENA QUINTA
Scipione – Non c’è. Tu, Elicone, l’hai visto?
Elicone – No.
216
Di tutto riposo: affatto soddisfacenti.
161
Cesonia – A te, Elicone, non ha detto proprio nulla prima di scappare?
Elicone – Non sono il suo confidente; sono il suo spettatore. Ѐ meno pericoloso.
Cesonia – Ti prego, Elicone.
Elicone – Cara Cesonia, Caio è un idealista, lo sanno tutti: cioè, uno che non ha capito ancora.
Io, invece, ho capito: e perciò non mi occupo di nulla. Ma se Caio comincia a capire, lui, col suo
tenero cuoricino, è capace di occuparsi di tutto. E sa il cielo quanto ci costerà. Ma, scusate, vado a
colazione.
(Esce)
Epilogo: Dopo tre anni di crimini e di follie, i patrizi decideranno di liberarsi del folle imperatore e
ordiranno una congiura.
Caligola, pur essendo a conoscenza delle loro trame, non farà nulla per evitare la morte, vista
ormai come l’unica via d’uscita alla condizione assurda dell’uomo.
LABORATORIO DEL TESTO
Proposte di lavoro sulla comprensione e/o analisi testuale e
tematica
1.Come avrai notato il linguaggio del testo teatrale è quello dialogico. Nel teatro l’azione narrativa
si svolge attraverso i dialoghi dei personaggi, pertanto: (TdS: tempo della storia; TdR: tempo del
racconto.
□ TdS>TdR
□ TdS<TdR
□ TdS=TdR
Si tratta di:
□ Un sommario
□ Una scena
□ Una pausa
2. Prova a spiegare a parole tue: “le cose, così come sono, non mi sembrano di tutto riposo …
perciò ho bisogno della luna, o della felicità, o dell’immortalità”.
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3. A quale verità è pervenuto Caligola? Con quali aggettivi questa verità viene definita?
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4. Qual è la “lucida logica” di Caligola?
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5. Cosa rappresenta la luna?
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6. Sulla base delle informazioni che puoi dedurre dal testo, prova a tracciare un ritratto di Caligola.
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Proposte di produzione testuale
1. Inserisciti nel dialogo, magari con un nuovo personaggio, e al pessimismo di Caligola opponi le
ragioni per cui credi valga la pena di vivere.
2. Cesonia ama Caligola di un amore così totale che, alla fine, si lascerà uccidere da lui.
Inventa un dialogo in cui Cesonia esprime a Caligola tutto il suo amore.
3. Documentati sul personaggio storico di Caligola e scrivine una breve biografia.
163
LA BOTTEGA DELL’ARTE
Vincent Van Gogh, Campo di grano con volo di corvi, Olio su tela, 1890, 50.3 cm x 103 cm,
Van Gogh Museum, Amsterdam
Vincent Van Gogh (Groot-Zundert,Brabante-1853-Anversa 1890) figlio di un pastore protestante,
all’età di sedici anni inizia a lavorare come mercante d’arte ma nel 1876, in preda ad una crisi
mistica, abbandona il lavoro per studiare teologia ad Amsterdam e ricalcare le impronte del padre.
Per due anni fa opera di apostolato fra i minatori del Belgio e solo nel 1881, quando l’incarico non
gli viene rinnovato, si dedica alla pittura. Influenzato dall’impressionismo, se ne stacca però
decisamente per una pittura nuova, basata sull’uso del colore come mezzo d’espressione
immediata, e lontana dai temi naturalistici tipici dell’impressionismo. Ricoverato nel manicomio di
Saint Rémy nel 1888, continua a lavorare in uno stato di tensione allucinata fino al suicidio,
avvenuto nel 1890. La tela ritrae, molto verosimilmente, il campo in cui Van Gogh si suicidò, ed è
uno degli ultimi quadri dell’autore.
1. Descrivi il quadro con la tecnica della descrizione oggettiva, partendo dalle immagini riportate in
primo piano e procedendo verso lo sfondo.
2. Cerca di interpretare il significato degli elementi ritratti (il campo di grano, il cielo, la stradina) e
descrivi il quadro in modo soggettivo.
3. Rifletti sul violento contrasto fra i colori chiari e i colori scuri e spiegane il significato simbolico.
4. Quali immagini ti suggeriscono i corvi neri che avanzano dallo sfondo verso l’osservatore?
5. Questo quadro è stato considerato una sorta di testamento dell’artista. Prova a spiegarne il
perché.
164
SALA D’ASCOLTO
Considerato uno degli autori più raffinati e colti della scena musicale italiana, Ivano Fossati
(Genova 1951) inizia la sua carriera artistica con il gruppo musicale I Delirium, con cui partecipa a
Sanremo con la canzone Jesahel, nel 1972. Nel suo percorso di cantautore vanno ricordate le
collaborazioni con artisti come Fabrizio De Andrè, Mia Martini, Fiorella Mannoia… Oltre che di
numerose canzoni, i cui testi sconfinano nella poesia, è autore di Racconti (Il giullare), colonne
sonore e musiche per teatro.
Confessioni di Alonzo Quijano
Giro nel mio deserto e sto tranquillo
ho solo il vento per barriera
Ah, che cavaliere triste
in realtà avevo dato il cuore
alla luna
e la luna l'ho barattata col temporale
e il temporale con un tempo ancor meno normale
e il tempo stesso con una spada
che mi accompagnasse
fuori dei confini di quello che è reale.
E più mi accorgo di amare l'ignota destinazione
più lungo sterpi e rovesci
non ritorno.
A me, a me, a me
una pazzia d'argento
al mio cavallo una pazzia di biada
Ah, come hai potuto pensare
di cambiarci la strada
che se la morte è soltanto un mare
vedi, mi ci tuffo vestito
Ahi, polvere delle mie strade
ah, scintille del mio mare inaridito
come hai potuto pensare
di spogliarmi proprio adesso
giro nel mio deserto e fa lo stesso
Per non scalfire il tuo senso morale
ma dentro
caro il mio ingegnoso narratore, dentro,
dentro è tutto un altro carnevale
Mi porto dietro latta, legni
l'antico arsenale
carambole di fantasmi io conservo
conservo pezzi di temporale
le chiacchiere sul mercato
che vergogna, che spavento
la normalità eterna
Risvegliarmi un'altra volta senza fiato
fra il pianto scemo del barbiere
e il sudore muto del curato
165
io qui vedo l'orizzonte
e faccio finta di accettare
le predizioni della scimmia che indovina
Io, tirar di scherma con la grandine, le dame.
Ah, che compagnie infelici
cavalieri di specchi, minestre di radici
dormo nella follia
e tutto il teatro con me
Ma senti che odore di carta e incenso
da una parte ti dico grazie
e dall'altra continuo
solo e senza corpo a scornarmi con il vento.
1. La canzone introduce un nuovo punto di vista nella “triste storia” del Don Chisciotte.
A parlare non è più Don Chisciotte, ma il suo personaggio, che rivendica il diritto alla
follia. A chi si rivolge?
2. Cerca di spiegare l’espressione “avevo dato il cuore alla luna”. Qual è il significato
simbolico delle parole “cuore” e “luna”?
3. Rifletti sull’espressione “che vergogna, che spavento la normalità eterna”.
Secondo te, quale significato assume la pazzia in questo testo?
4. Alla luce della trama del romanzo, come spieghi l’espressione “come hai potuto
pensare di cambiarci la strada”?
Un tuffo nel Web
Per il testo integrale del Don Chisciotte, vai al sito:
http://users.ipfw.edu/JEHLE/cervante/doreimag/index.htm
Per scaricare gratis il testo integrale del Don Chisciotte:
www.letturelibere.net
Per le notizie biografiche su Camus:
http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=1425&biografia=Albert+Camus
http://it.wikiquote.org/wiki/Albert_Camus
Per un’interpretazione critica del Caligola:
www.giornalediconfine.net/n_2/art_12.htm
Per notizie su Caligola imperatore:
Caligola-Wikipedia
cronologia.leonardo.it/storia/anno037a.htm
166
Puoi approfondire la conoscenza di Van Gogh visitando on-line i musei a lui dedicati:
www.vangoghmuseum.nl/
http://www.amsterdam.info/museums/van_gogh_museum/
Per saperne di più sul cantautore Ivano Fossati:
www.ivanofossati.it/
it.wikipedia.org/wiki/Ivano_Fossati
Puoi integrare il percorso con i film:
Qualcuno volò sul nido del cuculo, regia di Milos Forman, 1975, tratto dall’omonimo romanzo
di Ken Kesey, Rizzoli Editore,1976; con Jack Nicholson, Louise Fletcher, William Redfield, Sydney
Lassick.
A Beautiful Mind, di Ron Howard, 2002, interpretato da Russell Crowe, Ed Harris, Jennifer
Connelly e dedicato alla vita del matematico John Forbes Nash jr., premio Nobel 1994.
UN PERCORSO ATTRAVERSO UN TEMA
LIBERTA’ E PARTECIPAZIONE
Gli scrittori ci raccontano i sogni, i desideri, le aspettative, le relazioni e le avventure dei
loro personaggi. Dietro a tutto ciò c'è spesso un'idea di libertà, che si manifesta nei modi
più vari, quindi parlare di libertà attraverso i testi letterari permette di seguire le strade
diverse. Con questo percorso si è voluto riflettere sulla libertà, lavorando sia sul messaggio
che alcuni autori ci hanno lasciato, sia sul mezzo linguistico e sulla struttura della
narrazione che hanno usato per trasmetterlo: la letteratura è arte e anche il lavoro sulla
forma narrativa e poetica che assume ci permette di comprenderne meglio il messaggio e
di goderne appieno.
Il primo brano è tratto da Il gabbiano Jonathan Livingston di Richard Bach ed è la
perfetta metafora della libertà conquistata attraverso la realizzazione di sé, il superamento
dei propri limiti, la capacità di osare. Libertà come volo, come possibilità di andare oltre.
Il secondo testo proposto è il racconto Il lungo viaggio di Leonardo Sciascia, nel quale
alcuni uomini si imbarcano clandestini dalle coste siciliane per raggiungere l'America, la
mitica terra della fortuna, in cui parenti e paesani hanno trovato sicurezza e benessere. In
queste righe la libertà diventa speranza: speranza nel futuro, nel superamento del bisogno
attraverso il lavoro, che appare così strumento per la realizzazione della libertà.
La terza lettura è stata scelta per trattare il tema della partecipazione e lo abbiamo
fatto con un brano tratto da La fattoria degli animali di George Orwell. Il testo proposto
ci presenta un'altra faccia dell'idea di partecipazione, quella che ha dominato, ad esempio,
nei totalitarismi del Novecento, in cui era indispensabile che l'individuo partecipasse; la
presenza delle “masse” era fondamentale per garantire al potere la sua legittimazione, ma
poco aveva a che fare con la libertà e nulla con lo spirito critico. Era piuttosto partecipare
e lavorare affidandosi completamente. Il racconto è allegorico, gli animali e le vicende che
li vedono protagonisti rappresentano alcuni dei comportamenti che gli individui hanno
nella vita sociale, soprattutto nei momenti in cui sono richiesti loro impegno e
partecipazione nell'ambito di una causa comune.
167
A TU PER TU CON L’AUTORE
Richard David Bach (Oak Park, Illinois, 1935). Prima di diventare narratore fu pilota
riservista nella U.S. Air Force, si dedicò al volo acrobatico e pubblicò manuali tecnici di
aviazione. Raggiunse il successo come scrittore con Il gabbiano Jonathan Linvingston del
1970, la cui edizione originale è corredata dalle fotografie di Russel Munson
SALA DI LETTURA
Il gabbiano Jonathan Livingston217
Nel romanzo viene raccontato la storia di un gabbiano che scopre la bellezza del volo, del
superare i propri limiti e della ricerca dell'eccellenza, del pieno sviluppo di sé. Qui sta la
differenza tra lui e i
suoi compagni, ai quali interessa volare solo per procurarsi il cibo.
Il gabbiano Jonathan è diverso dai suoi simili e non riesce ad omologarsi, perché in tal
caso andrebbe contro alla sua vera natura. Considerato un reietto dallo stormo, sceglie la
solitudine fino a quando incontrerà i suoi simili e da quel momento comincerà la sua vera
avventura.
[carattere blu = riflessione lessicale]
[carattere rosso = riflessione sintattica]
Era di primo mattino,
il sole appena sorto luccicava tremolando sulle scaglie del mare appena increspato.
A un miglio dalla costa un peschereccio arrancava verso il largo. E fu data la voce allo Stormo. E in
men che non si dica tutto lo Stormo Buonappetito si adunò, si diedero a giostrare ed accanirsi per
beccare qualcosa da mangiare. Cominciava così una nuova dura giornata.
Ma lontano di là solo soletto, lontano dalla costa e dalla barca, un gabbiano si stava allenando per
suo conto: era il gabbiano Jonathan Livingston.
Si trovava a una trentina di metri d'altezza: distese le zampette palmate, aperse il becco, si tese in
uno sforzo doloroso per imprimere alle ali una torsione tale da consentirgli di volare lento. E infatti
rallentò tanto che il vento divenne un fruscìo lieve intorno a lui, tanto che il mare ristava immoto
sotto le sue ali. Strinse gli occhi, si concentrò intensamente, trattenne il fiato, compì ancora uno
sforzo per accrescere solo... d'un paio... di centimetri... quella... penosa torsione e... [Che
significato hanno secondo te i punti di sospensione? _____________________________________
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
D'un tratto gli si arruffano le penne, entra in stallo e precipita giù.
I gabbiani, lo sapete anche voi, non vacillano, non stallano mai. Stallare, scomporsi in volo, per
loro è una vergogna, è un disonore.
Ma il gabbiano Jonathan Livingston - che faccia tosta, eccolo là che ci riprova ancora, tende e
torce le ali per aumentarne la superficie, vibra tutto nello sforzo e patapunf [Questa è una
217
Tratto da Richard Bach, Il gabbiano Jonathan Livingston, Rizzoli, Milano 1989
168
_____________________ cioè una parola che non ha un vero significato, ma che
vuole solo rappresentare un _____________] stalla di nuovo - no, non era un uccello come
tanti.
La maggior parte dei gabbiani non si danno la pena di apprendere, del volo, altro che le nozioni
elementari: gli basta arrivare dalla costa a dov'è il cibo e poi tornare a casa. Per la maggior parte
dei gabbiani, volare non conta, conta mangiare. A quel gabbiano lì, invece, non importava tanto
procurarsi il cibo, quanto volare. Più d'ogni altra cosa al mondo, a Jonathan Livingston piaceva
librarsi nel cielo.
Ma a sue spese scoprì che, a pensarla in quel modo, non è facile poi trovare amici, fra gli altri
uccelli. E anche i suoi genitori erano afflitti a vederlo così: che passava giornate intere tutto solo,
dietro i suoi esperimenti, quei suoi voli planati a bassa quota, provando e riprovando.
Non sapeva spiegarsi perchè, ad esempio, quando volava basso sull'acqua, a un'altezza inferiore
alla metà della sua apertura alare, riusciva a sostenersi più a lungo nell'aria e con meno fatica.
Concludeva la planata, lui, mica con quel solito tuffo a zampingiù nel mare, bensì con una lunga
scivolata liscia liscia, sfiorando la superficie con le gambe raccolte contro il corpo, in un tutto
aerodinamico. Quando poi si diede a seguire planate con atterraggio a zampe retratte anche
sulla spiaggia (e a misurare quindi, coi suoi passi, la lunghezza di ogni planata) i suoi genitori si
mostrarono molto ma molto sconsolati.
" Ma perche, Jon, perchè?” gli domandò sua madre.
" Perchè non devi essere un gabbiano come gli altri, Jon? Ci vuole tanto poco! Ma perchè non lo
lasci ai pellicani il volo radente? agli albatri? E perchè non mangi niente? Figlio mio, sei ridotto
penne e ossa! " .
" Non m'importa se sono penne e ossa, mamma. A me importa soltanto imparare che cosa si può
fare su per aria, e cosa no: ecco tutto. A me preme soltanto di sapere.
" Sta' un po' a sentire, Jonathan " gli disse suo padre, con le buone. " Manca poco all'inverno. E le
barche saranno pochine, e i pesci nuoteranno più profondi, sotto il pelo dell'acqua. Se proprio vuoi
studiare, studia la pappatoria [spiega il significato del termine, indicandone la derivazione
______________________________________________________________] e il modo di
procurartela! Sta faccenda del volo è bella e buona, ma mica puoi sfamarti con una planata, dico
bene? Non scordarti, figliolo, che si vola per mangiare.“
Jonathan assentì, obbediente. Nei giorni successivi cercò quindi di comportarsi come gli altri
gabbiani. Ci si mise di buona volontà. E, gettando strida, giostrava, torneava anche lui con lo
stormo intorno ai moli, intorno ai pescherecci, tuffandosi a gara per acchiappare un pezzo di
pane, un pesciolino, qualche avanzo. Ma a un certo punto non ne potè più.
Tutto questo non ha senso, si disse: e lasciò cadere, apposta, un'acciuga duramente conquistata,
se la pappasse quel vecchio gabbiano affamato che lo seguiva. Qui perdo tempo, quando potrei
impiegarlo invece a esercitarmi! Ci sono tante cose da imparare!
Non andò molto, infatti, che Jonathan piantò lo Stormo e tornò solo, sull'alto mare, a esercitarsi,
affamato e felice.
Adesso studiava velocità e, in capo a una settimana di allenamenti, ne sapeva di più, su questa
materia, del più veloce gabbiano che c'era al mondo.
Eccolo a circa trecento metri d'altezza che, battendo le ali a più non posso, si butta in picchiata:
una picchiata vorticosa verso le onde. A questo punto capisce perchè ai gabbiani questa manovra,
a tutta velocità, non può riuscire. In appena sei secondi, uno tocca le settanta miglia all'ora [Il
“miglio” è un’unità di misura :vai a cercare a quanto corrisponde in Km e prova a calcolare la
velocità di Jonathan ___________________]: velocità alla quale l'ala d'un uccello non è più
stabile, nella fase discendente.
Ci si era provato più volte, ma sempre con lo stesso risultato. Pur mettendoci il massimo impegno,
perdeva sempre il controllo, a una velocità così elevata.
Saliva a quota trecento. Avanti dritto, a tutta birra, [cosa significa questa espressione gergale?
_____________________] prima. Poi scivolata d'ala. E giù in picchiata. Niente! Ogni santa volta
l'ala sinistra andava in stallo nella fase ascendente, lui veniva spostato con violenza a mano
manca, [Scegli, usando un vocabolario, il sinonimo più adatto tra i seguenti: bisognosa / sinistra /
169
destra / tagliata __________] stallava con la sinistra per cercare di riprendersi e, trac, cadeva in
vite.
Non riusciva a metterci sufficiente attenzione, al momento in cui dava quel colpo d'ala ascendente
[scegli il significato adeguato tra: verso l’alto / vero il basso]. Dieci volte aveva provato e ogni
volta, appena toccate le settanta miglia orarie, si trasformava in una trottola di penne [prova a
spiegare il significato di questa metafora ______________________________________ ] e,
perduto il dominio dell'aria, tonfava nell'acqua.
Il trucco - gli balenò alla fine in mente, quand'era ormai fradicio - consiste nel tener le ali ferme.
Sì: remeggiare finché non sei sulle cinquanta miglia, poi tener salde le ali.
Salì a quota seicento e riprovò. Si buttò in picchiata, diritto in giù; ali tutte aperte, appena toccate
le cinquanta, spiegate e ferme. Occorreva una forza tremenda, ma il trucco riusciva. Nello spazio di
dieci secondi, era sfrecciato a novanta miglia l'ora. Jonathan aveva stabilito il record mondiale di
velocità dei gabbiani!
Ma il suo trionfo fu di breve durata. Nell'istante in cui s'accinse a risalire, nell'istante in cui mutò
l'angolazione delle ali, perse disastrosamente il controllo, frullò e divenne un turbinìo [Cerca sul
vocabolario un sinonimo ____________] di penne. Come prima: solo che, a novanta, fu un effettodinamite. E Jonathan esplose in aria. Piombò in mare. In un mare duro come il granito [spiega le
ragioni per le quali, secondo la tua opinione, l’autore ha usato questa similitudine
_________________________________________________________________________].
Quando tornò in se, era buio da un bel pezzo. Galleggiava cullato dalla maretta [Cerca sul
vocabolario il significato del termine e contestualizzalo ________________________________],
sulla scia del chiardiluna. Si sentiva le ali sbrindellate pesanti come piombo, ma più ancora gli
pesava il fallimento. Si augurò, indebolito com'era, che quel peso bastasse a trascinarlo
dolcemente giù, verso il fondo, e che fosse finita.
Mentre affondava, una voce strana e cupa risuonò dentro di lui. Ah, non c'è via di scampo. Niente
da fare, sei un gabbiano. La natura ti impone certi limiti. Se tu fossi destinato ad imparare tante
cose sul volo, avresti un portolano nel cervello.
Carte nautiche avresti, per meningi. E se tu fossi fatto per volare come il vento, avresti l'ala corta
del falcone, e mangeresti i topi anzichè pesci. Sì sì, aveva ragione tuo padre. Lascia perdere
queste stupidaggini. Torna a casa, torna presso il tuo stormo, e accontentati di quello che sei, un
povero gabbiano limitato.
Quella voce svanì, e Jonathan era d'accordo. Un gabbiano a quest'ora di notte dovrebb'essere a
nanna, sulla costa. D'ora in poi, giurò Jonathan, io sarò un gabbiano per bene. E tutti saranno
contenti di me.
A fatica si tirò fuori dall'acqua e si diresse mestamente verso terra. Meno male che aveva imparato
a volare a bassa quota, il che gli consentiva un risparmio di energie.
Non pensiamoci più, disse a se stesso. E’ finita, non sono più me stesso. Devo scordarmi quello
che ho imparato. Quello che ero ero, adesso sono soltanto un gabbiano come tutti gli altri.
Gabbiano sei, e da gabbiano vola.
E così si levò, benchè stanchissimo, a una quota di circa trenta metri e si mise a remigare
alacremente, alla gabbiana, verso la costa.
Si sentì meglio, dopo aver preso quella decisione di comportarsi come un gabbiano qualsiasi.
Basta! non avrebbe dovuto dar più retta a quel dèmone [Spiega cosa intenda l’autore con questa
parola: ______________________________________________________________________
____________________________________________________________________________
____________________________________________________________________________] che
l'istigava a imparare nuove cose. Basta d'ora in poi con le sfide, basta coi fallimenti.
Ah, era bello smettere di pensare, e volare tranquilli nel buio, verso le luci occhieggianti della
costa.
Nel buio! La voce cavernosa suonò chioccia di paura. Ma i gabbiani non volano al buio! mai!
Però Jonathan, distratto, non le badò. Com'è bello, ripeteva fra sè. La luna col suo strascico
d'argento, e le luci della riva che disegnano tremule scie sull'acqua, nella notte, così calma e
tranquilla.
170
Posati! I gabbiani non volano al buio! Se eri nato anche per volare di notte, avresti gli occhi come
una civetta! Una bussola avresti, per cervello! Avresti l'ala corta del falcone!
Librato nelle tenebre, lassù, il gabbiano Jonathan, a questo punto, battè gli occhi. La fatica svanì,
svanì il dolore, e anche i buoni propositi svanirono.
L'ala corta. Le ali corte di un falco! Ecco la soluzione. Che sciocco, a non averci pensato prima!
Quello che occorre è solo un'ala corta: e, allora, basterà che io tenga raccolte le mie ali, che le
tenga ritirate, quasi del tutto, e che ne adopri soltanto le estremità. Ali corte! (//)
Si portò subito a seicento metri di quota, sopra il mare di pece [cosa vuole esprimere l’Autore con
questa metafora? Di che colore è il mare? _________________________________________] e,
senza star lì a pensare un momento che poteva fallire, anche morire, portò le ali ad aderire
saldamente al corpo, lasciando tese al vento solo le strette estremità di esse, a mo' di alettoni, e
si gettò in picchiata.
