L`intervista su I love Sicilia
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L`intervista su I love Sicilia
Due rendering del progetto della nuova area urbana di 200 mila metri quadrati Fiorello show “Appena esco dall’aeroporto di Catania, sento l’odore, vedo la luce della Sicilia. Poi, mi arriva la voce di uno: minchia, arrivau Fiorello! In quel momento mi sento a casa, mi sento protetto”. Lo showman più amato dagli italiani racconta la sua Sicilia: i vecchi compagni di scuola, il dialetto, la tentazione di sentirsi sperti e un ricordo indelebile: quell’ultima volta con suo padre sul ferry boat che lo portava in Continente di Gaetano Savatteri 16 ILOVESICILIA ILOVESICILIA 17 “ Da quando sono famoso si sono moltiplicati parenti e amici”, racconta Fiorello ad I love Sicilia, a Letojanni tra una granita di fichi e una di gelsi, impegnato a superare indenne pranzi e cene di famiglia a base di caponata, melanzane fritte, sarde a beccafico, cannoli e cassate 18 ILOVESICILIA Q ualcuno lo ha visto nel supermercato di Nino Nicita. Nel reparto ortofrutta c’era uno che somigliava preciso preciso a Rosario Fiorello e gridava come l’ambulante che vannia la sua merce: “Lattuga fresca, bella la lattuga fresca!”. Qualcun altro lo ha visto entrare nel negozio di ferramenta di Palmina e Giovanni: era uguale e sputato a Rosario Fiorello, ma non ha comprato nemmeno un chiodo. Chissà che cercava. Un altro ancora ha avuto il coraggio di avvicinarsi nel corso principale di Letojanni al sosia di Fiorello e gli ha chiesto: “Dimmi la verità: ma chi ti dissi?”. La domanda, formulata sottovoce, riguardava il colloquio a Palazzo Grazioli tra lo showman e il presidente Berlusconi, prima del contratto con Sky. C’è voluto poco, però, per capire che il sosia di Rosario Fiorello, quello che vendeva lattuga nel supermercato di suo cugino, che entrava nel negozio di ferramenta dei suoi parenti e che andava in giro per Letojanni era veramente Rosario Fiorello, in vacanza con moglie e figlia nel paese dove vive sua madre. Così il tentativo del mattatore televisivo di muoversi in incognito non è durato nemmeno poche ore. Perché quando Rosario Fiorello approda in Sicilia, si mette in moto una potentissima rete di informatori che ne segue ogni passo. E ne studia ogni mossa. “Da quando sono famoso si sono moltiplicati parenti e amici”, racconta Fiorello, tra una granita di fichi e una di gelsi, impegnato a superare indenne pranzi e cene di famiglia a base di caponata, melanzane fritte, sarde a beccafico, cannoli e cassate. “A volte, per evitare brutte figure, non avviso nemmeno del mio arrivo. Ma già all’aeroporto, prima di salire sul volo per Catania, c’è qualcuno che telefona: sai cu c’è ‘ncapu l’apparecchio? Fiorello. Nel giro di mezz’ora la notizia arriva a Letojanni. E allora cominciano i guai. I parenti stretti stanno in agguato: adesso vediamo da chi va per primo a fare visita. Dalla zia? Dal cugino? Dai parenti di Giardini o da quelli di Taormina?”. I problemi di tutti gli emigrati di ritorno. Come risolvi queste delicatissime questioni diplomatiche? “L’altro giorno sono andato in piazza e ho cercato di incontrare tutti in un colpo solo. Arrivato nel supermercato di Nino Nicita ho preso a vanniare la lattuga. C’era qualche turista del nord, mi guardava con occhi sbarrati: ‘Uè, che ci farà mai qui il Fiorello?’ Però questa cosa di dover incontrare i parenti e magari di sbagliare qualche mossa mi mette un po’ di ansia. Ci si mette pure mia madre: Rosario, vedi che dobbiamo andare dallo zio Pippo. E andiamo dallo zio Pippo! E poi stasera vengono i cugini e domani le zie…”. Vabbè, inconvenienti del successo… “Già. Avrò già incontrato almeno cinquecento compagni di scuola. Tutti dicono: ti ricordi, eravamo a scuola insieme? C’è “ La gente vuole andare in televisione ed è impossibile spiegare che io non posso chiedere un favore. Un tempo facevi la gavetta, io ho fatto per quindici anni l’animatore nei villaggi. Adesso invece la gavetta la fanno in televisione ” gente che si ricorda di quando trent’anni fa mi ha offerto una sigaretta. Confesso che a volte non ricordo niente, allora devo fingere, perché leggo la delusione negli occhi dell’altro. E così invento”. Immagino che quando torni a Letojanni qualcuno ti chieda anche qualche favore: ormai sei uno che conta nel mondo della tv. “La gente vuole andare in televisione, pensa che con una raccomandazione di Fiorello può andare al Grande fratello o ILOVESICILIA 19 da Amici. È impossibile spiegare che io non posso chiedere un favore, allora intuisci che cosa stanno pensando: Fiorello si è montato la testa, non vuole fare nemmeno un piccolo favore. Mi incontrano conoscenti, mi dicono: mio figlio studia ragioneria, ma vuole fare il cantante. È inutile insistere, tu gli spieghi: fallo studiare, meglio un bravo ragioniere che un modesto cantante. Non c’è verso. Un tempo facevi la gavetta, io ho fatto per quindici anni l’animatore nei villaggi, sono arrivato a Milano che avevo quasi trent’anni. Adesso invece la gavetta la fanno in televisione e tutti vogliono andare in televisione a fare la gavetta”. Andare via, tornare indietro. Insomma, il destino dei siciliani di mare aperto. Com’è questa sensazione del ritorno? “Adesso sarò banale, ma io mi emoziono. Ormai torno in aereo, ma mi ricordo ancora quando viaggiavo in treno. Ero militare a Pordenone, appena arrivavo sul traghetto sentivo quegli odori, vedevo quel mare… e poi l’arancino che ti rimaneva sullo stomaco per sette giorni. Anco- 20 ILOVESICILIA “ Il Ponte sullo Stretto? “Un mio amico ha impiegato undici ore da Roma perché la Salerno-Reggio Calabria era tutto un cantiere. Io mi chiedo: dopo che uno si è fatto undici ore di macchina a che minchia serve il ponte?” ra adesso, appena esco dall’aeroporto di Catania, sento l’odore, vedo la luce della Sicilia. Poi, mi arriva la voce di uno: minchia, arrivau Fiorello! In quel momento mi sento a casa, mi sento protetto”. Certo, il ferry boat è un’altra cosa… “Non lo prendo da dieci anni. L’ultimo mio ricordo riguarda mio padre. Lavoravo già a Milano, a Radio Deejay. Mio padre disse: ti accompagno fino a Messina, poi torno indietro. Arrivati al porto, decise di salire sul traghetto con me, fino a Villa San Giovanni. Ci prendiamo un caffè assieme, disse. Lui prese un caffè, io il solito arancino. All’attracco, io scesi in macchina, lui restò a bordo per tornare indietro. Me lo ricordo nello specchietto retrovisore, sembra la scena di un film. È l’ultima volta che l’ho visto vivo, morì poco tempo dopo. A volte penso che quell’insistenza di volermi accompagnare era come una specie di premonizione, quasi sapesse che sarebbe stata l’ultima volta”. Un ricordo amaro. Ma visto che parliamo di traghetti, la domanda è inevitabile: pro o contro il ponte sullo Stretto? “Questa cosa mi fa proprio incazzare. Un mio amico ci ha raggiunto in macchina qui in Sicilia. Ha impiegato undici ore da Roma perché la Salerno-Reggio Calabria era tutto un cantiere, una coda infinita dietro un camion, lavori in corso, pure il rallentamento per un incidente. Io mi chiedo: dopo che uno si è fatto undici ore di macchina a che minchia serve il ponte? Ci vorrebbe piuttosto una bella autostrada in Calabria, a quel punto il traghettamento può essere perfino una cosa romantica. Credo però che qualcuno voglia legare il suo nome a quello del ponte: una grande opera monumentale per passare alla storia. Ma tanto sono sicuro che il ponte non lo vedranno nemmeno i miei nipoti”. Il tuo amico Andrea Camilleri sostiene che torna in Sicilia quando deve ricaricare le batterie, soprattutto perché fa l’immersione