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Comunicato stampa - 2010 LE CREUSET E LE RICETTE DEI ‘MONZÙ’: PROGETTO GASTRONOMICO- CULTURALE IN COLLABORAZIONE CON LO CHEF ERNESTO LOMBARDO Grazie a Le Creuset, la famosa azienda francese di stoviglie in ghisa e gres per la cucina domestica e professionale, riprende vita in chiave moderna un antico e poco conosciuto legame fra due cucine e due identità: quella francese, di cui Le Creuset oggi è depositaria, e quella italiana-mediterranea, in particolare napoletana. In esclusiva per Le Creuset, lo chef Ernesto Lombardo, in arte "Erny", ha infatti seguito un percorso di ricerca storico-culinaria che lo ha portato a riproporre le squisite ricette dei „Monzù‟ (da Monsieur, „storpiato‟ in napoletano), i cuochi di corte del Regno delle Due Sicilie del XVIII e XIX secolo, giovandosi delle speciali caratteristiche tecniche garantite dai materiali Le Creuset. In questo modo, grazie alla collaborazione fra Erny e Le Creuset, si sta sviluppando un progetto gastronomico - culturale di oggettivo spessore e dai risvolti intriganti. “Due terre che hanno in comune moltissimo, non solo culturalmente ma anche in campo culinario”, racconta Erny. “Nasco a Napoli, terra di sensazioni e odori molto forti. Da lì la mia grande passione si trasforma in realtà: dopo una vicenda professionale lunga e piena di esperienze in vari paesi e situazioni, mi ritrovo sempre più spesso a cucinare per parenti ed amici: in loro vedevo il compiacimento tipico delle facce soddisfatte… Nasce tutto da lì. Oggi la mia cucina e i miei piatti risalgono alla cucina tipica dei „Monzù'. La cucina del popolo. Quanto di più prelibato si possa concepire, generato dalla grande arte culinaria delle classi popolari: piatti legati alle stagioni, alle feste religiose o propiziatorie, ricette conservate gelosamente, raccolte e rilette, per perpetuare una tradizione gastronomica che si rivelerà di prim'ordine. Ogni mio piatto ha un suo perché e una sua storia. E‟ cucinato nella piena semplicità amalgamando gli ingredienti con tempi di cottura personalizzati e con l'amore e la passionalità di un napoletano doc. Nei miei piatti c'è tutto il sapore e la sofferenza della mia terra. Nei miei eventi unisco la cucina anche alle canzoni tipiche napoletane per raccontare tradizioni semplici e popolari. La preparazione di piatti come il ragù, la genovese, il sartù, il gattò, era rito e quotidianità, momento di coesione e di collaborazione familiare. In queste ricette possiamo oggi respirare il vissuto dei nostri bisnonni, dei nostri nonni, dei nostri genitori e ricostruire quel sentimento, quella convivialità che è „dentro‟ il popolo napoletano”. Oggi le ricette di Erny sono piatti preparati con gli strumenti di ghisa che le Creuset costruisce sin dal 1925 in Francia. Materiali e forme che si sposano perfettamente alla sua cucina, e che dimostrano come le cocotte in ghisa siano perfette per tutti i metodi di cottura (induzione compresa) e non solo per le specialità francesi e le lunghe cotture, ma anche per piatti più estivi e mediterranei. Per esempio per preparare la ricetta della minestra „Napulitàna‟, nulla di meglio che utilizzare una classica casseruola Le Creuset in ghisa, dove si faranno rosolare carote, sedano, patate, zucchine, lavate e tagliate a cubetti, e prezzemolo, aglio, cipolla, basilico tritati insieme, poi si aggiungono fagioli, piselli e pomodorini ciliegino tagliati in 4 e mescolando si versano due litri di acqua tiepida; infine, dopo un‟ora di cottura, si mette della pasta mista…e poi a cottura ultimata si serve la minestra calda nelle piccole cocotte in gres Le Creuset. In effetti le stoviglie Le Creuset, oltre ad essere il top per la cucina, sono belle pure da portare in tavola come nel caso delle cocottine…di sicuro effetto anche per i colori caldi del rosso e dell‟arancio… Per