Cino da Pistoia
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Cino da Pistoia
Cino da Pistoia Il giurista e poeta Cino (Guittoncino) da Pistoia nasce in questa città quasi certamente nel 1270 dalla famiglia magnatizia dei Sigibuldi (o Sigisbuldi). Studia diritto a Bologna e ad Orléans, in Francia, negli anni 1292‐1293. In quanto membro di una famiglia di parte Nera, nel 1303 Cino viene bandito da Pistoia, all’indomani dell’avvento al potere dei Bianchi, e trascorre i tre anni successivi a Prato e Firenze. Nel 1313 ripone le sue speranze nella discesa dell’imperatore Arrigo VII in Italia, seguendone le sorti prima in qualità di consigliere di Ludovico di Savoia nell’ambasceria di Firenze, che doveva consentire l’ingresso dell’imperatore in città, poi come assessore (ossia giudice) nella missione a Roma, che doveva prepararne l’incoronazione. Deluso dal fallimento di questa impresa Cino si dedica di nuovo agli studi di diritto, redigendo un monumentale commento ai primi nove libri del Codice di Giustiniano (Lectura in Codicem). Insegna quindi diritto civile negli Studi di Siena, Perugia, forse Firenze, e Napoli: in quest’ultima città ha tra i suoi uditori Boccaccio, all’epoca studente di diritto canonico. Muore a Pistoia nel 1336 o 1337. La sua fama di poeta stilnovista è legata agli oltre 160 componimenti del suo canzoniere, molti dei quali dedicati a una donna. Come poeta, Cino riceve gli elogi di Dante e di Petrarca. Dante, cui è legato da profonda amicizia, lo definisce nel De vulgari eloquentia il più grande poeta d’amore e lo annovera tra coloro che hanno conosciuto «il volgare più eccellente». Petrarca mostra invece il suo debito nei confronti del poeta esprimendo il suo cordoglio per la morte di «messer Cino» nel sonetto Piangete, donne, et con voi pianga Amore: «Piangete, donne, et con voi pianga Amore; / piangete, amanti, per ciascun paese, / poi ch’è morto collui che tutto intese / in farvi, mentre visse, al mondo honore. / Io per me prego il mio acerbo dolore, / non sian da lui le lagrime contese, / et mi sia di sospir tanto cortese, / quanto bisogna a disfogare il core. / Piangan le rime anchor, piangano i versi, / perché ’l nostro amoroso messer Cino novellamente s'è da noi partito. / Pianga Pistoia, e i citadin perversi / che perduto ànno sí dolce vicino; / et rallegresi il cielo, ov’ello è gito.» 1