Il vento gli intronava nella testa con un fragore spaventoso. Settanta miglia all'ora, novanta,
centoventi, e ancora, ancora. Più forte. A centoquaranta miglia l'ora la tensione dell'ala era
inferiore a quella di prima a settanta, e bastò una leggerissima torsione per uscire di picchiata e
saettare verso
il cielo alto, grigio bolide sotto il chiardiluna.
Raggrinzì gli occhi a fessura, nel vento, e il suo cuore esultava. Centoquaranta miglia all'ora! Senza
dare una sbandata! E se mi tuffo non da cinquecento ma da mille metri e più, chissà a che
velocità.
Il giuramento di poc'anzi era dimenticato, l'ebbrezza del volo l'aveva spazzato via. Eppure non si
sentiva in colpa, anche se non aveva mantenuto la promessa fatta a se stesso. Promesse di quel
genere impegnano soltanto quei gabbiani che s'appagano dell'ordinario tran-tran [Questa
espressione tende a riprodurre un suono: è dunque una ______________________ , ma in realtà
ha un altro significato: quale? ___________________________________________] . Ma uno che
aspira a una sempre maggiore perfezione, non sa proprio che farsene di simili promesse!
AI levar del sole, Jonathan era di nuovo là che si allenava. Visti da mille e più metri, i pescherecci
sembravano scagliuzze nella glauca [Cerca sul vocabolario un sinonimo di questo aggettivo che sia
adeguato al contesto _______________] distesa delle acque, lo Stormo Buonappetito come un
indistinto nugolo di volteggianti atomi di polvere.
Lui si sentiva vivo come non mai, e fremente di gioia, fiero di aver domato la paura. […]
Ebbe un moto di trionfo. Aveva toccato il limite estremo della velocità! Un gabbiano a
duecentoquattordici miglia orarie! Era un primato che segnava una data, era il momento più
fulgido [Prova a trovare un sinonimo di questo aggettivo che sia adeguato al contesto
_______________] nella storia dello Stormo, e per il gabbiano Jonathan da quel momento si
dischiudevano orizzonti nuovi. […]
Quando lo sapranno - pensava -, quando sapranno delle Nuove Prospettive da me aperte,
impazziranno di gioia. D'ora in poi vivere qui sarà più vario e interessante. Altro che far la spola
tutto il giorno, altro che la monotonia del tran-tran quotidiano sulla scia dei battelli da pesca! Noi
avremo una nuova ragione di vita. Ci solleveremo dalle tenebre dell'ignoranza [spiega con altre
parole questa metafora ____________________________________], ci accorgeremo d'essere
creature di grande intelligenza e abilità. Saremo liberi! Impareremo a volare!
L'avvenire gli appariva tutto rose e fiori [cosa significa questa espressione popolare? Prova a
sostituirla con un unico aggettivo ___________________]. Appena toccò terra, vide che i gabbiani
erano riuniti in assemblea generale. Ed avevano tutta l'aria di trovarsi in riunione già da tempo.
Fatto sta che aspettavano proprio lui.
“II gabbiano Jonathan Livingston si porti al centro dell’emiciclo [Cerca sul vocabolario il termine e
prova a spiegarlo __________________________________________________________]!” ordinò
l'Anziano. Il suo tono di voce era quello delle grandi cerimonie.
E quell'ordine è sempre foriero[Il termine viene dal latino ferre, che significa “portare”. Prova a
trovare un ‘espressione corrispondente per spiegarlo ____________] o di grande vergogna o
grandi onori. E lì al centro dell'Emiciclo che, appunto, ai gabbiani che più si sono distinti viene
reso onore dal Consiglio.
171
Ma sì, pensò Jonathan, stamattina mi hanno visto. Tutto lo Stormo ha assistito alla mia impresa.
Ma io non voglio onori. Non aspiro a essere un capo. Io desidero solo farli partecipi delle mie
scoperte, mostrar loro i magnifici orizzonti che ora si sono aperti per noi tutti.
E si fece avanti.
“II gabbiano Jonathan Livingston” l' Anziano proclamò “viene messo alla gogna [l’espressione è
riferita a una pena in uso soprattutto nel Medioevo: con l’aiuto del tuo insegnante scopri cosa
significava in origine e poi prova a spiegarne il significato in questo contesto
_________________________________________________________] e svergognato al cospetto
di tutti i simili!”
Fu come se l'avessero colpito con una randellata. I ginocchi gli si sciolsero, le penne gli si fecero
flosce, le orecchie ronzavano. Messo alla gogna? lui? Ma no, impossibile! E la grande Impresa? le
Nuove Prospettive? Non hanno capito niente! C'è un errore! si sbagliano di grosso!
“…per la sua temeraria [Cerca sul vocabolario un sinonimo ____________] e irresponsabile
condotta” intonava la voce solenne “per esser egli venuto meno alla tradizionale dignità della
grande Famiglia dei Gabbiani. ...”
Questo significava ch'egli sarebbe stato espulso dal consorzio dei suoi simili, esiliato, condannato a
una vita solitaria laggiù, sulle Scogliere Remote.
“...affinchè mediti e impari che l'incosciente temerarietà non può dare alcun frutto. Tutto ci è
ignoto, e tutto della vita è imperscrutabile, tranne che siamo al mondo per mangiare, e campare il
più a lungo possibile”
Nessun gabbiano, mai, si leva a protestare contro le delibere del Consiglio, ma la voce di Jonathan
si levò. “ Incoscienza? Condotta irresponsabile? Fratelli miei!” gridò. “ Ma chi ha più coscienza d'un
gabbiano che cerca di dare un significato, uno scopo più alto all'esistenza? Per mill'anni ci siamo
arrabattati [Cerca sul vocabolario un sinonimo ____________] per un tozzo di pane e una sardella,
ma ora abbiamo una ragione, una vera ragione di vita. ..imparare, scoprire cose nuove, essere
liberi! Datemi solo il tempo di spiegarvi quello che oggi ho scoperto. ...”
Ma lo Stormo pareva di sasso [spiega con parole tue il significato di questa similitudine
_____________________________________________________], tant'era impassibile.
“ Non abbiamo più nulla in comune, noi e te.” intonarono in coro i gabbiani, e, con fare solenne,
sordi alle sue proteste, gli voltarono tutti la schiena.
E il gabbiano Jonathan visse il resto dei suoi giorni esule e solo. Volò oltre le Scogliere Remote,
ben oltre.
Il suo maggior dolore non era la solitudine, era che gli altri gabbiani si rifiutassero di credere e
aspirare alla gloria del volo. Si rifiutavano di aprire gli occhi per vedere [spiega con parole tue il
significato di questa espressione ____________________________________________________].
Ogni giorno, lui apprendeva nuove cose. Imparò che, venendo giù in picchiata a tutta birra, puoi
infilarti sott'acqua e acchiappare pesci più prelibati, quelli che nuotano in branchi tre metri sotto la
superficie: non aveva più bisogno di battelli da pesca e di pane raffermo, lui, per sopravvivere.
Imparò a dormire sospeso a mezz'aria, dopo aver stabilito alla sera la sua rotta, nel letto della
corrente d'un vento fuoricosta, e coprire così un centinaio di miglia dal tramonto all'alba. Con
uguale padronanza ora volava attraverso fitti banchi di nebbia sull'oceano, o sennò si portava al di
sopra di essi, dove il cielo era limpido e il sole abbagliava...mentre gli altri gabbiani, con quel
tempo, se ne stanno appollaiati in terraferma, mugugnando [Cerca sul vocabolario un sinonimo
____________] per la pioggia e la foschia. Imparò a sfruttare i venti d'alta quota, e portarsi
nell'entroterra, per un bel tratto, e far pranzo con insetti saporiti.
Quel che aveva sperato per lo Stormo, se lo godeva adesso da sé solo. Egli imparò a volare, e non
si rammaricava per il prezzo che aveva dovuto pagare. Scoprì ch'erano la noia e la paura e la
rabbia a render così breve la vita d'un gabbiano. Ma, con l'animo sgombro da esse, lui, per lui,
visse contento, e visse molto a lungo.
Arrivarono ch'era già sera. E trovarono Jonathan che volava librato, solo e in pace con se stesso,
nel libero cielo che lui tanto amava. I due gabbiani che, a un tratto, gli comparvero d'accanto, uno
di qua e uno di là, erano candidi come la luna, e dalle loro piume emanava un chiarore blando,
172
suadente, nell'aria che imbruniva [Il termine deriva da “bruno”: cosa significa in questo contesto?
________________________________________]. Ma più amabile ancora era la grazia, l'abilità,
con cui volavano, mantenendo, fra le punte delle rispettive ali, una breve e costante distanza.
Senza profferir parola, Jonathan volle metterli alla prova.
Una prova che mai nessun gabbiano aveva superato. Impresse alle sue ali una torsione tale che gli
permise di rallentare, fino al limite estremo, a un soffio dallo stallo. Ebbene, quei due radiosi
uccelli, pure loro, rallentarono con lui, gli restarono alla pari, senza sforzo. Altrochè se
s'intendevano, di volo lento.
Allora lui, raccolte le ali, rotò e si buttò giù in picchiata a centonovanta miglia all'ora. E quelli si
tuffarono con lui, sfrecciando insieme a lui, in perfetta formazione.
Infine lui compì, nella cabrata, un lungo mulinello verticale. E quelli volteggiarono con lui, tutti
giulivi [Cerca sul vocabolario un sinonimo dell’aggettivo ____________].
Si rimise in volo orizzontale e per un po' non aprì becco.
Molto bene, » disse poi. e voi chi siete? »
“Veniamo dal tuo Stormo, Jonathan. Siamo fratelli tuoi.”.
Quelle parole furono pronunciate con calma e fermezza. “Siano venuti per condurti più in alto. Per
condurti a casa”
“Io casa non ne ho. Nè ho una patria, nè uno stormo. Sono un Reietto. E più in alto di così, ve
l'assicuro – stiamo volando alla sommità del Vento che nasce dalla Grande Montagna - più in alto
di così, tranne magari un par di cento metri, non riuscirei a sollevare questo mio vecchio corpo. »
" Sì che invece puoi riuscirci, vecchio Jonathan. Perché tu hai imparato tutto. Hai terminato un
corso d'istruzione, e ne incomincia un altro, per te. Adesso.”
Come aveva illuminato tutta quanta la sua vita, il lume dell'intelletto [Spiega con parole tue questa
metafora____________________________] lo soccorse in quel momento, e lui capì. Avevano
ragione, quegli uccelli. Lui poteva volare, sì, più in alto. Ed era l'ora, sì, di andare a casa. Abbracciò
con un ultimo sguardo il suo cielo, i magnifici campi del cielo, dove aveva imparato tante cose.
" Sono pronto.” disse alfine.
E il gabbiano Jonathan Livingston fece prua verso l'alto, scortato da quei due splendidi uccelli, e
scomparvero insieme nella notte.
LABORATORIO DEL TESTO
Proposte di lavoro sulla comprensione e/o analisi testuale e
tematica
1.
Il testo può essere diviso nelle sequenze di cui ti diamo il titolo. Scrivi, accanto a ciascun
titolo la prima e l’ultima parola della sequenza:
Un gabbiano “diverso” Era di primo____________________________________
La norma _____________________________________
Jonathan e gli altri __________________________________________
Alcuni buoni consigli _________________________________________________
Un tentativo di normalità _______________________________________________
Lo studio della velocità _________________________________________
La rinuncia ________________________________________
Un’illuminazione _________________________________________
Il successo e la speranza __________________________________________
La condanna dello stormo ______________________________________
L’autodifesa di Jonathan __________________________________
173
La vita del Reietto _________________________________
Il volo più alto _____________________________________________
2.
Scrivi un breve riassunto del testo (massimo 20 righe)
3.
Qual è, a tuo avviso, il momento di massima tensione narrativa (spannung)?
_____________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________
Motiva la tua risposta
_____________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________
4.
Il narratore è esterno o interno? Quale punto di vista assume?
_____________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________
Motiva le tue risposte
_____________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________
5.
Protagonista del testo è Jonathan Livingston. Scegli tra quelli dati 4 aggettivi che, secondo
te, sono adatti a descrivere le sue caratteristiche:
1_________________ 2__________________ 3____________________ 4__________________
furbo
curioso
sciocco
ambizioso
coraggioso
testardo
entusiasta
abile
sicuro di sè
dubbioso
fiducioso
solitario
diverso
arrogante
felice
coerente
disubbidient incosciente
sognatore
pazzo
rivoluzionario
e
6.
Ora scrivi, usando gli aggettivi scelti, una descrizione nella quale, attraverso riferimenti ai
comportamenti / atteggiamenti o alle parole di Jonathan, spieghi il perché della tua scelta
7.
Quali ragioni determinano la decisione dello Stormo di scacciare Jonathan?
_____________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________
8.
Nel racconto appaiono anche altri personaggi: i genitori di Jonathan. Quale atteggiamento
hanno nei confronti di Jonathan? Da cosa è dettato tale atteggiamento?
_____________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________
174
9.
Cosa significa la frase del padre di Jonathan “si vola per mangiare”? Quale diversa finalità
attribuisce Jonathan al volo?
_____________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________
10.
Dopo essere stato cacciato dallo stormo, quali sentimenti dominano Jonathan? Da cosa
sono determinati?
_____________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________
11.
Cosa permette a Jonathan di “vivere contento”?
_____________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________
12.
Chi sono, a tuo avviso, i due gabbiani che “arrivarono ch'era già sera”?
_____________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________
13.
Nel testo sono evidenziate in neretto alcune parole tecniche del volo, riportale sul tuo
quaderno scrivendo a fianco il loro significato
Proposte di riscrittura e rielaborazione
1.
Immagina di essere un gabbiano dello stormo Buonappetito e racconta ad un nuovo venuto
la vicenda di Jonathan. (L’incipit è quello che segue)
Ehi amico, dico a te! Io sono arrivato stamattina e, mentre mi davo da fare intorno a un
peschereccio, mi vedo arrivare quasi addosso una specie di proiettile bianco che, a pochi metri da
me, già mi vedevo polverizzato, swish riprende quota e sparisce. Tu che abiti qui, dimmi, cos’è?…
2.
Cosa sarebbe accaduto se, di fronte alla scoperta di Jonathan, lo stormo avesse reagito in
modo diverso? Riscrivi la seconda parte del racconto da questa prospettiva.
Proposte di produzione testuale
a)
La fatica svanì, svanì il dolore, e anche i buoni propositi svanirono …
b)
Senza star lì a pensare un momento che poteva fallire, anche morire…
1.
Scegli una delle due frasi (tratte dal testo) e, dopo aver riflettuto sul suo significato, inventa
una storia adatta a contenerla
2.
Utilizzando gli strumenti a tua disposizione (libri, internet…) fai una piccola ricerca sulla vita
di Galileo Galilei, un grande scienziato del '600, che ha avuto il coraggio di andare oltre nel modo
175
di guardare e di studiare la Natura, rivoluzionandolo sia attraverso il metodo, sia con le sue
scoperte. Scrivi, quindi, un testo di almeno una pagina operando un confronto tra il gabbiano
Jonathan e lo scienziato
A TU PER TU CON L’AUTORE
Leonardo Sciascia (Racalmuto, Agrigento, 1921 – Palermo 1989). Scrittore di grande
impegno morale e civile, è stato maestro elementare, impiegato pubblico, giornalista e
parlamentare. Con i suoi romanzi, i suoi saggi e i suoi approfondimenti su casi eclatanti
della realtà civile e politica italiana (La scomparsa di Majorana del 1975 e Il caso Moro del
1978) ha denunciato i mali che minano lo Stato e le sue istituzioni, come la mafia e la sua
connivenza con alcuni ambiti della politica, la corruzione. Come testimoniato dal racconto
proposto, lo stile della sua prosa è realista, lucido, preciso ,ricco di immagini. Nei suoi
romanzi ha spesso scelto la struttura del giallo e dell'inchiesta per avvicinare il lettore,
anche attraverso l'intrigo e la suspense, a tematiche civili di grande attualità e importanza.
Tra di essi ricordiamo Il consiglio d'Egitto (1963) Il giorno della civetta (1961) e A
ciascuno il suo (1966).
SALA DI LETTURA
Il lungo viaggio218
Il racconto che segue è tratto dalla raccolta del 1973 Il mare color del vino. Sciascia narra
l'esperienza di un gruppo di siciliani che spendono tutti i loro averi per emigrare, clandestinamente,
una notte. Essi inseguono con determinazione un sogno di benessere, non ben definito, ma carico
di speranza, un sogno attraverso il quale costruire finalmente la loro libertà, intesa come libertà dal
bisogno, intesa come possibilità di una vita migliore.
Questo sogno, come quello di tanti altri, ieri come oggi, si infrangerà su una spiaggia deserta.
[carattere blu = riflessione lessicale]
Era una notte che pareva fatta apposta, un’oscurità cagliata219 che a muoversi quasi se ne sentiva
il peso. E faceva spavento, respiro di quella belva che era il mondo, il suono del mare: un respiro
che veniva a spegnersi ai loro piedi.
Stavano, con le loro valige di cartone e i loro fagotti, su un tratto di spiaggia pietrosa, riparata da
colline, tra Gela e Licata; vi erano arrivati all’imbrunire, ed erano partiti all’alba dai loro paesi; paesi
218
219
Tratto da Leonardo Sciascia, Il mare colore del vino, Einaudi, Torino 1973
Un'oscurità cagliata: l'oscurità era densa come il latte rappreso (cagliato)
176
interni, lontani dal mare, aggrumati nell’arida plaga del feudo220. Qualcuno di loro, era la prima
volta che vedeva il mare: e sgomentava il pensiero di dover attraversarlo tutto, da quella deserta
spiaggia della Sicilia, di notte, ad un’altra deserta spiaggia dell’America, pure di notte. Perché i
patti erano questi - Io di notte vi imbarco - aveva detto l’uomo: una specie di commesso
viaggiatore per la parlantina, ma serio e onesto nel volto – e di notte vi sbarco: sulla spiaggia del
Nugioirsi
[fai
un'ipotesi:
questa
trascrizione
è
la
pronuncia
storpiata
di
_____________________________], vi sbarco; a due passi da Nuovaiorche [fai un'ipotesi: questa
trascrizione è la pronuncia storpiata di _____________________________] ... E chi ha parenti in
America, può scrivergli che aspettino alla stazione di Trenton221, dodici giorni dopo l’imbarco...
Fatevi il conto da voi... Certo, il giorno preciso non posso assicurarvelo: mettiamo che c’è mare
grosso, mettiamo che la guardia costiera stia a vigilare... Un giorno più o un giorno meno, non vi
fa niente: l’importante è sbarcare in America.
L’importante era davvero sbarcare in America: come e quando non aveva poi importanza. Se ai
loro parenti arrivavano le lettere, con quegli indirizzi confusi e sgorbi che riuscivano a tracciare
sulle buste, sarebbero arrivati anche loro; “chi ha lingua passa il mare”, giustamente diceva il
proverbio. E avrebbero passato il mare, quel grande mare oscuro; e sarebbero approdati agli stori
[fai un'ipotesi: questa trascrizione è la pronuncia storpiata di _____________________________]
alle
farme
[fai un'ipotesi: questa trascrizione è la pronuncia storpiata di
_____________________________] dell’America, all’affetto dei loro fratelli zii nipoti cugini, alle
calde ricche abbondanti case, alle automobili grandi come case.
Duecentocinquantamila lire222: metà alla partenza, metà all’arrivo. Le tenevano, a modo di
scapolari, tra la pelle e la camicia. Avevano venduto tutto quello che avevano da vendere, per
racimolarle: la casa terragna il mulo l’asino le provviste dell’annata il canterano le coltri. I più furbi
avevano fatto ricorso agli usurai, con la segreta intenzione di fregarli; una volta almeno, dopo anni
che ne subivano angaria: e ne aveva soddisfazione, al pensiero della faccia che avrebbero fatta
nell’apprendere la notizia. “Vieni a cercarmi in America, sanguisuga: magari ti ridò i tuoi soldi, ma
senza interesse, se ti riesce di trovarmi”. Il sogno dell’America traboccava di dollari: non più, il
denaro, custodito nel logoro portafogli o nascosto tra la camicia e la pelle, ma cacciato con
noncuranza nelle tasche dei pantaloni, tirato fuori a manciate: come avevano visto fare ai loro
parenti, che erano partiti morti di fame, magri e cotti dal sole; e dopo venti o trent’anni tornavano,
ma per una breve vacanza, con la faccia piena e rosea che faceva bel contrasto coi capelli candidi.
Erano già le undici. Uno di loro accese la lampadina tascabile: il segnale che potevano venire a
prenderli per portarli sul piroscafo. Quando la spense, l’oscurità sembrò più spessa e paurosa. Ma
qualche minuto dopo, dal respiro ossessivo del mare affiorò un più umano, domestico suono
d’acqua: quasi che vi si riempissero e vuotassero, con ritmo, dei secchi. Poi venne un brusìo, un
parlottare sommesso. Si trovarono davanti il signor Melfa, che con questo nome conoscevano
l’impresario della loro avventura, prima ancora di aver capito che la barca aveva toccato terra.
- Ci siamo tutti? - domandò il signor Melfa. Accese la lampadina, fece la conta. Ne mancavano due.
- Forse ci hanno ripensato, forse arriveranno più tardi... Peggio per loro, in ogni caso. E che ci
mettiamo ad aspettarli, col rischio che corriamo? Tutti dissero che non era il caso di aspettarli.
- Se qualcuno di voi non ha il contante pronto - ammonì il signor Melfa - è meglio si metta la
strada tra le gambe e se ne torni a casa: che se pensa di farmi a bordo la sorpresa, sbaglia di
grosso: io vi riporto a terra com’è vero dio, tutti quanti siete. E che per uno debbano pagare tutti,
non è cosa giusta: e dunque chi ne avrà colpa la pagherà per mano mia e per mano dei compagni,
una pestata che se ne ricorderà mentre campa; se gli va bene... Tutti assicurarono e giurarono che il contante c’era, fino all’ultimo soldo.
- In barca - disse il signor Melfa. E di colpo ciascuno dei partenti diventò una informe massa, un
confuso grappolo di bagagli.
220
Aggrumati nell'arida plaga del feudo: raggruppati sulla terra arida del feudo, una grande proprietà fondiaria di
antica origini nobiliare
221
Trenton: capitale del New Jersey
222
Lire: moneta in uso in Italia fino al 2001
177
- Cristo! E che vi siete portata la casa appresso? – cominciò a sgranare bestemmie, e finì quando
tutto il carico, uomini e bagagli, si ammucchiò nella barca: col rischio che un uomo o un fagotto ne
traboccasse fuori. E la differenza tra un uomo e un fagotto era per il signor Melfa nel fatto che
l’uomo si portava appresso le duecentocinquatamila lire; addosso, cucite nella giacca o tra la
camicia e la pelle. Li conosceva, lui, li conosceva bene: questi contadini zoticoni, questi villani.
Il viaggio durò meno del previsto: undici notti, quella della partenza compresa. E contavano le
notti invece che i giorni, poiché le notti erano di atroce promiscuità, soffocanti. Si sentivano
immersi nell’odore di pesce di nafta e di vomito come in un liquido caldo nero bitume. Ne
grondavano all’alba, stremati, quando salivano ad abbeverarsi di luce e di vento. Ma come l’idea
del mare era per loro il piano verdeggiante di messe quando il vento lo sommuove, il mare vero li
atterriva: e le viscere gli si strizzavano, gli occhi dolorosamente verminavano di luce se appena
indugiavano a guardare.
Ma all’undicesima notte il signor Melfa li chiamò in coperta: e credettero dapprima che fìtte
costellazioni fossero scese al mare come greggi; ed erano invece paesi, paesi della ricca America
che come gioielli brillavano nella notte. E la notte stessa era un incanto: serena e dolce, una
mezza luna che trascorreva tra una trasparente fauna di nuvole, una brezza che allargava i
polmoni.
- Ecco l’America - disse il signor Melfa.
- Non c’è pericolo che sia un altro posto? - domandò uno: poiché per tutto il viaggio aveva pensato
che nel mare non ci sono nè strade nè trazzere223, ed era da dio fare la via giusta, senza sgarrare,
conducendo una nave tra cielo ed acqua.
