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4/5/2014
“FOTOGRAFO, NON ANTROPOLOGO” – LO SGUARDO ESTETICO SUL “BUON SELVAGGIO”: INTERVISTA A SEBASTIÃO SALGADO | Fiel…
“FOTOGRAFO, NON ANTROPOLOGO” – LO SGUARDO
ESTETICO SUL “BUON SELVAGGIO”: INTERVISTA A
SEBASTIÃO SALGADO
di BARBARA CODOGNO
“Quello che voi vedete è uno scatto. Io premo il pulsante ma la fotografia è fatta di prima e di dopo. Il prima è
Lelia, mia moglie. Lei organizza tutto, l’équipe che mi segue, gli alberghi, i voli, le location. Il dopo sono i miei
collaboratori, i professionisti che scelgo, la post produzione. Ogni fotografia ha tantissime persone dietro, non
si vedono nello scatto ma ci sono”.
Così Sebastião Salgado racconta il suo lavoro, la costruzione che c’è dietro a ogni sua fotografia. Non tanto un
procedere visuale istintuale, piuttosto una metodologia di approccio, un processo rigoroso di produzione che
tende alla realizzazione dell’immagine perfetta.
Eccola “Genesi. Fotografie di Sebastião Salgado”. In mostra fino al 18 maggio alla Casa dei tre Oci, Venezia, la
mostra è a cura di Lélia Wanick Salgado, sua moglie. “Lo scopo di questo progetto è di ricongiungerci con il
mondo com’era prima che l’uomo lo modificasse fino quasi a sfigurarlo” spiega Salgado. Ritenuto il più grande
fotografo documentario del nostro tempo, Sebastião Ribeiro Salgado nasce l’8 febbraio 1944 ad Aimorés, nello
stato di Minas Gerais, in Brasile. A 16 anni si trasferisce nella vicina Vitoria, dove finisce le scuole superiori e
intraprende gli studi universitari. Nel 1967 sposa Lélia Deluiz Wanick. Dopo ulteriori studi a San Paolo, i due si
trasferiscono prima a Parigi e quindi a Londra, dove Sebastião lavora come economista per l’Organizzazione
Internazionale per il Caffè. Nel 1973 torna insieme alla moglie a Parigi per intraprendere la carriera di fotografo.
Lavorando prima come freelance e poi per le agenzie fotografiche Sygma, Gamma e Magnum, per creare poi
insieme a Lèlia la agenzia Amzonas Images, Sebastião viaggia molto, occupandosi prima degli indios e dei
contadini dell’America Latina, quindi della carestia in Africa verso la metà degli anni Ottanta. Salgado
documenterà la fine della manodopera industriale su larga scala quindi l’umanità in movimento, non solo
profughi e rifugiati, ma anche i migranti verso le immense megalopoli del Terzo mondo. Lélia e Sebastião hanno
creato nello stato di Minas Gerais in Brasile l’Instituto Terra che ha riconvertito alla foresta equatoriale – che era
a rischio di sparizione – una larga area in cui sino stati piantati decine di migliaia di nuovi alberi e in cui la vita
della natura è tornata a fluire. L’Instituto Terra è una delle più efficaci realizzazioni pratiche al mondo di
rinnovamento del territorio naturale ed è diventata un centro molto importante per la vita culturale della città di
Aimorès.
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“FOTOGRAFO, NON ANTROPOLOGO” – LO SGUARDO ESTETICO SUL “BUON SELVAGGIO”: INTERVISTA A SEBASTIÃO SALGADO | Fiel…
© Sebastião Salgado – Amazonas Images
Realizzata da Amazonas Images, “Genesi” è l’ultimo grande lavoro di Sebastião Salgado: per sottolineare la
necessità di salvaguardare il nostro pianeta, di cambiare il nostro stile di vita, di assumere nuovi comportamenti
più rispettosi della natura e di quanto ci circonda, di conquistare una nuova armonia. Le immagini sono
suggestive.
In mostra 240 fotografie: dalle foreste tropicali dell’Amazzonia, del Congo, dell’Indonesia e della Nuova Guinea
ai ghiacciai dell’Antartide, dalla taiga dell’Alaska ai deserti dell’America e dell’Africa fino ad arrivare alle
montagne dell’America, del Cile e della Siberia. Genesi è un viaggio fotografico nei cinque continenti per
documentare, con immagini in un bianco e nero, la rara bellezza del nostro pianeta. La mostra è suddivisa in
cinque sezioni che ricalcano le zone geografiche in cui Salgado ha realizzato le fotografie: Il Pianeta Sud, I
Santuari della Natura, l’Africa, Il grande Nord, l’Amazzonia e il Pantanàl. La mostra presenta una serie di grandi
fotografie di paesaggio mentre un’altra parte del lavoro mette insieme le fotografie che ritraggono animali. In
mostra anche le immagini che mostrano popolazioni indigene: gli Yanomami e i Cayapó dell’Amazzonia
brasiliana; i Pigmei delle foreste equatoriali del Congo settentrionale; i Boscimani del deserto del Kalahari in
Sudafrica; le tribù Himba del deserto namibico; le tribù delle più remote foreste della Nuova Guinea.
