Nota: ricorda L`estasi di Santa Teresa del Bernini e lo studio di

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Nota: ricorda L`estasi di Santa Teresa del Bernini e lo studio di
Una Fonte per l’oggi: Santa Teresa d’Avila
“Vivo sin vivir en mì
y tan alta vida espero
que muero porque no muero”
(Teresa de Avila)
“In viva morte morta vita vivo!
Amor m’ha morto (ahi lasso!) di tal morte,
che son di vita insieme
e morte privo…”
(Giordano Bruno)
La prima volta che si affronta significativamente Santa
Teresa di Gesù, Teresa d’Avila, non si può non essere
indotti rapidamente alla revisione di numerosi luoghi
comuni. Salta agli occhi un insieme di sorprese che si
possono riassumere in queste: un linguaggio non troppo
“devozionale” (in altre autrici spesso banale) pur apparendo
semplicemente tale di facciata; i contenuti secchi, mistici,
disillusi e solari insieme; una volontà che riesce a coniugare
il compito di riforma e rifondazione che Santa Teresa
realizza, assieme alla divina volontà, espressamente
richiamata in ogni dove e cui la Santa espressamente
s’ispira “mortificando” la propria1; la grande dignità che
manifesta Teresa d’Avila nelle pesanti traversie che
E’ un elemento chiave una dichiarazione che la stessa Mistica ebbe a fare, e che
indicava expressis verbis la sua piena adesione all’insegnamento di Sant’Agostino.
Gli elementi neoplatonici che ne filtreranno saranno spesso evidenti nell’opera di
Santa Teresa.
1
1
segnano profondamente la sua vita: le malattie, di cui ci
lascia importante testimonianza, e gli ostacoli frapposti
dalla Chiesa al suo lavoro di “ricostruzione” di una mistica
gravemente compromessa dai potentati (e delle devianze
malamente paludate da ortodossia) infiltratisi in vari modi
nella Chiesa medesima. Era in gioco, in realtà,
l’importantissima riforma dell’ordine carmelitano e la
gemmazione degli “scalzi”. In un caso come nell’altro molti
furono gli attacchi subiti dalla Santa2, dall’imputazione di
una possessione diabolica, in un processo intentatole, fino
alla distruzione fisica di sue realizzazioni come luoghi per
la meditazione o monasteri. In questo essa non viene affatto
aiutata (vedremo però come ciò sia stato vero solo
all’apparenza) dalla salute, malferma e con “crisi” sempre
in agguato. Santa Teresa ne è consapevole al punto da
giungere a dominarle dicendo a se stessa quanto fosse
necessario che questi improvvisi slanci non dovessero
essere assecondati in pubblico ma dovessero essere,
viceversa, nascosti per non dar esca alle facili chiacchiere.
Quello che serenamente può essere definito banale
psicologismo avrà, nel tempo, facile gioco nel suo lavoro di
vilipendio delle esperienze mistiche dettato dall’odio cieco
per il Sacro e andrà a far leva proprio sulle modalità delle
esperienze extracorporali descritte da Teresa di Gesù.
Quest’ultimo argomento va certamente trattato con i dovuti
rispetto e cautela; troppe volte l’ansia di liquidare come
2
Fino a tre anni dalla sua morte, che avvenne nel 1582 a 67 anni non senza aver
conosciuto anche il carcere, proseguirono i processi inquisitoriali dovuti alla sua
determinazione di riformatrice dei vecchi statuti carmelitani in particolare e di certo
dogmatismo chiesastico in generale.
2
forme patologiche le esperienze mistiche ha portato alla
perdita di patrimoni spirituali davvero importanti (e quasi
totalmente in quell’occidente che si crede più civile).
Inoltre, come anche in questo caso vedremo meglio
appresso, la “canonicità”, la forte similitudine che corre tra
varie forme estatiche (tra oriente e occidente) lascia intense
tracce parzialmente utili a chi si volga alla mistica. No,
naturalmente non si tratta della c.d. “fenomenologia del
Sacro”, che ha fatto inconsapevolmente danni dovunque sia
stato applicato il suo riduttivo metodo d’indagine; qui i
racconti di Santa Teresa d’Avila hanno il valore di discreto
eppur shoccante invito alla meditazione, null’altro.