Il signor Melfa lo guardò con compassione, domandò a tutti - E lo avete mai visto, dalle vostre
parti, un orizzonte come questo? E non lo sentite che l’aria è diversa? Non vedete come splendono
questi paesi? Tutti convennero, con compassione e risentimento guardarono quel loro compagno che aveva
osato una così stupida domanda.
- Liquidiamo il conto - disse il signor Melfa.
Si frugarono sotto la camicia, tirarono fuori i soldi.
- Preparate le vostre cose - disse il signor Melfa dopo avere incassato.
Gli ci vollero pochi minuti: avendo quasi consumato le provviste di viaggio, che per patto avevano
dovuto portarsi, non restava loro che un po’ di biancheria e i regali per i parenti d’America:
qualche forma di pecorino qualche bottiglia di vino vecchio qualche ricamo da mettere in centro
alla tavola o alle spalliere dei sofà. Scesero nella barca leggeri leggeri, ridendo e canticchiando; e
uno si mise a cantare a gola aperta, appena la barca si mosse.
- E dunque non avete capito niente? - si arrabbiò il signor Melfa. - E dunque mi volete fare passare
il guaio?... Appena vi avrò lasciati a terra potete correre dal primo sbirro che incontrate, e farvi
rimpatriare con la prima corsa: io me ne fotto, ognuno è libero di ammazzarsi come vuole... E poi,
sono stato ai patti: qui c’è l’America, il dovere mio di buttarvici l’ho assolto... Ma datemi il tempo di
tornare a bordo, Cristo di Dio! Gli diedero più del tempo di tornare a bordo: che rimasero seduti sulla fresca sabbia, indecisi,
senza saper che fare, benedicendo e maledicendo la notte: la cui protezione, mentre stavano fermi
sulla spiaggia, si sarebbe mutata in terribile agguato se avessero osato allontanarsene.
Il signor Melfa aveva raccomandato - sparpagliatevi - ma nessuno se la sentiva di dividersi dagli
altri. E Trenton chi sa quant’era lontana, chi sa quando ci voleva per arrivarci.
Sentirono, lontano e irreale, un canto. “Sembra un carrettiere nostro”, pensarono: e che il mondo
è ovunque lo stesso, ovunque l’uomo spreme in canto la stessa malinconia, la stessa pena. Ma
erano in America, le città che baluginavano dietro l’orizzonte di sabbia e d’alberi erano città
dell’America.
Due di loro decisero di andare in avanscoperta. Camminarono in direzione della luce che il paese
più vicino riverberava nel cielo. Trovarono quasi subito la strada: “asfaltata, ben tenuta; qui è
223
Trazzere: antichissime strade per il transito delle mandrie e delle greggi
178
diverso che da noi”, ma per la verità se l’aspettavano più ampia, più dritta. Se ne tennero fuori, ad
evitare incontri: la seguivano camminando tra gli alberi.
Passò un’automobile: “pare una seicento”; e poi un’altra che pareva una millecento, e un’altra
ancora: “le nostre macchine loro le tengono per capriccio, le comprano ai ragazzi come da noi le
biciclette”. Poi passarono, assordanti, due motociclette, una dietro l’altra. Era la polizia, non c’era
da sbagliare: meno male che si erano tenuti fuori della strada.
Ed ecco che finalmente c’erano le frecce. Guardarono avanti e indietro, entrarono nella strada, si
avvicinarono a leggere: Santa Croce Camerina - Scoglitti.
- Santa Croce Camerina: non mi è nuovo, questo nome - Pare anche a me; e nemmeno Scoglitti mi è nuovo - Forse qualcuno dei nostri parenti ci abitava, forse mio zio prima di trasferirsi a Filadelfìa: che io
ricordo stava in un’altra città, prima di passare a Filadelfìa. - Anche mio fratello: stava in un altro
posto, prima di andarsene a Brucchilin [fai un'ipotesi: pronuncia storpiata di
_____________________________]... Ma come si chiamasse, proprio non lo ricordo: e poi, noi
leggiamo Santa Croce Camerina, leggiamo Scoglitti; ma come leggono loro non lo sappiamo,
l’americano non si legge come è scritto.
- Già, il bello dell’italiano è questo: che tu come è scritto lo leggi... Ma non è che possiamo passare
qui la nottata, bisogna farsi coraggio... Io la prima macchina che passa, la fermo: domanderò solo
“Trenton?”... Qui la gente è più educata. Anche a non capire quello che dice, gli scapperà un
gesto, un segnale: e almeno capiremo da che parte è, questa maledetta Trenton.
Dalla curva, a venti metri, sbucò una cinquecento: l’automobilista se li vide guizzare davanti, le
mani alzate a fermarlo. Frenò bestemmiando: non pensò a una rapina, che la zona era tra le più
calme; credette volessero un passaggio, aprì lo sportello.
- Trenton? - domandò uno dei due.
- Che? - fece l’automobilista.
- Trenton?
- Che Trenton della madonna - imprecò l’uomo dell’ automobile.
- Parla italiano - si dissero i due, guardandosi per consultarsi: se non era il caso di rivelare a un
compatriota la loro condizione.
L’automobilista chiuse lo sportello, rimise in moto. L’automobile balzò in avanti: e solo allora gridò
ai due che rimanevano sulla strada come statue - ubriaconi, cornuti ubriaconi, cornuti e figli di... il resto si perse nella corsa.
Il silenzio dilagò.
- Mi sto ricordando - disse dopo un momento quello cui il nome di Santa Croce non suonava nuovo
– a Santa Croce Camerina, un’annata che dalle nostre parti andò male, mio padre ci venne per la
mietitura.
Si buttarono come schiantati sull’orlo della cunetta perché non c’era fretta di portare agli altri la
notizia che erano sbarcati in Sicilia.
LABORATORIO DEL TESTO
Proposte di lavoro sulla comprensione e/o analisi testuale e
tematica
1.
Sintetizza il racconto in 5 righe
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2.
Dividi il racconto in sequenze e dai loro un titolo:
179
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era una notte... America
gli uomini si preparano a partire
•
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•
_______________________________________________________________
•
_______________________________________________________________
•
_______________________________________________________________
•
_______________________________________________________________
•
_______________________________________________________________
3.
Quali tipologie di sequenze ti sembra che prevalgano nel racconto?
O
narrative
O
descrittive
O
dialogiche
O
riflessive
O
espositive
O
espressive/liriche
Motiva la tua scelta:
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4.
Ci sono nella storia indicazioni riferite al trascorrere del tempo? Qual è il tempo del
racconto?
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5.
Nella narrazione della vicenda l'autore riassume in poche righe un periodo di tempo che
avrebbe una durata molto più lunga rispetto alle parti narrate – cioè quelle riguardanti la partenza
e l'arrivo -. Individua sul testo questa parte della storia. Si tratta di una sintesi o di un'ellissi?
Perchè?
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________________________________________________________________________________
6.
La storia è raccontata dal punto di vista del narratore o da quello dei personaggi? Motiva la
tua scelta facendo riferimento ai passaggi della vicenda narrata che ti hanno permesso di giungere
a questa conclusione.
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7.
Individua nel testo le parti in cui il mare viene visto come una minaccia e quelle in cui
appare come una speranza.
180
8.
Individua nel testo la descrizione della notte nel momento della partenza e quella della
notte nel momento dello sbarco. Perchè sono così differenti?
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________________________________________________________________________________
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9.
Cosa vuol dire secondo te il proverbio“chi ha lingua passa il mare”? E che tipo di persone
sono, secondo questo detto, quelli che hanno il coraggio di passare il mare?
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________________________________________________________________________________
10.
Rileggi il seguente passo e svolgi le seguenti riflessioni:
Era una notte che pareva fatta apposta, un’oscurità cagliata che a muoversi quasi se ne sentiva il
peso. E faceva spavento, respiro di quella belva che era il mondo, il suono del mare: un respiro
che veniva a spegnersi ai loro piedi.
a)
Quali connotazioni sensoriali sceglie l'autore per far emergere la percezione che gli
emigranti avevano di quella notte (vista, udito, tatto, olfatto, gusto)
b)
Quali dei termini usati dall'autore ti riportano ai sensi che hai riconosciuto?
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c)
Quale tipo di sensazione fisica ti sembra si possa ricavare da un buio definito pesante e
denso come il latte cagliato?
O
O
oppressione
morbidezza
O
O
accoglienza
soffocamento
d)
La rappresentazione della notte buia corrispondente allo stato d'animo dei personaggi.
Descrivilo senza usare metafore
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L'uomo che propone il viaggio viene definito una specie di commesso viaggiatore per
parlantina, ma serio e onesto nel volto. Perchè queste due caratteristiche del personaggio vengono
contrapposte con l'uso della congiunzione avversativa ma? Sono caratteristiche utili nel contesto
10.
della vicenda narrata? Perché?
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181
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________________________________________________________________________________
11.
Attraverso quali passaggi i personaggi si accorgono dell'inganno di cui sono stati vittime?
Elencane almeno quattro, assieme alle spiegazioni che essi si danno per non vedere la realtà?
fatti
spiegazioni
12.
Dopo aver capito di essere stati ingannati i due uomini, che erano andati in avanscoperta,
si buttano schiantati su una cunetta. Perchè questa scelta lessicale? Cerca il preciso significato del
verbo schiantare e spiegalo nel contesto della situazione narrata.
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Proposte di riscrittura e rielaborazione
1.
Il sogno dell’America traboccava di dollari: non più, il denaro, custodito nel logoro
portafogli o nascosto tra la camicia e la pelle, ma cacciato con noncuranza nelle tasche dei
pantaloni, tirato fuori a manciate: come avevano visto fare ai loro parenti, che erano partiti morti
di fame, magri e cotti dal sole; e dopo venti o trent’anni tornavano, ma per una breve vacanza,
con la faccia piena e rosea che faceva bel contrasto coi capelli candidi.
Rifletti sul significato delle immagini:
il denaro custodito nel logoro portafogli o nascosto tra la camicia e la pelle ---> significa
miseria e __________________________________________________________________
il denaro cacciato con noncuranza nelle tasche dei pantaloni, tirato fuori a manciate --->
significa___________________________________________________________________
Componi un breve testo nel qual descrivi le aspettative e le speranze degli emigranti rispetto al
loro futuro in America, utilizzando l'idea che essi hanno del denaro e di ciò che rappresenta. Nel
farlo non usare le immagini e i gesti descritti nel passo citato, ma il loro significato, quindi il modo
in cui essi immaginano di diventare dopo aver
raggiunto
l'America:
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182
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2.
Ti proponiamo un altro passo del racconto e di seguito una sua riscrittura:
E contavano le notti invece che i giorni, poiché le notti erano di atroce promiscuità,
soffocanti. Si sentivano immersi nell’odore di pesce di nafta e di vomito come in un liquido caldo
nero bitume. Ne grondavano all’alba, stremati, quando salivano ad abbeverarsi di luce e di vento.
•
•
Contavano le notti di viaggio invece dei giorni, perché di notte erano in troppi in un
ambiente ristretto e ciò era molto scomodo. Erano soffocati dall'odore di pesce, di nafta, di vomito
e i loro vestiti ne erano impregnati. All'alba, puzzolenti e stanchi, uscivano sul ponte per godersi il
sole.
Nelle due versioni i contenuti sono gli stessi, ma l'effetto è molto differente. Osserva le
differenze, anche confrontandoti con i tuoi compagni. Quale delle due versioni ti piace di
più? Per quale motivo? Esponi in un breve testo quanto è emerso da queste riflessioni,
facendo anche preciso riferimento al lessico usato da Sciascia e al risultato espressivo che
egli ottiene nella descrizione della situazione narrata.
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Proposte di produzione testuale
1.
Il LAVORO, nonostante richieda spesso impegno e fatica, è un mezzo per ottenere la
libertà. Tanto che, ad esempio, nell'articolo 1 della Costituzione italiana si ribadisce che
L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
Rifletti, individualmente e/o con i tuoi compagni, sulle possibili relazioni che ci possono
essere tra libertà e lavoro, sul modo in cui il lavoro può contribuire alla realizzazione della
libertà degli individui e delle società. Componi poi una relazione nella quale presenti i
risultati di questa riflessione.
2.
I protagonisti del racconto Il lungo viaggio emigrano clandestinamente: infatti, quando
credono di sbarcare sulle coste del New Jersey, il signor Melfa li mette in guardia in modo
perentorio dicendo: - E dunque non avete capito niente? [...] E dunque mi volete fare
183
passare il guaio?... Appena vi avrò lasciati a terra potete correre dal primo sbirro che
incontrate, e farvi rimpatriare con la prima corsa: io me ne fotto, ognuno è libero di
ammazzarsi come vuole... E poi, sono stato ai patti: qui c’è l’America, il dovere mio di
buttarvici l’ho assolto...
Assieme ai tuoi compagni svolgi una ricerca sull'emigrazione italiana, con particolare
attenzione a quella clandestina, raccogli testimonianze e immagini – da persone che
conosci, da libri o su Internet – e realizza una presentazione di 20-30 slide su questo tema.
A TU PER TU CON L’AUTORE
George Orwell (1903-1950). Romanziere e giornalista inglese. I suoi romanzi più famosi, La
fattoria degli animali del 1945 e 1984 , scritto tre anni dopo, sono lucide critiche ai totalitarismi. Il
primo è una favola, nella quale gli animali di una fattoria, guidati dai maiali, allontanano lo spietato
padrone signor Jones e cominciano a lavorare per loro stessi, con grande impegno. Non si
accorgono però che gradualmente i maiali si impadroniscono del potere, assumono i
comportamenti odiosi degli umani, modificano a loro favore e subdolamente i principi della
rivoluzione, mantengono il comando attraverso l'intimidazione, la paura e la violenza.
1984 è invece il cupo trionfo di una società nella quale libertà e spirito critico non esistono più.
Domina Il Grande Fratello, personificazione del Partito che controlla gli individui, la società, la
cultura, semplificando pensiero e linguaggio, attraverso un'incessante, continua propaganda.
L'analisi di Orwell è lucida, ricca di spunti per riflettere sui comportamenti umani, sul potere, sullo
spirito critico e sulla libertà.
SALA DI LETTURA
[carattere blu = riflessione lessicale]
Gli animali partecipano al successo della rivoluzione224
Nella fattoria del signor Jones gli animali si sono ribellati. Guidati dai maiali, che sono più abili e
intelligenti, hanno unito le loro forze, ognuno ha dato il proprio contributo sulla base delle proprie
caratteristiche e capacità e sono riusciti a scacciare l'odioso padrone. Cominciano così a lavorare
per consolidare la rivoluzione e costruire la prima Fattoria degli animali.
In brevissimo tempo gli animali avevano distrutto ogni cosa che ricordasse loro il signor Jones.
Napoleon225 li condusse poi al magazzino delle provviste e servì ad ognuno una doppia razione di
grano, mentre ai cani diede due biscotti per ciascuno. Poi cantarono Animali d'Inghilterra226 dal
224
George Orwell, La fattoria degli animali, Mondatori, Milano 2001.
225
Napoleon: uno dei maiali, il leader della rivoluzione, dopo la morte del più saggio e stimato degli animali della
fattoria, animatore della rivoluzione, il Colonnello
226
Animali d'Inghilterra: inno della rivoluzione
184
principio alla fine per sette volte di seguito, dopo di che si sistemarono per la notte e dormirono
come mai avevano dormito prima. Ma si svegliarono all'alba, come al solito e, ricordando a un
tratto i gloriosi avvenimenti del giorno precedente, tutti assieme corsero al pascolo. Da una
collinetta poco oltre il pascolo stesso si godeva la vista di quasi tutta la fattoria. Gli animali vi
montarono in cima e si guardarono attorno nella chiara luce del mattino. Sì, quello era loro, tutto
ciò che vedevano era loro! Nell'esaltazione di quel pensiero andavano qua e là e si lanciavano in
aria con salti prodigiosi. Si rotolavano nella rugiada, si riempivano la bocca della dolce erba estiva,
con le zampe sollevavano zolle di terra e ne aspiravano il greve sentore. Fecero poi un giro
d'ispezione per tutta la fattoria e, con muta ammirazione, osservarono le terre arate, i campi di
fieno, il frutteto, lo stagno, il boschetto. Era come se mai avessero visto prima quelle cose, e
ancora stentavano a credere che tutto fosse loro. In fila fecero poi ritorno ai fabbricati e in silenzio
si fermarono davanti alla porta della casa colonica. Anche quella era loro, ma avevano paura a
entrarvi. Dopo alcuni istanti, tuttavia, Palla di Neve227 e Napoleon con una spallata aprirono la
porta e gli animali entrarono l'uno dopo l'altro, camminando con la massima cautela per non urtare
qualcosa. In punta di piedi andarono di stanza in stanza, timorosi di parlare se non in bisbiglio,
guardando con una specie di terrore l'incredibile lusso, i letti coi loro materassi di piuma, gli
specchi, il divano di crine, il tappeto di Bruxelles, la litografia della regina Vittoria228 sopra la
caminiera [significa ______________________] del salotto. Stavano scendendo le scale quando si
accorsero dell'assenza di Mollie229. Tornando indietro, trovarono che essa si era fermata nella più
bella stanza da letto. Dalla tavola di toeletta della signora Jones aveva preso un nastro azzurro e
se l'era posto sulla spalla, ammirandosi nello specchio, da vera scioccherella. La rimproverarono
aspramente e uscirono. Alcuni prosciutti appesi nella cucina furono presi per dar loro sepoltura e
un barile di birra nella dispensa fu sfondato da un calcio di Gondrano230. Null'altro fu toccato
nella casa. Fu presa sul luogo la unanime decisione che la casa colonica sarebbe stata conservata
come museo. Tutti convennero che nessun animale vi sarebbe mai andato a vivere.
Gli animali ebbero la loro prima colazione, poi Palla di Neve e Napoleon li chiamarono ancora a
raduno.
«Compagni» disse Palla di Neve «sono le sei e mezzo e abbiamo davanti a noi una lunga giornata.
Oggi cominceremo la raccolta del fieno. Ma vi è un'altra cosa che dobbiamo subito fare.»
I maiali rivelarono allora che durante gli ultimi tre mesi essi avevano imparato a leggere e a
scrivere da un vecchio sillabario231 che era appartenuto ai figli del signor Jones e che era stato
gettato nelle immondizie. Napoleon si fece portare un barattolo di vernice bianca e uno di vernice
nera e si avviò verso il grande cancello che si apriva sulla strada maestra. Poi Palla di Neve (e Palla
di Neve aveva la miglior calligrafia), preso un pennello tra le zampe, cancellò FATTORIA
PADRONALE sull'alto del cancello e, in sua vece, vi dipinse: FATTORIA DEGLI ANIMALI. Era questo
il nome che la fattoria doveva da quel momento portare. Fatto ciò, tornarono ai fabbricati della
fattoria, ove Palla di Neve e Napoleon fecero portare una scala a pioli che venne appoggiata contro
il muro di fondo del grande granaio. Essi spiegarono che, con lo studio dei tre ultimi mesi, i maiali
erano riusciti a concretare i principi dell'Animalismo in Sette Comandamenti. Questi Sette
Comandamenti sarebbero stati scritti sul muro; avrebbero così formato una legge inalterabile
secondo la quale tutte le bestie della Fattoria degli Animali avrebbero dovuto vivere da quel
227
Palla di Neve: un maiale, membro del gruppo dirigente
228 Litografia della regina Vittoria: la litografia è una stampa realizzata incidendo il disegno da riprodurre su una
pietra calcarea. La regina Vittoria, raffigurata sulla litografia, è la grande sovrana che ha governato la Gran Bretagna
e il suo immenso impero dal 1837 al 1901.
229
Mollie: la gatta di casa Jones
230
Gondrano: possente cavallo da tiro della fattoria. Gondrano sfonda con un calcio il barile di birra perchè il
signor Jones si ubriacava spesso la sera e diventava particolarmente arrogante e violento. Quindi gli animali vedono
negli alcolici il simbolo della degenerazione morale degli uomini.
231
Sillabario: libro scolastico con il quale si impara a leggere e a scrivere
185
momento per sempre. Con qualche difficoltà (e non è facile per un maiale tenersi in equilibrio su
una scala a pioli) Palla di Neve si arrampicò e si pose al lavoro, con Clarinetto232 qualche gradino
più in basso che gli reggeva il barattolo della vernice. I Comandamenti furono scritti su un muro in
catramato, a grandi lettere bianche che si potevano leggere alla distanza di trenta metri. Eccone il
testo:
I SETTE COMANDAMENTI
1) Tutto ciò che va su due gambe è nemico.
2) Tutto ciò che va su quattro gambe o ha ali è amico.
3) Nessun animale vestirà abiti.
4) Nessun animale dormirà in un letto.
5) Nessun animale berrà alcolici.
6) Nessun animale ucciderà un altro animale.
7) Tutti gli animali sono uguali.
Tutto ciò era scritto molto accuratamente e, salvo qualche accento e un "tutto" con una t sola,
anche l'ortografia era corretta. Palla di Neve li lesse ad alta voce a beneficio degli altri. Tutti gli
animali annuirono in segno di assenso e i più intelligenti cominciarono subito a imparare i Sette
Comandamenti a memoria.
«Ora, compagni» gridò Palla di Neve, gettando a terra il pennello «al prato! Facciamoci un punto
d'onore di falciarlo più presto di quanto non saprebbero farlo Jones e i suoi uomini.»
Ma allora le tre mucche, che da qualche tempo mostravano segni di inquietudine, emisero un
lungo muggito.
Da ventiquattr'ore non erano state munte e le loro mammelle erano piene da scoppiare. Dopo
breve riflessione, i maiali mandarono a prendere un secchio e riuscirono felicemente a mungere le
mucche, dato che i loro piedi erano abbastanza adatti a tale bisogna. Presto vi furono cinque
secchi colmi di latte cremoso e denso a cui molti animali guardavano con profondo interesse.
«Che se ne fa di tutto questo latte?» chiese qualcuno.
«Jones usava talvolta mischiarne un po' al nostro pastone» disse una gallina. «Lasciate stare il
latte, compagni!» gridò Napoleon, ponendosi davanti ai secchi. «Penseremo anche a questo. Il
taglio del fieno è più importante. Il compagno Palla di Neve vi condurrà; io vi seguirò fra poco.
Avanti, compagni, il fieno vi attende!»
Così gli animali, in truppa, si avviarono al prato per iniziare la falciatura, e quando furono di ritorno
la sera notarono che del latte non restava più traccia alcuna.
[...]
Quanta fatica e sudore per ritirare il fieno! Ma i loro sforzi furono infine compensati e il raccolto fu
assai migliore di quanto avessero potuto sperare. Talvolta il lavoro era duro; gli strumenti erano
stati fatti per l'uomo e non per animali, ed era un grande svantaggio che nessun animale potesse
usare utensili per i quali sarebbe stato necessario reggersi sulle gambe posteriori. Ma i maiali
erano tanto intelligenti che sapevano superare ogni difficoltà. Quanto ai cavalli, essi conoscevano il
campo a palmo a palmo e in realtà si intendevano e sapevano di mietitura e di rastrellatura assai
più e meglio di Jones e dei suoi uomini. I maiali non lavoravano, ma dirigevano e sorvegliavano gli
altri. Con la loro cultura superiore era naturale che assumessero la direzione della comunità.
232
Clarinetto: un altro maiale del gruppo dirigente
186
Gondrano e Berta233 si attaccavano al falciatoio o al grande rastrello (non vi era più bisogno né di
morso né di redini, naturalmente) e andavano senza sosta su e giù per il campo con un maiale che
camminava al loro fianco gridando: «Avanti, compagni!» o «Indietro, compagni!» a seconda del
caso. E ogni animale, fino al più umile, lavorava a voltare il fieno e a raccoglierlo. Persino le anitre
e le galline si affannavano qua e là tutto il giorno sotto il sole, portando fili di fieno nel becco. Il
raccolto fu condotto a termine in due giornate meno di quanto di solito impiegavano Jones e i suoi
uomini. Inoltre era il più abbondante raccolto che la fattoria avesse mai visto. Né vi fu sperpero
alcuno; le galline e le anitre con la loro vista acuta avevano raccattato fino all'ultimo filo d'erba. E
nessun animale della fattoria ne aveva rubato neppure una boccata.
