Rassegna 19

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DI MINO MILANI
IL TEATRO FRASCHINI
DI PAVIA
Dal ‘700 è luogo di cultura e momento
di aggregazione civica. Non si può non
essere conquistati dall’eleganza, dall’armonia
delle linee e dal colore di un tenue verde
autunnale...
E’certamente un po’ difficile immaginare
che cosa possa essere una città (una di quelle
che si rispettano, naturalmente) senza il suo
teatro; cercava di spiegarmelo un caro amico
di Milano, orfano della Scala e non consolato
dall’Arcimboldi. Forse con un po’ di
indiscrezione, gli ho detto che lo sapevo,
e anche meglio di lui, perché (parlando con
un milanese avevo prudentemente anticipato:
“si parva licet componere magnis” se è possibile paragonare le nostre piccole alle vostre
grandi cose) Pavia era stata per una decina
d’anni senza il suo unico teatro, annaspando
tra tendoni, sale cinematografiche eccetera,
e (posso permettermi questo bisticcio?)
sospirando quel sospirone di sollievo che,
alla fine, era pur riuscita a tirare.
Soltanto allora era tornata se stessa a pieno
titolo, quando aveva riavuto il Fraschini.
Gaetano Fraschini, pavese, tenore acclamato
nel mondo, e ammirato specialmente da Verdi,
aveva cinquantadue anni, quando, nel 1869,
con gesto glorificante, Pavia gli intitolò il suo
teatro, ciò che non è cosa da tutti, né da tutti
i giorni. Del resto, neanche un simile cambiamento di nome è da tutti i giorni: e quello
dismesso, “Dei Quattro Cavalieri” era molto
bello e molto del suo tempo: il teatro fu
infatti costruito in due soli anni, dal 1771
al 1773, per iniziativa di quattro nobiluomini
pavesi. Una lapide, spoglia d’ogni
retorica, ricorda che essi lo vollero
dedicare “nocturno otio”, noi diremmo “al tempo libero serale”: tempi
felici, quelli in cui la parola “cultura”
non era tirata in ballo ad ogni
momento. Il progetto era del
celebre Bibiena. Un bel nome, sì;
ogni tanto a qualcuno (come ad
esempio a me) sfugge un sospiro
di nostalgia, e accade di avanzare
l’inutile proposta di tornare ad esso:
in realtà, anche se lo si ribattezzasse,
i pavesi continuerebbero a chiamarlo
Fraschini, così come chiamano
“dell’Impero” il ponte sul Ticino,
ufficialmente detto “della Libertà.”
Davvero, per certe cose, indietro
non si torna.
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Il Fraschini, con stagioni teatrali sempre
dignitose e talvolta di grande rilievo, è ed è
stato anche luogo e momento d’aggregazione
civica. In anni lontani, anzi, lo è stato fin
troppo: a carnevale, veniva trasformato
in una gigantesca sala da ballo, e nei palchi
“si folleggiava”, come rammenta qualche
anziano testimone, il cui entusiastico rimpianto
è un po’ difficile da condividere. Durante
la seconda guerra mondiale, il teatro compì
patetici sforzi per sopravvivere; la bella e
promettente ripresa che seguì fu interrotta
dalla necessità, davvero improcrastinabile,
d’un restauro. Il Fraschini fu dunque chiuso
per lavori; ma dopo qualche anno, anche
per una città nemica del tempo come Pavia,
si cominciò a pensare che le cose andavano
per lunghe, e un po’ troppo. Lavori, sì,
ma cantiere spesso o spessissimo deserto;
donde tristi e desolanti voci di abbandono,
di saccheggi d’arredi e di infissi, di degrado
crescente. In ogni modo, nel 1994, (due anni
a costruirlo nel ‘700, circa dieci a restaurarlo
oggi) il teatro fu riaperto, riportato infine
“all’antico splendore”, secondo la vecchia
formula in uso in questi casi. Quanto brillasse
questo splendore storico, non sappiamo;
certo quello di oggi ha una luce vivissima:
non ci saranno più le dorature, e nemmeno
i busti dei ventiquattro re longobardi
(ventiquattro: bella fantasia, ammettiamolo,
metterne insieme tanti) che lo arricchivano;
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i palchi variamente manomessi non avranno
più il colore e il carattere d’un tempo:
ma tutto è così in ordine, e le luci sono così
sapientemente disposte, che non si può non
essere conquistati dall’eleganza, dall’armonia
delle linee e del colore, d’un tenue verde
autunnale, anziché del solito rosso.
Un grande protagonista della musica d’oggi
ha osservato che se in termini di prestigio
non è certamente pensabile comparare
il Fraschini alla Scala, altra cosa è farlo in
termini di eleganza, suggestione e armonia.