Addentrarsi nella vita della santa è cercare il
presente, presente che lei stessa ci offre ancora adesso.
In una sua opera si legge questa considerazione:“Il
nostro amore per Iddio, il desiderio nostro d’essere a Lui
uniti, possono crescere ad un tal punto che il corpo già più
non valga a sopportarlo; e così vi sono state persone che in
tal maniera son morte. Io so d’una, a cui quest’acqua viva
era prodigata in così tanta abbondanza, ch’essa ne
separava quasi l’anima dal corpo, e spezzato n’avrebbe i
legami, se Dio non l’avesse tosto soccorsa con qualche
ratto. Rapita che essa era in ispirito, godeva di un divino
riposo. Il supplizio di vedersi in questo modo la faceva
morire, e, con quel favore, resuscitava in Dio. Facendola
entrare in ispirito, il suo divino sposo la rendeva capace
3
d’una felicità, di cui non avrebbe potuto godere senza
perdere la vita, se restata fosse in se stessa”3.
Il rimando alla nota frase di una sua poesia, “muero porque
no muero“, è evidente e rinnova tutta la sua intensità
quando venga avvicinato ad uno scritto di Giordano Bruno
dove il mistico domenicano, martirizzato dall’Inquisizione
il 17 febbraio 1600, scriveva:
“…in viva morte morta vita vivo.
Amor m’ha morto (ahi lasso!) di tal morte,
che son di vita insieme
e morte privo…”4.
Comunque non sarà certo nel nostro fine il raccogliere
memorie sensazionali per épater les bourgeois o per
svendere la Santa sul mercatino dei tanti “invasati di Dio”;
rimane che queste testimonianze, per il loro contenuto e per
come si sono formate, non lasciano spazio a dubbi: il
momento di “rottura” della continuità della coscienza
ripropone il kairos, il tempo critico che “fulmina”, che dà
adito al lampo conoscitivo non dialettico. Giova ricordare
quanto già Angelo Silesio avesse descritto forse meglio di
altri questo momento di vera e propria “irruzione”
travolgente del Sacro. “Irruzione” che verrà potentemente
avvertita e lucidamente vissuta recentemente da Simone
Weil. La Santa spagnola ne lasciava qualche indicazione
scrivendo:“L’anima, in questo caso, rimane così sospesa da
sembrare tutta fuori di sé. La volontà ama, la memoria mi
pare quasi smarrita, l’intelletto par presente a se stesso ma
3
Cfr. Via della perfezione, cap. XX, in Opere di Santa Teresa, a c. di Padre Camillo
Mella, Modena1878, pag. 122.
4
Cfr. Gli eroici furori, G. Daelli e c. Editori, Milano 1864, pag. 48 e 49.
4
non discorre. Dico che non discorre ma se ne sta
tuttoattonito per le molte cose che intende,mentre gli fa
vedere che con le sue forze è incapace di comprenderle”
5
.In un certo senso non pare inappropriato paragonare questi
subitanei baluginamenti al satori dello zen, altra
“esperienza” che mena la mente allo shock, allo scacco
totale (dove vengono gradualmente coinvolti ragione,
memoria e intelletto) e ontologico. Non è peregrino
ricordare che il rimbambimento sia, etimologicamente,
rimbambinire, tornare nella immediatezza di puro intuito
che caratterizza il puer.
Qui possiamo agevolmente tornare alle estasi di Santa
Teresa, che il Bernini seppe genialmente interpretare nello
splendido gruppo scultoreo in marmo e bronzo dorato posto
nella Cappella Cornaro in Santa Maria della Vittoria a
Roma. Pochi, purtroppo, hanno saputo leggere nelle sue
pliche questa scultura: erotico e mistico vi si
giustappongono quasi in un medesimo continuo di spazio e
tempo6. La persona si annulla; “Altro” irrompe a spezzare i
lacci della ragione e del senso di se stessi; rimane l’estasi
visibile e invisibile. Una sorta di orgasmo mistico. Bellezza
e Amore “devastano” la logica dialettica portando fuori di
tutti gli schemi “ragionevoli”.