Durante tutta l'estate il lavoro si svolse con la precisione di un movimento d'orologeria. Gli animali
erano felici come mai avrebbero potuto immaginare. Ogni boccata di cibo era un vero e acuto
piacere, ora che era veramente il loro cibo, prodotto da loro per loro, non avaramente
somministrato da un burbero padrone. Senza l'uomo parassita e buono a nulla, vi era abbondanza
di cibo per tutti. Vi era anche maggior riposo, nonostante l'inesperienza degli animali.
Naturalmente, incontrarono molte difficoltà; per esempio, più avanti con la stagione, quando
ebbero mietuto il grano, dovettero calpestarlo al modo antico e col loro fiato soffiar via le scorie e
la paglia, dato che la fattoria non possedeva una trebbiatrice; ma i maiali con il loro ingegno e
Gondrano con i suoi possenti muscoli venivano a capo di tutto. Gondrano destava l'ammirazione
generale. Era stato un forte lavoratore anche ai tempi di Jones, ma ora sembrava che in lui vi
fossero non uno ma tre cavalli: vi erano giorni in cui tutto il lavoro della fattoria sembrava pesare
sulle sue possenti spalle. Da mattina a sera spingeva e tirava, sempre presente ove la fatica era
maggiore. Aveva convenuto con un galletto di farsi svegliare ogni mattina mezz'ora prima di tutti
gli altri per prestarsi volontariamente al lavoro dove più era necessario, prima che cominciasse la
quotidiana fatica. La sua risposta a ogni problema, a ogni difficoltà era: «Lavorerò di più!» frase
che aveva adottato quale suo motto personale.
Ma tutti lavoravano secondo la propria capacità. Le galline e le anitre, per esempio, avevano
salvato cinque covoni di grano durante la mietitura andando a spigolare i chicchi caduti. Nessuno
rubava, nessuno mormorava sulla propria razione: i litigi, i morsi, le gelosie, che erano cose
normali negli antichi giorni, erano quasi spariti. Nessuno si schivava, o quasi nessuno. Mollie, è
vero, stentava ad alzarsi il mattino e aveva un modo tutto suo di lasciar presto il lavoro con la
scusa che una pietra le era entrata nello zoccolo. E il comportamento del gatto aveva pure
qualcosa di strano. Fu presto notato che quando c'era lavoro da fare il gatto era introvabile.
Spariva per ore intere per riapparire al momento dei pasti e la sera a lavoro terminato, come se
niente fosse stato. Ma portava sì eccellenti scuse e faceva le fusa tanto gentilmente che era
impossibile non credere alle sue buone intenzioni. Il vecchio Benjamin, l'asino, non sembrava
mutato dalla Rivoluzione. Faceva il suo lavoro nello stesso modo lento e ostinato con cui lo aveva
compiuto ai tempi di Jones, mai ritraendosi, né mai offrendosi volontariamente per un lavoro
straordinario. Sulla Rivoluzione e i suoi risultati mai aveva voluto esprimere la propria opinione.
Quando gli chiedevano se non fosse più felice ora che Jones se n'era andato, si limitava a
rispondere: «Gli asini hanno vita lunga. Nessuno di voi ha visto mai un asino morto». E gli altri
dovevano accontentarsi di questa risposta sibillina.
Alla domenica non si lavorava. La prima colazione veniva fatta un'ora più tardi del solito e, dopo la
colazione, aveva luogo una cerimonia che si teneva infallibilmente ogni settimana. V'era prima
l'alzabandiera. Palla di Neve aveva trovato nella selleria una vecchia tovaglia verde del signor
Jones, e vi aveva dipinto sopra in bianco uno zoccolo di cavallo e un corno. Ogni domenica mattina
la bandiera veniva innalzata sull'asta, nel giardino della casa colonica. La bandiera era verde,
spiegava Palla di Neve, per rappresentare i verdi campi d'Inghilterra, mentre lo zoccolo e il corno
simboleggiavano la futura Repubblica degli Animali che sarebbe sorta quando la razza umana fosse
233
Berta: la cavalla che trainava il calesse del signor Jones
187
stata finalmente distrutta. Dopo l'alzabandiera tutti gli animali si recavano in truppa nel grande
granaio per un'assemblea generale che si chiamava Consiglio. Qui si tracciava il piano di lavoro
della settimana entrante e i progetti venivano esposti e discussi. Erano sempre i maiali che
esponevano i progetti. Gli altri animali capivano come dare il voto, ma non riuscivano a concepire
in proprio alcun progetto. Palla di Neve e Napoleon erano di gran lunga i più attivi nelle
discussioni. Ma i due non andavano mai d'accordo. Qualunque cosa proponesse l'uno, era certo di
trovare l'opposizione dell'altro. Anche quando fu deciso cosa per se stessa al disopra di ogni critica
- di destinare il piccolo campo oltre il frutteto quale luogo di riposo agli animali divenuti inabili al
lavoro, una violenta discussione sorse circa i limiti di età per ogni classe di animali. Il Consiglio si
chiudeva sempre al canto di Animali d'Inghilterra e il pomeriggio veniva dedicato agli svaghi.
I maiali si erano riservati, quale quartier generale, la selleria. Qui, la sera, essi studiavano su libri
portati fuori dalla casa colonica, l'arte del maniscalco, del falegname e tutte quelle arti necessarie
al buon andamento di una fattoria. Palla di Neve si dava pure molto da fare per gli altri animali in
ciò che egli chiamava i Comitati Animali. Formò il "Comitato di Produzione delle Uova" per le
galline, la "Lega delle Code Nette" per le mucche, il "Comitato di Rieducazione dei Compagni
Selvatici" (lo scopo di tale comitato era di addomesticare i topi e i conigli), il "Movimento della
Lana Bianca" per le pecore, e vari altri, oltre l'istituzione di classi per l'insegnamento della lettura e
della scrittura. Nel loro assieme questi comitati risultarono un fallimento. Il tentativo di
addomesticare le bestie selvatiche, per esempio, venne quasi subito troncato. Esse continuavano a
comportarsi come prima, e, se trattate con generosità, non facevano che approfittarsene. Il gatto
si unì al "Comitato di Rieducazione" e per qualche giorno si mostrò molto attivo. Lo si vide una
volta
seduto
sopra
un
tetto
mentre
arringava
[arringare
significa
________________________________________________________________________________
_______________________________________________________________________________]
dei passeri che erano al di fuori della portata delle sue grinfie. Diceva loro che tutti gli animali
erano ora compagni e che qualunque passero avrebbe potuto adesso venirsi a posare sulle sue
zampe; ma i passeri si mantennero a rispettosa distanza.
La scuola di lettura e scrittura ebbe invece un grande successo. In autunno quasi tutti gli animali
della fattoria erano, chi più chi meno, letterati. Quanto ai maiali, essi sapevano già leggere e
scrivere perfettamente. I cani impararono a leggere abbastanza bene, ma non si interessavano
che alla lettura dei Sette Comandamenti. Muriel, la capra, sapeva leggere un po' meglio dei cani, e
talvolta, la sera, usava far lettura agli altri di ritagli di giornale trovati nel mucchio della spazzatura.
Benjamin sapeva leggere bene quanto i maiali ma non dava mai saggio di questa sua abilità. A
parer suo, diceva, non c'era nulla che meritasse di essere letto. Berta aveva imparato tutto
l'alfabeto, ma non era mai riuscita a metter assieme le parole. Gondrano non poté mai andare oltre
la lettera d. Col suo grosso zoccolo tracciava sulla sabbia a, b, c, d, poi si fermava a fissare le
lettere, con le orecchie abbassate, scuotendo talvolta il ciuffo sulla fronte, e cercando con tutte le
sue forze di ricordarsi che cosa veniva dopo, ma mai vi riusciva. In molte lezioni aveva imparato
invero e, t; g, h, ma quando sapeva queste si accorgeva di aver dimenticato a, b, c, d. Finalmente
decise di accontentarsi delle prime quattro lettere e usava scriverle una o due volte al giorno per
rinfrescarsi la memoria. Mollie rifiutò di imparare qualunque cosa che non fossero le sole lettere
che componevano il suo nome. Essa lo formava assai graziosamente con ramoscelli, poi lo ornava
con alcuni fiori e vi passeggiava attorno, ammirando.
Nessuno degli altri animali della fattoria poté andare oltre la lettera a. Si trovò pure che le bestie
più stupide, come le pecore, le galline e le anitre, non riuscivano a imparare a memoria i Sette
Comandamenti. Dopo molto pensare, Palla di Neve dichiarò che i Sette Comandamenti potevano
effettivamente venir ridotti a un'unica massima, e cioè: «Quattro gambe, buono; due gambe,
cattivo». Ciò, disse, contiene il principio essenziale dell'Animalismo. Chi si fosse bene imbevuto di
tale massima sarebbe stato al sicuro da ogni influenza umana. Dapprima gli uccelli protestarono,
sembrando loro di aver anch'essi due gambe, ma Palla di Neve riuscì a dimostrare che le cose
188
stavano diversamente. «Le ali degli uccelli, compagni» disse «sono un organo di propulsione e non
di manipolazione. Devono quindi essere considerate come gambe. Il segno distintivo dell'uomo è la
mano, lo strumento col quale egli fa tutto ciò che è male.»
Gli uccelli non compresero le parole difficili di Palla di Neve, ma accettarono la sua spiegazione, e
tutti i più umili animali si applicarono a imparare a memoria la nuova massima: «Quattro gambe,
buono; due gambe, cattivo» fu scritto sul muro di fondo del granaio a lettere cubitali, sopra i Sette
Comandamenti. Imparata che l'ebbero a memoria, la massima piacque tanto alle pecore che
spesso, sdraiate sul prato, esse cominciavano a belare: «Quattro gambe, buono; due gambe,
cattivo! Quattro gambe, buono; due gambe, cattivo!» e continuavano per ore e ore, senza
stancarsi mai di ripeterla.
Napoleon non si interessava dei comitati di Palla di Neve. Egli diceva che l'educazione dei giovani
era assai più importante di qualsiasi cosa si potesse fare per i già adulti. Avvenne che Jessie e Lilla
avessero entrambe figliato quasi subito dopo la raccolta del fieno, dando alla luce, fra tutte e due,
nove robusti cuccioli. Non appena svezzati, Napoleon li tolse alle loro madri dicendo di farsi egli
stesso responsabile della loro educazione. Li mise in una soffitta alla quale non si poteva accedere
che a mezzo di una scala a pioli dalla selleria, e là li tenne così separati da tutti gli altri che presto
la fattoria dimenticò la loro esistenza234.
Il mistero di dove andava a finire il latte fu presto svelato. Esso veniva ogni giorno mescolato nel
mangime dei porci. Le prime mele stavano maturando e l'erba del frutteto era coperta di frutti
caduti. Gli animali ritenevano cosa naturale che questi frutti venissero equamente divisi; un giorno
però venne l'ordine che tutti quei frutti dovevano essere raccolti e portati nella selleria per uso dei
porci. Mormorii corsero fra gli animali, ma invano. Tutti i maiali erano d'accordo su questo punto,
perfino Palla di Neve e Napoleon. Fu mandato Clarinetto per dare agli altri le dovute spiegazioni.
«Compagni» gridò «voi non immaginerete, spero, che noi maiali facciamo questo per spirito
d'egoismo o di privilegio. A molti di noi realmente ripugnano il latte e le mele. Anche a me non
piacciono. Il solo scopo nel prendere queste cose è di conservare la nostra salute. Il latte e le mele
(e ciò è provato dalla Scienza, compagni) contengono sostanze assolutamente necessarie al
benessere del maiale. Noi maiali siamo lavoratori del pensiero. Tutto l'andamento e
l'organizzazione di questa fattoria dipendono da noi. Giorno e notte noi vegliamo al vostro
benessere. E' per il vostro bene che noi beviamo quel latte e mangiamo quelle mele. Sapete che
accadrebbe se i maiali dovessero venir meno al loro dovere? Jones ritornerebbe! Sì, Jones
ritornerebbe! Certo, compagni» gridò Clarinetto quasi supplichevole, saltellando da un lato all'altro
e agitando la coda «certo non c'è nessuno fra voi che voglia il ritorno di Jones!»
Ora, se vi era una cosa di cui gli animali fossero sicuri, questa era che essi non volevano il ritorno
di Jones. Posta la questione in questa luce, più nulla restava loro da dire. L'importanza di
mantenere i maiali in buona salute risultava evidente. Così fu convenuto senz'altra osservazione
che il latte e le mele cadute (come tutta la produzione delle mele quando fossero giunte a
maturazione) sarebbero stati riservati si soli maiali.
LABORATORIO DEL TESTO
234
Nel corso della vicenda i cuccioli, addestrati alla ferocia e all'aggressione, diventeranno le guardie del corpo di
Napoleon.
189
Proposte di lavoro sulla comprensione e/o analisi testuale e
tematica
1. Sintetizza il racconto in 5 righe
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__________________________________________________________________________
2. Dividi il racconto in sequenze e assegna loro un titolo:
•
In brevissimo tempo … raduno
gli animali esplorano la fattoria
•
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•
_______________________________________________________________
•
_______________________________________________________________
•
_______________________________________________________________
•
_______________________________________________________________
•
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3. Quali tipologie di sequenze ti sembra che prevalgano nel racconto?
O
O
O
narrative
dialogiche
espositive
O
O
O
descrittive
riflessive
espressive/liriche
Motiva la tua scelta:
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4. Il narratore è esterno perché
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5. Il narratore è onnisciente oppure è un semplice testimone dei fatti narrati? Scegli una
delle due possibilità e motivala:
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190
6. Svolgi un'analisi dei personaggi e del loro significato allegorico usando il seguente
procedimento:
a) Sottolinea sul testo le parti che riguardano le caratteristiche e i comportamenti di ciascuno
dei personaggi – o gruppi di personaggi – nominati nell'elenco sottostante.
b) Dopo aver raccolto le informazioni da una lettura accurata del brano, descrivili uno alla
volta, evidenziandone le caratteristiche in una o due frasi.
c) Spiega il significato allegorico del personaggio, chiarendo a quale tipo di persona o di
comportamento sociale corrisponde.
Napoleon
comportamenti:
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________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
significato:
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________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
Palla di neve
comportamenti:
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________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
significato:
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________________________________________________________________________________
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Clarinetto
comportamenti:
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________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
significato:
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________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
Mollie
comportamenti: si occupa prevalentemente del suo aspetto e della sua comodità, si muove
silenziosamente, sparisce quando c'è da lavorare duramente, non si esprime apertamente, sceglie
un incarico che le permette di faticare poco e di tenere d'occhio i passeri, possibili prede.
Significato: rappresenta coloro che si interessano principalmente del proprio vantaggio personale,
senza responsabilità né coinvolgimenti, tendono a passare inosservati e nel frattempo operano per
costruire il loro personale benessere.
Gondrano
comportamenti:
____________________________________________________________________
____________________________________________________________________
____________________________________________________________________
significato:
________________________________________________________________________________
191
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
Benjamin
comportamenti:
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
significato:
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
In relazione a Benjamin spiega il senso che può avere nel contesto della vicenda l'affermazione Gli
asini hanno vita lunga. Nessuno di voi ha visto mai un asino morto :
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________________________________________________________________________________
gli animali selvatici (topi e conigli)
comportamenti:
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________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
significato:
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________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
pecore
comportamenti:
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
significato:
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
Spiega per quale motivo i 7 comandamenti vengono sintetizzati in uno solo: Quattro
gambe, buono; due gambe cattivo, facendo anche riferimento – con degli esempi – alla scuola di
lettura e scrittura e al modo diverso in cui gli animali riescono ad apprendere:
7.
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________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
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________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
8.
Osserva la sintassi dei 7 comandamenti e quella dell'ottavo. Quale differenza cogli? Perché
questa differenza? Quali
possono essere i vantaggi comunicativi che la massima di Palla di
Neve produce?
192
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
9.
Individua sul testo ed elenca i passaggi attraverso i quali il lettore si accorge che i maiali
stanno costruendo la propria situazione di privilegio:
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________________________________________________________________________________
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________________________________________________________________________________
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________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
10.
Ti sembra che l'autore dia rilievo a questi passaggi o li racconti in modo quasi marginale?
Rifletti sulla sua scelta e motivala in relazione alla vicenda narrata.
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________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
Proposte di riscrittura e rielaborazione
Scrivi una relazione sul brano letto, utilizzando le informazioni e le riflessioni che hai raccolto nel
corso dell'analisi del testo, eventualmente anche attraverso la condivisione e il confronto in classe,
seguendo questi passaggi:
a)
breve presentazione dell'autore e del romanzo (10 righe)
b)
breve sintesi del brano (5 righe)
c)
analisi e spiegazione della vicenda narrata, usando alcuni esempi relativi al comportamento
degli animali e al loro significato allegorico (15-20 righe).
d)
presentazione delle tue riflessioni sul modo in cui i vari animali partecipano alla
realizzazione della rivoluzione, sui vantaggi e sui limiti del loro operato (15-20 righe)
Proposte di produzione testuale
1.
Guarda il film L'onda di Dennis Gansel (2008), analizza in classe il modo in cui si realizza la
partecipazione ad un comune progetto tra i personaggi della storia e scrivi una recensione del
film.
2.
Partecipare ad un progetto comune, essere all'interno di un gruppo, seguire dei modelli di
comportamento che riteniamo validi, sostenere una causa, collaborare ad un'attività, far parte di
una squadra sono situazioni spesso motivanti e arricchenti. In questi casi, secondo te, è opportuno
mettere da parte lo spirito critico? Scrivi un testo nel quale presenti la tua opinione a proposito,
facendo preciso riferimento alla tua esperienza personale.
193
LA BOTTEGA DELL’ARTE
Marcel Duchamp, L.H.O.O.Q, 1919. Ready made rettificato: La Gioconda con i baffi, 19, 7 x 12,
4 cm. New York, Collezione privata
Il dadaismo
«DADÁ non significa nulla.[...]
L'opera d'arte non deve rappresentare la bellezza che è morta; né gaia né triste, né chiara né
oscura, non deve divertire né maltrattare […]. Un'opera d'arte non è mai bella per decreto
legge,obiettivamente, per autorità. La critica quindi è inutile, non può esistere che
soggettivamente, ciascuno la sua, senza carattere di universalità. [...]
Così nacque DADÁ, da un bisogno di indipendenza, di diffidenza nei confronti della comunità, quelli
che dipendono da noi restano liberi. Noi non ci basiamo su nessuna teoria […]. Le rime hanno il
suono delle monete e il ritmo segue la linea della pancia vista di profilo. Tutti i gruppi di artisti
sono finiti in banca, cavalcando differenti comete. [...]
194
Libertà: DADA DADA DADA, urlo di colori contratti, groviglio degli opposti e di tutte le
contraddizioni, del grottesco e dell'incongruenza: VITA».235
Il Dada. Zurigo,nella Svizzera neutrale, 1916. La guerra imperversa in Europa. Nel Cabaret
Voltaire si incontrano alcuni giovani artisti. Non ci convinceranno a mangiare il pasticcio di carne
umana che ci offrono, affermano con l'imperativo di negare i valori del passato, che hanno portato
alla carneficina della guerra mondiale. Vogliono inventare un'arte nuova. Vogliono un'arte
completamente libera, un'arte del nonsenso. Scelgono così un nome che non significa nulla,
aprendo a caso il vocabolario: in russo vuol dire due volte sì (da), in italiano e in francese una delle
prime parole che i bambini pronunciano. “Dunque Dada è tutto e nulla. Dada è gioco ed è
paradosso. Dada è libertà di essere dada o di non esserlo. Dada è arte e – nel contempo –
negazione dell'arte”236
Marcel Duchamp (1887-1968). La provocazione di Duchamp nel contesto del dada è quella di
giocare con le funzioni degli oggetti, più che con le loro forme. Sperimenta il cosiddetto readymade, che vuol dire “pronto all'uso”, utilizzando oggetti della vita quotidiana e proponendoli come
opere d'arte: un orinatoio viene esposto e intitolato Fontana, una ruota di bicicletta viene posta in
verticale su uno sgabello e intitolata semplicemente Ruota di bicicletta.
L.H.O.O.Q del 1919 è una riproduzione della famosissima Monna Lisa di Leonardo da Vinci. Si
tratta di un ready made rettificato. Infatti è un oggetto, il famosissimo quadro, che ha subito una
rettifica, una modifica da parte di Duchamp: lo scarabocchio di un paio di baffi e di un pizzetto.
Questa non è la sola provocazione: le lettere maiuscole che compongono il titolo, poste sotto
l'immagine, quando vengono sillabate con la pronuncia francese suonano come Elle a chaud au
cul, “lei ha caldo al sedere”, una frase che non solo è di cattivo gusto, ma è completamente
estranea al contesto: sembra che non abbia un senso e ciò è in perfetta sintonia con le
dichiarazioni del movimento dada.
1.
Monna Lisa di Leonardo, la famosa Gioconda, è conservata in una sala del Museo del
Louvre di Parigi ed è, da secoli, una delle opere più ammirate e popolari del mondo, anche da
parte di coloro che di solito non si interessano di arte. Che senso ha la provocazione del
movimento dada e di Marcel Duchamp proprio nei confronti di un dipinto così rappresentativo
dell'arte tradizionale?
2.
Immagina per assurdo di essere tu quello che ha tracciato quei baffetti sul volto della
Gioconda. Come ti sentiresti? Pensa a quella situazione come se fosse vera e descrivi le tue
motivazioni e il tuo stato d'animo. Prevale il senso di liberatoria rivolta del dada, quello di
profanazione di una grande opera o altro?
235
Da Tristan Tzara (1896-1963), Manifesto dada,1918, in
http://keynes.scuole.bo.it/ipertesti/arte_cinema/manifestodada.html
236
G. Cricco, F. P. Di Teodoro, Itinerario nell'arte, , Zanichelli, Bologna 2003
195
SALA D’ASCOLTO
GIORGIO GABER (1939-2003) Cantautore,
attore, commediografo italiano. È stato uno dei
primi cantanti resi famosi dalla televisione degli
anni '60. A partire dagli anni '70 scrive assieme
a Sandro Luporini una serie di recital teatrali,
nei quali tratta tematiche sociali e politiche
spesso controcorrente rispetto al sentire
comune, presentando un punto di vista libero,
alternativo e critico, con grande sensibilità e
intelligenza.
La libertà (1972)
[parlato]: Vorrei essere libero, libero come un
uomo.
Vorrei essere libero come un uomo.
Come un uomo appena nato
che ha di fronte solamente la natura
e cammina dentro un bosco
con la gioia di inseguire un’avventura.
Sempre libero e vitale
fa l’amore come fosse un animale
incosciente come un uomo
compiaciuto della propria libertà.
La libertà non è star sopra un albero
non è neanche il volo di un moscone
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione.
[parlato]: Vorrei essere libero, libero come un
uomo.
Come un uomo che ha bisogno
di spaziare con la propria fantasia
e che trova questo spazio
solamente nella sua democrazia.
Che ha il diritto di votare
e che passa la sua vita a delegare
e nel farsi comandare
ha trovato la sua nuova libertà.
La libertà non è star sopra un albero
non è neanche avere un’opinione
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione.
[parlato]: Vorrei essere libero, libero come un
uomo.
Come l’uomo più evoluto
che si innalza con la propria intelligenza
e che sfida la natura
con la forza incontrastata della scienza
con addosso l’entusiasmo
di spaziare senza limiti nel cosmo
e convinto che la forza del pensiero
sia la sola libertà.
La libertà non è star sopra un albero
non è neanche un gesto o un’invenzione
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione.
www.giorgiogaber.org
ALEX BRITTI (Roma 1968) Cantautore e
bravo chitarrista italiano, ha raggiunto il
successo con il grande pubblico nel 1998. La
canzone che segue lo ha portato nei primi posti
nella classifica degli album più venduti.
