strategia delle operations

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STRATEGIA DELLE OPERATIONS
Le operations fanno riferimento a tutti quei processi attraverso i quali le aziende producono e
distribuiscono prodotti e/o servizi ai propri clienti; la gestione delle operations si occupa quindi di
configurare opportunamente tali processi (che rappresentano le attività più importanti all'interno delle
organizzazioni) al fine di incontrare correttamente le esigenze e i fabbisogni mercato. La attività principale
di un operations manager è quindi quella di assicurarsi che, tali processi, vengano svolti in conformità con
le prestazioni desiderate (tempo, qualità, livello di servizio...).
È quindi evidente come, qualsiasi decisione presa in quest'ambito, risulti essere estremamente importante
e di forte impatto sull'azienda; una scelta a livello di operations significa andare a coinvolgere tutta una
serie di aree aziendali, partendo dalla progettazione, passando attraverso la funzione di ingegneria, fino ad
arrivare alla Supply Chain stessa (ovvero la filiera che lo supporta per portarlo sul mercato: produzione,
distribuzione, programmazione, qualità, assistenza post vendita). Inoltre, proprio perché si tratta di un
ambito estremamente strategico per l’azienda, imprescindibile è il coinvolgimento della direzione generale
e dei vertici.
Lo operations manager, quindi, oltre a garantire il raggiungimento dei target prestazionali desiderati, deve
anche avere la capacità di gestire l’interazione e l'integrazione tra queste differenti aree aziendali, proprio
perché aspetto chiave per massimizzare l'efficacia e l'efficienza delle attività eseguite.
Le operations rappresentano la parte “core” di qualunque organizzazione: un’organizzazione ha senso nella
misura in cui è in grado di offrire qualche cosa al mercato e, i processi che le permettono di farlo, rientrano
proprio in quest’ambito; in tal senso, è possibile identificare ad una serie di “macro – blocchi” che, nel
seguito, verranno trattati in maniera più approfondita.
Anzitutto, occorre sottolineare come, al di là di quello che il senso comune può far pensare, le operations
non si legano solo all’operatività ed all’esecuzione delle attività; affinché possano essere raggiunti gli
obiettivi desiderati infatti, fondamentale è avere un approccio strategico ben definito e delineato: il
principale errore commesso dalle aziende (come poi si avrà modo di vedere) è proprio quello di
caratterizzarsi per una mancanza di coerenza tra gli obiettivi definiti a livello “alto” e logica di esecuzione
delle attività, proprio in virtù dell’assenza di una direzione strategica ben definita. “Si può anche sbagliare
strategia ma, nella maggior parte dei casi, il problema risiede nella capacità di realizzarla”: è per questo
motivo che, tutta la prima parte, sarà focalizzata sulle logiche di definizione della più opportuna strategia
delle operations, andando ad analizzare quelli che sono i fattori che ne possono influenzare la
configurazione.
Questi primi approfondimenti saranno proprio volti a mettere in evidenza come le operations siano
assolutamente centrali ai fini della creazione di valore e nella determinazione dei vantaggi competitivi per
le aziende; non a caso, le competenze in questo campo sono sempre più richieste e ricercate, anzitutto nel
mondo manufatturiero, ma sempre più anche nell'ambito dei servizi.
È proprio questo il punto di collegamento con il secondo macro blocco che verrà trattato: il mondo dei
servizi sta assumendo sempre più importanza all'interno dei settori industriali (si può osservare una
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progressiva crescita della loro incidenza sulla Pil dei paesi); tuttavia, in quest'ambito le operations risultano
essere ancora agli "albori", e devono quindi essere opportunamente configurate, allineate e migliorate.
Sono questi gli obiettivi che si propone la disciplina di Service Operations Management che focalizzandosi
sulle specificità delle aziende di servizi, si avvale di tutta una serie di tecniche per trasformare le operations
in una vera e propria arma competitiva.
Ovviamente, oggigiorno, separare mondo manufatturiero il mondo del servizio non è più possibile: vi è
ormai una coesistenza sempre più spinta tra prodotti e servizi, mix necessario per soddisfare i bisogni della
clientela (questa evoluzione è, ovviamente, andato di pari passo con la diffusione è il fenomeno di
outsourcing, che ha fatto sorgere l'esigenza, da parte delle imprese, di definire linee direttive e strategie di
gestione che permettano di integrare opportunamente attività svolte internamente e delegate all'esterno).
Infine, è inevitabile non parlare del miglioramento continuo nell'ambito delle operations che, con
riferimento all'innovazione nella gestione dei processi core delle aziende sviluppatasi negli anni Novanta,
rientra nell'ambito dei concetti della Lean Organization e del Lean Management, che si occupano proprio
di come sia possibile riconfigurare i propri processi caratteristici al fine di incontrare meglio le esigenze del
mercato (anche con riferimento all'intera filiera nel quale l'azienda si trova ad essere immersa).
In definitiva, si può dire che l'obiettivo è quello di andare ad approfondire i concetti, le metodologie
l'organizzazione e la gestione dei processi produttivi, sia a livello operativo, che in una prospettiva più
tattica e strategica, con riferimento all'intero mondo industriale (mondo manufatturiero nel mondo dei
servizi).
Prestazioni strategiche e formulazione di una strategia delle operations
Il concetto di strategia si esemplifica nella capacità di saper gestire costruire mantenere un vantaggio
competitivo da parte della gente; tutte le aziende, difatti per sopravvivere nel tempo, sembrano essere in
grado di avere e mantenere un vantaggio specifico che le differenzi dai concorrenti; la gestione di questo
vantaggio differenziante è proprio l'essenza della strategia.
Ovviamente non esiste un unico livello strategico, ma si può distinguere tra:
 livello corporate, che si occupa di definire quelli che sono i business nei quali l'azienda andrà ad
operare, allocando quindi opportunamente le risorse ai diversi mercati prodotti;
 livello di business unit, che si occupa di definire quelle che sono le modalità di competizione nei
mercati all'interno dei quali l'impresa ha deciso di entrare; in sostanza, si tratta di identificare il
posizionamento strategico sul mercato, definendo quali fabbisogni si vorranno soddisfare e come
essere competitivi e leader in quel segmento (value proposition);
 livello funzionale, che si occupa di orientare opportunamente ciascuna area aziendale al fine di
supportare il raggiungimento degli obiettivi e di soddisfacimento dei bisogni del mercato (come
supportare l’azienda nell’essere vincente nel posizionamento scelto per un dato segmento).
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L’APPROCCIO TRADIZIONALE DI DEFINIZIONE DELLA STRATEGIA
Il tradizionale approccio alla definizione della strategia, oltre a distinguere questi tre differenti livelli, ne
stabilisce anche una relazione gerarchica: in genere, si parte dalla definizione della strategia a livello
corporate, per poi declinarla a livello di singola business unit, fino ad arrivare a quella specifica di ognuna
delle funzioni aziendali.
La logica è evidente: a livello corporate vengono fissati i macro – obiettivi (quota di mercato, redditività…), i
quali poi si traducono in specifici obiettivi per ciascuna area divisionale (per raggiungere i macro – target,
sarà necessario definire un modo opportuno di soddisfacimento dei bisogni di mercato); da ultimo, si arriva
a pensare alle singole funzioni, in genere attraverso il processo di budgeting, attraverso il quale vengono
assegnati dei target (in termini di riduzione dei costi, di vendite, di aumento della quota di mercato…) da
raggiungere ed allocate risorse coerentemente con le scelte di posizionamento e competizione dell’azienda
(possibilmente riuscendo a migliorare tale posizionamento e tale competitività).
In questo panorama, in genere, il ruolo delle operations è diretta conseguenza della strategia elaborata dal
marketing (che, “assorbiti” quelli che sono gli obiettivi a livello di business unit, elaborerà tutta una serie di
piani di azione opportuni): una volta chiare quelle che sono le scelte strategiche che dovranno essere
attuate (introdurre una nuova linea di prodotti, ampliare la gamma esistente, modificare alcune
caratteristiche e funzionalità…), il responsabile delle operations si dovrà fare carico di realizzare il
miglioramento richiesto, di modo da risultare sempre all’avanguardia ed allineato rispetto a quelle che
sono le richieste dei livelli superiori. Emerge quindi una visione estremamente tecnica del sistema di
operations, all’interno del quale gli aspetti operativi sono dei dettagli, e per il quale esiste una “one best
way” di sviluppo, diretta conseguenza delle scelte strategiche dei livelli superiori: non è necessario, quindi,
effettuare scelte manageriali, in quanto la configurazione dei processi dovrebbe già implicitamente essere
definita nelle decisioni prese a livelli gerarchici superiori.
Questo approccio, tuttavia, oggi non può più dirsi correttamente funzionante, poiché, nel corso del tempo
sono state registrate numerose forze di cambiamento, alcune delle quali esterne all'azienda, altre che
hanno agito direttamente sulle risorse dell'organizzazione.
Per quanto riguarda i fattori riguardanti il contesto, è possibile citare:
- La sovrabbondanza di offerta rispetto a domanda: oggi la domanda complessiva risulta essere
sempre più bassa della capacità effettiva disponibile, con la conseguenza che i clienti sono subissati
di offerte da parte dei diversi concorrenti;
- La necessità di customizzare il bene offerto sul mercato sulla base delle specifiche esigenze della
clientela;
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il fenomeno della globalizzazione, che ha reso la competizione sempre più internazionale e con uno
scenario composto da un crescente numero di players. Ovviamente, la relazione è bidirezionale: da
un lato si ha globalizzazione poiché, un la crescita del numero di concorrenti, l'esigenza diventa
quella di aumentare il numero di mercati all'interno dei quali competere; dall'altro l'aumento delle
dimensioni dell'arena competitiva ha fatto sì che vi fosse spazio per i numerosi soggetti (alcuni dei
quali neanche immaginati). Ecco quindi che, se da un lato la globalizzazione ha aumentato le
minacce per le imprese (inasprimento della concorrenza), dall'altro c'è stata in grado di aprire
nuove opportunità (aumento dei dati);
- La maggiore velocità nello sviluppo tecnologico: a differenza di ciò che accadeva qualche tempo fa,
si ha una più rapida diffusione delle conoscenze e delle competenze tecnologiche, questo sia in
termini di riduzione del ciclo di vita della tecnologia (una tecnologia in grado di diffondersi in
maniera più rapida avrà anche un ciclo di vita più breve), sia nella capacità di assorbimento, da
parte dei concorrenti, delle innovazioni introdotte da un'azienda. questo si traduce in una sempre
più necessaria capacità nel saper continuamente innovare ed introdurre miglioramenti, facendo
evolvere tale abilità con i cambiamenti in termini di tempo di apprendimento della concorrenza.
Per quanto riguarda i fattori influenzanti le risorse dell'azienda, è possibile citare:
- aspetti economici, in termini di aumento del benessere della popolazione: questo potrebbe
significare, ad esempio, una difficoltà, da parte delle aziende, nel reperire nuovo personale, proprio
perché le persone risultano essere maggiormente benestanti (e meno propense alla ricerca di un
impiego o al cambiamento di ruolo a favore di uno più redditizio);
- l'evoluzione del livello di istruzione e della cultura personale: è evidente come, nel corso del tempo,
sia aumentato in maniera vertiginosa il livello di istruzione dei singoli individui, il che significa che,
per soddisfare le proprie risorse umane, sarà necessario affidargli un ruolo coerente con quelle che
sono competenze, abilità e conoscenze possedute; questo rappresenta una vera e propria sfida per
le moderne aziende, poiché, spesso, significa dover concedere maggior delega autonomia e
responsabilità al proprio personale. ad esemplificazione di come sia stato forte il cambiamento in
tal senso, si guardi a quanto fatto dalla Ford agli inizi del Novecento: mossa dalla volontà di
massimizzare l'avrebbe capacità produttiva, ideò il modello a "catena di montaggio", estraendo
propriamente la conoscenza su come realizzare un'auto dalla testa dei tecnici e degli ingegneri
professionisti, e formalizzati con la in una procedura standard, chiara e assolutamente definita; in
questo modo, in pochissimo tempo, chiunque sarebbe stato in grado di eseguirla, ad un livello di
produttività pari a quello posseduto dagli operai già esperti nella sua esecuzione. Tutto ciò era
coerente con le caratteristiche dell'ambiente lavorativo dell'epoca e le priorità competitive:
l'efficienza nell'esecuzione delle attività, risorse umane poco istruite e con basse competenze, che
dell'impiego guardavano anzitutto il salario, e la volontà di dare impiego alla percentuale di
popolazione più alto possibile, trovarono ideale collocazione nel modello fordiano, la cui
configurazione delle operations era in grado di minimizzare il costo di produzione (vantaggio
competitivo fondamentale poiché consentiva di proporre un prezzo di mercato "abbordabile" per
tutti), permettendo di retribuire i propri dipendenti con un salario che era il doppio rispetto a
quello dato a tutti gli altri equivalenti nel settore. È ovvio che, ogni giorno, tale configurazione non
avrebbe praticamente più ragion d'essere: un aumento del livello culturale di distruzione delle
persone, i modelli di stampo fordistico sono stati ampiamente superati; oggigiorno non si ha più
l'esigenza di mettere in piedi un sistema che adatto a personale poco specializzato ed istruito, bensì
una configurazione in grado di sfruttare al massimo il potenziale delle proprie risorse, sempre più
abili e competenti. Questo passa, inevitabilmente, attraverso una riprogettazione delle operations
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(utilizzare gli stessi modelli di prima significherebbe avere un disallineamento con quelle che sono
le caratteristiche delle risorse umane in esso impiegate);
i fattori sociali, quali l'esigenza di riconoscimento dell'autorità: ovviamente, questo aspetto può
essere più o meno marcato con riferimento ai differenti paesi del mondo (ad esempio, in Cina, sono
molto diffusi i modelli militari di gestione delle risorse, che si basano su un concetto di gerarchia
molto spinto; è evidente che una logica di questo tipo non trova applicazione e funzionamento
dappertutto);
infine, l'innovazione apportata dalle tecnologie dell'informazione, sempre più dirompente, e che ha
modificato radicalmente il modo di eseguire i processi all'interno dell'azienda.
Tutti questi fattori hanno contribuito a modificare il modello organizzativo adottato dalle imprese,
all'interno del quale figurano anche le operations; è per questo motivo che è stato necessario passare
dall'approccio tradizionale ad uno basato su una logica differente.
L’APPROCCIO INNOVATIVO DI DEFINIZIONE DELLA STRATEGIA
come principio generale, va detto che, la definizione di una strategia, deve essere vissuta come un'attività
in grado di generare delle possibilità e delle nuove opportunità, e non dei vincoli. Quello che si vuole dire, è
che, un conto è quanto pianificato ed inserito nel piano strategico, un conto è ciò che poi viene realizzato:
non è detto che tutto quanto previsto all’interno del processo di pianificazione venga poi effettivamente
attuato, così come non è detto che non vi possa essere qualche cosa che, pur non essendo stata prevista,
venga poi comunque realizzata, in quanto percepita come opportunità emergente.
Il punto chiave è quindi il seguente: è sì importante avere una direzione strategica ma, ancora più
importante, è la capacità di saper governare il processo di implementazione di questa strategia, che
potrebbe portare anche ad eseguire attività e raggiungere obiettivi non pianificati e previsti, senza che
questo, tuttavia, rappresenti necessariamente un “male”.
In tal senso, emblematico è il “caso delle motociclette Honda”: entrata nel mercato americano, a metà anni
Ottanta, dopo aver elaborato un modello strategico finalizzato alla penetrazione nel segmento delle
vendite di motociclette di cilindrata 350 (piano che si rivelò fallimentare), si rese conto che, invece, grande
spazio poteva trovarlo il modello di cilindrata a 50 (i classici motorini), portato lì quasi per caso; questo
cambiamento di indirizzo consentì di ottenere un grande successo.
Questo breve esempio mostra proprio come, per quanto un'azienda sia brava a pianificare e programmare
le proprie azioni, non potrà mai essere in grado di prevedere tutto; è quindi sempre necessario mantenere
le "antenne" attive sul mercato, essendo così in grado di monitorarlo costantemente: in questo modo, man
mano che le azioni vengono implementate, si è in grado di raccogliere eventuali tendenze non inizialmente
considerate, potendo così riadattare il piano inizialmente elaborato sulla base di queste nuove opportunità
e cambiamenti emersi (alta capacità di reazione).
Ecco quindi che, da un lato è fondamentale possedere un piano “deliberato” in grado di dare una direzione
ma, d’altra parte, non si può restare “sordi” a ciò che comunica il mercato ed possibili difficoltà operative
incontrate, essendo così in grado di elaborare modi differenti per ottenere il risultato finale desiderato:
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In definitiva è possibile dire che la necessità di avere un approccio strategico deriva dalla volontà di
ottenere un vantaggio competitivo; per ottenere un vantaggio che sia sostenibile, occorre tuttavia mettere
in campo risorse e fare degli sforzi, azioni che daranno un ritorno in un tempo significativo. Poiché
l'efficacia ottenuta, quasi mai è frutto di una sola scelta azzeccata ed isolata, ma è la risultante di tante
piccole scelte corrette, è necessario avere una direzione strategica: per raggiungere i propri obiettivi, non
sempre è necessario raggiungere l'ottimo sempre e comunque, ma ma spesso è sufficiente fare tante
piccole scelte giuste, migliori di quelle fatte dalla concorrenza; l'abilità di un'azienda consiste quindi nel
riuscire a creare un ambiente all'interno del quale ciascuno è in grado di prendere delle decisioni che diano
dei risultati migliori di quelli ottenuti dai concorrenti. Come detto, per fare tante piccole scelte giuste serve
una chiara linea guida, proprio quella che si definisce "strategia deliberata".
d'altra parte però, la sola direzione strategica non è sufficiente; proprio perché gli ambienti sono ormai
sempre meno prevedibili e in continua evoluzione, non è possibile pianificare tutto a tavolino: per questo
motivo è fondamentale continuare a monitorare ed a valutare le evoluzioni in itinere, ciò che succede sul
campo, potendo così rielaborare e riorientare i piani alla luce delle nuova conoscenze. Questa è proprio
quella che si definisce “strategia emergente”, che consente, quindi, di riuscire a tenere conto anche di tutti
quei fattori che non si è stati in grado di prevedere “ex ante).
È fondamentale che entrambe queste strategie siano presenti:
 un’azienda che punta solo sull’attività di pianificazione, non si curerà di quello che poi succede dal
punto di vista operativo: senza parte deliberativa, inevitabilmente l’organizzazione andrà a
“sbattere" da qualche parte, proprio perché non tiene conto del continuo mutamento del contesto;
 un’azienda che opera senza avere alle spalle una anche minima direzione strategica, ma basandosi
solo su quanto rilevato “in corso d’opera”, non potrà che essere volatile ed in balia degli eventi, in
quanto continuerà ad adattarsi ed a riconfigurarsi ogni qual volta registrerà un cambiamento
nell’ambiente circostante (che ha reso inefficiente e/o inefficace la struttura precedente).
La logica conseguenza di questo discorso (che si incarna nell’esigenza di mettere insieme entrambe le
visioni strategiche sopra descritte), ha portato alla definizione di un approccio innovativo di elaborazione
alla strategia: le strategie funzionali non possono essere indipendenti le une dalle altre, né discendere
sequenzialmente dalla strategia di business (come accadeva nell'approccio tradizionale), ma devono
comunicare tra loro ed interagire, al fine di definire la strategia a livello di business unit e di vertice
aziendale. L'approccio innovativo non è quindi più né sequenziale né gerarchico, bensì simultaneo e
bidirezionale:
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Emergono due differenze rispetto allo schema “classico” di definizione della strategia:
- anzitutto, il rapporto business unit – funzioni non è univoco, ma bidirezionale: non è più la sola
business unit che “detta” le linee da seguire alle singole funzioni ma, proprio perché è stata chiarita
l’importanza della strategia emergente, è possibile che siano le funzioni stesse (attraverso i risultati
raccolti in itinere) a determinare delle modifiche alle direttive strategiche della divisione. Tutto
questo è possibile anche (e soprattutto) grazie alle competenze, alla professionalità ed alle
conoscenze sviluppate sempre più all’interno delle differenti unità aziendali (si ricordino i fattori
che hanno messo in crisi l’approccio tradizionale);
- in secondo luogo, gli obiettivi di budget, a livello funzionale, non vengono discussi secondo una
logica bilaterale (vertice – funzione), ma in maniera integrata: si immagini un “tavolo”, intorno al
quale vengono a sedersi tutti i responsabili delle funzioni che, in accordo con i vertici, definiscono
insieme quelle che sono le scelte strategiche più opportune (e, implicitamente, i target da
raggiungere e le risorse necessarie per farlo), garantendo così massima coerenza rispetto a quella
che è la logica di competizione e posizionamento dell’azienda sul mercato. Se, ad esempio,
l’obiettivo di business dell’impresa risulta essere il raggiungimento di una “leadership di costo”, per
ottenerlo, è necessario che tutte le funzioni decidano ed eseguano le attività in coerenza con
questa finalità (la produzione dovrà organizzarsi in modo tale da realizzare il prodotto al minor
costo possibile, la progettazione dovrà ricercare materiali meno costosi, ridurre il numero di
componenti, realizzare un design che consenta di ridurre il tempo di assemblaggio, gli acquisti
dovranno cercare di strappare condizioni vantaggiose e sconti nei contratti stipulati con i fornitori e
così via); se, invece, come accade nella definizione del budget bidirezionale, la definizione degli
obiettivi si riduce ad una sommatoria di contrattazioni “vertice – funzione”, all’interno delle quali
ognuno guarda ai propri interessi, l’iniziale macro – obiettivo non potrà mai essere raggiunto.
OPERATIONS E VANTAGGIO COMPETITIVO: LE DIMENSIONI DI PRESTAZIONE
Tutto quanto detto ha valenza a linee generali; bisogna tuttavia cercare di declinare questo discorso a
livello dei processi caratteristici delle operations.
Creare vantaggio competitivo attraverso le operations significa definire il posizionamento strategico
dell’azienda dal punto di vista delle prestazioni di tempo, costo, qualità, flessibilità e servizio.