“Il vero raccoglimento –rifletteva la Mistica – ha certi
caratteri a’ quali facilmente si può conoscere. Opera esso
un tal effetto che io non saprei dar a comprendere, ma che
5
Vita di S. Teresa di Gesù, cap. 10, in Opere… cit., pag. 105-106.
Altra opera del Bernini di eguale pregnanza è quella posteriore dedicata (1671 1674) all’estasi della Beata Ludovica Albertoni e presente nella Chiesa di San
Francesco a Ripa, in Roma.
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ben è compreso da chi l’ha provato. L’anima sentesi come
a giuoco, e già levasi a volo, e, dall’alto, già vede le cose
terrene quali veramente sono. S’erge in un’aria migliore, e,
come un duce di guerra che si ritrae in una fortezza per
porsi al sicuro dagli assalti nemici, essa raccoglie dentro
se stessa tutti i suoi sensi, e li toglie agli oggetti esteriori
con tal impero, che gli occhi del corpo si chiudono da se
stessi alle cose visibili, affinché quelli dell’anima possano
con isguardo più penetrante contemplare le cose
invisibili”7. Quello che venne definito l’excessus mentis in
Deum (ad es. cfr. San Bonaventura da Bagnoregio come
San Giovanni della Croce) è qui raccontato in modo
esemplare e solo la malafede volle perseguirlo per motivi
facilmente comprensibili.
In realtà proprio la non storicità, la metafisicità del
Cristo della fede, vengono in evidenza da queste pagine.
“Qualcosa” irrompe nel tempo e nello spazio palesando
una dimensione diversa. La reazione dell’uomo è stata,
sempre e dovunque, la medesima: il magnificum ed il
tremendum non potevano non scuotere radicalmente il
senso che chi l’avesse esperiti aveva di sé. Chiaro che
queste esperienze “libere” e fuor dagli schemi mettevano a
repentaglio il potere di mediazione, vero o presunto, che si
arrogava una parte proto-storicistica e antimetafisica della
Chiesa.
Evidentemente Santa Teresa si trovava fuori dagli schemi e
le sue riflessioni ce lo testimoniano fuor d’ogni dubbio:
“Quando Dio ci ispira si scrive più facilmente e con
maggiore chiarezza, come se avessi dinanzi un modello da
7
Cfr. Via della perfezione, cit, cap. XXIX, pag. 175.
6
ricopiare…quando parlo di un grado di orazione, la mia
anima si trova in esso…vedo che non sono io che formo
concetti e li esprimo, tanto vero che mi accade spesso di
non sapermi dare ragione di come abbia indovinato a
spiegarmi”8.
La stessa epilessia era un male sacro per antonomasia
nella cultura greca: l’aggregato psichico eterogeneo che
vogliamo definire “persona” viene scosso dal lampo
(analogo simbolo nel fulmine di Indra o di Giove, o nel
dorje tibetano). I termini usati dalla nostra mistica per
indicare quegli avvenimenti forti di una forza frappante
sono quasi uguali a quelli che usarono altri asceti:“Si sente
un movimento di anima così impetuoso da sembrare che lo
spirito ci venga rapito, e ciò con tale velocità e così
d’improvviso da sentirne, specialmente da principio, non
poca paura. Per questo vi ho detto che chi riceve queste
grazie ha bisogno non solo di gran coraggio, ma di fede, di
fiducia e di pieno abbandono a quello che il Signore vorrà
da lui. Credete che sia di poco sgomento per una persona
pienamente in se stessa, sentirsi portar via l’anima, e alle
volte anche il corpo, , come di alcuni abbiam letto, senza
sapere chi li porti , dove e come li porti, giacché quando
questo improvviso movimento comincia, non si è ancora
sicuri che sia Dio?”9. E’, in un certo senso, l’apparire
potente dalla donna, “nuda”: vita assoluta ed assoluta
espressione e misteriosa natura del divino. Luce
ontologicamente anteriore immediatamente al sole. Dio
“madre” come ricordò il compianto Papa Albino Luciani a
Venezia.