La Vasca (2000)
Voglio restare tutto il giorno nella vasca con
l’acqua calda che mi coccola la testa
un piede fuori che s’infreddolisce appena, uscire
solo quando è pronta già la cena
mangiare e bere sempre e solo a dismisura
senza dover cambiare buco alla cintura
e poi domani non andrò neanche al lavoro,
neanche avvertirò perché il silenzio è d’oro
tornerò con gli amici davanti scuola, ma senza
entrare, solo fuori a far la ola
non c saranno ripetenti punto e basta, staremo
tutti insieme nella stessa vasca
così grande che ormai è una piscina, staremo a
mollo dalla sera alla mattina
così che adesso è troppo piena e non si può +
stare, è meglio trasferirci tutti quanti al mare
quando fa buio accenderemo un grande fuoco,
attaccheremo un maxi schermo e un grande
gioco
e dopo inseguimenti vari e varie lotte faremo
tutti un grande bagno a mezzanotte
mi bagno, mi tuffo, mi giro e mi rilasso, mi
bagno, m’asciugo e inizia qui lo spasso
e mi ribagno, mi rituffo, mi rigiro e mi rilasso,
mi ribagno mi riasciugo e ricomincia qui lo
spasso
saremo più di 100, quasi 120, amici conoscenti
e anche i parenti
con il cocomero e la coca cola fresca, con le
chitarre a dirci che non è Francesca
aspetteremo le prime luci del mattino;
196
festeggeremo con cornetti e cappuccino
e quando stanchi dormiremo sulla sabbia,
le nostre camere scolpite nella nebbia
ma dormiremo poche ore quanto basta
per poi svegliarci e rituffarci nella vasca
mi bagno, mi tuffo, mi giro e mi rilasso,
mi bagno, m’asciugo e inizia qui lo spasso
e mi ribagno, mi rituffo, mi rigiro e mi rilasso,
mi ribagno mi riasciugo e ricomincia qui lo spasso
voglio restare tutto il giorno in una vasca
con le mie cose più tranquille nella testa
un piede fuori come fosse una bandiera,
uscire solo quando fuori è primavera
ma spero solo questa mia fantasia
non sia soltanto un altro attacco di utopia
perché per questo non c’è ancora medicina
che mi trasformi la mia vasca in piscina
e tantomeno trasformare tutto in mare,
però qualcuno lo dovrebbe inventare
mi bagno, mi tuffo, mi giro e mi rilasso,
mi bagno, m’asciugo e inizia qui lo spasso
e mi ribagno, mi rituffo, mi rigiro e mi rilasso,
mi ribagno mi riasciugo e ricomincia qui lo spasso.
1. Quali diverse immagini della libertà vengono presentate nella canzone di Gaber?
2. Spiega che cosa vuo dire, secondo te, Libertà è partecipazione.
3. Quale altra immagine dell’essere liberi può emergere attraverso la canzone di Alex
Britti?
4. A quale delle due rappresentazioni della libertà ti senti più affine? Spiega i motivi
della tua scelta.
197
Un tuffo nel Web
Per scaricare il testo integrale de Il gabbiano Jonathan Livingston
http://www.letturelibere.net/libri_gratis_on_line/il_gabbiano_jonathan_livingston.php
Su Leonardo Sciascia vedi http://www.amicisciascia.it/ ,
http://www.italica.rai.it/argomenti/grandi_narratori_900/sciascia.htm e sul parco letterario
dedicato allo scrittore http://www.regalpetra.it/home.htm
Per le informazioni su Alex Britti vedi il sito ufficiale http://www.alexbritti.com/
Sulle avanguardie artistiche del Novecento
http://www.gutenberg2000.org/nuove_tecnologie_comunicazione_XX_secolo_arte.htm
Su Duchamp http://www.understandingduchamp.com/ e sull'arte contemporanea
http://www.luxflux.net/
UN PERCORSO ATTRAVERSO UN TEMA
RIDERE DI SE STESSI, SORRIDERE DEGLI ALTRI
Il percorso proposto vuole mostrarti come l’instabilità e l’imprevedibilità degli accadimenti umani
nascondano spesso un sentimento o uno status sociale doloroso e sofferto e allora una battuta
spiritosa o una trovata paradossale possono insegnare che nella vita nulla è come sembra. La
comicità e l’umorismo, nelle loro accezioni e specificità differenti, usati da autori diversi per
collocazione temporale
e generazionale, suggeriscono che dare giudizi troppo affrettati,
assoluzioni o condanne avventate non serve alla crescita e alla formazione dell’individuo né di ieri
né di oggi o di domani. Lo studio e il confronto di propugnatori e sostenitori del “sorriso” effettuati
in questo percorso ti aiuteranno nella comprensione di opere di grande spessore umano e
culturale.
La novella Chichibìo e la gru, tratta dal Decameron (1351) di Giovanni Boccaccio, insegna come
una risposta perspicace e brillante aiuti in circostanze avverse, non solo a risollevare l’animo ma
anche a riequilibrare le sorti del destino. Il protagonista è un ingenuo e superficiale cuoco che,
spinto dalla paura, riesce in modo inaspettato e spassoso a sottrarsi a una sicura punizione e a
rivalersi del danno perpetrato a scapito del suo padrone.
La seconda novella proposta è La giara (1906), tratta da Novelle per un anno, di Luigi
Pirandello. I temi e gli ambienti descritti rivelano una condizione di vita dura e povera; i
personaggi, presentati attraverso le loro azioni, sono vittime dell’arroganza e prepotenza della
classe borghese siciliana; i dialoghi concitati e le frasi spezzate dimostrano la difficoltà dei
personaggi di dare voce ai propri sentimenti. La vis comica della vicenda scaturisce da una
situazione imbarazzante e paradossale, che mette in campo una serie di conseguenze grottesche
in cui alla fine non si comprende più chi ha torto e chi ha ragione.
Il brano L’uomo dalla faccia di ladro tratto dal Manuale di conversazione (1973) di Achille
Campanile, narra la rocambolesca storia di un furto da parte di un losco figuro ai danni di un
innocuo vecchietto, che a sua volta ruberà e sarà derubato. La singolare serie di borseggi,
sapientemente descritta attraverso brevi sequenze e dialoghi serrati dal ritmo intenso, genera nel
lettore un coinvolgimento e un interesse continuo verso la conclusione. La situazione finale, poi,
dimostra come l’imprevedibilità dell’agire umano nasconda la vera identità di un individuo.
NB: Per le note biografiche e letterarie sull’autore vedi box “A tu per tu con l’autore”
Percorso n. 1
199
SALA DI LETTURA
Chichibìo e la gru237
La novella proposta è la quarta della sesta giornata del Decameron, durante la quale si sviluppa la
tematica del “motto”, ossia una battuta intelligente e spiritosa, grazie alla quale si può evitare un
danno o un pericolo, proprio come succede a Chichibìo, protagonista di un finale sorprendente ed
educativo. D’altra parte lo stesso Boccaccio affermava che un’opera deve essere “dilettevole e
nello stesso tempo utile”.
La struttura sintattica della lingua del testo è complessa e articolata, formata da numerose
proposizione secondarie di forma implicita che si inseriscono tra soggetto e predicato, anastrofi e
termini di non facile comprensione. Ti proponiamo una riscrittura guidata, in parte già realizzata, in
parte da completare, che ti permetterà di giungere ad una comprensione più agevole del testo e di
riflettere sull’evoluzione della lingua.
[carattere blu = riflessione lessicale] [carattere rosso = riflessione sintattica]
Chichibìo, cuoco di Gianfigliazzi, con parole
argute muta la collera del padrone in riso.
Chichibìo, cuoco di Gianfigliazzi, con parole argute
muta la collera del padrone in riso.
Currado Gianfigliazzi sì come ciascuna di voi
e udito e veduto puote avere, sempre della
nostra città è stato notabile (2)cittadino,
liberale e magnifico, e vita cavalleresca
tenendo, continuamente in cani e in uccelli s'è
dilettato, le sue opere maggiori al presente
lasciando stare.
Corrado Gianfigliazzi così come ciascuna di voi può
avere udito e visto, è sempre stato un cittadino
importante, [aiutandoti eventualmente con un
dizionario, scegli il significato più appropriato del
termine sottolineato]
Il quale con un suo falcone avendo un dì
presso a Peretola una gru ammazzata,
trovandola grassa e giovane, quella mandò ad
un suo buon cuoco, il quale era chiamato
Chichibìo, ed era viniziano, e sì gli mandò
dicendo che a cena l'arrostisse e governassela
bene. Chichibìo, il quale come nuovo bergolo
era così pareva, acconcia la gru, la mise a
fuoco e con sollicitudine a cuocerla cominciò.
La quale essendo già presso che cotta e
grandissimo odor venendone, avvenne che
una feminetta della contrada, la quale
Brunetta era chiamata e di cui Chichibìo era
forte innamorato, entrò nella cucina, e
sentendo l'odor della gru e veggendola, pregò
caramente Chichibìo che ne le desse una
coscia.
Chichibìo le rispose cantando e disse: 237
generoso/magnanimo/tollerante
e pregevole della nostra città. Egli conducendo
una vita aristocratica si divertiva assai ad andare a
caccia di uccelli,trascurando per il momento di
parlare delle sue attività principali.
Corrado un giorno uccise con il suo falcone una
gru vicino Peretola e, poiché era grassa e giovane,
la mandò a un suo bravo cuoco,soprannominato
Chichibìo ed era veneziano, ordinandogli di
prepararla e di cucinarla per la cena. Chichibìo,
che sembrava ed era veramente [riferendoti al
contesto in cui è inserita, prova a trovare un
sinonimo dell’espressione sottolineata
_____________________ ] , preparata la gru
comincia a cuocerla accuratamente.
_______________________________________
_______________________________________
_______________________________________
_______________________________________
_______________________________________
_______________________________________
_______________________________________
[ricostruisci l’ordine sintattico della frase
Si fa riferimento a Giovanni Boccaccio, Decameron, a cura di Vittore Branca, Arnoldo Mondadori, Milano 1985
200
"Voi non l'avrì da mi, donna Brunetta, voi non
l'avrì da mi". - Di che donna Brunetta essendo
turbata, gli disse: - In fè di Dio, se tu non la
mi dai, tu non avrai mai da me cosa che ti
piaccia - , e in brieve le parole furon molte.
Alla fine Chichibìo, per non crucciar la sua
donna, spiccata l'una delle cosce alla gru,
gliela diede.
Essendo poi davanti a Currado e ad alcun suo
forestiere messa la gru senza coscia, e
Currado maravigliandosene, fece chiamare
Chichibìo e domandollo che fosse divenuta
l'altra coscia della gru. Al quale il vinizian
bugiardo subitamente rispose: - Signor mio,
le gru non hanno se non una coscia e una
gamba. -Currado allora turbato disse: -Come diavol non hanno che una coscia e una
gamba? Non vid'io mai più gru che questa? Chichibìo seguitò: - Egli è, messer, com'io
vi dico; e quando vi piaccia, io il vi farò veder
né vivi.
Currado, per amor dei forestieri che seco
aveva, non volle dietro alle parole andare, ma
disse: - Poi che tu dì di farmelo vedere né
vivi, cosa che io mai più non vidi né udii dir
che fosse, e io il voglio veder domattina e
sarò contento; ma io ti giuro in sul corpo di
Cristo, che, se altramenti sarà, che io ti farò
conciare in maniera che tu con tuo danno ti
ricorderai, sempre che tu ci viverai, del nome
mio. Finite adunque per quella sera le parole,
la mattina seguente come il giorno apparve,
Currado, a cui non era per lo dormire l'ira
cessata, tutto ancor gonfiato si levò e
comandò che i cavalli gli fosser menati; e
fatto montar Chichibìo sopra un ronzino,
verso una fiumana, alla riva della quale
sempre soleva in sul far del dì vedersi delle
gru, nel menò dicendo: - Tosto vedremo chi
avrà iersera mentito, o tu o io. Chichibìo, veggendo che ancora durava
l'ira di Currado e che far gli conveniva pruova
della sua bugia, non sappiendo come
poterlasi fare, cavalcava appresso a Currado
con la maggior paura del mondo, e volentieri,
se potuto avesse, si sarebbe fuggito; ma non
potendo, ora innanzi e ora addietro e da lato
si riguardava, e ciò che vedeva credeva che
gru fossero che stessero in due piedi.
Ma già vicini al fiume pervenuti, gli
sottolineata e riscrivila in italiano corrente].
Chichibio le rispose con cadenza cantilenante: “
Voi non l’avrete da me, donna Brunetta, voi non
l’avrete da me”. Donna Brunetta, dispiaciuta per
quella risposta, gli disse: - In fede di Dio, se tu
non me la dai, io non ti darò ciò che ti piace,e,per
farla breve, discussero molto. Infine Chichibìo, per
non _________________________ [semplifica la
sintassi, sostituendo il sintagma sottolineato con
un verbo e un pronome-complemento] , staccata
una coscia alla gru, gliela diede.
Durante la cena venne servita la gru senza
coscia, Corrado stupendosi di ciò, mandò a
chiamare il cuoco e gli domandò che cosa fosse
avvenuto dell’altra coscia della gru. Il veneziano
impostore [sostituisci con un sinonimo l’avverbio
sottolineato _________________ ] rispose: “ Mio
Signore le gru hanno una sola coscia e una sola
gamba. Corrado allora infastidito disse: Come
caspita è possibile che abbiano una coscia e una
gamba? Pensi che non abbia mai visto una gru?
Chichibìo continuò: - Messere, è proprio come vi
dico, e quando vorrete ve lo farò vedere in quelle
vive.
Corrado per rispetto degli ospiti, non volle
continuare la discussione, ma disse: poiché tu
affermi di mostrarmi ciò che non ho mai visto né
sentito dire, domani mattina sarò contento se lo
verificheremo insieme; ma giuro sul corpo di
Cristo che ,se non sarà come tu sostieni, ti farò
aggiustare in modo tale che ti ricorderai del mio
nome finchè vivrai. Terminato, quindi, per quella
sera, il discorso , il giorno seguente, alle prime
luci, Corrado, ancora incollerito nonostante avesse
dormito,ancora tutto gonfio [d ‘ira] si alzò e
comandò che gli fossero portati i cavalli; e fatto
salire Chichibìo sopra un ronzino, si diressero
vicino a un
fiume____________________________________
_________________________________________
_________________________________________
_________________________________________
[ricostruisci l’ordine sintattico della frase
sottolineata. Fai attenzione al pronome relativo] e
disse a Chichibìo - Presto vedremo chi ieri sera ha
mentito, o tu o io. - Chichibìo, vedendo che l’ira
di Corrado non era ancora sfumata e che gli
sarebbe convenuto provare la sua bugia,
cavalcava vicino a Corrado con grandissima paura,
e volentieri se avesse potuto, sarebbe fuggito;
ma non potendo, si guardava intorno e [da ogni
parte] vedeva gru dritte su due piedi.
Giunti vicini alla riva del fiume, gli accadde di
201
venner prima che ad alcun vedute sopra la
riva di quello ben dodici gru, le quali tutte in
un piè dimoravano, si come quando dormono
soglion fare. Per che egli prestamente
mostratele a Currado, disse: - Assai bene
potete, messer, vedere che iersera vi dissi il
vero, che le gru non hanno se non una coscia
e un piè, se voi riguardate a quelle che colà
stanno. -
Currado vedendole disse: - Aspèttati, che io ti
mostrerò che elle n'hanno due - e fattosi
alquanto più a quelle vicino gridò: - Ho ho - ,
per lo qual grido le gru, mandato l'altro piè
giù, tutte dopo alquanti passi cominciarono a
fuggire, laonde Currado rivolto a Chichibìo
disse: - Che ti par, ghiottone? Parti che elle
n'abbian due? Chichibìo quasi sbigottito, non sappiendo
egli stesso donde si venisse, rispose: - Messer
sì, ma voi non gridaste - ho ho - a quella di
iersera; ché se così gridato aveste, ella
avrebbe così l'altra coscia e l'altro piè fuor
mandata, come hanno fatto queste.
A Currado piacque tanto questa risposta,
che tutta la sua ira si convertì in festa e riso,
e disse: - Chichibìo, tu hai ragione, ben lo
doveva fare.
Così adunque con la sua pronta e
sollazzevol risposta Chichibìo cessò la mala
ventura e paceficossi col suo signore.
vedere prima che agli altri ben dodici gru che
stavano ferme su una zampa, come sono solite
fare quando dormono. Per ciò egli, le mostrò
prontamente a Corrado e disse:
_________________________________________
_________________________________________
_________________________________________
_________________________________________
_________________________________________
[ricostruisci l’ordine sintattico della frase
sottolineata e riscrivila in italiano corrente]
Corrado, dopo averle viste,rispose:ora ti mostrerò
che quelle
ne hanno due [di zampe] , e
avvicinatosi un po’ di più alle gru, gridò: Ho ho! Le
gru [spaventate] da quel grido, tirata giù l’altra
zampa, si alzarono in volo, per cui Corrado, disse
a Chichibìo: - Ti sembra, golosone, che esse ne
hanno due?
Chichibìo quasi sbigottito, non sapendo nemmeno
lui da dove [gli] venisse la sua risposta, affermò:
messere, se aveste gridato - ho ho - alla gru di
ieri sera, essa avrebbe titato fuori l’altra coscia e
l’altra zampa come hanno fatto queste.
Questa risposta ingegnosa piacque tanto a
Corrado, che mutò la sua ira in riso e disse: - Hai
ragione, lo dovevo fare.
Così dunque Chichibìo con la sua pronta e
divertente risposta pose fine alla sua disavventura
e si riconciliò con il proprio padrone.
LABORATORIO DEL TESTO
Proposte di lavoro sulla comprensione e/o analisi testuale e
tematica
1. Dividi la novella in sequenze e distingui quelle dinamiche da quelle statiche: quali prevalgono?
2. Individua nel testo i seguenti elementi e sintetizzali
la situazione iniziale
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l’esordio
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le peripezie
________________________________________________________________________________
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202
la spannung
________________________________________________________________________________
lo scioglimento
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3. Quali sono gli appellativi con cui viene indicato Chichibìo e che tipo di personaggio si intende
delineare sotto il profilo psicologico?
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4. Sottolinea nel testo i luoghi in cui si svolge la vicenda e indica le azioni dei personaggi in
relazione al luogo.
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5.
a. Soffermati sulla descrizione di Corrado Gianfigliazzi e compila la seguente tabella.
ASPETTI FISICI
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ASPETTI CARATTERIALI
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a. Soffermati sulla descrizione di Chichibìo e compila la seguente tabella.
ASPETTI FISICI
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ASPETTI CARATTERIALI
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203
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6. Nella novella fabula e intreccio coincidono? Motiva la risposta.
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7. Sottolinea nel testo il “motto arguto” di Chichibìo e spiegalo, mettendone in evidenza il
significato umoristico.
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8. Come giudichi l’atteggiamento di Currado scaturito dalla risposta del servo? Quale dote del suo
carattere mette in luce? Che cosa apprezza in Chichibìo?
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Proposte di riscrittura e rielaborazione
1. Riassumi la novella in circa 80 parole.
2. Sintetizza brevemente gli episodi di maggiore comicità desunti dal testo.
3. Riscrivi la novella, sintetizzandone i contenuti, ridefinendo la figura di Chichibìo: anziché un
personaggio intelligente e astuto, dovrà essere un servo goffo e sprovveduto.
4. Riscrivi il finale della novella, proponendo una soluzione negativa per il protagonista che non
riuscirà a districarsi dal pasticcio che ha creato.
Proposte di produzione testuale
1.Descrivi una situazione imbarazzante in cui ti sei trovato ,*in cui l’uso intelligente della parola ti
ha liberato da uno stato di disagio.
2. Confronta questa novella con l’altra di Boccaccio che hai già studiato nel percorso tematico
“Ritratti di donne”, evidenziandone le analogie e le differenze.
3. Qual è il tuo concetto di “ironia”? Scrivi un passo di circa 80 (troppe!)righe in cui rispondi alla
domanda, facendo un paio di esempi tratti dalla tua esperienza personale.
204
Luigi Pirandello
A TU PER TU CON L’AUTORE
Luigi Pirandello nasce ad Agrigento nel 1867 da una famiglia benestante. Compie gli studi
universitari a Roma e poi a Boon in Germania, dove si laurea in Filologia Romanza. Tornato in
Italia, insegna letteratura italiana all’Istituto Superiore di Magistero a Roma. Si sposa con Maria
Antonietta Portulano da cui ha tre figli. La sua esistenza è a lungo tormentata dalla difficile e
dolorosa malattia mentale della moglie, che lo indurrà, impossibilitato a prestarle cure e assistenza
adeguate, a rinchiuderla in una clinica psichiatrica.
Inizialmente si impegna nella composizione di novelle, saggi e romanzi, successivamente nella
produzione di opere teatrali che gli conferiranno fama internazionale.
Novelle per un anno (1922) è il titolo della sua imponente raccolta di circa duecento novelle,
disposte senza una precisa classificazione tematica e cronologica. I temi, i personaggi delle
numerose novelle offriranno poi all’autore ispirazione e spunti per approfondire ed enfatizzare in
un genere diverso, quale il teatro, aspetti e situazioni di una realtà incerta e contraddittoria.
Nel 1934 ottiene il premio Nobel per la letteratura. Muore a Roma nel 1936 e stabilisce nel suo
testamento che, dopo la cremazione del suo corpo, le ceneri siano disperse nella sua amata terra
di Agrigento.
SALA DI LETTURA
La giara238
Piena anche per gli olivi quell'annata. Piante massaje, cariche l'anno avanti, avevano raffermato
tutte,239 a dispetto della nebbia che le aveva oppresse sul fiorire.
Lo Zirafa, che ne aveva un bel giro nel suo podere delle Quote a Primosole, prevedendo che le
cinque giare vecchie di coccio smaltato che aveva in cantina non sarebbero bastate a contener
tutto l'olio della nuova raccolta, ne aveva ordinata a tempo una sesta più capace240 a Santo
238
Si fa riferimento all’edizione L. PIRANDELLO, Novelle per un anno, a cura di M. Costanzo, vol. II, tomi I-II, A.
Mondadori S.p.A., Milano 1985.
239
Piante massaie, cariche l’anno avanti, avevano raffermato tutte: piante innestate, che già avevano prodotto in
abbondanza l’anno precedente, avevano fruttificato tutte di nuovo.
240
Più capace: più grande, capace di contenere più olio.
205
Stefano di Camastra, dove si fabbricavano: alta a petto d'uomo, bella panciuta e maestosa, che
fosse delle altre cinque la badessa.241 […]
Quella bella giara nuova, pagata quattr'onze242 ballanti e sonanti, in attesa del posto da trovarle in
cantina, fu allogata243 provvisoriamente nel palmento.244 Una giara così non s'era mai veduta.
Allogata in quell'antro intanfato di mosto245 e di quell'odore acre e crudo che cova nei luoghi
senz'aria e senza luce, faceva pena.246
Da due giorni era cominciata l'abbacchiatura247 delle olive, e Don Lollò era su tutte le furie perché,
tra gli abbacchiatori e i mulattieri venuti con le mule cariche di concime da depositare a mucchi su
la costa per la favata248 della nuova stagione, non sapeva più come spartirsi, a chi badar prima. E
bestemmiava come un turco e minacciava di fulminare questi e quelli, se un'oliva, che fosse
un'oliva, gli fosse mancata, quasi le avesse prima contate tutte a una a una sugli alberi; o se non
fosse ogni mucchio di concime della stessa misura degli altri. Col cappellaccio bianco, in maniche
di camicia, spettorato,249 affocato250 in volto e tutto sgocciolante di sudore, correva di qua e di là,
girando gli occhi lupigni251 e stropicciandosi con rabbia le guance rase, su cui la barba prepotente
rispuntava quasi sotto la raschiatura del rasojo.
Ora, alla fine della terza giornata, tre dei contadini che avevano abbacchiato, entrando nel
palmento per deporvi le scale e le canne, restarono alla vista della bella giara nuova, spaccata in
due, come se qualcuno, con un taglio netto, prendendo tutta l'ampiezza della pancia, ne avesse
staccato tutto il lembo davanti.
- Guardate! guardate!
- Chi sarà stato? […]
- Don Lollò! Ah, Don Lollòoo! […]
Quando venne su e vide lo scempio, parve volesse impazzire. Si scagliò prima contro quei tre; ne
afferrò uno per la gola e lo impiccò al muro gridando:
- Sangue della Madonna, me la pagherete!