Nel parlare di tempo, bisogna differenziare tra velocità e puntualità:
- velocità significa capacità di ridurre l’intervallo temporale che intercorre tra richiesta di ordine da
parte del cliente e consegna dello stesso;
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puntualità significa, invece, capacità di consegnare il bene e/o servizio richiesto al cliente al
momento pattuito e da lui desiderato.
Fare riferimento al costo (o al prezzo, che da esso discende), significa guardare all’efficienza
nell’organizzazione delle operations, all’interno delle quali rientrano i processi che determinano la gran
parte delle voci che vanno a confluire nei costi pieni industriali di prodotto/servizio (acquisto dei
componenti e dei materiali necessari, costi di manutenzione, eventuali aggiornamenti ed upgrade di
prodotto necessari, costi di dismissione…).
All’interno della qualità, è invece necessario fare il seguente distinguo:
- si parla di “qualità di progetto”, con riferimento all’aderenza delle caratteristiche del
prodotto/servizio rispetto a quelle che sono le esigenze del mercato e del segmento all’interno del
quale l’azienda ha deciso di posizionarsi (per questo è anche detta “qualità di specifiche”);
- si parla di “qualità di conformità”, con riferimento all’aderenza, di ogni prodotto realizzato, alle
specifiche di progetto definite.
È evidente come rappresentino due dimensioni estremamente differenti (un’azienda potrebbe avere una
qualità di conformità eccellente, ma se le caratteristiche dei suoi prodotti non incontrano le esigenze del
mercato, comunque non riuscirà a penetrarlo opportunamente).
La flessibilità, ovvero la capacità di saper implementare dei cambiamenti con tempi e costi sostenibili, può,
anch’essa, essere declinata su più dimensioni:
- flessibilità di prodotto, in termini di capacità di saper introdurre un nuovo prodotto;
- flessibilità di personalizzazione, in termini di capacità di saper realizzare prodotti (più o meno)
customizzati sulle esigenze specifiche dei clienti;
- flessibilità di gamma, in termini di capacità di poter ampliare la propria gamma esistente;
- flessibilità di piano, che fa riferimento all’estensione del cosiddetto “orizzonte di congelamento”
(ovvero quell’istante temporale, all’interno del tempo di attraversamento, oltre il quale fare
modifiche in termini di tempi di consegna e/o quantità da consegnare per l’ordine diventa critico):
tanto più, tale valore, è posto alla fine del tempo di attraversamento, quanto più l’azienda potrà
dirsi flessibile.
Infine, nel parlare di servizio si fa anzitutto riferimento alla disponibilità del prodotto/servizio richiesto; ad
esempio, nel caso delle aziende che operano in Make – To – Stock, la prestazione di servizio viene a
coincidere con il “livello di servizio” offerto (ovvero, la probabilità che, a fronte di un ordine cliente, si abbia
immediatamente la possibilità di fargli avere il bene desiderato). Più in generale, comunque, parlare di
servizio significa propriamente intendere tutti quegli aspetti che vanno oltre il bene offerto (assistenza post
e pre vendita, customer care, miglioramento tecnologico…)
Posto questo, nel fissare quelli che sono gli obiettivi strategici delle operations (in termini di prestazioni di
cui si parlava poco sopra), occorre:
 da un lato, guardare il mercato, identificando quelle che sono le priorità richieste sulla base dei
fabbisogni della clientela, azioni della concorrenza ed eventuali altri fattori ambientali: in questo
caso, quindi, il vincolo sono le caratteristiche e le esigenze del segmento all’interno del quale si è
deciso di competere, andando a scegliere, con le altre funzioni (si ricordi, sempre, che la
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prospettiva è quella dell’approccio innovativo ed integrato), il mix di obiettivi che è necessario
ottenere per raggiungere il posizionamento desiderato sul mercato. L’allineamento tra
configurazione delle operations e caratteristiche del mercato è fondamentale, in quanto tempi,
costi, qualità, flessibilità e livello di servizio sono, già di per sé, obiettivi difficili da raggiungere;
inoltre, occorre tenere conto del fatto che non esiste un sistema migliore ed eccellente su tutte le
dimensioni (occorre, quindi, fare una “scelta” su quelle che sono le prestazioni desiderate);
 definite le prestazioni desiderate, occorre però poi guardare all’interno, ed all’attuale
configurazione delle operations, in termini di settore tecnologico impiantistico (beni e risorse
materiali a disposizione, capacità produttiva e suo frazionamento, scelte di make or buy,
caratteristiche del processo tecnologico, layout, grado di automazione…), settore organizzativo
(livello di delega e responsabilità, organizzazione del lavoro, caratteristiche del sistema di
incentivazione, flussi informativi tra i vari livelli…) e settore gestionale (presenza di sistemi di
programmazione delle operations, di sistemi di gestione della capacità, politiche di manutenzione
adottati, modalità di controllo qualità, logiche di allocazione dei costi utilizzate…); in questo modo,
si è in grado di identificare quelle che sono le prestazioni “ottenibili” dall’attuale configurazione (è
evidente che, muovendo le leve strutturali e/o infrastrutturali delle operations, si sarà in grado di
ottenere prestazioni differenti).
È evidente che, le due cose, devono trovare una riconciliazione ed un allineamento: le prestazioni richieste
dal mercato (derivanti dalle analisi sui fabbisogni dei clienti, il posizionamento desiderato sul mercato e la
strategia dei concorrenti) devono coincidere (o, quanto meno, tendere) a quelle erogabili dal sistema di
operations (che dipendono dalle caratteristiche tecnologiche ed impiantistiche, organizzative e gestionali).
Si tenga presente che, nel caso in cui questo non accada, sono possibili due soluzioni:
 la prima, e più ovvia, è rappresentata dalla possibilità di cambiare alcune delle variabili interne, di
modo da rendere il sistema di operations maggiormente coerente con le prestazioni desiderate;
 laddove però, il cambiamento interno, fosse troppo oneroso (o impossibile) da implementare, è
anche possibile andare ad agire nell’altra direzione, riorientando il proprio target di mercato, e
dirigendosi verso un posizionamento maggiormente allineato con le prestazioni che si è in grado di
offrire (l’unico modo che ha l’azienda di modificare la dimensione delle “prestazioni desiderate” è,
difatti, quello di variare il proprio posizionamento, non potendo, se non solo marginalmente, far
variare i fabbisogni dei clienti e direzionare le azioni della concorrenza).
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D’ora in poi, nel parlare di “approccio strategico” alle operations, lo schema di riferimento sarà quello sopra
presentato, che contrappone, secondo le dimensioni caratteristiche dei processi “core”, le prestazioni che il
sistema è effettivamente in grado di proporre al mercato, a quelle che il mercato desidera, al fine di
valutarne la consistenza.
LE LEVE STRATEGICHE DELLE OPERATIONS
Come detto, nel caso in cui non vi sia conciliazione tra prestazioni desiderate ed offerte, l’azienda può
decidere di percorrere due possibili alternative; poiché, del riposizionamento sul mercato, in genere se ne
occupa la funzione marketing, più interessante è andare ad analizzare, più nel dettaglio, quelle che sono le
leve strategiche che si hanno a disposizione per modificare il sistema di operations, di modo tale da
renderlo maggiormente allineato agli obiettivi di mercato.
Scelte tecnologiche - impiantistiche
La prima delle leve rientrante in questa categoria è la decisione sulla capacità produttiva da installare, in
termini di dimensionamento, frazionamento tra le unità e localizzazione. Si ipotizzi di dover aprire un nuovo
stabilimento; sulla base di quali fattori si decide quanta capacità produttiva installare e come installarla?
Per quanto riguarda lo specifico problema di dimensionamento, alcuni aspetti da considerare potrebbero
essere:
- la domanda prevista sul lungo termine;
- la quantità di risorse umane a disposizione;
- il numero di turni sui quali si è deciso di lavorare;
- la strategia di gestione del rischio (se si ritiene più grave la perdita di un possibile ordine per
saturazione, allora si installerà capacità in eccesso, se, invece, l’avere capacità inutilizzata è
considerato un evento rischioso, si ne installerà una “al limite” dei valori previsti);
- possibili vincoli dettati dai costi fissi (determinati investimenti di capitale sono giustificati solo oltre
una certa soglia di volumi successivamente realizzati, oppure per esigenze in termini di economie di
scala);
- presenza di sovracapacità negli impianti della concorrenza (una sottosaturazione sistematica di
settore rappresenta un deterrente ed una forte barriera all’ingresso per i potenziali nuovi entranti
poiché, se coloro che già operano all’interno del mercato fanno fatica a saturare le proprie risorse,
ne farà ancora di più un’impresa appena affacciatasi).
La decisione relativa alle modalità di frazionamento, invece, è guidata anzitutto dall’importanza delle
economie di scala e dal loro valore:
- in un mercato in cui la variabile di competizione è il prezzo, il prodotto è sostanzialmente una
commodity, ed è fondamentale avere garantita saturazione delle risorse, la configurazione ideale
vedrà la presenza di un unico grande impianto, interamente dedicato alla produzione;
- in un mercato in cui l’importanza delle economie di scala è marginale, le dimensioni prestazionali
rilevanti sono quelle di efficacia, e le esigenze dei clienti vanno verso un ampliamento della gamma
dei prodotti (bisogno di personalizzazione), la configurazione ideale vedrà un frazionamento della
capacità produttiva in più impianti (magari, ognuno dei quali dedicato alla produzione di una
particolare linea), risultando così più “vicino” al mercato ed in grado di cogliere al meglio le sue
specificità.
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Spesso, inoltre, anche le esigenze in termini di elasticità ai volumi potrebbero influenzare la decisione: nel
caso in cui si abbia una forte volatilità nelle quantità richieste, è possibile che, l’avere un unico grande
impianto, sia una soluzione penalizzante rispetto all’averne di più, di dimensioni minori, e meno saturati
(nel primo caso, una variazione dei volumi, per essere soddisfatta, richiede o l’ampliamento della capacità
dell’impianto esistente, o l’acquisizione di un ulteriore macchinario; nel secondo caso, è sufficiente
sfruttare l’extracapacità degli n impianti di dimensioni medie non attualmente impegnata).
Infine, a guidare la localizzazione, sono i drivers legati alle competenze richieste alle risorse umane, alla
disponibilità delle stesse e all’eventuale possibilità di sfruttare dei benefici (non è raro che, regioni o stati,
propongano alle aziende delle condizioni vantaggiose in cambio di un investimento sul loro territorio, fatto
che, dal loro punto di vista, genera tutta una serie di conseguenze positive sull’economia locale: partendo
dalla creazione di maggiore occupazione, passando attraverso la possibilità di offrire tutto un indotto di
servizi, come taxi, ristoranti ed hotel, in grado di far prosperare l’economia della zona, fino ad arrivare ad
una maggiore attrattività della zona stessa).
La seconda delle leve tecnologiche – impiantistiche è rappresentata dalle scelte di make or buy strategico,
che consistono nell’andare a decidere se gestire direttamente una competenza tecnologica o andare a
reperirla all’esterno; in sostanza, si tratta di decidere quali attività controllare in prima persona e quali
delegare all’esterno (in quanto considerate a creazione di vantaggio competitivo nullo). In genere, quello
che si fa è esternalizzare tutte quelle che sono competenze specifiche, ovvero non differenziali rispetto alla
concorrenza, ma per le quali sono richieste certe economie di scala e di apprendimento (che solo un
fornitore specializzato in quella attività sarebbe in grado di garantire) ed un valore di massa critica; al
contrario, si tengono all’interno le competenze chiave e core (a creazione di vantaggio competitivo) e
quelle laterali (che potrebbero risultare potenzialmente chiave nel caso in cui si decidesse di entrare in
nuovi business). Dalle considerazioni fatte, emerge, quindi, come, tali decisioni, non siano statiche, ma
debbano essere continuamente rivalutate e riviste:
- da un lato, è difatti possibile che, ad un certo punto, in virtù dell’esigenza di ampliare le abilità ed il
know – how dei propri progettisti, sia necessario decidere di cominciare a padroneggiare
tecnologie e competenze fino a quel momento fornite da terze parti;
- d’altra parte, è sempre più frequente che, un’azienda, decida di passare da una situazione più
integrata ad una più “snella”, decidendo di esternalizzare parte delle sue attività, andandosi a
focalizzare su una specifica competenza.
Una terza leva è rappresentata dalle caratteristiche del processo tecnologico, che guarda, nello specifico, al
tipo di attrezzature ed impianti utilizzati per produrre.
Connesso a questa variabile, vi è poi il grado di meccanizzazione ed automazione, in termini di supporto alle
risorse umane nell’esecuzione delle attività produttive e manifatturiere.
Attenzione deve essere data anche alla tipologia impiantistica del sistema produttivo, che porta a scegliere
tra configurazioni quali il sistema a reparti, le celle di fabbricazione o la configurazione in linea (o un mix di
questi tre modelli). In tal senso, di grande utilità risulta l’incrocio tra le due dimensioni “varietà” e “volumi”,
che aiutano ad identificare la configurazione più adatta proprio in funzione di questi aspetti:
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Job Shop
Celle
Linee
Infine, occorre guardare alla configurazione della Supply Chain, con particolare riferimento alla scelta del
canale distributivo: è evidente che, in base a quelle che sono le caratteristiche del prodotto ed al
posizionamento desiderato, si dovranno utilizzare “veicoli” differenti (un prodotto esclusivo arriva, sul
mercato, attraverso canali differenti rispetto ad un prodotto di massa).
Scelte organizzative
Parlando di scelte organizzative, il riferimento è alle seguenti leve:
 competenze necessarie allo svolgimento delle attività (meccaniche, elettroniche, informatiche…) e
loro gestione (in termini di evoluzione, miglioramento ed affinamento nel tempo);
 definizione del livello di delega e responsabilità;
 organizzazione del lavoro (in team o individuale);
 caratteristiche del sistema di incentivi (assegnazione dei bonus in base al raggiungimento degli
obiettivo o all’aderenza alle procedure);
 livello di integrazione tra le funzioni (progettazione e produzione, design e progettazione,
marketing e progettazione…): nel fare questo, occorre tenere presente che, integrazione e
coordinamento, richiedono impiego di tempo e risorse; bisogna quindi essere in grado di
“scegliere” identificando, anzitutto, quelle che sono le priorità di investimento;
 struttura dei flussi informativi, sia orizzontale (tra funzioni), che verticale (tra livelli gerarchici
differenti).
Scelte degli strumenti gestionali
A questo livello, vengono definiti i principali sistemi e configurazioni a supporto delle attività, in termini di:
- definizione del processo di programmazione delle operations (ad esempio, facendo riferimento a
software di supporto informatici quali MRP, DRP, previsione della domanda, e così via: bisogna
capire se si tratta di pacchetti effettivamente utili all’azienda, in quanto, si tratta, una volta
installati, di mantenerli correttamente, ed alimentarli con le “giuste” informazioni, altrimenti
risulterebbero inutili);
- scelta delle modalità di risposta alla domanda (approccio alla produzione: Make To Stock, Assemble
To Stock, Assemble To Order…);
- definizione dei meccanismi di coordinamento all’interno della Supply Chain;
- scelta delle modalità di realizzazione del prodotto;
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-
identificazione delle modalità di gestione e realizzazione della manutenzione;
progettazione di sistemi di miglioramento (chiarendo se la tendenza è quella di prediligere
interventi di BPR, più radicali, oppure se puntare al miglioramento continuo delle operations).
Posto questo, in base a come le aziende sono state in grado di sviluppare la loro capacità di gestire
strategicamente le operations, si possono distinguere quattro differenti livelli di maturazione:
1) Internally neutral;
2) Externally neutral;
3) Internally supportive;
4) Externally supportive.
Parlare di operations “internamente neutrali”, significa fare riferimento ad aziende e realtà in cui la parte
di operations non è vissuta né come un punto di debolezza, né come un punto di forza; in genere, è facile
trovare queste situazioni in quei contesti in cui le operations si trovano ad “annegare” nello stato di
arretratezza complessivo dell’azienda (e, quindi, anche gli altri processi sono caratterizzati dagli stessi
discreti livelli prestazionali).
Parlare di operations “esternamente neutrali”, invece, significa fare riferimento non solo al fatto che, in
relazione agli altri processi caratteristici, le operations non risultano essere caratterizzate da un livello di
arretratezza superiore, ma anche al loro allineamento rispetto a quelle che sono le scelte fatte dalla
concorrenza; in sostanza, si è in un ambito in cui esiste una configurazione “best practice” di questi
processi, e l’azienda ha deciso di conformarsi a queste scelte consolidate (se, ad esempio, nel settore è
diffuso lo strumento dell’eCommerce, allora anche l’azienda deciderà di adottare tale applicazione
informatica di supporto).
Parlare di operations “internamente di supporto” significa fare riferimento a delle operations configurate
in modo da essere coerentemente allineate con quello che è il posizionamento e la strategia di mercato
dell’azienda; con riferimento allo schema presentato, significa aver strutturato dei processi che ben si
conciliano con quelle che sono le prestazioni desiderate dal mercato.
Infine, parlare di operations “esternamente di supporto” significa fare riferimento allo stadio di
maturazione di più alto livello: non solo i processi “core” risultano essere strategicamente allineati, ma le
operations rappresentano il vero e proprio motore del vantaggio competitivo e del successo dell’azienda
sul mercato.
Per capire che cosa si intende parlando di operations come differenziale a favore dell’azienda, si faccia il
seguente esempio.
Si consideri un’azienda che, nel corso del tempo, è stata in grado di acquisire una posizione di rilevanza sul
mercato delle vendite per un certo prodotto, grazie ad un processo di continuo miglioramento delle
prestazioni dei suoi processi operativi (qualità, sviluppo, rapporto con i fornitori, tecnologie di produzione,
gestione delle risorse umane e materiali…). È arrivata ad essere talmente confidente sul prodotto realizzato
che, per l’anno successivo, ha previsto una strategia di marketing che proponga al cliente una garanzia sul
bene maggiormente prolungata nel tempo (proprio perché “forte” dell’alta affidabilità di quanto
realizzato).
Il caso descritto è proprio in esempio di vantaggio competitivo che l’azienda è in grado di sfruttare grazie
alle prestazioni “ongoing” delle operations: l’alto livello di efficacia ed efficienza le ha consentito di poter
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attrarre la clientela con una proposta di garanzia che, probabilmente, nessuno degli altri concorrenti sarà in
grado di migliorare (o eguagliare).
Si tenga presente che, benché agli occhi del cliente non appaia differenza, uno scenario di questo tipo è ben
diverso rispetto alla situazione in cui l’azienda decida di aumentare la proposta di garanzia previa stipula di
un’assicurazione che copra tutte le possibili conseguenze derivanti dal riscontro di difettosità nei prodotti:
in un caso di questo tipo, il vantaggio competitivo dell’azienda non deriva da un marcato miglioramento dei
suoi processi e delle prestazioni che essi sono in grado di offrire, bensì da un semplice investimento
assicurativo, che, tuttavia, non modifica in alcun modo l’assetto e la configurazione delle operations (che
continueranno a produrre allo stesso livello di costi, ad avere lo stesso tasso di difettosità, ad essere
caratterizzate dalla stessa flessibilità…).
Modificare la configurazione delle proprie Operations in risposta ai
cambiamenti di mercato: il caso HQ “accessori in plastica”
L’azienda HQ è un’azienda di stampaggio ad iniezione che, fino a poco tempo fa, era riconosciuta come uno
dei più importanti fornitori di componenti plastici nel campo degli accessori domestici.
Sette anni fa, tuttavia, benché con due anni di anticipo rispetto all’effettiva realizzazione dei fatti, il più
grande cliente dell’azienda comunicò di aver deciso di rinnovare la sua gamma, ed avrebbe
progressivamente azzerato la sua domanda nei confronti della HQ, in quanto, tale ristrutturazione, avrebbe
comportato il phase – out della linea che richiedeva tali accessori.
Questo, per l’azienda, rappresentò un grossissimo problema, in quanto, gli ordini di tale cliente,
occupavano più del 50% della capacità complessiva.
Al fianco di questo problema, inoltre, l’azienda stava cercando di reagire alla concorrenza delle piccole
aziende locali nella gamma di articoli per la casa, le quali erano in grado di competere efficacemente in
questo segmento, offrendo prodotti simili ad un prezzo paragonabile a quello di HQ (se non inferiore).
Ecco quindi che fu necessario implementare un cambiamento; nel seguito, vengono presentate alcune
possibili alternative.
Continuare a competere nello stesso mercato e con le stesse caratteristiche di prodotto, cercando di
aumentare la base dei propri clienti (attrazione di clienti potenziali) e la penetrazione su quelli attuali
Poiché, ad abbandonare l’azienda, è il cliente che occupa, attualmente, il 50% della domanda, per riuscire a
ristabilire la situazione iniziale, bisognerebbe essere in grado, in due anni, di aumentare del 100% le vendite
sul resto dei clienti. Trattasi, ovviamente, di un obiettivo irrealistico da presentare al management, per due
ragioni:
- Se si hanno validi motivi per ritenere che esso sia verosimilmente raggiungibile, potrebbe sorgere
l’interrogativo sul perché non si siano implementati piani di azioni per ottenere questo aumento
prima dell’evento di abbandono del cliente;
- Guardando le caratteristiche del prodotto e del mercato in cui è inserito, è ragionevole pensare a
volumi di vendita abbastanza stabili e consolidati che, al peggio, potrebbero semmai essere
intaccati dalla concorrenza dei piccoli produttori locali.
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Decidere di disinvestire e fare downsizing dell’organizzazione (ridurre la capacità produttiva
proporzionalmente alla diminuzione dei volumi di vendita)
Una soluzione di questo tipo potrebbe essere ragionevole: non è che un’impresa, per essere di successo,
debba necessariamente essere dimensionalmente estesa, l’importante è che sia in grado di garantire
redditività ed equilibrio. Il disinvestimento però, comporta tutta una serie di problemi non trascurabili,
primo tra tutti il fatto che, quasi mai, ad una riduzione della capacità installata e dei volumi produttivi, si
accompagna un decremento proporzionale dei costi: si pensi, ad esempio, ai costi di ammortamento o di
affitto di uno stabilimento (che, non variando, dovrebbero essere spalmati su minori unità), oppure a quelli
del personale (dimezzare i volumi non significa, automaticamente, dimezzare anche le risorse umane). In
sostanza, questa alternativa avrebbe l’effetto di far lievitare di molto i costi unitari di produzione, il che
sarebbe sicuramente un problema nel momento in cui ci si ritrova a competere con i piccoli produttori
locali, che si caratterizzano per una struttura di costo molto efficiente (in raffronto, la struttura di costo è
già “pesante” ora con elevati volumi; facendo downsizing, tale differenziale si amplificherebbe ancora di più
a loro vantaggio).