8
9
Cfr. Vita…cit. cap. 14, pag. 145.
Cfr. Castello interiore o mansioni, cap. 5, 1, in Opere…cit. pag.887.
7
Le pagine scritte da Santa Teresa d’Avila non lasciano
adito al minimo equivoco. Lo si ripete: malgrado la foia
sadica di chi voglia ridurre tutto a psicopatologia,
“qualcosa” di assolutamente identificabile vi fa la sua
incontrovertibile
apparizione.
Poi
qualcuno
s’è
sperimentato da sempre a lordare queste magnificenze
tingendole di sola fisicità greve, ma il paragone con simili
esperienze mistiche d’ogni dove regge, eccome.
Ne ricorderemo ora alcuni esempi, da Jalal od-din Rûmi
fino ad Hafez o a certi mistici di tradizione qabbalistica,
nell’ambito delle religioni abramiche, per poi passare
all’oriente più estremo, spesso liquidato come “esotico” ed
eo ipso esorcizzato dalle “vere” religioni (questo
quantomeno suscitando un sorriso attico). Tracce di queste
irruzioni si possono anche trovare in certi ceppi sciamanici
siberiani come nei racconti e nelle testimonianze su molti
sadhu indiani. Anche gli Indiani d’America hanno lasciato
filtrare la pratica di esperienze consimili (ad es. attraverso il
dolore), ed è nostro compito almeno accennarvi.
Il rapimento estatico è immediatamente evocativo della
biblica “regnum coelorum vim patitur et violenti rapiunt
illud”10 (Matteo, XI, 12); santa Teresa, ad un certo punto
della sua opera, paragonerà l’esperienza mistica
all’ebbrezza che dà il vino (con un ragionamento
pressocchè a ricalco con uno fatto da Margherita Porete
anch’essa martirizzata dalla Chiesa nel 1310) e queste
parole ci forniscono un ulteriore tassello per inoltrarci nel
mondo davvero “entusiasmante” della nostra Mistica.
Il termine “violenti” indica “coloro che sanno volere” come il “rapiunt” significa
“accolgono rapidamente in sé”.
10
8
Una nota frase di Santa Teresa può da sola fornirci
elemento di riflessione, proprio in forza della sua
“ambiguità” che molto l’avvicina al Cantico dei Cantici.
Ambiguità evidente quando la Santa scrisse: “Gli vedevo
nelle mani un lungo dardo d’oro, che sulla punta di ferro
mi sembrava avere un po’ di fuoco. Pareva che me lo
configgesse a più riprese nel cuore, così profondamente che
mi giungeva fino alle viscere, e quando lo estraeva
sembrava portarselo via lasciandomi tutta infiammata di
grande amor di Dio. Il dolore della ferita era così vivo che
mi faceva emettere dei gemiti, ma era così grande la
dolcezza che mi infondeva questo enorme dolore, che non
c’era da desiderarne la fine, né l’anima poteva appagarsi
che di Dio. Non è un dolore fisico, ma spirituale, anche se
il corpo non tralascia di parteciparvi un po’, anzi molto. E’
un idillio così soave quello che si svolge tra l’anima e Dio,
che io supplico la divina bontà di farlo provare a chi
pensasse che io mento”11. En passant: su questo brano e su
di un tanto breve quanto forte accenno contenuto , e quindi
sulla transverberazione, si fonda il progetto della statua del
Bernini12.
Solo poggiandoci su questa frase possiamo facilmente
veder nascere due bocci: l’ipotesi “razionale” che s’origina
dall’integralismo laico e quella mistica cui abbiamo sopra
alluso. Una terza possibilità potrebbe però completarle
11
Cfr. Vita, cap. 29, 13, in Opere… pag. 287.