Afferrato a sua volta dagli altri due, stravolti nelle facce terrigne252 e bestiali, rivolse contro se
stesso la rabbia furibonda, sbatacchiò a terra il cappellaccio, si percosse le guance, pestando i
piedi e sbraitando a modo di quelli che piangono un parente morto:
- La giara nuova! Quattr'onze di giara! Non incignata253 ancora!
Voleva sapere chi gliel'avesse rotta! Possibile che si fosse rotta da sé? Qualcuno per forza doveva
averla rotta, per infamità o per invidia! Ma quando? Ma come? Non gli si vedeva segno di violenza!
Che fosse arrivata rotta dalla fabbrica? Ma che! Sonava come una campana!
Appena i contadini videro che la prima furia gli era caduta,254 cominciarono ad esortarlo a calmarsi.
La giara si poteva sanare.255 Non era poi rotta malamente. Un pezzo solo. Un bravo conciabrocche
l'avrebbe rimessa su, nuova. C'era giusto Zi' Dima Licasi, che aveva scoperto un mastice
miracoloso, di cui serbava gelosamente il segreto: un mastice, che neanche il martello ci poteva,
quando aveva fatto presa. Ecco, se don Lollò voleva, domani, alla punta dell'alba,256 Zi' Dima Licasi
sarebbe venuto lì e, in quattro e quattr'otto, la giara, meglio di prima.
241
Badessa: superiora in un monastero. Qui vuole significare la grande dimensione della giara.
Onze: monete
243
Allogata: collocata.
244
Palmento: vasca per la pigiatura del mosto.
245
Intanfato di mosto: che emanava un tanfo di mosto.
246
Faceva pena: personificazione della giara; figura retorica che attribuisce caratteri umani a un oggetto.
247
Abbacchiatura: bacchiatura, raccolta.
248
Favata: produzione delle fave.
249
Spettorato: con la camicia aperta sul petto.
250
Affocato: rosso acceso come il fuoco.
251
Occhi lupigni:occhi avidi, propri di un lupo.
252
Terrigne: scure come la terra.
253
Incignata: (regionalismo) non ancora usata.
254
La prima furia gli era caduta: la prima rabbia gli era svanita.
255
Sanare: aggiustare.
256
Alla punta dell’alba: (espressione del parlato) alle prime luci del mattino.
242
206
Don Lollò diceva di no, a quelle esortazioni: ch'era tutto inutile; che non c'era più rimedio; ma alla
fine si lasciò persuadere, e il giorno appresso, all'alba, puntuale, si presentò a Primosole Zi' Dima
Licasi con la cesta degli attrezzi dietro le spalle.
Era un vecchio sbilenco, dalle giunture storpie e nodose, come un ceppo antico di olivo saraceno.
Per cavargli una parola di bocca ci voleva l'uncino. Mutria257 o tristezza radicate in quel suo corpo
deforme; o anche sconfidenza258 che nessuno potesse capire e apprezzare giustamente il suo
merito d'inventore non ancora patentato.259
Voleva che parlassero i fatti, Zi' Dima Licasi. Doveva poi guardarsi davanti e dietro, perché non gli
rubassero il segreto.
- Fatemi vedere codesto mastice - gli disse per prima cosa Don Lollò, dopo averlo squadrato a
lungo con diffidenza.
Zi' Dima negò col capo, pieno di dignità.
- All'opera si vede.
- Ma verrà bene? […]
- Col mastice solo però - mise per patto lo Zirafa - non mi fido. Ci voglio anche i punti.
- Me ne vado - rispose senz'altro Zi' Dima, rizzandosi e rimettendosi la cesta dietro le spalle.
Don Lollò lo acchiappò per un braccio.
- Dove? Messere e porco, così trattate? Ma guarda un po' che arie da Carlomagno!260 Scannato
miserabile e pezzo d'asino, ci devo metter olio, io, là dentro, e l'olio trasuda! Un miglio di
spaccatura, col mastice solo? Ci voglio i punti. Mastice e punti. Comando io.
Zi' Dima chiuse gli occhi, strinse le labbra e scosse il capo. Tutti così! Gli era negato il piacere di
fare un lavoro pulito, filato coscienziosamente a regola d'arte, e di dare una prova della virtù del
suo mastice.
- Se la giara - disse - non suona di nuovo come una campana…
-Non sento niente, - lo interruppe Don Lollò. - I punti! Pago mastice e punti. Quanto vi debbo
dare?
- Se col mastice solo...
- Càzzica261 che testa! - esclamò lo Zirafa. - Come parlo? V'ho detto che ci voglio i punti.
C'intenderemo a lavoro finito: non ho tempo da perdere con voi.
E se ne andò a badare ai suoi uomini.
Zi' Dima si mise all'opera gonfio d'ira e di dispetto. E l'ira e il dispetto gli crebbero ad ogni foro che
praticava col trapano nella giara e nel lembo spaccato per farvi passare il fil di ferro della cucitura.
Accompagnava il frullo della saettella262 con grugniti a mano a mano più frequenti e più forti; e il
viso gli diventava più verde dalla bile e gli occhi più aguzzi e accesi di stizza. Finita quella prima
operazione, scagliò con rabbia il trapano nella cesta; applicò il lembo staccato alla giara per
provare se i fori erano a egual distanza e in corrispondenza tra loro, poi con le tenaglie fece del fil
di ferro tanti pezzetti quanti erano i punti che doveva dare, e chiamò per ajuto uno dei contadini
che abbacchiavano.
- Coraggio, Zi' Dima! - gli disse quello, vedendogli la faccia alterata.
Zi' Dima alzò la mano a un gesto rabbioso. Aprì la scatola di latta che conteneva il mastice, e lo
levò al cielo, scotendolo, come per offrirlo a Dio, visto che gli uomini non volevano riconoscerne le
virtù: poi col dito cominciò a spalmarlo tutt'in giro al lembo staccato e lungo la spaccatura; prese le
tenaglie e i pezzetti di fil di ferro preparati avanti, e si cacciò dentro la pancia aperta della giara,
ordinando al contadino di applicare il lembo alla giara, così come aveva fatto lui poc'anzi. […]
Ma quanto larga di pancia, tanto quella giara era stretta di collo. Zi' Dima, nella rabbia, non ci
aveva fatto caso. Ora, prova e riprova, non trovava più il modo di uscirne. E il contadino invece di
dargli ajuto, eccolo là, si torceva dalle risa. Imprigionato, imprigionato lì, nella giara da lui stesso
257
Mutria: atteggiamento del viso imbronciato.
Sconfidenza: arcaismo, mancanza di confidenza, fiducia.
259
Patentato: riconosciuto per le sue qualità.
260
Arie da Carlo Magno: modo ironico per dire da re, da gran signore.
261
Càzzica: (interiezione dialettale) caspita.
262
Saettella: piccolo trapano.
258
207
sanata e che ora - non c'era via di mezzo - per farlo uscire, doveva essere rotta daccapo e per
sempre.
Alle risa, alle grida, sopravvenne Don Lollò. Zi' Dima, dento la giara, era come un gatto inferocito.
Fatemi uscire! - urlava -. Corpo di Dio, voglio uscire! Subito! Datemi ajuto!
Don Lollò rimase dapprima come stordito. Non sapeva crederci. […]
- Caso nuovo, caro mio, che deve risolvere l'avvocato! Io non mi fido. La mula! La mula! Vado e
torno, abbiate pazienza! Nell'interesse vostro... Intanto, piano! calma! Io mi guardo i miei.263 E
prima di tutto, per salvare il mio diritto, faccio il mio dovere. Ecco: vi pago il lavoro, vi pago la
giornata. Cinque lire. Vi bastano?
- Non voglio nulla! - gridò Zi' Dima. - Voglio uscire. […]
Per fortuna, non gli toccò di fare anticamera264 nello studio dell'avvocato; ma gli toccò d'attendere
un bel po', prima che questo finisse di ridere, quando gli ebbe esposto il caso. Delle risa si stizzì.
- Che c'è da ridere, scusi? A vossignoria non brucia! La giara è mia!
Ma quello seguitava a ridere e voleva che gli rinarrasse il caso com'era stato, per farci su altre
risate. "Dentro, eh? S'era cucito dentro? E lui, don Lollò che pretendeva? Te... tene... tenerlo là
dentro... ah ah ah... ohi ohi ohi... tenerlo là dentro per non perderci la giara?"
- Ce la devo perdere? - domandò lo Zirafa con le pugna serrate. - Il danno e lo scorno?
- Ma sapete come si chiama questo? - gli disse infine l'avvocato. - Si chiama sequestro di persona!
- Sequestro? E chi l'ha sequestrato? - esclamò lo Zirafa. - Si è sequestrato lui da sé! Che colpa ne
ho io?
L'avvocato allora gli spiegò che erano due casi. Da un canto, lui, Don Lollò, doveva subito liberare
il prigioniero per non rispondere di sequestro di persona; dall'altro il conciabrocche doveva
rispondere del danno che veniva a cagionare con la sua imperizia o con la sua storditaggine.
- Ah! - rifiatò lo Zirafa. Pagandomi la giara!
- Piano! - osservò l'avvocato. - Non come se fosse nuova, badiamo!
- E perché?
- Ma perché era rotta, oh bella!
- Rotta? Nossignore. Ora è sana. Meglio che sana, lo dice lui stesso! E se ora torno a romperla,
non potrò più farla risanare. Giara perduta, signor avvocato!
L'avvocato gli assicurò che se ne sarebbe tenuto conto, facendogliela pagare per quanto valeva
nello stato in cui era adesso.
- Anzi - gli consigliò - fatela stimare avanti265 da lui stesso.
- Bacio le mani266 - disse Don Lollò, andando via di corsa.
Di ritorno, verso sera, trovò tutti i contadini in festa attorno alla giara abitata. Partecipava alla
festa anche il cane di guardia, saltando e abbajando. Zi' Dima s'era calmato, non solo, ma aveva
preso gusto anche lui alla sua bizzarra avventura e ne rideva con la gajezza mala dei tristi.267 […]
- Ah, sì - disse. - Tu vuoi domiciliare nella mia giara? Testimonii tutti qua! Non vuole uscirne lui,
per non pagarla; io sono pronto a romperla! Intanto, poiché vuole stare lì, domani io lo cito per
alloggio abusivo e perché mi impedisce l'uso della giara.
Zi' Dima cacciò prima fuori un'altra boccata di fumo, poi rispose placido:
- Nossignore. Non voglio impedirle niente, io. Sto forse qua per piacere? Mi faccia uscire, e me ne
vado volentieri. Pagare... neanche per ischerzo, vossignoria!
Don Lollò, in un impeto di rabbia, alzò un piede per avventare un calcio alla giara; ma si trattenne;
la abbrancò invece con ambo le mani e la scrollò tutta, fremendo.
- Vede che mastice? - gli disse Zi' Dima.
- Pezzo da galera! - ruggì allora lo Zirafa. - Chi l'ha fatto il male, io o tu? E devo pagarlo io? Muori
di fame là dentro! Vediamo chi la vince!
263
Io mi guardo i miei: io curo i miei interessi (sottinteso).
Fare anticamera: attendere il proprio turno.
265
Avanti: prima.
266
Bacio le mani: formula di saluto ossequioso.
267
Gajezza mala dei tristi: gioia malinconica degli afflitti.
264
208
E se ne andò, non pensando alle cinque lire che gli aveva buttate la mattina dentro la giara. Con
esse, per cominciare, Zi' Dima pensò di far festa quella sera coi contadini che, avendo fatto tardi
per quello strano accidente, rimanevano a passare la notte in campagna, all'aperto, su l'aja. Uno
andò a far le spese in una taverna lì presso. A farlo apposta, c'era una luna che pareva fosse
raggiornato.268
A una cert'ora don Lollò, andato a dormire, fu svegliato da un baccano d'inferno. S'affacciò a un
balcone della cascina, e vide su l'aja, sotto la luna, tanti diavoli; i contadini ubriachi che, presisi per
mano, ballavano attorno alla giara. Zi' Dima, là dentro, cantava a squarciagola.
Questa volta non poté più reggere, Don Lollò: si precipitò come un toro infuriato e, prima che
quelli avessero tempo di pararlo, con uno spintone mandò a rotolare la giara giù per la costa.
Rotolando, accompagnata dalle risa degli ubriachi, la giara andò a spaccarsi contro un olivo.
E la vinse Zi' Dima.
LABORATORIO DEL TESTO
Proposte di lavoro sulla comprensione e/o analisi testuale e
tematica
1. Dividi il testo in sequenze e assegna ad ognuna un titolo. Sono presenti prevalentemente
sequenze di tipo:
descrittivo
dialogico
narrativo
2. Il narratore della novella è
interno
esterno
Motiva la tua risposta
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________________________________________________________________________________
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3. Ritieni che il narratore esprima dei giudizi personali all’interno della novella?
sì
no
4. Che tipo di punto di vista (o focalizzazione) assume il narratore nella vicenda?
interna
esterna
zero
Motiva la tua risposta
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________________________________________________________________________________
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268
Raggiornato: tornato già il giorno.
209
5. Soffermiamoci sulla descrizione di Don Lollò: il personaggio viene presentato
direttamente
indirettamente
Da cosa lo capisci?
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________________________________________________________________________________
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6. Sempre in merito a Don Lollò, completa la tabella con i dati richiesti.
ASPETTI FISICI
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ASPETTI CARATTERIALI
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7. Don Lollò è preso da una violenta crisi di ira: perché è così arrabbiato per la rottura della giara?
Cosa conta più di tutto per lui?
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8. La rottura della giara è per don Lollò un fatto drammatico. Che cosa secondo te rende invece
comico agli occhi del lettore l’episodio dell’ira di don Lollò?
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9. “Voleva sapere chi gliela avesse rotta! Possibile che si fosse rotta da sé? ecc. Individua questo
passo e indica se si tratta di
discorso diretto
discorso diretto libero
discorso indiretto
Spiega il motivo della tua scelta
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10. Accompagnava il frullo della saettella con grugniti: in questa descrizione del comportamento di
Zi’ Dima c’è una similitudine implicita: individua qual è e spiega perché produce un effetto comico
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210
11. Che cos’è una dima in campo artigianale? Aiutati col vocabolario; poi prova a dare una
spiegazione del soprannome dato al personaggio Zi’ Dima.
12. L’avvocato si prende gioco dei poveri ignoranti che lo consultano per una banalità. L’ironia che
Pirandello usa in questo racconto si traduce nel contrasto tra la banalità della situazione e i gravi
reati che vengono configurati: elencali e prova poi a spiegare perché tutto questo è “paradossale”
e quindi suscita il sorriso. Il vocabolario ancora una volta ti aiuterà e comprendere il significato
della parola “paradosso”.
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13. Cosa significa l’espressione giara abitata nella parte finale e perché fa sorridere?
14. I cani alla fine offrono un’ulteriore immagine comica: spiega qual è e perché è tale.
15. Perché la rottura della giara costituisce un finale comico? Spiegalo con parole tue.
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16. Deduci dal testo gli aspetti del carattere di Zi’ Dima. Sottolineali e poi elabora una breve
descrizione caratteriale del personaggio.
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17. Individua e riporta le similitudini presenti nel testo e chiariscine il significato.
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Proposte di riscrittura e rielaborazione
1. Appena i contadini videro che la prima furia gli era caduta ecc. Individua il capoverso citato e
riscrivilo in forma di discorso diretto.
2. Fai una sintesi della novella in non più di 20 righe.
3. Riprendi la tua sintesi e riscrivila cambiando il tono della narrazione: da comico trasformalo in
drammatico.
4. Riscrivi il finale trovando una soluzione che, a differenza dell’originale, dia ragione a Don Lollò.
211
5. Riscrivi la vicenda dal momento della consultazione dell’avvocato, che farà finire i protagonisti
davanti a un tribunale, dove la faccenda troverà soluzione con l’intervento del giudice.
Proposte di produzione testuale
1. Descrivi una persona che conosci e che, per alcuni aspetti del carattere, potresti paragonare a
Don Lollò.
2. Ricorda una vicenda paradossale che è accaduta a te o a qualche tuo amico o familiare e prova
a stendere una storia comica con questa tecnica.
3. La comicità pirandelliana ci invita a riflettere sull’eccessivo attaccamento ai beni materiali e agli
interessi personali, che talora ci rende gretti e persino ridicoli. Elabora uno scritto che riporti tue
esperienze e riflessioni a tale proposito.
Achille Campanile
A TU PER TU CON L’AUTORE
Achille Campanile nasce a Roma nel 1899. Aiutato dal padre, giornalista, sceneggiatore e amico
di importanti scrittori del tempo, intraprende la carriera giornalistica scrivendo e collaborando su
autorevoli giornali italiani quali la Stampa, il Resto del Carlino e la Gazzetta del Popolo.
Giovanissimo scrive la prima raccolta di Tragedie in due battute,poi racconti, romanzi, testi teatrali
e sceneggiature cinematografiche.
Maestro dell’umorismo italiano della prima metà del Novecento, la sua lunga attività di scrittore
incontra il favore e il successo del pubblico, ma anche duri attacchi dalla critica ufficiale, che
considerava i suoi libri e i suoi lavori teatrali “letteratura minore”. Osservatore attento e
anticonformista della realtà che lo circonda, dall’analisi di situazioni apparentemente insignificanti
e ordinarie raggiunge nei suoi testi risultati paradossali e divertenti.
Centocinquanta la gallina canta, Visita di condoglianze, Ma che cos’è questo amore, Agosto, moglie
mia non ti conosco, Manuale di conversazione (1973), da cui è tratto il racconto (L’uomo dalla
faccia di ladro) e Gli asparagi e l’immortalità dell’anima (1974) sono alcune tra le sue opere più
famose.
Muore nel 1977 a Lariano (RM).
212
SALA DI LETTURA
L’uomo dalla faccia di ladro269
Il dialogo si svolge all’interno di una bettola affollata.
«Sono un ladro, sì». disse il vecchietto amaramente, «ma ho rubato una sola volta nella mia vita. E
fu il più bizzarro furto che sia mai stato commesso: si trattava d’un portafogli pieno di danaro…»
«Non mi pare una cosa molto strana» osservai. «Lasciatemi dire: e quando lo ebbi in tasca, quel
danaro non accrebbe d’un centesimo la somma che avevo prima di compiere il furto. Quanto al
derubato, egli non perse nulla del proprio danaro.» […]
Senza aspettare che lo interrogassi, mi fissò a un tratto. «Voglio raccontarvi questa storia» disse.
«Ascoltatemi, signore, ma alla condizione di non disprezzarmi poi, come fanno tutti gli altri.» […]
«Non avevo mai rubato prima di quel giorno», disse, «e non ho più rubato dopo». […]
«Avevo preso posto in uno scompartimento di terza classe dove non c’era che un altro viaggiatore;
una specie di straccione che dormiva con una mano sugli occhi e che non parve nemmeno
accorgersi della mia presenza. Ma, appena il treno si fu mosso, costui aperse gli occhi e mi guardò.
Allora, sotto la luce rossastra della lampada a petrolio, apparvero i lineamenti volgari d’una faccia
equivoca, losca e pallidissima, che una squallida barba di sei o sette giorni rendeva ancora più
sinistra e su cui si leggevano a chiare lettere la fame e la sfacciataggine. Osservandolo con
maggior attenzione, m’accorsi che una lunga cicatrice gli deturpava la guancia sinistra e dopo
qualche minuto, alla vacillante luce della lampada che faceva danzare esageratamente le ombre,
dovetti constatare con terrore che la faccia del mio compagno di viaggio, che prima m’era parsa
solo poco rassicurante, fosse addirittura spaventosa. Avrei voluto cambiare scompartimento ma,
non essendo il treno intercomunicante, fino alla prossima stazione era inutile pensarci. Il che
significava che avrei dovuto passare tre ore col sinistro individuo; tempo sufficiente per consumare
il più efferato dei delitti, su una linea dove un grido sarebbe stato lanciato al deserto e dove era un
giuoco da ragazzi far scomparire un cadavere, gettandolo nel burrone. […]
A un tratto lo sconosciuto s’alzò fissandomi. Balzai in piedi con un grido per attaccarmi al
campanello d’allarme, ma l’altro mi fermò guardandomi con occhi supplichevoli e, accortosi che
avevo paura, mi rassicurò: ”Signore”, mi disse, “voi credete che io sia un ladro. Tranquillizzatevi.
Tutti lo credono, vedendomi ma io non sono un ladro”. “Vi pare?”, esclamai, lieto di questa leale
dichiarazione che mi toglieva da un incubo, “io non credo affatto che siate un ladro”. Così dicendo
gli feci posto accanto a me. “Io non sono un ladro” ripeté il brutto ceffo. E aggiunse: “Purtroppo”.
Rimasi di stucco. Ma il brutto ceffo proseguì:”Avrei dovuto essere un ladro e avrei voluto esserlo.
Perché negare? La mia natura, la mia educazione, l’ambiente nel quale sono nato e vissuto,
cospiravano a fare di me quello ch’era la mia vocazione e addirittura la mia passione: un ladro. Ma,
purtroppo, una cosa m’ha impedito e m’impedisce di rubare”. “Forse”, domandai, “non sapete
rubare?” “Non so fare altro” disse l’enigmatico personaggio; “non è che non so. Non posso
rubare”. “Spiegatevi”, feci “che cos’è che ve lo impedisce?” […]
Mi guardò fisso negli occhi e aggiunse, con voce strozzata: “ Io, signore, ho la faccia di ladro”.
“Rimasi come fulminato. Non gli si poteva dare torto ma avevo anche paura a dargli ragione.
“Come si può rubare, con una faccia simile?”, proseguì dopo un attimo il brutto ceffo, con la voce
divenuta stridula e beffarda. “Se circolo tra la folla, tutti al mio passaggio portano istintivamente la
mano al portafogli e alla catena dell’orologio». […]
Il vecchietto […] riprese il racconto.
«Ora», disse, «debbo farvi una penosa confessione: mentre il brutto ceffo parlava, un’idea
diabolica s’era fatta strada nel mio cervello: se derubassi quest’uomo dalla faccia di ladro? questo
ladro che non può rubare? Era una cosa crudele ma tentatrice. Basta, agilità ed astuzia non mi
269
Si fa riferimento all’edizione A.Campanile, Manuale di conversazione, Rizzoli, Milano 2007
213
fanno difetto. Dopo qualche minuto, il rigonfio portafogli del brutto ceffo era passato nella mia
tasca destra. E, il treno essendosi fermato, non dovetti nemmeno darmi la pena di cambiare
scompartimento, perché il sinistro figuro s’alzò. “Io sono arrivato, signore”, disse, “addio”.
Scese.[…] Appena il treno si fu rimesso in moto, volli esaminare il bottino. Tirai fuori il portafogli
rubato e, colpo di scena!, m’ accorsi che era il mio». «Il vostro?» domandai sorpreso per l’inattesa
conclusione. «Il mio. Mentre raccontava la sua disgrazia, mentre mi dava a intendere di non poter
rubare perché aveva la faccia di ladro, quel mascalzone m’aveva borseggiato.» […]
«Fortuna che io, senza saperlo», concluse, «avevo immediatamente recuperato la refurtiva,
credendo di derubare costui. E questa, signore, è la storia di quando rubai il mio portafogli. Come
vedete, non dicevo una bugia».
Appena il vecchietto ebbe finito il suo strano racconto, pagai, mi alzai e, salutandolo, uscii in fretta
dalla bettola, ormai quasi deserta. C’era la ragione di questa fretta: mentre costui raccontava la
storia del suo furto, io, lavorando con mani lievi, ero riuscito ad alleggerirlo del suo portafogli ed
ero impaziente di vedere quanto conteneva. Tanto più che non correvo il rischio, come era capitato
a lui, di rubare il mio portafogli per il fatto, doloroso ma molto semplice, che non possedevo un
portafogli. Appena ebbi svoltato l’angolo della strada, fermatomi sotto un lampione, mi frugai nella
tasca destra, dove avevo fatto scomparire la refurtiva. Ma la tasca era vuota, e vuote erano anche
le altre tasche. Ahimè, signori, il portafogli non c’era più, il bottino aveva preso il volo. Insomma,
non tardai a rendermi conto di quel che era avvenuto. Mentre mi faceva il suo racconto, il diabolico
vecchietto, credendo di derubarmi, aveva per la seconda volta in vita sua, rubato il suo portafogli.