Provare a seguire il cliente su differenti tecnologie (ad esempio, nel caso in cui si percepisca un’esigenza di
stampaggi in alluminio, e non più in plastica, valutare l’opportunità di adattarsi a questa richiesta)
Se si volesse adattare i propri processi alle esigenze della cliente, il vantaggio è rappresentato, senza
dubbio, dalla possibilità di attrarre nuovi clienti e far leva su nuovi volumi (magari, in aggregato, anche
superiori a quelli che venivano realizzati in precedenza); tuttavia, va anche considerato il rischio legato alla
necessità di entrare in contatto con una nuova tecnologia che, magari, per garantire determinati livelli di
efficacia e/o efficienza, richiederebbe economie di scala e volumi sui quali non si sarebbe in grado di
contare nel breve termine.
Valutare la possibilità di integrarsi a valle
Il processo di integrazione è abbastanza critico (nonché in controtendenza rispetto a quelli che sono i
fenomeni di outsourcing che stanno caratterizzando il mondo industriale negli ultimi anni), per due motivi:
- Emerge chiaramente come, i player che, nella filiera, si trovano allo stadio successivo rispetto ad
HQ, siano dimensionalmente molto più grandi e potenti (complessità del processo di acquisizione);
- Anche ammesso che si sia in grado di integrarsi, sorgono poi tutti i problemi connessi al fatto che,
l’azienda, si troverebbe a realizzare un prodotto differente rispetto a quello realizzato fino ad un
certo istante, con tutti i problemi del caso (benché relativamente smorzati dal fatto di poter
contare sull’esperienza delle risorse facenti parte dell’organizzazione acquisita).
Mantenere le stesse caratteristiche di prodotto, ma cercare di penetrare in nuovi mercati (dal punto di
vista geografico)
Ricercare nuove aree geografiche, mantenendo lo stesso prodotto, significa implementare un processo di
internazionalizzazione del proprio mercato (attualmente, il riferimento è solo il contesto inglese). Nel fare
questo, tuttavia, occorre capire dove dirigersi, dove la scelta è tra:
- Mercati a maggiore (o uguale) ricchezza;
- Mercati di ricchezza inferiore.
Essendo il prodotto in questione, un prodotto di massa, standardizzato ed a basso costo,
l’internazionalizzazione dovrebbe puntare a mercati che siano più ricchi di quello all’interno del quale,
attualmente, si opera; in quelli a ricchezza inferiore, difatti (i LCC, come India, o Cina), sarà molto difficile
riuscire a vendere un prodotto, già di per sé economico, a condizioni più economiche di quelle proposte dai
produttori locali (che sono “maestri” in questo tipo di cose). In sostanza, sono le caratteristiche del
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prodotto a limitare il raggio di globalizzazione (nei LCC si hanno potenziali opportunità solo se si vendono
prodotti di valore: in genere, difatti, sono i produttori di questi paesi che cercano di vendere
economicamente in mercati più ricchi dei loro, e non il contrario); inoltre, occorre tenere conto del fatto
che, anche ammettendo la possibilità di penetrazione di un mercato “povero”, si incorrerebbe in costi di
trasporto molto elevati, che andrebbero ad abbattere il già ridotto margine sul prodotto.
Gli unici mercati realisticamente praticabili sarebbero, quindi, i paesi scandinavi e la Germania, che non
sembrano tuttavia in grado di garantire una domanda pari alla perdita subita.
Cambiare mercato di riferimento, offrendo un nuovo prodotto ad un nuovo segmento
Sembra essere la soluzione più praticabile: HQ ha, tra le sua core competences, la capacità di realizzare gli
stampi, in quanto conosce e padroneggia la tecnologia e possiede tutto il know – how necessario; perché,
quindi, limitarsi al prodotto di massa attuale, e non estendersi in un altro segmento, proponendo articoli
per la casa di fascia medio – alta?
È quindi spiegato il perché si decide di penetrare in questo nuovo segmento: in comune, con le competenze
attuali richieste, si ha l’attività di stampaggio dei prodotti, mentre, l’unica differenza, risiede nel fatto che,
per la nuova gamma di prodotti, ci si dovrà avvalere di uno studio in grado di realizzare il progetto di
dettaglio dello stampo (per i prodotti in plastica, questa attività era svolta dai clienti).
I CAMBIAMENTI DAL PUNTO DI VISTA DELLE OPERATIONS
Nell’intraprendere il cambiamento ed entrare nel nuovo segmento, sono state intraprese tutta una serie di
azioni negli ultimi sette anni, che hanno mosso una o più leve appartenenti ai settori di configurazione delle
Operations.
Anzitutto, si guardi a come si sono modificati gli investimenti nei macchinari:
Si osserva come, non solo il numero di macchinari è cambiato (diminuendo), ma è stata fatta una scelta
differente in termine di mix e frazionamento della capacità produttiva: poiché, alcuni macchinari,
risultavano datati e, causa usura, non riuscivano a chiudere in maniera corretta le due impronte dello
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stampo (con conseguenti “bave” nel prodotto finale: se, questo, poteva non essere un problema per
prodotti standard ed a basso valore, diventa invece un difetto di qualità nella nuova gamma), si è deciso di
sostituirli ma, invece che acquistare la medesima tipologia, si sono acquistati macchinari più grandi,
andando a ripartire la capacità produttiva in maniera differente (si sono sostituite 28 macchine da 200
tonnellate e 4 macchine da 400 tonnellate con l’acquisto di 5 macchine da 450 tonnellate, e 7 macchine da
600 tonnellate, sei delle quali della terza tipologia, ed una della quarta).
Come conseguenza di questo, si avrà anche una minor esigenza di manutenzione dei macchinari, essendo
questi più nuovi (diminuzione dei costi di manutenzione).
In secondo luogo, sono state modificate le tipologie di attrezzature utilizzate, passando da stampi mono o
bi – impronta, fisicamente più piccoli, a stampi multi – impronta, tramite i quali è possibile realizzare,
contemporaneamente, un numero n di prodotti (invece che il solo esemplare singolo o doppio con la
vecchia tecnologia produttiva). Si tenga presente che, il vantaggio di ottenere più prodotti con un tempo di
ciclo solo leggermente superiore rispetto al precedente, non è controbilanciato dal maggiore investimento
in macchinari che è stato necessario effettuare (per montare uno stampo mono o bi – impronta, si ha la
necessità di una pressa di supporto di dimensioni minori, al contrario di quanto accade con uno stampo
multi – impronta, dove serve un macchinario in grado di applicare una forza ed una pressione di chiusura
più elevata), né dalla maggiore complessità ed onerosità del processo di produzione (esecuzione delle
attività, tempi di set – up più lunghi, maggiori tempi di raffreddamento, sostituzione degli stampi più
complicata…).
Va anche registrato il cambiamento in termino di materie prime che alimentano il processo, il che significa
possibili modifiche alla configurazione della Supply Chain nonché necessità di reperire nuovi fornitori (o
stipulare nuovi contratti con quelli con i quali già si ha una relazione).
Sono poi richieste nuove competenze al personale, al fine di sfruttare al meglio la nuova logica di
produzione, anzitutto per garantire il corretto allineamento dello stampo, aspetto fondamentale da gestire
per una buona qualità nel prodotto finale. Queste nuove competenze sono richieste, senza dubbio, in
attrezzeria; in seguito si avrà poi modo di discutere se l’esigenza la si ha anche per gli operatori a controllo
della macchina (che, attualmente, si limitano a svolgere il controllo della produzione e della qualità, non
venendo coinvolti nel posizionamento delle attrezzature).
Cambiano anche le modalità di soddisfacimento della domanda: mentre, prima, la logica era quella di
ricevere (in anticipo) grossi ordini da parte dei clienti, che venivano, in seguito, richiamati e spediti al fine di
soddisfare i termini di consegna concordati, nel nuovo mercato la logica portante è quella di un Make To
Stock, con invio dei prodotti al punto vendita nel momento in cui esso ne faccia richiesta.
Legato a questa considerazione, c’è anche da evidenziare l’aggiunta di un canale di distribuzione: non si
riforniscono più solo grandi clienti appartenenti alla grande distribuzioni ma, nel nuovo mercato, sono
direttamente i punti vendita al dettaglio ad esporre i prodotti della gamma della HQ; questo comporta,
inoltre, un’ulteriore problematica da gestire: mentre, la grande distribuzione, per politica, propone al
cliente finale una gamma di prodotti di una certa tipologia abbastanza ristretta, il dettagliante cerca,
tendenzialmente, di soddisfare tutte quelle che sono le richieste specifiche del cliente, ordinando al
produttore la particolare versione richiesta nel caso in cui questa non sia presente in negozio; trattasi,
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quindi, di due logiche di gestione della varietà dei prodotti differenti (nel secondo caso, bisogna avere
un’alta capacità di risposta nel riuscire a soddisfare gli ordini nel giro di pochi giorni).
Si modifica poi il processo di assemblaggio, che ora contiene delle attività ed operazioni che, prima, erano
inesistenti.
Infine, va registrata la modifica alle attività immobiliari dell’azienda, che vengono incrementate con
l’acquisto di nuovi capannoni: mentre prima, realizzando prodotti standard e di basso valore, che potevano
essere raggruppati ed imballati congiuntamente, l’esigenza di spazio era contenuta, nella nuova gamma
ognuno dei prodotti deve essere confezionato con il suo specifico imballaggio, differenziandosi dalle altre
categorie, richiedendo, quindi, maggiore capacità di immagazzinamento.
VALUTAZIONE DELLE AZIONI INTRAPRESE DALLA DIREZIONE GENERALE
Guardando ai soli dati contabili ed economici, la situazione sembra fortemente migliorata: arrestando la
valutazione all’utile (lordo), si può osservare come esso sia aumentato di ben otto volte rispetto all’anno di
definizione del suddetto piano, il che dovrebbe fare concludere un grande successo della politica
intrapresa; allo stesso modo, le vendite nette, sono quasi triplicate, e con loro è costantemente aumentato
anche il ROS.
C’è, tuttavia, un dato che desta particolari preoccupazioni: quello relativo alla situazione del magazzino.
Il livello di scorte è aumentato proporzionalmente al crescere delle vendite e, a seguito di ciò, si è
registrato una progressiva diminuzione dell’indice di rotazione; benché non sia corretto confrontare il
valore di tale indice con riferimento a due mercati differenti (non si può comparare la rotazione di un
prodotto standard e di basso valore con quello di un prodotto offerto all’interno di un’ampia gamma e con
differenti varianti), bisogna comunque capire se, tale incremento delle scorte, rappresenti o meno un
problema per l’azienda.
Come noto, alle rimanenze possono essere associate due categorie di costi:
1) Il costo “opportunità” di immobilizzazione del capitale;
2) Il costo legato al rischio di obsolescenza e deperibilità;
è, in particolare, su quest’ultima voce che è necessario focalizzare l’attenzione.
Mentre, se si fa riferimento ad un prodotto standard ed indifferenziato, le scorte non rappresentano un
problema (non si corre alcun rischio in termini di innovazione di prodotto ed evoluzione dei gusti della
clientela), le cose cambiano se si guarda al mercato dei nuovi prodotti: per questi, venendo offerti in ampia
gamma ed essendo influenzati dal fattore moda (ad esempio, per quanto riguarda il colore) e dai gusti della
clientela, la probabilità di obsolescenza delle scorte risulta essere molto elevata (è evidente che, le scorte di
prodotto messe a magazzino n anni fa, è molto facile che, oggi, non incontrino i gusti della clientela).
Per tenere conto di questo fattore, è quindi necessario correggere i dati economici segnalando, a bilancio,
la svalutazione delle scorte (che, dal punto di vista contabile, rimangono comunque valorizzate, anche se a
valore di mercato nullo); ipotizzando che, il massimo livello fisiologico di scorte ammissibile, risulti essere
paria al 10% del fatturato (anche se, come poi si avrà modo di vedere, in realtà non si dovrebbero avere
scorte dei nuovi prodotti a magazzino), tutto quello che è presente a magazzino e che eccede questo valore
viene considerato scorta “morta” (ovvero una rimanenza che non si riuscirà a vendere), avendo la seguente
situazione:
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La logica di lettura è la seguente:
- Al secondo anno (t = - 6), le scorte fisiologiche sarebbero dovute essere pari a 287000 £; in realtà,
essendo, a bilancio, 532000 £, significa un aumento non fisiologico, ed una rimanenza “morta”, di
245000 £, che va detratta dall’utile;
- Al terzo anno (t = -5), le scorte fisiologiche sarebbero dovute essere pari a 421000 £; in realtà, a
bilancio, si ha un valore di 1029000 £ di cui 421000 £ fisiologiche, 245000 £ ereditate (in quanto
invendibili) dal periodo precedente, e 363000 £ che rappresentano l’aumento non fisiologico, che
va ad abbattere l’utile;
- …
Correggendo i valori dell’utile tenendo conto dei dati sulle scorte “morte”, la considerazione
sull’amplificazione dei valori cade totalmente: esso non è in costante aumento ma, anzi, quella che si
presenta è una situazione fortemente altalenante, sintomatica di un basso controllo sulla nuova realtà
(forte aleatorietà dei risultati: l’azienda sembra essere in balia degli eventi).
Inoltre, occorre tenere conto del fatto che, la situazione, non si prospetta in miglioramento nel breve
termine: è, difatti, riportata una dichiarazione del responsabile del Marketing che sottolinea come, per
riuscire a dare al cliente i tempi di risposta desiderati, sarà necessario aumentare le scorte.
Al di là delle apparenze, quindi, la situazione non è poi così migliorata come si pensava. Ma per quale
motivo si sono create queste condizioni?
Nel comprenderlo, è utile rifarsi a considerazioni relative al grafico che incrocia volumi e varietà:
HQ (posizione
del nuovo
segmento)
HQ (7
anni fa)
HQ
(riconfigurazione
delle operations)
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Sette anni fa (quindi, nella situazione di partenza), l’azienda si trovava esattamente in una posizione di
mezzo: realizzava un prodotto abbastanza standard (stesso materiale, la plastica, ma alcune varianti erano
comunque previste), in volumi medio – alti. Per rispondere all’abbandono del suo cliente principale, ha
deciso di rivolgere la sua attenzione ad un nuovo segmento di mercato che, rispetto al precedente, è
caratterizzato da varietà più alta e volumi unitari più bassi; in realtà, però, i cambiamenti fatti a livello di
leve strategiche delle operations hanno reso il sistema più adatto ad ottenere prestazioni idonee per un
mercato caratterizzato da grandi volumi di una gamma più ristretta (si pensi, ad esempio, alla decisione di
diminuire il numero di macchinari: in presenza di n impianti differenti, si potrebbero, ipoteticamente,
produrre n prodotti differenti; in presenza di m < n impianti differenti, si può realizzare un numero di
prodotti inferiori, ma in maggiori volumi, essendo le macchine più potenti).
Tutto ciò è successo proprio perché si è verificato un disallineamento tra operations ed esigenze del
mercato: in virtù di una spinta interna all’innovazione ed al cambiamento, la Direzione Generale ha portato
a modificare i suoi processi operativi e caratteristici, senza tuttavia guardare a quelle che erano le
caratteristiche del mercato ed a come l’azienda si stava muovendo su tale mercato; in sostanza, si è
pensato ad una “one best way” per le operations, ovvero ad una configurazione idonea e valida in assoluto.
Quello che si sarebbe dovuto fare è proprio impostare quel processo di riconciliazione degli obiettivi: i vari
stakeholders del cambiamento si sarebbero dovuti sedere intorno ad un “tavolo” e, seguendo il modello
partecipativo e bidirezionale, valutare le prestazioni desiderate dal mercato (possibilmente, sia per quello
consolidato che per il nuovo), identificare le priorità e configurare di conseguenza le variabili delle
operations, di modo da allinearne le prestazioni erogate.
Ad esempio, potrebbe essere (scala qualitativa da 0 a 3):
Mercato consolidato
Tempo (velocità)
2
Tempo (puntualità)
2
Prezzo (costo)
3
Qualità di specifiche
1
Qualità di conformità
1
Flessibilità di prodotto
1
Flessibilità di gamma
0
Servizio (post vendita)
0
Nuovo mercato
2
2/3
1
2
3
3
3
1
Da questa prima valutazione, emerge che:
 Esiste una differenziazione nelle prestazioni rilevanti per i due mercati (efficienza per il mercato
consolidato, efficacia per il nuovo mercato), e questo rappresenta un aspetto fondamentale;
occorre sempre essere in grado di differenziare le priorità tra i differenti prodotti, identificando ciò
che è più e meno importante, di modo da indirizzare le scelte strategiche (una strategia è ben
elaborata, quando è in grado di far identificare cosa non bisogna fare, quali segmenti non sono
idonei ad essere serviti con quella configurazione, quali esigenze non si è in grado di soddisfare e
quali aspetti non sono prioritari);
 Guardando la dimensione verticale della tabella, come già messo in evidenza, emerge come, da un
lato prevalgano le dimensioni di efficienza, dall’altro quelle di efficacia; questo è un aspetto molto
importante poiché, nel momento in cui ci si ritroverà a fare delle scelte strategiche (progettazione
di un nuovo prodotto, scelta dei macchinari, struttura organizzativa…), bisognerà decidere di modo
da massimizzare le prestazioni – chiave identificate, a discapito di quelle di importanza marginale.
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Si è quindi stati in grado di identificare una serie di indicazioni su ciò che risulta essere rilevante e
ciò che non lo è, aspetto sempre presente nell’ambito delle decisioni aziendali (non è possibile
ottenere sempre il meglio e l’ottimo in tutto: esistono dei trade – off ineliminabili);
 Proprio perché emerge, in maniera lampante, come i due mercati si caratterizzino per peculiarità
diametralmente opposte, è ancora più evidente l’inadeguatezza dell’approccio “one best way” ai
processi: non si possono rendere le operations “miopi” a tali priorità, il che significa che ci sarà una
configurazione ottimale per un certo segmento di mercato, e ve ne sarà un’altra per uno con
caratteristiche differenti; è impensabile, però, tentare di competere dappertutto con il medesimo
sistema. Alle operations, diversi segmenti di mercato, chiedono cose differenti: se si vuole avere
successo ed essere leader, la strategia corretta non è, quindi, quella di “galleggiamento”, tentando
di soddisfare tutte le esigenze mediante un’unica configurazione, ma cercare di renderla flessibile
ed adattabile alle varie specificità.
CONFIGURAZIONE DELLE LEVE STRATEGICHE
Alla luce di quanto detto, si supponga, ora, di partire da “prato verde” (quindi,di ritornare alla situazione di
sette anni fa), e di dover decidere come configurare le differenti leve strategiche, sia per il mercato
consolidato che per il mercato maturo.
Scelte tecnologiche – impiantistiche
Dimensionamento della capacità
produttiva
Frazionamento della capacità
produttiva
Mercato consolidato
Capacità disponibile = domanda
media di mercato
Poche macchine di grandi
dimensioni (multi - impronta)
Nuovo mercato
Extracapacità
Tante macchine di piccole
dimensioni (mono - impronta)
Per il mercato consolidato, la capacità produttiva può essere dimensionata sulla domanda media di
mercato: essendo servito con grandi ordini destinati alla grande distribuzione, è, difatti, possibile pensare di
produrre, ogni periodo, una quantità proprio pari alla domanda media, creando delle scorte che
permetteranno di assorbire i picchi e le oscillazioni di richieste intorno a questa quantità. Per il nuovo
mercato, questo discorso non è più valido: essendoci il problema di obsolescenza delle scorte, si ha
necessariamente bisogno di una capacità produttiva superiore alla domanda media, che consenta di
assorbire “in itinere” possibili oscillazioni negli ordini richiesti (senza far leva sulle rimanenze).
In termini di frazionamento, invece, si è già avuto modo di discuterne: date le caratteristiche del prodotto e
del mercato consolidato, sarà opportuno fare leva su macchinari più grandi e facilmente saturabili; al
contrario, sul nuovo mercato, la soluzione ottimale è quella di avere tante macchine, più piccole, ciascuna
dedicabile ad una particolare linea di prodotto, ed in grado di mettere a disposizione una extracapcità per
“inseguire” la domanda.
Attrezzature
Processo tecnologico
Grado di automazione
Mercato consolidato
Stampi multi - impronta
Tempi di set – up più lunghi (si
realizzano meno prodotti a parità
di tempo)
Alto
Nuovo mercato
Stampi mono – impronta
Tempi di set – up più brevi (si
realizzano più prodotti a parità di
tempo)
Marginale
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Nel definire quelle che sono le caratteristiche tecniche del processo di produzione, si discuta, anzitutto,
sull’idoneità della scelta, da parte di HQ, di realizzare la nuova gamma di prodotti avvalendosi di stampi
multi – impronta.
Adottare una logica di questo tipo significa, rispetto a quanto si faceva in precedenza, allungare i tempi di
set – up: ciò significa che, una volta cambiato uno stampo, affinché la situazione sia ragionevolmente
sostenibile, le macchine devono continuare a produrre, con lo stesso stampo, per un consistente numero di
ore consecutive (non si può pensare di “intercambiare” continuamente la produzione poiché, così facendo,
si sprecherebbe più tempo in set – up che nella realizzazione delle attività operative), altrimenti si perde
proprio quel vantaggio dato dall’utilizzo di stampi multi – impronta. Questo significa, inevitabilmente, un
aumento della dimensioni dei lotti realizzati in ciascun intervallo temporale; nel nuovo mercato, però,
questo rappresenta un problema: essendo la domanda volatile, nel momento in cui si hanno degli
avallamenti nelle richieste, parte dei prodotti realizzati dovranno essere messi a scorta, con tutte le
problematiche già evidenziate.