Ci si potrebbe insomma spingere a dire
che se la seconda avesse lo stile del primo,
sarebbe realmente incomparabile.
Da quando è stato riaperto, il Fraschini
conosce una felice, anzi una sempre più felice
stagione. Lo scopo che proponevano i quattro
Cavalieri è raggiunto, o forse nuovamente
raggiunto e in ogni modo confermato;
e possiamo benissimo immaginare che dall’alto
del suo busto, nell’atrio, Gaetano Fraschini
sorrida soddisfatto sotto i bei baffoni verdiani.
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UNA STRUTTURA DI SPETTACOLO DI ALTO LIVELLO QUALITATIVO
DI ANTONIO SACCHI
PRESIDENTE DELL’ISTITUZIONE TEATRO FRASCHINI
L’attività del Teatro “Fraschini” negli ultimi anni
è stata importante per diverse ragioni, ma soprattutto per quello che riguarda la serietà e la coerenza della programmazione delle stagioni teatrali
e l’oculata gestione economica. Ciò è stato possibile grazie al sostegno da parte del Comune di
Pavia e al concorso di privati sempre più sollecitati
dal crescente valore socio culturale del Teatro.
Il buon lavoro fin qui svolto ha portato il
“Fraschini” ad ottenere un sempre più convinto
consenso da parte del pubblico pavese; inoltre
il Teatro si è progressivamente imposto nell’ambito
dello spettacolo italiano come un luogo che
conferisce prestigio perché inserisce abitualmente
nella sua programmazione artisti di elevata qualità
e di grande fama e allestimenti di livello internazionale. Questi risultati hanno favorito il riconoscimento di “Teatro di Tradizione” assegnato dal
Ministero per i Beni e le Attività Culturali nel
novembre dell’anno 2003: un traguardo a lungo
atteso. Il Teatro “Fraschini” è il teatro pubblico
e storico della città di Pavia. Questa condizione
lo ha spinto ad essere attento alle esigenze
e ai bisogni dei diversi “pubblici”, perseguendo
nella sua programmazione un giusto equilibrio
tra le proposte più popolari e quelle che possono
interessare un pubblico più esigente. Uno degli
obiettivi è stato quello di contrastare, da una parte,
la corsa all’intrattenimento fine a se stesso e
dall’altra di evitare una cultura per pochi privilegiati. In questo contesto si è ben collocata la
attenzione rivolta all’Università e al mondo della
scuola. I risultati conseguiti sono effettivamente
significativi: aumento costante del numero degli
abbonati (l’indice di occupancy dei posti a sedere
supera l’80% della capienza complessiva del
teatro che è di 700 posti); oltre 43.000 spettatori
presenti in ciascuna stagione in una città che
non arriva a ottantamila abitanti; incassi superiori
a euro 600.000, riscontrati al termine di ogni
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stagione; valutazioni positive da parte degli
spettatori; soddisfazione espressa dagli artisti.
Tutto ciò ha confortato quelle scelte di fondo che
hanno qualificato il “Fraschini” come struttura
di spettacolo di alto livello qualitativo, frequentata
con passione e amore dal pubblico, apprezzata
anche dai sostenitori economici, in definitiva sempre presente nel tessuto sociale e culturale cittadino.
Gli ambiti della programmazione artistica hanno
riguardato e riguardano i settori della Lirica, della
Prosa, della Nuova Drammaturgia, della Danza,
della Musica e dell’Operetta. In particolare per
quanto attiene alla Stagione Lirica strategica si
è rivelata la partnership con la Fondazione Banca
del Monte di Lombardia a favore del progetto
“Lirica al Fraschini”. L’intero complesso delle
attività del Teatro ha avuto come fedeli sostenitori
molti soggetti privati. Con Banca Regionale
Europea, ad esempio, sono stati realizzati
gli eventi culturali legati all’occasione
del Capodanno che hanno visto tra i
protagonisti Goran Bregovic e Nicola
Piovani, solo per citarne un paio. Questo
solido rapporto con soggetti privati
ha prefigurato la possibilità di un loro
prossimo coinvolgimento “istituzionale”
nella gestione del Teatro, assicurandone
una partecipazione stabile e definita.
Il Teatro Fraschini è, tra l’altro, uno dei
protagonisti dell’attività dell’Associazione
“I quattro cavalieri” che ha tra i suoi
scopi il sostegno alla orchestra “I Solisti
di Pavia” diretti dal noto violoncellista
Enrico Dindo. Lo sviluppo delle attività
potrebbe preludere ad un vero e proprio
ruolo guida del Teatro nell’organizzazione
di una politica della cultura che riproponga al centro del sistema amministrativo il cittadino come risorsa sociale,
economica e morale.
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