Per la seconda volta, che sappia io. Ché chi sa quante altre volte s’era derubato.
LABORATORIO DEL TESTO
Proposte di lavoro sulla comprensione e/o analisi testuale e
tematica
1. Il testo evidenzia un racconto nel racconto: quanti sono i narratori e qual è la loro posizione?
interna
esterna
Motiva la tua risposta
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2. A chi racconta la storia il vecchietto? E a quale condizione?
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3. Qual è il punto di vista con cui viene effettuata la descrizione del ladro e a chi appartiene?
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4. Descrivi in sintesi il ladro con quattro aggettivi che ti sembra possano caratterizzarlo al meglio
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5. Descrivi l’ambiente in cui si svolge l’incontro tra il vecchietto e il ladro.
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6. Sottolinea e riporta nelle righe sottostanti gli elementi che condizionano il comportamento
spaventato del vecchietto.
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7. Il vecchietto, il brutto ceffo e il narratore sono accomunati da uno stesso modo di comportarsi,
tuttavia ognuno si ritiene più scaltro dell’altro. Alla fine chi ha la meglio?
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Proposte di riscrittura e rielaborazione
1. Riscrivi il racconto sotto forma di favola.
2. Riscrivi il racconto eliminando tutti i discorsi diretti, mantenendo la prima persona, ed
effettuandone una sintesi di circa 40 righe.
3. Riscrivi i primi tre capoversi in terza persona.
4. Trascrivi i punti in cui si coglie l’ironia dell’autore.
Proposte di produzione testuale
1. Se fossi costretto a viaggiare in treno con un individuo simile all’uomo dalla faccia di ladro, come
ti comporteresti? Scrivi un testo di 50 righe.
2. Immagina di dover scrivere un articolo di cronaca su questa storia. Dai un titolo appropriato e
componi il pezzo con gli elementi fondamentali della vicenda.
3. Hai mai espresso un giudizio su una persona o una situazione senza conoscerla direttamente,
basandoti solo sulle apparenze o su quello che ti è stato riferito? Racconta il fatto.
215
LA BOTTEGA DELL’ARTE
Pino Procopio ,Il Medico, serigrafia 270polimaterica271 a colore, 2006
Pino Procopio , originario calabrese, nasce nel 1954. Artista poliedrico si dedica sia alla pittura
che alla scultura. Nelle sue opere rappresenta con sguardo divertito e provocatorio scene di vita
quotidiana. I suoi personaggi , caratterizzati da dimensioni corporee enormi, riempiono le tele in
modo grottesco, colorato e spiritoso. Appartiene al filone dell’arte contemporanea; tantissime
Gallerie italiane e internazionali hanno ospitato i suoi quadri e le sue serigrafie.
1. Descrivi le due figure in primo piano.
2. La testa del medico è rappresentata in proporzione maggiore rispetto alle gambe. Cosa vuole
evidenziare l’artista?
3. Cosa ti comunicano gli occhi della donna vestita di rosso?
4. Perchè le dimensioni della donna vestita in azzurro sono più piccole rispetto agli altri due
personaggi?
5. Il grottesco è uno strumento interpretativo della realtà, che viene con esso caricaturizzata:
aiutandoti con il vocabolario, spiega cosa significano le parole grottesco, caricatura e ironia,
provando ad evidenziarne gli elementi comuni con riferimento al quadro.
6. Secondo te, quale effetto vuole ottenere l’Autore? Far ridere della fisicità delle persone o
piuttosto invitare a guardare il mondo con occhio disincantato e ironico rispetto a comportamenti e
situazioni? Motiva la tua risposta con riferimenti all’opera.
270
Serigrafia: sistema di stampa in cui si fa passare l’inchiostro attraverso un tessuto di seta e che permette di stampare
su materiali diversi dalla carta.
271
Polimaterica: opera pittorica o scultorea eseguita con l’impiego di materiali fra loro diversi, quali colori a olio,
impasti di polvere e sabbia, legno, carta, stoffa, vetro, ecc…
216
SALA D’ASCOLTO
Simone Cristicchi, cantautore pop romano, estimatore della canzone d’autore italiana , vince nel
2007 il 57° Festival della canzone italiana di Sanremo con “Ti regalerò una rosa”, che evoca la sua
esperienza di volontario nel centro di igiene mentale di Roma. Il suo testo “Meno male “ proposto
al Festival di Sanremo del 2010 ha suscitato il risentimento di Carla Bruni, moglie del Presidente
francese Sarkozy, per la sottile ironia nei suoi confronti e in quelli del marito.
Meno male
La gente non ha voglia di pensare cose - cose negative
la gente vuol godersi in pace le vacanze estive
ci siamo rotti il pacco di sentire che tutto va male
della valanga di brutte notizie al telegiornale
C’è - L’Italia paese di Santi
pochi idraulici e troppe badanti
C’è l’Italia paese della Liberté
Egalité e del Gioca Giuè!
C’è - l’Italia s’è desta ma
dipende dai punti di vista
C’è la crisi mondiale che avanza
e i terremotati ancora in vacanza
Meno male che c’è Carla Bruni
Siamo fatti così - Sarkonò Sarkosì
Che bella Carla Bruni
se si parla di te il problema non c’è
io rido… io rido…
ambarabàciccicoccò soldi e coca sul comò
C’è l’Italia dei video ricatti
c’è la nonna coi seni rifatti
e vissero tutti felici e contenti
ma disinformati sui fatti
Osama è ancora latitante
l’ho visto ieri al ristorante!
Lo so che voi non mi credete
se sbaglio mi corigerete
Meno male che c’è Carla Bruni
Siamo fatti così - Sarkonò Sarkosì
Che bella Carla Bruni
se si parla di te il problema non c’è
io rido... io rido...
La verità è come il vetro
che è trasparente se non è appannato
per nascondere quello che c’è dietro
basta aprire bocca e dargli fiato!
Carla Bruni... Carla Bruni...
217
Meno male che c’è Carla Bruni
Siamo fatti così - Sarkonò Sarkosì
Che bella Carla Bruni
se si parla di te il problema non c’è
Io me la prendo con qualcuno
tu te la prendi con qualcuno
lui se la prende con qualcuno
E sbatte la testa contro il muro
Io me la prendo con qualcuno
tu te la prendi con qualcuno
lui se la prende con qualcuno
noi ce la prendiamo...
1. Individua e sottolinea le rime e le anafore presenti nel testo (ricorda che l’ anafora
è una figura retorica che consiste nella ripetizione di una o più parole all’inizio di frasi
o versi successivi).
2. Spiega brevemente qual è il tema della canzone.
3. Che cosa vuole dire secondo te l’autore quando afferma: “ C’è l’Italia dei video
ricatti / c’è la nonna coi seni rifatti”
4. Chiarisci la similitudine presente nella terza strofa.
5. Chi è Carla Bruni? Spiega perché il cantautore ,nel ritornello , irride alla sua persona.
6. Illustra quale idea ha Cristicchi dell’Italia. Sei dello stesso parere? Argomenta le tue
riflessioni.
Un tuffo nel Web
Per reperire notizie su “Una vita impossibile”, un film su Luigi Pirandello curato dal critico Enzo
Lauretta, il sito è http://www.gpafilm.com/luigiunavitaimpossibile/il_film.html
http://corsi.garamond.it/utenti/kairos_area_corsi/mannam//podcast/sono_figlio_del_caos.pdf è il
sito per trovare curiosità su Luigi Pirandello.
Per conoscere frasi celebri e pensieri di Achille
http://www.pensieriparole.it/aforismi/.../achille-campanile
Campanile
vai
sul
sito:
Notizie biografiche su Achille Campanile:
http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=1055&biografia=Achille+Campanile
Sito dedicato a Simone Cristicchi contenente biografia, discografia, blog e news:
www.musictory.it/musica/Simone+Cristicchi
218
UN PERCORSO ATTRAVERSO UN TEMA.
LA GUERRA
Il percorso che ti viene proposto affronta, in chiave letteraria, il tema della guerra. Le vicende
umane, in tutti i tempi, purtroppo, sono state caratterizzate dalle guerre. Una volta erano
considerate quasi sacre e nessuno avrebbe mai potuto contestarle; anzi, vi era la necessità di
descriverle per narrare l’eccezionalità dei propri eserciti. Ma nel tempo e con lo sviluppo della
libertà di pensiero degli uomini vi è stata la forza ed il coraggio anche di denunciarne la brutalità.
La scelta dei testi che ti proponiamo cerca di seguire questo itinerario, attraverso un brano
risalente alle guerre del mondo greco contro i Persiani e alcune pagine di due libri riferiti alla prima
ed alla seconda guerra mondiale.
Il primo brano è di Andrea Frediani, storico e scrittore contemporaneo, che rievoca una delle
battaglie più note della storia dell’uomo: La battaglia delle Termopili. Il libro, che oltre al rigore
storico si affida anche alla fantasia evocatrice tipica dello scrittore, narra dell’epico ed impari
scontro tra l’enorme esercito di Serse e le truppe di Leonida, che riuscirono a fermare per qualche
giorno, al passo delle Termopili, la marea di soldati persiani. In questo libro la guerra assume un
valore epico e nobile. I soldati persiani sono orgogliosi di combattere e morire. Gli unici due
superstiti vivono una condizione psicologica drammatica proprio per il fatto che sono sopravvissuti,
al punto che uno di loro addirittura si suicida. Qui la guerra è un valore. E’ l’occasione per
distinguersi e presentarsi alla società come veri uomini. Il brano scelto si caratterizza proprio in
questo senso, descrivendo con quanto orgoglio i soldati spartani avanzano sprezzanti davanti al
nemico. E si descrive come la guerra fosse una tecnica, raffinata e precisa in cui nulla era lasciato
al caso. Persino la musica è funzionale allo scontro, ritmando i passi e l’avanzata della falange.
Il secondo brano è tratto dal libro Un anno sull’Altopiano di Emilio Lussu. Il libro e la
ricostruzione dei fatti non sono opera di fantasia. Lussu partecipa alla guerra in prima persona e la
descrive quasi fosse un inviato di un giornale. Egli è un giovane ufficiale di complemento che, pur
avendo desiderato l’intervento dell’Italia nella prima guerra mondiale, si accorge dell’assurdità della
stessa, soprattutto in rapporto alla mancanza totale di sensibilità e di attenzione nei confronti dei
soldati da parte degli alti ufficiali dell’esercito. Qui non ci sono marce trionfali, né precisione
strategica. La brigata di Lussu si trova in una posizione tale da non sapere dove siano dislocate le
truppe nemiche, né quelle italiane. Regna una certa confusione, espressa in modo evidente con
l’episodio narrato e scelto per questo percorso.
Il terzo brano è di Giulio Bedeschi, che partecipò alla seconda guerra mondiale (prima in Grecia,
poi in Russia) come ufficiale medico, essendo egli un giovane dottore ,ed è tratto dal romanzo
Centomila gavette di ghiaccio. Come in Lussu, vi è una visione degli eventi bellici che sottolineano
la violenza della guerra, ma pongono in risalto il valore dei soldati italiani, che l’affrontano con
coraggio, sebbene piuttosto disillusi. Nella seconda guerra mondiale spesso si è parlato degli
insuccessi delle nostre truppe e del fatto che l’esercito tedesco dovesse intervenire per rimediare ai
nostri insuccessi. Nelle pagine scelte per questa antologia avviene il contrario. Gli alpini recuperano
più volte le posizioni perse dalle truppe tedesche, fino ad essere citate ad esempio dai tedeschi
stessi. Le “gavette” erano dei recipienti in alluminio dove i soldati mangiavano il rancio.
L’espressione “di ghiaccio” sta a indicare le terribili condizioni atmosferiche che i soldati (non solo
italiani) dovettero affrontare in Russia.
219
Andrea Frediani
A TU PER TU CON L’AUTORE
Andrea Frediani nasce a Roma nel 1963. E’ laureato in storia medioevale. Pubblicista, collabora
con riviste specialistiche del settore storico quali Storia e Dossier, Medioevo, Focus Storia. Scrittore
di successo, ha concentrato il suo interesse sulla ricostruzione di grandi battaglie storiche. Oltre
l’epica battaglia delle Termopili, anche quelle di grandi condottieri romani e di epoca medioevale,
di Alessandro Magno e di Napoleone. Il suo interesse per la storia è precoce. Come si legge nel
suo sito, legge a otto anni la storia di Roma di Indro Montanelli e ne rimane affascinato al punto di
volere, a sua volta, scrivere di storia. Sempre giovanissimo scrive un libro sui pirati traendo spunto
dall’enciclopedia Disney, “obbligando” la madre a battere a macchina il testo. Illuminante, sempre
nel suo sito, la seguente citazione: Il processo di emulazione precede quello di creazione [Stephen
King].
SALA DI LETTURA
Trecento guerrieri272
La battaglia delle Termopili venne combattuta nel 480 a.C. dalle falangi spartane e dai loro alleati
greci contro l’avanzata dell’immenso esercito persiano guidato da Serse. Le pagine narrano il
momento in cui, dopo diversi giorni trascorsi al passo delle Termopili in attesa dell’arrivo dei
persiani, inizia lo scontro militare. Il confronto sembra impari, anche perché è sostenuto, di fatto,
dalla forza di trecento agguerriti soldati spartani contro tutto l’esercito di Serse. Ma il passo è una
autentica strettoia e rappresenterà un eccezionale ostacolo per gli invasori asiatici.
Un attimo dopo Leonida comandò ai flautisti di intonare il motivo che contrassegnava l’avanzata.
Quindi si abbassò l’elmo sul capo, sollevò lo scudo e infilò il braccio nel porpax,273 iniziando a
camminare e intonando il peana274 di guerra. Come ipnotizzati dal suo canto e dalla musica, gli
uomini si abbassarono a loro volta gli elmi, portarono gli scudi all’altezza del busto e si
incamminarono in silenzio, con passo cadenzato, senza che variassero di un centimetro le distanze
tra un oplita275 e un altro.
La fanteria leggera sulle ali, invece, rimase ferma finché non si fece sfilare per intero dalla
falange,276 per poi accodarsi agli ultimi fanti pesanti, al riparo dalle frecce nemiche. La presenza di
arcieri nello schieramento persiano imponeva un radicale cambiamento nella disposizione tattica
272
Tratto da A. Frediani, 300 guerrieri. La battaglia delle Termopili, Newton Compton, Roma 2007
Bracciale che si trova nella parte interna dello scudo.
274
In origine un inno intonato al dio Apollo.
275
Soldato con armatura pesante della fanteria greca.
276
Schieramento di soldati armati di lance su file compatte.
273
220
dell’armata spartana; solitamente, infatti, iloti277 e perieci278 precedevano la falange per scardinare
la coesione della formazione nemica con il lancio di giavellotti, prima di ripiegare attraverso le
maglie ancora larghe dei loro commilitoni in armamento pesante. Leonida,279 al contrario, voleva
che i suoi fanti leggeri agissero solo quando i due schieramenti si fossero trovati troppo vicini per
utilizzare gli archi; se avesse esposto i lanciatori alle frecce nemiche, di gittata largamente
superiore a quella dei giavellotti, si sarebbe trovato privo della possibilità di scompaginare i ranghi
dei persiani.
I due eserciti avanzarono alla stessa bassa velocità, fino a quando gli spartani non videro gli arcieri
delle prime file persiane inginocchiarsi e sparire dietro i grossi spara,280 gli scudi in cuoio indurito,
ricoperto da cannucce di vimini, tenuti dagli sparahara.281 Li colpì, prima di ogni altra cosa, che i
soldati nemici combattessero tutti a coppia, un arciere e un addetto alla sua protezione. Si
chiesero se anche lo sparahara fosse armato e con cosa.
Fu evidente che stavano per tirare, da una distanza, oltre duecento metri, superiore a quella che
normalmente una falange considerava pericolosa. Per qualche istante non successe nulla, e fu un
momento in cui il tempo rimase sospeso, immoto, perché i due schieramenti accumulassero
energia sufficiente, l’uno a scagliare una pioggia di dardi, l’altro a sopportarla.
E poi si sentì lo schiocco. Corale. Possente. Devastante. Il sibilo di mille dardi aveva appena iniziato
a fendere l’aria, che gli opliti sentirono l’ordine di Leonida di arrestarsi, inginocchiarsi e pararsi con
gli scudi sopra la testa. Subito dopo, mille impatti rimbombarono nella pianura: alcuni di dardi
conficcati negli scudi, secchi, potenti e prolungati da una vibrazione, altri di frecce penetrate nel
terreno, sordi e poco incisivi. Qualche fugace tonfo nel mare e qualche rimbalzo per terra
completarono quel cacofonico insieme di suoni percussivi.
Ma non si udì alcun grido di dolore.
Non una freccia persiana era andata a segno.
Quando dal muro282 videro tutti, ma proprio tutti gli spartani rialzarsi e riprendere a camminare,
proruppero in un grido di trionfo. Da quel momento, gli altri greci accompagnarono l’avanzata dei
lacedemoni283 con continue e ritmate urla di incoraggiamento; e a stento gli spartani riuscirono a
percepire il suono dei flauti che dettava loro la cadenza dei passi, nonché il canto di Leonida che li
trascinava. Quando il re, subito dopo, diede l’ordine di procedere al trotto, quindi, non furono in
tanti a sentirlo e non tutti accelerarono nello stesso istante.
[…] Nelle file degli spartani nessuno si illudeva che le scariche di frecce fossero finite. Quando il re
chiese un restringimento anticipato dei ranghi, gli opliti capirono che era proprio per questo
motivo, e la voce corse veloce da una fila all’altra. Subito i secondi cinque guerrieri di una fila
corsero in avanti e affiancarono a sinistra i commilitoni che li precedevano; in tal modo, ciascuna
enomotia284 si venne a schierare su sei file da cinque elementi ciascuna, ma sul fronte ampio solo
poco di più di quello della disposizione precedente. Da dodici guerrieri che aveva, la prima linea ne
presentò al nemico ventiquattro, stipati in modo che ciascuno fruisse, almeno parzialmente, della
protezione dello scudo del compagno di destra.
[…] Poi giunse l’ultimo ordine atteso dagli uomini prima dello scontro frontale: quello di preparare
la lancia per colpire. I guerrieri delle prime tre file si passarono l’asta sotto l’ascella e la puntarono
in avanti, preparandosi ad affondarla nel corpo del nemico. Gli altri continuarono a tenere la
propria arma in verticale, per costituire una volta protettiva contro le frecce.
La falange era pronta per l’impatto.
277
Gli schiavi che servivano in guerra i soldati spartani.
Uomini liberi, ma senza i diritti ed i privilegi degli spartiati.
279
Re di Sparta.
280
Scudo dei persiani costruito col vimini.
281
Portatori dello spara.
282
Si intende dalla parte del passo dove erano presenti gli altri soldati greci non spartani.
283
I cittadini di Sparta.
278
284
Plotone di soldati tra i 24 ed i 30 elementi.
221
Prima dell’urto, tuttavia, c’erano ancora da affrontare altre sequenze di tiro da parte degli arcieri,
stavolta in piedi e di corsa. Arrivarono di nuovo, rapidi, sibilanti, rapaci come uccelli da preda, in
picchiata sulle loro vittime. Ma agli spartani non piaceva il ruolo di vittime. Erano predatori anche
loro. I loro ranghi rimasero compatti, nonostante i colpi ricevuti sugli scudi e sugli elmi, che
scoordinarono la corsa di più di un oplita, rallentandola per un istante, solo un istante, prima che
questi recuperasse la posizione accanto ai compagni.
[…] A più di cinquanta metri di distanza dal nemico, gli spartani si sentirono finalmente al riparo
dall’azione degli arcieri. Era allora che iniziava quella dell’esercito spartano; e fu allora che i lancieri
leggeri ebbero l’opportunità di scardinare i ranghi avversari. Iloti e perieci abbandonarono le loro
posizioni arretrate e si aprirono sulle ali, affiancando i lati della falange nel breve spazio che
rimaneva loro a ridosso del mare e lungo le pendici montane. I loro giavellotti volarono a spiovere
contro le prime file persiane, scavalcando la prima linea di spara e aprendo frequenti vuoti nei
ranghi nemici, che si stavano riposizionando per disporsi all’urto.
I leggeri scudi persiani, oltretutto, non si dimostrarono in grado di opporsi alla penetrazione dei
proiettili; molti uomini caddero, trasformandosi in una barriera per i commilitoni, che inciampavano
nei loro corpi mentre tentavano di superarli per ricostituire il fronte. Ulteriori ostacoli, per gli
orientali, erano rappresentati dagli ampi indumenti in dotazione ai caduti, e dagli ampi spara
lasciati a terra da chi era morto o fuggito: tutto ciò aumentava la superficie coperta di terreno,
costituendo un’ulteriore insidia per chi tentava di avanzare.
LABORATORIO DEL TESTO
Proposte di lavoro sulla comprensione e/o analisi testuale e
tematica
1. Il narratore è interno o esterno al racconto?
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2. La presenza degli arcieri nello schieramento persiano obbliga Leonida a mutare la sua
abituale tattica di battaglia. Spiega in cosa consiste questo mutamento e chiarisci cosa
vuole evitare Leonida.
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3. Spiega quale tecnica usano gli arcieri persiani per effettuare i loro lanci di frecce. Chiarisci
cosa sono gli spara e gli sparahara.
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222
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4. Come combattono i soldati persiani della prima linea?
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5. “E poi si sentì lo schiocco”. Il narratore usa tre aggettivi molto forti per descrivere questo
istante. Quali sono? Cosa vuole sottolineare il narratore con questa efficace connotazione?
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6. Qual è l’effetto sulla falange spartana di questa prima ondata di frecce? Sottolinea nel testo
le espressioni usate dal narratore.
7. Come si schiera ogni enomotia?
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8. Come si dispongono i soldati spartani prima dello scontro frontale?
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9. Quando i soldati spartani non si sentono più vulnerabili dalle frecce persiane?
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10. Che effetto hanno i giavellotti spartani sugli spara persiani?
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11. Per quale ragione la superficie del terreno dove avviene lo scontro diviene, secondo il
narratore,“coperta” e perciò d’intralcio all’azione degli attaccanti?
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12. Il re Leonida, prima di iniziare l’attacco verso il fronte persiano, comanda ai flautisti di
intonare il motivo dell’avanzata. Che rapporto c’è, secondo te, tra la musica e la guerra? Hai
presente dei film nei quali le azioni di guerra sono accompagnate da uno strumento musicale
all’interno di un battaglione? Puoi riportare qualche esempio scrivendolo sul tuo quaderno?
Proposte di riscrittura e rielaborazione
1. Il testo è narrato con i tempi al passato. Prova a riscriverne una parte (il primo ed il
secondo capoverso) al presente narrativo, come se i fatti narrati si svolgessero nel
momento stesso in cui sono descritti.
(Un attimo dopo Leonida comanda ai flautisti il motivo che contrassegna l’avanzata…)
2. Riassumi il testo in 150 parole.
Proposte di produzione testuale
1. Immagina di essere un soldato persiano, in particolare uno sparahara, sopravvissuto allo
scontro con la falange spartana e prova a raccontare le sensazioni, le paure che hai
provato nel vedere gli opliti spartani avanzare decisi e temibili verso la tua prima linea.
2. Il testo ha caratteristiche descrittive. Non vi sono dialoghi. Prova ad immaginare un dialogo
tra due soldati greci della retroguardia spartana intenti ad osservare lo scontro.
224
Emilio Lussu
A TU PER TU CON L’AUTORE
Emilio Lussu nasce in Sardegna, ad Armungia, il 4 Dicembre 1890. Si laurea in giurisprudenza a
Cagliari, nel 1914. Interventista prima della partecipazione italiana nella prima guerra mondiale,
cambia i suoi convincimenti durante lo svolgersi degli avvenimenti bellici anche a causa della
violenza del conflitto e dell’insensata durezza con la quale gli alti ufficiali dell’esercito trattano i
soldati. E’ questa esperienza che lo porterà a scrivere nel 1937 il libro Un anno sull’Altopiano, che
può essere considerato il suo capolavoro. Un’opera che ha un taglio narrativo e cronachistico,
raccontando episodi della guerra quasi l’autore fosse una sorta di inviato speciale di un giornale.