Le caratteristiche di tale segmento, invece, fanno emergere un’esigenza produttiva di lotti piccoli, da
realizzarsi su più macchine di dimensioni contenute: con un numero n di macchine di piccole dimensioni,
che richiedono, dunque, un tempo di set – up inferiore, è possibile pensare (ed è sostenibile) di cambiare
produzione più volte anche all’interno dello stesso turno.
Si faccia il seguente paragone:
- se si hanno 50 macchine “piccole”, ciascuna delle quali richiede un tempo di set – up di 30 minuti, e
che lavorano su due turni di 8 ore, nell’arco di una giornata si avrà la possibilità di cambiare per ben
due volte la produzione, su ognuna di esse, in ogni turno; esse lavoreranno per 3,5 ore su una certa
variante, e 3,5 ore sull’altra. Cambiando quattro volte la produzione nell’arco di una giornata, su 50
macchine, significa essere in grado di realizzare, potenzialmente, 200 diversi prodotti;
- al contrario, se si dispone di 22 macchine “grandi”, ciascuna delle quali richiede un tempo di set –
up di 4 ore (sempre operanti su due turni di 8 ore ciascuno), non è più pensabile cambiare
produzione all’interno dello stesso turno, e neanche all’interno della stessa giornata lavorativa;
potrebbe parere verosimile che, in una situazione di questo tipo, una volta effettuato il set – up una
macchina produca la stessa variante almeno per i successivi 5 turni (circa 2,5 giorni). Ciò significa un
cambio di produzione due volte ogni settimana: un sistema produttivo con queste caratteristiche è
in grado di produrre 22 prodotti diversi ogni 2,5 giorni, il che significa, in media, 7 prodotti
differenti al giorno.
La differenza che emerge è lampante: in un caso, su due turni, si riescono a realizzare 200 prodotti diversi,
nell’altro solo 7; in un mercato che richiede un’ampia gamma ed una spinta differenziazione, quindi, il
sistema maggiormente appropriato sarà il primo. Al contrario, è per il mercato consolidato che si
potrebbero trarre grandi vantaggi nell’adottare grandi impianti, in quanto la gamma è ristretta, i lotti
possono essere di dimensioni maggiori, e non sussiste la necessità di frequenza nel cambio della
produzione.
Conseguentemente a questo ragionamento, è anche chiaro il perché in un caso si utilizzano stampi multi –
impronta, e nell’altro quelli mono / bi – impronta: sono queste ultime le attrezzature che minimizzano i
tempi di set – up, e possono essere supportate da presse di dimensioni più contenute.
È altresì evidente il differente grado di automazione: mentre, nella configurazione del mercato consolidato,
si trae grosso vantaggio da una spinta automazione e supporto tecnologico, nell’altro no, in quanto,
22
comunque, si ha la necessità di intervento “umano” nell’interscambio degli stampi, nelle verifiche sulle
attrezzature e nel preciso controllo sui prodotti.
Configurazione della Supply
Chain (canale distributivo)
Mercato consolidato
Grande distribuzione organizzata
Nuovo mercato
Piccoli clienti e dettaglianti
Anche questo è un discorso già, più volte, approfondito: mentre, i vecchi prodotti, erano destinati a grandi
clienti, che potevano offrirne (a prescindere) una gamma limitata, e che emettevano i loro ordini con
grande anticipo, il nuovo mercato si rivolge anzitutto ai piccoli negozi, direttamente a contatto con il cliente
finale, cercando di interpretarne (e soddisfarne) al meglio le esigenze, generando quindi volatilità nelle
richieste ed esigenza di basso tempo di risposta nella consegna degli ordini.
Scelte organizzative
Competenze in attrezzeria
Competenze dell’operatore di
macchina
Mercato consolidato
Verifica e cambio degli stampi ad
ogni intervallo temporale
predefinito (set – up)
Supervisione della pressa e
controllo qualità
Nuovo mercato
Controllo sugli stampi, eventuali
modifiche e riparazioni
Verifiche sugli stampi ed
esecuzione dei set – up (oltre che
supervisione della pressa e
controllo qualità)
Nel mercato consolidato, la cui configurazione ideale dovrebbe prevedere macchine di grandi dimensioni,
che realizzano su stampi multi – impronta, e con set – up realizzati raramente, la scelta migliore consiste:
- nel dedicare le persone esperte e professioniste dell’attrezzeria ala realizzazione del set – up
(procedura complessa);
- nel delegare all’operatore di macchina le attività di supervisione (corretta alimentazione, controllo
qualità in uscita…).
nel nuovo mercato, invece, questa soluzione non è sostenibile: se si assegnasse all’attrezzeria l’attività di
esecuzione dei set – up, ci si ritroverebbe con un sistema produttivo “invaso” di persone esterne con il
compito di eseguire il riattrezzaggio (si pensi al caso dell’esempio: 4 set – up al giorno su 50 macchine
diverse); al contrario, la soluzione più razionale consiste nel delegare tale responsabilità all’operatore: è
necessario aumentare le sue competenze in tal senso, ma che questo sia un aspetto particolarmente critico
(si sta parlando, comunque, si stampi multi – impronta, su macchine di dimensioni più contenute). Il
risultato è quindi quello di avere meno persone presenti nell’attrezzeria, ed un allargamento della
mansione dell’operatore (persone più “skilled” dedicate alle macchine).
Organizzazione del lavoro
Mercato consolidato
Efficienza
Obiettivi di riduzione dei costi e
puntualità nelle consegne
Non differenziale
Procedure
Integrazione tra funzioni
Efficacemente definibili
Marginale
Obiettivi
Sistemi di incentivazione
Nuovo mercato
Efficacia
Obiettivi di qualità e velocità di
risposta agli ordini dei clienti
Non differenziale (con una logica
in team, si favorisce il processo di
miglioramento continuo)
Marginali
Estremamente importante
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Nel caso del mercato consolidato, verranno assegnati degli obiettivi di riduzione dei costi, di riduzione del
tempo di ciclo, e di minimizzazione della quantità di materiale impiegata; nell’altro, invece, fondamentale
saranno gli aspetti di qualità del prodotto, di velocità (e puntualità) nelle consegne, ma anche (e
soprattutto), la capacità di introduzione di nuovi prodotti (flessibilità di prodotto), potendo anche pensare,
ragionevolmente, di dedicare proprio una o più macchine a tale attività di sviluppo (avendone un numero n
molto grande, ma di piccolo valore unitario, infatti, si perderebbe semplicemente
della capacità
produttiva, senza grosse conseguenze in termini di produttività); ovviamente, i sistemi di incentivo del
personale saranno differenziati, nei due casi, in base alle differenti priorità, legandosi quindi a fattori
differenti.
In termini di definizione delle procedure, invece, è evidente come sia più facile introdurle per il mercato
consolidato, stabile e ben caratterizzato, piuttosto che nel nuovo segmento, all’interno del quale è
comunque richiesta un minimo di creatività ed adattamento alle esigenze del cliente.
Un ultimo spunto di riflessione lo dà la leva di integrazione; poiché, nel nuovo mercato, si hanno tanti
differenti prodotti da realizzare, i cui “campioni” vengono spesso presentati e lanciati in fiere ed eventi
organizzati, e dove la riduzione del time – to – market rappresenta un aspetto fondamentale, è necessario
che vi sia un’assoluta integrazione tra tutti gli attori coinvolti nelle operations (progettazione, ingegneria,
acquisti, stampaggio, marketing…), di modo da arrivare ad una progettazione dello stampo e del processo
assolutamente idonea a quelle che sono le caratteristiche del mercato, senza dover perdere tempo nel
rivedere eventuali specifiche non corrette.
Mentre, nel mercato consolidato, forme e materiali sono sostanzialmente stabili nel tempo, limitando così
l’esigenza di integrazione e coordinamento (nel tempo, il progettista, apprende quelle che sono le possibili
criticità indotte sullo stampaggio, che dovrà realizzare il processo, e vi si adatterà), nel nuovo mercato,
proprio perché i prodotti sono soggetti a continua evoluzione, sia in termini di caratteristiche fisiche (forme
e materiali), che in termini di forma dello stampo (variazione degli angoli e del processo di riempimento),
non si potrà pensare di delegare al progettista l’intera attività di anticipazione dei vincoli: essendo
l’ambiente, non più stabile, bensì dinamico, egli non sarà in grado di apprendere, in itinere, le criticità
consolidate, facendo così emergere l’esigenza di integrazione e di un ambiente di lavoro “fianco a fianco”,
finalizzato ad prevenire possibili problemi.
Riassumendo, è possibile dire che:
- nel caso della gamma di prodotti standard, le esigenze di integrazione sono marginali poiché il
prodotto ha una durata del ciclo di vita maggiore, ed il materiale di realizzazione e le forme non
variano (se non in piccola parte): l’eventuale errore commesso da progettista potrà poi essere
superato da chi realizza lo stampo o, comunque, corretto nel tempo;
- nel caso del nuovo segmento, l’integrazione è un aspetto altamente strategico, in quanto materiali
e forme sono soggette a continua innovazione e, se lo stampo non è stato progettato in maniera
coerente con quelle che sono le esigenze delle attività successive, dovrà necessariamente essere
rivisto, il che si traduce in una perdita di tempo nella produzione dei prodotti.
Scelte gestionali
Modalità di risposta alla
domanda
Coordinamento lungo la Supply
Chain
Mercato consolidato
Make to Stock
Nuovo mercato
Make to Order (rapidità)
Necessità di rispondere a pochi e
grandi clienti
Necessità di rispondere a piccoli
clienti, con esigenze più
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Previsioni di vendita
Programmazione della
produzione (schedulino)
Non necessarie (ordini forniti con
grande anticipo da parte del
cliente)
Non necessaria (prodotto
standard, poche varianti)
specifiche
Necessarie e soggette ad
aleatorietà
Fondamentale (tanti macchinari,
ampia gamma)
Con riferimento, anzitutto, alle modalità di risposta alla domanda, è possibile osservare che, mentre le
mercato consolidato, si ragionava essenzialmente in logica Make To Stock, per quello nuovo (benché,
tendenzialmente, HQ avesse deciso di mantenere la stessa strategia) sarebbe opportuno tramutarla in una
gestione in Make To Order: come più volte sottolineato, difatti, i dettaglianti mantengono, presso il loro
magazzino, solo alcuni dei prodotti della gamma (quelli che sono venduti maggiormente); nel momento in
cui, però, il cliente fa richiesta di una particolare e specifica variante, il produttore deve essere tempestivo
nel soddisfare, nel più breve tempo possibile questa richiesta.
Questa considerazione porta a far emergere la conseguente maggior esigenza di coordinamento lungo la
Supply Chain: il produttore deve necessariamente avere una certa visibilità sul punto vendita, non solo per
poter soddisfare l’ordine in tempi utili, ma anche per riuscire a comprendere quelli che sono i prodotti che
“vanno di più” (realizzandoli con un po’ di anticipo) e quelli, invece, più “specifici” (che dovranno poi essere
realizzati su ordine).
In definitiva, nel nuovo mercato, HQ dovrebbe essere in grado di costruire un sistema così flessibile da
essere in grado di dare una risposta immediata agli ordini clienti che si manifestano a valle (per quello che,
quando si era affrontato il discorso sulle scorte “morte”, si era sottolineato il fatto che, comunque, anche
l’esigenza di magazzino pari al 10% del ricavato era troppo elevata).
In termini di importanza del sistema di previsione della domanda, invece, mentre, nel consolidato, non si
aveva alcuna esigenza in tal senso (i dati erano forniti direttamente dai grandi gruppi), nel nuovo segmento
è fondamentale saper cogliere le esigenze del punto vendita, di modo da dimensionare correttamente la
capacità produttiva (attenzione; non è che, siccome si è deciso di operare in logica Make To Order, allora
non si ha alcuna necessità di fare previsioni: anzi, proprio perché non si hanno scorte, è necessario
dimensionare una capacità che sia coerente con il livello di servizio da dare al cliente finale).
È, infine, evidente l’importanza dello scheduling di breve termine nel nuovo mercato, per il quale la
produzione realizza un’ampia gamma di prodotti intercambiata in uno stretto intervallo temporale; è
necessario programmare, su ognuna delle macchine, modalità e tempi di realizzazione di ciascuna variante.
Guardando al panorama che si presenta, è evidente come si abbiano due configurazioni completamente
diverse, in quanto il sistema ideale per un mercato non coincide, in caratteristiche, con quello idoneo
all’altro.
HQ ha fatto delle scelte assolutamente ottimali, ma per migliorare la sua posizione competitiva sul
mercato consolidato (se si osserva, difatti, la configurazione “ideale” delle leve per tale segmento coincide,
in larga parte, con le modifiche implementate sulle operations negli ultimi sette anni):
- producendo con stampi multi – impronta, si ha la possibilità di innovare la produzione
aumentandone l’efficienza e utilizzando una tecnologia difficilmente copiabile da parte dei
competitors locali (essendo caratterizzati da piccoli stabilimenti, con attrezzature e tecnologie non
d’avanguardia, adottando una logica di produzione multi – impronta avrebbero dovuto aumentare
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-
le dimensioni dei loro macchinari, investimento che, a quel punto, sarebbe stato giustificato solo in
presenza di alti volumi, cosa su cui HQ può far leva, mentre i produttori locali no);
riallocando la capacità produttiva su meno impianti, di dimensione maggiore, si ha la possibilità di
aumentare l’efficienza della produzione, limando, anche in questo caso, quello che era uno dei
principali vantaggi dei piccoli produttori.
In sostanza, le modifiche messe in atto, sarebbero state corrette se l’obiettivo era quello di controbattere la
competizione dei produttori locali, nel vecchio mercato; in questo modo, si sarebbe stati in grado di
abbattere tutti i loro vantaggi competitivi.
Ampliando i mercati di riferimento però, imprescindibile è la realizzazione di due configurazioni differenti,
ciascuna delle quali avente diverse priorità ed obiettivi (l’una focalizzata su obiettivi di velocità e qualità di
conformità, l’altra sulla riduzione dei costi); se non si facesse questa differenziazione, si dovrebbe avere un
unico sistema in grado di massimizzare tutte le dimensioni prestazionali, cosa che, all’atto pratico, riosulta
essere impossibile (esistono dei trade – off).
Si tenga comunque presente che, per fare questo, è sufficiente suddividere le operations, non realizzare
due aziende distinte: ci sono tutta una serie di attività (come quelle di contabilità, di finanza, di acquisto…)
che possono comunque essere mantenute comuni; in sostanza, la regola è “andare a separare laddove, i
vantaggi delle economie di scala derivanti dal mettere insieme le attività, vengono superati dalle
diseconomie nei risultati ottenuti con questa unione” (assenza di allineamento).
LE PRESTAZIONI
fino ad ora, si sono viste quelle che sono le scelte ideali che si sarebbero dovute fare, per i due mercati,
nell'ipotesi di partire a "prato verde" e con l'obiettivo di essere competitivi in entrambi segmenti; ne si sono
concluse due configurazioni profondamente differenti: il principio è difatti quello di andare a separare
laddove il vantaggio di mettere insieme risulta essere superato dalle diseconomie dell'aver tenute
raggruppate due o più decisioni. Come compromessi, quasi mai si raggiunge successo sul mercato:
soprattutto nelle operations, cercare di trovare delle "vie di mezzo", fa sì che poi alla fine, la decisione
presa non massimizzi risultato né per l'uno né per l'altro segmento.
Strutturata tale differenza in termini di leve di configurazione, occorre ora andare a fare lo stesso
ragionamento in termini di prestazioni: dal tavolo di discussione, dovranno uscire quelle che sono le priorità
a cui dare attenzione in ciascun mercato, proprio perché è non è possibile eccellere (e non è anche
necessario) in tutto.
In tal senso, è necessario introdurre due particolari categorie di prestazione: le performances cosiddette
"order winners” e quelle cosiddette “order qualifiers”. Per capire la distinzione, si consideri il seguente
esempio.
Si supponga di essere all'interno di un processo di scelta e valutazione dei fornitori per un particolare bene
o una particolare commessa. Rientrano all'interno delle prestazioni “qualifiers”, tutti quegli aspetti che il
cliente utilizzerà per decidere se è opportuno, o meno, includere un fornitore all’interno della “short list” di
successiva selezione; sono, in sostanza, dei criteri “go – no go”, delle storie e degli standard minimi e, nel
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caso, fanno sì che un fornitore passi il processo di inclusione non inclusione nella lista dei candidati eligibili
alla stipula del contratto.
Le prestazioni “qualifiers” sono, quindi, il primo e più immediato elemento di scelta, proprio perché, in base
alla definizione, sono quelle che qualificano.
sembra procedendo con l'esempio, a questo punto, tra i fornitori inclusi all'interno della lista, verrà scelto
quello che sarà in grado di offrire (almeno sulla carta) le prestazioni migliori, quelle “vincenti”; si tratta,
sostanzialmente, di richiedere ai differenti fornitori di formulare l'offerta per il particolare bene (all'interno
della quale verranno esplicitati parametri significativi per il cliente), offerte che saranno poi analizzate,
messe a confronto e valutate. Il cliente assegnerà l'ordine al fornitore che, nel complesso, sarà stata in
grado di proporre l'offerta migliore: è difatti evidente che, ognuno di essi, avrà il suo punto di forza (non ce
ne sarà uno che eccelle in tutto, ma qualcuno proporrà migliori condizioni di prezzo, un altro una quantità
minima di ordino più bassa, un altro ancora tempi di consegna più ristretti e così via).
In prima battuta, quindi, è possibile dire che:
 una prestazione “qualifiers” può essere assimilata ad una sorta di criteri di scrematura, che
consente di prendere decisioni di tipo “on/off” (nel caso dell'esempio: il fornitore viene incluso
all'interno della lista oppure no); sono dei prerequisiti minimi che devono essere rispettati;
 una prestazione “winner”, in genere, rientra all'interno di un insieme di prestazioni che guidano la
scelta è la valutazione nell'una o nell'altra direzione; quello che si fa, in presenza di più prestazioni
di valutazione, e assegnare un peso ad ognuna di esse di modo da riuscire a derivare un indicatore
di valutazione complessivo.
per chiarire le cose dal punto di vista grafico è possibile ragionare come segue.
La seguente rappresentazione incarna il significato di una performance “order qualifier”:
Supposto l'origine degli assi il valore minimo richiesto per quella prestazione, si può osservare che:
- nel caso in cui, su quella dimensione, si sia in grado di ottenere un valore superiore a quello minimo
richiesto, ciò non comporta alcun vantaggio in termini di ordini aggiuntivi che vengono inoltrati
all'azienda; questo proprio perché si tratta di una prestazione non strategica, ma utilizzato solo
come primo criterio di sbarramento;
- nel caso in cui, su quella dimensione, si offre una prestazione insoddisfacente, inferiore al valore
minimo richiesto, allora quello che succede è una perdita di ordini, proprio perché questo non
permetterà di superare i criteri di scrematura imposte dal cliente.
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Tali prestazioni sono quindi un "male necessario": è fondamentale ottenerle e mantenerle sullo standard
richiesto (poiché un rendimento inferiore alle attese comporterebbe degli svantaggi in termini di perdita di
clienti), ma non si ha la possibilità di ottenere nessun vantaggio differenziale in termini di vendite nel caso
in cui si registri un rendimento superiore alla media.
è possibile fare moltissimi esempi di prestazioni di questo tipo; alcuni di questi possono essere:
- il sistema di tracciamento degli ordini: ormai il cliente da per scontato che il fornitore sia in grado di
dargli questo servizio; un fornitore che mette a disposizione del suo cliente il tracciamento
dell'ordine da lui inoltrato, non fa altro che rispettare le sue aspettative; al contrario, un fornitore
che non possiede un sistema di questo tipo sarà sempre preferito ad altri più all'avanguardia;
- le certificazioni di qualità: proprio perché alcune di esse sono imposte da norme legali, avere
prodotti "certificati" è un requisito fondamentale; chi ha tali certificazioni rispetta semplicemente
le regole, e non le ha non verrà considerato dal mercato finale.
La strategia ottimale nell'approcciare le prestazioni di tipo “qualifiers”, è quindi quello di valutare il livello
attuale offerto, compararlo con quello atteso dal mercato e, se si garantiscono i requisiti minimi, continuare
in questa direzione (monitorando opportunamente che non avvengano possibili scarti imminenti).
Attenzione che, una prestazione “qualifiers”, per la quale l'azienda non è in grado di rispettare le attese del
mercato, si trasforma in una performance di tipo “order losers”:
come si può osservare dal grafico, una prestazione di tipo “order losers” presenta il medesimo andamento
di una “order qualifiers”, con la differenza che, allo stato attuale delle cose, il rendimento offerto non è
sufficiente a garantirsi la “qualifica” (il valore della prestazione attuale, dell’azienda, si colloca sotto
l’origine degli assi, ovvero lo standard richiesto dal mercato); ciò significa che l'azienda sta perdendo delle
opportunità, ed è quindi opportuno che vada ad investire e migliorarsi per non continuare a precludersi
mercato e clienti che richiedono questo prerequisito.
Infine, l'andamento delle prestazioni “order winner” può essere rappresentato come segue:
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è evidente la differenza con le precedenti: essendo prestazioni strategicamente rilevanti, sulle quali poter
costruire un differenziale competitivo rispetto alla concorrenza, più si è in grado di migliorare i propri
risultati, io si è in grado di acquisire un numero di ordini superiore. Come già detto, non tutte le prestazioni
“vincenti” hanno egual importanza: con riferimento al grafico, le differenze sono espresse in termini di
pendenza della retta prestazioni – ordini, che fa sì che
- per prestazioni più importanti (alto ranking), un miglioramento del rendimento comporta un
grande vantaggio in termini di incremento di ordini;
- per prestazioni meno rilevanti (medio – basso ranking), un investimento per migliorare il proprio
risultato potrebbe dare un ritorno, in termini di incremento del numero di ordini, solo marginale.
Ovviamente, uno degli aspetti più rilevanti della questione è comprendere come distinguere tra “winners”
e “qualifiers”; ad esempio, sempre con riferimento al caso di scelta di un fornitore per la stipula di un
contratto su un bene
- potranno essere definite prestazioni di tipo “winners”, tutti i parametri che il cliente chiederà di
includere all'interno della proposta di offerta;
- potranno essere definite prestazioni di tipo “qualifiers”, tutti quei parametri dati implicitamente
per scontati, che servono, appunto, come criterio di pass – no pass per l'inclusione nella short list.