Le Creuset, Erny organizza eventi gastronomici, degustazioni e dimostrazioni. “Partecipo con tutto me stesso e con l'attrezzatura tipica e gli accessori che fanno da cornice ai piatti preparati. Si realizzano alle volte intriganti paralleli, come recentemente con la cucina dei Monzù e quella tradizionale italiana più „nordica‟, assieme al collega Renzo Neve di Teatro7 a Milano, dove sono state presentate le nuovissime linee di Le Creuset per l‟Italia. Allo studio anche pubblicazioni di ricette ed altri eventi”. Nel 2010 sono arrivate infatti sul mercato italiano due nuove linee firmate Le Creuset che si affiancano a quella principale delle pentole in ghisa smaltata (casseruole di varie forme e specializzazioni, padelle, tegami, griglie, marmitte, pirofile da forno, terrine, set fonduta, wok e accessori) che consentono una cottura perfetta, omogenea e graduale che mantiene inalterate le qualità aromatiche e nutrizionali degli alimenti per una cucina più sana! Matiére rivisita casseruole in ghisa smaltata e pirofile in gres porcellanato „vestendole‟ di brillantezza nei due colori contrapposti del nero e del bianco lucido…con in più il tocco originale del pomello in metallo sui coperchi. L‟altra linea è davvero un‟innovazione grazie al materiale antiaderente garantito 10 anni: Les Forgées - „le forgiate‟ - in alluminio temperato, un prodotto versatile e di lunga durata adatto a qualsiasi piano di cottura. Padelle, pentole e tegami con un nuovo particolare rivestimento antiaderente, brevettato da Le Creuset, presente sia all‟interno che all‟esterno applicato in ben 3 strati. All‟interno il cibo non si attacca, la cottura può avvenire senza grassi e si possono utilizzare utensili in metallo. All‟esterno, grazie al rivestimento antiaderente, sono facili da pulire! INFORMAZIONI: LE CREUSET ITALIA, tel. 02/9834238, [email protected], www.lecreuset.com Saperne di più Fonti: “Il Cuoco Galante” di Corradi, “La Cucina teorico – pratica” di Cavalcanti, “Lo scalco alla moderna” di Latini; Internet. Un po’ di storia, fra folclore e verità (e leggenda) Monzù: traduzione dialettale napoletana e siciliana della parola francese Monsieur. Nel sec. XVIII e XIX, epoca influenzata fortemente dalla gastronomia francese, venivano chiamati Monzù i capocuochi delle case aristocratiche di Campania e Sicilia, perché niente più di un titolo francesizzato pareva premiarne l‟eccellenza, anche se essi di solito francesi non erano. Avere un Monzù era per una casa aristocratica una consacrazione sociale di cui non si poteva fare a meno, e nulla veniva risparmiato per procurarsene uno. Si chiama ancora oggi “cucina dei Monzù” la raffinatissima cucina della tradizione aristocratica napoletana e siciliana. Questa cultura si sarebbe poi persa nell‟evoluzione sociale successiva alla caduta dei Borbone ‘O Monzù‟ era un mestiere molto ricercato nel 1700; fu introdotto ed adottato a Napoli con l‟arrivo della regina Maria Carolina d‟Austria sposa di re Ferdinando IV di Borbone, che quasi l‟impose a tutta l‟alta corte e alla grande borghesia, dato che era amante della moda e della cucina francese allora in voga in Europa. Da quel momento la cucina napoletana si arricchì d‟alcune pietanze, portate dai grandi maestri della cucina francese come „o Ragù‟ (sugo di concentrato di pomodoro con carne, piuttosto denso, cotto a fuoco lento con olio cipolle consumate con aggiunta di vino rosso) e „o Gattò‟… I Monzù erano di tre tipi: A stipendio fisso, pagati anche per provvedere agli approvvigionamenti e alla loro spesa (facendo sopra la cresta); A forfait, pagati un tot, determinato in base alla quantità delle portate e al numero delle persone. A partito, autorizzati a preparare pietanze per conto terzi, utilizzando le cucine presso le quali erano stati ingaggiati da qualche nobile. I Monzù di talento, quasi come artisti, venivano