Egli è un giovane ufficiale che con la sua brigata (la Brigata Sassari) si posiziona nella zona
dell’Altopiano di Asiago con il compito di frenare l’avanzata delle truppe austriache. Alla fine del
conflitto viene eletto in parlamento nelle file del Partito Sardo D’Azione (di cui è uno dei fondatori),
ma se ne distacca quando questo confluisce nel movimento dei fasci. Nel 1924, dopo l’assassinio
Matteotti, è nel novero di quei deputati che partecipano alla secessione dell’Aventino. Condannato
al confino dal Tribunale Speciale, evade con Carlo Rosselli e Francesco Fausto Nitti. Si rifugia a
Parigi, dove opera come attivo antifascista, partecipando, anche se per breve tempo, alla guerra
civile spagnola nelle truppe antifranchiste. Deputato nel nuovo Parlamento è ministro nel governo
Parri e nel primo governo di De Gasperi. Partecipa a nuove esperienze politiche fino a confluire dal
PSI al PSIUP. Ritiratosi nel 1968 dalla vita politica, muore a Roma nel 1975.
SALA DI LETTURA
Il prigioniero285
Il battaglione di cui fa parte il capitano Lussu viene spedito sull’altopiano di Asiago a contrastare
l’avanzata austriaca. Regna una certa confusione dovuta al fatto che non solo non è ben chiaro
dove sia dislocato l’esercito austriaco, ma non si sa nemmeno come siano distribuiti sul territorio
gli stessi soldati italiani. Al capitano viene affidata la guida di un plotone con l’obiettivo di compiere
una perlustrazione. Il risultato, nella drammaticità della guerra, risulta quasi comico.
Sui margini dell’Altopiano, a mille metri, v’era il più grande disordine. Noi vi eravamo arrivati, il 5
Giugno, per la Val Frenzela,286 partendo da Valstagna, con le misure di sicurezza d’avanguardia,
285
Tratto da E. Lussu, Un anno sull’Altipiano. Einaudi, Torino 1966.
Per comprendere di quali luoghi si parli e dove siano esattamente situati, svolgi l’esercizio proposto nella sezione:
Un tuffo nel web.
286
225
perché non era chiaro dove fossero i nostri e dove gli austriaci. Il reggimento si schierò sulle
pendici di Stoccareddo e la strada Gallio-Foza, e il mio battaglione prese posizione al Buso,
minuscolo villaggio che sbarra lo sbocco di Val Frenzela. Gli avamposti furono collocati nella conca,
verso Ronchi, a caso, sulle vie da cui potevano provenire le avanguardie nemiche. Sapevamo solo
che esse, traversata la Val d’Assa e conquistato Asiago, si spingevano innanzi, a ventaglio, al di
qua di Gallio […].
Il plotone si era steso e sparava con calma. Il sergente si fasciava il braccio ferito, aiutato
da un soldato. La superiorità delle truppe che avevamo di fronte era evidente. Quello era il fuoco
di almeno una compagnia. Se ci avessero attaccati, noi saremmo stati sopraffatti. Io feci innestare
le baionette e passai la voce di stare a contatto di gomito, pronti al contrattacco.
Ero intanto preoccupato. Avevo ricevuto l’ordine di fare una ricognizione per
prendere contatto con la sinistra, e avere schiarimenti sulla situazione, non già di
impegnarmi in combattimenti. Il plotone era una scorta, contro sorprese di pattuglie,
non un reparto capace di sopportare uno scontro simile. Decisi perciò di indietreggiare.
Dopo il primo nervosismo, il tiro nemico s’era calmato. Ora si sparavano solo colpi
isolati. Per coprire il rumore del ripiegamento, feci sparare una bomba a mano. Il
soldato che mi stava più vicino accese una Sipe,287 ne controllò, calmo, l’accensione,
nella mano, scattò dritto in piedi e la lanciò alta, perché non fosse fermata dagli alberi.
La bomba scoppiò bene, cadendo dall’alto, con un fragore che la foresta rese più cupo.
Le schegge si dispersero con sibili stridenti: un miagolio di gatti. Era la prima bomba
sparata da noi sull’Altopiano. Un attimo di silenzio seguì nella foresta. Dalla linea
nemica una voce sonora rispose:
- Alla tua faccia!.
La fucileria riprese più intensa. Di fronte a noi, un razzo luminoso si levò nell’aria, altissimo e
rischiarò la foresta e tutta la vallata dei Ronchi. Noi ci appiattimmo sull’erba, come foglie.
“Forse ha ragione il sergente” , pensai. Debbono essere ungheresi della costa adriatica. I bosniaci
non parlano certo l’italiano.
Il ripiegamento del plotone si faceva per gruppi di squadra e a balzi indietro, lentamente, per non
perdere il contatto tra noi. Ormai era buio fitto ed era ben difficile spostarci conservando un certo
ordine.
Impiegammo più di un’ora prima che, sottratti al tiro, potessimo riunirci indietro, al sicuro. L’ultima
a compiere il movimento fu la quarta squadra. Essa aveva fatto un prigioniero. Sotto la luce del
razzo, un uomo isolato, posto fra noi e il nemico, c’era venuto incontro con le mani in alto. La
squadra l’aveva notato e, spentosi il razzo, l’aveva catturato. Ci voleva proprio un prigioniero per
avere notizie sul nemico. Io ne fui felice. Dissi al caporale della squadra:
- Farò avere un premio alla squadra.
Il prigioniero, senz’armi, era in mezzo alla squadra, tenuto per le braccia da due soldati. Nessuno
parlava, né il prigioniero, né gli altri. Ognuno era convinto dell’inutilità di una conversazione fatta
in lingua straniera. Ma anche così, al buio, e in silenzio, si era immediatamente stabilita quella
simpatia che si crea sempre in quelle circostanze. I vincitori vogliono prodigare qualche
attestazione di bontà ai vinti, i vinti le accettano per non parere sdegnosi. Il prigioniero mangiava il
cioccolato che i soldati gli avevano offerto, e quando io consentii, poiché eravamo al riparo, che si
fumasse, anch’egli fumò la sigaretta offertagli. Ordinai l’appello dei presenti per essere certo che
nessuno fosse rimasto indietro, ferito o sperduto, e accesi la lampadina elettrica che avevo in
tasca.
- Ma è del nostro reggimento! Esclamò il sergente che stava controllando la fasciatura al
braccio e s’era posto fra me e il prigioniero.
- Chi è del nostro reggimento? chiesi, distratto.
- Il prigioniero.
- Diavolo, diavolo, diavolo! mormorava il caporale della quarta squadra, fra i denti.
287
Era uno dei vari tipi di bombe a mano.
226
La lampadina illuminò la faccia del prigioniero. Sbalordito, le pupille dilatate, anch’egli guardava.
L’uniforme era la nostra. Sul berretto, il numero 399: il nostro reggimento. Le mostrine, quelle
della brigata. Sulle spalline, il numero della compagnia: la Nona. Il nostro stesso battaglione.
- Come ti chiami? Gli chiesi.
- Marrasi Giuseppe, mi rispose avvilito.
Gli domandai il nome del suo comandante di compagnia e di plotone ed egli me li disse. Erano i
nomi dei miei colleghi del battaglione.
- E come hai fatto a finire, così, in mezzo a noi?
- Mi sono smarrito.
- Era la Nona compagnia che sparava contro di noi?
- Signor sì.
Finito l’appello, riprendemmo il cammino, sulla strada. Il soldato della Nona parlava con i
compagni.
- Ti è andata male, eh?
- Tu credevi di avere finito la guerra, figlio di un cane! Confessa che avresti pagato un occhi
perché fossimo austriaci.
Marrasi protestava:
- Ma no, ma no, vi dico…
- E che razza di stomaco! Ti sei sbafato il cioccolato come un vero austriaco. Tu me lo
restituirai… ..
LABORATORIO DEL TESTO
Proposte di lavoro sulla comprensione e/o analisi testuale e
tematica
1. Scrivi chi è l’autore del testo e se coincide con il narratore.
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2. Individua, sottolineandole con colori diversi, alcune delle parti narrative, descrittive e
dialogiche del testo. Scrivi quale di queste è prevalente nel testo.
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3. Nel testo sono presenti dei termini specifici del linguaggio militare (Battaglione, avamposto,
avanguardia, plotone, compagnia, baionetta, scorta, mostrina, uniforme. ricognizione,
reparto, pattuglia, ripiegamento, squadra, fucileria). Trova la loro definizione sul dizionario
e trascrivila sul quaderno.
4. Quali altri personaggi, oltre il narratore, sono presenti nel testo?
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5. Cosa pensa il narratore quando sente gridare: “Alla tua faccia!” dopo il lancio di una bomba
a mano di un suo soldato? E perché?
227
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6. Qual è l’atteggiamento del prigioniero dopo la cattura?
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7. Per quali ragioni i soldati non si accorgono subito di avere catturato un soldato dello stesso
reggimento?
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8. Se il soldato fosse stato, oltre che dello stesso reggimento, anche dello stesso battaglione,
si sarebbe ugualmente caduti nell’equivoco? Motiva la tua risposta.
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9. Per quale ragione i compagni del soldato erroneamente catturato gli dicono: “Ti è andata
male, eh?”.
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10. Cosa ti fa pensare questo breve racconto?
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Proposte di riscrittura e rielaborazione
1. Con quali tempi verbali è narrata la vicenda nel testo? Perché?
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228
2. Riassumi il testo, sul tuo quaderno, in circa 150 parole.
3. Rileggi il terzo capoverso del testo (quello scritto in grassetto) e trasformalo in una
narrazione al presente storico, come se stesse avvenendo nel momento stesso in cui si
racconta).
Es: Sono, intanto, preoccupato. Ho ricevuto l’ordine di fare una ricognizione per prendere contatto
con la sinistra…
Proposte di produzione testuale
1. Prova a scrivere un breve testo in cui descrivi una situazione di guerra. Puoi aiutarti
facendo riferimento, oltre che alla fantasia, a un film che hai visto o a un videogioco che
usi. Utilizza alcuni dei termini che hai ricercato sul dizionario nell’esercizio n.3.
Giulio Bedeschi
A TU PER TU CON L’AUTORE
Giulio Bedeschi nasce il 31 Gennaio 1915 a Vicenza. Sarà il primo di quattro figli. Frequenta il
liceo classico e si iscrive alla facoltà di Medicina a Padova, ma la terminerà a Bologna. Viene
impegnato, come medico militare, nella campagna greco-albanese. Nel 1942 viene trasferito con
gli alpini del Gruppo Conegliano nell’ A.R.M.I.R. (Armata Italiana in Russia) sul fronte russo. Assiste
alla disfatta dell’esercito tedesco e italiano, partecipando alla drammatica ritirata. Dopo l’armistizio
dell’8 Settembre è membro del Partito Fascista Repubblicano, guidandone una brigata che alla fine
della guerra si scontra con la resistenza del vicentino. In particolare, questa vicenda resta ancora
coperta da un certo mistero. Quando i repubblichini appartenenti alla brigata si arrendono, 25 di
loro vengono fucilati senza processo da partigiani del forlivese. Bedeschi sfugge alla cattura e dopo
essersi nascosto da alcuni amici si sposta in Sicilia per trascorrere i primi anni del dopoguerra al
riparo da possibili rappresaglie. Nel Dicembre del 1945 comincia a scrivere il suo capolavoro:
Centomila gavette di ghiaccio, ma per 18 anni il libro è rifiutato dalle case editrici, fino a quando
non viene pubblicato da Mursia nel 1963. Il successo è immediato e l’anno dopo l’opera vince il
Premio Bancarella. Collabora con molte riviste quali l’Europeo, Storia Illustrata, Gente. Scrive altri
229
libri sempre relativi alla guerra sul fronte russo. Collabora con la casa editrice Mursia alla
realizzazione di una raccolta di testimonianze di soldati che avevano combattuto su tutti i fronti
della Seconda Guerra Mondiale. Tornato in Veneto, muore a Verona nel 1990.
SALA DI LETTURA
Il coraggio degli Alpini288
Mentre la parte più consistente delle truppe tedesche è impegnata nella battaglia di Stalingrado,
alcuni battaglioni italiani sono occupati a contenere l’attacco dei russi nel settore di Novo Kalitwa.
A rendere più difficoltosa l’attività dei soldati vi è il terribile inverno russo. Neve, gelo, ghiaccio
attanagliano le truppe ed ogni operazione si rivela rischiosa se non ci si protegge adeguatamente.
Si può morire dal freddo oltre che del fuoco nemico. In queste pagine gli alpini della Julia
mostrano valore militare e coraggio, arrivando ad agire meglio delle truppe tedesche. Tutto ciò
non consola della perdita dei commilitoni e delle fatiche della trincea, ma fa nascere un senso di
profondo orgoglio in ogni soldato, pur nella tragedia della guerra.
Abbiamo collaudato la linea: potranno venire mille volte, ma non passeranno più.
Ora gli alpini riordinavano le armi e correvano di bocca in bocca i primi tristi consuntivi del
combattimento:
- Due morti e quattro feriti al primo plotone…
- Un colpo di mortaio è entrato nella trincea del quarto: cinque morti ed un ferito…
- Una ventina di alpini si sono congelati…
- Tre assiderati…
Dalla piana antistante le trincee si udivano salire i lamenti dei feriti russi immobilizzati nella neve.
Lugubri e fiochi, straziavano il cuore.
- Bisognerebbe fare qualcosa, andare a prenderli, poveretti. Sulla neve muoiono, con questi
quarantadue sotto zero.
- Sono già uscite due pattuglie, ma non hanno potuto avvicinarsi, sono state prese a fucilate.
Ci sono ancora diversi russi appostati in giro e sparano.
La ventisei aveva avuto otto feriti, Serri li aveva medicati e avviati all’ospedale. Uno s’era
presentato, un servente del secondo pezzo, e aveva mostrato in silenzio al medico le palme delle
mani. Dal polso alle estremità delle dita mancavano in tutto il loro spessore i tegumenti cutanei, le
povere mani ostentavano a nudo i fasci di muscoli e il biancore luccicante dei tendini.
- Cos’è successo, disgraziato?
- Mi ero levato i guanti un momento, signor tenente, perché erano incrostati di ghiaccio e
non potevo muovere le mani. Sono scivolato vicino al pezzo e sono caduto; per non
sbattere la faccia ho dovuto poggiare le mani sul ferro del cannone. Per il gelo la pelle mi è
rimasta attaccata là. Dio santo.
Il gelo, l’indemoniato gelo era sempre il nemico più feroce; era vile, subdolo, implacabile, e ad ogni
istante in agguato. L’altro, formidabile anch’esso, era tuttavia più facilmente affrontabile.
-
(…) .Venne il ventotto Dicembre.
Si fecero innanzi i reparti russi e fra le schiere si profilarono le minacciose sagome dei carri armati.
-Lasciate pure passare i carri – fu l’ordine fulmineo che il telefono trasmise – li bloccheremo qui in
retrovia; voi fermate le fanterie ad ogni costo innanzi alle linee.
I carri armati passarono incontrastati sulle trincee degli alpini, mentre questi rannicchiati nel fondo
fissavano i cingoli scorrere a due palmi sopra le penne nere; subito gli alpini si riaffacciarono ad
affrontare i reparti che i carri armati trascinavano nella propria scia e ancora una volta li
bloccarono innanzi alle linee. Solo in un punto, sotto l’impeto nemico, in quel giorno la linea
cedette e i russi irruppero nelle trincee: era la quota 176 tenuta dal reparto tedesco. Un urlo di
288
Tratto da G. Tedeschi, Centomila gavette di ghiaccio, Mursia, Milano 1963.
230
delusione e di raccapriccio uscì dalle gole degli alpini: la quota dominava il rimanente distendersi
della linea, una breccia simile avrebbe potuto generare conseguenze disastrose.
Poco dopo, un reparto di alpini salì all’attacco della 176, con furibondo impeto la espugnò e
la riconsegnò ai tedeschi. I russi ritornarono immediatamente all’assalto, riconquistarono la 176
scacciandone i tedeschi, gli alpini contrattaccarono e restituirono la quota ai soldati germanici; nel
giro della giornata per una terza volta i tedeschi perdettero la quota e gli alpini la riespugnarono
riconsegnandola ancora agli alleati.
- Julia: Panzer-Soldaten…! – esclamavano i tedeschi.
Era difficile misconoscere l’eccezionale valore che gli alpini dispiegavano giorno per giorno: persino
qualche ufficiale russo fatto prigioniero ammetteva che i Comandi al di là delle linee erano
esasperati e impressionati per la sovrumana resistenza opposta dagli alpini; aggiungeva però che
gli italiani non dovevano farsi illusioni perché i russi ricevevano sempre nuovi rinforzi e avrebbero
finito per avere il sopravvento.
Era evidente che lo schieramento russo si rafforzava quotidianamente e che
sempre più numerose forze andavano addensandosi contro gli alpini; il ventinove
dicembre il nemico pose in azione numerose batterie controcarro e iniziò sulla pianura
la caccia all’uomo nel tentativo di arrestare il movimento delle linee alpine; ad ogni
cenno di vita, al muoversi di una testa affiorante da una trincea, ad una sagoma
d’artigliere che si spostava per portare una cassetta di munizioni, era una granata dei
pezzi nemici che giungeva al bersaglio, inesorabile, avendo i pezzi controcarro una
precisione di tiro pressoché assoluta.
Così raggiunse gli alpini, venendo da mille miglia, la citazione della Julia sul
bollettino di guerra germanico “ per il superbo comportamento della divisione sul
fronte del medio Don”; in quattro anni di guerra era la seconda volta che il Comando
supremo tedesco citava nel bollettino una divisione straniera.
LABORATORIO DEL TESTO.
Proposte di lavoro sulla comprensione e/o analisi testuale e
tematica
1. Il narratore del testo è esterno o interno alla storia? Motiva la tua risposta.
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2. Individua, sottolineando con colori diversi, le parti narrative, descrittive e dialogiche del testo.
Scrivi quali di queste sono prevalenti nel testo.
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3. Nella prima parte del testo narrazione e dialoghi usano gli stessi tempi verbali? Che differenze
noti?
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4. Qual è l’altro formidabile nemico cui si accenna alla fine del primo brano?
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5. Per quale ragione gli Alpini vengono citati nel bollettino del Comando Supremo Tedesco?
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6. Cosa rappresentano la “ventisei”, la “176” ?
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7. A cosa ti fa pensare questo breve racconto? Esponi liberamente alcune tue brevi considerazioni.
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Proposte di riscrittura e rielaborazione.
1. Rileggi gli ultimi due capoversi del racconto (quelli scritti in grassetto) e trasformali in una
narrazione al presente storico (come se stesse avvenendo nel momento stesso in cui si
racconta).
2. Sintetizza brevemente i contenuti dei due testi (quello dell’autore e il tuo), spiegando le
differenze da un punto di vista narratologico.
Proposte di produzione testuale.
1. Prova ad immaginare di essere un giornalista e di dover scrivere un articolo sulla giornata
del 28 Dicembre.
2. Prova a scrivere quella che, secondo te, potrebbe essere stata la citazione del Comando
Supremo Tedesco, sul proprio bollettino, riguardo al valore degli alpini.
232
LA BOTTEGA DELL’ARTE
La Battaglia di Paolo Uccello. Trittico, 1438. Galleria degli Uffizi (Firenze); National Gallery
(Londra); Museo del Louvre (Parigi).
Paolo Uccello nasce a Pratovecchio il 15 Giugno del 1397 e muore a Firenze il 10 Dicembre
del 1475. Fin da giovane lavora nella bottega di Lorenzo Ghiberti a Firenze e si guadagna il
soprannome di “uccello” per la sua abilità nel dipingere animali, in special modo uccelli.
Sviluppa nel corso della sua vita artistica l’abilità nell’inserire la costruzione prospettica nei suoi
dipinti. Lavora ad opere presenti in molte importanti chiese italiane (alcune andate perdute). I
suoi quadri sono presenti nei più grandi musei del mondo.
Esegui una ricerca su questa opera per rispondere alle seguenti domande sul quaderno (non
devi “scaricare” da internet le informazioni su questo dipinto; devi leggere e trovare le
informazioni utili a scrivere le risposte, anche” tuffandoti nel web”).
1.
2.
3.
4.
5.
In quale periodo storico e artistico vive Paolo Uccello?
Con quale altro nome è nota questa opera?
Cos’è un “polittico”? Cos’è un “trittico”?
Per quale ragioni, la famiglia che ordina il dipinto è interessata a questa battaglia?
Cosa accade quando l’opera giunge agli Uffizi e dove si trovano, oggi, le altre due parti
dell’opera?
6. Quali sono le caratteristiche delle tre tavole?
233
SALA DI ASCOLTO
Edoardo Bennato nasce a Napoli il 23 Luglio del 1949. Insieme ai fratelli è spinto dalla madre a
dedicarsi alla musica. Attratto dalla musica rock e dalla musica pop, utilizza nella sua esperienza,
oltre la chitarra, strumenti insoliti al grande pubblico come i tamburelli, l’armonica, il kazoo e altre
percussioni. Si trasferisce a Milano dove, oltre a laurearsi in architettura, conosce molti giovani
cantautori come Lucio Battisti che, con il paroliere Mogol, lo ingaggia per la casa discografica
Numero Uno. Si sposta alla Ricordi dove raggiunge il successo. Negli anni Settanta e Ottanta è
stata la voce più rappresentativa di una certa ribellione alle forme della società borghese
contestata dai giovani. Il brano è tratto dal 33 giri La torre di Babele.
Edoardo Bennato, Viva la guerra
Quando all'alba la campana suonerà a raccolta
raccogli le armi, va in strada
e lascia tutto dietro quella porta...
Il nemico ti aspetta lontano oltre il mare
e tu non puoi tirarti indietro, no
questa guerra si deve fare!
Viva, viva la, viva la guerra
Santa, santa la, santa la guerra!...
Hai lasciato la tua donna e la tua terra
ma è per il suo bene, è per la sua gloria
che tu ammazzerai
Il crudele Saladino è bene armato e forte
ma tu non lo temi, tu non hai paura
e hai anche Dio dalla tua parte
Viva, viva la, viva la guerra
Santa, santa la, santa la guerra!...
Sei un soldato e difendi la libertà
e quelli contro sono cattivi
di loro non aver pietà!...
E se per caso tu morissi non devi temere
perchè ti faremo un bel monumento
che tutti quanti potranno vedere!...
Viva, viva la, viva la guerra
Santa, santa la, santa la guerra!...
1. Qual è, secondo te, il messaggio che il cantautore Edoardo Bennato vuole esprimere
con questa canzone?
2. Perché nella guerra gli avversari sono sempre “cattivi”?
3. Cosa rappresentano, nella guerra o dopo una guerra, le medaglie ed i monumenti?
4. Secondo te, esistono guerre sante e guerre giuste?
5. Ricerca sul web informazioni su Edoardo Bennato e sulle sue canzoni.
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Un tuffo nel Web
1. La battaglia descritta nel primo testo si svolge al Passo delle Termopili. Utilizza un
programma di mappe presente su internet per individuare dove si trovi il passo. Usa anche
l’opzione della mappa satellitare per comprendere meglio la conformazione del terreno.
2. Ricerca, nel web, fotografie del Passo delle Termopili per farti una idea del luogo dove è
avvenuta la battaglia tra spartani e persiani.
3. La fase iniziale del primo testo cita dei luoghi nei quali si posiziona il battaglione del
capitano Lussu.
3.a. Utilizzando Internet ed un programma di mappe, individua l’area geografica ed i luoghi in
cui si parla all’inizio del testo. Utile sarà anche una ricerca dei luoghi , usando l’opzione della
visualizzazione satellitare.
3.b. Se non possiedi il collegamento ad Internet, usa un atlante geografico in cui vi sia una
dettagliata mappa del Veneto.
4. Utilizzando internet ed un programma di mappe, individua l’area geografica relativa al
settore di Novo Kalitwa in Russia, di cui si parla nel testo di Bedeschi. Utile sarà anche la
ricerca dei luoghi usando l’opzione della visualizzazione satellitare.
5. Ricerca su Internet fotografie relative all’impiego delle truppe italiane in Russia. Tieni
presente che le immagini saranno anche piuttosto dolorose a vedersi.
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