Attenzione che, spesso, questa distinzione può essere abbastanza sfumata; ad esempio
 la “puntualità”, quasi sempre, rappresenta un “qualifiers”: è un aspetto dato per scontato, che il
cliente, generalmente, non richiama le esplicita nelle clausole contrattuali (difficilmente si vede un
accordo dove viene richiesta una certa soglia di puntualità degli ordini, anche perché questo
sarebbe controproducente per il cliente stesso: se, ad esempio, si dicesse al fornitore di essere
puntuale almeno il 95% delle consegne, implicitamente gli si sta dicendo che il 5% delle volte
potrebbe essere ritardo);
 il “prezzo” non è detto che sia sempre un “winner” (come, spesso, si tende erroneamente a
credere), ma occorre valutare da settore a settore ed a prodotto; se una variazione dell’X% nel
prezzo potrebbe far cambiare la scelta di un'offerta piuttosto che di un'altra, allora può definirsi un
“winner” altrimenti, laddove prevalgono altre priorità, ed è semplicemente importante che il
prezzo rimanga all'interno di un regge accettabile, può essere trattato come un “qualifiers”.
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L'importante è non scadere nel luogo comune che identifica nelle “qualifiers” le prestazioni meno
importanti e nelle “winner” quelle più importanti; questo non è vero, hanno solo significato differente e,
per questo devono essere approcciate (nel caso specifico, dal punto di vista delle operations) in maniera
differente.
detto questo, è interessante andare a descrivere quello che è il processo di identificazione, classificazione
e pesatura delle differenti dimensioni prestazionali.
Per comprendere quali sono le prestazioni più o meno importanti per il cliente, quelle che lui usa come
criterio di scelta e come criterio di scrematura, otto di partenza sono, ovviamente, i dati di marketing:
analisi di mercato, interviste, pareri sono tutti strumenti che, considerando un set di clienti rappresentativi,
consentono di arrivare a generalizzare e categorizzare le differenti tipologie di prestazioni.
i dati di marketing sono però solo una parte del patrimonio informativo sul quale l'azienda deve far leva:
fondamentale è anche andare ad osservare ciò che emerge dall'analisi degli ordini fatti da tali clienti,
quindi attingendo ai dati incorporati e provenienti direttamente dalle operations; questo aspetto è
fondamentale da non trascurare: il cliente può dichiarare ciò che pensa all'interno delle interviste, dei
sondaggi, ed il focus group di marketing, ma poi ciò che conta è come si comporta all'atto pratico. Ecco che,
ad esempio, è possibile che, benché fosse emerso che i clienti diano una marginale attenzione alla qualità
dei prodotti, l'analisi degli ordini mostra come il 50% di essi ha corrisposto un premio di prezzo alle
forniture che hanno dimostrato avere una qualità superiore alla media; questo quindi è in controtendenza
rispetto alle aspettative dichiarate, ed è evidente comunque come faccia maggior fede l'evidenza empirica
(quindi le informazioni ricavate dai dati effettivi sugli ordini). Il processo ideale sarebbe ovviamente quello
che intreccia il marketing e le operations, di modo da mettere a confronto valutazione e risultati, ed andare
ad approfondire eventuali gap.
Queste due analisi incrociate consentono di distinguere tra prestazioni “winners” e prestazioni “qualifiers”;
quello che bisogna fare, a questo punto, è:
-
sulle prestazioni di tipo “qualifiers”, andare ad identificare eventuali “losers”, al fine di identificare
dei recovery plan;
sulle prestazioni di tipo “winners”, sempre tenendo come riferimento i dati raccolti (empirici e di
marketing), assegnare delle priorità, mediante la costruzione di un sistema di ranking (ad esempio,
la “classica” distribuzione dei 100 punti percentuali) che consenta di esaltare e rendere chiare le
differenze (è il principio della strategia: non si può dire che tutto è importante perché, affermare
ciò, è come se si fosse detto che nulla lo è più dell’altro).
Detto questo, si provi a seguire questo processo nel caso dell'azienda HQ, sia per il mercato consolidato,
che per il nuovo mercato.
Mercato consolidato
Prestazione
Tempo (velocità)
Tempo (puntualità)
Prezzo (costo)
Categoria
Qualifiers (Losers)
Winners
Ranking
100%
30
Qualità di specifiche
Qualità di conformità
Flessibilità di prodotto
Flessibilità di gamma
Servizio (post vendita)
Qualifiers
Qualifiers
Qualifiers
Qualifiers (-)
-
Si hanno le seguenti considerazioni:
 per quanto riguarda la velocità, si è già avuto modo di parlarne: nel mercato consolidato, l’essere
più rapido non dà alcun beneficio in termini di maggiore fatturato e clienti; anzi, siccome si hanno
grandi clienti, la grande distribuzione, per avere prezzi bassi, garantisce quantitativi alti, e li
comunica molto in anticipo: ovviamente, per non tenerli tutti a magazzino, questa quantità viene
diluita nel tempo secondo necessità, e spedita a fabbisogno. La velocità, è, quindi, un aspetto che
viene azzerato: si sa già quanto si deve consegnare ed a chi, si tratta solo di garantire la puntualità
di consegna ogni volta che si manifesta tale esigenza;
 La puntualità viene a rappresentare un “qualifiers”, sempre per il discorso legato alla velocità: è un
fatto dato per scontato, proprio perché già si può contare sulla collaborazione, da parte delle
aziende della grande distribuzione, che comunicano in anticipo i loro fabbisogni. È per tale motivo
che è border – line con l’essere un “losers”: proprio perché danno questa grande previsione in
anticipo, i clienti sono molto sensibili a quest’aspetto, e si aspettano che, praticamente sempre,
l’ordine arrivi quando richiesto. Nessuno deve definirne i parametri esplicitamente, ma bisogna
stare assolutamente attenti a non dare un rendimento indesiderato, altrimenti i clienti non
rinnoveranno il contratto;
 La qualità di conformità rappresenta un “qualifiers”; come già avuto modo di dire, spesso essa
rientra in questa categoria (i rilievi che e riscontrato che e produttore realizzi prodotti di qualità);
può essere ritenuta un “winners” in tutti quei settori dove veramente il valore di “parti per milioni”
rappresenta un differenziale competitivo notevole, utilizzato come variabile di scelta (si pensi, ad
esempio, al settore dei microprocessori: lì chi è in grado di offrire una qualità del 99% piuttosto che
del 98,9% è più attrattivo per i clienti);
 La gamma, in questo caso, rappresentano un “qualifiers”: benché il prodotto sia standard, difatti,
comunque un minimo di varietà deve essere garantita (si pensi ad esempio, come accessorio
domestico, alle posate: non è pensabile che vengano offerte solo forchette solo coltelli o solo
cucchiai; il cliente si aspetterà che HQ gli proponga tutto set di posate: non è differenziale invece il
fatto che abbia più modelli di forchette, di coltelli o di cucchiai, è per questo non è “winner”);
 il prezzo è l'unico e chiaro “order winners”, intorno al quale ruota l'intero mercato; in un ideale
sistema di ranking, è quindi evidente come gli sarà assegnato il totale del peso.
in definitiva, la strategia in termini di focalizzazione sulle dimensioni prestazionali chiave, per il mercato
maturo, dovrà essere quella di
1) offrire il prezzo più basso possibile: cercare, quindi, di ridurre i costi;
2) monitorare il rendimento in termini di puntualità, onde evitare che si trasformi in una prestazione
di tipo “losers”.
Nuovo mercato
Prestazione
Tempo (velocità)
Categoria
Winners
Ranking
30%
31
Tempo (puntualità)
Prezzo (costo)
Qualità di specifiche
Qualità di conformità
Flessibilità di prodotto
Flessibilità di gamma
Servizio (post vendita)
Qualifiers
Qualifiers
Winners
Qualifiers (Losers)
Winners
Winners
Qualifiers (-)
35%
25%
10%
Si hanno le seguenti considerazioni:
 per quanto riguarda la velocità, essa risulta essere senza dubbio una prestazione “order winners”,
richiamando tutto il discorso legato al necessità di soddisfare gli ordini nel momento in cui il piccolo
dettagliante si trova ad inoltrare le specifiche richieste del cliente;
 in questo caso, la puntualità è un “qualifiers”, senza più la tendenza ad essere border line con una
prestazione di tipo “order losers” (il dettagliante sarà più portato a tollerare eventuali ritardi nella
consegna);
 il prezzo rappresentano un “qualifiers”: è importante che resti all'interno di un range accettabile,
ma non è sul singolo centesimo che il cliente sceglie il prodotto;
 la qualità di specifiche era prestazione alla quale prestare maggior attenzione: è il design, la forma,
il colore del prodotto che lo rende vincente sul mercato;
 la qualità di conformità è un “qualifiers”, che tuttavia potrebbe diventare “losers” nel momento in
cui non ci si presta troppa tensione e si va sotto rendimento rispetto alle attese;
 tanto la flessibilità di prodotto quanto quella di gamma sono parametri fondamentali: per
penetrare mercato, bisogna da un lato avere la capacità di innovare continuamente i propri
prodotti e rinnovarli, dall'altro mettere sempre comunque, a disposizione la propria clientela, un
ampio numero di prodotti.
in questo caso avendo più prestazioni “order winners”, emerge la necessità di assegnare dei punteggi ad
ognuno di essi, di modo da identificare dei pesi dell'importanza relative; ovviamente sarebbe necessario
raccogliere maggiori informazioni a riguardo, però, sulla base dei dati forniti si conclude che:
- prioritaria è la qualità di specifiche;
- in seconda battuta si ha la velocità nel rispondere agli ordini da valle;
- La capacità di innovare viene subito dietro velocità;
- da ultimo si ha la flessibilità di gamma.
Attenzione che, una volta identificato classi, priorità e valutato il proprio posizionamento, il passo
successivo consiste nel capire se si ha la necessità di distinguere tra differenti tipologie e segmenti di
clienti (come fatto nel caso HQ: si hanno dei clienti per il nuovo mercato, con le loro esigenze e le loro
priorità, e dei clienti per quello consolidato, con le loro esigenze e priorità).
Nel fare questo, si tenga presente che, la prospettiva, è quella delle operations, non del marketing:
l'obiettivo è identificare gruppi di clienti con esigenze simili in termini di configurazione dei processi
operativi e prestazioni richieste (e non è detto che, le due visioni, coincidono: ad esempio segmenti distinti
dal punto di vista commerciale potrebbero avere le medesime esigenze prestazionali in termini di
operations; da questo punto di vista essi saranno quindi trattati come indifferenziati).
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Occorre inoltre tenere presente che uno stesso cliente può trovarsi in più segmenti (quindi richiedere alle
operations prestazioni differenti) in base allo stadio del ciclo di vita del prodotto: in corrispondenza dell'uno
o dell'altra fase, uno stesso mercato potrebbe avere una differente suddivisione tra prestazioni “winners” e
“qualifiers”.
Si pensi, ad esempio, ad un produttore di etichette per bottiglie, che deve soddisfare la richiesta di un
cliente di preparare una serie di prodotti a supporto di una campagna promozionale di marketing:
- in fase di progettazione, le prestazioni “order winners” saranno, anzitutto, il tempo (inteso come
velocità) e la capacità di riuscire a comunicare, tramite l’etichetta, il messaggio di marketing; al
contrario, il prezzo (benché si tratti di un prodotto standard) sarà solo un “qualifiers”;
- una volta concepita e realizzata la prestampa delle etichette, e stilati i piani di stampaggio, l’ “order
winner” torna ad essere il prezzo, perché, ora, una volta sviluppato, il cliente sarà anzitutto
interessato a pagare “poco” il prodotto (soprattutto perché la quantità richiesta è molto elevata).
Per realizzare uno stesso bene, a seconda di dove si situi nel ciclo di vita, le esigenze di uno stesso cliente e
di uno stesso mercato possono cambiare significativamente, e bisogna comunque tenerne conto, per capire
quelle che sono le priorità sulle quali dovranno concentrasi le operations.
Infine, l’ultimo passaggio consiste nel non limitare questo processo di identificazione, classificazione,
valutazione delle prestazioni ad una logica "statica", ma bisogna capire che esso può essere soggetto ad
evoluzione nel tempo: una prestazione che, oggi, è considerata “order winners”, nel futuro potrebbe
diventare “qualifiers”; viceversa, una prestazione “qualifiers”, nel futuro, potrebbe trasformarsi in un
fattore “order winners”.
Anche qua numerosi sono esempi; con riferimento al mondo dei servizi di telefonia, se si volge lo sguardo a
una decina di anni fa, uno dei fattori chiave era il "tempo di attivazione di una sim", che era abbastanza
elevato: chi riusciva ad accorciare questo intervallo, era in grado di attrarre più clienti (prestazione “order
winner”); oggigiorno, il cliente da per scontato che, entrati in un negozio di telefonia, se la sua esigenza è
quella di attivare una sim, tale attivazione avvenga istantaneamente: chi è in grado di garantire tale
servizio, rispetta semplicemente le aspettative del cliente, che non è in grado di farlo, sarà destinato a
perdere quel cliente.
si tenga presente che, tale evoluzione temporale in termini di priorità prestazionali può essere di due
tipologie:
 market driven: è il mercato che, in base differenti esigenze, priorità, nuovi bisogni si riorienta nel
dare maggior importanza ad altre prestazioni;
 company driven: potrebbe però anche essere l'azienda che, investendo, trasformandosi, sfruttando
competenze e risorse prima non utilizzate, decida di focalizzare e porre all'attenzione del cliente le
prestazioni che essa è in grado di massimizzare; è quindi l'azienda stessa a causare tale evoluzione.
C’è una evoluzione che puòl essere, in parte market driven, in parte guidata dall’azienda; potrebbe anche
essere l’azienda a trasformarsi, focalizzando il cliente su alcune prestazioni (magari prima non considerate)
che essa è in grado di massimizzare; è l’azienda stessa a stimolare delle esigenze nel cliente.
Va infine detto che, l'output finale di questo processo, è rappresentato da una sorta di schema, come il
seguente
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che consenta di mettere in evidenza priorità attuali ed a tendere.
Si tenga comunque presente che, nell'arrivare ad un punto di convergenza sui dati che emergono da tale
tabella, in genere, tra i partecipanti al "tavolo delle trattative", non si utilizza una logica democratica, bensì
ognuno è fortemente invitato a fare affermazioni in tal senso e addurre giustificazioni a tali affermazioni,
questo per favorire l'incontro, scontro e confronto tra differenti vedute. Se il marketing affermasse
l'importanza della qualità, mentre le operations ritengono assume importanza solo marginale, ciò che
succede è che, i due responsabili, devono dapprima argomentare e motivare le loro affermazioni,
confrontarsi, e poi cercare di far convergere i loro punti di vista.
In azienda, ognuno ha la sua prospettiva e basa le sue affermazioni su differenti tipologie di informazioni:
un processo di questo tipo ha, nel suo principale valore aggiunto, non tanto l'output che genera, bensì il
fatto di portare differenti visioni al confronto e al dialogo, arrivando ad un risultato che è stato
effettivamente determinato dal confronto tra più visioni e pareri, che sono poi arrivati ad un punto di
convergenza su come affrontare il mercato, su quelle che sono le sue caratteristiche e su quelli che sono i
possibili miglioramenti da implementare
è opportuno fare un cenno anche a quella che è la metodologia di mappatura delle prestazioni; ovvero:
una volta classificate e definite le priorità, come si fa a capire qual è il proprio posizionamento?
poiché la logica è sempre quella di guardare proprio posizionamento in maniera relativa, e non assoluta, il
seguente schema potrebbe essere una soluzione efficace:
l'interpretazione è la seguente:
- La linea rossa rappresenta il valore desiderato dal mercato per ciascuna prestazione;
34
-
La linea tratteggiata di colore azzurro, il posizionamento medio della concorrenza rispetto ciascuna
prestazione (o, alternativamente, il posizionamento degli miglior concorrente sul mercato);
- La linea tratteggiata di colore verde, infine, rappresenta il posizionamento della propria azienda
rispetto ciascuna prestazione;
in questo modo si ha la possibilità di confrontare quello che è il proprio rendimento, con quello fatto le
parti concorrenti con quello richiesto dal mercato; in questo modo si ha la possibilità di mettere in evidenza
situazioni quali prestazioni inferiori a quelle che sono le aspettative del mercato ma migliori della
concorrenza, prestazioni inferiore aspettative del mercato e vincere una concorrenza, prestazioni superiori
a quelle che sono stati del mercato e così via.
Ad esempio, sia nel tempo che nel prezzo è evidente come sia la propria azienda che la concorrenza abbia
dei rendimenti inferiori a quel che sono le aspettative del mercato; tuttavia, mentre nel prezzo si è quanto
meno superiori a livello offerto la concorrenza, nel tempo no: dal punto di vista dell'urgenza nell'intervento
quindi (a parità di peso), sarà anzitutto necessario concentrarsi su un miglioramento nella dimensione
temporale, quanto meno per recuperare il gap rispetto alla concorrenza.
La mappa precedente rappresenta tuttavia lo strumento più semplice da utilizzare; un utilizzo più
sofisticato è quello che mette in contrapposizione il valore assunto dalle prestazioni oggi, rispetto a quella
che era la configurazione in un certo periodo nel passato:
da una rappresentazione di questo tipo, è possibile ricavare una serie di interessanti considerazioni; ad
esempio, nel caso presentato, si osserva come sulla prestazione "tempo" si è avuto un miglioramento in
termini assoluti e relativi, diminuendo il proprio gap rispetto al mercato; allo stesso modo, si può osservare
come, a fronte di una medesima prestazione offerta in termini di servizio, l'aspettativa del mercato in tal
senso si sia alzata moltissimo.
Alla luce delle nuove informazioni acquisite, occorre comprendere se e dove sia necessario intervenire;
ipotizzato difatti di aver normalizzato i dati per ciascuna prestazione, rendendole quindi confrontabili
all'interno di uno stesso grafico, bisogna essere in grado di comprendere se occorre portare avanti una
serie di azioni di miglioramento.
Ad esempio, una cosa che emerge evidente dalla precedente rappresentazione, è un buon posizionamento
rispetto alla dimensione "flessibilità"; in genere, è questa una dimensione molto importante, poiché
miglioramento della flessibilità, significa anche riduzione dei costi (e benefici per il cliente): tuttavia le
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preferenze del mercato sembrano andare verso la direzione opposta in quanto, se bene si osserva, le
aspettative in termini di flessibilità sono diminuite.
bisogna domandarsi il perché sembra esserci questo disallineamento: potrebbe essere che, effettivamente,
il mercato non sia interessato alla flessibilità; oppure (più probabilmente), che l'azienda non si si è
impegnato a sufficienza per far percepire al mercato quello che è uno dei suoi vantaggi principali rispetto a
concorrenza: è magari possibile che, rendendo il cliente finale consapevole di questo suo punto di forza,
esso cominci a considerarlo tra le prestazioni rilevanti. Il principio è chiaro: se si va a migliorare un qualche
cosa che già riveste un'importanza marginale, per valorizzare proprio investimento, bisogna far di tutto per
farlo percepire.
Un'altra considerazione sorge andando a guardare cosa è accaduto in termini di servizio: si osserva come, a
fronte di un rendimento invariato, il mercato ha aumentato di molto le sue aspettative, generando così un
gap.
Dati orizzonti temporali di confronto, ciò significa che, per cinque anni, l'azienda ha deciso di volgere
l'attenzione ed investire tempo e risorse in altri ambiti; in sostanza, in tutto questo periodo, il sistema
strategico non ha dato rilevanza servizio, che poi invece si è rivelata essere una delle prestazioni
maggiormente impattate dall'evoluzione temporale del mercato. Bisogna capire il perché è tutto questo si
è verificato:
- potrebbe esserci stata un'incapacità da parte dei partecipanti al tavolo di discussione nel cogliere
l'effettiva importanza;
- oppure, potrebbe essere che i responsabili del customer care rivesta, in tale tavolo, un'importanza
troppo marginale e, quindi, pur avendo presentato delle problematiche, non si è stati in grado di far
valere sue ragioni.
si capisce bene come possono quindi discendere tutta una serie di considerazioni altamente strategiche; se
poi si vuole fare un'analisi assolutamente completa, l'ideale sarebbe non sono andare a confrontare le
prestazioni di oggi rispetto a quelle di un certo periodo il passato, ma anche cercare di mettere in
corrispondenza di un'eguale grafico rivisto in funzione dell'evoluzione del mercato in futuro.
In conclusione, è possibile dire che, il driver di scelta degli interventi sono:
1) l'importanza della prestazione: in una dimensione che, nel ranking, si vede associata un punteggio
maggiore, si avrà più convenienza ad investire, in quanto ciò consentirebbe di ottenere, in casi
successo, e sensibili vantaggi;
2) la distanza rispetto al mercato: quanto più ci si accorge di essere indietro rispetto alle esigenze del
mercato, quanto più risulta essere urgente recuperare;
3) il posizionamento rispetto alla concorrenza: una situazione in cui la concorrenza è posizionata
molto meglio rispetto a propria azienda, ha priorità di attenzione al rispetto ad una in cui, benché si
abbia distanza rispetto al mercato, si sia comunque posizionati meglio rispetto a concorrenza;
4) La difficoltà del miglioramento: in termini di costo e di impegno necessario per ottenere il risultato
desiderato; si tenga comunque presente che, non sempre, i progetti a dare risultati migliori sono
quelli che richiedono il maggior impiego di risorse e di impegno: nel guidare tale scelta è, spesso,
opportuno costruirsi una matrice che vada di incrociare le dimensioni di “beneficio ottenuto” e
“sforzo necessario”, identificando quattro diverse tipologie di investimenti:
- investimenti che richiedono un alto sforzo ma sono anche in grado di garantire maggior
ritorno;
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- investimenti che richiedono un basso sforzo in cambio di un beneficio marginale;
- investimenti che richiedono un impegno contenuto di tempo e risorse ma sono in grado di
dare alti benefici;
- investimenti che, anche a fronte di un forte impegno, danno scarsi ritorni;
è evidente come, la maggior parte dei progetti, tenderà a disporsi lungo la diagonale; in generale,
uno strumento di questo tipo, limita comprendere colonne distribuire le risorse e in quali ho
progetti sia più opportuno investire (anche in funzione del particolare momento attraversato
dall'azienda: ad esempio nel caso in cui si abbia la necessità di ottenere ritorno nel breve termine,
sarà opportuno cercare di focalizzarsi anzitutto su progetti “quick response”, salvando comunque
un po' di budget).
