L`intervista su I love Sicilia

Transcript

L`intervista su I love Sicilia
Due rendering
del progetto della
nuova area urbana
di 200 mila metri
quadrati
Fiorello
show
“Appena esco dall’aeroporto di Catania,
sento l’odore, vedo la luce della Sicilia.
Poi, mi arriva la voce di uno:
minchia, arrivau Fiorello! In quel momento
mi sento a casa, mi sento protetto”.
Lo showman più amato dagli italiani
racconta la sua Sicilia:
i vecchi compagni di scuola, il dialetto,
la tentazione di sentirsi sperti
e un ricordo indelebile:
quell’ultima volta con suo padre
sul ferry boat che lo portava in Continente
di Gaetano Savatteri
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“
Da quando sono
famoso si sono
moltiplicati
parenti e amici”,
racconta Fiorello
ad I love Sicilia,
a Letojanni tra
una granita di fichi
e una di gelsi,
impegnato
a superare
indenne pranzi
e cene di famiglia
a base di caponata,
melanzane fritte,
sarde a beccafico,
cannoli e cassate
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Q
ualcuno lo ha visto
nel supermercato
di Nino Nicita. Nel
reparto ortofrutta
c’era uno che somigliava preciso
preciso a Rosario
Fiorello e gridava
come l’ambulante
che vannia la sua merce: “Lattuga fresca,
bella la lattuga fresca!”. Qualcun altro
lo ha visto entrare nel negozio di ferramenta di Palmina e Giovanni: era uguale
e sputato a Rosario Fiorello, ma non ha
comprato nemmeno un chiodo. Chissà
che cercava. Un altro ancora ha avuto il
coraggio di avvicinarsi nel corso principale di Letojanni al sosia di Fiorello e gli ha
chiesto: “Dimmi la verità: ma chi ti dissi?”. La domanda, formulata sottovoce,
riguardava il colloquio a Palazzo Grazioli
tra lo showman e il presidente Berlusconi, prima del contratto con Sky.
C’è voluto poco, però, per capire che il sosia di Rosario Fiorello, quello che vendeva lattuga nel supermercato di suo cugino, che entrava nel negozio di ferramenta
dei suoi parenti e che andava in giro per
Letojanni era veramente Rosario Fiorello,
in vacanza con moglie e figlia nel paese
dove vive sua madre. Così il tentativo del
mattatore televisivo di muoversi in incognito non è durato nemmeno poche ore.
Perché quando Rosario Fiorello approda
in Sicilia, si mette in moto una potentissima rete di informatori che ne segue ogni
passo. E ne studia ogni mossa.
“Da quando sono famoso si sono moltiplicati parenti e amici”, racconta Fiorello,
tra una granita di fichi e una di gelsi, impegnato a superare indenne pranzi e cene
di famiglia a base di caponata, melanzane
fritte, sarde a beccafico, cannoli e cassate. “A volte, per evitare brutte figure, non
avviso nemmeno del mio arrivo. Ma già
all’aeroporto, prima di salire sul volo per
Catania, c’è qualcuno che telefona: sai cu
c’è ‘ncapu l’apparecchio? Fiorello. Nel giro
di mezz’ora la notizia arriva a Letojanni.
E allora cominciano i guai. I parenti stretti stanno in agguato: adesso vediamo da
chi va per primo a fare visita. Dalla zia?
Dal cugino? Dai parenti di Giardini o da
quelli di Taormina?”.
I problemi di tutti gli emigrati di ritorno.
Come risolvi queste delicatissime questioni diplomatiche?
“L’altro giorno sono andato in piazza e
ho cercato di incontrare tutti in un colpo solo. Arrivato nel supermercato di
Nino Nicita ho preso a vanniare la lattuga.
C’era qualche turista del nord, mi guardava con occhi sbarrati: ‘Uè, che ci farà mai
qui il Fiorello?’ Però questa cosa di dover
incontrare i parenti e magari di sbagliare
qualche mossa mi mette un po’ di ansia.
Ci si mette pure mia madre: Rosario, vedi
che dobbiamo andare dallo zio Pippo. E
andiamo dallo zio Pippo! E poi stasera
vengono i cugini e domani le zie…”.
Vabbè, inconvenienti del successo…
“Già. Avrò già incontrato almeno cinquecento compagni di scuola. Tutti dicono:
ti ricordi, eravamo a scuola insieme? C’è
“
La gente vuole andare
in televisione ed è impossibile
spiegare che io non posso chiedere
un favore. Un tempo facevi
la gavetta, io ho fatto per quindici
anni l’animatore nei villaggi.