nel dialetto… “ Sul dialetto siciliano ha ragione il maestro Camilleri. Ci sono parole che mi fanno impazzire. Appena me ne ricordo o ne sento una che avevo dimenticato chiamo il mio assistente di studio, un catanese che come me ha la passione per i termini siciliani, e ce li scambiamo come le figurine” “Ha ragione il maestro Camilleri (e a questo punto Fiorello rifà il verso allo scrittore di Porto Empedocle, come nei celebri sketch radiofonici). Ci sono parole siciliane che mi fanno impazzire. Lo sai che faccio? Appena me ne ricordo o ne sento una che magari avevo dimenticato, chiamo subito il mio assistente di studio, un catanese che come me ha la passione per i termini siciliani e ce li scambiamo come le figurine. Gli ho appena telefonato perché ho sentito tre parole che avevo completamente rimosso dalla memoria. La prima è oggiallanno: cioè un anno fa, di questi tempi. L’altra è antura: ante ora, poco fa. E poi la parola zammuliata, na zammuliata di amici: credo sia un termine dei pescatori, roba di pesca. Faccio lo stesso con mia moglie: lei è di Roma, ma con un nonno siciliano. Mi piace raccontarle queste cose: le parole, gli usi, i modi di dire e di fare”. (Irruzione della figlia di Fiorello: la bambina ha un tamburello con i nastri colorati. “Brava, bella mia – dice papà Rosario – ieri ha visto il gruppo folkloristico e ha voluto il tamburello, vuole imparare la tarantella. Bedda la mia sicilianuzza”). Come ti accolgono i paesani? “Puoi immaginare, no? Benissimo. Ma mi sento sempre esaminato. Penso che mi studiano per capire se mi sono montato la testa. E allora fai di tutto per far capire che non sei cambiato, che sei sempre il solito Rosario. E così a volte sbagli. Quando ero a Radio Deejay, con i primi guadagni, mi comprai una Volvo 780 usata. Tornai ad Augusta, perché la mia famiglia In queste pagine, Fiorello con Mike Bongiorno e il direttore d’orchestra Enrico Cremonesi. Nella foto piccola, Andrea Camilleri viveva ancora lì anche se è originaria di Letojanni. E pensavo: adesso cosa diranno se mi vedono con questa Volvo? E ancora: forse ho sbagliato, forse dovevo lasciarla a Milano. Sospettavo che la gente potesse dire: e cu si cridi di essiri? Perché qui in Sicilia ti senti sempre giudicato, sempre sotto esame”. Certo, perché in Sicilia ci sentiamo tutti “sperti”, tutti furbi. Più furbi degli altri. “È vero. Siamo troppo sperti, ma a livello personale, sul piano privato. Pensiamo troppo a noi stessi e siamo sempre pronti a criticare gli altri. Ma visto che siamo così sperti e consideriamo tutti gli altri babbi, soprattutto fuori dalla Sicilia, allora voglio capire perché con il mare che abbiamo, con le bellezze che ci ritroviamo, ci facciamo fregare sempre. Pensa alla Romagna: se lo sognano un mare come il nostro, eppure hanno fatto grandi cose. E invece qui da noi, in Sicilia… guarda come abbiamo ridotto le coste, le nostre città…”. Questo forse dimostra che non siamo così “sperti”. D’altra parte si dice che “cu nesci arrinesci”, chi va via fa fortuna: è il tuo caso, ad esempio… ILOVESICILIA 21 Sei anche impegnato con l’associazione Piera Cutino, per la realizzazione di un padiglione all’ospedale Cervello di Palermo per la cura della talassemia. Non è che sei vittima della sindrome del disertore? Parlo del modo di pensare di molti emigrati di successo che si sentono un po’ in colpa rispetto alla Sicilia. “Dici bene. Allora non sono l’unico? Immagina che agli organizzatori dei miei spettacoli dico sempre che in Sicilia il biglietto deve costare la metà di quanto costa altrove, rinunciando per primo a parte dei miei compensi, naturalmente. Perché credo che il cordone ombelicale con la Sicilia non si tagli mai. Peraltro mia mamma vive ancora qui per alcuni mesi all’anno, se non sta a Roma dove abitiamo tutti noi fratelli: io, Beppe e Catena. “ Quando ero ragazzo, io ero il figlio dello sbirro. Ma oggi la coscienza popolare è decisamente cambiata. Basta vedere quello che stanno facendo gli imprenditori contro la mafia, il coraggio dei ragazzi palermitani di Addiopizzo che manifestano contro Cosa Nostra: ecco qualcosa è veramente cambiato in questa Sicilia” “Me lo ricordo bene quando tutti i miei amici dicevano: se restiamo qui moriamo. C’era gente che andava a fare il cameriere a Riccione, invece di venire magari qui a Taormina. Ma bastava il fatto che andavi fuori dalla Sicilia e tutti commentavano: miii, quello a Riccione truvau un travagghiu troppo importante. Cameriere, capisci? Per questo ammiro molto artisti come Franco Battiato, come Carmen Consoli, che hanno scelto di restare in Sicilia e dalla Sicilia fanno cose importanti”. Ti è mai venuta la tentazione di fare lo stesso? “Certo che mi viene la tentazione. E infatti ho tenuto spettacoli a Letojanni, proprio perché me lo chiedono i miei paesani. Quasi ogni estate vado al teatro di Taormina, tranne quest’anno. Ma già dalla prossima estate ricomincio. È un modo per dare qualcosa alla Sicilia”. 22 ILOVESICILIA E mia madre mi manda book, dvd, cd di ragazzi che cantano o vogliono fare televisione. Li danno a mia madre dicendo: questa cosa la può fare vedere a Rosario? E io mi guardo tutto, perché sono siciliani, ma anche perché sempre ci può essere un talento. Sono diventato come Pippo Baudo”. Pippo Baudo? “Quando ero ragazzo Pippo Baudo era il mito di tutta la Sicilia. Tutti mi dicevano: sei bravo, se ti vedesse Baudo… io facevo l’animatore nei villaggi e c’era sempre uno che mi diceva: conosco uno che conosce un altro che conosce Pippo Baudo, perché non fai un provino con lui?”. E l’hai fatto? “Sì. Una volta mi incontrò lo scenografo Renato Greco, chiamò Baudo e mi presentai”. Come andò? “Male. Ho fatto il provino per Fantastico, ma Baudo mi scartò: disse che avevo i tempi troppo lunghi, non ero adatto per fare gli sketch in tv”. Sbagliò Baudo… “No, aveva ragione. Perché io non sono uno che in tre minuti, come a Zelig, entra in scena, fa ridere e se ne va. Io in tre minuti non riesco a dire nemmeno come mi chiamo. Ho i tempi lunghi”. Negli sketch sui siciliani c’è sempre la solita macchietta, il solito siciliano da commedia all’italiana… “È vero: il personaggio alla Tiberio Murgia, che peraltro non era nemmeno siciliano ma sardo. Io ci scherzo sopra sul siciliano con la coppola e i baffetti, quello che dice: nenti vitti, nenti sacciu, non c’ero e se c’ero dormivo. Il siciliano geloso: Crocifissa abbassa gli occhi e non ridere che se ridi ti si vedono le gengive”. I soliti luoghi comuni sul siciliano geloso. Tu sei geloso? “Moltissimo”. Permaloso? “Sì, sono permaloso”. Non sarai anche diffidente? “Sì, sono pure diffidente”. Insomma, il classico siciliano da copione “Hai visto? Tutto il tempo dell’intervista a dire: basta con la solita Sicilia e con i soliti siciliani. E poi, ecco me: geloso, permaloso e diffidente. Si vede che non sono cambiato”. E secondo te invece la Sicilia è cambiata, sta cambiando? “Quando ero ragazzo io ero il figlio dello sbirro, perché mio papà era nella guardia di finanza. Come tanti altri miei amici, però, ammiravo il figlio del contrabbandiere, del malavitoso, quello che aveva la Vespa e i soldi in tasca. Mio padre mi spiegava: vedi che i buoni siamo noi, non sono quelli lì. Poi ho capito che aveva ragione mio padre. Ecco, adesso mi sembra che i siciliani, rispetto ad allora, questa cosa l’abbiano capita. La coscienza popolare è decisamente cambiata. Basta vedere quello che stanno facendo gli imprenditori contro la mafia, il coraggio dei ragazzi palermitani di Addiopizzo che manifestano contro Cosa Nostra: ecco qualcosa è veramente cambiato in questa Sicilia”. ILOVESICILIA 23