L'ultima considerazione, riguarda il fatto che, il grafico di miglioramento mostrato sulle prestazione di tipo
“orde winner”, risulta essere lineare se ci si focalizza nel breve termine (quindi “in un intorno”); parlando di
miglioramento delle prestazioni nel lungo periodo, invece, occorre distinguere due differenti classi:
La prima tipologia (rappresentata dalla linea rossa) è possibile descriverla mediante un andamento "a
saturazione"; ciò significa che cresce sulla base di saggi marginali decrescenti: inizialmente migliorare tale
prestazione consente di ottenere benefici, in termini di ordini, significativi ma, nel lungo periodo, successivi
investimenti non determineranno risultati così sensibili. Al contrario, la seconda tipologia (rappresentata
dalla linea verde) è possibile descrivere mediante un andamento "a massa critica"; ciò significa che, con soli
miglioramenti incrementali (bassi investimenti), i benefici che ne si ottengono risultano essere emarginati,
al contrario, se si è in grado di modificare tale prestazione in maniera significativa (attraverso notevole
sforzo), si è propriamente in grado di aprirsi nuovi mercati e far modificare il modello comportamentale di
scelta dei propri clienti.
Un modello concettuale per la gestione dei trade – off
nel parlare di strategia delle operations, l'ultimo aspetto da affrontare è quello riguardante alle possibili
modalità di gestione dei Trade off tra le prestazioni, una questione "annosa", sulla quale i responsabili delle
operations dibattono da molti anni.
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Affrontare un trade – off significa essere in una situazione in cui, per guadagnare da una parte, occorre
necessariamente perdere dall'altra (e viceversa); un sistema di operations non può eccellere in tutto:
bisogna saper scegliere, nella maniera più opportuna, è comprendere che, su qualche aspetto, bisogna
necessariamente "cedere".
Benché questa fosse l'idea dominante fino a metà degli anni 80, le teorie giapponesi successivamente
sviluppatesi hanno tentato di ribaltare questa concezione, presentando il Trade off non più come un
vincolo, bensì come un'opportunità da cogliere per cercare di migliorarsi da ogni punto di vista, riuscendo
quindi a guadagnare su tutto.
Tra queste due opposte correnti bisogna quindi capire quale sia opportuna da scegliere; le analisi empiriche
hanno dimostrato che, in tal senso, le aziende sono perfettamente spaccate:
- il 50% decide di focalizzarsi su una prestazione, con il risultato di migliorarla significativamente,
ottenendo tuttavia anche dei benefici "marginali" sulle altre dimensioni;
- il 50% tenta di migliorarsi sotto ogni punto di vista (cercando, come poi si vedrà, di “spostare la
propria curva di trade – off”); i risultati, tuttavia, non sono molto incoraggianti poiché, per loro
stessa ammissione, aziende che perseguono questa strategia ottengono dei risultati solo marginali
(da loro stesse ritenuti insoddisfacenti).
L'evidenza empirica spinge quindi verso la focalizzazione; in tal senso, però, è necessario fare un distinguo.
Anzitutto, si faccia chiarezza su quello che è il significato di “curva di trade – off”:
La funzione di trade – off è una curva discendente, che mostra proprio come non sia possibile guadagnare
sotto ogni punto di vista: un miglioramento nelle performance di prezzo significa penalizzare quelle non
legate al prezzo, e viceversa; inoltre, si può osservare come, man mano che si procede verso i due estremi
della curva, le differenze tra l’una e l’altra categoria di prestazioni diventano sempre più sensibili.
La sfida delle imprese consiste nell’andare a posizionarsi in una configurazione tale da coincidere o essere
più prossima possibile al mercato: se il mercato dà più attenzione alle performance non legato al prezzo,
essendo disposto a pagare un prodotto anche di più a fronte di una migliore qualità, l’azienda deve
configurarsi in modo da riuscire a soddisfare tali esigenze.
È quanto accaduto tra Ford e General Motors: Ford, leader incontrastata di mercato, ha avuto la
presunzione di pensare che sarebbe dovuto essere il mercato a restare nella sua configurazione di trade –
off, e non lei a seguirne l’evoluzione, continuando nel suo modello di macchina monocolore, standard ed
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offerta in un unico modello; quando, nel mercato, entrò General Motors, che aveva saputo posizionarsi in
corrispondenza della nuova configurazione voluta dal mercato, la Ford perse la leadership, senza mai più
riconquistarla.
Per gestire ottimamente questo problema, anzitutto le aziende devono avere ben chiaro il significato di
questa curva, e le sue possibili varianti (ed implicazioni); in tal senso, risulta utile distinguerne tre tipologie.
La prima è la cosiddetta curva di “no change” che indica come cambiano le prestazioni di un'azienda, al
modificare dell'output realizzato, ed offerta mercato, ma senza introdurre modifiche significative nelle leve
delle operations (né tecnologiche, né organizzative, né gestionali); si tratta, sostanzialmente di modificare
la propria prestazione a sistema adatto, in una sorta di miglioramento incrementale (si cerca di migliorarsi
spostandosi lungo la stessa curva di trade off); un esempio, in tal senso, è rappresentato dalla decisione di
ampliare la propria gamma di prodotti (ad esempio, offrendo in più colori), senza tuttavia modificare la
configurazione delle operations: per ottenere questo risultato, di maggiore efficacia, inevitabilmente si
andrà incontro ad un maggiore livello di costi.
tentare di seguire il mercato sulla curva di “no change”, significa quindi cercare di spremere il massimo
dalla propria configurazione attuale, ricombinando utilizzando le risorse in maniera differente al fine di
ottenere i risultati desiderati
non sempre è tuttavia possibile raggiungere le esigenze del mercato basandosi su questa curva; è difficile
che il mercato, perlomeno sul lungo termine, si sposti esattamente come la curva di “no change” di
un'impresa, ma più logico pensare che, con il passare del tempo, esso esiga sempre di più. per soddisfarlo,
quindi, non ci potrà spostare solo su tale curva poiché, altrimenti, si creerà un gap con il mercato:
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Per colmare questo gap, occorre spostare tale curva, migliorando, contemporaneamente, più di una
prestazione; questa, tuttavia, per definizione, è la curva “no change”: per spostarla, l’unico modo è
permettere che sia possibile modificare alcune delle leve di configurazione delle operations. Cambiando
alcune di queste variabili, le prestazioni potranno migliorare su più dimensioni contemporaneamente;
ovviamente, si dovrà decidere quanto investire ed in che direzione: ad esempio, se l’obiettivo è, anzitutto,
quello di ridurre i costi, ci sono più direttrici di possibile miglioramento (investimento in progettazione,
aumentare il grado di outsourcing, automatizzare il processo di produzione…), e bisogna capire dove
indirizzare il proprio budget.
Paradossalmente, quindi, per migliorare un trade – off, se ne genera un altro, legato al fatto che non è
possibile investire in tutto: bisogna capire in quali ambiti e più opportuno, in quanto sarebbero in grado di
dare i risultati attesi, in termini di spostamento delle prestazioni.
L’aspetto legato al direziona mento dell'investimento non è però l'unico da risolvere; una volta capito quali
prestazioni spostare (quindi in che ambiti andare migliorarsi), bisogna capire dove spostarle.
Si consideri il seguente esempio:
Si supponga che si sia avvertita la necessità di dimezzare il tempo di set – up, e si sia deciso di investire per
farlo (superamento del trade – off statico dato dalla curva no – change: spostamento ad una curva
“superiore”); bisogna tuttavia capire, dove posizionarsi su questa nuova curva:
 passare da A a C significa migliorare le proprie prestazioni di prezzo, a parità di altre prestazioni:
con riferimento al caso dei set – up, significherebbe produrre impiegando la metà del tempo prima
speso in attrezzaggi; questo vuol dire che, quelle ore non più perse in set – up, possono ora essere
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dedicate alla produzione: poiché, a parità di costi fissi, si produce di più, il costo unitario diminuisce
(gli OVH vengono spalmati su più unità: miglioramento delle performance di costo)
 passare da A a C’ significa migliorare le proprie prestazioni di efficacia, a parità di prestazione di
costo; con riferimento al caso dei set up, significherebbe (poiché, tale tempo, è dimezzato)
dimezzare anche il lotto di produzione; questo vuol dire spendere sempre le stesse ore di
attrezzaggio (durano la metà, ma si realizzano doppio dei lotti), i costi unitari quindi non variano,
ma si è stati in grado di ridurre il tempo di risposta al mercato (prove che si realizzano lotti di
dimensioni più piccole.
È tra queste due configurazioni sia la migliore, dipende da quelle che sono le esigenze del mercato, e dove
esso si è spostato (informazione che, più o meno approssimativamente, l'azienda conosce, in quanto è
stato proprio quello spostamento a far scattare l'esigenza di spostamento della curva di “no change” o
trade – off statico): se il cliente ha aumentato le sue aspettative in termini di prestazioni legate al prezzo,
sarà opportuno andare in C, altrimenti sarà più conveniente investire di modo da arrivare quanto più
possibile vicino a C’.
Va tuttavia detto che, spesso, le aziende, proprio per cercare di evitare di fare una scelta così netta,
decidono per una configurazione intermedia; diversificano quindi gli investimenti in modo da mediare tutte
le esigenze, riducendo un po' i costi e aumentando un po' la loro efficacia: si tenga comunque presente che,
le scelte "politiche", difficilmente solo premianti; l'azienda deve cercare di muoversi dove si muove
mercato, indipendentemente da quelli che sono i contrasti e le discrasie di vedute interne.
Ovviamente, va poi considerata la scelta di come arrivare nella posizione finale desiderata: bisogna capire
(sempre con riferimento all’esempio precedente) se sia più opportuno prima tentare di ridurre i costi, e poi
diminuire i lotti; questo dipende, anche, da quello che è il livello di esperienza, la capacità, e le competenze
interne su cui far leva sulle differenti prestazioni.
Attenzione che, non è detto che la curva di “no change” debba essere necessariamente spostata in seguito
ad uno spostamento del mercato; è possibile che sia l’azienda stessa che, per qualunque ragione
(innovazione tecnologica, nuove risorse a disposizione, nuove competenze…), decida autonomamente di
modificare la sua curva di trade – off statico; anche in tal caso, il dilemma è sempre lo stesso, ovvero
bisogna capire in che direzione “andare a sviluppare” la nuova curva: il riferimento, nel prendere questa
decisione, è sempre il posizionamento del mercato (l’azienda dovrà cercare di spostarsi dove si prevede che
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andrà il proprio mercato target: se si pensa che andrà in C, si muoverà la propria curva cercando di
migliorare le proprie prestazioni di costo, altrimenti più verso C’, privilegiando le dimensioni di efficacia).
Dopo la curva “no change” (che mostra come potrebbero cambiare le prestazioni di un’azienda, nell’ipotesi
di non modificare alcuna leva interna alle operations), la seconda tipologia di curva di trade – off è quella di
settore:
Andando a mappare il proprio posizionamento ed quello di tutti gli altri concorrenti, all’interno di un grafico
a due dimensioni, si evidenzieranno le posizioni relative; andando ad inviluppare tutte le aziende facenti
parte del settore (in particolar modo, quelli posizionati più esternamente, e che vanno a formare la curva
più grande), si ha la possibilità di identificare il confine del mercato, al di fuori del quale, attualmente, non
c’è nessuno; questa prende proprio il nome di “curva di settore”, e rappresenta una proxy del trade – off
che attualmente si sta affrontando tra tutte le aziende che vi fanno parte: il trade – off delle conoscenze.
Nessuno sa come produrre con la varietà di B ed i prezzi di A, a quel punto di intersezione; tramite
miglioramenti successivi, qualcuno ci arriverà, ma oggi nessuno è ancora maturo per farlo; anche se,
un’azienda, cambiasse qualsiasi sua variabile con figurativa interna, non riuscirà ad andare oltre quel
confine nel diagramma, poiché esistono dei limiti alla conoscenza organizzativa e manageriale attualmente
posseduta, così come nei livelli di tecnologia e di processo, che non possono essere (attualmente) superati.
La curva di settore consente, tuttavia, di identificare dove sono posizionati “i migliori”: ipotizzando che, ad
esempio, l’azienda A (che, attualmente, massimizza le sue prestazioni legate al prezzo, in quanto si rivolge
ad un mercato 1 che ha queste esigenze), volesse spostarsi in B (che, al contrario, massimizza di più le
prestazioni di efficacia, in coerenza con i bisogni del mercato 2), per rivolgersi ad un nuovo segmento, sa
che dovrà fare dei cambiamenti forti ma, grazie alle informazioni fornitegli dalla curva di settore, ha già
comunque potuto capire qual è la direzione che dovrà prendere.
È ovvio che, le aziende che si trovano all’interno del confine, e non sul confine, benché non leader, hanno
“gioco più facile” nel migliorare su più prestazioni, proprio perché non hanno ancora raggiunto i limiti della
conoscenza che caratterizza le aziende migliori; in più, esse hanno dei concorrenti migliori di loro da cui
copiare le “best practice” (minor sforzo richiesto).
Infine, l’ultima tipologia di curva di trade – off è quella potenziale: due aziende, benché identicamente
posizionate all’interno della curva di settore (quindi con le stesse prestazioni), possono avere un
“potenziale” diverso; ogni organizzazione ha associato, a sé, un valore, che può essere indipendente da
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quelle che sono caratteristiche e posizionamento attuale, proprio perché guarda al futuro, ed anche alle
prospettive di sviluppo dell’impresa.
L’esempio rappresentato è abbastanza chiarificatore: benché ricoprenti la stessa posizione (medesima
curva di “no change”), le due aziende sono molto differenti in termini di potenziale (ovvero dove
potrebbero spostarsi se solo lo decidessero, in funzione della conoscenza di cui dispongono, del livello di
tecnologia sviluppata, il capitale a disposizione e le energie manageriali): E è messa meglio di D perché, se E
decidesse di spostare la sua curva, anche impiegando al massimo le sue risorse, D non sarebbe in grado di
seguirla. Ciò significa che E, nel passato, ha investito di più nel crearsi questo potenziale, che rappresenta, a
tutti gli effetti, un’arma a suo vantaggio, che potrà decidere di sfoderare al momento che ritiene più
opportuno.
Si tenga presente che, non necessariamente, la curva del potenziale deve essere parallela, ma solo
sviluppata in modo differente:
F e G sono, semplicemente, due aziende differenti che, nel tempo, sono state in grado di costruirsi un
potenziale differente: una, l’azienda G, ha indirizzato la sua ricerca con l’obiettivo di riuscire a produrre una
varietà più ampia, agli stessi costi attuali; al contrario, l’azienda F, ha deciso di investire risorse per trovare
un modo di produrre la stessa varietà, ma in maniera più efficiente; entrambe hanno creato del potenziale
che, al momento opportuno, sfrutteranno.
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Valutare gli impatti degli investimenti sulle prestazioni strategiche: il
caso Ontario Packaging
Per analizzare il caso della Ontario Packaging, una delle principali aziende nella produzione di packaging, la
struttura verrà seguita sarà del tutto simile al approccio utilizzato per il caso della HQ.
Tuttavia, è il contesto a cambiare: non si tratta di valutare le prestazioni e l’opportuna configurazione su
mercati differenti, bensì di valutare quelle che sono gli impatti, in termini di prestazioni operative,
dell'introduzione di nuove investimento.
La situazione è la seguente: il management dell'azienda ha preso in considerazione la proposta di
investimento relativa alla sostituzione dell'attuale laminatoio (vecchio di 12 anni), con un nuovo più
moderno impianto, in grado di garantire la medesima capacità produttiva, nonché una serie di ulteriori
benefici (risparmi il costo del lavoro, minore consumo di materiali e così via). C'è però un problema: la
valutazione dell'investimento mostra un tempo di pay – back pari a 4,5 anni, a fronte di quello richiesto
dalla capogruppo di quattro anni; per tale motivo, è stata incorporata nell’ investimento la proposta di
andare a servire un nuovo segmento di mercato che, permettendo l'aumento dei volumi di produzione (per
maggiori vendite), permetterebbe di saturare maggiormente la macchina, quindi ripagare prima i costi fissi,
facendo scendere il tempo di pay – back a 3,5 anni.
in sostanza, gli effetti di questo nuove investimento, sono
- a parità di tempi di set up, un raddoppio della velocità di laminazione, il che significa la possibilità di
rimpiazzare due delle macchine attuali con un nuovo laminatoio;
- con l'aumento dei volumi di produzione per l'entrata nel nuovo mercato, si sarebbe ottenuta una
nuova saturazione pari all'85/90% (a fronte del valore di 60% attuale).
In linea teorica, tutto il ragionamento sembra essere inattaccabile; si vada, tuttavia, a ragionare più nel
dettaglio.
Sul mercato attuale, l'azienda sta operando molto bene: è un business che funziona, tanto che il
management ha consentito ad effettuare nuovi investimenti (con attenzione, come detto, al reparto di
laminazione).
Si metta anzitutto in evidenza come, tale esigenza di cambiamento sia imprescindibile ed improrogabile: il
marketing ha difatti rilevato come, di qui a poco, gli attuali macchinari non saranno più in grado di
soddisfare al 100% e nuove richieste dei clienti (é una questione di qualità di specifiche: il marketing ha
messo in evidenza il fatto che, i clienti, in base a come si stanno evolvendo le loro esigenze, di qui a poco
faranno delle richieste che il vecchio processo non sarà più in grado di soddisfare). Per questo motivo,
soluzione ideale consiste nell'andare ad investire modificando la leva strategica tecnologico – impiantistica
delle operations: è una scelta che deve essere attentamente valutata poiché, non solo comporta un
turbamento l'intero sistema, ma anche un impatto economico rilevante e vincola l'azienda per un certo
tenere in tempo (con l’acquisto di un nuovo macchinario, l'azienda si pone in una situazione di rigidità).
Nel comprendere tuttavia la ragionevolezza o meno di questa soluzione, bisogna anzitutto andare a
comprendere quelle che sono le caratteristiche del sistema attuale e del mercato che esso va a servire;
anzitutto, quindi, occorre identificare quelle che sono le prestazioni rilevanti e darne una classificazione.
Ne si ha la seguente situazione:
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Prestazione
Tempo (velocità)
Tempo (puntualità)
Prezzo (costo)
Qualità di specifiche
Qualità di conformità
Flessibilità di prodotto
Flessibilità di piano
Flessibilità di gamma
Servizio (post vendita)
Categoria
Winners
Qualifiers
Qualifiers
Qualifiers (Losers)
Qualifiers
Winners
Winners
Winners
Qualifiers (-)
 La flessibilità di gamma e di prodotto sono, sicuramente, le prestazioni più rilevanti, nonché i punti
di forza della Ontario: essa opera su ordine, il che significa che il cliente a dire che cosa vuole, a
fornire il disegno, mentre l'azienda si fa carico della realizzazione del packaging nelle modalità e
caratteristiche desiderate. ciò significa un'ampiezza di gamma pressoché infinita ed un'elevatissima
flessibilità di prodotto;
 anche la velocità rappresenta un parametro fondamentale (in termini di “drivers” sul numero di
ordini ricevuti dall’azienda): quando il cliente richiede un prodotto, è necessario fare per avere nei
tempi più brevi possibili, tendenzialmente in lotti di dimensione contenuta (la logica, difatti, è
quella di mostrare anzitutto come viene il modello; e addirittura poi possibile che la successiva
produzione venga poi affidata ad un altro soggetto, organizzata direttamente dal cliente);
 nel caso della Ontario, è poi se anche una terza tipologia di flessibilità, quella di piano: poiché i
clienti potrebbero variare le loro richieste sull'ordine fino a pochissimi giorni prima della sua
realizzazione, è necessario far tendere a zero l'orizzonte temporale congelato; bisogna essere nelle
condizioni di poter cambiare ogni qualvolta il cliente ne faccia richiesta;
 il prezzo rappresenta una prestazione di tipo “qualifiers”, poiché è quanto meno importante che
resti all'interno di un range accettabile;
 la qualità di conformità è un “qualifiers” (come spesso accade);
 la qualità di specifiche e anch'essa un “qualifiers”, ma è border-line nel diventare “losers”: come
evidenziato in fase introduttiva, difatti, attualmente le specifiche incontrano i requisiti minimi dei
clienti, ma la situazione dovrebbe evolvere in negativo nei casi in cui si decida di non investire e non
modificarsi (i clienti sono sempre più esigenti in termini di specifiche di precisione, numero di fogli
di laminazione, numero di materiali processati... e, la quale processo, tra un po' non sarà più in
grado di soddisfarli);
 la puntualità, come sempre, è un “qualifiers” (come detto, nessuno esplicita le proprie aspettative
in termini di puntualità): attenzione che, benché emerga come questo sia uno dei punti vincenti
dell'azienda, questo non ne fa una prestazione “winners”, poiché resta comunque una dimensione
implicita e data per scontata (attenzione: non meno importante, ma semplicemente utilizzato per
"qualificare" un fornitore, e non utilizzato dal cliente come il driver di scelta tra le offerte
alternative).
A proposito di quest'ultima sottolineatura, è opportuno richiamare la distinzione fra le differenti tipologie
di prestazione.