Altra scultura del Bernini con totale consonanza è quella dedicata alla Beata
Ludovica Albertoni, in una cappella laterale della Chiesa di San Francesco a Ripa, a
Roma). Si ripete quella che si è appena detta “ambiguità” e che, naturalmente, tale
non è. La mania sessuofobia si è impadronita, oltre che del linguaggio, anche delle
immagini che coltiviamo nel nostro intimo. L’excessus è evidente in ambedue le
sculture, e supera di gran lunga, e mortifica, ogni lettura sordidamente moralista.
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ambedue superandole: come già aveva lasciato intendere
Julius Evola13, estasi erotica ed estasi mistica non è detto si
contrappongano ma, anzi, potrebbero integrarsi in un ché
capace di sintetizzarle ambedue. Questa direzione è quella
già indicata da Nicolò Cusano come da Meister Eckhart,
Tauler o Suso ma è anche facilmente ravvisabile nel
pitagorismo fino a Giamblico come nelle Upanisad.
Il racconto che abbiamo appena visto lascia filtrare
alcune considerazioni che proveremo ad esaminare.
Portandoci dall’alto verso il basso: i concetti espressi sono
comuni a molte esperienze mistiche (se ne ricordano alcune
di ambito islamico e altre nei “Fedeli d’Amore”); lo stesso
non si può dire del linguaggio, ma qui intervengono altre
considerazioni sulla vera e propria genesi di un linguaggio.
Spesso le immagini che si usano fanno parte del bagaglio
esperienziale e culturale personale: gli accadimenti di
ordine spirituale vengono comunque “mediati” da immagini
e concetti storici e anche specifici al vissuto individuale.
Chi voglia orientarsi nelle more dei linguaggi mistici,
spirituali, alchemici, e chi più ne ha più ne metta, deve
anche sperimentarsi in un vero e proprio lavoro di
decrittazione. E questo è proprio il caso dell’analisi del
brano appena citato dove una esperienza travolgente viene
“letta” dalla psiche secondo il vocabolario immaginifico
che essa psiche possiede. Non è detto che capiti
letteralmente quello che viene descritto, ma la descrizione
di quanto è accaduto si serve obbligatoriamente (“vede”) di
immagini prese a prestito dal bagaglio personale e
individuale. Da ricordare che, dopo il concilio di Trento
13
Cfr, La metafisica del sesso, ed. Mediterranee, Roma 1976, pag. 132 ss.
10
(iniziato nel 1545), alle donne era anche vietato di trattare
pubblicamente di argomenti teologici o di interpretare la
Scrittura. Era loro persino interdetto lo studio della
teologia.
L’intera vita di Santa Teresa d’Avila è stata tutt’altro
che facile spesso proprio per la difficoltà di esprimersi
secondo quando avvertiva e anche per la sua volontà
(pressoché inammissibile per una donna) di riformare
l’ordine carmelitano decisamente infiacchitosi. La
“compressione” era, in una parola, attiva su tutti i lati;
proprio in una situazione simile l’azione riformatrice poté
realizzarsi grazie ad un intervento quantomeno non umano
e le estasi di cui abbiamo appena trattato possono anche
aver avuto una facilitazione proprio dal clima ossessionante
in cui la Nostra mistica si trovava a vivere e operare. Ma di
qui a mettere in non cale le estasi teresiane il passo è
decisamente improponibile anche perché significherebbe,
come appena sotto vedremo, “liquidare” un importante,
seppur non fondamentale, patrimonio della mistica14. Santa
Teresa si trovava a scrivere che: “mi pare di aver compreso
che lo spirito sia la parte superiore della volontà”15.
In questo punto è però obbligatorio che ci si fermi per
fare un rimando diretto alla Philosophia perennis.
Il superamento del “collante” che tiene insieme la
personalità costruendo il c.d. “senso di sé” è un atto
caustico imprescindibile. Il sesso è il medio della vita,
14
In questo senso si era espressa anche Santa Teresa in armonia con San Giovanni
della Croce, definendo le estasi come non essenziali all’ascesi spirituale. Tutto il
mondo della mistica si esprime ad una voce in tal direzione, dal Buddhismo tibetano
fino all’Islam sciita.