scritturati nei circoli cittadini alla moda; alcuni diventarono famosi, soprattutto quelli che riuscivano a inventare qualche specialità poi giunta a noi con il loro nome. I napoletani a loro modo aggiunsero abilità ed ingegno, e spesso apostrofavano i loro maestri Monzù (come dicevano loro: li sfruguliavane: “Stateve accorte Monzu‟, Monzù! è gghiuta „a zoccola „nt‟„o rraù,„a Signora nun „o vo‟ cchiù Mangiatille tutte e sule tu! (traduzione = Signore cuoco attenzione è andato a finire un topone nel Ragù, perciò la padrona non lo vuole più, te lo devi mangiare solo tu). Per dire che la salsa era diventata scura, perché si era asciugata troppo, perciò era immangiabile. Il Monzù negli anni Cinquanta divenne un termine obsoleto e fu sostituito dal moderno vocabolo inglese Chef. Un trait d’union Napoli-Francia (di Anna Punzo) Il XVIII secolo segna un periodo di crescita demografica ed economica per la Francia. In Europa, l‟influenza dell‟arte e della letteratura francese è considerevole e le persone appartenenti alle classi sociali superiori di tutti i paesi europei utilizzano la lingua francese non soltanto nei rapporti ufficiali ma anche in seno alla propria famiglia. Molte sono le nazioni che evocano l‟apprendimento della lingua francese come un mezzo di demarcazione, un‟apertura sul mondo. La Francia ha il dominio incontestato della moda in Europa. Il prestigio dell‟architettura e dello stile francese è tale da essere imitato un po‟ ovunque: residenze reali o principesche ispirate a Versailles, piazze reali alla francese. Cuore e centro propulsore della Francia è Parigi. La città che in Italia subisce maggiormente queste influenze straniere è Napoli. Grazie alla sua posizione geografica, Napoli ha goduto per secoli numerosi vantaggi del suo internazionalismo ma, al tempo stesso, è stata vittima della supremazia politica degli stranieri. Il XVIII secolo in particolare rappresenta per Napoli le siècle de l‟érudition e, a partire da questo momento, può essere considerata una vera e propria metropoli, una delle capitali più importanti in Europa. Il commercio con la Francia vive un periodo di ripresa e di sviluppo che, al tempo stesso, favorisce un movimento crescente di turisti, artisti, politici e uomini d‟affari. Napoli diventa allora la meta preferita da molti viaggiatori stranieri e, di contro, i napoletani cominciano a spostarsi altrove generando uno scambio reciproco di esperienze e di culture. Se è vero che la cucina rappresenta una delle forme di espressione della cultura di un popolo, risulta allora evidente che contaminazioni francesi abbiano circolato anche in ambito gastronomico. In Francia, au milieu du XVIIIe siècle, le raffinement gastronomique est à son comble: les princes, les ducs se disputent l‟apanage de la chère. Il gusto e la cucina subiscono l‟azione di decentralizzazione di Parigi: le specialità regionali si incorporano in una sensibilità globale che sviluppa uno stile originale e dà luogo ad una cucina francese elaborata a Parigi piuttosto che ad una vera e propria cucina parigina. L‟Italia, invece, vive un lungo periodo durante il quale le abitudini gastronomiche sono il risultato di un compromesso tra la grande cuisine della Francia e le diverse cucine regionali. Sarà solo alla fine del XIX secolo, infatti, che in Italia si potrà parlare di una cucina nazionale. Napoli per il suo vissuto storico rappresenta senza dubbio una delle città italiane che ha maggiormente risentito questa dominazione francese in campo artistico, culturale e gastronomico. E‟ infatti alla fine del XVIII secolo e all‟inizio del XIX che l‟antica cucina napoletana è influenzata dalla cuisine cultivée della Francia e le variazioni delle abitudini gastronomiche napoletane sono state a loro volta condizionate dai vari sovrani che si sono alternati sul trono. L‟incontro e la collaborazione