Si ricordi come, le prestazioni di tipo “qualifiers”, rappresentino dei criteri preliminare di scrematura, al
contrario di quelle di tipo “winners” che guidano propriamente le scelte dei clienti; come già detto, non
significa che le seconde sono più importante delle prime poiché utilizzate dal cliente nel valutare differenti
alternative, semplicemente hanno un diverso significato:
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Numero ordini
il raggiungimento del requisito minimo atteso sulla prestazione di tipo “qualifiers” consente di non
perdere opportunità di vendita (ma non di guadagnarne di ulteriori in caso di risultato sopra le
aspettative);
- il miglioramento e un differenziale su una prestazione di tipo “winners” consente, invece, di
aumentare la propria penetrazione sul mercato (proprio perché il cliente la utilizza, assieme ad
altre, nel valutare l'uno o l'offerta);
in generale, comunque, vale la regola già detta: nel caso in cui si tratti di un parametro che, ipoteticamente,
il cliente chiederebbe di rendere esplicito all’interno di un’offerta, allora si tratta di una prestazione di tipo
“winners”, altrimenti si è nel campo delle “qualifiers”.
Nel caso della Ontario, la puntualità rappresenta una prestazione "qualificante" di migliorandola, l'azienda
non otterrebbe più ordini, a meno che, attualmente, la prestazione non sia a livello “losers”. Questo porta
quindi a richiamare la differenza tra prestazioni di tipo “qualifiers” e prestazione di tipo “losers”, che può
essere ben chiarita dai seguenti tre grafici:
Numero ordini
-
Prestazione
“qualifiers” con
margine rispetto
allo standard
richiesto
Numero ordini
Prestazione
Prestazione “qualifiers”
in perfetto standard
con il mercato (“border
line”, un degrado
potrebbe causare una
perdita di ordini)
Prestazione
Prestazione “qualifiers”
che non rispetta i
requisiti minimi; è, quindi,
una prestazione “losers”:
se non si investe, si
continueranno a perdere
ordini
Prestazione
Una prestazione di tipo “losers”, quindi, è una performance di natura “qualifiers” sulla quale si stanno
perdendo delle opportunità: per migliorare la situazione, è quindi necessario investirvi tempo e risorse. È
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per questo motivo che è scorretto dire che “se il miglioramento di una prestazione comporta l’aumento
degli ordini, questa è necessariamente una prestazione di tipo winners”: in base a quanto detto, difatti,
potrebbe anche essere una prestazione attualmente “losers” che, riportata alle aspettative di mercati,
consente di riguadagnare gli ordini che si stavano precedentemente perdendo.
Numero ordini
Si tenga comunque presente che, il mercato, disegna la curva delle prestazioni “qualifiers” per tutte le
aziende, come segue:
STANDARD DI
MERCATO
Prestazione
In base alla configurazione delle sue operations, ogni azienda all’interno del settore si collocherà poi nella
prima situazione (margine rispetto allo standard), nella seconda situazione (in linea con le aspettative) o
nella terza (sotto standard); con riferimento alla puntualità, l’esempio è abbastanza chiarificatore: se il
mercato si aspetta una puntualità nel 90% dei casi, ogni azienda potrà garantire un valore del 95%
(margine), esattamente del 90% (in linea) o dell’85% (sotto lo standard: trattasi di una prestazione
“losers”).
VALUTAZIONE DELLE PRESTAZIONI DELLA ONTARIO PACKAGING
Per poter valutare la scelta di investimento della Ontario Packaging, occorre anzitutto fare chiarezza su
quello che è il legame tra configurazione delle operations, prestazioni richieste dal mercato e prestazioni
erogate dal sistema.
come detto, l'alternativa si basa sull'adozione di una nuova macchina (laminatoio), tecnologicamente più
avanzata, in grado di svolgere le attività prima condotte da due macchine della medesima tipologia,
consentendo, inoltre, di ridurre i costi poiché
- si ha esigenza di un solo operatore invece che due;
- si ha una maggiore automazione del sistema;
- si ha la possibilità di abbassare la percentuale di sfridi e scarti;
- si ha la sicurezza di riuscire a soddisfare quelle che sono le specifiche richieste del cliente.
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Come già detto, per valutare la bontà dell'investimento, si utilizza il criterio del pay back, il cui valore target
è fissato dal management a quattro anni; poiché, alle condizioni attuali, non si sarebbe in grado di
raggiungerlo (servirebbero quattro anni e mezzo per ripagare l'investimento), si è deciso di andare a ricerca
di un nuovo segmento di mercato da servire: in questo modo si sarebbe saturata parte della capacità libera
del macchinario, migliorando così l'indicatore di valutazione.
Si sottolinei come, nel nuovo business, non si avrà la necessità di ripagare anche i costi fissi di produzione,
ma sarà sufficiente che esso garantisca un margine di contribuzione positivo, contribuendo così a ridurre il
tempo di pay back dell'investimento e renderlo attuabile.
a prescindere dalla bontà o meno di questa decisione, è anzitutto possibile fare la seguente considerazione:
nel capire la correttezza o meno di un investimento, non basta guardare al soddisfacimento del criterio di
valutazione economica poiché, al fine di ottenere il risultato desiderato, potrebbero essere elaborate
soluzioni inefficienti e/o inefficaci (come, potenzialmente, nel caso dell'esempio considerato: in realtà il
macchinario serve per produrre nel business attuale; poi, il fatto che, alle condizioni attuali, non si sia in
grado di rispettare il tempo di ripagamento, ha fatto sorgere la necessità di entrare in un nuovo segmento).
In sostanza, si tratta di andare ad osservare quelle che sono i punti di forza del sistema attuale, cosa
cambierebbe con l'introduzione non macchinario entrata nel non business, riuscendo così a capire se,
l'investimento alle condizioni così definite, supporta o distruggere attuali prestazioni (si ricordi, difatti, che,
attualmente, la Ontario Packaging sta operando con successo).
Scelte tecnologico – impiantistiche
Dimensionamento della capacità
produttiva
Frazionamento della capacità
produttiva
Processo tecnologico
Configurazione
Bassa saturazione (capacità
superiore alla domanda prevista)
Più macchine, scarsamente
saturate
Tempi di set – up brevi, lotti di
piccole dimensioni
attualmente, c'è una grande coerenza tra configurazione delle scelte tecnologiche e modalità di risposta al
mercato: l'aver optato per un sistema che preveda un frazionamento della capacità produttiva su macchine
scarsamente saturate, e la possibilità di effettuare dei set – up in tempi relativamente brevi, consentono di
raggiungere quella flessibilità di prodotto, prestazione "vincente" nel settore. in sostanza, tale
configurazione consente di poter realizzare, a costi sostenibili, un'ampia gamma di prodotti (quelli specifici
richiesti dal cliente) lotti di dimensione contenuta.
Il sistema aiuta tuttavia ad incrementare altre due dimensioni prestazionali: la puntualità e la velocità.
Ad influenzare positivamente la puntualità, ci pensano anzitutto le due macchine in parallelo: il
frazionamento, consente difatti di poter contare su una maggiore disponibilità (se una delle due macchine,
identica mente uguali, si rompe, il processo produttivo non si interrompe, ma continua a funzionare
sebbene la capacità ridotta).
In secondo luogo, ad incrementare la puntualità contribuisce il basso livello di saturazione (60%): nel caso
in cui si abbiano problemi di qualità interna (difettosità maggiori del previsto, scarti, rotture…), avendo
impianti scarsamente saturati, si ha la possibilità di recuperare molto più in fretta le possibili perdite di
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produzione dovute ad un livello di conformità inferiore a quello richiesto, riuscendo comunque a
consegnare l’ordine nei tempi previsti e concordati.
La prestazione che, tuttavia, dipende maggiormente da come attualmente le operations sono progettate e
la velocità, che dipende sia dalle modalità di lottizzazione (realizzando lotti più grandi, ci si impiegherà di
più, poiché si verrà a formare una coda di ordini in attesa di una certa lunghezza), sia dal livello di
saturazione degli impianti.
in generale, il tempo impiegato per l'erogazione di un servizio o per la realizzazione di un prodotto, dipende
da quanta coda il prodotto (o che il cliente in attesa di ricevere servizio) si trova ad avere davanti; proprio
perché, tale coda, dipende dalla relazione tra capacità e domanda (si formerà la coda laddove il numero di
richieste eccede la capacità produttiva disponibile), facendo leva su una configurazione con macchinari
scarsamente saturati, sarà molto infrequente il formarsi di una coda, avendo così la possibilità di rispondere
velocemente alle richieste dei clienti.
Inoltre occorre tenere conto che, il packaging, rappresenta un elemento di marketing primario, e, nell'anno,
la sua domanda non sarà costante, ma avrà un andamento sinusoidale, nonché auto correlata tra un
settore all'altro (ovvero, non solo la domanda è fortemente variabile durante l'anno, ma non si può
neanche far leva su un effetto compensazione tra le varie industries):
D
Dimensionamento
della domanda
ammettendo
sottosaturazione
Dimensionamento
della domanda sulla
base della domanda
media
t
dimensionando la capacità sulla domanda media, si avranno problemi nel gestire le oscillazioni (come
evidente, non si sarà in grado di rispondere opportunamente durante i periodi di picco: ciò significa avere
progressivamente degli arretrati, con conseguente creazione della coda, che si metterà lungo tempo per
essere smaltita); la situazione ancor più critica se si pensa al fatto che non è neanche possibile fare scorta
(essendo l'ordine specifico e customizzato da cliente a cliente); ero quindi che, per porre rimedio a questa
situazione
- o si identificano dei modi per riuscire ad influenzare la domanda di livellarla opportunamente al
valor medio;
- o, inevitabilmente, sarà necessario dimensionare la capacità produttiva di modo tale da poter
essere in condizione di rispondere al mercato con i tempi richiesti dallo stesso. Ciò significa
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dimensionare una capacità superiore a livello medio, il che permette di rispondere in maniera
tempestiva i picchi, assorbendoli in poco tempo, "pagando" tuttavia questa scelta con un'elevata
insaturazione di periodi di avallamento.
È evidente come questa decisione si traduca in un maggiore costo per l'azienda; tuttavia occorre ricordare
che, per il particolare contesto in esame, il prezzo (e quindi i costi, da cui esso discende) è solo una
prestazione “qualifiers”, mentre la velocità è un fattore critico di successo: è quindi sufficiente che il prezzo
venga mantenuto all'interno di un range accettabile, il che significa che il cliente si dimostra disposto a
pagare un po' di più in cambio di una garanzia di maggiore velocità.
Scelte organizzative
Nessuna particolare considerazione da rendere esplicita
Scelte gestionali
Modalità di risposta alla
domanda
Programmazione della
produzione
Configurazione
Make to Order
Lotti di piccole dimensioni
Per quanto riguarda le scelte gestionali, se una logica di realizzazione in Make To Order appare evidente (la
realizzazione del prodotto avviene su specifiche richieste del cliente), il punto chiave è rappresentato dalla
decisione di produrre in lotti di piccole dimensioni, il che consente proprio di ottenere quella flessibilità di
piano, altra prestazioni chiave, e maggiore velocità nei confronti del mercato.
Per quanto riguarda la velocità, va detto che, benché gli ordini varino da cliente a cliente, l'uno rispetto
all'altro, non risultano essere completamente differenti; è possibile, ad esempio, che più ordini da
soddisfare richiedano una laminazione a due fogli, altri a tre fogli, altri ancora a quattro: è evidente che,
passando da un ordine all’altro, se questi hanno delle similitudini (stesso spessore di laminazione), il tempo
di set – up che dovrà essere impiegato sarà minore, altrimenti di entità maggiormente elevata.
La Ontario Packaging ha deciso di non sfruttare i possibili vantaggi derivanti dall’esecuzione successiva di
ordini simili (al fine di ridurre i tempi di set – up), poiché, grazie alle caratteristiche delle sue macchine, i
vantaggi in termini di set – up (brevi) non bilanciano le diseconomie derivanti dall’accorpare la produzione
di ordini con caratteristiche simili; per capire che cosa si vuole intendere, si consideri il seguente esempio.
Indicando con la medesima lettera dell’alfabeto gli ordini con caratteristiche simili (ad esempio, stesso
numero di fogli), il mercato, all’istante t = 1, potrebbe inviare la seguente sequenza:
B1 D1 C1 B2 B3 C2
A fronte di questa ricezione, le scelte di produzione possono essere di due tipi:
1) ragionare per similitudine, e quindi, ad esempio, realizzare prima tutti quelli di tipo B, poi quelli di
tipo C, infine quelli di tipo D. ciò consente di minimizzare i tempi di set – up complessivi (proprio
perché, all’interno della stessa tipologia, il riattrezzaggio rappresenta un’attività poco onerosa);
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2) realizzare gli ordini così come sono arrivati, quindi un tipo B, un tipo D, un tipo C, due tipi B e un
tipo C, impiegando tuttavia maggiore tempo in set – up.
Nel primo caso, ovviamente, si sta lottizzando per ordini simili; adottare una logica di questo tipo implica
che, ipotizzando che, il lotto minimo debba comporsi di quattro ordini e che, i successivi giorni, arrivino le
seguenti sequenze:
t = 2: C3 D2 C4 D3
t = 3: C5 D4 B4 D5
per cominciare ad essere operativo, e mettere in produzione gli ordini di tipo B, si dovrà aspettare fino al
terzo giorno (quando arriverà il quarto ordine di tipo B), partendo poi con la realizzazione nella seguente
logica
B1 B2 B3 B4  C1 C2 C3 C4 C5  D1 D2 D3 D4 D5
Più si vuole ingrandire il lotto della singola tipologia, più si dovrà aspettare nel far partire la produzione, ma
ciò implica una sempre più lunga coda di ordini in attesa; tutto ciò per fare efficienza e minimizzare i tempi
di set – up.
Volendo fare un’ulteriore esempio numerico, la si veda nel seguente modo: si supponga di ricevere cinque
ordini al giorno, ciascuno dei quali che potrebbe riguardare, con medesima probabilità, dieci diverse
tipologie di prodotti diversi da dover realizzare, e ci si chieda: se si vogliono fare lotti composti da cinque
prodotti della stessa tipologia, quanti giorni, in media, si dovrebbe aspettare?
Ipotizzando una distribuzione casuale ed uniforme della natura degli ordini, in due giorni dovrebbe arrivare
almeno un ordine per tipologia di prodotto; ecco quindi che, se si vuole fare un lotto composto da almeno
cinque prodotti della stessa tipologia, occorrerà aspettare cinque di questi gruppetti da due giorni
(all’interno dei quali si ha la certezza di avere almeno un ordine riguardante ogni tipologia di prodotto); ciò
significa, nel complesso, un’attesa di dieci giorni prima di far partire la produzione, ed una coda di ordini di
tale lunghezza: ogni nuovo ordine, a prescindere, sa già che si dovrà andare ad inserire alla fine di una coda
di ordini di dieci giorni, il che significa un’egual attesa (al minimo) prima che esso venga messo in
produzione.
Al contrario, decidendo di realizzare un lotto unitario (ovvero, nel caso dell’esempio precedente, scegliere
di produrre nella logica della sequenza di arrivo), è possibile produrre gli ordini esattamente come essi
arrivano senza dover prolungare le attese per costruire lotti della stessa tipologia; ovviamente, questa
scelta verrà pagata con una maggiore onerosità in termini di set – up, ma è in grado di garantire un tempo
di risposta maggiore al cliente.
La lottizzazione influenza in maniera determinante il tempo di risposta e la velocità nei confronti del cliente:
nel caso della Ontario Packaging
- data l’importanza del fattore velocità;
- dato il fatto che, comunque, le macchine sono in grado di garantire dei tempi di set – up contenuti;
la scelta ideale è proprio quella di una dimensione unitaria del lotto (o, meglio, di realizzare ogni ordine in
sequenza, senza alcune considerazioni relative a possibili similitudini), poiché quella che consente di
massimizzare quelle che sono le esigenze richieste dal mercato (se si operasse con un lotto di dimensione
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maggiore, il vantaggio in termini di set – up sarebbe marginale, dati comunque i bassi tempi attualmente
sostenuti, a fronte di una sensibile perdita in termini di velocità).
La scelta gestionale di fare lotti piccoli influenza la velocità, e questa scelta è tanto più sostenibile quanto si
può far leva su una configurazione di sistema che consenta di farlo con tempi di set – up contenuti: ecco
quindi che, le diverse leve delle operations influenzano le prestazioni ma, anzitutto, si influenzano tra di
loro; la Ontario Packaging ha deciso di produrre in una logica di lotto unitario per garantire al cliente la
minimizzazione del tempo di risposta, ma ciò gli è possibile perché, il sistema produttivo, poggia su una
tecnologia caratterizzata, in assoluto, dalla richiesta di contenuti tempi di attrezzaggio, il che consente di
ottenere la flessibilità di prodotto ricercata.
La dimensione del lotto influenza anche quella che è la flessibilità di piano: andare a produrre nella
modalità a lottizzazione per tipologia, non consente di effettuare alcun eventuale anticipo o cambiamento
per esigenze in corso d’opera; con riferimento all’esempio di cui sopra, ipotizzando di essere nella fase della
produzione della tipologia B (e di dover cominciare a produrre B3), nel caso in cui il cliente dell’ordine D2
richiedesse una realizzazione con urgenza (per qualunque giustificato motivo), non si sarebbe in grado di
dargli una risposta immediata: se questa è la politica di scheduling, prima di mettere in produzione D2
bisognerà quantomeno aver terminato la realizzazione della tipologia B (B3 e B4). Nel caso in cui, invece, si
sia scelta la logica a lotto unitario, il tempo di risposta è immediato: terminato l’ordine in corso di
lavorazione, si può subito procedere con l’inizio di D2, il che significa una flessibilità di piano elevatissima.
Riassumendo, nel caso della Ontario Packaging, il legame tra leve e l’influenza delle leve sulle prestazioni è
rappresentabile come segue:
+
Lotti Piccoli
FLESSIBILITA’ DI PIANO
VELOCITA’
+
Set – up brevi
Frazionamento
(due
macchine)
+
+
FLESSIBILITA’ DI PRODOTTO
PUNTUALITA’
(>> disponibilità)
A questo punto, alla luce di quanto detto, occorre andare a capire se la scelta di acquistare la nuova
macchina (alle condizioni descritte) risulta essere coerente con quelle che sono le caratteristiche del
mercato e le prestazioni che la Ontario Packaging vuole mantenere.
Tale alternativa, così come progettata, risulta essere scorretta, non tanto per fattori quali la diversità o la
rischiosità del nuovo mercato (di interesse relativo: è sufficiente, come detto, che esso dia dei margini di
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contribuzione positivi), ma perché, tale entrata, rischia fortemente di penalizzare le prestazioni sul
mercato consolidato; difatti si avrebbe:
- una macchina invece che due: perdita del frazionamento della capacità produttiva, con
conseguente perdita dell’impatto (positivo) in termini di puntualità, nonché di affidabilità del
sistema (un guasto all’unico impianto, causerebbe la fermata dell’intera produzione);
- un aumento della saturazione del macchinario, con penalizzazione delle prestazioni di tempo;
- la perdita della possibilità di produrre in lotti piccoli, sia perché si va incontro a tempi di set – up più
onerosi (essendo il macchinario più grande), sia perché, anche ammettendo la possibilità di fare
intercambiare tra loro lotti di diverse tipologie, si potrebbero avere problemi in termini di qualità
(interrompendo a metà un lotto, per poi riprenderlo successivamente, significherebbe non
garantire il medesimo livello di conformità all’interno dello stesso).
La decisione va quindi rivista, partendo da quelli che sono due punti strategici fondamentali:
 con l’evoluzione prevista nel mercato, il processo produttivo, di qui a poco, non sarà più in grado di
soddisfare le esigenze dei clienti: un cambiamento è quindi necessario poiché, l’immobilismo,
farebbe comunque perdere gran parte dei fattori di successo che hanno caratterizzato l’azienda
fino a questo momento;
 il macchinario in questione è sì economicamente conveniente, in grado di dare maggiore efficienza
ed in grado di far rispondere alle specifiche che i clienti, nell’immediato futuro, richiederanno;
tuttavia, non è introducibile alle condizioni progettate, poiché questo significherebbe (così come
nel caso dell’immobilismo) andare incontro a tutta una serie di problemi, che farebbero perdere
gran parte dei fattori di successo che hanno caratterizzato l’azienda fino a questo momento.
Posto quindi che, l’investire a queste condizioni è sfavorevole (entrando nel nuovo mercato, si
pregiudicherebbero le prestazioni su quello attuale), ma anche che il non investire significherebbe
degradare gradualmente sul mercato attuale, occorre elaborare delle soluzioni alternative.
La prima, e più immediata, sarebbe di richiedere di alzare il tempo di pay – back target: ciò che ha causato
l’identificazione dell’opportunità di entrata nel nuovo mercato (e, dunque, il fallimento potenziale della
nuova strategia), è stata proprio la necessità di diminuire tale valore per portarlo all’obiettivo richiesto;
portando sul tavolo del management dei dati concreti (in grado di tradurre tutte le considerazioni fatte in
precedenza), che dimostrino, ad esempio, come il mantenere una bassa saturazione sia fondamentale per
poter ottenere delle prestazioni vincenti, li si potrebbe convincere ad accettare anche un tempo di ritorno
più alto (4,5 / anni), dimostrando comunque come, nel tempo, si sarà in grado di mantenere dei risultati
interessanti.
Il vincolo imposto dalla Capo Gruppo non necessariamente deve essere preso come barriera
insormontabile: come ogni decisione, all’interno delle aziende, è necessario valutare idoneità e specificità
del caso, e non cercare di elaborare soluzioni sub ottimali (o, addirittura, come nel caso della Ontario
Packaging, penalizzanti) solo per cercare di rispettare queste “regole imposte”. Nel caso, occorre quindi far
capire che, benché l’entrata nel nuovo mercato, con maggiore saturazione del macchinario, possa apparire
come la soluzione ottimale (che consente, nello stesso tempo, di ottenere maggiore efficienza e di
rispettare il criterio di valutazione), le cose non stanno in realtà così.
Alternativamente, nel caso in cui neanche ciò fosse sufficiente, è inevitabile ricorrere a fonti di
finanziamento esterne: se il management interno non mette a disposizione il capitale necessario per
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effettuare l’investimento, occorrerà rifarsi a terzi (se si è confidenti nel “successo” della soluzione, difatti,
non si avrà problemi a restituire tale prestito nel seguito), proprio perché occorre comunque fare qualcosa.