15
Cfr.Relazioni spirituali, 29, in Opere…cit. pag. 499. Qui salta agli occhi l’analogia
anche con l ’apex mentis di medioevale memoria.
11
anche l’estasi erotica rappresenta la “rottura” di quella
continuità di coscienza che ci permette di vivere “in pace”,
e magari pure con “fede”. Eppure proprio in questo attimo
le porte tra mondi si aprono e, giusta l’insegnamento che si
ripete in molte tradizioni religioso-filosofiche arcaiche16, si
entra in contatto con il mondo dell’Au-delà, del ganz
anderes di ottiana17 memoria, del Sacro. Le strade di
questa rottura di livello poi si bipartiscono: da una parte,
come osservava Mircea Elide, seme e luce hanno reale
interazione e inversa corrispondenza; dall’altra l’arresto del
cieco compito biologico e la sua riconversione in Amore
può essere l’ignea esca ad un fuoco che tutto renderà infine
etere. Luogo in cui la volontà si fa Amore (cfr. Guglielmo
di Saint Thierry18 come Margherita Porete19). Si tratta, in
poche parole, di riconvertire violentemente20 la vis erotica
in vis mistica e non assolutamente di “reprimerla” bensì di
“metabolizzarla”: l’una e l’altra sono omogenee seppur con
segno diverso; si potrebbe anche dire che siano la
medesima forza o “sciolta”o “coagulata”. Tale il senso di
certo dionisismo, dove il fenomeno è ravvisabile in maniera
significativa. E qui pare bene ricordare la frase, cui si è
appena accennato sopra, di Margherita Porete sull’ebbrezza
16
Si usa il termine arcaico e non antico per sottolineare l’aderenza ai principi
metastorici ed assoluti e non la collocazione in un periodo storico trascorso ed
irripetibile.
17
Rudolph Otto, teologo e storico delle religioni tedesco, introduce il concetto nella
sua opera Das Heilige (1917), tradotta da E. Buonaiuti in italiano col titolo de Il
sacro, ed. Feltrinelli, Milano 1966.
18
“L’amore non è nient’altro che volontà ardente e ben ordinata”, scriveva ne La
contemplazione di Dio, 17, ed. it. a c. di Giovanni Bacchini, ed. Piemme, Casale
Monferrato 1997, pag. 77.
19
In questo stesso libro si veda il saggio “Margherita Porete, l’angelo di Eckhart”.
20
Cfr, la nota 4 supra.
12
dove la Mistica assimila il proficiente ad un ubriaco
incapace di fare una volontà propria che viene guidato da
una determinazione altrui: “A colui che è ebbro non
importa niente di quello che gli accade, in qualunque forma
la sua avventura avvenga, non più che se non gli accadesse
niente; e se gliene importasse, non sarebbe ebbro
completamente. Così se quest’Anima avesse ancora di che
volere, sarebbe mal piantata e potrebbe ancora cadere, se
assalita da avversità o prosperità. E non è tutta perché non
è nulla, se ha di che volere; poiché la sua povertà e la sua
ricchezza stanno nel voler dare o trattenere. E ancora
soltanto voglio dire…a tutti quelli che sono chiamati dal
desiderio interiore alle opere di perfezione, con l’impegno
di Ragione, lo vogliano o no: se vorranno essere ciò che
possono essere, perverranno all’essere di cui parliamo,
saranno inoltre signori di se stessi, del cielo e della
terra”21.
Maurizio Barracano
-
21
Cfr. Lo specchio delle anime semplici, con testo mediofrancese a fronte, a cura
di Giovanna Fozzer, con l’importante prefazione di Romana Guarnieri, commento di
Marco Vannini, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 1994 (che contiene anche
l’edizione trecentesca in volgare italiano, Manoscritto riccardiano, 1468, sempre a
cura di R. Guarnieri) e, altera: Lo specchio delle anime semplici, a cura di Donata
Feroldi, ed. Sellerio, Palermo 1995. La citazione è tratta dal paragrafo 89.
13