fra queste due ultime realtà gastronomiche, quella francese e quella locale, appunto, ha così generato un particolare tipo di cucina napoletana ancor oggi nota come la cucina dei Monzù. Molti erano stati in passato i cuochi e i sovrintendenti alle cucine ad aver sentito il desiderio di raccogliere e tramandare le loro competenze gastronomiche in forma scritta. Comune denominatore di questi componimenti appare il palese richiamo alla cucina francese, quella sofisticata ed elaborata della corte e dei ricevimenti aristocratici. E‟ inoltre interessante notare come da parte degli scrittori, man mano che si procede verso l‟800, sia sempre più presente il tentativo di allontanarsi da quei termini assimilati, da quel linguaggio gastronomico tipicamente francese ed avvicinarsi, invece, ad una lingua più semplice, o se non altro più diffusa quale il dialetto, ricorrendo o all‟uso di veri e propri sottotitoli o all‟uso di una terminologia nuova, sintomatica e meravigliosa mescolanza e rielaborazione di parole francesi e dialettali. Ulteriore elemento comune che unisce, in questo caso, più gli scrittori che il loro operato è la loro funzione professionale: tutti hanno prestato servizio presso le corti o le case dei nobili dell‟epoca operando come cuochi, cerimonieri o competenti gastronomi. Ognuno di loro ha infine cercato di oltrepassare il confine esclusivamente materiale del cibo: bientôt, les répertoires gastronomiques apparaissent, avec d‟entrée de jeu, un triple propos, instruire, séduire, légiférer. Come i loro predecessori, i Monzù sono personaggi di rilievo che, con le loro professionalità, hanno completato lo scenario della movimentata vita di corte. Renato de Falco, stimato autore di ricerche etimologiche, pone la parola monzù tra i francesismi, facendo derivare munzù da monsieur e Salvatore di Giacomo, riferendosi ad un aneddoto riguardante Monzù Testa, riassume: «E pure, di que‟ tempi, il monsieur definiva celebrità d‟ogni genere: monsieur Raison era il principe dei parrucchieri, monsieur Thevenin inaugurava il Caffè d‟Europa, monsieur Girard con suo negozio di musica era il Ricordi di Napoli». Chi era monsieur era grande! Attribuito ai cuochi considerati i „signori‟ dell‟arte gastronomica, l‟appellativo monzù identificherà in seguito esclusivamente i cuochi che prestano servizio presso le famiglie aristocratiche del meridione d‟Italia. Monzù aveva valore di titolo, a volte addirittura onorifico, e, in quanto persona di grande prestigio e privilegio, era consuetudine rivolgersi a lui in terza persona o meglio, secondo la moda dell‟epoca, utilizzando la seconda persona del plurale. Per quanto riguarda l‟aspetto linguistico, il passaggio della parola francese monsieur al termine napoletano monzù, non appare tuttavia nell‟immediato così evidente, nonostante quanto espresso nelle diverse testimonianze raccolte. Carmelo Spadaro di Passanitello, uno degli scrittori che si è occupato dell‟argomento, insoddisfatto e poco convinto delle radici etimologiche francesi di monzù ipotizza che, contrariamente a quanto detto, la sua origine debba essere ricollegata al sostantivo catalano museu. Del resto l‟omofonia di munzù, munsù e museu è indiscutibile anche se si deve ricordare che ai cuochi di Francia si dava del maître e che il celebre autore del Libre del coch, come si legge sul frontespizio, è mestre Robert da Nola. Ritornando all‟ipotesi di derivazione dal francese, il Dizionario storico della lingua francese sulle voci monsieur e maître evidenzia che il passaggio da monsieur a monzù non appare così brusco se si considera che, in francese, «le composé MONSIEUR n.m., d‟abord monsor (1297), formé avec le possessif mon, s‟est soudé et est devenu indépendant grâce à l‟évolution phonétique de mon en me et de sieur où le r final n‟est plus prononcé. Le mot a d‟ailleurs été souvent altéré