Si sottolinei come, invece, un’alternativa non praticabile sarebbe quella di acquistare il nuovo macchinario
e dedicarla al mercato attuale, tenendo una delle due precedenti per l’entrata nel nuovo mercato, per
due motivi:
1) il problema, comunque, rimane: il macchinario attuale non soddisferebbe comunque il vincolo
imposto (il che riporta alle considerazioni fatte poco sopra);
2) per quanto riguarda il tenere una delle due macchine per il mercato nuovo, occorre tenere
presente che, tale mercato, si caratterizza per una forte competizione sul prezzo, e le prestazioni
“winners” sono i costi, quindi fattori vincenti quali l’avere grande efficienza, un sistema produttivo
composto da grandi macchine realizzanti grandi volumi, in grande velocità e con alta automazione.
Entrando in questo segmento, la Ontario si ritroverebbe a competere con grandi player, di grande
esperienza, e con tutte queste caratteristiche: l’azienda, invece, nuova entrante, con bassi volumi e
bassa automazione, non riuscirà ad essere competitiva. Se l’obiettivo è quello di avere quanto
meno un margine di contribuzione positivo, la cosa sembra fattibile; se, invece (come in questo
scenario), l’esigenza diventa quella di ripagare anche i costi fissi legati al macchinario di produzione,
la cosa si fa complicata;
la soluzione sembra, quindi, poco conveniente (a meno che l’entrata nel nuovo mercato non venga
opportunamente strutturata e valutata mediante l’elaborazione di un business plan che vada a definire
obiettivi e risultati attesi in maniera più strutturata; così, l’entrata è invece solo un “riempitivo” a
giustificazione dell’investimento).
Leve tecnologico - impiantistiche: gestione della capacità e scelta di
processo
Nell’ambito delle variabili da definire nel configurare le operations, data la loro particolare importanza, è
interessante focalizzare l’attenzione a due di queste: la strategia di gestione della capacità produttiva e la
scelta sulla tipologia di processo da adottare.
STRATEGIE DI CAPACITA’
La decisione su quanta capacità installare all’interno del sistema e come frazionarla non rappresenta una
scelta “statica”, ma che ha esigenza di essere rivista (generalmente verso l’alto) in corrispondenza di diversi
istanti temporali.
In tal senso, occorre definire:
 timing del cambiamento, ovvero quando occorre cambiare;
 unità del cambiamento, ovvero cosa occorre cambiare;
 transitorio di cambiamento.
Timing del cambiamento
Per capire quando sia opportuno cambiare, bisogna, anzitutto, valutare
- il lead time del cambiamento, ovvero il tempo necessario ad ottenere effettivamente
l’ampliamento di capacità produttiva;
- la flessibilità interna al cambiamento;
54
-
l’influenza di eventuali economie di scala;
l’andamento previsto della domanda, facendo delle previsioni;
il livello di incertezza connesso a tali previsioni (che, in quanto tali, saranno sempre e comunque
sbagliate);
il comportamento dei concorrenti;
il comportamento dei clienti (in particolare, in termini di livello di servizio richiesto).
Dato un certo livello di capacità produttiva attuale, ed una previsione della domanda per il futuro, è
possibile elaborare due differenti strategie di adeguamento della capacità:
 una strategia reattiva, ad inseguire la domanda: viene ampliata la capacità nel momento in cui si
prevede vi sarà un sufficiente livello di domanda per saturarla;
 una strategia proattiva, ad anticipare la domanda: viene ampliata la capacità nel momento in cui, il
valore attuale, viene saturato dalle richieste provenienti dal mercato (in sostanza, si vanno ad
anticipare possibili aumenti della domanda).
Gli evidenti svantaggi di una strategia di anticipazione sono una maggiore inefficienza (bassa saturazione
degli impianti) ed una maggiore esposizione finanziaria (in termini relativi rispetto all’altra situazione: si
effettua un investimento anticipato su un aumento solo previsto, ma non ancora riscontrato); di contro,
tuttavia:
- si può sempre far leva per soddisfare le esigenze dei propri clienti, essendo in grado di garantirgli
un alto livello di servizio;
- nel caso in cui si verificasse una domanda superiore alle attese, si avrebbe extracapacità per poterla
soddisfare (nel caso in cui la si fosse seguita, invece, si sarebbe arrivati al massimo a saturazione, in
base alle previsioni, non essendo nelle condizioni di acquisire nuovi ordini);
- nel caso in cui si avessero problemi con i nuovi impianti (ad esempio, guasti o fermi), l’impatto sulla
clientela è più basso (il che lo si può osservare guardando il grafico: poiché, un ritardo nella
produzione, significa spostare la curva di capacità più verso destra, si vede immediatamente che,
nel caso in cui si sposti quella che anticipa la domanda, l’area di richieste in ritardo ha un certo
valore; nel caso in cui si sposti quella che insegue la domanda, le richieste in ritardo si estendono
lungo un’area molto più grande);
infine, si hanno tempi di consegna più brevi ed affidabili (proprio come nel caso della Ontario
Packaging, con un’insaturazione degli impianti): con extracapacità, si può consegnare in tempi più
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contenuti e, in caso di problemi, si ha la possibilità di recuperare proprio perché si dispone di
capacità libera.
È evidente come, trattandosi di due strategie opposte, vantaggi e svantaggi di una politica ad “inseguire” la
domanda siano esattamente duali della precedente.
In generale, si può dire che, laddove il mercato premia particolarmente un basso tempo di consegna,m un
alto livello di servizio, e dove il prezzo non è una variabile fondamentale, è preferibile adottare una
strategia più tesa verso l’anticipo della domanda; al contrario, laddove il mercato guarda anzitutto al
prezzo, e richiede efficienza, con attenzione marginale al livello di servizio ed alla consegna, allora si può
scegliere di “inseguirlo”.
I due casi presentati sono, però, due logiche “estreme”, in realtà, le aziende, nel configurare e riadattare le
loro operations, devono riuscire a collocarsi nel giusto punto di mezzo tra di queste.
Una prima situazione intermedia è quella che vede frequenti incrementi di capacità produttiva; in un caso
di questo tipo, si possono utilizzare le scorte create nei momenti di insaturazione con il primo impianto, per
coprire i possibili deficit di capacità mentre si effettua l’ampliamento (è ovvio che, se tali aumenti sono più
sporadici, non è possibile fare scorta adesso per un futuro, troppo lontano, nel quale si verificherà
l’ampliamento).
Una seconda possibilità è quella di decidere di ricorrere all’outsourcing, il che, tuttavia, è meno banale di
quanto si possa pensare: per rivolgersi a fornitori esterni occorre, difatti, aver svolto a monte l’intero
processo di preparazione, ricerca, valutazione e selezione del fornitore più adatto; inoltre, affinchè possa
essere raggiunta l’efficacia e l’efficienza nella relazione, è necessario mettere il fornitore nelle condizioni
ideali, preparandogli la tecnologia (se necessario) e fornendogli tutte le informazioni necessarie al caso.
Infine, una terza interessante alternativa è quella di utilizzare dei prodotti riempitivi.
I prodotti riempitivi rappresentano dei beni o servizi, non direttamente rientranti all'interno del core
business dell'azienda, che però essa è in grado di realizzare o erogare in quanto in possesso delle tecnologie
e delle competenze necessarie. I prodotti riempitivi vengono utilizzati per saturare la capacità produttiva
attualmente non utilizzata; la logica è la seguente: benché tali prodotti non rientrino all'interno del mercato
principale che si va a servire, e benché si sia consapevoli che non si sarebbe competitivi su quel mercato
andando a competere con l'intera struttura di costo, tale segmento viene utilizzato in maniera strumentale
per ripagare i soli costi fissi complessivi dell'azienda (generalmente elevati), rendendo sufficiente che diano
un margine di contribuzione positivo (e quanto accaduto nel caso Ontario Packaging con l'entrata nel nuovo
mercato).
Sono tre le condizioni alla base dei prodotti riempitivi:
1) devono essere tecnologicamente compatibili con il sistema di produzione attuale;
2) il canale di distribuzione di vendita non deve interferire con quello dei prodotti facenti parte del
core business;
3) deve poter essere possibile interrompere la vendita in qualunque momento non si ritenga
opportuno.
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Ritornando al caso della Ontario Packaging, un'alternativa interessante a quella proposta era quella di
entrare nel nuovo mercato, produrre tale prodotto caratteristico, ma facendolo nell'ottica del prodotto
riempitivo: si dovrà far passare il messaggio, si ha la clientela servita che all'organizzazione interna, che
ruolo di quel prodotto era solo riempitivo, e che si sarebbe potuto interrompere la fornitura in qualunque
momento.
A queste condizioni, era possibile introdurre il nuovo macchinario entrando anche nel nuovo mercato
(quindi producendo per tale mercato sullo stesso laminatoio); tuttavia, il fatto che esso sarebbe stato un
prodotto riempitivo, avrebbe fatto sì che, non appena fosse arrivato un ordine dal mercato tradizionale,
qualunque cosa stessero realizzando il macchinario (per il nuovo mercato), sarebbe stata interrotta a favore
del nuovo ordine. in questo modo, si ottiene un duplice beneficio:
- da un lato, si rende sostenibile l'investimento i criteri dell'azienda;
- dall'altro, si assorbono tutti i vantaggi tipici dei prodotti riempitivi (maggiore efficienza, miglior
saturazione, ulteriore fatturato), senza andare ad impattare in alcun modo sulla produzione
principale (in presenza di qualunque esigenza, le conseguenze le avrebbe subite tutte il mercato
riempitivo).
Nel caso della Ontario, se si riuscisse a far accettare all'organizzazione interna che si occupa di quel
prodotto, così come il canale distributivo, la sua categorizzazione come prodotto riempitivo (cosa meno
facile di quello che si possa pensare), è verificato il ripagamento quanto meno dei costi variabili, allora si
potrebbe adottare questa soluzione, che permette di saturare la capacità produttiva, senza imporre vincoli
di impattare sul mercato attuale (in caso di esigenza di capacità, il primo ad essere penalizzato sarà il
mercato del prodotto riempitivo).
Sempre con riferimento al timing del cambiamento, occorre fare un approfondimento su quelle che sono le
previsioni sulla domanda (tutte le considerazioni precedentemente fatti si basano su un grafico di
andamento la domanda stimato). Posto come tutte le previsioni siano sbagliate, la verità sta nel riuscire a
comprendere di quanto esse siano errate; per tale motivo, la soluzione più efficace è quella di dare un
intervallo di confidenza sul valore previsto, ovvero posizionare il valore "medio" tra:
- un limite superiore, o "previsione ottimistica", che indica come, nel 95% dei casi, la domanda non
sarà più alta di quel valore;
- un limite inferiore, o "previsione pessimistica", che indica come, nel 95% dei casi, la domanda non
sarà più bassa di quel valore.
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In sostanza, quello che si farà, è costruire un intervallo di confidenza intorno la previsione, in grado di
determinare un intervallo di variazione dal quale poi derivare tutta una serie di interessanti considerazioni;
all'interno di questo orrendo di variazione, difatti ricade il 90% dei casi che si possono verificare (ne rimane
escluso un 5% superiormente ed un altro 5% inferiore mente).
L'incertezza sulla domanda, emerge anche dal precedente grafico, non è però l'unico fattore aleatorio;
occorre anche tenere presente l'incertezza legata al momento in cui sarà disponibile tale capacità: si avrà
un lead time atteso sulla disponibilità di capacità, per il quale è egualmente possibile costruire un intervallo
di confidenza dato da una previsione ottimistica di una pessimistica.
a fronte di queste due variabili (incertezza sul momento di disponibilità della capacità, incertezza sulla
domanda) è quindi possibile costruire degli scenari, e condurre delle analisi di sensitività (che, considerato
un insieme di variabili, si propongono di valutare qual è l'impatto sul risultato finale di una variazione di una
certa percentuale di ognuna di esse). poiché, nel caso, le uniche due variabili da considerare sono
l'incertezza sulla domanda e quella sul timing di fine progetto, incrociando le differenti configurazioni si può
andare a prevedere cosa potrebbe accadere, cautelandosi preventivamente nel caso in cui uno o più
scenari ritenuti "rischiosi" si verificassero.
Ad esempio, un caso interessante potrebbe essere quello di capacità rese disponibili con anticipo rispetto ai
tempi, ma in corrispondenza di un livello di domanda che si situa limite inferiore (scenario pessimistico
sulla domanda e ottimistico sulla realizzazione del progetto). Una situazione di questo tipo genera un in
saturazione molto grande; nota la probabilità con cui questo scenario potrà verificarsi, se si ritiene
opportuno cautelar visi, è necessario andare a comprendere, oggi, che azioni sia possibile mettere in piedi
per limitarne gli impatti nel caso in cui questo scenario si presenti:
 ad esempio, si potrebbe pensare di identificare possibili prodotti riempitivi, o già facenti parte
dell'attuale portafoglio prodotti, o ottenibili mediante minimi investimenti (piccola modifica il
sistema produttivo, ricerca dei distributori che accettino un mercato di questo tipo...); in questo
modo, nel caso in cui si verificasse insaturazione, si potrebbe tamponare questo gap utilizzando tali
prodotti;
 ad esempio, si potrebbero definire delle clausole contrattuali, con chi realizzare lavori di
ampliamento della capacità, istituendo delle penali nei casi in cui i lavori finiscono con troppo
anticipo rispetto al preventivato (come dimostrato dallo scenario, la volontà potrebbe essere quella
di avere ritardi ma neanche di avere anticipi, ma che i lavori finiscano esattamente in prossimità
dell'ometto pianificato, onde evitare il generarsi di effetti sconvenienti.
un secondo interessante caso è quello di scenario pessimistico sulla realizzazione del progetto (progetto in
ritardo) ma ottimistico sulla previsioni di domanda (richieste che si situano a livello superiore); si potrebbe
pensare di:
 in maniera duale, definire delle clausole contrattuali che prevedano penali nel caso in cui si
verificano ritardi sull’ esecuzione;
 mettere in allarme possibili fornitori idonei ad erogare lo stesso prodotto o servizio, onde evitare di
non soddisfare le richieste (si tratta di impegnare potenzialmente parte della capacità produttiva di
tali fornitori attivandola solo in caso di necessità).
La costruzione di scenari serve per riuscire a prefigurare i possibili impatti sull'azienda di tutta una serie di
eventi futuri; una volta associata a ciascuno di essi il valore di probabilità, si trascureranno quelli a basso
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impatto, e si porrà attenzione a quelli ad alto impatto ad alta probabilità, ricercando soluzioni per
anticipare possibili vincoli e problematiche successive.
Si tenga comunque presente che prendere delle contromisure, ha un suo costo: non si può assicurarsi su
tutto, ma occorre fare delle scelte; non è possibile cautelarsi da tutto, ma bisogna decidere quali rischi
affrontare, su quali esporsi maggiormente e da quali invece difendersi preventivamente.
Unità di cambiamento
La seconda decisione da prendere relativa alla strategia di gestione della capacità è quella relativa all'unità
di cambiamento, ovvero le dimensioni di ampliamento (o riduzione) di tale capacità; è evidente che al
crescere di tale unità, si amplificano di problemi descritti.
Nell’effettuare la scelta su quanto cambiare, occorre considerare:
-
-
l’influenza delle economie di scala: nel caso in cui esse abbiano una rilevanza molto importante,
sarà necessario fare unità più grandi, altrimenti ci si potrà limitare ad ampliamenti “incrementali”;
la variabilità della domanda: unità più piccole, danno una maggiore flessibilità di volume (è più
facile aprire e chiudere un’unità piccola piuttosto che un’unità grande, poiché ci vuole meno a
saturarla), ed anche una maggiore flessibilità di gestione delle risorse (è più facile dismettere
un’unità piccola piuttosto che un’unità grande che, in genere, lascia comunque in eredità una serie
di costi fissi che sono causa di inefficienza);
la disponibilità di capitale: benchè, spesso, la convenienza sia quella ad acquistare un unico grande
macchinario ed unità, in realtà spesso questo non accade poiché non si dispone del capitale
necessario per poterlo fare. Le cose non dovrebbero andare così: sarebbe opportuno cercare in
tutti i modi di trovare queste risorse, per realizzare quella che sarebbe la configurazione ottimale
per le operations, senza accontentarsi di soluzioni sub ottimali; è quindi evidente come, da questa
considerazione, aspetto finanziario ed aspetto legato alle operations siano, spesso, fortemente
intrecciati: si tratta di capire come riuscire a conciliare entrambe le esigenze.
Transitorio del cambiamento
In genere, si è portati a ragionare, in termini di cambiamento, da situazione “as is” a situazione “to be”,
senza considerare che, in mezzo, devono succedere una serie di cose, affinchè il cambiamento si realizzi:
quello noto, appunto, come il transitorio di cambiamento, che può rappresentare un vincolo piuttosto
forte.
Per capire perché è importante considerare questo aspetto, si consideri il seguente esempio.
Si supponga di considerare un’azienda che abbia uno stabilimento nel Nord Italia (nel quale si realizzano
molte attività di fabbricazione e meno di assemblaggio), uno nel Sud Italia (nel quale si realizzano molte
attività di assemblaggio e meno di fabbricazione, ed una serie di stabilimenti di assemblaggio sparsi per
l’Europa.
I due stabilimenti nel Nord e Sud Italia, erano in contatto tra loro mediante una rete logistica di trasporto;
in questa configurazione, tuttavia, tale rete era scarsamente ottimizzata: i camion che partivano dal Nord,
con grandi carichi di fabbricati, tornavano dal Sud poco saturi (volumi di fabbricazione bassi) e, viceversa, i
camion che partivano dal Sud con grandi carichi di assemblati, tornavano dal Nord poco saturi (volumi di
assemblaggio bassi).
Per rendere più efficiente la struttura, quindi, la soluzione ideale da implementare era quella di dedicare
uno stabilimento alla fabbricazione ed uno all’assemblaggio, di modo da rendere i due sistemi
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completamente indipendenti; per fare questo, tuttavia, era necessario effettuare uno spostamento di
macchinari da Nord a Sud e viceversa.
Per valutare la fattibilità del progetto, tuttavia, bisogna capire, anzitutto, il transitorio del cambiamento,
ovvero quanto tempo passa dal momento in cui i macchinari vengono spenti e smontati da uno
stabilimento, per poi essere trasportati e pronti al funzionamento nell’altro. È fondamentale quantificare
tale orizzonte perché, poi, bisognerà organizzarsi in modo tale da riuscire a far fronte alle richieste dei
clienti facendo leva su un numero di macchinari inferiore rispetto a quello usualmente attivo.
Se, ad esempio, per effettuare questo spostamento, fosse necessario un mese, e l’incremento di capacità
produttiva su base continuativa che si sarebbe in grado di ottenere dal sistema attuale fosse del 10% ogni
mese, significherebbe che, per rendere sostenibile senza conseguenze tale cambiamento, non lo si
potrebbe fare prima di un anno: tale è il tempo necessario a creare la quantità di scorte necessaria a far
fronte ad un’attività di un mese delle macchine spostate.
Si capisce bene che, una modifica che sembrava non così complessa da implementare, guardandola
nell’ottica del “transitorio” necessario al cambiamento, assume tutti altri connotati; bisogna quindi fare
molta attenzione non solo a quello che è il cambiamento in sé, ma anche a tutto ciò che è necessario fare
“di contorno” (e che richiede tempo) per rendere tale cambiamento implementabile senza conseguenze
negative per l’azienda.
LA SCELTA DELLA TIPOLOGIA DI PROCESSO
La seconda, interessante, variabile di configurazione sul quale è opportuno focalizzare l’attenzione è quella
relativa alla tipologia di sistema produttivo che si è deciso di adottare.
Come già avuto modo di dire, le differenti alternative possono essere identificabili andando ad incrociare,
in modo tabellare, in corrispondenza della quantità di volumi da soddisfare:
In maniera più approfondita, assumendo, come estremi, la configurazione della linea (alti volumi, bassa
varietà) e quella del job shop (bassi volumi unitari, ampia gamma), è possibile mettere in evidenza una serie
di variabili che, a seconda del valore assunto per il particolare contesto in esame, spingono più verso l’uno
o l’altro sistema; tali variabili sono raggruppabili in quattro categorie:
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 implicazioni per il prodotto/servizio e per il mercato (tipo di prodotto, varietà, modalità di
soddisfacimento della domanda, orientamento all’innovazione…);
 implicazioni per le operations (flessibilità di processo, volumi, caratteristiche della tecnologia di
processo, controllo qualità, bottoleneck…);
 implicazione in termini di investimenti e costi per la scelta del processo (capitale investito,
economie di scala, livello di scorte, incidenza dei costi del lavoro, dei materiali e degli OVH…);
 Implicazioni organizzative e gestionali (tipo di vendita al cliente, tipo di relazione con i fornitori, tipo
di controllo, livello di competenze richieste…).
Ciascuna di queste dimensioni ha, passando dal job shop alla linea, delle caratteristiche ottimali differenti.
Tale strumento, è quindi utilizzabile nel seguente modo:
- Le implicazioni per il prodotto/servizio e per il mercato servono a comprendere quelle che
sarebbero le caratteristiche ideali del processo per ciascun segmento;
- Le implicazioni organizzative e gestionali servono a comprendere quelle che sono gli approcci
interni che dovrebbero essere utilizzati nell’affrontare quel segmento;
- Le implicazioni per le operations servono a comprendere quella che dovrebbe essere la
configurazione “ideale” per competere in quel segmento.
È ovvio che, se si seguisse la best practice tracciata da questo schema, dovrebbe essere garantito assoluto
allineamento tra configurazione interna ed esigenze esterne; in realtà, l’utilità di questo schema consiste
proprio nell’andare a mappare il proprio posizionamento interno rispetto a quelle che sono le esigenze di
mercato, verificandone coerenza ed allineamento.
Nel configurare le operations, l’errore più comune è quello di non riuscire a distinguere differenti segmenti
di mercato, caratterizzati da fabbisogni differenti, trattandoli come un’unica tipologia di clientela ed
andandola a servire con una struttura “intermedia” (che cerchi di mediare le esigenze dell’una e dell’altra);
questo, come già visto nel caso della HQ, è un approccio sbagliato: se si vuole rendere il sistema di
operations veramente coerente con quelle che sono le esigenze di mercato, benché oneroso, è necessario
andare a costruire più configurazioni differenti.
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