Adesso invece la gavetta
la fanno in televisione
”
gente che si ricorda di quando trent’anni fa mi ha offerto una sigaretta. Confesso che a volte non ricordo niente, allora
devo fingere, perché leggo la delusione
negli occhi dell’altro. E così invento”.
Immagino che quando torni a Letojanni
qualcuno ti chieda anche qualche favore: ormai sei uno che conta nel mondo
della tv.
“La gente vuole andare in televisione,
pensa che con una raccomandazione di
Fiorello può andare al Grande fratello o
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da Amici. È impossibile spiegare che io
non posso chiedere un favore, allora intuisci che cosa stanno pensando: Fiorello si
è montato la testa, non vuole fare nemmeno un piccolo favore. Mi incontrano conoscenti, mi dicono: mio figlio studia ragioneria, ma vuole fare il cantante. È inutile
insistere, tu gli spieghi: fallo studiare, meglio un bravo ragioniere che un modesto
cantante. Non c’è verso. Un tempo facevi
la gavetta, io ho fatto per quindici anni
l’animatore nei villaggi, sono arrivato a
Milano che avevo quasi trent’anni. Adesso
invece la gavetta la fanno in televisione e
tutti vogliono andare in televisione a fare
la gavetta”.
Andare via, tornare indietro. Insomma,
il destino dei siciliani di mare aperto.
Com’è questa sensazione del ritorno?
“Adesso sarò banale, ma io mi emoziono. Ormai torno in aereo, ma mi ricordo
ancora quando viaggiavo in treno. Ero
militare a Pordenone, appena arrivavo
sul traghetto sentivo quegli odori, vedevo
quel mare… e poi l’arancino che ti rimaneva sullo stomaco per sette giorni. Anco-
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“
Il Ponte sullo Stretto?
“Un mio amico ha impiegato
undici ore da Roma perché
la Salerno-Reggio Calabria
era tutto un cantiere.
Io mi chiedo: dopo che
uno si è fatto undici ore
di macchina a che minchia
serve il ponte?”
ra adesso, appena esco dall’aeroporto di
Catania, sento l’odore, vedo la luce della
Sicilia. Poi, mi arriva la voce di uno: minchia, arrivau Fiorello! In quel momento
mi sento a casa, mi sento protetto”.
Certo, il ferry boat è un’altra cosa…
“Non lo prendo da dieci anni. L’ultimo
mio ricordo riguarda mio padre. Lavoravo già a Milano, a Radio Deejay. Mio padre
disse: ti accompagno fino a Messina, poi
torno indietro. Arrivati al porto, decise
di salire sul traghetto con me, fino a Villa San Giovanni. Ci prendiamo un caffè
assieme, disse. Lui prese un caffè, io il
solito arancino. All’attracco, io scesi in
macchina, lui restò a bordo per tornare
indietro. Me lo ricordo nello specchietto
retrovisore, sembra la scena di un film.
È l’ultima volta che l’ho visto vivo, morì
poco tempo dopo. A volte penso che quell’insistenza di volermi accompagnare era come
una specie di premonizione,
quasi sapesse che sarebbe stata l’ultima volta”.
Un ricordo amaro. Ma visto
che parliamo di traghetti, la
domanda è inevitabile: pro o
contro il ponte sullo Stretto?
“Questa cosa mi fa proprio incazzare. Un mio amico ci ha
raggiunto in macchina qui in
Sicilia. Ha impiegato undici ore da Roma
perché la Salerno-Reggio Calabria era
tutto un cantiere, una coda infinita dietro
un camion, lavori in corso, pure il rallentamento per un incidente. Io mi chiedo:
dopo che uno si è fatto undici ore di macchina a che minchia serve il ponte? Ci
vorrebbe piuttosto una bella autostrada
in Calabria, a quel punto il traghettamento può essere perfino una cosa romantica.
Credo però che qualcuno voglia legare il
suo nome a quello del ponte: una grande
opera monumentale per passare alla storia. Ma tanto sono sicuro che il ponte non
lo vedranno nemmeno i miei nipoti”.
Il tuo amico Andrea Camilleri sostiene
che torna in Sicilia quando deve ricaricare le batterie, soprattutto perché fa
l’immersione nel dialetto…
“
Sul dialetto siciliano ha ragione
il maestro Camilleri. Ci sono
parole che mi fanno impazzire.