graphiquement, pour restituer l‟usage oral, d‟abord populaire, en Moussieu (1750), sorti d‟usage, Mosieu (1751), Mossieu (1794), puis M‟sieu (1815)». Questo spiegherebbe perché la prima testimonianza della presenza di un monzù alla corte ferdinandea risulti essere quella di “mosiù” Peppino. Primo Monzù a corte, documentabile come tale, risulta essere Giuseppe Lazzaro, detto “mosiù Peppino”, chiamato a sostituire Antonia Bertutin, cuoca personale della Regina dal 1772 fino alla riconquista del Regno, e «destinato, dopo il rientro definitivo a Napoli di Ferdinando, a divenire il capo della Real Cucina». Il vocabolo ha forse subito l‟evoluzione a monzù durante il periodo di regno francese dei Bonaparte di Murat: s‟impone cioè la versione scritta su quella orale dove “mo” diventa “mon” e, per l‟aggiunta della consonante “n”, il suono della “s” diventa più duro e si trasforma in “z”. Lo stesso Dizionario riporta inoltre che «monsieur s‟emploie depuis le XVIe s. (1532) comme titre donné au maître de maison par les domestiques ou par les personnes qui s‟addressent à eux» e che «dans ses premiers emplois, monsieur qui équivaut à monseigneur et à messire, est un titre d‟honneur donné à un noble, à un prince, et aussi à des personnages d‟une condition élevée non noble». Si consideri che la definizione generica di «maître = n. et adj., d‟abord maistre, mestre (1080), est issue du latin magister, chef, maître, mot probablement dérivé de magis „plus‟, empoyé dans la langue juridique et religeuse, ensuite, dans toute sorte d‟acceptions selon les catégories auxquelles il était appliqué (armée, marine, magistrature civile, école, vie privée, etc.)». Se si analizzano anche i punti seguenti che «toujours comme adjectif, maître s‟est maintenu un emploi antéposé pour désigner le chef de ceux qui exercent une même profession (1150); on dit maître coq (cuisinier), depuis le XIIIe s., maître donne une foule de dénominations de métiers, en ancien français maître d‟hotel e maître assume dés le XIIe s. la valeur de patron, chef dans la sphère des intérêts domestiques, s‟appliquant au propriétaire» è possibile asserire che l‟uso di tale vocabolo sia, per così dire, antecedente rispetto all‟uso del termine monsieur, se utilizzato nella stessa accezione, prendendone per un certo periodo il suo posto. Inoltre, dal XV al XVIII secolo il termine maître viene maggiormente utilizzato per riferirsi all‟ambito giuridico, religioso e universitario mentre «cet emploi de maître semble connaître un regain de faveur depuis 1960 pour former les désignations d‟artisans qualifiés». Oggi per maître d‟hôtel s‟intende esclusivamente qui dirige le service de table ovvero capocameriere, direttore di sala. Se è vero che «cuochi spagnoli erano quelli che caratterizzarono la real cucina durante il periodo carolino» e che «la loro data d‟iscrizione negli appositi registri sta a testimoniare il prosieguo del loro incarico fino ad essere giubilati progressivamente negli anni del regno di Ferdinando IV, dalla consultazione degli archivi borbonici si individuano termini spagnoli che poco hanno a che fare con museu quali controlor della Real Casa, uffizial de boca, panadero, gefe, chulo, azafatas, cameristas, mozas de retret, cozinera. Così i vari titoli in epoca borbonica saranno di origine spagnola con Carlo III e di origine francese prima, e locale poi, con Ferdinando IV. I collaboratori locali dei cuochi francesi furono in realtà i primi a rivolgersi loro dando del monsieur in forma di grande rispetto e ammirazione: ecco spiegato perché questa parola francese fu, in seguito, trasformata e rielaborata dal dialetto napoletano in monzù. Tendenza di corte che, come visto, si diffuse quasi subito tra le famiglie aristocratiche, da sempre spinte ad imitare le abitudini regali. Molti nobili signori, infatti, abituati a ricevere nelle proprie