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“Personalmente vedo questo progetto come un percorso potenziale verso la riscoperta del ruolo dell’uomo in
natura. L’ho chiamato Genesi perché, per quanto possibile, desidero tornare alle origini del pianeta: all’aria,
all’acqua e al fuoco da cui è scaturita la vita; alle specie animali che hanno resistito all’addomesticamento; alle
remote tribù dagli stili di vita cosiddetti primitivi e ancora incontaminati; agli esempi esistenti di forme
primigenie di insediamenti e organizzazione umane. Nonostante tutti i danni già causati all’ambiente, in queste
zone si può ancora trovare un mondo di purezza, perfino d’innocenza. Con il mio lavoro intendo testimoniare
com’era la natura senza uomini e donne, e come l’umanità e la natura per lungo tempo siano coesistite in quello
che oggi definiamo equilibrio ambientale”.
Salgado propone 240 fotografie in bianco e nero. Un bianco e nero irreale che però riesce – parcellizzando la
realtà, quasi ricreandola grazie a un enorme lavoro di post produzione, a mettendola in posa – a far arrivare
allo spettatore l’immagine di una bellezza ultra – terrena.
Salgado mi dice che questa mostra è dedicata alla terra, e alle sue creature. Che Genesi è un progetto sulla
natura. La mostra l’ha curata sua moglie, Lélia Wanick Salgado, inseparabile compagna di vita e di avventure.
Dopo quello che mi ha detto, mi viene spontaneo chiedergli quanto sia importante Lélia per la sua fotografia:
“Fondamentale. Come le ho detto poc’anzi, un fotografo come me si muove con uno staff di professionisti. Lélia
organizza tutto: i viaggi, le produzioni… E’ lei a pensare ai progetti, a ottenere le autorizzazioni, i visti. Prenota
gli alberghi, i mezzi di locomozione. Lélia cura le mostre, gli allestimenti, le scenografie, i cataloghi. Senza Lélia il
mio lavoro di fotografo non sarebbe davvero possibile”.
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Indugio di fronte alle immagini di indigeni in posa che stazionano fermi e contratti davanti alla macchina
fotografica e confronto questi scatti più costruiti con quelli che invece sembrano essere più spontanei, forse
rubati: un giaguaro che scende nel fiume, una coda di una balena che guizza fuori dall’oceano, una lunga
processione di pinguini neri che attraversano ghiacci silenziosi.
Com’è lo sguardo di questo fotografo, mi chiedo allora. Salgado mi risponde serio e professionale: “Sa, a volte
leggendo quanto scrivono su di me, un po’ sorrido. Dicono che sono un fotografico antropologico, impegnato…
Mi si legge con l’ideologia, mi si concettualizza. Per me invece è più semplice. Per me la fotografia è tutto. La
fotografia mi occupa completamente: io penso alla fotografia praticamente 24 ore su 24. Penso a come
realizzare l’immagine perfetta”.
L’immagine: in una società come la nostra, così bombardata dalle immagini, avrà ancora senso proporre delle
immagini? Mi risponde ironico: “L’immagine oggi è al potere, è vero. Detta canoni e stili. Ma è anche vero che
l’immagine è un linguaggio universale. Immediato, alla portata di tutti. Io sono brasiliano lei italiana, per parlarci
dobbiamo usare il francese, per fortuna io e lei lo parliamo, altrimenti avremmo avuto bisogno di un’altra
persona che ci traducesse. Le immagini non hanno bisogno di parole. Si vedono e basta”.
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Gli chiedo allora quale sia il senso o la caratteristica più sviluppati in un fotografo: vista, intuito, velocità?
Risponde ancora col suo pragmatismo: “Il cervello, senz’altro, perché controlla la mano che fa il click. Però poi ci
vuole tantissima pazienza. Pensi che ho trascorso 8 mesi all’anno per 8 anni in giro per il mondo per realizzare
le foto di Genesi. Ho viaggiato in lungo e in largo. Ho trascorso ore e ore a guardare, ad ascoltare. Le mie
fotografie le scatto soltanto con grande pazienza. Aspetto fino a quando arriva il momento esatto, il momento
perfetto. E allora faccio click”.
BARBARA CODOGNO
Barbara Codogno nata a Padova dove risiede, laureata in Filosofia estetica, collabora con il Corriere del Veneto
e altre testate nazionali. Ha curato numerosi eventi artistici e mostre d’arte. Critica d’arte, si occupa
principalmente di arte contemporanea e come artista si inserisce nella poetica della Social Art. Scrittrice, ha
pubblicato alcuni racconti in antologiche con Ediarco e Perrone Editore, ha al suo attivo le pubblicazioni:
“Metrolidier”, Apogeo editore; “Cosa sognano le donne” e “PCR Per colpa ricevuta” per i tipi della Cleup. Fa
parte del Forum sugli studi e le politiche di genere dell’Ateneo di Padova con titolo di “Osservatore del
Territorio”.
SEBASTIÃO SALGADO
Sebastião Salgado nasce l’8 Febbraio del 1944, in un piccolo paese dello stato brasiliano di Minas Gerais,
Aimorés. Nel 1963, si iscrive alla facoltà di Economia, dove si laurea nel 1967, lo stesso anno del suo
matrimonio con Lélia Deluiz Wanick, dalla quale avrà due figli. Tra il 1967 e il 1967 la coppia si trasferisce due
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volte, prima a São Paulo e in seguito a Parigi, in modo tale da poter approfondire i rispettivi studi (Economia e
musica per Salgado e architettura per Lélia). Nel 1971 si trova a dover viaggiare spesso in Africa per lavoro ed
è proprio durante questi viaggi che si avvicina per la prima volta al mondo della fotografia. Le immagini scattate
in quei luoghi lo impressionano a tal punto che decide di lasciare il suo lavoro da economista e ritornare a
Parigi, nel 1973, per iniziare la sua carriera da fotografo.
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