Appena me ne ricordo o ne sento
una che avevo dimenticato chiamo
il mio assistente di studio,
un catanese che come me ha
la passione per i termini siciliani,
e ce li scambiamo come le figurine”
“Ha ragione il maestro Camilleri (e a
questo punto Fiorello rifà il verso allo
scrittore di Porto Empedocle, come nei
celebri sketch radiofonici). Ci sono parole siciliane che mi fanno impazzire. Lo sai
che faccio? Appena me ne ricordo o ne
sento una che magari avevo dimenticato,
chiamo subito il mio assistente di studio,
un catanese che come me ha la passione
per i termini siciliani e ce li scambiamo
come le figurine. Gli ho appena telefonato perché ho sentito tre parole che avevo
completamente rimosso dalla memoria.
La prima è oggiallanno: cioè un anno fa,
di questi tempi. L’altra è antura: ante ora,
poco fa. E poi la parola zammuliata, na
zammuliata di amici: credo sia un termine dei pescatori, roba di pesca. Faccio lo
stesso con mia moglie: lei è di Roma, ma
con un nonno siciliano. Mi piace raccontarle queste cose: le parole, gli usi, i modi
di dire e di fare”.
(Irruzione della figlia di Fiorello: la bambina ha un tamburello con i nastri colorati. “Brava, bella mia – dice papà Rosario
– ieri ha visto il gruppo folkloristico e ha
voluto il tamburello, vuole imparare la
tarantella. Bedda la mia sicilianuzza”).
Come ti accolgono i paesani?
“Puoi immaginare, no? Benissimo. Ma mi
sento sempre esaminato. Penso che mi
studiano per capire se mi sono montato
la testa. E allora fai di tutto per far capire
che non sei cambiato, che sei sempre il
solito Rosario. E così a volte sbagli. Quando ero a Radio Deejay, con i primi guadagni, mi comprai una Volvo 780 usata.
Tornai ad Augusta, perché la mia famiglia
In queste pagine, Fiorello con Mike Bongiorno
e il direttore d’orchestra Enrico Cremonesi.
Nella foto piccola, Andrea Camilleri
viveva ancora lì anche se è originaria
di Letojanni. E pensavo: adesso cosa
diranno se mi vedono con questa
Volvo? E ancora: forse ho sbagliato,
forse dovevo lasciarla a Milano. Sospettavo che la gente potesse dire:
e cu si cridi di essiri? Perché qui
in Sicilia ti senti sempre giudicato,
sempre sotto esame”.
Certo, perché in Sicilia ci sentiamo
tutti “sperti”, tutti furbi. Più furbi
degli altri.
“È vero. Siamo troppo sperti, ma a livello personale, sul piano privato. Pensiamo
troppo a noi stessi e siamo sempre pronti a criticare gli altri. Ma visto che siamo
così sperti e consideriamo tutti gli altri
babbi, soprattutto fuori dalla Sicilia, allora voglio capire perché con il mare che
abbiamo, con le bellezze che ci ritroviamo, ci facciamo fregare sempre. Pensa
alla Romagna: se lo sognano un mare
come il nostro, eppure hanno fatto grandi cose. E invece qui da noi, in Sicilia…
guarda come abbiamo ridotto le coste, le
nostre città…”.
Questo forse dimostra che non siamo
così “sperti”. D’altra parte si dice che “cu
nesci arrinesci”, chi va via fa fortuna: è il
tuo caso, ad esempio…
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Sei anche impegnato con l’associazione
Piera Cutino, per la realizzazione di un
padiglione all’ospedale Cervello di Palermo per la cura della talassemia. Non è
che sei vittima della sindrome del disertore? Parlo del modo di pensare di molti
emigrati di successo che si sentono un
po’ in colpa rispetto alla Sicilia.
“Dici bene. Allora non sono l’unico? Immagina che agli organizzatori dei miei
spettacoli dico sempre che in Sicilia il
biglietto deve costare la metà di quanto
costa altrove, rinunciando per primo a
parte dei miei compensi, naturalmente.
Perché credo che il cordone ombelicale
con la Sicilia non si tagli mai. Peraltro mia
mamma vive ancora qui per alcuni mesi
all’anno, se non sta a Roma dove abitiamo tutti noi fratelli: io, Beppe e Catena.
“
Quando ero ragazzo,
io ero il figlio dello
sbirro. Ma oggi
la coscienza popolare
è decisamente cambiata.