dimore amici, artisti e letterati, vollero al loro servizio abili cuochi che, con i loro piatti, sapessero stupire gli ospiti ed esaltare il loro prestigio. Artefice del successo di questi eventi mondani, dove tutto gravitava attorno alla tavola o al buffet, era infatti il monzù e la sua opera. In alcune occasioni gli stessi monzù, se lavoravano presso famiglie che disponevano di grandi cucine, venivano autorizzati dagli stessi padroni a organizzare eventi conviviali anche presso terzi, trasformandosi in quelli che erano chiamati «cuochi a partito». Quest‟apertura verso l‟esterno portò ad un‟evoluzione della professione del monzù che in molti casi divenne imprenditore di se stesso e rappresentò, inoltre, il primo passo verso il passaggio dalle famiglie all‟impresa privata. Molti dei monzù preferirono continuare la loro attività rinunciando a servire le famiglie nobili e cercando di esercitare la loro professione altrove, lavorando in circoli privati, nati sui modelli inglesi, simbolo di una mondanità d‟élite e luogo di ritrovo del „napoletano bene‟. Un percorso alternativo fu quello scelto dal figlio di Monzù Pasquale, Francesco Piccolo che, forte dell‟esperienza e della professionalità ereditata del padre, creò un‟impresa privata, con propri laboratori, in grado di offrire a Napoli e in provincia un perfetto servizio a famiglie aristocratiche e borghesi. Ulteriore e diversa caratterizzazione del monzù, ovvero del cuoco che, pur curando la cucina, provvedeva anche al servizio a tavola, fece invece la sua comparsa nel quinquennio antecedente la seconda guerra mondiale. L‟attenzione e il gusto per la cucina francese raggiunsero il loro culmine durante le due reggenze francesi di Giuseppe Bonaparte prima, e di Gioacchino Murat poi. Fu quindi una logica conseguenza, in questo particolare periodo, che Napoli accogliesse un numero crescente di turisti francesi in visita nella nostra città. Così, per rispondere alla sempre maggiore domanda di una cucina d‟oltralpe, alcuni cuochi francesi aprirono numerosi ristoranti, realizzando, al contempo, un‟alternativa di guadagno più interessante ed una forma di lavoro indipendente. Tra quelli, che non avevano trovato posto a corte, si ricordano Monsieur Fournier e Monsieur Jeannot, gestori della Trattoria al Vico di Sant‟Anna di Palazzo ed uno sconosciuto trattore francese che per un periodo si occupò dell‟antica Trattoria del Giardinetto, al Largo Ferrandina. In breve tempo, però, la cucina partenopea ebbe il sopravvento e nelle trattorie, i piatti della tradizione francese si trasformarono in piatti „alla napoletana‟, dando così maggiore spazio alla tradizione locale. Oggi molte di queste realtà non esistono più ma è grazie alla fantasia, alla creatività e alla maestria di questi cuochi se la cucina napoletana è ancora apprezzata e conosciuta in tutto il mondo. Abbiamo visto, infatti, molti di questi monzù lasciare Napoli per seguire all‟estero i loro padroni, costretti a continui spostamenti di residenza o frequenti viaggi di lavoro, e altri ancora che, con i loro ristoranti hanno raggiunto il successo ospitando nel tempo una clientela di levatura internazionale. Questi fattori, insieme al fenomeno dell‟emigrazione italiana e all‟apertura dei nostri porti ad intensi scambi commerciali, hanno favorito nei secoli la diffusione e la conoscenza della cucina napoletana nel mondo. A loro, senz‟altro, si deve riconoscere il grande merito di avere saputo rendere più ricca ed elaborata quella cucina povera del popolo, sfruttando le molteplici esperienze estere e riadattandola alle abitudini ed ai prodotti del territorio.E‟ grazie a questi maestri se delle semplici pietanze si sono trasformate in simboli della nostra cultura e della nostra storia al punto da diventare fonte di ispirazione per artisti che hanno saputo decantare ed esaltare il loro valore.