Basta vedere quello
che stanno facendo
gli imprenditori contro
la mafia, il coraggio
dei ragazzi palermitani
di Addiopizzo che
manifestano contro Cosa
Nostra: ecco qualcosa
è veramente cambiato
in questa Sicilia”
“Me lo ricordo bene quando tutti i
miei amici dicevano: se restiamo
qui moriamo. C’era gente che andava a fare il cameriere a Riccione,
invece di venire magari qui a Taormina. Ma bastava il fatto che andavi
fuori dalla Sicilia e tutti commentavano: miii, quello a Riccione truvau un
travagghiu troppo importante. Cameriere,
capisci? Per questo ammiro molto artisti
come Franco Battiato, come Carmen Consoli, che hanno scelto di restare in Sicilia e
dalla Sicilia fanno cose importanti”.
Ti è mai venuta la tentazione di fare lo
stesso?
“Certo che mi viene la tentazione. E infatti ho tenuto spettacoli a Letojanni,
proprio perché me lo chiedono i miei paesani. Quasi ogni estate vado al teatro di
Taormina, tranne quest’anno. Ma già dalla prossima estate ricomincio. È un modo
per dare qualcosa alla Sicilia”.
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E mia madre mi manda book, dvd, cd di
ragazzi che cantano o vogliono fare televisione. Li danno a mia madre dicendo:
questa cosa la può fare vedere a Rosario?
E io mi guardo tutto, perché sono siciliani, ma anche perché sempre ci può essere un talento. Sono diventato come Pippo
Baudo”.
Pippo Baudo?
“Quando ero ragazzo Pippo Baudo era il
mito di tutta la Sicilia. Tutti mi dicevano:
sei bravo, se ti vedesse Baudo… io facevo l’animatore nei villaggi e c’era sempre
uno che mi diceva: conosco uno che conosce un altro che conosce Pippo Baudo,
perché non fai un provino con lui?”.
E l’hai fatto?
“Sì. Una volta mi incontrò lo scenografo
Renato Greco, chiamò Baudo e mi presentai”.
Come andò?
“Male. Ho fatto il provino per Fantastico,
ma Baudo mi scartò: disse che avevo i
tempi troppo lunghi, non ero adatto per
fare gli sketch in tv”.
Sbagliò Baudo…
“No, aveva ragione. Perché io non sono
uno che in tre minuti, come a Zelig, entra
in scena, fa ridere e se ne va. Io in tre minuti non riesco a dire nemmeno come mi
chiamo. Ho i tempi lunghi”.
Negli sketch sui siciliani c’è sempre la
solita macchietta, il solito siciliano da
commedia all’italiana…
“È vero: il personaggio alla Tiberio Murgia,
che peraltro non era nemmeno siciliano
ma sardo. Io ci scherzo sopra sul siciliano con la coppola e i baffetti, quello che
dice: nenti vitti, nenti sacciu, non c’ero e
se c’ero dormivo. Il siciliano geloso: Crocifissa abbassa gli occhi e non ridere che
se ridi ti si vedono le gengive”.
I soliti luoghi comuni sul siciliano geloso. Tu sei geloso?
“Moltissimo”.
Permaloso?
“Sì, sono permaloso”.
Non sarai anche diffidente?
“Sì, sono pure diffidente”.
Insomma, il classico siciliano da copione
“Hai visto? Tutto il tempo dell’intervista
a dire: basta con la solita Sicilia e con i
soliti siciliani. E poi, ecco me: geloso, permaloso e diffidente. Si vede che non sono
cambiato”.
E secondo te invece la Sicilia è cambiata,
sta cambiando?
“Quando ero ragazzo io ero il figlio dello
sbirro, perché mio papà era nella guardia
di finanza. Come tanti altri miei amici,
però, ammiravo il figlio del contrabbandiere, del malavitoso, quello che aveva la
Vespa e i soldi in tasca. Mio padre mi spiegava: vedi che i buoni siamo noi, non sono
quelli lì. Poi ho capito che aveva ragione
mio padre. Ecco, adesso mi sembra che
i siciliani, rispetto ad allora, questa cosa
l’abbiano capita. La coscienza popolare è
decisamente cambiata. Basta vedere quello che stanno facendo gli imprenditori
contro la mafia, il coraggio dei ragazzi palermitani di Addiopizzo che manifestano
contro Cosa Nostra: ecco qualcosa è veramente cambiato in questa Sicilia”.
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